Giorgio Steimez
Giorgio Steimez
Giorgio Steimez
Questo è Cefis.
L’altra faccia dell’onorato presidente
Le vite parallele
L'uomo potente, arrivato. Fin nella stanza dei bottoni dello Stato: quello
vuole, può staccare la corrente o provocare un corto circuito, come nel caso
della Montecatini Edison. Il Cavaliere del Lavoro Eugenio Cefis ha fatto un
mucchio di strada dai tempi di Raffaele Cadorna. Nell'anno centenario della
Breccia, Cadorna è doppiamente un simbolo. Perché il loico Cefis sa che sul
mercato politico non rimane impossibile neppure farsi sentire dietro il Portone
di Bronzo.
Le vie del Signore sono infinite, e sapremo indicarne alcune lungo le quali
agile e dinamico il Presidente dell'ENI amministra i talenti ricevuti dalla
Provvidenza e dalla sorte. Difficile resistergli, perchè sa condizionare, anzi è
uno dei pochi in Italia che possa permettersi un lusso così insolito. Ci hanno
provato, e ci prova no, le unità da sbarco della stampa: con il «Giorno» e
l'Agenzia Italia - i gialli a sei zampe - egli fa piazza pulita, scatena attacchi
frontali di singolare efficacia (data la strategia politica ambivalente dei due
strumenti d'informazione), lanciando nel frattempo, come un Piano Marshall,
merci (leggi: pubblicità) e mezzi persuasivi (leggi: contributi) per sanare gli
inevitabili danni del conflitto.
E' sintomatico che lo stesso «Borghese», fascista e libertino indomabile,
tradizionale avversario dell'ENI sua vittima settimanale, da qualche anno abbia
steso un velo di silenzio, fregiandosi di un più remunerativo richiamo acritico,
qual è la pubblicità Agip. Decisamente oggi in Italia nessuno può permettersi il
suicidio a rate, parlando male dell'ENI o del suo Presidente. I pamphlet di
circostanza sono ancora rintracciabili sulle bancarelle di libri usati. Neppure
l'indocile e scatenato Montanelli può infrangere gli ordini di scuderia: tanto allo
Spadolini e ai Crespi giova di più la biada pubblicitaria dell'emirato petrolifero
nazionale che una carica dimostrativa contro il pachiderma.
Il silenzio si paga. In buoni benzina o controcopertine col cane a sei zampe. Si
richiede soltanto mansuetudine, discrezione - specie nella lettura dei bilanci
dell'ENI - , deferenza per il gigante di Metanopoli. Soprattutto ignorando, in
bene e in male, Eugenio Cefis. Bisogna chiudere gli occhi, graziosamente, sui
criteri di gestione, sugli appalti, sulle concessioni, sulla politica estera, sui
contributi, sui finanziamenti, sulle partecipazioni morali dell'Ente Idrocarburi.
Aureole su legno
Le ragnatele politiche
Che Mattei sia morto povero, è leggenda, per di più meschina. Come
quella dello stipendio versato puntualmente alle suore di clausura di Matelica.
Ha lasciato miliardi, spartiti regolarmente vedova tra e i fratelli. Il disinteresse
dei grandi uomini appartiene alla produzione biografica su misura. In un certo
senso essi non sono legati al danaro, si conducono in pubblico (e talvolta anche
in privato) con sobrietà, distacco, semplicità. Doti tassative di un uomo d'affari
impegnato. Anche se non giungono all'avarizia sordida dei celebri finanzieri
non solo ebrei del passato, affettano solitamente disprezzo e noncuranza per i
beni di questo mondo, assicurandosi nel contempo il conforto (non
disprezzabile) della gloria, con tutte le indennità accessorie e i frutti pendenti.
Quanto basta insomma per garantirsi un avvenire tranquillo.
In fondo troviamo comprensibile che chi serve alla causa debba pur vivere
della causa. Il jet personale, i tappeti di Persia, i tableaux primitivi per grazia
ricevuta, un lago in proprietà, non sono (e non erano) che accidenti scolastici
del ruolo, come la parrucca per i giudici inglesi o i guanti bianchi dell'autista.
Tutte cianfrusaglie annesse al rito, alla funzione, alla carica.
Così è una convenzione di comodo, una battuta di spirito abbastanza agra
quella che vede in Cefis un funzionario dello Stato. I1 friulano prestato all'ENI
ha i suoi bravi ed onesti interessi nazionali, come dimostreremo, che manda
avanti personalmente e ricorre alla procura, con un colpo di telefono della
«Chioscasadieci» per quelli delle piantagioni all'estero. Se il Piano '80, nel
conto profitti-perdite, andasse a pallino e lo stipendio del Presidente dovesse
venir tagliato, occorre ben garantirsi qualcos'altro oltre la collezione di ex-voto.
Del resto, tolte queste elementari previdenze, Eugenio Cefis è tutto dedito alla
guerriglia: è il suo mestiere antico. La sua staff di assistenti e strateghi lavora
con discrezione decisa, si serve di consulenze eccellenti e di esperti politici
esemplari.
Siamo all'inizio di un discorso: è ovvio. Appena un'introduzione, la nostra,
anzi una premessa: sull'ENI come forza d'urto, come strumento e avallo
finanziario. Quello che Cefis sa benissimo è che tutto non si può comprare. I
nostri (ex) voti ed altri non di sicuro. Ma lui è saggio e oculato, come un
crociato sotto non di sicuro. Ma lui è saggio e oculato, come un crociato sotto le
mura assediate di Gerusalemme...
CAPITOLO II
La maschera e il volto
Quanto a fiuto, Mattei prima, Cefis oggi, battono con diverse lunghezze
quello del celebre cane a sei zampe, mascotte della Casa. Può darsi che la
genialità coincida con l'odorato; nel nostro caso è fuor di questione. Il naso
all'aria, a sentir fremere le occasioni, a scrutare la direzione dei venti e il corso
delle stelle (politiche). Comunque prima di diventare il barone del
(fantomatico) petrolio italiano, Cefis non pareva un genio, né l'accompagnava,
fausta, la cometa dal breve spazio celeste del Friuli alla grande metropoli
lombarda.
Ma ecco la bacchetta magica, il colpo di fortuna, l'occasione storica; negli
anfratti delle Montagne (sacre, e con la maiuscola, ai fasti dell'epoca), la
guerriglia, la macchia, i sabotaggi, i colpi di mano di quell'episodio eccezionale
della nostra ultima fase risorgimentale che è la lotta per la Liberazione.
Forse indugiamo e ritorniamo troppo spesso su questo momento biografico,
determinante nella vita e nelle fortune dei grandi patrons dell'ENI. Certo che
oggi come ieri sembra che la battaglia non sia finita: per lunghi anni, appunto,
il ridanciano e grassoccio settimanale «Borghese» per antonomasia ha sparato
a zero proprio sul vecchio lupo dell'AGIP. Se attualmente le batterie tacciono -
benché la caccia al fascista abbia sostituito quella alle streghe nella civiltà dei
consumi - vuol dire che Eugenio Cefis, questo personaggio che sembra
l'edizione borghese e capitalistica dell'Abbé Bonissan, di Bernanos, ha saputo
fare meglio del predecessore. Ridurre al silenzio e con argomenti persuasivi, è
uno dei tratti di ingegno più rimarchevoli del Presidente dell'ENI.
Freddo e distaccato, sprovvisto di calore umano; cortese quel tanto che basta a
salvar le forme e a rimanere nel clichè dell'operoso, distratto ma
condiscendente, altissimo manager; dotato del tipico sottocontrollo di chi è
arrivato e non ha più ginocchi da piegare e sorrisi da incorniciare; sufficiente
con eleganza; temperante nelle effusioni di prammatica, sino al gesto
confidente d'una sigaretta per attenuare, formalmente, le distanze, minuscola
dose di oppio emblematico. Compassato e in apparenza sempre sicuro del fatto
suo, intriso di presunzione metafisica dovuta all'usura del ruolo e abbastanza
banale per risultarne assolto e giustificato.
Sotto il velo di raffinato distacco, il profilo autentico del despota, villoso in
petto ma assolutamente privo di peli sulla lingua, la battuta sferzante, il pollice
verso per abitudine - per chiunque lo contraddica; pronto a stroncare la minima
riserva dell'interlocutore con un dosaggio intensivo di cifre e di bilanci. Oltre
l'arroganza sufficiente dei toni, il vuoto metafisico della logica a senso unico.
Alternativa sprezzante, offerta da villano a villano a chiunque si ponga di
traverso sulla sua strada. Cefis non può che aver sempre ragione: se non gliela
concedi, la esige. I veri capitani d'industria non ostentano lo stile asciutto dei
mercanti di cavalli: ma Cefis, come i nobili creati da Napoleone, non è un
blasonato autentico dell'Ancien Régime; è soltanto un parvenu. Che parla a
scatti, tracciando su un foglio bianco freudiani i ghirigori che uno psicanalista
potrebbe qualificare come libido di Piano, ossessione dei suoi piani. Poi il
meccanismo oratorio s'arresta: non squadra l'interlocutore, ma lo fiuta, lo
sonda, lo trivella così, messo alle corde, degnandolo d'una replica, d'una pausa,
di un invitante silenzio. Alle obiezioni, alle riserve, alle timide contestazioni,
indirizza il knock-dawn risolutore, quel mitico ribaltamento di cui farnetica
come invasato, accezione onirica di tutto il suo mondo.
«Il Giorno», coi suoi quotidiani passivi di milioni, con quote terrificanti di
ammortamenti per un macchinario modernissimo, in una sede sorta su terreno
pagato due miliardi (uno sperpero che rasenta i margini dello scandalo. I1
Ministro delle Partecipazioni Statali né è davvero all'oscuro? E ignora e tace
perché altre indebite presenze sono invischiate nell'affare?); un foglio con
perdite colossali per vincere allo sprint la concorrenza (spedizione in aereo, con
vettori speciali); lanci pubblicitari, pagine a colori, supplementi e inserti che
manderebbero in bancarotta il « Corriere della Sera » viene tenuto in vita. Un
giornale inutile, sbagliato, deprimente.
La sua esistenza è un paradosso: la legge istitutiva dell'ENI non lo
prevede, non lo giustifica, non può ammetterlo. Ma per Eugenio Cefis è una
prova di forza, un distintivo, una presenza, uno strumento di potenza. Fa parte
del suo stile. Lo mantiene a dispetto della legge statutaria, del Comitato
Ministeriale che dovrebbe vigilare sulla gestione di un ente pubblico come
1'ENI, del Governo e del Parlamento, dell'opinione pubblica. I passivi del «
Giorno » nessuno li conosce con esattezza, salvo Cefis e i suoi diligenti scudieri.
Nei bilanci dell'Ente Idrocarburi entra anonimo, confuso nel calderone di fine
anno.
Tuttavia il Presidente con le sue sensibilissime antenne riceve e recepisce
interessanti indiscrezioni: altri quotidiani sembrano avere gli anni contati, il
petroliero Monti e il cementiero Pesenti - col quale lo abbiamo recentemente
visto conversare cordialmente: cosa sta succedendo? Un armistizio fra il cane-
lupo a sei zampe e il rappresentante della grande industria privata? Qualcosa
sotto ci deve essere; i due sono astuti, ma Cefis è perfido il doppio quando
sorride; Monti e Pesenti, dicevamo, possono stancarsi di finanziare le loro
catene di giornali; il «Corriere» dei Crespi sta in piedi perché ha trovato un
piedestallo e si è allineato; le sue punte di diamante, come Montanelli, sparano
a salve, ammansite, per la sopravvivenza della nobilissima città di Venezia. In
prospettiva da anni '80 il fiuto di Cefis non dovrebbe ingannarlo: col petrolio di
Stato, la lana di Stato, le auto (nonostante la Fiat, l'Alfa Romeo si espande) di
Stato; farmaci, ospedali, banche, ferrovie, elettricità, sale e sigarette (e, presto,
pillole) di Stato, verrà l'alba del giornale di Stato. Come la Pravda, il «Giorno».
Utopie balorde? Magari.
Facezie anche le imputazioni di peculato, sia nella distrazione di impianti
e personale, sia nello spreco di denaro pubblico in imprese editoriali?
Prevale quasi ovunque l'interpretazione letterale della Genesi: il lavoro non
nobilita l'uomo, ma è la sua condanna, il debito che dovrà pagare per
generazioni sino alla fine del mondo d'una colpa originale. Intesa così
fedelmente, la teoria del successo è subito spiegata, con tutta la libertà
d'iniziativa, di mezzi, di ripieghi concessa.
Cos'è allora la distrazione dell'ENI, cosa può importare la megalomania a
spese della gente di una testata?
A breve o lontana scadenza, il Presidente dell'ENI saprà dimostrare, con
l'alchimia e la sufficienza del genio, come l'uso (immorale) dei soldi dello Stato
giovi alle fortune trascendentali dello Stato stess
CAPITOLO III
Gente del suo stampo, a quella latitudine iperborea, snobba con agilità
dignitosa il veleno delle frecciate, gli attacchi sporadici, i mille postulanti noiosi
e malevoli, i sottintesi polemici dei discorsi domenicali coi quali si tengono in
allenamento gli uomini politici, gli spauracchi buffi delle inchieste
parlamentari, le minacce e i ricatti, il pettegolo sussurro di untorelli, di
mignatte e di gazzettieri. La Magistratura non ha nulla a che vedere con questa
extraterritorialità strategica e morale che distingue (e minimizza) la conduzione
indipendente d'una repubblica (presidenziale) nella Repubblica.
Questa una conclusione affrettata, suggerita dall'antico scetticismo
nazionale di un Paese dove la vittoria in un derby esalta le folle e la sconfitta le
umilia e distrugge negli entusiasmi e nell'equilibrio dell'animo. Noi pensiamo
che a volte è proprio l'eccessiva disinvoltura che per lunghi periodi di tempo
garantisce dolce e facile vita ai più spericolati trapezisti del mondo politico ed
economico. Ma la fune, un giorno, si spezza. Certi controlli cominceranno a
scattare anche per gli eletti del Signore, i primi in verità a dover testimoniare la
dottrina che insegnano o impongono, senza viverla.
Tale immunità di carica potrebbe a rigor di logica rientrare nelle
consuetudini della mafia politica, per cui le eventuali (ma documentate) accuse
rivolte a Cefis si riverserebbero, come in una specie di reazione a catena tra vasi
comunicanti, sugli accusatori stessi o sui loro supporters. D'altro canto è
possibile riconoscere sempre in sede di ipotesi razionali che forse Eugenio Cefis
è solo una pedina, la più altolocata, di un gioco che trascende lo stesso
Presidente.
Ipotesi, naturalmente, da scartare subito, perché sostenibile unicamente
da quanti non conoscono né l'uomo né i metodi. Dunque il salvacondotto di cui
gode dagli inizi della folgorante carriera alla testa dell'ENI è di natura politica.
Una riprova, se si vuole, di quella strana potenza che circonda l'opera e
l'individuo. Di queste garanzie personali è sintomatico - benché riferito
ovviamente all'altro Presidente, Mattei - un episodio che fonti ben informate
danno per realmente accaduto, nonostante il silenzio dal quale è stato
circoscritto. Non è che interessi la vita privata di un uomo pubblico, né si
vogliono stabilire analogie: quel che conta è l'omertà se così possiamo
finalmente chiamarla, che protegge certa gente illustre e qualsiasi.
Non avendo la stoffa del Cavaliere di Seingalt, ma cedendo talora alle insidiose
arti d'Afrodite come ogni pur castigato peccatore, accadde una volta all'ex
Presidente Mattei di trovarsi irretito malamente (e per solitario incidente) nel
fumoso affare delle squillo da un milione, le cui cronache allietarono la buona
società romana ai tempi del governo-lampo di Tambroni, troppo presto
decaduto per scriteriate velleità di restaurazione.
Introdotto, nelle calde sere trasteverine, da una sua guardia del corpo nel
gioco solitamente inoffensivo delle avventure senza domani, il malcapitato
novizio di alto rango dovette ad uno zelante e autorevole funzionario il favore
d'una cancellazione dai ruoli nominativi della faccenda, poi regolarmente
pubblicizzata quando lo scandalo a tinte boccaccesche maturò appieno. La cosa
impegnò i responsabili al versamento di alquanti milioni, a titolo di riparazioni.
Denaro che non finì comunque nelle mani dello sfortunato uomo politico
marchigiano che tra le effimere comete del suo rapido giro in orbita come
Presidente del Consiglio ebbe a districare anche questa squallida faccenda
allegra.
Episodio che fonti insospettabili hanno a suo tempo rivelato e di cui lasciamo
ovviamente alle stesse ogni responsabilità pur non potendo rivelarne i nomi.
Può capitare a tutti, anche ai Casanova per distrazione, un incerto del genere.
Acqua passata e affari che non ci riguardano affatto, se non fosse —lo
ripetiamo per l'immunità una volta di più assicurata, fuori delle stesse acque
territoriali del pubblico rapporto, ai grandi dell'ENI. Giganti con piedi d'argilla,
conficcati per convenzione e pretesto nel solidissimo humus dell'inesistente
petrolio italiano.
Dunque Cefis dedica favore e simpatia tanto a questo fantomatico Ente quanto
alle ideologie reclamistiche. Ma mentre le pensose realizzazioni della L.S.P.N.
si affrancano da un giudizio di merito, richiedendo soltanto quesiti di ordine
estetico e funzionale e brillando di luce riflessa quanto a corresponsabilità
finanziaria, l'astro segreto di Eugenio Cefis e sua aureola, costituisce una specie
di assicurazione (spirituale, anche) sulla vita e sulle fortune dell'Ente di Stato.
In primo luogo esso consente ad un personaggio come Mattei o come il
suo successore di iscrivere il proprio nome, con tutti i vantaggi materiali
allegati, tra i grandi benefattori della società. Coloro che infatti con discrezione,
tatto e lungimiranza disprezzano le luci violente della notorietà, ma affidano ad
anni di (quasi) completo silenzio operativo un'azione tonificante, in sé egregia e
ammirevole, per uno dei tanti bisogni comunitari d'una metropoli come
Milano, col suo ampio hinterland. In secondo luogo si acquistano- così le
credenziali più efficaci e rispettate in ogni epoca di cesaropapismo (o di
repubbliche conciliari: mutano gli addendi, non il risultato).
Inoltre si applica alla lettera il dettame evangelico di Mammona e si
guadagnano indulgenze non indif3erenti: per questa vita, soprattutto; per
questo regime, in particolare. Imporsi nel nucleo di un tale centro di potere
non sicuramente politico, ma che garantisce viatici, coperture, benedizioni ai
gagliardetti, appoggi morali, alte protezioni, è infine l'ultima pregevole perla
d'una collana d'opere d'interventi così congeniali ai signori Presidenti dell'Ente
Nazionale Idrocarburi.
L'ENI quindi partecipa in maniera vistosa e determinante ad un'opera di
cui saremo i primi ad esaltare le finalità e il contenuto, ma assolutamente fuori
rotta rispetto ai canoni istituzionali dell'Ente stesso . Tali provvidenze
avvengono attraverso canali ben definiti: più unità le dita di una mano non
bastano per contarle vengono distaccate (configurando così la più lampante
distrazione di personale) e segretamente comandate in attività esulanti dai
compiti d'istituto dell'ENI.
Altre forze regolarmente inquadrate si aggiungono a questi reparti
secondo le necessità, consulenti, ispettori, dirigenti, per integrare il lavoro a
tempo pieno e in sede riservata della staff principale; l'ENI poi aggiunge
cospicue e ricorrenti elargizioni a titolo di contributo e nell'ordine di milioni
per l'incremento patrimoniale, meglio dovrebbe definirsi immobiliare
dell'opera che gode di favori particolari da un Presidente a capo d'uno dei più
colossali enti di Stato. Senza dimenticare, come abbiamo detto più sopra, la
disponibilità della L.S.P.N., l'azienda pubblicitaria ENI. Un boccone che
manderebbe la sinistra politica italiana in bestia, se non rientrasse tra le
clausole riservate o sottintese di quel Piano '80 nel quale confluiscono, come
negli alambicchi del Mago Merlino, tutte le specie di ingredienti per facilitarne
1'ingestione. Un tempo, però, le opere pie usavano servirsi dell'apporto di
donazioni, fattorie e campagne per sostenere le spese d'esercizio di ospedali e
collegi. Oggi con l'ENI e con Eugenio Cefis, lo Stato si serve invece delle opere
pie per far quadrare i bilanci (morali) delle sue cooperative...
La tecnica del ribaltamento, con milioni buttati al vento, ma ogni creditore
tacitato dal fiduciario. Dietro c'è lo Stato: come può tremare Cefis? Ad un
tempo è il beneficiario morale dell'operazione, saprà rifarsi in seguito o su altro
fronte, arruolando per nuovi compiti specifici, a tempo pieno, altri dipendenti
dell'ENI distaccati presso centri d'azione che nemmeno lontanamente rientrano
tra i mestieri d'istituto dell'Ente Idrocarburi. La solita danza di attribuzioni, di
trasferimenti, di vocazioni distratte, di venialità organizzative, di scompensi
aziendali.
Normale amministrazione per un baraccone che tutt'al più avrà a che fare,
in linea ipotetica, con il Consiglio di Stato, mulino a vento per il quale non si
scomoda neppure un Sancho Panza, in Italia. Dati e riferimenti potrebbero
essere da noi ulteriormente chiosati e istruiti con piena rispondenza al filo
logico del discorso.