Una notte d'inverno
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Elizabeth Beacon
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Anteprima del libro
Una notte d'inverno - Elizabeth Beacon
Immagine di copertina:
Nicola Parrella
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Rake Of Hollowhurst Castle
Harlequin Historical
© 2010 Elizabeth Beacon
Traduzione di Maddalena Togliani
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-100-9
1
In piedi davanti all’elegante vetrata che illuminava il salone del castello di Hollowhurst, Roxanne Courland osservava l’oscurità diffondersi sul giardino all’inglese. Presto le vecchie piante avrebbero assunto una miriade di forme bizzarre e il boschetto di agrifoglio sarebbe diventato un’ombra nera. Nei paesi vicini si diceva che fossero state le streghe a piantarlo e che avessero lanciato una terribile maledizione sull’incauto che si fosse addentrato di notte tra quelle piante. Roxanne, però, credeva che quelle fandonie fossero state inventate per allontanare le ragazze dalle tentazioni e si domandava se tali tattiche funzionassero ancora nell’Anno del Signore 1818. Non era certo il luogo ideale per un appuntamento galante, ma un tempo avrebbe atteso tutta la notte il suo amante tra le spine e al buio, se solo lui glielo avesse chiesto.
Quella sciocca e impressionabile di Rosie Courland e le sue sorelle più grandi si erano nascoste lì dieci anni prima per sbirciare gli ospiti che il fratello aveva invitato per Natale, perché era quasi mezzanotte e anche sua sorella maggiore, Joanna, sarebbe dovuta essere a letto da ore. Che tempi felici aveva vissuto a quattordici anni e, ripensandoci, le dispiacque passare un’altra volta le feste in completa solitudine. Da ragazzina quella volta era stata tanto emozionata da non riuscire a trattenere un gridolino trepidante mentre saltellava nella neve, gli stivali sempre più zuppi e i piedi gelati nonostante il movimento continuo.
«Per l’amor di Dio, Rosie, sta’ ferma!» le aveva sibilato arrabbiata la diciassettenne Joanna. Ma il contegno era cosa da persone più grandi, come sua sorella, che camminavano invece di correre e non si mettevano a discutere con gli adulti, neanche se avevano torto.
«È facile pungersi, è buio pesto e si muore dal freddo. Perché non andiamo a nasconderci tra le querce o in cima all’Osservatorio?» si era lamentata quasi a malincuore.
«Perché non vedremmo il viale e le querce senza le foglie non ci nasconderebbero se qualcuno ti sentisse strillare e puntasse la lanterna nella nostra direzione, stupida ragazzina» le aveva risposto Maria in tono arrogante, sempre pronta a farle notare i suoi due anni in più.
«Stupida ragazzina sarai tu. Forse non riuscirai a vedere granché da terra, ma potremmo salire sugli alberi o perfino guardare dal tetto con il cannocchiale dello zio. Nessuno ci scorgerebbe, con questo buio, e staremmo molto più comode.»
«Qualcuno potrebbe sorprenderci mentre sgattaioliamo su per le scale, a causa delle tue chiacchiere continue, e non so cosa riusciremmo a vedere da lassù nell’oscurità con un telescopio in tre. Comunque, non salgo sugli alberi con questo buio pesto e zio Granger ha minacciato di mandarti in collegio l’ultima volta che gli hai preso il cannocchiale e l’hai rotto, perciò usa la testa. O torni dentro e aspetti tranquilla al calduccio come una brava bambina oppure te ne stai qui e la smetti di lamentarti» aveva sussurrato Joanna esasperata. Poi era tornata a fissare il viale come se discernere un movimento fosse stata una questione vitale.
«Ma guardatevi!» aveva bofonchiato lei. «Siete così impettite, da quando avete cominciato a portare i capelli raccolti. Mi sorprende che non vi siate trasformate in pietra come quella stupida statua della Virtù in biblioteca. Non fate altro che parlare di vestiti e romanzi incomprensibili e avete un atteggiamento ridicolo solo per farvi notare dai ragazzi, quando invece piacereste loro di più se smetteste di fare le stupide.»
«È solo una mocciosa che ha paura delle streghe, Joanna, ignorala» aveva risposto Maria.
Sarebbe stato meglio se avesse sussurrato qualche formula magica e inventato una maledizione raccapricciante per spaventarla, e invece Maria si era voltata e aveva preso sottobraccio Joanna, come se la loro petulante sorellina non esistesse. Roxanne si era sentita offesa e confusa quando la sorella maggiore, una volta impavida, era cresciuta e si era allontanata da lei. Joanna aveva perfino cominciato ad assecondare le continue critiche che le rivolgeva Maria, invece di difenderla. Se era stato il fatto di crescere e innamorarsi ad averla trasformata a tal punto, Roxanne aveva giurato a se stessa, tremante al buio e sul punto di sciogliersi in lacrime, che non avrebbe mai commesso una simile follia.
Tornando con la mente al presente, ricordò quella decisione con un sorriso amaro. Doveva essere stata la promessa meno onorata di tutta la lunga storia dei Courland di Hollowhurst, perché proprio allora Maria, che aveva un udito finissimo, aveva colto un leggero tintinnio di briglie e Roxanne si era fermata udendo le voci che si avvicinavano tra la neve. Le tre sorelle erano rimaste immobili, come colpite dall’incantesimo di un’antica leggenda e perfettamente concentrate sui visitatori, timorose di essere scoperte ed escluse dalle feste natalizie per essere state sorprese fuori nella neve a mezzanotte.
Il primo ad apparire nell’oscurità era stato il fratello David, che montava un pregiato cavallo grigio. Le tre ragazze avevano aguzzato la vista per capire chi lo accompagnasse. Roxanne aveva udito l’involontario sospiro di piacere e sollievo della sorella maggiore quando aveva intravisto il sauro di Tom Varleigh. In quel momento era emersa la lampada di Fulton, il custode, che l’aveva rischiarato, poi l’uomo si era voltato e aveva accompagnato i due gentiluomini lungo il viale. A Rosie, che presagiva i cambiamenti a venire, il cuore aveva preso a battere forte per il timore. Dicendo a se stessa che il suo nervosismo era provocato da Joanna, che aveva fatto più rumore di lei, le aveva dato un colpetto per ricordarle dov’erano e cosa stavano rischiando, e aveva sbirciato nell’oscurità per vedere se Davy si fosse portato qualcun altro da Cambridge. Il tentativo di scorgere il terzo cavaliere le aveva fatto scordare l’ansia.
All’improvviso era apparso un bagliore quando avevano udito lo scalpitio degli zoccoli e le voci squillanti dei ragazzi dopo il lungo ed estenuante viaggio. Un enorme cavallo si era impennato per quelle luci inattese e Rosie aveva trattenuto il respiro aspettandosi di veder cadere il cavaliere su un mucchio di neve. Invece l’esperto fantino era riuscito a controllare la bestia con una facilità che l’animale avrebbe dovuto considerare offensiva e aveva riso dei suoi capricci.
«Buono, Brutus» aveva tuonato una voce profonda e decisa, mentre il destriero nitriva con brio, come se il cavaliere fosse divertito da quella lotta per la supremazia che l’animale sembrava già sapere di aver perso.
Rosie aveva osservato ammirata lo sconosciuto che con tanta facilità aveva domato il cavallo imbizzarrito e poi, una volta calmato l’animale, era saltato giù dalla sella e aveva estratto una carota dalla tasca del pastrano, offrendola allo stallone nero con una carezza affettuosa.
«Non è certo migliorato dall’ultima volta che sono stato in Inghilterra» aveva gridato il ragazzo con allegria a Tom Varleigh che osservava la neve con un sorriso felice.
«Perché credi che abbia scelto il sauro quando mio padre ci ha messo a disposizione tutta la scuderia?» aveva ribattuto Tom.
«Forse perché avevi voglia di vedermi finire sulla neve, caro cugino?» aveva risposto lo sconosciuto, rivelando così in parte la propria identità alle ragazze che si sforzavano di saperne di più.
Un cugino del famoso Tom Varleigh proveniente da oltreoceano, forse un militare, a giudicare dal giaccone. A Rosie parve quasi di sentire i pensieri di Maria che si chiedeva se fosse scapolo e quante fossero le probabilità di sposarsi con lui al più presto; le era sorto dentro un grido di protesta trattenuto appena in tempo. Sorpresa da quella inconsueta reazione, aveva fissato l’attenzione su quel giovane davanti a loro.
«No, per non finirci io, nella neve» aveva ammesso Tom.
Lo sconosciuto aveva riso, aveva preso una manciata di neve e l’aveva tirata a Tom. Era iniziata così una bella battaglia e tutti e tre erano ormai fradici quando era apparso sull’uscio Sir Granger Courland, la cui risata aveva sovrastato gli schiamazzi dei suoi giovani visitatori.
Roxanne sorrise nostalgica nel ricordare commossa il prozio perfettamente a proprio agio nel ruolo di anfitrione al castello di Hollowhurst e trattenne una lacrima al pensiero che non ci fosse più. Zio Granger era nato per ricevere ospiti e spalancare loro con generosità le porte di casa. Rivide la sua figura alta e immobile, appesantitasi un poco con l’età. A sessantacinque anni aveva ancora i capelli neri, anche se le basette erano grigie, e il suo vocione si poteva udire da un capo all’altro di un terreno di caccia. Mentre lei cresceva le era parso che il tempo non lo cambiasse e aveva commesso l’errore di crederlo immortale.
«Benvenuti a tutti e auguri!» aveva gridato al gruppo che si era fermato all’improvviso, ricordò Roxanne, che preferiva indugiare con il pensiero sul passato piuttosto che sul presente. «Chi mi avete portato, Davy? Non sarà mica quel Varleigh in cui incappavamo continuamente la scorsa estate?»
David aveva riso e sospinto Tom verso la luce. Questi aveva fatto un timido sorriso, dicendo che sperava di essere ancora il benvenuto.
«Certo! Questa è casa vostra, ragazzo. Ma chi altri abbiamo qui? Un cavaliere del circo, forse, o magari un ufficiale di cavalleria?»
«Nessuno dei due, signore. Sono il cugino di Tom Varleigh, un umile marinaio. Vostro nipote è stato davvero generoso a invitarmi.»
«Generoso? Non lo è mai stato» aveva scherzato zio Granger burlandosi del suo erede, disponibile e ospitale quanto lui. «In quel caso, avrebbe fatto di tutto per venire qualche settimana fa, perché ci manca da morire. Entrate, ragazzo» aveva tuonato, e questi aveva ubbidito mentre rideva per un commento fatto da suo cugino Tom.
Una volta giunto di fronte alla grande porta, alla prospettiva di un bel fuoco e di un pasto appetitoso dopo quella lunga giornata, lo sconosciuto si era tolto il bicorno da marinaio e la luce gli aveva illuminato i ricci capelli biondi dai riflessi dorati. Dal suo nascondiglio, Roxanne aveva cercato di distinguere ogni dettaglio della sagoma snella: provava un’ammirazione insolita per quel bel giovane e lo osservò, dal sorriso sul volto abbronzato fin giù, agli stivali sporchi per il viaggio. Lui aveva fatto un elegante inchino al padrone di casa che l’aveva passato in rassegna. La luce della lampada brillava sui bottoni di ottone lucidi e la spallina sulla giacca blu, che aveva mostrato quando si era tolto il giaccone e l’aveva porto al domestico, indicava che era un sottotenente di vascello della Marina di Sua Maestà.
«Sottotenente Charles Afforde del Trojan ai vostri ordini, Sir Granger» aveva pronunciato con una voce profonda e roca che aveva provocato un fremito lungo la schiena di Rosie, nascosta al buio e affascinata, come in preda a un incantesimo.
La piccola Rosie Courland era rimasta immobile nel suo gelido nascondiglio, dimenticandosi del freddo, dell’oscurità e dei rovi, mentre osservava con venerazione ogni dettaglio di quel giovane semidio e se ne innamorava. Aveva avvertito un brivido profondo e fino allora ignoto all’idea di conoscere quel meraviglioso esemplare della razza umana, invece di adorarlo da lontano. Miss Roxanne Courland ricordò con una smorfia cinica lo scarso entusiasmo che lui aveva dimostrato al momento di incontrarla, mentre lei aveva cercato di non lasciarsi prendere dallo sconforto. Ma la memoria tornava con ostinazione alla notte innevata di tanto tempo prima, come per ricordarle di quali follie fosse capace la gioventù.
«Non sapevo che Samphire avesse un ragazzo in Marina» aveva tuonato suo zio, inconsapevole del fatto che un sorriso distratto dell’ospite inatteso in mezzo alla neve avesse cambiato la vita della sua nipote più giovane.
Roxanne ricordò di essersi chiesta come il suo prozio potesse mai ignorare l’importanza del momento e sorrise ironica pensando al proprio egocentrismo infantile. Era sicuramente parso indimenticabile a una stupida ragazzina come lei, che quella notte aveva scrutato il Sottotenente Charles Afforde con bramosia, come se ricordare ogni dettaglio del bel volto fosse questione di vita o di morte.
«Infatti non è così» aveva ammesso il biondo adone in tono allegro. «L’ultimo conte era mio nonno, che mi ha accolto in casa da piccolo, ma il nuovo conte è mio zio.»
«A ogni modo, ogni parente del vecchio Cetriolo è il benvenuto in questa casa.»
«Grazie signore, anche se negli ultimi anni a mio nonno non piaceva essere chiamato con quel soprannome.»
«Troppo orgoglioso, forse?» aveva chiesto ad alta voce Sir Granger. «Vi racconterò quanto se lo meritasse, invece, quando vi sarete ripreso dal viaggio.»
«Sono sicuro che sarà una storia interessante» aveva rincarato la dose Charles Afforde con una risata.
«Certo, ragazzo mio» aveva replicato lo zio Granger, «ma adesso entriamo e chiudiamo le porte. Preferisco il calore dei caminetti accesi dentro casa al freddo del parco.»
Il Sottotenente Afforde, dopo aver lasciato il cavallo allo stalliere, aveva varcato tranquillo il portone del castello di Hollowhurst. Si era fermato un istante sulla soglia e Rosie, nascosta al freddo, aveva avuto l’impressione che si fosse accorto di loro tre, strette l’una all’altra, stregate nell’oscurità dai nuovi arrivati che avevano giocato come ragazzi ed erano stati accolti da uomini.
Roxanne bambina aveva trattenuto il respiro come se lui avesse potuto udirla a quella distanza e aveva deciso che un giorno avrebbe sposato Charles Afforde, quando sarebbe diventata grande e bella e lui sarebbe stato un ammiraglio, famoso come il compianto Visconte Nelson. In quell’istante seppe che il sottotenente l’aveva vista e che aveva capito l’importanza di quell’incontro per entrambi. Perfino dopo che, durante le feste, l’aveva ignorata preferendole Joanna, Maria e la giunonica figlia diciottenne del vicario, era stata convinta che lui si fosse solo divertito in attesa che lei fosse pronta per il matrimonio. Lo avrebbe aspettato, aveva deciso con ostinata passione, ma poi era cresciuta e aveva scoperto che le favole erano molto diverse dalla realtà.
Roxanne fece una smorfia insofferente ripensando al suo infantile romanticismo. Sir Charles Afforde era diventato davvero un uomo di successo, coraggioso, ricco grazie ai guadagni della guerra e con un patrimonio di famiglia di cui aveva ottenuto il controllo, da quanto le raccontava David nelle sue sporadiche missive. Grazie alle proprie qualità aveva ottenuto il titolo di baronetto, conferitogli da una nazione grata per i servigi da lui resi nel corso delle ultime guerre. L’elevato rango di commodoro di Marina si era convertito in quello di semplice capitano quando era tornato a terra rinunciando al comando del suo squadrone, ma sarebbe diventato di sicuro ammiraglio se fosse rimasto in Marina quando Napoleone era stato definitivamente sconfitto.
Invece Miss Roxanne Courland aveva mantenuto la promessa che aveva fatto da bambina: era cresciuta ed era diventata mora quando la moda prediligeva le bionde, con un carattere ben deciso laddove le signore dovevano fare mostra di grande sensibilità e vivere nell’ozio. Non c’era da stupirsi che ben pochi gentiluomini avessero il coraggio di ballare con lei e, a maggior ragione, di farle la corte.
E così, da tempo aveva rinunciato al sogno segreto di far suo il cuore capriccioso di Charles Afforde. Lui avrebbe finito per sposare una donna di bellezza raffinata e non una campagnola spilungona di ventiquattro anni, ma, del resto, la cosa le era indifferente, visto che dubitava che lui avesse un cuore.
Lei era soddisfatta di essere zia Roxanne, ora che Joanna e Tom Varleigh avevano avuto tre bambini; per suo fratello era sempre la vecchia dolce Rosie, la sorella zitella che aveva preso le redini di Hollowhurst mentre lui viaggiava nei più remoti angoli della terra. Ma allora cosa diavolo voleva da lei Charles Afforde, quell’eroe affascinante? La sua lettera giaceva sulla scrivania di palissandro che lei usava per la corrispondenza. Fissò la busta nell’oscurità crescente, quasi che così facendo avesse potuto evocarlo come per magia dalle ombre dell’imbrunire.
Quella maledetta lettera non aveva fatto altro che turbarla da quando l’aveva ricevuta, due giorni prima; il suo contenuto laconico le aveva tolto l’abituale serenità, tanto che era stata tentata di buttarla nel fuoco e di farla finita con lui. Invece non vi era riuscita. Forse in lei era rimasto ancora qualcosa di quei tempi passati: non certo l’illusione di poter domare quel libertino giramondo, ma un sogno ormai svanito appartenente alla Roxanne bambina e romantica che, vedendo la donna in cui si era trasformata, l’avrebbe detestata.
2
Con un sospiro impaziente Roxanne si ordinò di smettere di pensare a Sir Charles Afforde, almeno fino al giorno in cui non si sarebbe presentato per dirle cosa voleva, dopo tutti quegli anni. I motivi di distrazione non mancavano, dopotutto, perché dopo la guerra erano tempi difficili ed era una sfida mandare avanti Hollowhurst. Poi