Sotto tiro: Amori a Roma
Di Pia Lauto
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Sotto tiro - Pia Lauto
Pia Lauto
SOTTO TIRO - Amori a Roma
Prima Edizione Ebook 2024 © R come Romance
ISBN: 9788893472838
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
img1.pngwww.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
img2.jpgLa trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Pia Lauto
SOTTO TIRO
Amori a Roma
Romanzo
INDICE
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
EPILOGO
L'autrice
Il concorso
Catalogo
1
Elena
È sabato, una mattina fredda di dicembre, non ho lezione all’università. Sono appena le dieci, ho preso un taxi e sto andando a prendere un caffè con mio padre. Ci vediamo in ospedale, lui lavora lì, è un oncologo affermato, il suo lavoro prima di tutto. Ho bisogno di parlarci, sto organizzando il Capodanno con le mie amiche e voglio capire lui che programmi abbia. In ospedale è più facile ottenere permessi, non ha molto tempo da dedicarmi. Lo scorso anno non ha lavorato ed è stato solo a casa, mi sono sentita in colpa per mesi. Mia madre non c’è più da cinque anni, era un medico anche lei, si è resa conto che stava morendo già dalla prima TC; mio padre giocava in casa, ma il destino ha voluto che il suo tumore non rispondesse alle chemio, alle cure sperimentali, né alle preghiere; doppiamente impotente, una ferita che ci ha cambiati tutti quanti. Ho sempre pensato che sarebbe meglio non sapere troppe cose, a volte l’ignoranza aiuta a vivere con più spensieratezza.
Sto percorrendo il viale alberato a passo piuttosto spedito, c’è un vento gelido e non c’è nessuno. Dopo aver tentato a vuoto di rintracciare mio padre, ho chiamato il numero fisso e parlato con un’assistente o un’infermiera che mi ha informata che il professore
è occupato, sta facendo il giro in reparto: dovrò attendere, come al solito.
Finalmente il telefono squilla.
«Buongiorno professore!» il mio tono è un misto di acido e rancore per la levataccia.
«Tesoro, ho avuto un imprevisto e sto facendo il giro dei pazienti in reparto, ci vediamo più tardi, sei già arrivata?»
«Sono già arrivata? Mi sono alzata all’alba per essere qui!» Mi fermo un attimo, non riesco a urlare e camminare contemporaneamente, mi manca il fiato, che nervi!
David
Ho smontato dalla notte, sono libero questo fine settimana. Non sono neppure tornato a casa, sono ancora in divisa. Mi aspettano per una donazione di sangue. Mi hanno chiamato dal centro di raccolta due giorni fa. Hanno bisogno di scorte, la gente sotto le feste pensa ai cenoni non a donare il sangue. La donazione delle piastrine è più lunga. Sono stato al centro di raccolta quasi due ore, mi sono addormentato sul lettino svegliato dall’infermiere che simulava dei bacetti, lo conosco da tempo, anche lui dedica qualche oretta al volontariato. Non dormo da ventiquattro ore praticamente.
«Oh, David, dormito bene?» Il suo tono canzonatorio mi strappa un sorriso.
«Stè, ho smontato dalla notte» mi giustifico, «ho eseguito una serie di interventi e sedato una rissa, sono pieno di contusioni.»
«Anch’io!» replica pimpante.
«Ne riparliamo quando avrai superato i trent’anni!»
Mi congedo con una stretta di mano e l’offerta della colazione che declino, sono stremato, voglio andare a casa a dormire.
Ho parcheggiato lo scooter vicino a un’aiuola, il posto riservato ai motorini era incivilmente occupato da una serie di macchine, Smart, per la maggior parte. La fame inizia a farsi sentire, una languidezza fastidiosa, avrei fatto bene ad accettare la colazione offerta dal centro, ma raramente accolgo il loro invito, anzi, spesso porto loro della pizza calda del forno o delle brioches. Stamattina non ho avuto tempo, sono uscito dal distretto e sono passato direttamente qui, il cambio turno è arrivato in ritardo e stavo finendo di stilare il rapporto. Avrei potuto fare la donazione delle piastrine ieri e usufruire del permesso retribuito spettante ai donatori, ma è una cosa che non faccio mai. Egoisticamente, il volontariato mi gratifica, non ho bisogno di avere un ritorno, oltretutto in questo periodo siamo sottorganico in commissariato. Il mio programma prevede di fare colazione con calma nel bar sotto casa e spalmarmi sul letto fino a stasera. Questi erano i miei piani fino a cinque minuti fa. Una ragazza ha appoggiato la sua borsa enorme, aperta, sul mio scooter. Sta parlando al telefono, anzi sta litigando. È di spalle, mi avvicino. Sembra stia parlando da sola, ha una cuffia senza fili nell’orecchio, gesticola. Ce l’ha con l’organizzazione dell’ospedale, con i turni di merda, testuali parole; ascolto il suo sfogo quasi isterico. Sono sempre più vicino a lei, percepisce la mia presenza, si volta. Mi squadra e mi fa cenno di aspettare. Ha gli occhi lucidi. Fruga nella borsa, mi porge un portafoglio enorme, nel mentre inveisce contro l’interlocutore. Mi incanto, è una bella ragazza bionda, ha gli occhi marroni, truccata alla perfezione. Evidentemente non ha fatto la notte, ha troppe energie. Dice al telefono che deve attaccare, soffocando un singhiozzo. Una iena.
«Mi scusi» sfoggia un sorriso a trentadue denti, ha un’espressione dolce. Dr Jeckyll e Mr. Hyde. Ho ancora in mano il suo portafogli. Mi guarda un po’ titubante, io sono incantato oltre che stanco, non ho quasi la forza di parlare, ho bisogno di zuccheri e ho già finito la bottiglietta d’acqua. Riprende il borsello avvicinando la mano con un gesto ampio e lento, mi porge il documento con le movenze di un angelo. Sorrido ma non lo apro. Mi rendo conto di essere in divisa.
«Signorina…»
«Che c’è?»
Il suo tono è abbastanza acido ora, un cambio repentino di umore in pochi istanti: incazzata, dolce e acida.
«Dovrei andare a casa» sghignazzo. Lei non capisce. Mostro le chiavi dello scooter facendole dondolare tra le dita, continua a non capire. Mi guarda e basta. Mi avvicino allo scooter, sono davanti a lei. È bellissima, ha un profumo forte, dolce, i capelli sciolti tirati indietro scoprono l’orecchio con l’auricolare. Mi guarda negli occhi, che bambola, penso. Dopo aver spostato lo sguardo dalle chiavi allo scooter e viceversa diverse volte, finalmente ha un lampo di genio, arrossisce. Fa per togliere la borsa, ma si rovescia, lasciando cadere il contenuto per terra. Una serie di borselli, trucchi, specchietti, rossetti e un libro, un romanzo credo.
Rido, mi guarda malissimo ma la scena è rocambolesca. Ha una gonna stretta e corta, si china sulle ginocchia facendo attenzione a non perdere l’equilibrio e a non mostrare la biancheria intima. L’aiuto, in un attimo raccolgo tutto.
«Mi scusi» mi dice di nuovo. Sono inchinato davanti a lei. Le sorrido e mi presento.
«David.» Tendo la mano verso di lei, mi guarda con attenzione. Mia madre mi ha fatto un paio di occhi chiarissimi e grandi che non finirò mai abbastanza di ringraziarla. La mia arma di rimorchio.
«Elena.»
Ricambia la stretta di mano increspando le labbra. Le cade il cellulare dalla tasca e la cuffia dall’orecchio, evito di ridere per la scena perché ho già fatto il pieno delle sue occhiatacce, oltretutto cambia umore facilmente, meglio non provocarla.
La invito per un caffè, una scusa per non lasciarla andare ma anche per integrare zuccheri, sto svenendo, mi gira la testa. Accetta. Bingo.
David il castigatore si sta preparando per il week end. Ho già l’acquolina.
Faccio colazione con un cappuccino e due brioches, mi guarda interdetta mentre le addento. Lei prende un caffè macchiato dettando una serie di altre caratteristiche al ragazzo dietro al bancone. Ho avuto pena per il barista, starà facendo uno sforzo tra un’imprecazione e un’altra, cercando di ricordare tutto quello che