Per obbligo o per piacere?: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Leon Aristides crede soltanto in tre cose: soldi, potere e famiglia. Sono questi gli unici valori meritevoli di essere perseguiti.
Quando la sorella di Leon muore, lasciando un figlio e parte del suo patrimonio a Helen, lui sa di dover agire immediatamente, e l'unica soluzione possibile è costringere la bella Helen a sposarlo.
Jacqueline Baird
Inglese, coltiva da sempre due grandi passioni: la pittura a olio e la navigazione in barca a vela.
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Anteprima del libro
Per obbligo o per piacere? - Jacqueline Baird
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1
L'Inghilterra in febbraio non era certo un luogo invitante, pensò Leon Aristides con rabbia. Erano ore che guidava, avanzando a fatica sotto la pioggia gelida che cadeva a dirotto, oscurandogli la visuale. Il suo pensiero corse, per l'ennesima volta, a quella mattina, quando la lettera di uno studio legale di Londra, firmata da un certo avvocato Smyth, era giunta al suo ufficio di Atene. Era ancora scioccato dalle rivelazioni che conteneva.
A quanto pareva, l'avvocato Smyth aveva letto un articolo sul Financial Times che parlava della lieve flessione subita dalle azioni dell'Aristides International. Il giornale riportava anche un intervento di Leonidas Aristides, nel quale lui spiegava che si trattava di una comprensibile reazione del mercato, dopo il tragico incidente che era costato la vita a sua sorella Delia e a suo padre, il presidente della società. Leon assicurava che il prezzo sarebbe velocemente risalito. L'avvocato Smyth, nella famigerata lettera, asseriva che Delia Aristides era una cliente del loro studio, dove aveva depositato un testamento di cui lui stesso era esecutore.
Leon aveva subito pensato di avere a che fare con un imbroglio. Il nome degli Aristides, infatti, appariva di rado sui giornali. La sua era un'antica famiglia di banchieri che apparteneva al genere di ricca élite che non andava in cerca di pubblicità, la loro privacy era difesa così gelosamente, che il grande pubblico sapeva a malapena della loro esistenza. Tuttavia, dopo una telefonata all'avvocato Smyth, Leon si era subito reso conto che la faccenda era seria e che, se non avesse agito in fretta, l'anonimato sarebbe presto divenuto solo un ricordo lontano. Aveva richiamato subito il legale e poi era andato a esaminare la cassetta di sicurezza di sua sorella. Insieme ai gioielli ereditati dalla madre, c'era anche la copia di un testamento vergato due anni prima dallo stesso avvocato Smyth, firmato e sottoscritto da Delia. Il suo contenuto aveva indignato Leon al punto che la sua iniziale reazione era stata di strapparlo in mille pezzi. Poi il suo ferreo autocontrollo aveva ripreso il sopravvento e lui aveva chiamato uno dei suoi avvocati. La conversazione che ne era seguita lo aveva fatto pensare a lungo.
Infine aveva deciso di fissare un appuntamento con l'avvocato Smyth per il giorno seguente. All'alba di quella mattina era salito sul suo jet privato diretto a Londra e, dopo un colloquio con l'avvocato, aveva avuto conferma delle notizie scioccanti apprese dal documento. Smyth gli aveva spiegato che, dopo il decesso di sua sorella, lui aveva subito scritto a una certa signorina Heywood, spiegandole l'accaduto e informandola che era la beneficiaria del testamento di Delia Aristides.
Leon non poteva fare nulla a questo riguardo, ma almeno aveva ottenuto la promessa che lo studio legale avrebbe mantenuto un assoluto riserbo sulla faccenda. L'avvocato Smyth era un uomo intelligente e si rendeva conto che non era certo conveniente contraddire inutilmente un colosso bancario come l'Aristides International.
Leon svoltò in un vialetto d'accesso con l'automobile che aveva preso a nolo. Normalmente viaggiava in limousine con autista, ma in questo caso aveva preferito l'anonimato. Fermò la macchina e alzò lo sguardo sulla casa a due piani, situata stranamente in fondo a uno dei terreni recintati del Fox Tower Hotel, un albergo di lusso tra le Cotswold Hills. Ora capiva perché aveva oltrepassato il viale di accesso e girato lì attorno diverse volte, prima di trovare la casa della signorina Heywood. Era troppo anche per un sistema avanzato di navigazione satellitare. Esausto, era entrato nell'albergo e aveva prenotato una stanza per la notte, poi, tramite qualche domanda casuale, aveva scoperto dove si trovava la casa e perché aveva impiegato tanto a scovarla.
Una luce era accesa al piano terreno, segno che Helen Heywood doveva esserci. Leon aveva valutato l'idea di telefonarle, ma non voleva metterla in guardia. L'elemento sorpresa era l'arma migliore in ogni battaglia e quello era un conflitto che lui era deciso a vincere. A meno che non avesse già ricevuto la lettera dell'avvocato Smyth, cosa abbastanza improbabile, la donna avrebbe avuto uno shock tremendo.
Con passo deciso, si avvicinò all'ingresso principale e suonò il campanello.
Di nuovo nessun segnale. Helen rimise a posto il telefono con un'espressione preoccupata sul viso. La sua migliore amica, Delia Aristides, conduceva uno stile di vita frenetico, ma di solito chiamava tutte le settimane e andava a trovarli almeno una volta al mese. Era vero che da quando era tornata in Grecia lo scorso luglio aveva un po' diradato le sue visite, ma ora erano passate più di sei settimane dalla sua ultima telefonata. La cosa peggiore era che Delia, dopo avere annullato ben tre appuntamenti, aveva promesso a suo figlio Nicholas che sarebbe sicuramente andata a trovarlo all'inizio dell'anno, ma ancora una volta all'ultimo momento aveva telefonato per avvertirli che non le era possibile vederli. Da allora Helen non aveva avuto più sue notizie e questo non era giusto né nei suoi confronti, né in quelli del bambino. Nicholas aveva trascorso la mattinata all'asilo e, dopo aver pranzato, ora stava facendo il suo sonnellino pomeridiano. Lei sapeva che di lì a un'ora si sarebbe svegliato e voleva assolutamente riuscire a contattare l'amica prima, ma aveva solo il suo numero di cellulare. Conosceva l'indirizzo di casa Aristides sull'isola, ma non il numero telefonico. Aveva anche fatto delle ricerche per trovarlo, ma non era risultato in elenco e non sapeva cosa fare. Con un sospiro prese la posta che non aveva ancora controllato, con la vana speranza che Delia avesse scritto. In quel momento suonò il campanello d'ingresso. Chi poteva essere nel bel mezzo del pomeriggio?, si domandò perplessa.
«D'accordo, d'accordo, sto arrivando» mormorò, mentre attraversava il salotto per andare ad aprire. Sebbene non fosse tanto tardi, fuori era già buio, ma la figura sulla soglia era inconfondibile.
Leon Aristides.
Helen trasalì e la sua mano si strinse convulsamente sul pomolo della porta. Per un attimo si chiese se lui fosse solo un parto della sua fantasia.
«Salve, Helen» sibilò una voce profonda.
Oh, mio Dio, il fratello di Delia! Lì, a casa sua!
«Buongiorno, signor Aristides.» Diede automaticamente quella risposta educata, mentre lo fissava scioccata. Più alto di lei di una spanna, elegantissimo in un impeccabile abito scuro abbinato a una camicia bianca e a una cravatta di seta, Leon non era molto cambiato da quando lo aveva incontrato molti anni prima. Era sempre imponente, moro e ostile come lo ricordava, con quegli occhi scuri e gli zigomi alti, il naso dritto e importante e la bocca carnosa. Sembrava più misterioso che bello nel classico senso del termine, ma era innegabile che fosse molto attraente. Helen si rese conto che su di lei aveva ancora lo stesso effetto sconvolgente della prima volta che si erano incontrati e cercò di controllare una morsa improvvisa allo stomaco. Non era possibile che avesse ancora paura di quell'uomo! Ora aveva ventisei anni, non più diciassette.
«Questa è proprio una sorpresa. Cosa ci fa lei qui?» gli chiese infine, osservandolo cauta.
Lo aveva incontrato nove anni prima, durante una vacanza con Delia nella sua casa di famiglia in Grecia. Ricordava ancora che stava passeggiando lungo la spiaggia, quando una voce l'aveva chiamata domandandole chi fosse. Guardando verso il mare, Helen aveva intravisto un uomo in piedi sulla battigia. Sapeva che quella era una spiaggia privata, ma come ospite di Delia lei aveva tutti i diritti di essere lì. Si era avvicinata per spiegarlo, cercando di mettere a fuoco l'immagine, dato che era ancora molto miope a causa dell'incidente che l'aveva resa cieca per un anno. Si era presentata con un sorriso e aveva allungato la mano all'uomo, poi si era bloccata ed era rimasta a fissarlo, con la mano sospesa a mezz'aria.
Era alto, con un fisico atletico e un asciugamano bianco avvolto attorno ai fianchi snelli. La muscolatura del suo bellissimo corpo bronzeo era così ben delineata che Michelangelo in persona non avrebbe saputo fare di meglio, e a Helen si era bloccato il respiro in gola. Qualcosa di oscuro e pericoloso era balenato nelle profondità dei suoi occhi, facendole battere più forte il cuore. Il suo istinto le aveva suggerito di fuggire, ma era rimasta là come paralizzata. Infine, lui aveva parlato e il suo commento sarcastico le era rimasto in testa fino a quel giorno.
«Per quanto sia lusingato e tu chiaramente disponibile, sono un uomo sposato. Dovresti informarti, prima di fare gli occhi dolci a qualcuno.»
Poi se n'era andato. Helen non si era mai sentita così imbarazzata in tutta la sua vita.
«Pensavo fosse evidente.» Il suono della sua voce la riportò al presente. «Sono qui per vederti. Dobbiamo parlare.»
Helen non voleva parlargli, il solo pensiero la faceva rabbrividire. Ricordava che, dopo il loro primo incontro, per il resto del suo soggiorno in Grecia aveva cercato di evitarlo. Non le era stato troppo difficile, dato il costante flusso di amici e parenti che c'era sempre a casa Aristides. Verso la fine della vacanza, era arrivata anche la bella moglie di Leon, Tina, ed Helen si era chiesta cos'avesse trovato quella donna in un uomo tanto cinico e distaccato.
Il commento sdegnoso di Leon e la gelida cortesia dell'anziano signor Aristides confermavano ciò che Delia le aveva raccontato a scuola quando erano divenute amiche: ufficialmente lei era in collegio in Inghilterra perché suo padre e suo fratello avevano deciso che aveva bisogno della disciplina di un collegio femminile; in realtà lei era convinta che una simile decisione avesse più a che fare con il fatto che la madre si fosse suicidata per una depressione in seguito alla sua nascita. Secondo Delia, il padre la incolpava della morte della moglie e preferiva non vederla. Lei giudicava padre e fratello sciovinisti e profondamente maschilisti. Entrambi erano ricchissimi banchieri ultra conservatori e totalmente dediti all'attività preferita di famiglia: fare denaro. Anche le donne della loro vita erano scelte per incrementare gli affari. Delia non aveva alcuna intenzione di sposarsi per portare vantaggi alla società di famiglia, come avevano fatto sua madre e sua cognata. Era determinata a rimanere single fino a venticinque anni, età in cui suo padre non avrebbe più potuto impedirle di entrare in possesso delle azioni che sua madre le aveva lasciato.
«Hai intenzione di farmi entrare, o è tua abitudine tenere i visitatori fradici sulla soglia?» domandò Leon.
«Scusi, no, s... sì...» farfugliò Helen. «Prego.» Indietreggiò e Leon le passò accanto nell'ingresso. Lei chiuse la porta e si voltò ad affrontarlo, facendo appello a tutto il suo autocontrollo. «Anche se non riesco a immaginare di cosa potremmo parlare.»
Perché era lì? Che Delia avesse finalmente confessato alla sua famiglia la verità? Ma se era così, perché non l'aveva avvertita? Improvvisamente il fatto di non avere avuto più sue notizie assunse un aspetto spaventoso. Lei si era preoccupata soltanto per il piccolo Nicholas, ma ora lo era di più per l'amica.
«Nicholas.»
«Dunque lei sa!» esclamò Helen, fissandolo con i suoi incredibili occhi viola. «Delia finalmente ha parlato» osservò agitata.
Aveva sempre saputo che un giorno l'amica avrebbe rivelato ai propri parenti di avere un figlio, ma non si aspettava che accadesse così presto. La sorprese anche l'intensità del dolore che avvertì alla prospettiva di divenire soltanto una cara zia nella vita del bambino.
«No, non Delia» rispose lui brusco. «Un avvocato.»
«Un avvocato...» Helen era più confusa che mai e d'improvviso ebbe un brutto presentimento. Per dare tempo a se stessa di radunare i pensieri confusi, attraversò la stanza e aprì la porta del salotto. «Starà più comodo qui.» Indicò uno dei due divani a fianco del camino, dove un fuoco bruciava allegro dietro la griglia. «La prego, si accomodi» mormorò, torcendosi nervosamente le mani. «Le preparerò un caffè, deve avere freddo. È una giornata orribile.» Vide un rivoletto d'acqua scendergli giù lungo lo zigomo. «E ha bisogno anche di un asciugamano.»
Velocemente, corse fuori dalla stanza con le gambe che le tremavano.
Leon Aristides si accorse del suo nervosismo. A dire il vero, aveva notato ogni singolo dettaglio dal momento in cui lei gli aveva aperto la porta. Dai jeans attillati, al maglione blu aderente che le metteva in evidenza il seno perfetto. I suoi capelli erano più lunghi ora e non sembrava più vecchia della prima volta che si erano incontrati. Allora era stata carina e disponibile e anche lui era andato vicino a esserlo.
Leon ricordava ancora che era arrivato sull'isola, nella casa di famiglia, la sera tardi e la mattina seguente di buon'ora era andato a nuotare nudo in mare. Uscendo dall'acqua l'aveva vista dirigersi verso di lui; una ragazzina dai capelli castani e i