I linguaggi del design
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Anteprima del libro
I linguaggi del design - Stefano Caggiano
INTRODUZIONE
Una grammatica per i linguaggi del design
I bambini imparano a parlare attraverso la partecipazione alla pratica linguistica della loro comunità culturale. Esposti al linguaggio prima dell’età scolare, contraggono le stesse regolarità nel comportamento linguistico che osservano negli adulti. E tali regolarità sono, appunto, le regole
di grammatica, che appaiono meno come un elenco ordini che come un sistema di perni attraverso cui mettere in forma il linguaggio. La padronanza del quale è infatti una conoscenza implicita, operazionale, che può certo essere esplicitata nelle spiegazioni di grammatica, ma che funziona benissimo anche senza.
Un’analoga distinzione tra conoscenza implicita e conoscenza esplicita si trova nei linguaggi del design. Anche questi vengono appresi tramite esposizione al design discourse, quell’ecosistema di oggetti, aziende, fiere, eventi, mostre, riviste, blog che costituisce l’universo del progetto. E come non occorre studiare grammatica per parlare efficacemente, così non occorre studiare la grammatica del design per poterlo parlare
fluentemente.
Tuttavia, mentre il design si avvia a diventare una professione di massa, si alza l’asticella delle competenze richieste per incidere nel design discourse, sia dal punto di vista culturale che da quello commerciale. E se l’esposizione diretta alle evoluzioni formali degli oggetti resta fondamentale per operare nel sistema design, il passaggio da una conoscenza empirica a una conoscenza strategica dei linguaggi è possibile solo sulla base di una comprensione specifica dei modi attraverso cui le estetiche degli oggetti rinviano ai significati culturali che le sottendono.
In questa prospettiva il presente ebook si propone come libro di grammatica
dei linguaggi del design, con particolare attenzione alla scena contemporanea. Esso non può, e non vuole, sostituirsi all’esposizione diretta ai linguaggi, di cui cerca piuttosto di esplicitare gli snodi estetico-culturali fondamentali al fine di favorire il passaggio da una conoscenza subita a una conoscenza agita del senso estetico degli oggetti.
INTRODUZIONE
Cos’è un linguaggio del design
I linguaggi del design contemporaneo non nascono dal nulla. Essi sono l’evoluzione di percorsi linguistici che si sono dipanati negli anni precedenti, di cui hanno ereditato il testimone. Per tale motivo, il presente lavoro prende le mosse dalle dinamiche prelinguistiche del design, come appaiono nel periodo che va dalle sue origini nella seconda metà dell’Ottocento fino al periodo bellico compreso, per poi occuparsi dei linguaggi che caratterizzano l’evoluzione del design nella seconda metà del Novecento. Infine, l’ultima parte del libro, la più lunga, è dedicata ai linguaggi contemporanei.
Prima di procedere occorre però fare alcune precisazioni. In primo luogo, va subito chiarito che nessun oggetto, da solo, fa
linguaggio. Si pensi a tale proposito agli uccelli di uno stormo in volo. Nessuno di essi possiede un’immagine del disegno da tenere in formazione, eppure dalla loro interazione emergono estetiche di grande fascino e suggestione. I linguaggi del design prendono forma allo stesso modo. Essi sono tali nella misura in cui vengono condivisi da più oggetti, i quali pur pervenendo ciascuno al proprio esito estetico danno forma a un gruppo altamente specifico rilevabile come proprietà emergente a livello dell’insieme.
Una seconda precisazione, che deriva direttamente dalla prima, consiste nel fatto che un linguaggio non coincide con lo stile
di un particolare progettista. Lo stile è infatti individuale e deliberato, mentre il linguaggio è trasversale e, come si è appena visto, emergente.
Infine, un’ultima precisione riguarda il fatto che linguaggio
non è sinonimo di estetica
. Un linguaggio è dato da un’estetica connessa a un contenuto di significato, a cui rinvia e da cui è supportata, essendo tale significato integrato al contesto culturale che ne crea le condizioni di emersione. Linguaggio è quindi estetica + significato, laddove a dare ad ogni linguaggio il suo taglio
specifico è la peculiarità dello snodo estetico-semantico che mette in campo.
Naturalmente, nell’epoca di internet un’estetica può attecchire rapidamente per motivi meramente imitativi. Anche in questo caso, però, si tratta di capire perché certe estetiche si propaghino più di altre, e la ragione è che esse non sono sospese nel vuoto ma poggiano su determinati significati di cui sono espressione. Più che di oggetti belli
è quindi opportuno parlare, in riferimento ai linguaggi, di oggetti esteticamente significativi. Perché un linguaggio è, in definitiva, come un iceberg: è formato da una parte emersa, percepibile, consistente nella sua estetica, e da una parte sommersa, non percepibile ma comunque avvertibile
, consistente nel suo contenuto di significato, grazie al quale una determinata morfologia può essere percepita come bella
in quanto dotata di un senso culturale.
Percorsi prelinguistici nel design dalle origini agli anni Cinquanta. ↵
timeline_bTimeline dei linguaggi dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. ↵
timeline_cTimeline dagli anni Novanta ai linguaggi contemporanei. ↵
1. Percorsi prelinguistici nel design dalle origini agli anni Cinquanta
Dall’estetica rappresentativa all’estetica conformativa
Il razionalismo
Il design organico
1. PERCORSI PRELINGUISTICI NEL DESIGN DALLE ORIGINI AGLI ANNI CINQUANTA
Dall’estetica rappresentativa all’estetica conformativa
Le esposizioni universali dei prodotti dell’industria che si tennero nella seconda metà del XIX secolo misero in mostra per la prima volta il nuovo scenario oggettuale che si andava realizzando attraverso la produzione industriale. Fin dall’inizio, si evidenziò una spaccatura tra coloro che salutavano con entusiasmo l’alba del mondo meccanizzato e quelli che opponevano uno strenuo rifiuto al modo in cui le macchine deturpavano la bellezza artigianale delle cose. Come scrive Renato De Fusco a proposito della prima esposizione, che si tenne a Londra nel 1851, la questione del rapporto tra artigianato e industria si poneva soprattutto per i prodotti dei paesi più industrializzati, orientati di massima in due direzioni. La prima, fatta propria dagli Stati Uniti, consisteva nell’esporre macchinari senza alcuna pretesa di ricerca formale […]. La seconda era caratteristica soprattutto dell’Inghilterra che […] presentava il più eclettico panorama di motivi stilistici […]. Cosicché, accanto […] all’americana mietitrice McCormick, era dato di vedere i telai in stile gotico della W. Pope & Son di Londra oppure una macchina della Hick & Son di Bolton in stile egizio con colonne e scarabei, perché destinata ad una fabbrica di cotone egiziana
[1].
Il problema nasceva dal fatto che era diventato impossibile applicare i tradizionali canoni di bellezza degli oggetti ai prodotti fatti a macchina. E tuttavia, la neonata estetica industriale, ancora priva di un linguaggio formale autonomo, non poté far altro che appoggiarsi a repertori formali attinti dalla tradizione artigianale, di cui finì per essere solo una