Il Re dell'Allume
Di Maura Stella
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Anteprima del libro
Il Re dell'Allume - Maura Stella
Cultura
Il re dell’allume
Capitolo I
Come nasce una storia
O tra i placidi olivi,
tra i cedri e le palme sedente
bella Arenzano al riso de la ligure piaggia...
Facil corre in te l'ora
tra liete aspettanze e ricordi, calmi,
sì come l'aura tra la collina e il mare
Tratto dalla poesia Arenzano
Giosuè Carducci.
1889
Arenzano
Parco Negrotto Cambiaso,
attuale Palazzo Comunale
Giorni nostri.
Due uomini, non proprio giovanissimi, stanno parlando tra loro, ovviamente in genovese.
Certo che è proprio bello il nostro parco... dovrebbe essere più sfruttato magari anche di sera, ti immagini che spettacolo
.
Hai ragione, ma non si può fare...
.
Perché non si può fare? Ti ricordi che tanti anni fa si facevano spettacoli di sera... era proprio una meraviglia
.
Si... è vero... mi ricordo che avevano rappresentato La vedova allegra... che serata!
.
Avevano proposto addirittura di fare un festival dell’operetta... per me sarebbe stato un vero successo, chissà se qualcuno lo riproponesse oggi
Eh... ma non si può fare
.
E perché? ma perché, avevano detto, che poi i vandali ne approfittavano per entrare nel parco e metterlo in disordine? eh be’ basterebbe far girare più vigili per il parco
.
Ti ho detto che non si può... e... è che è meglio non farlo, certe cose mi dà persino fastidio parlarne, e poi... non mi crederesti
.
E chissà cosa sarà mai?
Be’, ti ricordi che all’epoca facevo parte della squadra di operai del Comune?
E si che me lo ricordo, e allora?
Allora, allora... succedevano cose strane in quelle sere, e io le ho viste; c’è qualcuno che non vuole essere disturbato qui nel parco
.
E cosa sarà mai, ora mi hai proprio incuriosito... cuntimela da l’inisiu (1)
.
Io te la racconto... ma mia ch’a l’è lunga, beseugna partii da quando han costruiu stu palassu (2)
.
E gh’emmu quarcosa da fa ancheu? (3)
.
Si ma poi non andare a raccontarla in giro: intanto nessuno se la ricorda questa storia... e se non avessi visto con i miei occhi... e poi se la racconti... me pigian pe’ mattu mi (4)
Note al Capitolo I
(1) Raccontamela dall’inizio
(2) Ma guarda che è lunga... bisogna partire da quando hanno costruito questo palazzo
(3) E abbiamo da fare qualcosa oggi?
(4) Mi prendono per matto me
Capitolo II
I primi anni romani
Soltanto in quel luogo consacrato dai millenni [Roma]
tutto ciò che c’è stato e ci sarà può convivere con tutto:
l’alto e il basso, il vecchio e il nuovo, la religione e l’empietà,
il fasto e la miseria, persino Dio e il Diavolo
sembravano aver trovato un equilibrio stabile e duraturo
in quella città, dove tutto è già accaduto,
e mica una sola volta! Mille volte.
Sebastiano Vassalli
Genova
Palazzo di Tobia Pallavicino
Strada Nuova, oggi Via Garibaldi
Anno 1581
Avvertiva il proprio respiro farsi sempre più flebile...
Una vela sul mare, un giardino piccolo e raccolto, lo stormire del vento, un volto di donna... a tratti compare, sembra nuotare sotto il pelo d’acqua, come una stregante sirena lo chiama a sé, a tratti sparisce, per poi riapparire... lo chiama ancora, e lui desidera solo raggiungerla.
Riprende per un attimo coscienza, davanti a sé c’è la stanza ma lui vede solo ciò che c’è nella sua mente.
a tratti quasi felice. Era però sempre stato chiaro che nessuna vocazione letteraria avrebbe mai potuto o dovuto sottrarre Tobia al suo attivismo mercantile. Nascere in una potente e ricca famiglia della oligarchia genovese, i Pallavicino, aveva costituito, senza alcun dubbio, un privilegio. Ma vi erano anche obblighi a cui assolvere. Nel Cinquecento infatti la famiglia aristocratica era in effetti un autentico clan, dominato dalle regole dell’interesse e del prestigio. Nobili natali segnavano la strada da percorrere fin dalla nascita. Nel 1528 le 14 famiglie genovesi, derivanti dai diversi rami dei Pallavicino, avevano costituito «albergo» col proprio nome. E appartenevano al Portico vecchio, cioè all’antica nobiltà. (1) Tobia era un Pallavicino ma sua madre era Violantina Grimaldi. Altra famiglia importantissima in Genova, già introdotta, in regime di monopolio, in quello che era allora l’affare del secolo: ovvero il commercio dell’allume.
Avvertiva il proprio respiro farsi sempre più flebile.
Fu allora che Tobia rivide se stesso felice negli anni romani, quando in quella città, prima del 1549, nel pieno del fermento culturale del Rinascimento ormai maturo, aveva avuto l’illusione di potersi dedicare a quella vocazione letteraria che era rimasta sempre la sua autentica passione. Era andato a Roma, lasciando per diverso tempo Genova, per seguire gli affari. Ma era stata anche una occasione ghiotta per seguire pure i propri interessi personali. Aveva sempre amato l’arte, la letteratura, le scienze, in una sola parola, il sapere. In particolar modo prediligeva quei testi che gli umanisti avevano riscoperto. E nella città eterna poteva anche avvicinarsi a quei resti dell’antichità classica, che stavano suscitando tanta meraviglia. In chi, come lui, sapeva apprezzarli. In questo suo interesse aveva trovato appoggio, quasi esclusivamente, nel suo stretto parente Giovan Battista Grimaldi. Il rapporto tra i due era sempre stato intenso. Li univa infatti non solo la stretta parentela e gli interessi economici. Furono entrambi facoltosi banchieri, commercianti interessati allo sfruttamento e monopolio dell’allume, ma soprattutto due personalità affini per una spiccata sensibilità verso la cultura moderna
.
Animi da mecenate. Attenti, però, a mettere in luce il proprio fasto personale. Lo dimostreranno attraverso la creazione di palazzi superbi. E per entrambi fu importante la permanenza nella città eterna.
In essa vi si coltivava, in ottemperanza al nome, l’ideale della virtù, ma nell’accezione latina del termine. Taluni contemporanei, tuttavia, sussurravano che, in tali riunioni, si scadesse spesso nell’oscenità. E il temperamento dei due Genovesi, come vedremo meglio in seguito, non depone certo per escluderlo. Amanti dell’Arte, attenti agli affari ma inclini a godersi la vita. II Grimaldi vi introdusse, a sua volta, il Pallavicino, quando questi si recò a Roma. Gli aderenti o simpatizzanti dell’Accademia si ritrovavano in occasioni conviviali. E i banchetti, all’epoca, non erano certo improntati a rigide regole di ascetismo. Neppure quelli degli ecclesiastici. Immaginiamo quindi gli altri. Quanto meno dobbiamo ammettere che in quei convivi il peccato di gola, per non dire di quello di lussuria, era tale da suscitare le critiche di molti. Specie dei soliti invidiosi che, in ogni epoca, non potendo condividere il peccato, lanciano strali contro i costumi. Gli incontri dell’Accademia erano a tema. Ogni partecipante era invitato ad esporre la propria opinione, sulla questione, di volta in volta, proposta. Tobia, sicuramente introdotto in quell’ambiente di intellettuali dal Grimaldi, ne era rimasto affascinato. Partecipò a diversi incontri, dandone ragione, in numerose lettere, a Giovan Battista, che nel frattempo era ritornato a Genova. Fu all’uscita di uno di questi banchetti che una zingara lo fermò.
Lascia che ti legga la mano, mio signore...
Smettila io non credo a queste cose...
Un amico che accompagnava Tobia, ridendo, lo prese sotto braccio... i due stavano allontanandosi.
Tu non hai avuto una infanzia felice... ti è stata portata via una donna...
Tobia si fermò e guardò la zingara negli occhi ammutolendo... poi tese la sua mano. La donna la osservò a lungo poi divenne scura in volto
Dal Male nasce il Bene... ma guardati dalle donne... Male... morte... tradimento.
Tobia impallidisce... L’amico prende di nuovo Tobia per il braccio
Vieni via... non ascoltarla e se mai controlla di avere ancora il borsellino.
Tobia mise istintivamente la mano in tasca. Da quello che temeva gli fosse stato rubato, trasse una moneta e si volse per porgerla alla zingara. Questa era sparita nel buio della notte. Così come ne era uscita.
Forse si è spaventata per le mie parole, e quanto alle donne... sarà ben più facile che tu ne faccia a loro che non il contrario.
L’amico pronunciò la seconda parte del discorso accompagnando alle parole un sorriso malizioso.
Tobia fece un cenno del capo, come per rispondere all’amico, e convenire che questi aveva ragione. Si guardò ancora intorno e poi disse a Gerolamo, il fedele servitore che lo accompagnava sempre, di fermarsi e cercare la zingara. Gli lasciò anche la moneta. Se la avesse trovata gliela avrebbe dovuta dare. Gerolamo guardò in ogni dove. La donna sembrava scomparsa. Poi rivolse al suo signore un cenno del capo, come a dire che non era riuscito a vedere nessuno. Tobia, a sua volta, gli rivolse un cenno di intesa. E gli indicò di lasciare lì la moneta, qualora ella fosse
tornata. I due uomini si capivano al volo. E il marchese sapeva che di Gerolamo si poteva fidare. Non avrebbe trattenuto per sé la moneta. Era l’unico servitore onesto che egli avesse mai avuto. Tobia e l’amico, dopo la breve sosta, proseguirono per la loro strada, fermandosi, di tratto in tratto, ad osservare l’incantesimo di quanto li circondava.
Una città magica, degna dell’appellativo di Eterna
. Erano anni importanti quelli per Roma. Vi spiccavano grandi personalità politiche, artistiche, intellettuali. E non si era ancora spenta l’eco delle opere e delle vicissitudini mortali di altri grandi uomini da poco scomparsi. Nel 1513 era morto il papa Giulio II (3). Più incline alla guerra che alla pace, sicuramente incline alla lussuria, Giulio II fu però un grande mecenate. E di questo dobbiamo essergli grati. Aveva chiamato a Roma artisti del calibro di Michelangelo e Raffaello, solo per citare i due universalmente conosciuti. Erano anni in cui Madre Natura sembrava fare di tutto per dare vita a uomini che sembravano eccellere nelle Arti e nel Sapere. Grandi uomini e bellissime