Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/107


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L’uomo stava già seduto sul lettuccio, ed era veramente pallido in viso come si sentisse male: anche la luce, nella stanza, era smorta, e tutte le cose intorno parevano atterrite dal delitto che doveva succedere.

Gina però adesso aveva ripreso un po’ di coscienza: sentiva, sempre più lontane, le voci del marito e dei cognati e le pareva fossero loro a combattere il pericolo terribile al quale ella andava incontro. Eppure, perchè ci andava? Ella non lo sapeva: qualche cosa di più forte della sua volontà, del suo stesso desiderio sensuale, come l’attrazione dell’abisso, la chiamava: l’illusione forse di ascoltare finalmente la voce misteriosa dell’amore.

Versò il caffè nella tazza, vi mescolò lo zucchero, si avvicinò cauta all’uomo che l’aspettava col viso reclinato e gli occhi bassi, vinto anche lui dall’impeto del proprio sangue nemico.

— Adesso egli mi prende le mani, o si avvinghia alle mie ginocchia e piange di passione, — ella pensava: e la sua voce era rauca, nel pronunziare le parole d’ogni momento!

— Ecco il caffè, Pietro. Ti senti male?

Egli sollevò il viso, la guardò con gli oc-