Storia Strumenti Elettronici
Storia Strumenti Elettronici
Storia Strumenti Elettronici
METODI F A C I L I i metodi più semplici per imparare uno strumento partendo da zero presentano:
Basti pensare che dopo l'esposizione universale a Parigi del 1900, piena d'innovazioni scientifiche e
tecnologiche, il possibilismo scientifico ed il modernismo, presero piede in tutto il mondo, al punto che, in
moltissime persone comuni, nacque lo spirito pionieristico dell'inventore. Gli uffici brevetti di allora furono
subissati da richieste di licenze. Tutti avevano, o perlomeno è più giusto dire, ambivano ad avere, un piccolo
laboratorio di ricerca.
Possiamo quindi immaginare quante creazioni, e nello specifico di natura fonoelettrica, furono costruite e poi
abbandonate in scantinati polverosi, grandi flop e grandi intuizioni mai conosciute.
Vi sono poi quelle invenzioni che vissero dei piccoli momenti di celebrità locale delle quali noi sappiamo
poco o niente, in conseguenza di un'informazione che nel secolo scorso era molto limitata. Anche negli anni
70, con la crescita della microelettronica, ci fu un boom di produzioni di sintetizzatori musicali.
Molti di questi strumenti erano fabbricati da società già note e conosciute mentre altre imprese nacquero e si
consolidarono grazie a questi nuovi strumenti. Va anche ricordato l'appassionato privato che, proprio in virtù
della proliferazione di riviste specializzate e della facilità di reperire la componentistica, costruiva da se i
propri dispositivi.
Tuttavia è possibile però, illustrare le tappe fondamentali dell'evoluzione di tali invenzioni che, oltre ad
arricchire la scienza e la tecnica di nuove nozioni, hanno lasciato un segno indelebile sulla creazione di
suoni, rumori e soprattutto sulla musica del nostro tempo.
Con l'avvento dell'energia elettrica e soprattutto del telefono, vi fu un proliferare enorme di esperimenti
elettroacustici e nondimeno, individuare il primo strumento elettrofonico è impossibile. Possiamo in ogni
modo ragionevolmente associare tale archetipo, con l'invenzione del Thelarmonium o Dynamophone , per
opera dell'americano Thaddeus Cahill. Il primo modello funzionante fu presentato, infatti, nel 1906 nel
Massachuttes ed era una sorta di organo che pesava ben 200 tonnellate.
Il Telharmonium era assemblato con 145 dinamo che producevano correnti alternate di frequenza audio
variabile. Questi segnali sono controllati da un gruppo di tastiere polifoniche e sensibili alla velocità (avere il
volume più o meno forte a secondo di come si picchi la tastiera, come in un pianoforte acustico) e da un
insieme di controlli manuali.
Per amplificare il suono, si adopera, in un primo momento, un complesse di tavole armoniche di legno
(come i tradizionali strumenti acustici), per poi optare definitivamente per il telefono (l'unico apparecchio
elettro-acustico allora disponibile).
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Lo strumento aveva un volume sonoro quasi inesistente, i suoni, infatti, erano appena udibili attraverso dei
megafoni collegati ad un apparecchio telefonico. Cahill progetta di trasmettere la musica prodotta dal suo
strumento a locali pubblici e privati attraverso la rete telefonica.
Questo piano fallisce quando il capitale necessario per attuarlo, crebbe in maniera esorbitante e quando si
scoprì che, oltretutto, la macchina danneggiava seriamente il normale servizio telefonico.
Non ci sono pervenute registrazioni di questo strumento e l'ultimo prototipo (il terzo che Cahill costruì),
occupò per 20 anni un intero piano di un edificio alla 39sima strada di New York per poi essere smantellato
con l'avvento delle stazioni radiofoniche.
Il Telharmonium darà anche il via alla nascita della musica elettronica. Infatti, il compositore italiano Ferruccio
Busoni, impressionato dalla macchina comporrà "Sketch of a New Aesthetic of Music" (1907) ispirando la
nuova generazione di compositori elettronici quali Edgard Varèse e il futurista Luigi Russolo.
Con gli anni a venire, i ricercatori di tutto il mondo cominciarono a sfruttare l'energia elettrica per le loro
sperimentazioni esplorando in tutte le direzioni e sfruttando tutte le risorse che tal energia poteva loro dare.
E' il caso del Theremin brevettato nel 1924 dallo scienziato russo Lev Termen.
Questo strumento (chiamato all'inizio rythmicon) ha un suono creato da una coppia d'oscillatori che,
producendo due frequenze vicine ma differenti, provocavano "battimenti ritmici".
Come spesso accade, l'idea nacque da una serendipità. Mentre si sperimentavano delle valvole sotto vuoto
si notò con preoccupazione che avvicinandosi con il corpo s'interferiva sulle ampiezze e sulle frequenze
delle stesse. Il problema che si presentò, divenne un'opportunità che diede l'input per inventare lo
strumento.
E' possibile suonare il Theremin senza alcun diretto contatto fisico, muovendo le braccia nel campo
elettrostatico di due antenne che servono per modulare l'una il volume e l'altra la frequenza.
Dato il suo modo particolare e plateale di suonarlo, il Theremin nel passato fu usato da numerosi artisti a metà
strada tra musicisti e prestigiatori. In tempi successivi fu anche utilizzato in numerosissimi film di fantascienza
e di horror e negli anni sessanta ebbe il suo primo impiego nella musica leggera per opera dei Beatles e dei
Beach Boys nel citatissimo brano "Good Vibrations".
All'oscillatore a valvole succede in seguito il transistor che da il via a molte imitazioni, al punto che, oggi
esiste persino un Theremin Enthusiasts Club International (un club di proprietari, costruttori e suonatori di
Theremin). Tuttora Robert Moog (padre degli attuali strumenti musicali elettronici), produce questi apparati
nella sua fabbrica. Sull'onda dell'idea "Theremin", prenderanno vita altri strumenti originali ed abbastanza
popolari.
Nel 1928 Maurice Martenot, (da cui prende il nome lo strumento Onde Martenot), concepisce uno strumento
basato su circuiti elettronici a valvole che creano dei veri e propri oscillatori. Il suono che ne esce è
controllabile in intensità da una leva che ne varia il volume (proprio come le nostre attuali manopole del
volume) che manovrata con la mano sinistra crea la dinamica del suono.
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Per modificare la frequenza (intonazione), invece l'esecutore muove un anello che scorre su un filo, posto
sopra di una finta tastiera di pianoforte con il compito di fare da riferimento per l'intonazione delle note.
Successivamente furono prodotti Ondes Martenot con una tastiera effettivamente funzionante. Il sistema di
diffusione del suono è basato su tre altoparlanti ed un risuonatore a forma di lira il quale, fornito di corde,
arricchisce di armoniche il timbro dello strumento.Con le Onde Martenot, si comincia quindi ad avere un
controllo del suono di gran lunga più efficace al punto che lo strumento è utilizzato in numerosi lavori
orchestrali sinfonici e nel cinema.
Nello stesso anno che Martenot navigava sulle sue onde, il tedesco Friedrich Tratwein realizzò il Trautonium.
Essenzialmente il principio di generazione audio è simile al Theremin o al Martenot, con la differenza che il
suono è generato da un oscillatore a bassa frequenza il cui componente principale è un tubo al neon. La
forma d'onda risultante è a dente di sega, e questa caratteristica fa in modo, che si puo sfruttarne la notevole
ricchezza armonica.
Infatti, il sistema contiene una serie di filtri in grado di eliminare o accentuare certe componenti armoniche. In
pratica è una vera e propria sintesi sottrattiva, che produce un timbro distinto e particolare se paragonato ai
normali strumenti a valvola dell'epoca. Il controllo del suono è delegato ad un nastro metallico sovrapposto
ad un altro di diversa resistenza (ribbon). Premendo il nastro ad una certa altezza si porta in contatto con
quello inferiore chiudendo un circuito. Secondo dove si preme il dito, la resistenza incontrata dalla corrente
che percorre il circuito cambia in ragione del tratto di materiale conduttivo. Spostando il dito lungo il nastro,
quindi, si può scegliere una frequenza più o meno alta (nota), mentre la forza della pressione gradua
l'intensità (volume).
Il Trautonium ha un'estensione tonale di tre ottave che può essere trasposta grazie ad un tasto e due pedali
che controllano il volume generale. Esso fu, di fatto, il primo strumento elettronico costruito industrialmente e
fu commercializzato dalla Telefunken tra il 1932 e il 1935 anche se in numero di poche decine d'esemplari.
Il Trautonium fu utilizzato da un gran numero di compositori tra cui Paul Hindemith, che imparò a suonare lo
strumento e produsse un "Concerto per Trautonium e Orchestra", Höffer, Genzmer, Weismann e il più
notevole Oskar Sala che divenne un virtuoso dello strumento e lo sviluppò tecnicamente producendo le sue
varianti - quali; il Mixtur-Trautonium, il Concert-Trautonium e il Radio - Trautonium. Oskar Sala continua a
lavorare con il Trautonium anche ai giorni nostri.
Fu nel 1934 però, che l'elettronica musicale industriale, ha una svolta decisiva.
Infatti, l'ex orologiaio Laurens Hammond, presenta all'ufficio brevetti un nuovo strumento musicale destinato a
diventare uno dei più popolari e duraturi strumenti elettronici mai prodotti.
L'organo Hammond, che prende nome inevitabilmente dal suo ideatore, si avvale della tecnologia del
Telharmonium, ma su scala ridotta. L'adozione delle valvole amplificatrici permette di ridurre notevolmente
l'ingombro dello strumento, di avere un suono potente e molto più controllabile. Un fattore importante è il suo
sviluppo commerciale incredibile al punto di avere negli anni milioni d'utenti in tutto il mondo. Lo strumento si
avvaleva (e si avvale), di generatori di suono costituiti da ruote dentate.
Queste ruote sono messe in movimento da un motore ed hanno ognuna un diverso numero di denti (da due
a 256) tali da coprire l'estensione di cinque ottave. Le ruote girano a velocità diverse l'una dall'altra per
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rispettare le frequenze d'ottava dopodichè passando davanti ad elettromagneti il suono viene prelevato
inviato ad un amplificatore. La corrente oscillante è controllata da un sistema combinato di registri (chiamati
drawbar) che stabiliscano quali armoniche devono corrispondere ad ogni singolo tasto. I timbri sono dunque
generati per sintesi additiva. Una nota suonata sull'organo consiste nella fondamentale e/o un numero
d'armoniche, o multipli di tale frequenza.
Nell'organo Hammond, sono disponibili la fondamentale e fino ad otto armoniche controllabili mediante
drawbar e bottoni di preset. La prima console di un prototipo Hammond includeva due manuali da 61 tasti;
l'inferiore e il superiore, e una pedaliera da 25 tasti. Hammond inoltre brevettò un riverbero elettromeccanico
usando la torsione elicoidale di una molla che conferisce al suono una profondità inusuale. Questo riverbero
ebbe un successo cosi grande che fu ampiamente usato in seguito da moltissime case costruttrici di organi e
amplificatori.
Qualche anno dopo tale Don Leslie, (operaio della fabbrica Hammond) ideò un amplificatore composto da un
tamburo rotante davanti ad un altoparlante per le basse frequenze, e da una coppia di trombe rotanti per le
alte frequenze. La velocità del motore è variabile e conferisce al timbro una "spazialità" veramente unica.
Con l'avvento del Leslie e in seguito di effetti quali vibrato, chorus ed una percussione su alcuni drawbars, il
suono si arricchisce ulteriormente. Dall'invenzione di Hammond ad oggi vi sono state moltissime imitazioni di
questo timbro da quasi tutti i costruttori di tastiere.
Dalla metà degli anni 60 fino alla fine dei 70, presero piede anche dei modelli di organo elettronico a
transistor. Il loro unico vantaggio era di unire leggerezza ed affidabilità ad un costo contenuto rispetto
all'Hammond. Fra i nomi di spicco abbiamo la Farfisa con i suoi modelli combo, e il Vox Continental
anch'esso molto usato (Doors "Light My Fire").
In Italia, nella metà degli anni 70, si rese famoso l'organo Pari, il quale avendo caratteristiche pressoché
identiche all'Hammond, (stesso brevetto) si avvicinò molto al suono originale. L'uso che ne fecero poi i
musicisti di jazz (primo fra tutti Jimmi Smith), quelli di rhythm & blues e pop (in sostanza tutti i gruppi degli anni
60 e 70), ha fatto sì che il suono Hammond fosse veramente inconfondibile e (a mio avviso) inimitabile.
Il piano elettrico Rhodes, nasce invece in un contesto assai diverso dellorgano Hammond. Nel 1942 un
aviatore americano, Harold Rhodes, si trova presso l'Army Air Corps a prestare servizio militare.
Appassionato pianista, si trova nell'impossibilità di suonare il suo strumento per ovvi motivi di spazio e di
situazione (siamo in pieno conflitto mondiale).
Utilizzando così dei pezzi di recupero da un bombardiere, assembla quello che potrebbe essere definito il
primo piano portatile.
Il suono, è generato da martelletti che percuotono maniera simile ad un piano acustico, delle barrette
metalliche di varia lunghezza. Vicino ad ogni barretta, pone dei pick-up simili a quelli in uso sulle chitarre
elettriche, che captando le variazioni di campo magnetico, generano un segnale da amplificare. Nasce così,
il primo prototipo del piano elettrico Rhodes.
Il suono è vagamente simile a quello di un piano, e somiglia di più a quello di un vibrafono. Rhodes, intuisce
il potenziale che tale strumento offre (timbro, portabilità e facilità d'amplificazione), e congedandosi
dall'esercito, nella metà degli anni 40, fonda la "Rhodes Piano Corporation", e produce il primo modello: il
"Rhodes Pre-piano". L'evoluzione del Rhodes, si manifesta attraverso diversi modelli prodotti negli anni 50 e
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sessanta, ma il picco di popolarità, è raggiunto negli anni 70 (Fender - Rhodes) con le versioni Stage piano
Mk I , Mk II e Suitcase Mk II, particolarmente apprezzate nelle situazioni live e nella musica jazz.
Nello stesso periodo, seguendo la scia del Rhodes, altre case costruttrici hanno prodotto pianoforti elettrici,
concettualmente simili al modello originale, ma con caratteristiche timbriche e meccaniche diverse.
Il piano Yamaha CP90, con il suo codino e le corde di metallo invece delle barrette, ha un suono molto simile
a quello di un pianoforte acustico, anche se più metallico.
Il Wurlitzer (nota casa costruttrice di jukebox) produce un piccolo piano dal suono scuro e legnoso, che ha
una breve vita, ma che lascia il suo segno (Supertramp "Logical Song").
L'Hohner (nota la sua produzione di armoniche a bocca), si dedica anch'essa alla produzione di un piano
elettrico che non ebbe successo, ma che aprì la strada alla realizzazione del Clavinet, una specie di
clavicembalo elettroacustico molto in voga nella produzione di musica black degli anni 70 (famosa
l'introduzione in " Superstition " di S.Wonder).
Il sintetizzatore RCA più che uno strumento musicale, è una sorta di calcolatore elettronico musicale.
Ideato negli anni '50 dagli ingegneri elettronici Harry Olsen e Hebert Belar, fu sviluppato in seguito nei
laboratori di Princeton della RCA in due versioni (Mark I e Mark II) .
L'idea base è quella di catturare con una formula matematica, le variazioni casuali di canzoni popolari
esistenti, per poi applicarle alla macchina onde generare nuove canzoni commerciali. Il sintetizzatore RCA è
una grossa macchina che occupa un'intera stanza, la cui sorgente sonora è fornita da un oscillatore a valvole
(12 nel primo modello e 24 nel secondo).
Il controllo del suono è affidato ad un rullo che, facendo scorrere una carta perforata, consente al computer di
predefinire un complicatissimo insieme di parametri sonori. Si possono programmare il missaggio dei suoni
generati e di modificarne le caratteristiche mediante divisori d'ottava, filtri, passa-alto e passa-basso, inviluppi,
modulatori a bassa frequenza e risuonatori.
L'audio finale è ascoltato mediante altoparlanti e registrato su un disco a lacca, che può, a sua volta, essere
missato in un altro di disco (questo sistema arcaico è l'unico fino al 1959 soppiantato poi dal registratore a
nastro multitraccia). Riutilizzando e sovraincidendo le registrazioni sul disco, si possono sfruttare fino ad un
massimo di 216 tracce.
Benché la macchina non raggiunse il suo scopo sia per il modesto potere di elaborazione sia per la
convinzione errata, che la composizione creativa potesse essere catturata con delle formule matematiche, le
sue caratteristiche innovative furono ispirazione per un gran numero di compositori elettronici durante gli anni
Cinquanta.
Questo sintetizzatore è tutt'oggi custodito nello studio della Columbia University a New York.
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Verso la fine degli anni '50, la Bradmatic ltd dei fratelli Bradley con sede a Birmingham, fu messa in contatto
con l'americano Bill Fransen per migliorare la produzione del Chamberlain , tastiera elettronica inventata da
Harry Chamberlin. Il brevetto è un marchingegno d'elettromeccanica. Esso si basa su nastri magnetici (uno
per ogni tasto) su cui sono preregistrati dei suoni d'archi e coro. Premendo un tasto si mette in moto il
relativo nastro, per poi riavvolgersi dopo pochi secondi. In pratica è il prototipo elettromeccanico di un
moderno campionatore.
L'idea era geniale, ma la realizzazione pratica dava molti problemi, poiché lo strumento pesante e molto
delicato, si starava facilmente. La tecnica musicale, poi, era penalizzata dalla durata del nastro che non
poteva produrre un suono che si prolungasse oltre un determinato numero di secondi, dopodiché il suono
s'interrompeva e si doveva attendere il riavvolgimento del nastro.
Il finanziere Eric Robinson, creando la società Mellotronics, affidò alla Bradmatic Ltd la trasformazione dei
nastri di registrazione nel formato 3/8, partendo dalla concezione del Chamberlin.
Ha inizio così la produzione di un nuovo strumento chiamato Mellotron mark II con il controllo di Bradley e
l'assistenza di Bill Fransen.
Il primo prototipo, uscito nel 62, è usato essenzialmente per le radio e nonostante le pochissime migliorie
tecniche rispetto ai precedenti modelli, ottiene un enorme successo. Il suo timbro "unico ma vario" (volendo
si potevano ordinare dalla casa altri tipi di suoni, o addirittura registrarli per conto proprio), è l'arma vincente
per imporsi.
In seguito anche gruppi pop come gli immancabili Beach Boys ed i Beatles, cominciano ad utilizzare il
Mellotron (i flauti di "Strawberry fields forever" per esempio), ma la sua massima espansione comunque si ha
con il Mellotron 400, molto più compatto e leggero e adatto per le tournee di molti gruppi pop dell'epoca. Tra
questi i primi ad usarlo sono i Moody Blues, anche in virtù del fatto, che un loro membro, aveva lavorato per
la Bradmatic.
Altri gruppi che misero in luce il suono Mellotron, furono i King Crimson, i Genesis e gli Yes con Patrick
Moraz. Anche in Italia il Mellotron era particolarmente utilizzato da molti gruppi progressive dei primi anni '70,
come ad esempio i più conosciuti PFM, gli Osanna e il Banco del Mutuo Soccorso.
Nel 1970 ci fu una vera e propria rivoluzione elettronica, con la messa in commercio di uno strumento
piccolo, versatile ed abbastanza economico: il Minimoog. Il suo ideatore, Robert A. Moog, nel 1961 pubblica
un articolo sul Theremin, il quale fa nascere l'entusiasmo di molti lettori al punto che, ebbe ordinazioni per più
di mille di questi dispositivi.
Dopo due anni passati a costruire Theremin, Moog decide di fare un salto di qualità, progettando un
sintetizzatore audio. Esso si basa su nuovi circuiti capaci di generare suoni, ossia oscillatori, filtri e
amplificatori controllati in tensione e interconnessi fra loro da cavi esterni.
Il sistema è estremamente flessibile; non c'è limite di moduli da accoppiare, poiché ognuno è indipendente.
Il primo sistema modulare è progettato nel 1964 in collaborazione con musicisti quali Herbert A. Deutsch e
Walter Carlos (oggi Wendy). Nel 1968 Carlos pubblica Switched-On Bach, un album di musica classica
eseguito interamente con sistema modulare Moog e un registratore ad otto piste. Il successo che riscuote
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quest'apparecchiatura fra musicisti di musica colta e non, radio, televisioni e addetti ai lavori, è tale da
convincere Moog a progettare uno strumento più semplice alla portata di tutti.
Nasce quindi il Minimoog: tastiera di tre ottave e mezza di estensione, pochi moduli riuniti fra loro e con delle
interconnessioni già fatte (patch), monofonico (può produrre una sola nota alla volta), senza dinamica (niente
piano e forte in base alla forza data sui tasti), economico e con un suono che puo essere plasmato a piacere
sia per imitare altri strumenti, sia per generare frequenze elettroniche tra le più fantasiose. Come ho detto
essendo una vera e propria rivoluzione elettronica, tutte le produzioni discografiche internazionali
annoveravano fra gli strumenti un Minimoog.
Nascono dei virtuosi di questo strumento, come Keith Emerson degli EL&P, Rick Wakeman (Yes ), i gia citati
Chick Corea, Herbie Hancock, Genesis, gli italiani PFM, il Banco e del Mutuo Soccorso. Un suono azzeccato
di moog può risolvere lo svolgersi di un brano oppure decidere la linea di un arrangiamento. Molti dischi
primi in classifica si basano sul suono del moog (citiamo "Pop Corn" o il nostro "Il gabbiano infelice"). In virtù
dei suoi suoni fantastici e molteplici, moltissimi gruppi lo usano in abbondanza e taluni in maniera molto
effettistica (e a mio avviso pacchiana), proprio per sopperire alla carenza idee o di tecnica musicale.
In seguito Moog produce numerosi altri modelli di synth quali Polymoog (Battisti "Una donna per amico"),
Micromoog, Liberation, Opus 3, Prodigy, Rogue, Taurus, Source. Nel 2002 (chiuso il capitolo moog music)
fonda la Big Briar e riprende a costruire Theremin. Di recente ha prodotto un nuovo modello di Minimoog
2003, chiamato Voyager.
Come prevedibile, l'avvento del moog, apre la porta ad altri costruttori di sintetizzatori. Alcuni di loro già
costruiscono synth, come il caso di Don Buchla, che parallelamente alla Moog, realizza già dal 1966, sistemi
modulari molto complessi e destinati ad un'elite d'utenti. L'ideatore in seguito, prepara vari modelli portatili, tra
cui il Buchla 400 e il Touche ma nessuno veramente di successo commerciale.
Resta il fatto che Buchla insieme a Moog, sono i primi a concepire e divulgare sintetizzatori modulari
controllati in tensione. Maggior fortuna la ebbero l'ARP americana e l'EMS inglese. Alan R Pearlman fu
incoraggiato a produrre strumenti elettronici verso il 1968 dopo aver sentito Switched-On Bach e con il
marchio ARP (originalmente identificato come "Tonus, inc"), nel 1969 e nel 1970 costruisce l'ARP 2500.
Esso è essenzialmente un grosso modulare, ma con la differenza di avere al posto delle connessioni con i
cavi, delle matrici quadrate nelle quali inserendo un pin, si collegano due circuiti (come una sorta di battaglia
navale). Il 2500 ha un discreto successo presso gli addetti ai lavori, ma è surclassato da l'ARP 2600, che ha
un sistema già facilmente cablato, con la maggior parte dei collegamenti fra i moduli già fatti (per i suoni più
complessi, potevano essere utilizzati anche i cavi), ed un design moderno e accattivante. Fra i musicisti che
hanno adoperato il 2600 vi furono Edgar Winter, Pete Townshend, Stevie Wonder, Patrik Moraz e Joe Zawinul
ed anche gli italiani New Trolls, mentre il massimo della popolarità, viene con l'Odissey, un modello piccolo
ed economico che riesce a contrastare lo strapotere del Minimoog. Con la produzione ostinata dell'Avatar
(uno dei primi synth per chitarra), l'ARP ha un grande insuccesso, e nonostante negli anni seguenti l'azienda,
riesce a produrre altri modelli di synth più o meno azzeccati tra cui l'Axxe, il Pro-Soloist, l'Omni ed il Quadra,
nel 1981 chiude definitivamente i battenti.
L'EMS (Electronic Music Studios), ha una storia molto simile a quella dell'ARP. Nata nel 1969 per opera di
Peter Zinovieff, l'EMS entra nel mercato con il VCS3, un synth portatile che attira l'interesse di molti gruppi
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pop dell'epoca (Who, Pink Floyd, Roxy Music). L'uso che se ne faceva era prevalentemente effettistico
anche se (ovviamente), si poteva acquistare a parte una tastiera per il controllo. Nell'arco di due anni l'EMS,
produce vari modelli e moduli, tra cui il gigantesco synth modulare Synth 100, acquisito più che altro da studi
di registrazione e stazioni radiofoniche.
Nel 1971 si assiste alla commercializzazione di un modello di synth molto moderno e versatile che precorre i
tempi: il Synthi AKS. Nonostante le sue dimensioni ridotte ed il costo contenuto, il Synhi AKS, è completo di
tutto; è dotato di un'ottima generazione e modifica dei suoni, una matrice per le connessioni, un sequencer a
32 note (vale a dire un circuito che può programmare una melodia fino a 32 note), un riverbero con un
amplificatore stereo incorporati ed un coperchio che include in sè alcuni controlli, tra cui una tastiera sensibile
al tocco. Il Synthi AKS consegue un notevole consenso di pubblico presso la scena pop britannica e
internazionale. In Italia Franco Battiato, ottiene delle sonorità inconsuete usando quest'apparecchio in molti
suoi album, che, pur non sostituendosi alla creatività dell'artista, sicuramente lo hanno aiutato a creare il suo
marchio di fabbrica.
E' d'obbligo una breve parentesi per un sistema che è un insieme di moduli Moog e ARP di nome TONTO
(The Original New Timbral Orchestra), assemblato dai tecnici Malcolm Cecil e Kevin Braheny, e alloggiato nel
1971 presso lo studio L.A. Record Plant. La TONTO (a mio parere), assomiglia di più ad un gran giocattolo,
che ad uno strumento praticamente suonabile. Di fatto, le uniche tracce che si hanno, sono due album a
nome TONTO, l'uso che ne ha fatto Stevie Wonder nell'album "Songs in the Key of Life" e l'apparizione nel
film di Brian De Palma Il fantasma del palcoscenico.
I sintetizzatori, divenuti popolari, grazie ai modelli sopra descritti, diedero uno stimolo alla costruzione di
tastiere, da parte di moltissime case produttrici di strumenti, al punto che tutti i marchi musicali, annoverava
nei loro listini almeno una tastiera elettronica (taluni peraltro con risultati molto discutibili).
Fu un vero fiume in piena, considerando che la synthmania, contagiò anche i semplici appassionati,
sospingendoli in moltissimi casi a costruire da sé un synth. Io stesso, insieme con Alessandro Petrangeli,
costruimmo (non senza fatica), il primo ed unico esemplare di Synt 1, sulla falsariga dell'ARP 2600 e con gli
immancabili cavi di rituale.
Gli anni Settanta, quindi, vedono il fiorire dei sintetizzatori analogici, le cui più note marche attive nel periodo
furono Oberheim, E-mu, Roland, Korg, Yamaha. Tutti sviluppano, con alterne fortune, dei macchinari modulari
dapprima monofonici e poi polifonici. L'Oberheim produce il Four Voice e l'Eight Voice, due synth molto
costosi con polifonia a quattro e otto voci (le voci sono il numero di tasti che si possono suonare
contemporaneamente), dove si possono memorizzare fino a 16 suoni (anche se non tutti i parametri), la
Yamaha progetta il CS-80, synth ad otto voci anche questo parzialmente programmabile e dal peso
impossibile di 100 Kg (!).
Fu nel 1977, che fà la sua comparsa il primo synth polifonico a voci assegnabili: il Prophet 5, della Sequential
Inc. Il Prophet 5, ha (chiaramente dal nome), 5 voci, una linea snella e maneggevole, un banco di 40 preset,
la possibilità di salvare questo banco di suoni su un registratore esterno (il predecessore dei floppy disk) e
l'immancabile rapporto qualità-prezzo. I musicisti, di colpo, avevano tra le mani uno strumento capace di
ravvivare le sezioni d'accompagnamento, fino allora affidate a chitarre acustiche o a tappeti d'archi veri o
presunti ed arricchire gli arrangiamenti musicali al punto di cambiare profondamente la pop music, nel giro di
pochissimi anni.
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Di logica, (il successo economico è il più grande stimolo per lo sviluppo), vi fu una corsa da parte delle altre
case produttrici ad introdurre sul mercato macchine nuove con un maggior numero prestazioni. La Korg
produce un modello appresso all'altro di synth quali il Lambda, il Trident (mark I e II), il Monopoly e il Polysix.
La Roland continua sulla linea dei monofonici e programmabili (SH-101, SH 1000) e le famosissime drum
machine TR808 e TR909, un suono di batteria analogica che tuttora ci perseguita.
Presenta poi, due synth molto interessanti, lo JX-3P e lo JX-8P, polifonici a sei voci con la sensibilità al tocco
e alla pressione e alla possibilità di aggiungere un modulo esterno per la programmazione con le manopole
tradizionali. Da questa macchine nascono lo Jupiter 6 e lo Jupiter 8, rispettivamente a 6 e 8 voci, 32 e 48
patch, e lo storaggio dei dati su cassetta. La Yamaha propone i due modelli CM 40 e CM 15 piccoli e bifonici
e di scarso successo.
Sulle ceneri dell'ARP nasce il Chroma (ultima creazione molto sofferta), una tastiera dalle prestazioni
eccellenti e molto innovative ma con scarsa riconoscenza da parte del pubblico. Infine l'italiana Elka produce
il Syntex, un synth ideato da Mario Maggi, che con le sue otto voci di polifonia (4 in split/layer mode), un'unità
di chorus, (un effetto adoperato in quel tempo soprattutto sulle chitarre), 40 preset combinati e 40 assegnabili
alla RAM (Random Access Memory) interna ed infine un sequencer digitale a quattro tracce, fà di sé un synth
molto conosciuto ed apprezzato fra musicisti anche internazionali.
A quel punto, con il calare dei prezzi e le circuitazioni sempre più complesse, è già finita la figura
dell'appassionato musicista che costrusce da sé i propri strumenti elettronici, infatti, l'evoluzione dei synth in
quegli anni, si estende in un nuovo ramo, con una forma di sintesi innovativa: il campionamento.
Nel 1980 si presenta al pubblico, una nuova macchina d'origine australiana con il nome Fairlight cmi. Si tratta
di un computer ad otto voci controllato da una tastiera, i cui generatori di segnale non sono più i tradizionali
oscillatori, ma campioni (samples) di suoni registrati, scomposti in numeri e memorizzati nella sua RAM. Allo
spingere di un tasto, si riconverte il campione in segnale audio (in pratica l'evoluzione digitale del Mellotron).
Il suono può essere poi elaborato con filtri, inviluppi ed effetti con accuratezza e precisione grazie anche ad
uno schermo su cui modellare con una speciale penna ottica la forma d'onda.
Il Fairlight prima serie, (uscirono poi il cmi II ed il cmi III), campiona a 24kHz con una risoluzione di otto bit ed
ha una memoria totale di 128K (meno una foto in JPG di oggi), è dotato poi di otto uscite separate, una
stampante ed un'entrata microfonica per catturare i suoni. Io ed altri musicisti, assistemmo ad una sua
dimostrazione e rimanemmo sbalorditi dalle sue potenzialità, ma anche dal prezzo, poiché costava circa
£150.000.000, e unicamente delle rockstars potevano permetterselo, tra cui P. Gabriel, (Shock The Monky),
John Paul Jones dei Led Zeppelin (lo sostituisce al Mellotron) e poi Kate Bush, Thomas Dolby, Geoff
Downes, Queen, Keith Emerson, Alan Parson, Stuart Copeland, Trevor Horn, Frankie Goes To Hollywood e
molti altri.
Fu nel 1981 che l'E-mu, presentando l'Emulator (poi nella versione II e III), rivela il campionatore ad una platea
più vasta. Essenzialmente è una tastiera di quattro ottave a due voci, dotata di filtro bassa-basso, può
campionare ad otto bit con una frequenza di campionamento di 27.7kHz. Alla memoria RAM di appena 128
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KB, viene in aiuto un drive, dove si salvano i campioni su un floppy-disk per creare delle proprie library di
suoni. Il campionatore offre ai musicisti l'opportunità, e talvolta il miraggio, di avere un'orchestra sotto le mani
e le case produttrici non perdono tempo.
Molti nomi si affacciano per la realizzazione di campionatori; la Kurzweil (di Raymond Kurzweil) produce il
modello K-250, che sbalordisce tutti per la sua abilità di emulare con straordinaria accuratezza pianoforti,
strings, cori, batterie ed altri strumenti acustici, l'Ensoniq con il Mirage, realizza un record di vendite con il
primo completo sampler per tutti, l'Akai con la serie S, innalza la qualità dei suoni con campionamenti
stereofonici a 16-bit 44.1kHz (come i CD audio). Anche la Roland, seppur in ritardo, si cimentò con i
samplers, con i modelli S-10, S-50 e la tastiera W30, per poi proseguire con gli expanders S-330, S-550,
S-760 ed altri. Il campionatore poi si specializza anche su suoni specifici, come l'Oberheim che propose una
serie di drum machine molto realistiche (Dx e Dmx), oppure un'infinità di case che impiegano questa tecnica
di sintesi, per produrre pianoforti digitali talvolta anche a livelli eccezionali. In quegli anni, quindi, ci fu un
lavoro intenso di ricerca sul suono e sugli strumenti elettronici. Un lavoro, peraltro, che fu aiutato molto
dall'avvento del protocollo MIDI.
Il MIDI (Musical Instruments Digital Interface), nasce in forma definitiva nel 1982, dall'esigenza di controllare
simultaneamente con una tastiera, altri strumenti.
Prima del MIDI si usava un semplice sistema di controllo tramite tensione elettrica denominato CV/GATE
(control voltage/gate). Il sistema essenzialmente associa ad ogni tasto del synth a, un preciso valore di
tensione che, inviata (tramite un cavo) ad un synth b, li fa suonare entrambi. Chiaramente il sistema CV è
abbastanza primitivo per lo sviluppo della tecnica digitale di allora, e, non potendo trasmettere altre
informazioni (dinamica del suono, modulazioni con la ruota, polifonia etc..), alcune case costruttrici iniziano a
studiarei sistemi digitali in grado di far interfacciare fra di loro strumenti elettronici diversi.
Dopo vari tentativi falliti, nel 1982, varie case costruttrici riescono a trovare un accordo, avviando quindi il
protocollo MIDI, un sistema in grado di trasmettere, ad ogni tasto premuto, una stringa di un byte (10 bit). Il bit
1 è "start", il bit 10 è "end", e gli otto bit centrali contengono tutte le informazioni di nota. Con il MIDI è
possibile trasmettere (e ovviamente ricevere) anche stringhe di sys (sistemi esclusivi), nelle quali sono
contenute parametri specifici (attack, decay, reverbetc), interpretabili a famiglie uguali di strumenti. Il sistema
MIDI (peraltro mai più cambiato da allora), è universale poiché si possono far dialogare fra loro, ogni tipo
d'apparecchio munito di questa interfaccia (synth, drum machine, computer, expanders, mixermidi e
quant'altro).
La tecnica digitale (peraltro presente prima del MIDI), già si applicava su dei synth analogici. Essa
permetteva di memorizzare digitalmente delle patch, ma, pur mantenendo il suono dei synth tradizionali, gli
strumenti erano ancora instabili e tutto sommato degli ibridi abbastanza costosi. Fu nei primi anni '80, però,
con lo sviluppo dei microprocessori, che le case costruttrici sono spinte verso la ricerca di strumenti digitali
più precisi e idonei per la produzione in larga scala. Il sistema digitale si basa essenzialmente su questi
microprocessori (chip) che in pratica sono la summa di interi set di transistor, stampati su dei fogli di silicio
grandi come un'unghia. Per fare un esempio, se con l'analogico, per costruire un VCO serve un circuito
stampato di 10x10 cm., con il digitale lo stesso VCO sarà un chip della dimensione di un francobollo con più
forme d'onda, più flessibilità d'uso e un'intonazione precisa al centesimo.
Nel 1983 con la presentazione della Yamaha DX-7, si ebbe un'ulteriore rivoluzione nella tecnica elettronica.
La DX-7 è uno strumento unico per il suo genere, innanzi tutto per la generazione dei suoni in FM
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(modulazione di frequenza), molto difficile da programmare ma che ma può dare luogo a dei suoni eccellenti
e inusuali, la possibilità di memorizzare 32 patch e di salvarle su delle card, l'implementazione MIDI, la sua
polifonia a 16 voci (un traguardo di allora), le sue dimensioni contenute e un prezzo tutto sommato
abbordabile. In pratica la DX-7, racchiudendo in sé tutte le prerogative che un musicista cercava da una
tastiera, fece un successo incredibile nell'ambito della pop music.
Ogni musicista, gruppo o compositore (la lista è infinita), aveva una DX-7 nelle loro produzioni, al punto che,
tutta la musica pop degli anni '80 fu costruita e influenzata da quei suoni. Dalla Yamaha, seguono quindi altri
modelli rigorosamente in FM, quali: la DX-7 mark II, la DX-5, esemplare che aveva in se due DX-7, il TX-7,
expander della DX-7 e tutta una linea DX che comprendeva DX-9, DX-100, DX-21 e DX-27. Tutt'ora, alla DX-7
(peraltro ancora molto usata), rimane il record d'essere la tastiera più usata e più venduta nella storia dei
synth.
Il sistema digitale apre di fatto molteplici possibilità di sviluppo. Le tastiere di tutti gli anni a venire saranno
basati su questa tecnica e sul predominio delle case giapponesi. La Korg in particolare, produce una serie di
strumenti di successo a cominciare dal Poly 61, tastiera versatile ed economica (come saranno poi tutti gli
strumenti made in Japan), dotata di 6 voci, oscillatori digitali, 32 patch per le memorie e un peso irrisorio.
Seguono poi le variazioni sul tema come il Poly 61 M, il Poly 800, il DW 6000 e il DW 8000, tutte molto simili
tra loro e con un suono molto omologato a metà strada tra la sintesi in FM e quella tradizionale a sottrazione.
Un discreto successo la Korg lo ottiene con il campionatore DSS-1, una macchina molto versatile che
coniuga campionamento e oscillatori consueti, con la possibilità di intervenire chirurgicamente sul suono e
con due digital delay all'interno che accrescono le potenzialità dello strumento. In definitiva una bella tastiera
molto adatta per professionisti in studio di registrazione.
La Roland inaugurando la linea"D" con l'arcinoto expander D550 e la relativa tastiera D50, entra realmente in
competizione con la DX7, adottando dei generatori di suono digitali di nome LAS (Linear Arithmetic
Synthesis) combinati a suoni PCM, è in grado di generare dei timbri veramente nuovi, ed in aggiunta era
molto più manovrabile della DX7. La linea "D", prosegue poi con il D10, il D110, il D20, e sul finire degli'80,
l'U20 e il relativo expander U220, con timbri esclusivamente PCM. Un altro grande consenso di pubblico, lo
ebbe la Korg con l' M1, a mio avviso una strumento ancor oggi valido e utilizzabile, che segnerà l'avvio alla
realizzazione di tastiere workstation.
L' M1, sfrutta come suoni l'attacco (l'avvio) di strumenti reali campionati e forme d'onda classiche, per poi
mettere in loop una piccola quantità di segnale, in modo che, con una minima quantità di memoria, possano
trovare alloggio cento forme d'onda, altrimenti non allocabili con la tecnologia di allora. La tastiera inoltre
possiede, oltre ai filtri ed inviluppi di prassi, una doppia sezione di effetti che vanno dal riverbero, chorus,
delay, distorsore e modulatori vari, nonché un sequencer ad otto tracce (la multitimbricità è ad otto parti),
quattro uscite separate e cento locazioni di memoria con la possibilità di aggiungerne altre cento con delle
card adatte. Insomma, il primo strumento completo ed economico per fare musica in maniera autosufficiente.
L' M1 avrà in seguito la sua evoluzione con la Wawestation che combina e altera le forme d'onda digitali con
un metodo di sintesi chiamato AVS (Advanced Vector Synthesis).
Quindi con il MIDI e la tecnica digitale negli anni '90, anche le software house si dedicano alla musica e senza
dubbio il più importante è stato, ed è tuttora, il Cubase della Steimberg. La Steimberg già produceva il
PRO24, un software musicale per Commodore, ma con la nascita dell'Atari ST, primo computer che incorpora
l'interfaccia midi, il Cubase ha il suo naturale ambiente di espansione. Il Cubase (sviluppatosi poi per ambienti
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Mac e Windows), permette la realizzazione di brani musicali utilizzando expanders e tastiere, privilegio prima
dei registratori multitraccia, e il conseguente diffondersi dell' home recording.
Nascono in quel periodo le basi musicali prodotte a basso costo e quindi una sorta di democrazia musicale,
che permette a chiunque di cimentarsi a cantare con il Karaoke (termine giapponese), con risultati a volte
piacevoli e spesso disastrosi. L'industria delle tastiere si biforca in due direzioni: da una parte apparecchi in
grado di eseguire le basi midi e dall'altro, synth per professionisti con tecniche di sintesi sempre più
sofisticate. Il trittico giapponese (Roland, Yamaha e Korg), ma anche la GEM, la Farfisa o la recente
CharlieLab, produrranno in abbondanza molte tastiere, moduli, lettori e vari marchingegni atti a soddisfare le
richieste per l'intrattenimento, al punto che, si codificherà in un sistema unico le basi midi (uno standard
chiamato General Midi), valido per ogni macchina.
Sarebbe arduo elencare tutti i centinaia di prodotti, che sebbene diversi fra loro, hanno comunque in comune,
un suono molto simile (lo standard GM ha penalizzato la diversità) ed una qualità timbrica molto industriale.
Nel versante professionale, invece, ci sono delle innovazioni interessanti e che vale la pena di citare. La
Roland con la serie JV, XP e i piccoli Sound Canvas (55 e 88), si è sempre dimostrata all'altezza di avere
suoni professionali e di ottima fattura, pur mantenendo la classica generazione di timbri tecnicamente evoluta.
In particolar modo l'expander JV-1080 (poi sviluppatosi con i modelli 2080 e 3080) e la relativa tastiera XP-80,
sono delle macchine potenti e affidabili che uniscono suoni GM, con altri suoni decisamente innovativi.
L'architettura dei suoni si può espandere con delle schede opzionali e avendo quaranta dei più disparati
effetti in dotazione, è uno strumento indispensabile in un moderno studio di registrazione.
La Yamaha, inizia il decennio con (a mio avviso) una deludente serie SY, di cui l' SY77 fu il prodotto di
punta. Nonostante il battage pubblicitario e la presenza di testimonial famosi, il progetto fallirà le previsioni di
vendita come pure deluderanno i due modelli W-5 e W-7, copie delle concorrenti JV Roland. E' finalmente
con il CS1X che il synth ritrova le manopole perse negli anni '70. Il CS1X (e il modello CS2X), sono synth
moderni con una sezione di controlli manuali che facilitano la programmazione, hanno timbri e regolazioni
vintage e nello stesso tempo un modulo di suoni GM, un' arpeggiatore, 32 note di polifonia, una presa host
per il computer e un prezzo contenuto. Tutto questo fa sì che la macchina sia uno strumento ideale per
esecuzione live sia amatoriali sia professionali.
Sull'onda del vintage, la Clavia, una casa costruttrice svedese, produce nel '95 e nel '97 due synth di
successo il Nord Lead e di seguito il Nord Lead 2. Gli strumenti hanno gli stessi controlli dei vecchi synth
come l'ARP 2600 o il Minimoog sono polifonici, multitimbrici, possiedono un flessibile filtro, un
portamento/legato, un arpeggiatore e in più tutte le manopole e i controlli sono midi. Il synth farà felici sia i
nostalgici dello smanettamento, sia le nuove generazioni di tastieristi che possono provare con mano certe
alchimie perdute. E' proprio l'originalità nella tradizione che determina il successo del Nord Lead.
La Clavia con questi strumenti, può sicuramente collocarsi affianco ai grandi costruttori di synth.
In questo periodo prende piede un nuovo sistema di sintesi chiamato Physical Modelling (modello fisico) che
è, un'elaborazione digitale delle caratteristiche degli strumenti veri. Per esempio, la lunghezza di una tromba,
il tipo di bocchino, il soffio che si provoca e persino la distorsione su delle frequenze, sono dati racchiusi in
una complessa formula matematica chiamata algoritmo. Nello strumento non ci saranno più oscillatori o
campioni, ma un computer che interpreta i modelli matematici inseriti i quali parametri, potendo essere
modificati dall'esecutore, danno la possibilità non solo di suonare strumenti estremamente reali, ma anche di
crearne di nuovi e inediti.
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E' il caso del Prophecy, della Korg strumento monofonico del 1996, e anche dello Yamaha VL1, ambedue
monofonici e molto originali nella timbrica, dedicati, dato l'alto prezzo, ad una fascia di professionisti. La Korg
abbandonerà questa sintesi per dedicarsi a synth-workstation, quali il Trinity, il Korg Z1, il Triton e il recente
Karma, tutte macchine molto potenti ma con un suono prevedibile e un look metallizzato impossibile a
vedersi.
E' verso la fine del decennio (o meglio del secolo), con l'incremento dei PC dedicati alla musica e dei loro
relativi programmi (Cubase, Cakewalk, Finale etc.etc.), si sviluppa un'industria di plug-in software (moduli
aggiuntivi al programma) chiamati comunemente VSTi (Virtual Studio Tecnology Instrument). Dopo i plug-in di
effetti (una moltitudine), i VSTi verranno prodotti a centinaia. Campionatori virtuali che sfruttano CPU
velocissime e hard disk di capacità enorme come è il caso dell'HALion, sono il primo passo per
abbandonare i vecchi samplers costosi e limitati.
Si passa poi all'emulazione di synth vintage quali Minimoog (model E), Prophet (pro52), DX7 (FM7), modulari
enormi (Arteria Modular V) e synth completamente nuovi (Absynth), piani Rhodes in quantità (Lounge Lizard,
Mda piano), organi Hammond (B4), piani acustici (The Grand) e una quantità impressionante di drum machine.
Citare tutti i VSTi esistenti, è un'impresa titanica e impossibile, anche perché la lista cambia di giorno in
giorno. Comunque i VSTi, sono dei veri e propri synth che sostituiscono (almeno in studio), expander e
tastiere di qualsiasi genere, e la loro qualità di suono, fa sì che non si rimpiangano i modelli veri.
Intuire in quale direzione andrà domani lo sviluppo degli strumenti musicali elettronici, è impossibile e vana,
sia perché la tecnologia cresce di mese in mese e sia perché le tendenze musicali, influenzano la fabbrica
dei suoni. In questi ultimi tempi, con l'abbassarsi dei prezzi dell' hardware informatico, sta nascendo una
generazione di tastiere, dotate di CPU, hard-disk un'ampia memoria ram e masterizzatore per la stampa dei
CD, in pratica dei veri e propri computer portatili, che rendono ambigua la definizione di esecuzione live, e
rendono giustizia al termine studio di registrazione mobile.
Credo comunque, che le idee e la fantasia dell'esecutore, sono state e saranno la chiave per aprire qualsiasi
suono, seppur impensabile, che ci riserva il futuro.
di Mauro Iannuccelli