La Torrey Canyon è stata una petroliera battente bandiera liberiana tipo Suezmax LR2,[2] la prima capace di trasportare oltre 120 183 tonnellate di petrolio grezzo. Arenatasi il 18 marzo 1967 al largo della costa occidentale della Cornovaglia, nel Regno Unito, causando un disastro ambientale, era – all'epoca dell'incidente – la più grande nave mai naufragata.

T/c Torrey Canyon
Descrizione generale
Tipopetroliera monoscafo
ArmatoreBarracuda Tanker Corporation
ProprietàUnion Oil Company of California
Registro navaleLloyd's Register
Porto di registrazioneMonrovia, (Liberia)
Identificazionenumero IMO: 5365352
RottaMina al-Ahmadi Milford Haven
(via Capo di Buona Speranza)
CostruttoriNewport News Shipbuilding

allungata presso:

Sasebo Heavy Industries

CantiereNewport News, Norfolk, USA
&
Cantiere navale di Sasebo, Giappone
Varo28 ottobre 1958
Ammodernamentoestate 1965[1]
Destino finalenaufragata il 18 marzo 1967
Caratteristiche generali
Portata lorda118.285 tpl
Lunghezza(fuori tutto) 296,90 m
(tra le p.p.) 285,30 m
Larghezza31,7 m
Pescaggio(max.) 17,20 m
Propulsione1 turbina a vapore
2 caldaie
1 elica
Velocità17 nodi (31,48 km/h)
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Il disastro ambientale

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Il 19 febbraio 1967, la Torrey Canyon lasciò il terminale petrolifero della raffineria della Kuwait National Petroleum Company, a Mina, in Kuwait. La petroliera raggiunse le Canarie il 14 marzo e da qui proseguì per la sua destinazione finale e attraccare al porto di Milford Haven per scaricare. Tuttavia, durante quest’ultima tratta, il 18 marzo 1967, la Torrey Canyon colpì lo scoglio di Pollard, incagliandosi sulla secca delle Sette Rocce[3], nel Mar Celtico, al largo tra le isole Scilly e le coste della Cornovaglia, causando il primo rilevante disastro ambientale dovuto allo sversamento in mare di grandi quantità di petrolio e alla successiva contaminazione costiera da parte del petrolio fuoriuscito. Al momento del naufragio era di proprietà della Barracuda Tanker Corporation, una sussidiaria della Union Oil Company of California, e registrata in Liberia[4] ma noleggiata alla British Petroleum.

Per evitare altri danni alle coste francesi e inglesi, dato che il mare mosso impediva un intervento adeguato e non esistevano esperienze precedenti di contenimento di simili disastri, il governo inglese diede ordine alla RAF di bombardare la nave ed incendiare il petrolio fuoriuscito. Successivamente le autorità inglesi, e in un secondo tempo anche quelle francesi, fecero un ampio utilizzo di solventi per cercare di contenere la marea nera.

La successiva inchiesta diede la responsabilità del disastro al comandante Pastrengo Rugiati[5] dato che tracciò una rotta rischiosa per arrivare in tempo al porto di Milford Haven. Un'altra causa fu quella di un difetto di progettazione relativo al sistema di navigazione della nave.

Il relitto si trova ad una profondità di 30 metri.

Diritto internazionale

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Per giustificare il proprio bombardamento, le autorità inglesi fecero riferimento allo stato di necessità, causa di esclusione dell'illecito che opera in presenza di grave pericolo per lo Stato nel suo complesso, sempre che l'atto sia l'unico in grado di scongiurare il pericolo, non arrechi danni seri ad un altro Stato e che il pericolo stesso non sia stato causato dalla condotta colpevole dello Stato.

  1. ^ Crispin Gill, Frank Booker, Tony Soper, The Wreck of the Torrey Canyon, New York, Newton Abbot, 1967 a p. 17.
  2. ^ Oil tanker sizes range from general purpose to ultra-large crude carriers on AFRA scale.
  3. ^ Mike Powell, Pesanti accuse al comandante Pastrengo Rugiati. Per risparmiare denaro gettò la Torey Canyon sulle Sette Rocce, su l'Unità del 4 maggio 1967.
  4. ^ The Torrey Canyon's last voyage, su Loughborough University. URL consultato il 13 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 5 luglio 2009).
  5. ^ com.te Pastrengo Rugiati, detto Fulvio (* Portoferraio, 16 novembre 1911 – † Portoferraio, 6 ottobre 1991) figlio dell'ex maresciallo dei carabinieri, poi capo del personale e vice direttore del locale stabilimento Ilva Eugenio Rugiati († 1966) e di Annunziata Talini, detta Tina ( † 31 gennaio 1985).

Collegamenti esterni

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