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maravigliarsi che il Purgatorio sia purgatorio e non inferno. O se pur vogliamo maravigliarci di qualche cosa, maravigliamoci che il poeta abbia potuto così compiutamente dimenticare l’antico sè stesso, le sue abitudini di concepire, di disporre, di colorire, e seppellito in questo nuovo mondo ricrearsi l’ingegno e la fantasia a quella immagine, e con tanta spontaneità che pare non se ne accorga: obblio dell’anima nella cosa, il secreto della vita, dell’amore e del genio.
L’inferno è il regno della carne che scende con costante regresso sino a Lucifero. Il purgatorio è il regno dello spirito che sale di grado in grado sino al Paradiso. È là che si sviluppa il mistero, la commedia dell’anima, la quale dall’estremo del male si riscote e si sente e mediante l’espiazione e il dolore si purifica e si salva. Onde con senso profondo il purgatorio esce dall’ultima bolgia infernale, e Lucifero, principe delle tenebre, è quello stesso per le spalle del quale Dante salendo esce a riveder le stelle.
Ci è un avanti-purgatorio, dove la carne fa la sua ultima apparizione. Il suo potere non è più al di dentro; l’anima è già libera: della carne non resta che la mala abitudine. Gradazione finissima e altamente comica, dalla quale è uscito l’immortale ritratto di Belacqua, caricatura felicissima nella figura, ne’ movimenti, nelle parole, e tanto più comica quanto più Belacqua si sforza di rimaner serio, usando un’ironia che si volge contro di lui.
Questo avanti-purgatorio è quasi una transizione tra l’inferno e il purgatorio; il peccato vi è e non v’è; è ancora nell’abitudine, non è più nell’anima; il demonio ci sta sotto la forma del serpente d’Eva, involto tra le erbe e i fiori, cacciato via da due Angioli dalle vesti e dalle ali di color verde, simbolo della speranza. Comparisce per scomparire, quasi per far testimonianza che se ne va dalla scena per sempre. Innanzi alla porta del purgato-