Globalizzazione - Wikipedia
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Globalizzazione
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Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a
livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e culturale tra
i Paesi del mondo.
Il termine globalizzazione, di uso recente, è stato utilizzato dagli economisti, a partire dal 1981, per riferirsi
prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende. Il fenomeno invece va
inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su
scala mondiale che, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile
accelerazione.
Sebbene molti preferiscano considerare semplicisticamente questo fenomeno solo a partire dalla fine del XX
secolo, osservatori attenti alla storia parlano di globalizzazione anche nei secoli passati. Ma erano tempi
diversi in cui la globalizzazione si identificava, pressoché essenzialmente, nell'internazionalizzazione delle
attività di produzione e degli scambi commerciali.
Indice
1 Economia
2 Critiche e controversie
3 Comunicazioni e cultura
4 Pro e Contro della globalizzazione
5 Origini della globalizzazione
6 Bibliografia
7 Note
8 Voci correlate
9 Altri progetti
10 Collegamenti esterni
L'economista Giancarlo Pallavicini afferma che, anche per effetto della tecnologia informatica, essa può
definirsi come "uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, non soltanto economico-finanziarie, pur
preminenti, tra le diverse aree del globo, con modalità e tempi tali da far sì che ciò che avviene in un'area si
ripercuota anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli
interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare correntemente,anche per la
simultaneità tra l'azione ed il cambiamento che essa produce"[1].
I dibattiti riguardo al suo effetto sui paesi in via di sviluppo sono infatti molto accesi: secondo i fautori della
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Secondo gli attivisti del movimento no-global essa causerebbe invece un impoverimento maggiore dei paesi
poveri, attribuendo sempre più potere alle multinazionali, favorendo lo spostamento della produzione dai
paesi più industrializzati a quelli in via di sviluppo, zone franche i cui tutti i diritti umani non sono garantiti e
dove i salari sono più bassi. Il tutto senza dare reali benefici alla popolazione del posto, anzi distruggendone
buona parte dell'economia locale[2]. I new-global asseriscono che uno stato nazionale, limitato entro i propri
confini, non può più dettare regole ad imprese transnazionali, capaci di aggirare con la loro influenza ogni
barriera politica e condizionare le decisioni dei governi.
Il potere dello stato viene inoltre smantellato dalla possibilità di pagare le tasse dove costa meno, giocando
sulla sede fiscale. Una delle proposte è appunto l'abolizione dei cosiddetti paradisi fiscali[3]. Gli attivisti del
movimento precisano però che non sono contro la globalizzazione ma per un diverso modello di essa, più
solidale, che tenga più conto delle diversità culturali e non cerchi di omologare tutto il pianeta sul modello
occidentale. È molto criticato il fatto che sia stata attuata in modo selvaggio senza assumere dentro i criteri
del commercio internazionale un limite allo sfruttamento delle risorse umane e ambientali, il cosiddetto
sviluppo sostenibile.
Uno studio effettuato da Pranab Bardhan dell'Università di California, basato su dati della Banca Mondiale,
sostiene però che la globalizzazione non abbia reso nel complesso i paesi più poveri, ma che nemmeno abbia
avuto grande influenza nella riduzione della povertà. Avrebbero invece effetto decisamente maggiore alcuni
miglioramenti delle politiche interne dei paesi, quali lo sviluppo della rete infrastrutturale, il perseguimento
della stabilità politica, le riforme del sistema agrario e il miglioramento dell'assistenza sociale[4].
Il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, teorico della finanza etica e fondatore della Grameen Bank,
sostiene però che l'Organizzazione Mondiale del Commercio sia un bulldozer al servizio delle maggiori
economie, come gli Stati Uniti, che pretendono la libertà di vendere in qualsiasi mercato, ma che spesso
temono, in casa loro, anche la concorrenza più piccola e innocua di qualche prodotto agricolo o
artigianale; aggiunge inoltre che è necessario promuovere delle forme di aiuto sostenibile affinché la
globalizzazione possa davvero essere utile allo sviluppo[5].
Secondo il rapporto di Amnesty International con la globalizzazione il potere scivola dalle mani degli Stati
e si sposta "silenziosamente" in quelle delle multinazionali, che diventano i nuovi interlocutori nelle
campagne per la difesa dei diritti umani in tutto il mondo[6].
L'economista indiana Vandana Shiva asserisce che la globalizzazione ha prodotto in India suicidi di massa tra
i contadini, strozzati dai debiti per l'aumento dei costi di produzione e la caduta dei prezzi. In India l'ingresso
nel paese delle grande multinazionali come la Monsanto - con l'obbligo di acquistare da loro le sementi
industriali dal costo sempre più elevato, biologicamente modificate e utilizzabili solo per un raccolto - si sta
traducendo in una rovina per i piccoli agricoltori. Vandana Shiva aggiunge inoltre che capitalismo globale e
fragili equilibri ecologici, avidità e violenza contro i più deboli sono da combattere con la disobbedienza
civile[7].
Durante la messa dell'Epifania del gennaio 2008 Papa Benedetto XVI afferma che non si può dire che la
globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt'altro e aggiunge: i conflitti per la supremazia
economica e l'accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il
lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale[8].
Effetti indiretti della globalizzazione sono le ripercussioni sull'ambiente e sull'inquinamento dell'aria, causate
dall'industrializzazione e dall'aumento dei trasporti.
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comunicazione come internet, che oltrepassano le vecchie frontiere nazionali. Nello stesso campo il termine
indica la progressiva diffusione dei notiziari locali su temi internazionali.
Il termine globalizzazione è utilizzato anche in ambito culturale ed indica genericamente il fatto che
nell'epoca contemporanea ci si trova spesso a rapportarsi con le altre culture, sia a livello individuale a causa
di migrazioni stabili, sia nazionale nei rapporti tra gli stati. Spesso ci si riferisce anche all'elevata e crescente
mobilità delle persone con una permanenza limitata temporalmente (turisti, uomini di affari, etc.).
Per quanto riguarda l'economia per esempio, diversi autori sottolineano che il sistema degli scambi
internazionali era più globalizzato negli anni precedenti il 1914 di quanto non sia attualmente[9], che i
sistemi economici sono comunque fondamentalmente a base nazionale e anche quelli di dimensione
tendenzialmente continentale presentano diversi aspetti di chiusura (cfr., in agricoltura, le politiche
protezionistiche dell'Unione Europea). D'altra parte, Amartya Sen[10] sostiene che processi di
globalizzazione sono in corso da almeno un millennio, affogando così il concetto e le pratiche che lo
sottendono nel mare magnum della lunga durata. Anche questo invita a maneggiare il concetto con una certa
cautela.
In ogni caso, nella coscienza dei popoli il fenomeno si sta consolidando insieme alla diffusione del punto di
vista globale ed all'impegno concreto per un mondo migliore al di là dei propri interessi personali e dei
confini nazionali. Si parla sempre più spesso di "globalizzazione dei diritti" e perciò di rispetto dell'ambiente,
di eliminazione povertà, di abolizione della pena di morte ed emancipazione femminile in tutti i paesi del
mondo.
Di pari passo alla diffusione di notizie su scala mondiale ed alla progressiva presa di coscienza delle
problematiche globali, cominciano a svolgersi grandi manifestazioni con la partecipazione contemporanea in
numerose località di decine di milioni di persone.
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