Nelle tasche degli italiani
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Info su questo ebook
Di cosa parliamo quando parliamo di “debito pubblico”? Perché è così importante capire come funziona? E, soprattutto, cosa possiamo fare per liberarcene? Con un approccio realista e rigoroso e un linguaggio accessibile a tutti, tre economisti ed esperti illustrano le origini e le possibili soluzioni di un problema che, al di là dei proclami, nessuno sembra in grado di risolvere, e che da decenni condiziona la vita dei cittadini, costretti a pagare tasse elevate per poi accontentarsi di servizi pubblici limitati o inefficienti. Smascherando tutte le promesse impossibili, questo libro ci aiuta a orientarci nel labirinto della spesa pubblica con uno sguardo onesto e consapevole. Un’occasione unica per approfondire un tema cruciale per il nostro Paese e per il nostro futuro.
Il volume è arricchito da interventi e visioni di altre autorevoli voci del panorama economico ed istituzionale italiano.
Proteggiamo i nostri soldi e il nostro futuro.
Un libro che aiuta a pensare con la propria testa e a smettere di credere alle promesse ingannevoli.
«Una cosa che tutti conoscono dell’Italia è l’enormità del suo debito pubblico.»
The Economist
«Il fantasma del debito pubblico perseguita l’economia italiana da decenni, ed è all’origine dell’instabilità finanziaria e dell’incapacità di crescita del Paese.»
Forbes
Giorgio Di Giorgio
È professore ordinario di Teoria e Politica Monetaria e direttore del Centro Arcelli per gli Studi monetari e finanziari dell’università Luiss Guido Carli.
Alessandro Pandimiglio
È professore associato di Economia Politica presso l’Università degli studi Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara e docente a contratto presso la Luiss Guido Carli.
Guido Traficante
È professore associato di Politica Economica presso l’Università Europea di Roma e docente a contratto presso la Luiss Guido Carli.
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Anteprima del libro
Nelle tasche degli italiani - Giorgio Di Giorgio
Capitolo I
Il debito pubblico: definizioni teoriche
e implicazioni pratiche
Debito pubblico e finanza pubblica: definizioni
La nostra analisi inizia presentando alcuni concetti e relazioni fondamentali di finanza pubblica. Così come le imprese e le famiglie, anche lo Stato ha un bilancio di cui tener conto. Di conseguenza, bisogna considerare quali sono le entrate e le uscite dello Stato. Le principali entrate sono costituite dalle imposte e dalle tasse: la differenza tra le due consiste nel fatto che, mentre le imposte non sono collegate a una prestazione specifica dello Stato, le tasse sono pagate in cambio di una prestazione specifica¹. Le entrate dello Stato sono necessarie per offrire dei servizi ai cittadini, come un sistema sanitario, l’istruzione attraverso scuole e università pubbliche, la giustizia, un esercito a difesa dei confini, la sicurezza interna attraverso le forze dell’ordine. Si tratta di servizi essenziali che non possono essere offerti dai privati e che non possono essere legati agli obiettivi legittimi di profitto perseguiti dalle imprese private. Oltre ai servizi essenziali, lo Stato provvede al funzionamento della pubblica amministrazione, il che richiede di coprire il costo degli stipendi dei dipendenti pubblici e dei politici che sono chiamati a partecipare alla definizione e alla esecuzione delle leggi. Tutte queste spese formano la spesa pubblica di un Paese.
Anche uno Stato potrebbe trovarsi in una situazione simile a quella in cui possono trovarsi imprese e famiglie: avere uscite superiori alle entrate – in realtà questo succede molto di frequente per uno Stato. In questi casi si dice che lo Stato ha un disavanzo (o deficit) pubblico. Il disavanzo richiede di trovare adeguate coperture finanziarie, cioè deve essere finanziato. Come fa la Stato, quindi, a trovare le risorse necessarie per non interrompere l’erogazione dei servizi essenziali e in generale per pagare tutta la spesa pubblica per cui si è impegnato? Lo fa indebitandosi, vendendo cioè strumenti finanziari (obbligazioni) alle famiglie e agli intermediari finanziari (banche, compagnie di assicurazioni, fondi comuni di investimento, fondi pensione). Rispetto a quanto avviene nelle imprese e nelle famiglie, lo Stato ha una maggiore facilità di indebitarsi. Cerchiamo di capire questo concetto procedendo per analogie. Quando vogliamo acquistare un’automobile, potremmo non avere a disposizione l’intero importo richiesto e quindi potremmo trovarci nelle condizioni di dover accedere a un finanziamento per poter effettuare l’acquisto. Chi ci presta i soldi ha la necessità di verificare la nostra capacità di restituirli e per questo richiede informazioni sulla nostra situazione finanziaria, in particolare sul nostro lavoro e il nostro salario. Solo nel caso in cui saremo ritenuti dei buoni debitori
, per semplificare, quando si riterrà che le nostre entrate future saranno sufficienti per ripagare il prestito, potremo ottenere il finanziamento. Nel caso dell’indebitamento da parte dello Stato, il meccanismo è molto simile: lo Stato per ottenere finanziamenti dai risparmiatori deve dimostrare di essere un buon debitore
. In generale la capacità di essere un buon debitore dipende da come va l’economia del Paese, perché le tasse (che costituiscono la quota maggiore delle entrate di uno Stato) sono legate proprio allo stato di salute dell’economia: quando l’economia va bene e le persone pensano che continuerà ad andare bene anche in futuro, lo Stato sarà un buon debitore, se l’economia va male accade il contrario. Cerchiamo di spiegare il perché. La percentuale maggiore delle tasse (quindi delle entrate pubbliche) deriva dal reddito da lavoro, ossia da quanto percepiscono le persone per la loro attività lavorativa. Più comunemente, per definire il reddito da lavoro si usano i termini salario, stipendio, compenso, retribuzione. Senza entrare in dettagli tecnici, è sufficiente tenere a mente che una certa percentuale del reddito da lavoro confluisce nelle entrate dello Stato proprio attraverso la tassazione. Ragionando sempre in termini molto generali e aggregati, possiamo considerare che la maggior parte di beni e servizi sono prodotti dalle imprese che impiegano i lavoratori a tal fine. Quando la produzione rallenta o cala, le imprese riducono il numero di lavoratori e tale riduzione si ripercuote sul reddito da lavoro totale nel Paese che sarà minore e, quindi, anche le tasse diminuiranno². Più avanti vedremo che, nell’analisi dell’andamento del debito pubblico, occorre prestare molta attenzione ad altri fenomeni che trasformano profondamente la società, di cui il principale sembra essere la crisi demografica.
Dove trova i soldi al di fuori delle tasse lo Stato? Abbiamo detto che li chiede ai risparmiatori, ma in che modo? Lo fa vendendo ai risparmiatori titoli di Stato, ovvero obbligazioni che alla scadenza rimborseranno il capitale più gli interessi. Questi ultimi hanno lo scopo di invogliare i risparmiatori a prestare i propri soldi. In questo modo, lo Stato contrae un debito con i cittadini/risparmiatori: l’ammontare delle somme prese a prestito dallo Stato negli anni è quello che chiamiamo debito pubblico. In ogni momento, il debito pubblico è la somma, quindi, dei disavanzi che lo Stato ha dovuto fronteggiare in passato per erogare servizi il cui costo non era interamente coperto dalle tasse. Se, ad esempio, lo Stato si indebita per 100 €, riceverà questa somma da qualcuno e, al termine del periodo di tempo stabilito nell’accordo di prestito (tre mesi, un anno, dieci anni, ecc.) dovrà restituire i 100 € più gli interessi. Nel caso di debiti a lungo termine, lo Stato rimborserà il capitale dopo molti anni, ma ogni sei mesi o ogni anno, esso dovrà versare gli interessi a coloro i quali hanno acquistato le obbligazioni.
I titoli (le obbligazioni) rappresentativi del debito pubblico vengono scambiati in un mercato, ovvero in un luogo (virtuale) in cui è presente la domanda (rappresentata da chi compra) e l’offerta (rappresentata da chi vende, in questo caso lo Stato), come accade per altri mercati (delle automobili, del pesce, ecc.)³. Come in ogni mercato, la domanda e l’offerta si devono incontrare
, ovvero lo scambio avviene se il prezzo al quale lo Stato intende vendere i titoli è uguale al prezzo al quale gli acquirenti sono disposti a comprarli. Venditore e compratore cercheranno di perseguire i loro obiettivi: il venditore (lo Stato) riducendo al massimo il costo del debito pubblico, gli acquirenti cercando di guadagnare il più possibile con il rimborso del capitale e degli interessi. Vi è, tuttavia, un aspetto fondamentale da considerare: non avere debito pubblico – scelta che azzererebbe il suo costo – non è ottimale, in quanto uno Stato deve far fronte ai propri fabbisogni, fornire i servizi considerati essenziali e, pertanto, quando le uscite superano le entrate, deve potersi indebitare. Ricordiamo che, quando parliamo di fabbisogni e servizi essenziali ci riferiamo a ospedali, scuole, sicurezza, investimenti pubblici e altre voci che concorrono a migliorare il livello di benessere di un Paese. Ma anche nella prospettiva dei risparmiatori (lato della domanda) non avere la possibilità di acquistare titoli del debito pubblico non è una condizione gradita. Le persone, difatti, hanno bisogno di risparmiare per acquistare la casa, costruirsi una pensione, affrontare spese impreviste, solo per citare alcune situazioni che richiedono una somma di denaro significativa⁴. Per questo motivo è importante che i risparmiatori abbiano la possibilità di impiegare i loro risparmi (cioè fare investimenti) in strumenti finanziari a basso rischio, cioè investimenti che garantiscono la restituzione dei soldi prestati, come sono i titoli pubblici⁵. Naturalmente guadagnare anche gli interessi è gradito, ma in primis le persone cercano la sicurezza del capitale prestato. Questa sicurezza si ha soprattutto quando il debito pubblico è contenuto: in tali condizioni i titoli di Stato sono un’opportunità di investimento a basso rischio. Per questi motivi, un po’ di debito pubblico è necessario e può avere effetti benefici sull’economia, il problema nasce quando ce n’è troppo.
Veniamo ora a una definizione più formale di debito pubblico. In economia, per debito pubblico si intende il debito che lo Stato ha contratto nei confronti di altri soggetti nazionali o esteri (individui, imprese, banche, istituzioni o stati esteri) che hanno acquistato le obbligazioni emesse dallo Stato. I titoli pubblici hanno scadenze varie, ad esempio possono essere annuali, come i Buoni Ordinari del Tesoro (bot) o poliennali, come i Buoni Poliennali del Tesoro (btp). Tali titoli garantiscono un rendimento sotto forma di tasso di interesse, che invoglia i potenziali acquirenti.
In concreto è il Ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso la Direzione Debito Pubblico del Dipartimento del Tesoro, che emette e gestisce i titoli del debito pubblico⁶. Tra gli obiettivi del Ministero dell’Economia e delle Finanze si evidenziano: 1) adottare politiche fiscali rigorose, in grado di contenere il costo del debito nel corso del tempo⁷, in grado cioè di mantenere bassi i tassi di interesse sui titoli pubblici, in particolare controllando la componente del tasso legata al rischio che i titoli pubblici non siano rimborsati perché lo Stato fallisce; 2) gestire il debito nel modo meno oneroso possibile per lo Stato. I due obiettivi sono collegati tra loro, dato che contenere il costo del debito consente di gestire bene il debito pubblico e che, se il debito è considerato poco rischioso, allora anche il costo di ripagarlo sarà basso. Questo perché il tasso d’interesse corrisposto sui titoli del debito pubblico cresce in rapporto alla rischiosità dello Stato. Nell’ottica del risparmiatore che investe in titoli del debito pubblico, si vuole essere pressoché certi di avere, alla scadenza del titolo, il rimborso: se questa sicurezza si riduce, il risparmiatore chiederà un tasso d’interesse più alto⁸. Inoltre, limitare i rischi è fondamentale per lo Stato anche per far fronte a eventi inattesi, o fenomeni esogeni che possono verificarsi. Ci riferiamo a situazioni che non sono influenzate direttamente e interamente dalle scelte di chi gestisce il debito pubblico a tutto tondo, inclusi i tecnici
del Ministero e la classe politica. Ad esempio, in risposta a un evento dirompente e completamente esogeno come il Covid-19, i governi di tutto il mondo hanno aumentato la spesa pubblica per la sanità e per sostenere famiglie e imprese, e visto crescere il debito pubblico. Simili misure di sostegno sono molto più difficili da deliberare se si parte da un livello elevato di debito: i risparmiatori potrebbero ritenere lo Stato finanziariamente fragile
e chiedere un aumento del tasso di interesse per coprirsi dal rischio di un debito la cui crescita appare fuori controllo e che finirà per non essere rimborsato. Per lo Stato si tratta, in altri termini, di cercare, quando possibile, di mettere da parte risparmi pubblici per far fronte a imprevisti, nell’ottica del saving for a rainy day, un’espressione inglese su cui torneremo più avanti, con lo stesso significato del mettere fieno in cascina
per far fronte a periodi di carestia.
Un altro modo di definire il debito pubblico è, come si è già detto sopra, che il debito pubblico è lo stock di debito contratto dallo Stato (quindi l’ammontare totale di denaro che lo Stato deve a individui e imprese) per finanziare i deficit o disavanzi (ossia una situazione in cui le entrate sono minori delle spese) del bilancio. Una definizione, questa, che fa riferimento al concetto di variabili stock e variabili flusso. In economia, una variabile stock è misurata in uno specifico istante del tempo. Rappresenta, quindi, la quantità esistente in quel momento e che può essere stata accumulata in passato. Una variabile di flusso (come il deficit) è misurata, invece, relativamente a un intervallo di tempo e per questo motivo è misurata per unità di tempo. Poiché il debito pubblico è uno stock, esso può essere definito solo ed esclusivamente con riferimento a un istante del tempo. Ad esempio, la Banca d’Italia ci informa che il debito pubblico in Italia il 1° gennaio 2023 era di 2.756,5 miliardi di euro. In quanto stock, il debito pubblico viene dal passato e si proietta nel futuro, ovvero è il risultato di scelte passate in termini di spesa e tasse (scelte cioè di politica fiscale) ed è destinato a produrre effetti sul futuro. Detto in altri termini, non tutti i 2.576,5 miliardi di euro sono stati accumulati il 1° gennaio 2023 e avranno delle conseguenze sulle scelte future dello Stato. Non a caso, spesso si sente dire che il debito pubblico rappresenta un onere che le generazioni passate scaricano sulle generazioni future.
Vincolo di bilancio e debito pubblico
Dopo aver presentato alcune nozioni preliminari sui concetti di debito e di deficit pubblico, analizziamo il vincolo di bilancio pubblico, cioè in che modo il settore pubblico trova le risorse per finanziare la spesa pubblica. Senza entrare in dettagli analitici, per i quali si rimanda all’appendice, il vincolo di bilancio evidenzia come il debito pubblico cambia nel tempo. Per comprendere come funziona il vincolo di bilancio può essere conveniente pensare alla spesa pubblica come la somma di due componenti: la prima componente è data dalla spesa per pagare gli interessi da corrispondere a tutti i soggetti che detengono titoli del debito pubblico, che hanno cioè prestato i soldi allo Stato, mentre la seconda componente, chiamata spesa primaria, è data dalla parte rimanente della spesa dopo che si esclude la spesa per interessi, vale a dire tutta la spesa dello Stato (per acquistare beni e servizi, pagare stipendi, pensioni e sussidi) sostenuta per finanziare i servizi essenziali. La differenza tra la spesa primaria e le entrate è definita come avanzo o disavanzo primario a seconda che le entrate siano maggiori o minori delle spese primarie. Il disavanzo maturato in un determinato periodo è uguale alla somma del disavanzo (o deficit) primario, e della spesa per interessi sul debito pubblico emesso in precedenza. Da tale definizione segue che, in caso di avanzo primario, le entrate superano le spese primarie (che possono essere spese correnti o in conto capitale) e questo può contribuire a ridurre il debito pubblico nel corso del tempo. Al contrario, in caso di disavanzo primario le entrate sono minori delle spese primarie e ci si aspetta un aumento del debito pubblico nel corso del tempo.
Pertanto, l’andamento del disavanzo pubblico deriva da scelte effettuate nel passato (livello del debito accumulato in precedenza che determinano le spese per interessi) e da scelte correnti (avanzo o disavanzo primario). Facciamo un esempio: il debito alla fine del 2022 (il 31/12/2022) corrisponde al debito pubblico accumulato alla fine del periodo precedente (il 31/12/2021) più il disavanzo complessivo (cioè la somma tra disavanzo/avanzo primario e la spesa per interessi) nel periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022. Il disavanzo è quindi un flusso, misurato esclusivamente facendo riferimento all’intervallo 1° gennaio – 31 dicembre 2021 e include tutte le uscite al netto delle entrate pubbliche. Il saldo primario del bilancio (avanzo o disavanzo) fornisce un’importante informazione perché si riferisce a quella parte del bilancio pubblico che lo Stato può controllare più facilmente, attraverso le scelte su quanto spendere e quanto tassare. La spesa per interessi, invece, dipende da impegni presi in precedenza su quantità e scadenze del debito e dai tassi di interesse da corrispondere agli investitori, sui quali lo Stato non riesce ad avere piena voce in capitolo poiché dipendono dall’andamento nel mercato dei titoli