Blue Passion La Nota Erotica del Profumo
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Anteprima del libro
Blue Passion La Nota Erotica del Profumo - Alexandra Steel
BLUE PASSION
Alexandra Steel
Alexandra Steel
Blue Passion
1a edizione – Ottobre 2017
Alexandra Steel
BLUE PASSION
Romanzo
Pubblicazione Indipendente
Ecco del rosmarino; è per memoria. Non ti scordare, amore; e qui le viole, per i tuoi pensieri.
Amleto - William Shakespeare
1
2010
Ci sono dei giorni che non dovrebbero esistere, giorni devastanti che segnano per sempre le nostre vite e quando arrivano non lasciano scampo. Tutto cambia, si stravolge e sembra assumere strane sembianze. L’atmosfera si materia-lizza, diventa solida, palpabile, e una strana nebbia sembra alzarsi piano piano, ricoprendo ogni oggetto, ogni spazio libero, fino a toglierne i contorni.
Nella bella casa della famiglia Scalabrini, due persone stavano in silenzio, sgomente, sbigottite, turbate da una notizia inattesa, improvvisa, che era arrivata da poco.
Lei, Marta, aveva appena ricevuto una telefonata, la più terribile della sua vita, Adelmo, suo padre, era morto nel sonno. Lui, Mario, suo marito, guardava senza vedere la televisione, rimandando ogni istante, attimo, la voglia di spegnerlo per impedire che il silenzio prendesse il sopravvento su tutto. Poi, stanco di quella lotta interiore senza senso, senza scopo, si era alzato e aveva spento quell’apparecchio infernale, quindi era ritornato accanto alla moglie abbracciandola forte.
Era giusto che il dolore trapelasse, spesso è soffrendo che ci si libera, e quel macigno che ci opprime il petto e ci toglie il fiato, sembra darci una breve tregua.
Lei ricambiò l’abbraccio e finalmente iniziò a piangere in modo convulso, lasciandosi andare completamente, spezzando quel silenzio ormai durato troppo a lungo.
Rimasero avvinghiati per qualche minuto, poi lei si scostò, lo guardò diritto negli occhi e sussurrò Che cosa ne sarà di mia madre ?
Lui scosse il capo. Vedrai, se la caverà.
A un tratto Marta si alzò e si diresse nella camera di Elena, sua figlia, tolse il trapuntino e si sedette sul letto ancora intatto. Voleva aspettarla, sveglia, fino a quando non fosse rientrata. Non era proprio il momento questo per un dolore così.
Certo la morte è imprevedibile, non ha date né scadenze, mentre il matrimonio imminente di Elena, sì. Solo due giorni prima l’aveva accompagnata a scegliere l’abito, un’operazione ‘ardua’ per una come lei, che non riusciva mai a consigliare niente, perché era costantemente indecisa, dubbiosa, spesso anche insicura sul da farsi. Lo era stata anche quando sua figlia le aveva chiesto un parere su questo matrimonio, che non sembrava aver sortito in lei la naturale felicità che di solito trapela quando si decide di sigillare un’unione davanti a Dio.
È un buon partito
le aveva solo risposto senza aggiungere altro, in fondo erano anni che si frequentavano e era logico che un giorno o l’altro sarebbe successo.
Mario arrivò dopo qualche istante, si limitò a rimanere sulla soglia.
Vieni a riposarti.
No, va pure a letto, voglio stare da sola, aspetto Elena.
Replicò asciutta.
Rimase un attimo seduta, poi decise di sdraiarsi, sapeva che l’attesa sarebbe stata lunga.
La sua mente iniziò a elaborare tutti i pensieri uno a uno. Il ritmo con cui le immagini scorrevano nella sua testa era impressionante. I parenti, gli amici, gli zii dovevano essere avvisati tutti, poi ci sarebbero state le domande, i dubbi, le perplessità riguardo a quella morte quasi ‘annunciata’. Anche se Adelmo se n’era andato nel sonno, le parole di sua madre echeggiavano ancora nella sua testa «Al tu babbo non gli garba più di vivere» ma era stata forse una frase d’effetto? Perché lei, proprio, non l’aveva capita fino in fondo.
Certo suo padre era anziano, aveva compiuto novant’anni il mese scorso, ma era ancora in gamba, almeno questo era quello che credeva. Sua madre Giuliana, invece, era più giovane di vent’anni e era ancora una donna attiva, anche se per tutta la vita si era appoggiata sempre al marito. Nella sua vita non aveva mai deciso niente, nemmeno il nome dei tre figli che aveva avuto, Riccardo, Alessandro e lei, Marta.
Elena varcò l’ingresso della sua stanza e trovò la madre assopita Mamma… che cosa ci fai nel mio letto?
Marta si scosse e improvvisamente l’abbracciò. Elena preoccupata replicò È successo qualcosa?
Il nonno è morto.
In quella casa ritornò il silenzio.
2
Novembre 1960
Faceva ancora caldo per essere novembre, eppure la leggera brezza riusciva a penetrare dalla finestra della mia camera, come fosse un alito notturno che risaliva gradatamente, rinfrescando la mia pelle fino a farmi fremere tutta.
Lì appoggiata al davanzale, catturata dal quel nero profondo punteggiato di stelle, mi ero accorta di essere in ansia. Mancava davvero poco all’arrivo degli uomini, quelli che mio padre avrebbe assunto per la lavorazione dell’olio.
Ogni anno arrivavano all’inizio di novembre e se ne andavano a metà dicembre. Amavo lavorare nelle filari degli ulivi, perché sapevo di avere nel sangue l’amore per la terra, per le piante; di solito ero la più veloce, la più precisa e spesso facevo a gara con gli uomini, che raccoglievano di buon grado la mia sfida, come se fosse un bel gioco.
Era insolito che una ragazza di vent’anni lavorasse come un uomo, ma io lo facevo. Lavoravo da quando avevo poco più di quattordici anni. La tenuta era una delle più grandi della zona, e era situata nei pressi di Castellina in Chianti, il borgo in cui ero venuta al mondo. La chiamavano Casalvento perché confinava con un colle brullo, privo di alberi ma ricco di cespugli di elicriso, ginepro, lavanda e rosmarino che arrivavano fino alla casa, e grazie al vento la inondavano con le loro fragranze. Più in là, un altro colle ospitava i filari di ulivi, in cui era situato il rustico e il frantoio.
Quello era il fulcro del nostro lavoro. Strappare il vergine succo dal suo involucro e ricavarne il sublime olio era tutta la nostra vita e il mio babbo ne andava fiero.
Aveva ereditato la tenuta di famiglia da suo padre, un uomo semplice ma risoluto che aveva dato la vita per questa terra, tant’è che aveva perduto due dei suoi tre figli, babbo era l’unico che gli restava.
Erano tempi duri allora, c’era stata la guerra, i piccoli paesi adiacenti erano stati colpiti violentemente, la gente non aveva di che cibarsi, ma Giacomo Ravelli non si era arreso.
Aveva riunito tutti i contadini della zona, aveva dato loro lavoro, ripagandoli con quello che poteva e piano, piano le prime radici di ulivo avevano iniziato a dare il pregiato frutto. Ricordo ancora il profumo della sua pelle scura, sapeva di muschio e terra, e aveva un sorriso contagioso.
Quando fu così vecchio da non potersi più muovere disse al mio babbo una sola cosa «Non separarti mai dalla terra, è l’unica ricchezza della nostra famiglia» dopo due giorni morì in silenzio, seduto sotto il porticato del Casale, in una meravigliosa giornata estiva.
Pensai che il destino gli avesse riservato una bella morte, senza sofferenze, patimenti, agonie, perché si addormentò per il suo pisolino quotidiano e non si svegliò più.
Mia madre, invece, incontrò il babbo durante la prima raccolta di extravergine, fu l’unica donna a presentarsi tra decine di