Del voto politico delle donne
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DEL
VOTO POLITICO DELLE DONNE
lettura tenuta da
ANNA MARIA MOZZONI.
(Estratto dal Giornale La Donna, Anno IX 30 Marzo 1877, N. 290 |
Bologna, Strada Stefano, N. 5). |
VENEZIA
tipografia del commercio di marco visentini
1877.
La salita al potere della sinistra parlamentare fu salutata dal paese come l’alba del giorno della riparazione, chè se il programma che questa deponeva sul banco dei Ministri non segnava le colonne d’Ercole nelle vie della libertà, accennava almeno alla fine di quella Via crucis, che s’andava dirupando sotto i passi degli italiani.
Gli uomini che il voto del 18 Marzo avea recati in alto, compresero il senso di quel voto e tosto, dopo il famoso programma di Stradella, si bucinò di un largo piano ricostitutivo dell’ordine amministrativo e si nominarono numerose commissioni incaricate di raccogliere elementi alla compilazione di progetti di legge, che dovevano sostituire la realtà laddove, secondo la frase felicissima del presidente del Consiglio, non v’era che la nuda presunzione legate.
Il paese accolse con tali entusiasmi questi sprazzi di luce che il Governo fu quasi sgomento del proprio successo e sbigottito della sua immensa popolarità, dacchè travedeva sopra di sè il potere irresponsabile che projettava la sua ombra poderosa sulle liete speranze del popolo.
Questa poco ricreativa situazione, che oggi tutti gli italiani avvertono, consigliava parecchi liberali a starsene cheti nella aspettazione benevola e paziente anzichè incalzare impazientemente il Ministero.
Oggi però che indirizzo definitivo di Governo pare divenga fare il men che si può nel maggior tempo possibile, il riguardoso riserbo verso gli uomini deve cedere il passo al culto imperscrittibile dei principî, i quali con, ‘’senza’’ o ‘’contro’’ gli uomini di qualsiasi parte, giungono sempre alla meta che è loro prescritta dalla legge suprema della logica. Parmi perciò dovere dei democratici di riattivare il loro apostolato e, preparando un terreno avanzato nelle opinioni, costringere il governo ad inoltrare in quella via che gli ha così solennemente indicato il voto della nazione.
Ed eccovi detto da quali idee io sono suggerita recandovi innanzi una tesi fra le più avanzate che questo secolo delle grandi preparazioni si porta nel fianco affaticato. Essa per mia disgrazia conta avversari alla destra, alla sinistra, al centro, e dentro e fuori delle due Camere. Essa non può invocare in suo favore la disciplina di partito, non le è concesso porsi all’ombra di grandi influenze, non trova punto di partenza nè punto di appoggio in nessun paragrafo delle innumerevoli leggi che si succedono, s’incrociano, e sostituiscono le une le altre.
Dessa non è sostenibile che davanti ad un pubblico altamente illuminato, avvezzo alla libera discussione, alla più larga tolleranza ed alla serenità del giudizio. Essa non è presentabile se non davanti a quelle larghe intelligenze che non precipitano i giudizî come gl’inesperti, non meravigliano di tutte le cose nuove come gl’idioti, non credono d’aver capito prima di aver discusso come gl’indotti, e non decretano non esservi luogo a procedere prima di aver bene esaminato i documenti.
Nè statemi a pensare, o signori, che codeste mie parole siano precauzioni oratorie intese a rendervi benevoli ad una tesi alla quale difettino per avventura valide dimostrazioni. Oh no! esse riguardano altri ascoltatori meno sereni e riposati, e l’anello irresistibile delle idee mi ha trascinata dalla riflessione delle difficoltà di chi parla, al debito di chi ascolta.
Buon per me che avendo esperito più e più volte la vostra benevolenza, posso abbandonarmi con fiducia alla schietta esposizione del mio pensiero, ben sapendo d’altronde che nel mio paese le idee ed i costumi sono in grande anticipazione sulle istituzioni, sicchè l’innovazione non troverebbe urto di per sè e perciò solo che è nuova, ma non dovrebbe combattere, presso i più, che obiezioni parziali.
Ciò premesso espongo le diverse parti del mio discorso. Dapprima un rapido sguardo alle condizioni giuridiche delle italiane, poste a riscontro con i principî che sono base della Società moderna, vi porrà in grado di apprezzare la distanza che passa fra le une e gli altri e quindi l’obbligo che incombe al legislatore di studiarle e comporle in accordo migliore.
Dappoi io vi verrò dimostrando come a queste riforme una sola sia la via seria ed efficace, accordare, cioè nel voto politico una legale rappresentanza agli interessi femminili davanti al potere legislativo, e combatterò tutte le obiezioni che si sollevano contro questa innovazione. E le combatterò senza dissimularmene una, senza sorvolare a nessuna difficoltà, senza svoltare, senza sofisticare, con quella lealtà di controversia dalla quale non ho mai avuto bisogno di deviare perchè convinta della bontà della mia causa.
La condizione della donna, e non in Italia soltanto, è un fatto isolato nella nostra organizzazione sociale ed il disaccordo fra questo fatto ed i criterî che informano gli ordinamenti scientifici, politici, giuridici, fra tutto l’insieme, insomma, della nostra civiltà, va accentuandosi ogni giorno più fino a divenire, non solo sofistico ed irrazionale, ma ben anco violento nella vita pratica.
Quando la servitù femminile si venne affermando nella società primitiva, la superiorità della forza, ed il concetto della legittimità del dritto di forza era non solo accettato, ma era invocato pur anco.
Perpetuamente in lotta con gli elementi e con le forze animate ed inerti della natura, strappando faticosamente alla terra il rozzo pane, contendendo alle belve la tana per ricoverarvi la sua donna ed i suoi bambini e proteggerne il riposo, l’uomo era veramente il re della famiglia. – Il suo dritto ed il suo dovere erano una sola cosa e si riassumevano in questo solo, l’impiego della sua forza.
Nel procedere dei tempi, la progressiva sicurezza delle persone, l’affermazione del dritto di proprietà, l’abuso della forza, il raffinarsi dell’intelligenza che avvertì nella umanità pregi di un ordine più elevato ed una fonte di piaceri più squisiti, sollevò il morale degli uomini, e la forza non essendo più l’unico ideale, l’uomo sentì che fra lui e la donna la sproporzione non era tale quale gli era apparsa dapprima, le si ravvicinò per lo spirito, sentì l’influenza dei pregi di lei e la di lei servitù si cangiò in tutela.
Se si discorrono con lo sguardo rapido le grandi modificazioni subite dalle condizioni della donna, transitando la civiltà dall’Oriente all’Occidente, dal paganesimo al Cristianesimo e dal feudalismo all’ordine presente, v’è di che stupire come abbiasi potuto ripetere da un principio primo ed indiscutibile, un fatto che venne sempre modificandosi e tarpando man mano l’ali al principio e lottando con esso, e questa lotta spiegarsi più energica ed efficace quando e dove l’uomo piega a civiltà, più debole e nulla laddove precipita o giace nella barbarie.
Taluni che credono dover usare moderazione anche nell’uso del sillogismo e sogliono ragionare non quanto vuole il senso logico, ma solo quanto basta a ricreare lo spirito in discorsi accademici senza concluder nulla nel fatto, dicono, che le donne han già ottenuto assai, che se volessero ricordare il passato si allieterebbero del presente e non mirerebbero più in là.
Senza contare che costoro non avrebbero dato alla donna diverso consiglio quand’era comprata e venduta sui mercati, dacchè in costoro, questa forma di discorso, è più presto un istinto che un ragionamento, il fatto del continuo migliorarsi delle sue condizioni prova meglio che qualunque sforzo dialettico che la così detta missione della donna, (frase abusata, con la quale s’intende dire che le facoltà generali della natura umana lottano in lei con lo speciale lavoro del quale la natura stessa l’ha incaricata) costituisce un equivoco dal quale è duopo uscire, equivoco scientifico e sociale.
La condizione sociale e civile della donna ormeggia il passo complesso della civiltà, questo lo accordate tutti; dunque ha attinenze con l’indirizzo generale del pensiero, col tramutarsi degli ordinamenti civili, col raffinarsi dei costumi, col concitarsi dell’attività generale, col fugarsi dei pregiudizî, con il progressivo accertamento delle cognizioni.
Infatti la questione della riforma delle condizioni femminili in mezzo alle declamazioni, agli stupori, agli scandali, all’umorismo parlamentare ed estra parlamentare, procede trionfante e, come il vento montano spazza dinanzi a sè le nubi, così essa disperde, mostrandosi, le obiezioni che le si parano davanti.
Fu considerata un delirio, essa rispose ragionando – fu combattuta con il dogma religioso, ed essa ha risposto con la teoria del libero esame e rinfacciando alla scienza la ribellione alla scolastica – fu assalita con gli a priori scientifici, ed essa additò al secolo l’indirizzo esperimentale e gridò con esso, abbasso alle ipotesi. – Le fu scagliata addosso tutta la patristica, ed essa si armò del razionalismo – le fu imposto silenzio in nome della natura, ed essa ha risposto, prendete lezioni dalla natura e non pretendete dargliene, lasciate alla natura la libertà delle sue manifestazioni eppoi studiate queste manifestazioni e concludete – Le furono rinfacciate le liberalità già ricevute, ed essa ha mostrato l’operaio ed il negro che hanno ottenuto più in un giorno che essa in secoli – L’uomo difende contro di lei il suo dritto divino, ed essa le chiede, sorridendo, che cosa si abbia fatto del dritto divino dei re – L’avvocato ed il prete armati della doppia tradizione la inseguono senza posa, ed essa si difende consegnando ai musei della dotta antichità i miti dell’uno e facendo vergogna all’altro che discepolo primogenito della filosofia moderna, oratore instancabile di diritti e di libertà, pubblicista inesauribile, mitingajo ardente, diguazzando come pesce in acqua nel mare magno delle teorie democratiche, vada poi per conto della donna a diseppellire le fossili tradizioni pagane e feudali, pretendendo ch’essa s’accontenti dei vivaci colori del ristauro.
No, signori, non ce ne accontentiamo. – Voi avete fatto una gran corsa in questo secolo, ma noi vi abbiamo ormeggiato davvicino e vi preghiamo di non contenderci il passo. – Nè crediate che pari alle antiche amazzoni che si denudavano i petti quando fosse loro mancata la forza del braccio, andiamo a fare appello ad altri elementi che ai razionali. Oh no! se la nostra ragione è adulta, la vostra è senile. Voi siete altri dai vostri padri che ponevano le donne sulle cattedre e nelle accademie e facevano loro il posto ovunque con le volute qualità le cercassero. Lo spirito tecnico ha dato un altro indirizzo alle vostre idee ed ai vostri sentimenti, e con le idee mutano le forme e non v’è nulla da rivederci.
Noi dal canto nostro divezzate dall’essere adulate e costrette anzi a reagire contro le multiformi accuse di codardia, d’inferiorità intellettuale, di mancanza di senso giuridico, di incapacità in una grande quantità di cose, siamo rientrate in noi stesse, abbiamo esaminato i nostri pregi ed i nostri difetti e ci siamo permesse di esaminarvi anche voi, spogli del dritto divino, che è scaduto affatto nella nostra opinione, ed abbiamo trovato che la nostra ragione procede al par della vostra con la forma sillogistica, che i problemi che travagliano la vostra coscienza, sono gli stessi che turbano la nostra; che la libertà che voi amate l’amiamo anche noi; che le vie per le quali voi conquistaste la vostra, furono tracciate dagli stessi principî che debbono rivendicare la nostra; che se lo sviluppo delle facoltà comuni agli enti umani ajutano e promuovono tutte le missioni speciali degli individui, attesochè tutte quante si fondino sull’impiego delle facoltà razionali, morali e fisiche e procedono ad uno scopo egualmente complesso, lo sviluppo di quelle facoltà comuni a tutti gli enti umani non combattono, non inceppano e non guastano nulla neppure nella missione nostra, non solo in faccia alla società nella quale non siamo che individui come voi, ma anche in faccia alla specie dove il compito nostro è diverso.
Così agguerrite nel campo teoretico noi vi abbiamo presentato battaglia e ci siamo azzuffate di santa ragione e (davanti ai nomi gloriosi di Madama Sand, di Madama d’Hericourt, di Zoè di Gaumond, di Clarissa Bader, di Maria Déraisme, di Miss Buller, di Dora d’Istria, di Malvina Frank e di cento altre in tutti i paesi civili), dovete convenire, con una dottrina ed un valore che non sempre vi aspettavate, sicchè vedendo che i petti delle amazzoni non si denudavano avete rinunciato ad ogni velleità cavalleresca.
Gl’ingegni mediocri non trovando argomenti ci scagliarono ingiurie e ci rinviarono al fuso, onde dissimularci l’imperizia delle foro penne, la fiacchezza delle loro armi, e la inconseguenza delle loro opinioni; ma molti di voi, a cui la passione del dispotismo non fa velo, cominciarono a porre in dubbio la nostra inferiorità, gli avvocati copiarono dai vecchi codici la nostra imbecillità senza crederla troppo, e le donne ben temprate, che una volta riguardavate come fenomeni e mostruosità, sono oggi una imponente minoranza.
Molti di voi, e dei migliori, passarono nel nostro campo con armi e bagaglio, sicchè il Büchner ad esempio, capoccia di quella scuola materialista che dal peso e misura del cervello dedusse la nostra inferiorità intellettuale, parlando recentemente in una pubblica adunanza in America, affermava che la superiorità intellettuale della donna in quella parte di mondo è incontestabile. E qui faccio punto.
Ottenuta la ricognizione della nostra capacità sul terreno teoretico, ci è conteso di goderne il frutto nel terreno pratico.
Nella famiglia, nella città, nello stato, pare che l’esercizio del nostro diritto sia in collisione con l’altrui e nuoca alla società ed a noi stesse.
Non posso a meno di vedere una analogia fra il nostro caso e quello delle nazioni d’Occidente quando volevano strappare ai poteri dispotici l’abdicazione in favore della sovranità popolare e questi respingevano la domanda dichiarandoli incompatibili coi diritti antichissimi della corona. Ma fare appello all’antichità nelle cose umane è follia, perchè la vecchiaja è per lo appunto condannata a morire, quindi l’abdicazione fu fatta ed ora popoli e re hanno trovato un nuovo equilibrio.
Lo stato era nell’antichità pagana una aggregazione di famiglie e la legge d’armonia volendo l’armonia del tutto e delle parti, erigeva la famiglia aristocratica. Il volere del Capo di famiglia era legge e ragione, freno e motore, principio e fine dell’attività famigliare, come il volere del Capo dello Stato, individuo od ente collettivo, era legge innappellabile in quella società, che non aveva ancora escogitata la umana personalità.
Lo stato moderno invece, basato sulla affermazione di questa personalità, è una aggregazione d’individui – e, perchè il concetto dello Stato si discosti viemmeglio dal concetto della famiglia, gli si sono levate parecchie attribuzioni, che rilevavano da quel concetto per piegarlo sempre più a quello di semplice amministrazione1.
Lo stato ha quindi declinato, a mo’ d’esempio, ogni responsabilità sulla confessione religiosa dei cittadini ed i loro voti monastici. Poco gl’importa che si erigano e si conservino delle dinastie nobiliari, nè che le sostanze rimangano infeudate alle rispettive famiglie, come era dapprima statuìto per la gelosa conservazione di esse. Esso ha sostituito dovunque alle sollecitudini attive del padre di famiglia, l’azione passiva dell’amministratore.
In che cosa, dunque, risponde a questo Stato una famiglia nella quale il capo investito di poteri dispotici fà e disfà, vuole e disvuole, autorizza, amministra, dilapida e finalmente si assenta declinando tutti i suoi doveri e conservando tutti i suoi diritti, e riunendo in sè in connubio mostruoso il potere assoluto e la irresponsabilità?
Come mai un Codice moderno ha potuto erigere in diritto una simile strapotenza, accostando due termini così incompatibili davanti alla ragione, senza che la coscienza del legislatore occidentale non gli si rivoltasse nel petto?
Come non ha posto mente che, dando così un essere umano in balia di un’altro e per tutta la vita, bestemmia tutta la moderna società?
Eppure, o signori, il legislatore non sembrò avvedersi, o per lo meno, non fu sgomento dall’affermazione di un diritto così enorme. Malgrado l’abuso d’ogni cosa a cui l’uomo è fatalmente inchinato, egli confidò nella natura dalla quale la società conjugale è cementata. Certo reputerebbe impossibile vincolare in simile modo due uomini, ma un uomo ed una donna possono andare e, fino ad un certo punto, vanno.
Ebbene, questo fatto gli dà torto. Non la legge, non la forza del dritto del quale investe una parte e che deprime nell’altra, conserva la società conjugale, ma la natura. Tutta la prudenza e previdenza della legge è in pura perdita; è molto chiasso per nulla. Che se le disposizioni del Codice menassero a conseguenza, la sola logica conseguenza non potrebbe essere che questa, l’inasprimento dell’animo nella parte depressa e l’abuso del potere nella parte prevalente.
Dove la natura ha posto il cemento, l’edifizio si regge; dove non l’ha posto, l’edificio crolla ed i tribunali si affaccendano a firmare sentenze di separazione.
La natura ha posto nell’organamento della famiglia tutto lo studio che voi avete posto nell’organizzare lo Stato. Non v’è nulla da metterci, la legge non deve stare che al difuori a guardia dell’abuso. – Voi avete immaginato una aristocrazia con alla testa una corona irresponsabile ed una democrazia rappresentata da due elementi, il giovine che promuove ed il vecchio che frena, l’elemento che pensa, discute, delibera, ed il potere che eseguisce. È un congegno, insomma, composto di differenze e di equivalenze che, equilibrandosi, costituiscono un insieme più o meno omogeneo – Nella società coniugale la natura non ha adoperato altrimenti, ma il suo lavoro è di una tale efficacia che tutte le vostre convenzioni non possono dirla con essa quand’ella si mette a non essere dalla vostra.
Voi dichiarate, ad esempio, che il marito è capo della famiglia perchè ha la capacità. Ora la natura alle volte non la intende come voi e gli ha negato questa capacità, ed il diritto che gli accordaste su una nuda presunzione non può trovare esplicazione nel fatto. Egli è obbligato a capitolare o la moglie, alla quale negate questa capacità, deve esercitarlo per lui.
La natura ha visto prima di voi il bisogno di equilibrio, di distribuzione, di differenza e di equivalenza ed ha provvisto a tutto. Soltanto essa non ha opinato con voi sulla opportunità che, moralmente parlando, gli elementi attivi ed espansivi siano sempre da una parte e gli elementi negativi e passivi siano sempre dall’altra – Essa non è imbarazzata che la donna sia talora più intelligente, più volontaria e più pratica dell’uomo, e che l’attività interna della famiglia sia determinata dall’una anzichè dall’altro. – Questo non le porterà nessun disturbo, i fini complessi ch’essa si propone saranno sempre raggiunti – e la paura ch’essa non ha dell’attività morale, intellettuale e materiale della donna, perchè l’avrete voi? Qual maggior diritto di lei avete per aver paura? Avreste sopra di noi delle vedute diverse dalle sue?
Maometto che destinava le donne all’harem in questo mondo e non dava loro nessuna speranza per l’altro, non poteva immaginare nulla di meglio per le donne che farne dono completo agli uomini, chiudendo ben bene le loro menti alla più lontana nozione di diritto alla libera espansione. Ma voi che fate appello alla nostra missione naturale, onde persuaderci a starcene zitte, sapreste voi dirci per qual ragione la natura ha posto in noi queste facoltà espansive, o sapreste persuaderci che ha fatto una contraddizione ed una assurdità? Sareste da tanto da provarci che la donna si snatura quando impiega la sua attività con lo scopo ragionevole d’ogni attività, l’utile, e dimostrarcelo non già con della lirica e dei fervorini, ma col senso pratico e comune?
Non sarebbe dunque la legge più conseguente all’indirizzo generale del pensiero moderno, se, smettendo la vecchia mania delle presunzioni e degli a priori, non decretasse più le capacità e le incapacità, ma facesse grazia di supporre la razionalità a tutti i cittadini, uomini e donne, fino a prova in contrario? E non si conformerebbe meglio alla teoria dello stato il legislatore, laddove considerando che la sola natura è la motrice e conservatrice della società coniugale ed affidandosi agli elementi simpatici ed equivalenti da essa cementati, dichiarasse dovere essa svolgersi liberamente nel suo interno e rappresentarsi da entrambi i coniugi nella città e nello stato, o dall’uno dei due indifferentemente, purchè produca il consenso dell’altro?
Quale pratica impossibilità si vedrebbe nell’esercizio della patria podestà per parte d’entrambi i genitori, dacchè la natura ha disposto perchè l’autorità loro sia diversamente manifestata da essi e diversamente sentita dai figli, stando qui come dovunque la legge a semplice guardia dell’abuso?
E qual tarda ma urgente giustizia farebbe il legislatore se, non dimenticando ad ogni terzo momento che il diritto senza dovere è tirannia, rivedesse un po’ le buccie a quel diritto di assenza del marito, forte del quale, egli abbandona moglie e figli alla provvidenza, disertando bravamente tutti i suoi doveri, e torna poi quando gli pare, non sempre coperto di gloria come Ulisse, ma con la pretesa però di trovar sempre una Penelope!
Le condizioni della donna nella città non abbisognano meno di revisione. – La responsabilità stà al diritto come lo spirito alla materia e dal difetto di corrispondenza fra la responsabilità ed il diritto, uscirono tutte le violenze che hanno funestato la vita umana. È la storia del dispotismo e della schiavitù, è quella del privilegio e delle esclusioni, della tirannia e delle oppressioni. Noi usciti dalla rivoluzione filosofica, abbiamo talmente respirato con l’aria questa dottrina, che la disproporzione fra questi due termini stimiamo sofisma in dottrina e barbarie nel fatto.
Se alla luce di questi principi guardo alle condizioni della donna nel doppio foro non so più se l’89 è fatto, o se è da fare. Il Codice penale non vede nessuna logica necessità di convenire le incapacità presunte dal Codice civile. Sono due parallele che corrono con perfetta indipendenza l’una dall’altra. Anzi nell’adulterio la responsabilità della parte debole, incapace, passiva, pupilla ed imbecille, è gravissima e maggiore. Come? la responsabilità e l’imbecillità possono incontrarsi nello stesso soggetto? l’applicazione della penalità potrà farsi senza una assurda barbarie sopra un pupillo perpetuo ed incapace? Ma risponde la legge, con una innocenza invidiabile, l’adulterio della donna minaccia d’introdurre un elemento straniero nelle famiglie. Ma e l’adulterio dell’uomo, o signori, minaccia esso tutt’altra cosa? O sarebbe mai il legislatore avvenirista in questa materia fino ad accettare la teoria della vergine madre, di Auguste Compte?2
La legge dichiara la donna incapace di tutela in genere – la stima però incriminabile per ispinta alla corruzione. – La considera inetta ad assumere una procura, ma imputabile per abuso di fiducia. – La reputa incapace di esercitare la patria podestà vivente il marito e nella famiglia composta nella normale carreggiata, ma la incarica dell’esercizio esclusivo della patria podestà nella figliazione naturale, dove questo esercizio è più intralciato. – Che più? Vieta la ricerca della paternità per sollevare la madre dalla responsabilità che il padre deve dividere con lei, l’ammette quando si tratta di privare il figlio e la madre adulterina del concorso del suo corresponsabile al peso comune – sicchè l’uomo investito di tutte le capacità e di tutti i diritti, non ha doveri, se non in quanto ha l’onestà di riconoscerne, dacchè, marito, li può declinare con l’assenza, padre naturale col divieto della ricerca della paternità. – L’antica Roma gridava «guai ai vinti»; oggi si deve ancora ripetere guai ai deboli!
Non v’è funzione più consona alla natura della donna quanto la tutela. In faccia alla specie ella non ne ha un’altra, e l’uomo con la sua forza che lo porta alla fisica espansione vi è assai meno atto e la natura non ve lo porta. – Infatti la sua tutela è quello che sono le disposizioni legali, convenzioni e non realtà. Epperò non vi state a pensare di trovarvi quel complesso di sollecitudini continue e varie che riflettono tutti gl’interessi e tutti i bisogni del pupillo. Questa è la tutela vera e naturale ed è esercitata dalle donne soltanto nelle cui mani, nella gran generalità dei casi, trovansi i pupilli. La tutela legale è una semplice amministrazione, per cui mi venne fatto di incontrare tutori che non avevano mai veduto i loro pupilli, ed uno ne ho conosciuto che ignorava la morte di una sua pupilla sei mesi dopo avvenuta.
Ma la legge non si sgomenta per queste quisquiglie e decreta imperterrita che sono incapaci di tutela le donne, i pazzi, i delinquenti, i mentecatti. Non si chiama davvero sottilizzare, nè distinguere!
Nè nella arbitraria distribuzione delle sue incapacità, la legge è generalmente più felice. La donna maritata è incapace, epperò pupilla a tutte le età, la non maritata è maggiore a ventun’anni. La vedovanza disimbecillisce issofatto la donna quand’anche giovine e può quindi esercitare la patria podestà, la moglie anche a 60 anni non può neppure prestare il suo denaro col minor presumibile giudizio. Zia germana e nubile, si cava dall’amena compagnia dei pazzi, dei malfattori e degli imbecilli, epperò è capace di assumere la tutela dei nipoti; madre e moglie, per la solita imbecillità che le porge fra i doni nuziali il glorioso sposo, non ha voto negli interessi dei suoi figli, e via dicendo. Insomma si direbbe che il legislatore determinando le condizioni giuridiche della donna non s’è neppure informato se sia carne o pesce, ma l’ha pigliata indifferentemente per l’una cosa o per l’altra, secondo che tornava in acconcio agli interessi dell’uomo col quale la vedeva in rapporti.
Se poi aggiungete che delinquente, la si avviluppa in una veste giuridica lunga e larga quanto quella degli altri cittadini e le si scatena contro l’uggiosa eloquenza del procuratore della legge accanito a provare la sua capacità come il codice civile a decretare la sua incapacità, ed in questa forma impossibile la si pone davanti ad un tribunale composto di enti diversi da lei e che però non esito a dichiarare incompetenti3, avrete quasi completato il quadro delle condizioni nelle quali versano le cittadine della libera Italia.
E ho detto quasi, e non a caso, poichè se rivolgo lo sguardo a quella massa che, vittime di incomportabili sofismi sociali, deve vivere di vizî che non sempre avrebbe e di passioni che non divide, allora poi il cuore si solleva e l’ironia muore sul labbro. La vergogna di un simile organamento che diffonde il vizio alle spalle della miseria è ributtante.
Taglio corto su molti altri punti sui quali ci è duopo invocare l’attenzione del legislatore onde non dilungarmi troppo dalla meta, e perchè quanto ho detto di volo convincerà i più sonnolenti ottimisti che le donne hanno bisogni, soffrono ingiustizie, sono tese negli interessi più vitali e che niuno le rappresenta davanti alla legge per ispeciale mandato, e questa dorme fra due guanciali credendo che, poichè non si parla, tutto cammini pel meglio.
No, vogliamo che ci si abbadi, e siamo divenute esigenti. Le vostre lodi e le vostre odi non ci divagano più. Avete finito di menare il can per l’aia chiamandoci «angioli del focolare e regine della famiglia.» Tutta questa lirica che per conto vostro avete gettato nei ferravecchi e che venite ripulendo per conto nostro, si risolve a fatti in un vero musulmanismo con frasario cristiano. Voi non siete più poeti generalmente, ed i pochi che rimangono drappeggiati nella toga senatoria, dando la destra al collega banchiere e la manca al collega industriale, cantano all’unissono con questi
«La sventura non è bella |
Non troverete dunque irragionevole che anche noi facendo tesoro delle lezioni che ci date in versi ed in prosa, domandiamo quelle guarentigie che avete stimate opportune e necessarie per voi medesimi.
Voi trovate intollerabile di non poter essere sindaci a 25 anni, noi troviamo insopportabile di essere pupille a 90. Voi volete pagar meno, noi vogliamo sapere almeno perchè paghiamo tanto. Voi volete che ogni cittadino non imbecille sia elettore, e noi vogliamo si riconosca che vi sono donne non imbecilli. Voi volete l’abolizione della pena di morte, e noi, figuratevi! vi ci associamo di gran cuore, ma vorremmo ancora che provvedeste il padre ed il pane a tutti gli uomini che nascono. Avete voluto che la moglie mantenga il marito quando non ha nulla; ma noi vogliamo controllare un po’ le sue spese quando ha qualche cosa. Ci bisogna allevare i figli con dispendio di tempo, cure, fatiche, veglie e salute? ben volentieri, ma vogliamo anche che la legge ci faccia rispettare da questi uomini dei quali siamo le prime benefattrici, e non venga loro a dire ad ogni terzo momento «vostra madre è imbecille.» Voi vagheggiate una riforma dello statuto ed un’allargamento del regime costituzionale, noi ci accontentiamo di uscire dal regime dispotico.
Voi, signori, fate le leggi, e noi non siamo consultate, ci confezionate in ogni maniera di salse, e non ci domandate, neppur per forma, se non ce ne stiamo a disagio. Molti di voi tranquillamente desiderosi del bene e disposti a farlo, senza soverchio calore però, dicono che le donne nel Codice attuale stanno come sante nella nicchia, che hanno ottenuto molto, che di più veramente non si poteva e non si saprebbe fare per loro, e molte altre frasi da gente contenta e che vorrebbe che altri s’accontentasse. – Mi duole davvero di gettar delle nubi su quei rosei cuori, ma non siamo contente affatto e per non importunarvi con troppe cose in una volta, ne cerchiamo una sola, il voto politico.
Ottenuto questo verrete voi stessi ad informarvi dei nostri bisogni e non crederete di perdere il vostro tempo.
Ma qui mi vedo assalita da un nembo di ma di se di forse, ai quali tutti darò udienza e risposta.
⁂
Il diritto politico fu in tesi astratta riconosciuto alla donna al pari dei diritti civili. – Cittadina e contribuente nella città, nella provincia, nello stato, investita di una condizione giuridica, sottoposta alla sanzione penale, non v’è giurista così musulmano da non capire che ad un tal ente giuridico non era possibile negare teoricamente il diritto. Ma quando poi si venne all’esplicazione pratica di questo diritto, quegli uomini che seguendo il nesso logico delle idee avevano tutto concesso, bloccati in massa dal pregiudizio tutto negarono. – Nè pensarono a distinguere fra essi e ad esaminare se quelle forme nelle quali si presentava la donna investita del diritto ripugnassero veramente alla natura delle cose o se li smarrissero semplicemente perchè nuove.
Poichè è d’uopo confessarlo, o Signori, mentre la civiltà importa una assidua mutazione di idee e di cose, ogni novità ci si affaccia come un’assurdità e non è che il successivo lavoro di riflessione e di esperimento che ne liscia ai nostri occhi i contorni, e ce la fa apparire successivamente possibile, ragionevole, naturale e più tardi necessaria, indiscutibile.
Così è accaduto delle istituzioni che volta a volta la scienza, l’industria, l’arte, la politica, la varia vicenda delle cose, ha introdotto nel mondo, e così è accaduto del voto della donna in altri paesi a quest’ora stessa e così sarà fra noi. – Non è che per affrettare l’affermazione del principio, nel quale ho fede inconcussa, ch’io vi invito a fare con me questo lavoro di riflessione che vi dimestichi con una novità che non ha altro torto che d’essere nuova, restando in pace profonda con la natura.
Le obiezioni che si sollevano contro il voto politico delle donne, sono queste:
1. Le cure della famiglia.
2. La loro ripugnanza agli affari ed a tutto quello che sa di pubblicità.
3. La loro poca intelligenza politica.
4. La loro ignoranza delle questioni sociali.
5. La influenza dei padri, dei mariti, dei figli, degli amanti per cui verrebbero oziosamente moltiplicati i voti senza aumento nella somma delle intelligenze e delle volontà.
6. Lo spauracchio di tutti i Governi d’Occidente, la bestia nera del mondo liberale, la superlativa delle imprudenze per l’Italia, l’influenza clericale.
7. La inopportunità di questa innovazione.
Quando a tutto questo avrò aggiunto che le donne se ne stanno chete e degeneri dalla prima madre, non appetiscono ancora il frutto della scienza del bene e del male, io crederò di aver detto tutto quello che si può dire contro la mia tesi.
Incomincio adunque dalla prima. La donna è fatta per le cure della famiglia, e la sua natura la allontana dagli affari e dalla pubblicità.
Se un turco mi dicesse: le donne sono fatte per l’harem e per questo le teniamo rinchiuse, capirei che quello ch’io cerco è incompatibile col loro stato sociale, e che troppe cose sono da sconvolgere prima di arrivare fin là. – Ma in Occidente, Signori miei, le donne affollano le vie, ingombrano gli alberghi, si stipano nei convogli ferroviariarî, s’incontrano viaggiatrici a tutti i gradi accessibili di latitudine, pubblicano libri e giornali, esercitano industrie e commerci, adornano con le nude bellezze e le trasparenti eleganze tutti i convegni, fino ad esservi abuso di pubblicità, primeggiano nei teatri, dov’è nascosto di loro poco più del pensiero, e quindi mi è lecito concludere che se cotali usi e costumi, che nessuno stima sconvenir loro, non le distrae dalle cure della famiglia per cui esse ancora allevano i figli e dirigono la casa, l’esercizio del voto elettorale le distrarrà infinitamente meno, e me ne appello ai più affacendati affaristi se la loro qualità di elettori fu mai un sovraccarico intollerabile di occupazione ed un dispendio oneroso di tempo per cui il minimo dei loro affari ne abbia sofferto.
È questa perciò una delle obiezioni la cui imponenza sta tutta nella sonorità della frase e per la donna nella grazia delle immagini da essa suscitate.
Nè le donne ripugnano agli affari più di quel che ripugnino alla pubblicità. Se io non ho le traveggole vedo le donne occuparsi di sete e di cotoni, esercitare industrie e professioni, arti e mestieri, impiegare i loro capitali in imprese commerciali, seguire i rialzi ed i ribassi dei pubblici valori, condurre negozi e stabilimenti di pubblico servizio, le trovo inscritte col titolo di pubbliche mercantesse nel Codice di commercio, e ne vedo ogni giorno attendate fin nelle vie e sulle piazze occupate a vendere ed a comperare come gente che non ha mai sognato di ripugnare a queste cose. Se poi intendete dire che le dame mettono i loro affari nelle mani di un amministratore sia per lunga abitudine di indolenza patrizia, sia per darsi esclusivamente ai convegni geniali, ai piaceri, ai viaggi, alla letteratura amena, allora siamo d’accordo, fanno così anche i gaudenti dell’altro sesso, ma chi ha mai sognato che sia ripugnanza intima di natura ciò che vuol porsi in conto al favore delle circostanze?
Nè la poca intelligenza politica delle donne, la loro inesperienza, la loro ignoranza delle questioni sociali regge più di quelle prime obiezioni all’analisi critica.
Qual grado di intelligenza si esigerà per essere elettore? Saper leggere e scrivere? Esigete dippiù, o signori, perchè io conosco bene le nostre compagne e non vorrei che gli elettori risultassero infinitamente più scarsi delle elettrici.
Saper far di conto? Ma l’ultima fruttivendola sbaglia meno i suoi conti che certi impiegati di finanza.
Fare degli sproloquî in politica? Ma io vorrei farvi udire le ciarle di certe popolane che col loro grosso e schietto buon senso miran più dritto che i sofismi stiracchiati di certi giornali quando van facendo le loro evoluzioni da destra a sinistra e viceversa. È vero che quelle brave creature cavano i loro ragionamenti dalla testa e non dalle tasche.
Bisognerà aver amato la patria? Signori, leggete la storia d’ogni paese da Debora a Giuditta, da Clelia a Volunnia, da Giovanna d’Arco a Stamura, dalla Mauroiena e dalla Bobolina alla Mille Marckus, che oggi il governo serbo, con una gratitudine da governo, manda in esilio. E la storia d’Italia? Oh rileggetela dal 1848 al 1860!
Qual grado d’intelligenza sarà dunque necessario per l’esercizio del voto? – Ecco migliaia e migliaia di donne che hanno ottenuto patenti d’insegnamento. – Eccone una miriade che nubili, o vedove, maggiori secondo la legge, fanno i loro affari e vivono nella perfetta indipendenza, godendo senza scialaquo, amministrando senza errori, speculando senza storditaggine, facendo onore ai loro impegni, non dovendo nulla a nessuno. – Eccone migliaia che col lavoro, l’oculatezza, lo spirito pratico, si sono fatte un patrimonio. – Eccone altrettante che hanno salvato i mariti ed i figli da catastrofi economiche ed hanno ripiantata la casa, una e più volte rovinata. – Ecco madri che investite dell’esercizio della patria podestà nell’assenza, nell’interdizione, nella soppressione dei diritti civili dei loro mariti, o nella vedovanza, con le sapienti economie, con gli affari ben fatti, riporranno nelle mani dei figli a loro tempo, il retaggio paterno in ordine ed in aumento. – Ecco mogli, e molte pur troppo, che legalmente separate dai consorti, ebbero un voto di fiducia ben meritato nella consegna della prole, verso la quale han presentato maggiori guarentigie di moralità, di buon ordine, di savio indirizzo educativo. – Ecco una quantità di commerci e di industrie nelle cui vele soffia la fortuna incatenata dall’intelligenza pratica delle donne. – Ecco centinaia d’istituti educativi, prosperi e fiorenti condotti da donne. – Ecco migliaia d’artiste che ogni giorno strappano al pubblico più colto ammirazioni interminabili per sapienti interpretazioni, per divinazioni creatrici. – Ecco una miriade di scrittrici valenti nella letteratura amena e seria, cultrici di scienze speciali ed apostole intelligentissime di riforme sociali.
E siccome la politica non è molto astrusa ed ogni elettore non è tenuto ad avere illustrato il Principe di Macchiavelli, così credo converrete con me che in fatto d’intelligenza si potrebbe reclutare una quantità di elettrici da opporre con gran guadagno a certe masse elettorali delle nostre campagne, che sarebbero dispostissime a pigliare il cane per San Rocco ed il diavolo per San Michele, se non aveste gran cura di metter loro la scheda ben chiara in mano.
Dopo tutto ciò che ho detto, o signori, la ignoranza della donna non può essere allegata qui che in modo relativo. Dite ad una persona intelligente una cosa che ignora e non la ignorerà più, e quindi quando si istituiranno dei corsi di scienze sociali per gli elettori, che ne hanno generalmente bisogno, io vi prometto che li reclamerò anche per le elettrici e ristabiliremo un’altra volta l’equilibrio.
Quello che dell’ignoranza vuol essere detto dell’inesperienza. Trasportatevi in ispirito al 1859. Ricordate le incertezze, le confusioni, le diffidenze, le velleità, le indeterminatezze che portaste nel primo esercizio del voto. Dapertutto si strillava e si arringava. Bisognava dimostrare al popolo di essere liberale. Si provava che Cavour era più radicale di Mazzini, Napoleone III innamorato dell’Italia più che Orsini. Di tempo in tempo la voce di un popolano arginava la tumultuosa eloquenza degli avvocati e dei giornalisti, e tentava di veder chiaro fra quella tempesta di argomenti, di affermazioni, di smentite, di proteste, di programmi e di mozioni. Il popolo se ne tornava da quelle procellose adunanze con la testa grossa e con la persuasione che quegli avvocati e giornalisti erano tanti Cristi e tanti profeti piovutigli dal cielo ad annunciare la buona novella ed il regno di Dio sulla terra; salvo poi a mutarglisi tutti i quadri il giorno appresso passando da un circolo democratico ad un circolo liberale, dal liberale al progressista, dal progressista al patriottico, dal patriotico all’unitario e così via, con una sinonimia di concetto, per così dire, tanto sottile e briccona, da imbrogliare non che la testa di un popolano anche quella del Tommaseo.
Arrivava poi il giorno delle elezioni. Pubblici funzionari alti e bassi, giornalisti ed avvocati, apostoli e candidati, tutti sotto le armi, tutti affaccendati a predicare al popolo, ad illuminarlo, a guidarlo, ad imbeccarlo; i muri parlanti da cento affissi, tappezzati di nomi, di programmi, di promesse, di allarmi, dovunque una confusione nervosa, concitata, convulsa, epilettica. – Il popolo ignorava i nomi, non conosceva le persone, non sapeva la portata del suo diritto, ignorava da quali interessi e di quante speranze fosse gravido il suo voto per coloro che glielo cercavano lisciandolo col pelo in giù, e dava il suo voto ad un recente puntello dei governi cessati credendo darlo ad un vecchio patriota, o spediva al parlamento un affarista credendo porre il suo mandato nelle sacro mani di un apostolo.
Tutto questo significa che non s’impara a nuotare se non gettandosi in acqua o se preferite, secondo la frase del nostro popolo, che il mestiere insegna. – Noi dunque saremmo più giovani di voi di 18 anni nell’esercizio del voto, ma in compenso abbiamo sempre letto i giornali, abbiamo seguito i lavori parlamentari, abbiano sempre pagato le imposte, abbiamo letto con le stesse vostre trepidazioni il resoconto dei bilanci preventivi e consuntivi, abbiamo le tasche vuote al par di voi, sappiamo che cosa ha significato la crisi del 18 marzo, vediamo che vi agitate tutti per qualche cosa che non è soltanto idea e spirito, ma è forma e corpo, ed abbiamo per soprappiù capito anche questo, che i nostri interessi saranno sempre per voi delle tesi accademiche finchè l’esercizio del voto politico non ci porrà in grado di farvene delle tesi pratiche.
Ora è tempo ch’io affronti il terribile capitolo delle influenze. Le donne secondo l’antico adagio umoristico non son gente. – Esse non sanno nulla di nulla e non hanno opinione determinata sopra nessuna cosa; – se le donne voteranno, lo faranno col padre, col marito, con l’amante, con un uomo insomma, con quello che avrà saputo entrar meglio nell’animo loro. – E voi, Signori, che cosa fate? Voi votate la lista del giornale al quale siete abbonati, voi votate con quel capo partito che si è imposto alla vostra venerazione, ai vostri entusiasmi; gl’impiegati votano col capo ufficio, gli ufficiali col generale, i sotto prefetti con i prefetti, i sindaci con i sotto prefetti, i comunisti coi sindaci. – Vi sono poi i voti dei cittadini illuminati non preparati dall’apostolato dei giornali e dei circoli, voti che arieggiano gl’indipendenti, ma ahimè, sono forse sacerdoti del dio nascosto nelle casse delle spese segrete.
E temete le influenze per le donne? me ne appello ai padri che fanno allevare le loro figlie in conventi per poi vederle brillare in ambienti profani, ne faccio appello ai non pochi mariti per l’emancipazione dei quali scriverei volentieri un volume, ne appello al sig. Proudhon scandolezzato dalla ribellione che circola fra le file delle donne intelligenti contro tutte le pressioni consacrate dai secoli, ne faccio appello a quelle donne coraggiose, che in tutti i paesi, hanno preso nobilissime e non infeconde iniziative, lasciando che intorno a loro si declamasse, si ridesse, si calunniasse, con anima d’apostoli ed abnegazione di martiri – Che più? ne faccio appello al fatto che vi stà dinanzi, o signori, su questa donna che vi parla è passato il tempo e la esperienza, ma le idee e la coscienza sono incrollabili.
Ma voi non vi date per vinti. – Queste influenze determinate dal sentimento sono mutevoli e fortunose – ma v’è una influenza terribile, antica, che soggioga molti uomini e gran parte delle donne, non nelle opinioni soltanto che subiscono il controllo della ragione, non negli affetti che si spostano, ma le afferra nell’intima coscienza, impone la fede e vieta l’esame, le conquide con i terrori dell’avvenire, paralizza in germe ogni forza vitale che tentasse bilanciarla, comanda, regna e governa in nome di Dio, l’influenza del prete.
Per non sottrarmi a nessuna delle difficoltà inerenti al mio compito, aggiungerò per conto vostro, che la propaggine sacerdotale deve gran parte della sua forza a questo appoggio che trova nelle donne; che duttile, elastica, cosmopolitica, essa accarezza la repubblica in America, il legittimismo in Ispagna, l’imperialismo in Francia, l’autonomia in Ungheria, la rivolta in Polonia, il dispotismo in Turchia, dapertutto l’elemento che lusinga i suoi interessi e promuove la sua prosperità. – Rigida nel principio, versatile nelle forme, assoluta nell’ordine ideale, estremamente relativa nell’ordine pratico, essa ha capito esser la donna una specie di rete coperta che mantiene le sue relazioni nel mondo laico tanto più comodamente in quanto sfugge all’apparato delle relazioni ufficiali e tanto più profittevolmente in quanto si toglie alla coercizione delle forme sociali, non lasciando documenti che aiutino ad apprezzarne l’attività. – Egli è perciò che ovunque si chiesero larghezze per la donna, la parte illuminata del partito clericale, ben lungi dal dar di piglio alle furibonde diatrìbe dei vecchi padri del Cristianesimo, l’aiutò galantemente a rialzarsi, unì la sua voce a quella dei liberali, vantò con lei tutto quello che la Chiesa fece per sottrarla all’abuso pagano della forza e chiese libertà per lei come per tutti.
Come vedete, o Signori, io spingo la lealtà fin dove potete desiderarla e non fuggo la battaglia sopra nessun terreno.
Voi sapete meglio di me perchè la Chiesa fece con la donna un’amicizia così salda e così antica. – I titoli di benemerenza ch’essa vanta presso la donna datano dal suo stesso avvenimento nel mondo, sono veri e reali, sono grandissimi, ed i legislatori sel sanno senza avere la sagacia di scongiurare quella influenza acquistando verso la donna titoli maggiori.
Emigrando dall’Oriente all’Occidente il cristianesimo svestì la scoria locale. La monogamia insegnò il rispetto di quei sentimenti gelosi, dei quali l’uomo fece sempre gran caso per sè e che riescì con la poligamia ad atrofizzare nella donna.
Con l’indissolubilità del matrimonio insegnò il culto di quelle facoltà morali che fanno della donna la tutela ed il consiglio della famiglia e sottrasse la sua vecchiezza al selvaggio disprezzo della debolezza e dell’impotenza. – Con il culto della verginità volontaria la sottrasse, giovine e bella, all’intemperante autorità dei padri pagani ed insegnò al forte il rispetto di una volontà, che faceva omaggio dei più cari tesori di natura ad un’Essere superiore all’uomo.
La morale cristiana si trovò sempre sui passi della donna per ispaganizzare a di lei riguardo i legislatori, per mitigare il rigore dei codici, per condannare le loro ingiustizie, per proclamare l’unità della morale, per soffocare nelle coscienze dei cristiani quei principî brutali, che le leggi ispirate dal pensiero laico non hanno ancora smessi ed insegnano l’abuso della buona fede e della ignoranza ed assicurano la irresponsabilità ai furbi senza cuore. – A grande fatica riescirono oggi le donne ad inscriversi come studenti nelle università laiche; ma quando Bologna era dei papi vide la donna su tutte le cattedre. Molte Accademie laiche le danno l’ostracismo oggi ancora, ma il Campidoglio quando non servì più al trionfo selvaggio della conquista s’inghirlandò dei miti allori della Scienza e della Poesia e non fece differenza fra i sessi. – Che più?
Il Cristianesimo, erede del mosaismo ora misogino, ma esso colmò la lacuna escogitando nel suo grembo il bel tipo della Vergine madre, lo idealizzò, ne fece la deipara, la corredentrice dell’umanità. Alla sua stregua la santità redime completamente la donna dall’inferiorità nella quale il cristianesimo l’ha trovata. Non si domandi se è giovine od attempata, se bella o deforme, se piace o meno all’occhio dell’uomo. È in lei un valore che si innalza al disopra d’ogni umano apprezzamento. È Santa. Al suo tugurio accorreranno piccoli e grandi, pontefici e re, popoli e guerrieri, e baceranno devoti il lembo delle sue vesti. Alla sua tomba si appenderanno voti, ai suoi templi si profonderanno tesori, ai suoi altari si arderanno incensi, al suo nome si disposa l’immortalità felice e gloriosa della divinità.
Signori, non vi meravigliate dunque che il clero, il quale, più o meno scientemente, rappresenta questo ordine di ideali, abbia dell’influenza sulla donna. Non è debolezza di spirito in lei, non è pregiudizio, è giusto senso dei suoi interessi.
È ben vero che vi sono qua e là oratori che dalle sacre bigoncie scagliano in capo alla donna le vecchie invettive di S. Basilio, di Sant’Epifanio, di San Giovanni Grisostomo e di tutti quei vecchi padri del cristianesimo, che, orientali innanzi tutto, ripugnavano dallo spirito democratico del cristianesimo e non potevano inghiottire le larghezze ch’esso portava alla donna. Ma quando sento quei sacerdoti diseppellire quei santi rancori e buttarceli in viso con una stizza che non è nè dei tempi, avvezzi a discutere ogni cosa, nè dei paesi dove la libertà e la personalità sono rispettate, nè del cristianesimo che abborre da ogni oppressione e reppressione, non ne rilevo che la poca accortezza dell’oratore che si stacca dalla parte illuminata del suo partito.
Tuttociò vi prova, o signori, che noi siamo fatte all’intutto come voi. Amiamo quello che ci giova.
Perchè amate voi gli ordinamenti liberali? perchè rispondono ai vostri bisogni, al vostro amor proprio, ai vostri interessi nel maggior possibile numero ed estensione4.
Ora questi ordinamenti, così come stanno, soddisfano essi egualmente ai nostri bisogni ed alla nostra dignità di persone e di cittadine, che contribuiscono al par di voi alle spese dello Stato, al decoro del paese, alla prosperità della patria? Che cosa gli ordinamenti democratici hanno fatto per noi? Ci hanno tolto il voto amministrativo, sicchè abbiamo pagato finora le imposte comunali senza che fossimo onorate di vederne il perchè. Ci hanno tolto maritate la libera amministrazione dei nostri beni, hanno riconfermato la irresponsabilità ai seduttori, ai mariti il diritto d’assenza, ai padri l’esercizio esclusivo della patria potestà, han ricopiato tutte le nostre pretese incapacità, finalmente ci han messe a fascio coi deliranti, coi malfattori, coi mentecatti.
E vi lagnate dell’influenza clericale? Perchè dunque ridete, o legislatori, quando vi si parla delle nostre condizioni impossibili come gente che ha orecchie e non intende?
Perchè, o avvocati, vi fregate le mani e dite che il nuovo Codice ha segnato un gran progresso e che non si poteva fare di più? Non vedete che la morale cristiana, che molti di voi chiamano incadaverita e mummificata, vi precede ancora di secoli?
Però volete voi smagare la influenza clericale? riconosceteci elettrici. Non avete tempo, non avete gusto ad occuparvi di noi, fatene a meno. Dateci il voto, e basta. Alla domane del decreto che ci accorda il voto si trova come per incanto che voi tutti fate gran caso della nostra intelligenza politica, e ne siete così persuasi che venite a dimostrarci di esser tutti migliori gli uni degli altri.
Per incanto le mozioni in favor della donna scendono dalla montagna parlamentare e si diffondono nella pianura, invadono la destra ed il centro. Ieri si rideva, oggi si discute, domani si voterà. La mozione strana, comica, intempestiva, piovuta ieri come un bolide non si sa donde, nè perchè, ha superato rapidamente tutti i gradi numerici della minoranza ed ha raggiunto la maggioranza e la fusione degli interessi delle elettrici con quelli dei deputati, avrà finalmente guarito il corpo legislativo da una forma morbosa di buon umore, che minaccia di farsi organica a discapito di quella riverenza che deve ispirare anche alle elettrici.
La donna si affezionerà consapevolmente ad un ordine di cose che fornisce un obiettivo alla sua intelligenza e guarentisce i suoi interessi, e l’influenza clericale verrà soffocata per le ragioni medesime che l’hanno creata nel passato.
Restami ora a dire un’ultima parola intorno all’inopportunità di questa innovazione ed è questa, non lo dissimulo, la parte più incresciosa, del mio discorso, poichè se discutendo le altre obiezioni ho dovuto rivolgermi alle diverse gradazioni dei partiti nazionali pei quali è più o meno discutibile il principio medesimo, per combattere questa mi è d’uopo guardare alla sinistra, poichè da lei sola, che ammette il principio, può partire, e parte, questa paurosa, illogica e vaga obiezione.
Che cosa è l’opportunità? Quali ne sono i caratteri? Come l’accertate voi?
Per me, l’opportunità è un concorso di circostanze omogenee o compatibili con l’affermazione dell’oggetto che si considera. – E che cosa vedete voi quì dentro che sia inconciliabile col voto politico della donna? Le circostanze omogenee in questo caso sono, il trovarsi in esse i requisiti che si esigono dagli elettori, la possibilità di seguire nella scarsa misura convenevole gli avvenimenti politici, interessi e bisogni da guarentire, la possibilità materiale di compiere l’atto del voto. – Ora quale di queste condizioni manca alla donna?
Io temo piuttosto, e ve ne preparo fatte tutte le mie scuse, che l’inopportunità sia tutta nelle disposizioni dell’animo vostro, o nel non esservi abbastanza convinti dell’identità dei principî che reggono le sorti umane in ambo i termini della specie. Deplorabile incoerenza che vorrei tutta attribuire a deficenza d’intelletto anzichè a bassi e privati moventi!
So infatti che i re non hanno mai riconosciuto l’opportunità delle repubbliche ed i papi non hanno mai creduto un momento alla opportunità del libero esame. Ma re e papi tengono le radici nella tradizione ed in un ordine di idee assoluto immutabile. Il loro non possumus è la resistenza della logica. Ma voi con quale diritto e con quale logica respingete la conseguenza di idee che sono la ragione dell’essere vostro?
«Voi circuite il mare e la terra per fare un proselite, sclamava Cristo, indignato della doppiezza dei Farisei, e quando l’avete trovato ne fate un figliuol della Geenna peggio di voi, giacchè la vostra gloria cercate e non la salute degli uomini. Guai a voi, ipocriti, perchè il regno di Dio si avvicina!»
Voi, democratici, udiste le grida di dolore dei negri, voi combatteste per la libertà del Greci, voi protestaste contro il governo personale di Francia, voi fremete pei cristiani d’Oriente, ma volete mantenere la servitù nelle vostre case stesse, perchè lì dove voi signoreggiate, lì soltanto non vi pare opportuna la libertà – Guai a voi democratici apocrifi, perchè le idee si faranno ragione anche di voi, e l’avvenire metterà a nudo il vostro liberalismo a doppio fondo!
Io sono giunta alla fine del mio lungo discorso.
Ho dimostrato che le condizioni giuridiche delle italiane non rispondono ai nostri costumi, nè al pensiero che viene informando tutte le istituzioni moderne. – Non ho avuto bisogno di dimostrare che a noi non si pensa, o non si provvede che avaramente, dacchè dopo 17 anni di libero governo ci si ridona oggi quello che il governo straniero non ci aveva negato mai, il voto amministrativo, contro il quale ancora si sollevano taluni, che in questi tempi di ibridismo politico, dovrò chiamare radicali-opportunisti.
Ho dimostrato come questo stato di cose non può mutarsi per noi fino a che non avremo col voto politico il diritto d’imporre ai deputati lo studio e la sollecitudine dei nostri interessi, epperò, signore mie, vi invito a chiederlo apertamente e direttamente al Parlamento.
Non lo otterremo. Tutti gli italiani vogliono riforme in tutti i rami della pubblica amministrazione e non ottengono e non otterranno nulla, o quasi nulla, per la ragione che i due famosi beni inseparabili sono semplicemente incompatibili, e quello dei due che si trova più largo non crede all’opportunità di restringere sè stesso per far posto all’altro.
Non otterremo, ma avremo affermata la nostra maturità e la nostra volontà; non otterremo oggi e noi ci ripresenteremo domani, eppoi ancora, eppoi sempre, fino a che posto fra l’uscio ed il muro dall’ammasso dei conti arretrati, il privilegio creda finalmente all’opportunità di concedere quel che gli sfugge e la democrazia abbia capito la necessità della logica.
Non posso finire senza rendere un sentito omaggio alla scuola sociale di G. Mazzini, che informata ai principî di una morale giovine e purissima, tende a redimere la crescente generazione dal macchiavellismo, e ferma ai principî accoglie la donna, e non accetta al suo dritto limitazione nessuna, ed egual gratitudine professo a molti uomini che affigliati a partiti che non riconoscono in principio il dritto della donna, pure per senso d’equità, per animo nobile e generoso, vorrebbero le sue condizioni migliorate, nè meno grata mi dichiaro alla Società democratica, i cui membri, se non tutti per avventura accettano le mie idee, pure guardando con simpatia ad ogni sforzo che mira al progresso sociale, ha aperto volonterosa le sue porte alla mia tesi.
Ma l’omaggio più cordiale di gratitudine porgo al nobilissimo Cairoli che prese in seno alla Commissione per la Riforma elettorale l’iniziativa per la ricognizione del voto politico alla donna; che se il suo progetto non ebbe successo, non minore vuol essere l’ammirazione e la compiacenza dell’animo pel nobile atto, perchè quando una causa è alla vigilia del suo trionfo, le menti più anguste ed i caratteri più incerti le si proclamano ed improvvisano profeti ed apostoli, non così quando la lotta si prevede ancora lunga e la gloria del successo lontana.
Ed ora, signore mie, converrete con me che sarebbe stato più che ozioso, l’invitarvi ad udire com’io la pensi sopra un argomento, nel quale, quand’anche le mie opinioni non fossero note poco premerebbe conoscerle. Si è oggi più che mai ristucchi di parole che non concludono a fatti.
Epperò io non farò il torto alla vostra intelligenza di inventare una perorazione per decidervi ad apporre i vostri nomi alla seguente petizione diretta ai due rami del Parlamento onde ci sia accordato il voto politico.
La direzione del Giornale La Donna, scritto esclusivamente da donne e che da ormai nove anni tiene alta la bandiera dei nostri diritti, si è incaricata di raccogliere le firme e ricapitarle.
Signori Senatori, Signori Deputati.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri nel suo programma di Governo, il quale ebbe efficacia di commuovere a speranza tutti gli italiani, stigmatizzò alcune leggi che basandosi sopra nude presunzioni legali infirmano la realtà.
Ora una classe innumerevole di cittadini trovasi avviluppata in una veste giuridica, la quale, emanazione di tempi disparati, reliquia di tradizioni antiquate, che il progresso delle scienze sociali ha demolite da ogni altra parte, rappezzatura di dritto romano e di dritto consuetudinario straniero, astrae dalla realtà presente e si afferma come un fatto isolato nel corpo delle istituzioni moderne.
Ora questa massa di cittadini che ha diritti e doveri, bisogni ed interessi, censo e capacità, non ha presso il corpo legislativo nessuna legale rappresentanza, sicchè l’eco della sua vita non vi penetra che di straforo e vi è ascoltata a mala pena.
Noi italiane ci rivolgiamo perciò a quel parlamento, che col Governo ha convenuto doversi alla presunzione sostituire la realtà, affinchè posti in disparte i dottrinarî apprezzamenti e le divagazioni accademiche sulla entità e modalità della nostra natura, e sul carattere della nostra missione, voglia, considerandoci nei nostri soli rapporti con lo Stato, riguardarci per quello che siamo veramente: cittadine, contribuenti e capaci, epperò non passibili, davanti al diritto di voto, che di quelle limitazioni che sono o verranno sancite per gli altri elettori.
A questa parità di trattamento con i cittadini dell’altro sesso, non conoscendo noi altro ostacolo che la tutela della donna maritata, domandiamo che sia tolta, come non d’altro originata che dalla legale presunzione della nostra incapacità, facendo noi considerare agli onorevoli legislatori, che avendo il governo italiano promosso con ogni cura l’istruzione femminile e trovandoci noi, perciò, al giorno d’oggi, alla eguale portata intellettuale di una quantità di elettori che il legislatore dichiara capaci, stimiamo che nulla osti acchè venga a noi pure accordato il voto politico, senza del quale i nostri interessi non sono tutelati ed i nostri bisogni rimangono ignoti.
Fiduciose nella saviezza e giustizia dei legislatori, le sottoscritte insistono perchè sia fatta ragione alla loro domanda.
Milano | A. Maria Mozzoni. |
- ↑ Alcuno potrebbe obiettarmi qui, se non sarebbe da porsi ogni studio a ricostituire la famiglia anzichè assecondarne le tendenze dissolventi.
Troppo vi sarebbe a dire su questo argomento e troppo quindi mi dilungherei dalla meta. Ora quindi constato un fatto ed una tendenza, senza ragionarla e senza giustificarla. - ↑ Il titolo che riguarda l’adulterio è veramente il più inutile del nostro codice, poichè la querela per l’adulterio è affatto scomparsa dai nostri costumi. Gli afflitti eredi di Menelao hanno imparato a spese del patriarca a non levar troppo rumore nel mondo per le loro sconfitte segrete. A forza di circondare il marito di diritti e d’autorità, e di dichiarare, debole, suddita, pupilla, imbecille la moglie, la legge ha ottenuto di rendere ridicolo quello quando è ingannato e sconfitto da questa, e v’è una maligna congiura nella nostra società perchè egli solo lo ignori. Tutto questo è egli brutto quanto pare a prima vista? – Non saprei. – Trattandosi di pari direi che è una bassa e vigliacca slealtà, ma visto che l’uno dei due per ragione di leggi e di costumi non è mai ben padrone di sè, il criterio della lealtà non è assolutamente applicabile.
Dal canto loro i mariti nei loro momenti di desolazione di spirito troveranno qualche conforto nel consiglio evangelico che certamente nella mente di Cristo mirava al loro indirizzo: «Perdonate per essere perdonati.» - ↑ Hanno essi mai pensato i legislatori che per noi il giurì non esiste, e che un certo spirito di sesso, che ha qualche analogia con lo spirito di corpo, rende in molti casi niente affatto rassicurante il giurì maschile nel giudizio dei reati femminili?
- ↑ L’illustre Autore degli studî sulla Filosofia del diritto pubblico interno, conte Luigi Montagnini, così definisce, a carte 144 del suo terzo volume, le convenienze del regime costituzionale del quale egli è dottissimo campione e storico: «Il reggimento costituzionale nel quale si concilia la libertà degli atti legali e della parola con l’eguaglianza civile, l’ordine e la sicurezza con la facilità di soddisfare l’ambizione legittima degli uomini d’ingegno atti a salire sino ai sommi gradi del pubblico governo, è il solo fra tutti che meglio si contempera alle cupide aspirazioni della natura umana.»
Secondo lo stesso Autore il binomio sociale è la forza e l’interesse, e questa sua affermazione ha certo per sè l’illustrazione della storia intera.
Ma sarebbe egli sperar troppo dall’umanità, nutrendo fede che il rischiaramento progressivo della coscienze sostituisca la forza morale, cioè il diritto, alla forza empirica della materia, sicchè questa contemplasse e rispettasse gl’interessi di tutti?