L'uomo dei sogni
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Info su questo ebook
Carlo Pompili è nato a Roma. Dopo aver ottenuto la maturità classica, si è iscritto al corso di laurea in giurisprudenza, coltivando nel frattempo interessi sia giornalistici sia di grafica e letteratura. Attualmente riveste il ruolo di consulente in marketing e comunicazione. Appassionato di storia e cultura dell’Alto Lazio, con Il Potere (2014), sua opera di esordio, ha ultimato un processo che coniuga l’amore per il territorio con il thriller onirico ed evocativo. La Prova (2017), il suo secondo romanzo, completa alcuni aspetti che aveva volutamente lasciato insoluti nel romanzo antecedente. Con L’uomo dei sogni torna a dar vita alle vicende del maggiore Valeri, un personaggio seriale che è già riuscito a conquistare una propria fetta di pubblico.
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Anteprima del libro
L'uomo dei sogni - Carlo Pompili
L’ampia vetrata della stanza permetteva al suo occupante di abbracciare con lo sguardo un panorama straordinario: l’ultimo piano di un’antica torre medioevale, sede, fino a pochi anni prima, del centro informativo della Riserva Naturale del Monte Rufeno.
Poi era stata trasformata in una struttura alberghiera per clienti facoltosi, pronti a spendere somme notevoli pur di trascorrere una sola notte nella suite Julia, la più ambita dell’intero complesso. Venti le camere messe a disposizione di manager, imprenditori e professionisti dediti esclusivamente al lavoro, capaci di apprezzare soprattutto l’estrema raffinatezza dei dettagli e le qualità connesse a una gestione discreta e silenziosa.
Lui era lì, come desiderava da tempo.
Lo sguardo estatico e trasognato fisso sui profili degradanti delle lussureggianti colline della Tuscia, talmente isolato dal resto del mondo da non accorgersi della spessa nuvola grigia che si era malignamente insinuata nelle fessure della porta chiusa. L’acre odore del fumo lo sorprese alle spalle. Si voltò di scatto, tentando vanamente di comprendere quanto stava accadendo intorno a lui. Che cosa stava succedendo?
E poi.
La corsa affannata verso l’unica uscita possibile.
La sorpresa nel trovarla sprangata.
Le mani che si riempivano di vesciche, nel tentativo disperato di forzare la maniglia.
Cristo, no!
Un dolore acutissimo lo fece gemere. Le lingue di fuoco si erano estese rapidamente, sgretolando in pochi istanti tutti i mobili e le suppellettili di quello che era stato, fino a quel momento, un lussuoso appartamento. Afferrò l’estintore, lasciando fuoruscire un getto di schiuma biancastra che ebbe il solo potere di circoscrivere a malapena le fiamme intorno a lui. Quella tregua momentanea gli permise di afferrare il cellulare e tentare di chiedere aiuto.
Compose convulsamente il 115, pregando affinché qualcuno rispondesse.
In fretta. Più in fretta.
Comando dei Vigili del fuoco.
Un incendio! C’è un incendio! Correte, presto!
urlò disperatamente, mentre la sua voce venìva soffocata dal crepitio della distruzione.
Era a un passo dalla fine.
Perché devo morire? Perché proprio ora?
Da dove sta chiamando?
lo interrogò la voce all’altro capo del telefono. Può dirmi dove si trova?
L’uomo riuscì a parlare nuovamente, seppure a fatica.
Hotel Roma, ultimo piano, fate presto!
biascicò.
Le forze lo stavano abbandonando. Lanciò un ultimo, disperato sguardo verso la finestra. Lasciarsi cadere da quell’altezza sarebbe stata una pazzia, inutile tentare.
Mentre il fuoco continuava inesorabile la sua folle marcia di morte, si avvolse nell’unica coperta ancora intatta, provando a infrangere la lastra trasparente della vetrata.
Aria! Un po’ d’aria, Dio mio!
Una nube, simile a una spirale, lo avvolse.
Sfinito da quell’estrema resistenza, si abbandonò, privo di forze, con la schiena appoggiata allo scheletro annerito del divano, la testa reclinata in avanti.
Avete evacuato tutte le stanze?
domandò l’ufficiale dei vigili del fuoco al suo subalterno.
Tutti gli occupanti sono stati scortati all’esterno
spiegò il giovane pompiere, sussiegoso. Il superiore annuì, accostando la mano guantata prima alla superficie della porta e poi alla maniglia d’apertura.
È fredda
osservò immediatamente siete proprio certi che la chiamata sia stata effettuata da questa camera?
La numero 811
ripeté l’altro, abbiamo controllato due volte.
Il capitano scosse la testa scettico, quindi fece scattare la serratura della porta, che si aprì con un colpo secco. La camera si trovava in perfetto ordine. Nulla sembrava essere fuori posto, lo schermo LCD era ancora in funzione e dava la pubblicità di uno degli ultimi modelli di estrattore di succo.
Ma, a ricordare la tragedia appena consumata, c’era la figura immobile di un giovane uomo, esanime, avvinghiato ad un lenzuolo che ne ricopriva solo la parte inferiore del corpo.
Il suo volto era disteso, quasi sereno. Sembrava che dormisse.
L’ufficiale s’inginocchiò accanto a lui, controllandone le pulsazioni alla base del collo, quindi sospirò Non c’è più niente da fare. Se n’è andato.
Tre minuti solo tre minuti per parlarti di me…
La Lancia Y di Flavia sfrecciava rapidamente lungo via Marconi. La strada era semideserta, non avrebbe impiegato ancora molto per raggiungere la piazza. Claudio sarebbe stato lì ad aspettarla, come sempre. Con un sorriso di circostanza stampato sul volto, avrebbe tentato di spiegarle il motivo della sua prossima partenza. Un altro periodo di distanza, che sarebbe durato per un tempo indefinibile.
Un’auto sbucò all’improvviso da una delle piccole stradine laterali, costringendo la ragazza a sterzare all’improvviso.
Togliti di mezzo, cazzo!
gridò, come se quelle parole, pronunciate con rabbia, avessero davvero il potere di far spostare di colpo il veicolo comparso dal nulla.
L’anziana signora alla guida chiuse gli occhi nell’attesa dello schianto che, per puro miracolo, non arrivò. La ragazza era riuscita a compiere una manovra azzardata, andando a sbattere contro i contenitori della raccolta differenziata, facendoli cadere sull’asfalto rovinosamente.
Forse basteranno a ricoprirti di bugie come se…
Flavia non poté fare a meno di sorridere. Se l’era cavata anche stavolta.
Tornò a pensare a lui.
Claudio.
Era sempre molto convincente quando raccontava le sue ragioni, anche quando erano fondate sul nulla. Sì, era davvero bravo.
E lo era altrettanto anche lei, quando aveva bisogno di difendere se stessa.
Così era accaduto con Alina. La ragazza moldava, quella bionda.
Non aveva fatto altro che provocarla per l’intera partita, sotto rete, con epiteti pesanti e parole ingiuriose. Che stronza.
Ma ci voleva ben altro per farle perdere la pazienza. No, non era caduta nel tranello.
Battuta dopo battuta, punto dopo punto. Senza pronunciare nemmeno una sillaba.
Vittoria netta, tre set a zero. Alla fine le aveva riservato una sola occhiata di sfuggita, senza tradire alcuna emozione, prima di infilarsi sotto la doccia con le compagne.
Parcheggiò precipitosamente nello spiazzo antistante il palazzo comunale. La gigantesca statua di Girolamo Fabrizio era lì ad osservarla, percorsa dai giochi d’ombra che ne contornavano il profilo, mentre i raggi del sole calante regalavano gli ultimi bagliori al selciato dimesso.
Claudio non c’era.
Se ne rese conto con una rapida occhiata, mentre i suoi grandi occhi scuri s’indurivano.
Era stanca, arrabbiata, nervosa. Gliel’avrebbe fatto scontare tutto, quel nervosismo, appena fosse arrivato.
Entrò in tabaccheria, annunciata dalla porta cigolante come al solito.
Un pacchetto di Chesterfield,
pronunciò atona. Lo sguardo del gestore si sollevò verso di lei, corrucciato.
Sono per mia madre,
si affrettò a precisare Flavia che cosa credi?
Ah, meno male,
l’uomo si protese verso di lei con uno sguardo compiaciuto. Facciamo tutti quanti il tifo per te, lo sai?
le disse a mezza voce, in tono complice sei la nostra campionessa!
Flavia abbozzò un sorriso di circostanza. La sola idea che quel tizio, insieme a chissà quanti altri, sbavasse guardandole il sedere mentre indossava i pantaloncini della divisa la disgustava.
Uscì in fretta per rituffarsi nel silenzio circostante. Dopo qualche secondo d’irrequietezza, inviò un messaggio a Claudio, ma senza ottenere risposta.
Sfilò rabbiosamente il pacchetto delle sigarette che aveva infilato frettolosamente nella tasca dei jeans, trattenendolo tra le mani. Chissà se fumarne almeno una avrebbe placato quell’ansia.
Si decise a chiamare solo quando furono trascorsi altri dieci minuti che le erano sembrati un’eternità. Ancora nulla.
Alle sette e trenta decise che non valeva la pena attendere oltre.
Vaffanculo Claudio, vaffanculo a tutti gli uomini
pensò.
Per convincerti ho ancora due minuti solo due minuti…
Non c’era più tempo. Lui non rispondeva, inutile cercarlo ancora. Che bastardo.
Le lacrime presero a colarle giù lungo le guance, ma provò a scacciarle subito.
Che ragione c’era per continuare a tormentarsi? Scosse la testa rabbiosamente, mentre la cascata di lunghi ricci neri si animava, ricoprendole solo parzialmente il viso.
Gli occhi afferrarono un’ultima porzione della superficie ormai deserta della piazza, nell’estrema speranza di vedere la sagoma affannata di lui.
Nessuno squillo, nessun segnale.
Lo sfondo del cellulare con la foto di Ibiza le stava strappando l’anima. Lo gettò sul sedile del passeggero con un gesto stizzoso, mentre l’auto bianca schizzava via nel dedalo delle stradine del centro.
Via Corte Vecchia, Porta Sant’Angelo, dritta fino a casa. Il pacchetto di Chesterfield incastrato tra il mazzo di chiavi e le barrette energetiche.
Un minuto resta un minuto per poterti dire…
Poterti dire cosa? Parole che non avrebbe voluto ascoltare, da quel ragazzo che continuava a deluderla, a prendersi gioco di lei?
Dovette farsi forza per non scoppiare a piangere.
Gettò un’occhiata distratta al display. La spiaggia e le palme suonavano bugiarde.
L’abbraccio di Sara arrivò inaspettato, costringendo Lorenzo a voltarsi d’improvviso.
Tranquillo
motteggiò divertita la ragazza non sono uno di quei delinquenti abituali che frequenti tu.
Le lunghe dita bianche e affusolate cingevano affettuosamente le spalle di lui, che decise di non sottrarsi a quel gesto.
Per il nodo alla cravatta dovrai cavartela da solo, però
disse lei infine, abbandonando la presa. L’uomo la osservò dirigersi con andatura decisa verso la cucina, lasciandolo impantanato nelle sue riflessioni. Trascorrere ancora qualche minuto restandole accanto, temporeggiando con pretesti futili, oppure indossare la giacca d’ordinanza, gesto che avrebbe posto fine all’attesa?
Indugiò con lo sguardo sul volto della compagna.
L’imminente maternità aveva avuto il potere di rendere il viso di Sara, da naturalmente aggraziato qual era già, splendidamente radioso. Gli occhi verde smeraldo sembravano animati da una luce più vivida e il sorriso che si allargava, rendendo visibili rughe d’espressione che ne delineavano gli zigomi appena sporgenti, le conferiva un’intensità mai raggiunta fino a quel momento.
So a cosa stai pensando
lo distolse lei. Lorenzo sgranò gli occhi per la sorpresa. Possibile che avesse colto nel segno? Esisteva l’opzione di sottrarsi al suo ineffabile senso del dovere?
Ma non riuscirai a tentarmi nuovamente,
riprese. Le labbra appena sfiorate avevano il sapore del commiato.
Deluso, Lorenzo Valeri completò in silenzio la vestizione e abbandonò l’appartamento, seguito dallo sguardo divertito di Sara.
Dopo poco più che dieci minuti, l’auto dell’ufficiale fece il suo ingresso nella caserma di via Cesare Battisti.
Il maresciallo Restelli lo attendeva sulla soglia del portone, visibilmente impaziente.
Signor maggiore
salutò ossequioso. Il tono della voce tradiva una certa emozione che non riuscì a dissimulare. Aveva ottenuto la totale attenzione del proprio superiore.
Restelli
esordì l’ufficiale, pacatamente la conosco da anni, vuole dirmi che cosa è accaduto senza che glielo debba estorcere a forza?
Un incendio all’Hotel Roma
proruppe l’altro d’un fiato, per poi correggersi. In realtà non sappiamo ancora se si tratti proprio di un incendio.
Insomma
si spazientì l’ufficiale c’è stato un incendio oppure no?
Il maresciallo deglutì, imbarazzato. Sarà meglio che lei parli direttamente con il capitano Malva
aggiunse, mentre il volto di Valeri tradiva una crescente perplessità, ha qualcosa d’importante da raccontarle.
Siamo perfettamente idonei per le normative di legge
articolò l’uomo abbiamo effettuato la presentazione del progetto di modifica e successivamente, al termine dei lavori, la SCIA esattamente come previsto.
L’adeguamento della struttura è stato lungo e complesso
proseguì senza tentennamenti abbiamo dotato l’albergo dei migliori comfort, che richiedevano il rispetto del decreto ministeriale, la ristrutturazione completa del locale cucina e la creazione di un’autorimessa interna sono stati quelli più onerosi. Per non parlare dell’installazione di un potente gruppo elettrogeno.
Il maggiore Valeri proseguì in un esame scrupoloso della documentazione dispiegata sulla scrivania dell’ufficio mentre Restelli, in silenzio, annuiva meccanicamente alle parole del gestore dell’hotel.
Mauro Alberi svolgeva la sua attività nella cittadina dal 2013. Un vivace quarantenne d’assalto, impeccabile nella sua meticolosa nomenclatura dei fatti, scandita da una terminologia calzante ed accurata. La rada acconciatura dei capelli, vivacizzati dall’uso della cera e i baffi appena accennati, con una linea sottile sul labbro superiore, lo rendevano non dissimile da uno di quei ritratti di pittori impressionisti della scuola francese.
Si figuri che i vigili del fuoco, dopo appena un mese dall’inizio dell’attività, svolsero un accurato controllo dell’impianto appena installato. È tutto quanto trascritto nel verbale di visita.
Valeri spostò lo sguardo sul subalterno, che stavolta assentì ancora più vigorosamente.
Mi sembra tutto in regola
esclamò, richiudendo il fascicolo se non altro, l’impianto antincendio era al meglio della sua efficienza.
Alberi, accavallate le gambe, non poté fare a meno di assumere un’espressione compiaciuta. Anche le indicazioni delle vie di fuga e gli accessi all’esterno erano nelle stesse condizioni,
aggiunse il maresciallo, l’evacuazione dei clienti residui si è svolta in pochissimi minuti senza alcun impedimento.
Il maggiore accolse silenziosamente quella ulteriore precisazione.
Può andare, Alberi,
sentenziò. Naturalmente, avremo necessità di convocarla nuovamente. Si tenga a disposizione.
L’uomo parve smarrire per un istante la propria sicurezza per poi abbozzare una smorfia di approvazione. Quella faccenda non costituiva certo una buona pubblicità e il rischio che, oltre alla repentina partenza di alcuni clienti, un buon numero di prenotazioni venissero cancellate era piuttosto concreto. Abbandonò la stanza perplesso, accompagnato verso l’uscita dal maresciallo, che ritornò rapidamente nell’ufficio una volta congedato l’albergatore.
La suite era l’unica camera presente sul piano,
disse Valeri quindi non c’è alcuna possibilità che qualche altro ospite abbia potuto sentire o vedere qualcosa di anomalo.
In effetti, non abbiamo alcuna testimonianza utile in questo senso,
fu costretto ad ammettere Restelli delle diciannove altre stanze solo nove erano quelle occupate e tutte quante situate ai piani inferiori.
Valeri si alzò in piedi, pronto ad uscire.
Il RIS sta ancora effettuando i rilievi
precisò il sottufficiale vuole che l’accompagni all’hotel?
Andrò con Vanni e Lo Giudice
rispose il maggiore nel frattempo, inizi ad effettuare qualche ricerca sulla vittima. Vorrei proprio sapere come mai fosse tanto desideroso di occupare quella suite.
Le incomprensioni sono così strane, sarebbe meglio evitarle sempre…
Rannicchiata sul proprio letto, le maniche della felpa tirate giù fino alle unghie dipinte di nero, Flavia continuava ad aspettare. Si era stancata di chiamare e ascoltare la voce registrata che, monotona, continuava a ripetere che il destinatario era irraggiungibile.
Domani invece devo ripartire, mi aspetta un altro viaggio…
Era convinta che lui l’avesse lasciata. Senza una ragione specifica, se non perché era volubile, incostante, capricciosa. Aveva già provato che cosa volesse dire sentirsi indesiderata. Non aveva reagito, non voleva farlo.
Indifferenza. L’unica via possibile.
Solo lui riusciva a farla stare bene. Anche se la ragione non era così semplice da spiegare.
Si era aggrappata a Claudio, ma nella maniera sbagliata. Lo percepiva come un desiderio primario. Magari era solo una dipendenza. Da quella si può scappare. Puoi farcela, si diceva.
Il mio pensiero vola verso te per raggiungere le immagini…
Dove sei finito? Che cazzo ho nella testa?
Flavia!
La voce imperiosa della madre la percorse come un colpo di frusta. Socchiuse la porta della stanza per rispondere monocorde: Sono qui.
È quasi ora di cena
scandì la donna vuoi scendere, per favore?
Per dirti ancora che sei solo tu la cosa che per me è importante…
I grandi occhi scuri fissavano il vuoto. L’anima, rassegnata e impotente.
È dura accettare la sconfitta quando non sei abituato a perdere. Dura da morire.
Va bene, arrivo
disse laconica.
Tutti gli oggetti personali della vittima sono stati repertati
annunciò il tenente Corsi, sfilandosi i calzari non molto, a dire la verità, un ricambio completo di vestiti in una sacca da viaggio, un laptop e un telefono cellulare. Il portafogli conteneva i documenti personali, niente collane o anelli, né particolari tesserini d’identificazione.
La sua identità?
chiese Valeri, fermandosi di fronte all’ufficiale del RIS.
Si chiamava Claudio Torre. Ventinove anni, residente a Latera.
Il maggiore compì il breve tragitto che lo separava dal corpo esanime del giovane. Osservò la posizione della figura, apparentemente seduta sul grande Pashà damascato, con la sola eccezione del lenzuolo che lo ricopriva fino alla vita.
Una morte piuttosto anomala
intervenne nuovamente Corsi non c’è apparente motivo di pensare che possa essere stata indotta da una causa esterna.
Giacomo Serra fece il suo ingresso nella stanza, lanciando un fischio per lo stupore.
Dovrò chiedere all’arredatore di fare un salto a casa mia
commentò ad alta voce, Gianna si ostina ogni fine settimana a trascinarmi in quella maledettissima Ikea.
Il maggiore incrociò le braccia dietro la schiena, infastidito.
Un’entrata in scena davvero ad arte
commentò, corrugando la fronte niente in contrario, adesso, a dirmi qualcosa in più su quel poveretto?
Stavo appunto per occuparmene
rispose il medico legale, contrariato. ti dispiacerebbe lasciarmi un po’ di spazio per lavorare? Oppure sarò costretto a fare qualche altra ora di straordinario a spese della comunità,
concluse sarcastico.
Valeri si ritrasse nell’angolo più lontano della camera, limitandosi ad osservare l’ambiente che lo circondava. Le grandi tende a binario erano state aperte, consentendo così ai raggi notturni di filtrare attraverso l’ampia vetrata della finestra, le ante scorrevoli dell’armadio in rovere scrupolosamente serrate e così anche la cassettiera dal ripiano in silice, i cui cristalli rifrangevano l’illuminazione elettrica delle applique in un caleidoscopico gioco di luci.
All’interno di quell’appartamento regnava il più perfetto ordine, una disposizione che si sarebbe potuta definire quasi innaturale.
Da quanto tempo Torre occupava la suite?
domandò Valeri d’improvviso.
Vanni sfogliò rapidamente il taccuino degli appunti.
Non più di due ore, a quanto trascritto sul registro.
Per quanto tempo aveva intenzione di fermarsi?
Soltanto per una notte,
lesse di nuovo il maresciallo, la prenotazione era stata effettuata due giorni prima tramite una telefonata, contemporaneamente al pagamento dell’importo anticipato.
Strano, sembra che non sia stato toccato assolutamente nulla
osservò l’ufficiale come ha trascorso Torre queste due ore di tempo?
Quindi, rivolto al tenente, aggiunse: Potrebbe aver utilizzato il PC oppure aver ricevuto o effettuato qualche chiamata. Sarà opportuno verificarlo immediatamente.
Escluderei l’utilizzo del computer
osservò Corsi la batteria non era stata ricaricata ed il cavo d’alimentazione era legato con un elastico. Con il cellulare, al contrario, credo che avremo più fortuna.
Corsi mostrò il display del Galaxy al maggiore. Risultavano ben cinque chiamate in entrata, tutte effettuate dallo stesso numero, tutte senza risposta.
I due militari si scambiarono uno sguardo d’intesa. C’era una pista da cui iniziare, almeno.
Casa Morelli aveva costituito a lungo, nel corso dei secoli, la residenza dell’Ospedale di San Gregorio, che aveva conosciuto il massimo del suo splendore durante l’egemonia della famiglia Orsini. Il palazzo, circondato da un ampio cortile interno e abbellito da vari elementi architettonici di recupero, si offriva allo sguardo attento dei passanti che transitavano lungo via del Seminario, distinguendosi per le consuete finestre divise a bifora da esili colonnine corinzie.
L’unica concessione alla modernità era costituita dalla presenza di un più recente cancello in ferro battuto, unico accesso alla Graphisphera. Sede di notevole prestigio per quella che, nel corso degli anni, era stata dapprima una semplice stamperia, per poi trasformarsi in una sofisticata azienda di comunicazione, con annessi uffici di ideazione e sviluppo del marketing e grafica pubblicitaria.
Una decina di collaboratori, equamente suddivisi tra semplici operai e copywriter, rispondevano agli ordini dell’unico titolare, l’art director Giuseppe Funari, detto l’aquila
, in virtù del suo inconfondibile profilo dantesco.
Funari si vantava di aver potuto occupare, con la propria attività, gli antichi locali dell’ospedale, opportunamente ristrutturati per concedere spazio ai plotter e alle stampanti laser che ritmavano, con il loro incessante movimento, le sue giornate e quelle dei collaboratori presenti. La sera, tuttavia, la cadenza inconfondibile delle Roland cessava, lasciando spazio al silenzio più assoluto. La residenza tornava ad essere semplicemente quell’antico luogo che nel corso dei secoli aveva udito risuonare tra quelle mura grida e strepiti di battaglia, oppure risa sguaiate di divertimento durante i banchetti conviviali, dove si erano consumati amori e passioni, torture e tradimenti. Una ridda di sentimenti e sotterfugi che non avevano mutato la loro origine anche nell’epoca contemporanea.
Quella sera la sacralità di Casa Morelli sarebbe stata violata.
Il portone di accesso venne superato senza difficoltà. Il sistema d’allarme opportunamente disinserito. Il sistema