Storia Della Musica 3B 4B 5B
Storia Della Musica 3B 4B 5B
Storia Della Musica 3B 4B 5B
della Musica
e del Teatro Musicale Moderno
a cura di
Angelo Fernando Galeano
AFG
Il Medioevo
Nella Storia della Musica, la musica medievale è quella musica composta in Europa
durante il Medioevo, ovvero nel lungo periodo che va convenzionalmente dal V
secolo d.C, ossia dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C. al XV
secolo, ossia il 1492, data della riscoperta occidentale delle Americhe da parte della
spedizione di Cristoforo Colombo, ed è suddivisa in sottoperiodi che ne distinguono
lo sviluppo in quasi un millennio di cultura europea.
Il canto Gregoriano
Il canto gregoriano è un canto liturgico, solitamente interpretato da un coro di voci
bianche o maschili o da un solista chiamato cantore (cantor) o spesso dallo stesso
celebrante con la partecipazione di tutta l'assemblea liturgica.
È finalizzato a sostenere il testo liturgico in latino.
Deve essere cantato a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, poiché
ogni armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa musica.
In effetti si tratta di un canto omofono, più propriamente monodico, è una musica
cioè che esclude la simultaneità sonora di note diverse: ogni voce che lo esegue canta
all'unisono.
Non è cadenzato, ma è assolutamente ritmico. Il suo ritmo è molto vario,
contrariamente alla cadenza regolare della musica moderna. Il ritmo, che nel canto
gregoriano riveste un ruolo complesso, oltrepassa le parole e la musica, sorpassando
le due logiche. È una musica recitativa che predilige il testo in prosa, che prende
origine dal testo sacro e che favorisce la meditazione e l'interiorizzazione (ruminatio)
delle parole cantate. Il canto gregoriano non è un elemento ornamentale o
spettacolare che si aggiunge alla preghiera di una comunità orante, ma è parte
integrante della celebrazione liturgica di rito cattolico romano.
Il nome deriva dal papa benedettino Gregorio I Magno1. Secondo la tradizione, egli
raccolse ed ordinò i canti sacri in un volume detto Antifonarium Cento, legato con
1Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circa – Roma, 12 marzo 604), è
stato il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte.
Guido D’Arezzo
Guido d'Arezzo nacque intorno al 995 d.C. in un villaggio vicino a Pomposa
(Ferrara). Entrò nel monastero benedettino dell'abbazia di Pomposa e poi si trasferì
ad Arezzo, dove maturò il suo nuovo metodo per l'apprendimento del canto
liturgico, che espose al papa Giovanni XIX, il quale ne favorì la propagazione. Le sue
opere sono il Micrologus de Musica, considerato il più importante trattato musicale a
noi pervenuto del Medioevo e il Prologus in Antiphonarium nel quale l'Antifonario
gregoriano viene dato nella nuova notazione.
Guido d'Arezzo diede una soluzione ai molteplici tentativi di notazione diastematica
e fu una figura importante nella storia della notazione musicale, soprattutto per
l'impostazione del modo di leggere la musica: inventò il tetragramma e utilizzò la
notazione quadrata.
Diede inoltre un nome ai suoni dell'esacordo, con l'intento di aiutare i cantori a
intonare e memorizzare una melodia anche senza leggerne la notazione. A questo
L’inno a San
Giovanni Battista
(Traduzione: affinché i fedeli possano
cantare con tutto lo slancio le tue gesta
meravigliose, liberali dal peccato che ha
contaminato il loro labbro,
o S. Giovanni.)
Successivamente la sillaba
ut fu sostituita con do:
l'artefice della sostituzione é
stato erroneamente
identificato in Giovanni
Battista Doni, il quale nel
XVII secolo avrebbe a
questo scopo impiegato la
prima sillaba del proprio
cognome; in realtà l'uso della sillaba do è attestato già nel 1536 (dunque molto prima
della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino. Guido D'Arezzo realizzò anche il
sistema esacordale che non fu un sistema teorico, ma un metodo didattico, con la
funzione pratica di aiutare i cantori ad intonare i canti. Organizzò la successione
delle note in esacordi perché la maggior parte dei canti stavano nell'ambito di 6 note
ed erano le sei note che stavano nel tetragramma.
La Solmisazione
In precedenza le note erano denominate soltanto con una lettera dell'alfabeto latino,
uso tuttora in vigore nei paesi anglosassoni: partendo dal nostro DO la successione
delle note era C D E F G A B. Guido d'Arezzo utilizzò le sillabe dell'Inno a S.
Giovanni per indicare i gradi dell'esacordo, in modo che il semitono ascendente (E-F,
B-C, A-Bb) fosse sempre chiamato mi-fa e costituisse sempre il passaggio dal terzo al
quarto grado dell'esacordo.
La Mano Guidoniana
Per facilitare ai cantori la pratica della
solmisazione venne inventata la mano
guidoniana: sulla mano sinistra veniva
messa la notazione alfabetica di Oddone di
Cluny (= lettere maiuscole = ottava grave;
minuscole = ottava media; doppie
minuscole = ottava acuta). Guardando
questa mano doveva essere più facile
praticare la solmisazione. La mano
guidoniana aiutava, dunque, la pratica
della solmisazione.
La notazione neumatica.
Per scrivere le melodie i monaci avevano inventato dei neumi, parola che dal greco
significa segni, da porre sopra le parole dei canti, senza ausilio di righe e chiavi. I
neumi non indicano l'esatta altezza delle note, da apprendere oralmente, ma sottili
sfumature ritmiche e di intonazione. La trasmissione orale del canto gregoriano non
impedì l’utilizzo, dal punto di vista teorico, di una scrittura alfabetica medievale,
che, a differenza di quella greca, utilizzò le lettere dell'alfabeto latino. La notazione
Gli vennero dati anche nomi, quali, ad esempio, notazione in campo aperto (perché i
neumi erano liberamente posti sul testo), notazione adiastematica (da "diastema" =
I Trovatori
I trovatori furono poeti attivi nei secoli XII e XIII nelle corti aristocratiche della
Provenza, regione attualmente appartenente alla Francia. Parlavano la lingua
occitana. Successivamente, trovatori si poterono trovare in Francia, Catalogna, Italia
settentrionale, e vennero ad essere influenzate tutte le scuole letterarie d'Europa: la
scuola siciliana, toscana, tedesca, scuola mozarabica e portoghese.
Erano musicisti provenienti dalla Francia del nord. Parlavano la lingua d'oil, uno dei
due volgari francesi (assieme alla lingua d’oc).
Le poche melodie di lirica trobadorica che ci sono pervenute risalgono al 1300 circa.
Questo perché si sentì l'esigenza di mettere per iscritto una parte di questo
patrimonio, ma ormai troppo tardi ed in forma assai incompleta.
Adam de la Halle, uno dei principali trovatori, fu un poeta francese che, trasferitosi
a Napoli al servizio degli Angioini, concepì un'operina in miniatura: Le jeu de Robin et
Marion, formalmente una pastorella drammatica; la pastorella era una lirica in cui si
immaginava l'incontro di un cavaliere con un pastorella. Questa opera è nota in tutto
il mondo come il primo abbozzo della storia di Robin Hood.
Il trobar plan era un modo di scrivere poeticamente abbastanza semplice. Il trobar rich
era un modo di poetare più complesso, il trobar clus era un modo di poetare chiuso,
2 Il termine sirventes (serventes o servantes) deriva dal provenzale sirvent, un mercenario al servizio di un signore
feudale. Quindi l'intento originario di questo genere di composizione, fosse essa cantata dal menestrello o
composta dal trovatore, era quello di lodare o criticare i signore a cui si prestava servizio.
3 Federico I Hohenstaufen, meglio noto come Federico Barbarossa (Waiblingen, 1122 – Saleph, 10 giugno 1190),
è stato imperatore del Sacro Romano Impero. Salì al trono di Germania il 4 marzo 1152 succedendo allo zio
Corrado III, e fu incoronato Imperatore il 18 giugno 1155. l giorno di Pentecoste, il 17 giugno 1156 Federico
sposò a Würzburg Beatrice di Borgogna (1145 – Besançon, 15 novembre 1184), figlia unica, del conte di
Borgogna Rinaldo III e di Beatrice di Lorena, figlia di Gerardo I di Lorena. Nonno di Federico II di Svevia,
detto Stupor Mundi, che regnerà sul Regno di Sicilia nel 1210.
La musica sacra
Accanto al canto gregoriano, praticato in ambito liturgico, si sviluppò una
produzione musicale sacra che non era legata alla liturgia. Si tratta di una
produzione in latino, l'ufficio drammatico (e poi dal dramma liturgico) e di una
tradizione in volgare, le laudi. Nel Medioevo, all'interno della liturgia, si
cominciarono a teatralizzare rievocazioni del testo sacro che lo consentivano. Questa
prima fase della teatralizzazione di momenti del testo sacro prese il nome di ufficio
drammatico, perché la teatralizzazione avveniva nell'ambito di una celebrazione
liturgica.
Il passo successivo fu la nascita del dramma liturgico che fu una vera e propria
rappresentazione teatrale, realizzata sull'altare della chiesa, in cui i chierici vestivano
i panni di attori. Il dramma liturgico fu una rappresentazione teatrale ispirata alla
tradizione del vecchio e del nuovo Testamento e interamente cantato. Il passaggio
dall'ufficio drammatico al dramma liturgico risulta evidente se si prende in
considerazione il primo ufficio drammatico, Quem quaeritis? un tropo che si cantava
nel mattutino pasquale4. Questo tropo era un canto interamente inventato che
rievocava l'incontro dell'angelo con le pie donne. Questo nucleo dialogico venne
teatralizzato, dunque diventò un ufficio drammatico. Quando dal canto teatralizzato
si passò alla rappresentazione vera e propria in cui all'angelo e alle pie donne si
aggiungono altri personaggi, nasce il dramma liturgico che prende il nome di Ludus
Paschalis perché la parola che venne utilizzata per indicare questi drammi di norma
fu ludus, gioco. Fra l'altro, si tenga conto che il rapporto fra la teatralità e il gioco è
molto diffuso nelle lingue non italiane.
Il ludus Danielis rievoca la vicenda di Daniele e della fossa dei leoni5 ed è una
rappresentazione molto interessante perché è il più grandioso dramma liturgico.
Prevede molti personaggi in scena, la presenza di strumenti accanto alle voci ed ha
un numero molto alto di melodie di varia provenienza. Inoltre, il ludus Danielis ha
delle parti in volgare perché i fedeli ormai parlavano in volgare e, quindi, in una
4 Il mattutino è quel momento della liturgia delle ore che riguarda una delle prime ore del giorno di Pasqua.
5 Nel primo libro dei Maccabei si narra la storia di Daniele che gettato innocente in una fossa piena di leoni fu
ritrovato miracolosamente incolume il mattino seguente.
6 La Poetica è un trattato di Aristotele, scritto ad uso didattico, probabilmente tra il 334 e il 330 a.C., ed è il
primo esempio, nella civiltà occidentale, di un'analisi dell'arte distinta dall'etica e dalla morale. In essa il filosofo
teorizza il concetto di catarsi e codifica per la prima volta le unità teatrali di tempo, luogo e azione, che saranno
rispettate per tutto il periodo classico e rispolverate a partire dal teatro del ‘500 fino al ‘900.
7 Pietro Abelardo (francese: Pierre Abélard; Le Pallet, 1079 – Chalon-sur-Saône, 21 aprile 1142) è stato un
filosofo, teologo e compositore francese, talvolta chiamato anche Pietro Palatino a seguito della latinizzazione del
nome della sua città di origine. Precursore della Scolastica, fu uno dei più importanti e famosi filosofi e pensatori
del medioevo. Per alcune idee fu considerato eretico dalla Chiesa cattolica nel Concilio Lateranense II del 1139.
Abelardo fu noto anche col soprannome di Golia: durante il Medioevo tale appellativo aveva la valenza di
"demoniaco". Pare che Abelardo fosse particolarmente fiero di questo soprannome, guadagnato in relazione ai
numerosi scandali di cui fu protagonista, tanto da firmare con esso alcune delle sue lettere.
88Carl Orff (Monaco di Baviera, 10 luglio 1895 – Monaco di Baviera, 29 marzo 1982) è stato un compositore
tedesco, famoso principalmente per i Carmina Burana (1937) e per i Catulli Carmina (1943). Ho deciso di
ascoltare la sua opera più famosa nel primo anno anziché nel terzo perché didatticamente più efficace nella
comprensione dei veri Carmina medioevali.
La Camerata de’Bardi
La stagione del madrigale tradizionalmente inteso stava per esaurirsi (Monteverdi
avrebbe pubblicato nel 1638 il suo ultimo libro, l’ottavo, a partire dal 1587) e i tempi
erano maturi perché potesse prendere forma il progetto a lungo teorizzato alla fine
del Cinquecento dalla Camerata fiorentina dei Bardi: quel "Recitar cantando" di cui
aveva già scritto nel 1528 Baldassarre Castiglione:
"... parmi gratissimo il cantare alla viola per recitare; il che tanto di venustà ed efficacia
aggiunge alle parole …".
Gli appartenenti alla Camerata erano nobili umanisti o musicisti della corte
fiorentina, la prima assise della Camerata di cui si ha notizia si tenne il 14 gennaio
1573. Non si sa con esattezza chi e quanti furono i partecipanti a quella riunione. Si
sa però che del gruppo avrebbero fatto parte da allora in avanti, oltre che il conte
Bardi, intellettuali, drammaturghi e musicisti come Girolamo Mei, Vincenzo Galilei
(liutista, padre di Galileo e confidente del conte), Giulio Caccini, Emilio de' Cavalieri,
9Jacopo Peri (detto Zazzerino) (Roma, 20 agosto 1561 – Firenze, 12 agosto 1633) è stato un compositore,
organista e tenore italiano durante il periodo di transizione tra Rinascimento e Barocco.
L’Orfeo
Claudio Giovanni Antonio Monteverdi
(Cremona, 9 maggio 1567 – Venezia, 29 novembre 1643)
Tra gli spettatori della messa in scena dell'Euridice, nell'ottobre del 1600, c'era anche
un giovane avvocato e diplomatico della corte dei Gonzaga, Alessandro Striggio.
Anche il giovane Striggio era un abile musicista. Nel 1589 (a 16 anni), aveva suonato
la viola alla cerimonia nuziale di Ferdinando di Toscana. Assieme ai due figli più
giovani del Duca Vincenzo, Francesco e Fernandino, era membro dell'esclusivo
circolo intellettuale mantovano: l'Accademia degli Invaghiti, che rappresentava un
importante trampolino di lancio per le opere teatrali della città.
Personaggi
La Musica soprano
Orfeo tenore
Euridice soprano
La Messaggera soprano
Speranza soprano
Caronte basso
Proserpina soprano
Plutone basso
Apollo tenore
Ninfa soprano
Eco tenore
Ninfe e pastori coro
Spiriti infernali coro
ATTO I
I pastori si raccolgono festosi attorno a Orfeo ed Euridice, che stanno per celebrare le loro
nozze. Vengono intonate preghiere propiziatorie (ed eseguite gioiose danze corali. Orfeo
chiama gli astri a testimone della sua felicità, ed Euridice gli fa eco. Poi tutti si avviano al
tempio in cui si compirà il rito. Additando questa ulteriore riprova, il coro invita a non
lasciarsi mai prendere dalla disperazione.
ATTO II
Orfeo ritorna ai suoi boschi e ai suoi prati, al culmine della felicità, mentre i pastori
continuano a intonare lieti canti. Lo stesso Orfeo si esibisce in una canzone strofica.
Quell’atmosfera gioiosa è però turbata dai gemiti di Silvia che, provocando la costernazione
generale, informa dell’improvvisa e inopinata morte di Euridice. Silvia racconta come tutto
ciò sia potuto accadere: mentre raccoglieva fiori, Euridice è stata morsa da un serpente, ed è
spirata tra le braccia delle sue compagne invocando il nome dell’amato Orfeo. Tutti sono
sconvolti: Orfeo addirittura si propone di scendere nell’oltretomba per cercare di riportare
Euridice alla vita. Un generale compianto accompagna la sua disperazione.
ATTO III
Orfeo penetra nel regno degli Inferi guidato dalla Speranza. Lasciato solo, Orfeo s’imbatte in
Caronte, il traghettatore delle anime dei morti, che gli si para davanti impedendogli l’accesso.
Orfeo tenta vanamente d’impietosirlo: decide allora di provocarne il sonno intonando
un’appropriata melodia sulla sua lira, e di utilizzarne nel frattempo l’imbarcazione per
attraversare il fiume infernale. Il coro addita quest’azione come caso esemplare di ardimento
umano.
ATTO IV
Giunto al cospetto delle divinità infere, Orfeo espone il suo caso. Trova una sostenitrice in
Proserpina che, in nome e nel ricordo di quanto ha fatto per amor suo, prega Plutone di
accontentare Orfeo. Plutone acconsente, stabilendo però che Orfeo non dovrà mai guardare
Euridice prima di aver lasciato l’oltretomba. Orfeo è dapprima raggiante per il successo, e
canta, ma poi inizia a essere roso dal dubbio che Euridice lo segua davvero nel cammino di
ritorno sulla terra. Spaventato da strani rumori, si volta a controllare se Euridice è con lui,
infrangendo così la clausola dettata da Plutone e perdendola per sempre. Il coro sottolinea il
paradosso: Orfeo, che l’aveva spuntata contro la legge di natura, non è riuscito a vincere se
stesso e le sue passioni.
La Musica
(Prologo) Quinci a dirvi d'Orfeo desio mi sprona,
Dal mio Permesso amato d'Orfeo che trasse al suo cantar le fere,
a voi ne vegno, e servo fe' l'inferno a sue preghiere,
incliti eroi, sangue gentil di regi, gloria immortal di Pindo e d'Elicona.
di cui narra la fama eccelsi pregi,
né giugne al ver perch’è troppo alto il Or mentre i canti alterno, or lieti, or
segno. mesti,
non si mova augellin fra queste piante,
Io la Musica son, ch'a i dolci accenti né s'oda in queste rive onda sonante,
so far tranquillo ogni turbato core, ed ogni auretta in suo cammin s’arresti.
ed or di nobil ira, ed or d'amore
posso infiammar le più gelate menti. La Speranza
(atto III)
Io su cetera d'or cantando soglio Ecco l'atra palude, ecco il nocchiero
mortal orecchio lusingar talora, che trae gli spirti ignudi a l'altra
e in guisa tal de l'armonia sonora sponda,
de le rote del ciel più l'alme invoglio.
Il Barocco
Caratteri generali
Il melodramma nasce a Firenze verso la fine del XVI secolo e, grazie a Claudio
Monteverdi, ha enorme diffusione in età barocca, affermandosi soprattutto a Roma, a
Venezia e, successivamente (a partire dagli ultimi decenni del Seicento), a Napoli.
Spettacolo inizialmente riservato alle corti, e dunque destinato ad una élite di
intellettuali e aristocratici, acquista carattere di intrattenimento a partire
dall'apertura del primo teatro pubblico nel 1637: il Teatro San Cassiano di Venezia.
Alla severità dell'opera degli esordi, ancora permeata dell'estetica tardo-
rinascimentale, subentra allora un gusto per la varietà delle musiche, delle
situazioni, dei personaggi, degli intrecci; mentre la forma dell'aria, dalla melodia
accattivante e occasione di esibizione canora, ruba sempre più spazio al recitativo dei
dialoghi e, di riflesso, all'aspetto letterario, il canto si fa sempre più fiorito.
Durante il Seicento il teatro barocco viene considerato come il teatro dell’illusione e
della fantasia. Una delle innovazioni fu il mutamento di scena, cioè i cambi di scena
che non avvenivano più a scena chiusa, ma a scena aperta. Giacomo Torelli fu uno
dei grandi scenografi di quest'epoca, che perfezionò la tecnica del mutamento di
scena attraverso l’uso dell’argano, apparecchio di sollevamento costituito da un
cilindro a cui si avvolge una fune. Questo strumento portò anche a una diminuzione
delle spese da parte degli imprenditori. La scenografia barocca è basata su ambienti
naturali e fantastici che offrono l’immagine di una realtà mutevole in cui l’uomo ha
perso la propria centralità. La scena barocca è caratterizzata da una realtà
imprevedibile, dominata da fenomeni naturali per questo il mondo viene
considerato come un grande teatro.
Gian Lorenzo Bernini fu uno dei più grandi artisti del Seicento, e oltre che famoso
architetto e scultore si occupò del movimento della scenografia e di effetti teatrali.
Bernini riprodusse sul palcoscenico i più spettacolari fenomeni della natura, come
inondazioni e incendi, nella maniera più realistica, in modo da suscitare stupore e
sorpresa negli spettatori.
Il Da capo
L'aria col da capo è una forma tripartita con schema A-B-A1. È composta cioè da tre
sezioni, dette anche strofe: la prima è un'unità musicale completa che si conclude
nella tonalità di impianto, la seconda è in forte contrasto con la prima, mentre la
terza, che spesso non viene neppure scritta dal compositore, ma semplicemente
indicata con la dizione da capo sulla partitura, consiste nella ripetizione letterale della
prima. La terza sezione era impreziosita con improvvisazioni e abbellimenti per
mezzo dei quali il cantante poteva mettere in mostra tutta la sua abilità e il suo
virtuosismo.
L'aria "col da capo" era spesso accompagnata da un testo in due strofe, ciascuna
composta da tre a sei versi.
Farinelli
Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, detto Farinelli
(Andria, 24 gennaio 1705 – Bologna, 16 settembre 1782)
Nacque ad Andria (allora nel Regno di Napoli) in una famiglia agiata della nobiltà
locale; il padre Salvatore, che ricopriva cariche amministrative feudali, fu un grande
appassionato di musica e volle indirizzare entrambi i figli a professioni del settore,
facendo studiare Riccardo, il maggiore, da compositore e Carlo da cantante. Fu il
BARTOLOMEO NAZZARI,
Ritratto del Farinelli (1733)
Antonio Vivaldi
Antonio Lucio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741)
10 Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 –
Vienna, 12 aprile 1782), è stato un poeta, librettista, drammaturgo e presbitero italiano. È considerato il
riformatore del melodramma italiano.Scrisse 27 melodrammi nel corso di 50 anni di attività teatrale.
Allegro
Giunt' è la Primavera e festosetti
La Salutan gl' Augei con lieto canto,
E i fonti allo Spirar de' Zeffiretti
Con dolce mormorio Scorrono intanto:
Largo
E quindi sul fiorito ameno prato
Al caro mormorio di fronde e piante
Dorme 'l Caprar col fido can' à lato.
Allegro
Di pastoral Zampogna al suon festante
Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato
Di primavera all'apparir brillante.
La tonalità è Sol minore. Per i suoi toni accesi e violenti questo concerto riflette con
maggiore efficacia rispetto agli altri la carica esplosiva della stagione. La tempesta
viene descritta passo passo nella sua manifestazione al pastore: dapprima si avvicina
da lontano nella calura estiva (allegro non molto - allegro), quindi il pastore che si
spaventa per l'improvviso temporale (adagio presto) e infine la virulenza sprigionata
dalla tempesta in azione (presto).
Adagio
Toglie alle membra lasse il suo riposo
Il timore de’ lampi, e tuoni fieri
E de mosche, e mosconi il stuol furioso:
Presto
Ah che pur troppo i suoi timor sono veri
Tuona e fulmina il cielo grandinoso
Tronca il capo alle spiche e a’ grani alteri.
Allegro
Celebra il Vilanel con balli e Canti
Del felice raccolto il bel piacere
E del liquor di Bacco accesi tanti
Finiscono col Sonno il lor godere
Adagio molto
Fa' ch' ogn' uno tralasci e balli e canti
L' aria che temperata dà piacere,
E la Staggion ch' invita tanti e tanti
D' un dolcissimo sonno al bel godere.
Allegro
I cacciator alla nov'alba à caccia
Con corni, Schioppi, e cani escono fuore
Fugge la belva, e Seguono la traccia;
L'Inverno, in Fa minore, viene descritto in tre momenti: l'azione spietata del vento
gelido (allegro), il secondo movimento, tra i più celebri delle quattro stagioni, della
pioggia che cade lenta sul terreno ghiacciato (adagio) e la serena accettazione del
rigido clima invernale (allegro).
Largo
Passar al foco i dì quieti e contenti
Mentre la pioggia fuor bagna ben cento
Caminar sopra il ghiaccio, e a passo lento
Per timor di cader girsene intenti;
Allegro
Gir forte Sdrucciolar, cader a terra
Di nuovo ir sopra'l ghiaccio e correr forte
Sin ch'il ghiaccio si rompe, e si disserra;
La fuga
La fuga è una forma musicale polifonica basata sull'elaborazione contrappuntistica
di un'idea tematica (a volte due o tre), che viene esposta e più volte riaffermata nel
corso della ricerca di tutte le possibilità espressive e/o contrappuntistiche da essa
offerte. Dalla seconda metà del Seicento alla prima metà del Settecento (quindi nel
momento di massimo splendore del Barocco) la fuga è stata la più importante forma
contrappuntistica strumentale. Per le sue caratteristiche, la fuga è stata scritta
soprattutto per strumenti polivoci, in grado cioè di produrre contemporaneamente
due o più suoni. È considerata una delle più importanti espressioni del contrappunto
nella storia della polifonia occidentale.
Händel visse dal 1706 al 1710 in Italia, dove raffinò la sua tecnica compositiva,
adattandola a testi classici italiani; rappresentò opere nei teatri di Firenze, Roma,
Napoli e Venezia e conobbe e frequentò musicisti coevi come Scarlatti, Corelli,
Marcello. A Roma fu al servizio del cardinale Pietro Ottoboni, mecenate anche di
Corelli e Juvarra.
Dopo essere stato per breve tempo (dal 16 giugno 1710) direttore musicale alla corte
dell'Elettore di Hannover Giorgio Ludovico (destinato a diventare, di lì a quattro
anni, re di Gran Bretagna con il nome di Giorgio I), nel 1711 si trasferisce a Londra
Il Messiah
L'idea per il Messiah fu di Charles Jennens,
che aveva già scritto il libretto per
l'oratorio Saul e nel luglio del 1741 disse ad
un amico che voleva convincere Händel a
musicare un'altra raccolta di testi biblici,
per eseguirla nella Settimana Santa.
Ma Händel non voleva impegnarsi per la
stagione 1741/42. Nella stagione
precedente non era riuscito ad affermarsi
con le sue opere liriche italiane Imeneo e
Deidamia. Lo spunto per la composizione del nuovo oratorio provenne infine
dall'invito di William Cavendish, III duca di Devonshire per un serie di concerti a
Dublino.
Händel scrisse la musica con la solita velocità, utilizzando parzialmente - come in
altre opere e oratori - dei pezzi esistenti, tra cui le sue cantate italiane a duetto. Iniziò
il 22 agosto 1741 terminando il primo atto il 28 agosto, il secondo il 6 settembre ed il
terzo il 12 settembre. Con la strumentazione la partitura fu completata il 14
settembre – quindi dopo 24 giorni. Subito dopo proseguì con l'oratorio Sansone
(Samson) e ne compose la maggior parte, rivedendolo poi nell'autunno del 1742.
Nel novembre del 1741 Händel si recò a Dublino. Il 2 ottobre là venne aperto "Mr
Neale's Great Musick Hall in Fishamble Street" dove si proponevano da dicembre un
serie di sottoscrizioni in cui venivano eseguiti L'Allegro, il Penseroso ed il Moderato
ed altri oratori. Ancora prima della prima esecuzione del Messiah modificò alcuni
passaggi e compose pezzi nuovi. La prima esecuzione il 13 aprile del 1742 (successo)
Dopo altre rappresentazioni del Messiah, Händel lasciò Dublino in agosto e tornò a
Londra. In confronto all'accoglienza entusiastica di Dublino, assai più problematica
fu la reazione nei concerti di Londra. Già con Israel in Egypt si erano sentite voci che
criticavano la citazione di testi biblici in teatri profani; ora accadeva di peggio, con
queste citazioni dai vangeli ad uso di un divertimento serale. Ancora anni dopo la
composizione veniva giudicata blasfema, nonostante l'approvazione della Casa reale
e della cattolicissima città di Dublino.
Forse per via di questi pregiudizi l'oratorio venne annunciato come A New Sacred
Oratorio per la rappresentazione del 19 marzo 1743 nella Covent Garden Theatre di
Londra senza il titolo Messiah nella seconda versione. Questa prassi venne
mantenuta anche nel 1745 al Her Majesty's Theatre di Londra e nel 1749 al Covent
Garden. Solo nel 1750 al Royal Opera House incominciò una tradizione d'esecuzione
annuale in cui Händel concludeva la sua stagione di oratori nella quaresima con una
rappresentazione del Messiah, nella terza versione, ed una dopo Pasqua nella
cappella del Foundling Hospital, il cui ricavato andava ai bambini trovatelli. Nel
1755 avviene la prima a Bath diretta dal compositore e nel 1758 nella Cattedrale di
Bristol.
Händel stesso diresse il Messiah tante volte, modificandolo spesso per adattarlo alle
più correnti esigenze. Conseguentemente nessuna versione può essere considerata
autentica, e tante modifiche e arrangiamenti si sono aggiunti nei secoli seguenti, dei
quali il più famoso è quello di Wolfgang Amadeus Mozart per conto di Gottfried van
Swieten a Vienna nel 1789 con Valentin Adamberger.
Il brano più celebre dell'oratorio è l'Hallelujah, che conclude la seconda delle tre
parti dell'opera. La melodia dell'Halleluja venne poi ripresa dallo stesso Händel nel
concerto per organo e orchestra HWV 308. In alcuni Paesi è d'uso che il pubblico si
alzi in piedi durante questa parte dell'esecuzione. La tradizione vuole che il re
Hallelujah
(Il Messiah, Atto II)
Hallelujah!
For the Lord God Omnipotent reigneth.
Hallelujah!
For the Lord God Omnipotent reigneth.
Hallelujah!
The kingdom of this world
Is become the kingdom of our Lord,
And of His Christ, and of His Christ;
And He shall reign for ever and ever,
For ever and ever, forever and ever,
King of kings, and Lord of lords,
King of kings, and Lord of lords
And Lord of lords,
And He shall reign,
And He shall reign forever and ever,
King of kings, forever and ever,
And Lord of lords,
Hallelujah! Hallelujah!
And He shall reign forever and ever,
King of kings! and Lord of lords!
And He shall reign forever and ever,
King of kings! and Lord of lords!
Hallelujah!
Il Classicismo
Il Classicismo, in storia della musica, indica la musica composta nel periodo che
segue il Barocco e precede il Romanticismo, ovvero nella seconda metà del
Settecento, con appendice nella prima parte dell'Ottocento, fino agli anni
immediatamente successivi al Congresso di Vienna (1815)
Il polo del movimento classicista è in particolare Vienna (tanto che si parla di
Classicismo viennese o Wiener Klassik), città dove operavano Franz Joseph Haydn,
Wolfgang Amadeus Mozart, e Ludwig van Beethoven, i tre più grandi protagonisti
della stagione classicista.
La stagione del Classicismo musicale si colloca circa tra il 1760 e il 1830 e presenta
caratteri analoghi a quelli del neoclassicismo nelle arti figurative, quali la ricerca
della linearità e il gusto delle simmetrie.
L'estetica del classicismo è caratterizzata da una forte razionalizzazione del discorso,
dal tentativo di istituire un equilibrio tra le parti della composizione e dall'adozione
di regole rigorose. Il tipico esempio è l'introduzione dello schema formale noto come
forma-sonata, particolare struttura basata sulla dialettica tra due temi e articolata in
tre parti: esposizione, sviluppo e ripresa.
In questo periodo il melodramma si divide in due filoni tematici e stilistici:
Bologna
Un altro importante soggiorno fu quello di Bologna (in due riprese, da marzo a
ottobre 1770). Ospite del conte Gian Luca Pallavicini, ebbe l'opportunità di
incontrare musicisti e studiosi (dal celebre castrato Farinelli ai compositori Vincenzo
Manfredini e Josef Mysliveček, fino allo storico della musica inglese Charles Burney
e padre Giovanni Battista Martini). A Parma ebbe l'occasione di assistere a un
concerto privato del celebre soprano Lucrezia Agujari, detta La Bastardella.
Amadeus prese lezioni di contrappunto da padre Martini, all'epoca considerato
come il più grande teorico musicale e il più grande esperto d'Europa nel
contrappunto barocco.
Firenze
A Firenze, grazie alla raccomandazione del conte Pallavicini, la famiglia Mozart
ottenne udienza presso Palazzo Pitti con il granduca e futuro imperatore Leopoldo
II. Ritrovarono a Firenze anche il violinista Pietro Nardini, già incontrato all'inizio
del viaggio in Italia. Nardini e Wolfgang suonarono insieme in un lungo concerto
serale al palazzo estivo del Granduca.
Roma
A Roma Mozart dà una straordinaria prova del suo genio: ascolta nella Cappella
Sistina il Miserere di Gregorio Allegri e riesce nell'impresa di trascriverlo interamente
a memoria dopo solo due ascolti. Si tratta di una composizione a nove voci,
apprezzata a tal punto da essere proprietà esclusiva della Cappella pontificia, tanto
Napoli
Dopo tale impresa i salisburghesi, passando per Sessa Aurunca e Capua, si recarono
a Napoli, dove soggiornarono per sei settimane. Qui ebbero un incontro con il
segretario di Stato Bernardo Tanucci e con l'ambasciatore britannico William
Hamilton, che avevano già conosciuto a Londra.Mozart tenne anche un concerto al
Conservatorio della Pietà dei Turchini, durante il quale qualcuno attribuì all'anello
che portava al dito la genesi delle sue incredibili capacità musicali. Wolfgang se lo
tolse e lo posò sulla tastiera, dimostrando che il suo talento non derivava da virtù
magiche.
A parte la scaramanzia, Napoli nel 1770 era la Capitale della Musica oltre che quella
di un Regno, e i Mozart ebbero modo di sondare il terreno della produzione
musicale napoletana. Amadeus era attratto dagli innovatori della musica a Napoli:
Domenico Cimarosa, Tommaso Traetta, Pasquale Cafaro, Gian Francesco de Majo e
principalmente Giovanni Paisiello. Secondo il musicologo Hermann Abert, da
Paisiello il giovane Mozart doveva apprendere diversi aspetti "[...] sia per i nuovi
mezzi espressivi sia per l'uso drammatico-psicologico degli strumenti". Mozart a
Napoli viene a imparare, tuttavia la città lo ignora, nonostante i positivi riscontri
ottenuti dai Mozart durante il soggiorno a Bologna e a Roma.
Ferdinando IV di Borbone, all'epoca diciottenne, non lo riceve a corte se non in una
visita di cortesia presso la Reggia di Portici. Per Mozart non arriva nessuna scrittura
nei Teatri napoletani, nessun concerto alla corte della Capitale della Musica. La
qualità e la quantità della musica prodotta a Napoli induce il padre Leopold in una
lettera al figlio del 23 febbraio del 1778 ad affermare:
«Adesso la questione è solo: dove posso avere più speranza di emergere? forse in Italia, dove
solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri [...] o a Parigi, dove circa due o tre persone
scrivono per il teatro e gli altri compositori si possono contare sulle punte delle dita? »
Il viaggio di ritorno verso la casa natale iniziò con una nuova sosta a Roma, dove
papa Clemente XIV gli conferì lo Speron d'Oro. Indi lasciarono Roma per recarsi
sulla costa adriatica, fermandosi ad Ancona e Loreto; questo soggiorno colpì il
giovane Mozart, tanto che, subito dopo il ritorno, scrisse una composizione sacra
Torino
La tappa successiva fu costituita da un breve soggiorno a Torino, dove Mozart ebbe
occasione di incontrare alcuni importanti musicisti, come il violinista Gaetano
Pugnani e il quindicenne bambino prodigio Giovanni Battista Viotti.
Il musicista soggiornò nell’Albergo, tuttora esistente, la Dogana Vecchia, nell’attuale
Via Corte d’Appello, che oggi espone una targa a memoria dei 17 giorni passati a
Torino dal più famoso musicista della storia.
Le Nozze di Figaro
Le nozze di Figaro, ossia la folle giornata (K 492) dramma giocoso.
È la prima delle tre opere italiane scritte dal compositore salisburghese su libretto di
Lorenzo Da Ponte.
Musicato da Mozart all'età di ventinove anni, il testo dapontiano fu tratto dalla
commedia Le Mariage de Figaro di Beaumarchais (autore della trilogia di Figaro: Il
barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole).
Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte,
che la tradusse in lingua italiana e rimosse tutti gli elementi di satira politica dalla
storia.
L'opera fu scritta da Mozart in gran segreto (la commedia era stata vietata
dall'Imperatore Giuseppe II, poiché attizzava l'odio tra le varie classi sociali). Egli
impiegò sei settimane per completarla (famoso è il finale del secondo atto, scritto in
una notte, un giorno e una successiva notte di lavoro continuato). Eppure fu solo
ATTO I
Il giovane Figaro prende le misure della stanza che il Conte ha gentilmente concesso a lui e
alla sua promessa sposa, Susanna. E' la mattina del giorno delle loro nozze, Susanna è intenta
a misurarsi un cappello da indossare per l'occasione. Figaro si lascia sfuggire un complimento
alla generosità del Conte per aver loro offerto una stanza tanto comoda e ampia. Susanna
lascia intendere che forse quel gesto che Figaro vede come generoso, sia in realtà dovuto ad
altro; secondo lei infatti, il Conte vorrebbe rivendicare lo ius primae noctis, da lui stesso già
abolito. Le manovre sibilline del Conte trovano consenso in Don Basilio, il maestro di musica
di Susanna.
Intanto, la non più giovane Marcellina, vorrebbe impedire il matrimonio, e sposare lei stessa
Figaro, in virtù di un vecchio prestito concessogli e mai restituito. In suo aiuto accorre anche
Don Bartolo, desideroso di vendicarsi di Figaro (l'ex "Barbiere di Siviglia"), reo di aver aiutato
il Conte a portarli via la sua Rosina, ora Contessa di Almaviva.
Nel frattempo Cherubino, il paggio, chiede a Susanna di mettere una buona parola per lui
presso la Contessa. Il Conte avendolo trovato solo con Barbarina, la figlia dodicenne del
giardiniere Antonio, lo ha allontanato dal palazzo.
Cherubino deve nascondersi frettolosamente quando entra in scena il Conte, desideroso di
rilanciare le sue proposte galanti alla giovane Susanna. A sua volta anche il Conte è costretto
a nascondersi quando compare Don Basilio, intenzionato a rivelare a Susanna le attenzioni
speciali rivolte da Cherubino alla Contessa.
Con un moto di gelosia il Conte esce dal suo nascondiglio, e si accorge che anche Cherubino
è lì, nascosto. In quel momento entrano i contadini, che ringraziano il Conte per aver abolito
lo ius primae noctis.
ATTO II
Susanna confida alla Contessa le avances ricevute dal Conte. Intanto Figaro ha escogitato un
piano per smascherare il Conte: farà avere al Conte un biglietto anonimo avvisandolo che la
Contessa ha in programma un appuntamento romantico con un ammiratore segreto per
quella stessa sera. A questo punto Susanna dovrà fingere di accettare la proposta del Conte; al
suo posto però si presenterà Cherubino travestito da donna. In questo modo la Contessa
potrà smascherare il marito.
Mentre Cherubino si sta travestendo, entra in scena il Conte che ,preso dalla gelosia, decide
di forzare la porta dello stanzino dove si è nascosto il paggio. Cherubino riesce
fortunosamente a fuggire in tempo dalla finestra e Susanna ne prende il posto. Quando il
Conte vede Susanna, è costretto a chiedere scusa alla moglie per aver dubitato di lei. Nel
frattempo sopraggiunge anche Figaro.
Antonio, il giardiniere, irrompe in scena dicendo di aver visto qualcuno scappare
furtivamente dalla finestra della camera della Contessa; Figaro cerca di sviare i sospetti
dicendo di essere stato lui.
Il secondo Atto si conclude con l'ingresso di Marcellina e Don Bartolo; ella è finalmente in
possesso dei documenti che vincoleranno Figaro a sposarla.
ATTO III
La Contessa spinge Susanna a proseguire con il piano di Figaro per smascherare il Conte, il
quale per scopre il piano e promette vendetta.
Proprio quando il giudice Don CUrzio derime il vecchio debito di Figaro, intimandogli di
sposare Marcellina, la situazione viene stravolta: da un segno sul braccio di Figaro, si scopre
che egli è in realtà il frutto del vecchio amore tra Marcellina e Don Bartolo.
In quel momento entra Susanna con i soldi per riscattare il debito di Figaro; vedendolo
abbracciato a Marcellina, si infuria. Dopo aver capito che Marcellina era felice di aver
ritrovato il suo figlio perduto, si unisce alla loro gioia. Don Bartolo chiede la mano di
Marcellina, la quale acconsente e condona il vecchio debito come regalo per le nozze con
Susanna. La Contessa decide di modificare leggermente il piano iniziale di Figaro: detta a
Susanna un bigliettino, ma si presenterà lei all'appuntamento con il Conte, non Cherubino.
Susanna consegna il bigliettino al Conte, il quale si punge con la spilla di Susanna usata per
sigillarlo.
La scena si chiude con i festeggiamenti per le due coppie di sposi: Susanna e Figaro,
Marcellina e Don Bartolo.
Atto I, Scena 1
Camera non affatto ammobiliata, un seggiolone in mezzo.
FIGARO con una misura in mano e SUSANNA allo specchio che si sta mettendo un
cappellino ornato di fiori.
Personaggi
Don Giovanni: giovane cavaliere molto licenzioso che passa la vita a sedurre le
donne (baritono o basso).
Leporello: servitore di Don Giovanni. Trascrive le conquiste amorose del suo
padrone su un catalogo (basso-baritono o basso).
Commendatore: il Signore di Siviglia e padre di Donna Anna; all'inizio dell'opera
sarà ucciso da Don Giovanni poi tornerà sotto forma di statua per punirlo (basso).
Donna Anna: figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio (soprano).
Don Ottavio: promesso sposo di Donna Anna (tenore).
Donna Elvira: nobile dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni. Donna Elvira
lo cerca affinché si penta delle sue malefatte (soprano o mezzosoprano).
Zerlina: contadina corteggiata da Don Giovanni (soprano o mezzosoprano).
Masetto: promesso sposo, molto geloso, di Zerlina (baritono o basso).
Contadini e Contadine: amici di Masetto e Zerlina (coro).
Servi: servitori e gendarmi di Donna Anna e Don Ottavio (coro).
Suonatori: suonatori di Don Giovanni (coro).
Demoni e Diavoli: entità infernali richiamate dalla statua del Commendatore per
trascinare Don Giovanni all'inferno (coro).
ATTO II
La Sera, di fronte alla casa di Donna Elvira, Don Giovanni e Leporello discutono
animatamente. Inizialmente quest'ultimo, dopo le accuse rivoltegli ingiustamente, vorrebbe
prendere le distanze dal suo padrone, ma questi, offrendogli del denaro, lo convince a tornare
al suo servizio attuando una nuova impresa: scambiare con lui gli abiti in modo tale che
mentre il servo distrae Elvira, egli possa corteggiare impunemente la sua cameriera. Donna
Elvira, affacciatasi alla finestra, cade nel tranello e si illude che Don Giovanni si sia pentito e
ravveduto.
Dopo che Donna Elvira e Leporello travestito si sono allontanati, Don Giovanni intona una
serenata sotto la finestra della cameriera. Sopraggiunge Masetto in compagnia di contadini e
contadine armati in cerca del nobile per ucciderlo. Protetto dal suo travestimento, Don
Giovanni riesce a far allontanare tutti gli altri tranne Masetto: rimasto solo con il giovane e
con l'inganno privato delle sue armi, Don Giovanni lo prende a botte e si allontana. Zerlina,
di lì passante, soccorre il marito che quando le rivela l'accaduto, decide insieme a questi di
catturare non solo Don Giovanni ma anche il suo sfortunato complice dato che Masetto crede
di esser stato picchiato da lui.
Nel frattempo, Leporello travestito non sa più come comportarsi con Donna Elvira che lo
incalza e vorrebbe fuggire senza dare nell'occhio: trovata un'uscita, decide di tagliare la corda,
ma è bloccato dall'arrivo di Donna Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto accompagnati da
servi, contadini e contadine, che credendolo Don Giovanni, si fanno avanti per catturarlo e
ucciderlo, non prima che però il poveretto riveli la sua vera identità (Sola sola in buio loco).
Le cose comunque non cambiano, Zerlina lo accusa di aver picchiato Masetto, Donna Elvira
di averla ingannata e Don Ottavio e Donna Anna di tradimento, quindi lo vogliono uccidere
ugualmente. Il servo spiega a Masetto e a Zerlina di non sapere nulla, dato che è da un'ora
che gira con Donna Elvira e spiega a Donna Anna e a Don Ottavio che non ha colpa di
tradimento verso di loro, poi fugge. Don Ottavio è sempre più deciso ad assicurare Don
Giovanni alla giustizia e parte per vendicare gli amici. Mentre Masetto cerca Don Giovanni,
Atto I, scena 5
LEPORELLO
Madamina, il catalogo è questo delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt’io: osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta, in Lamagna duecento e trentuna,
cento in Francia, in Turchia novantuna, ma in Ispagna son già mille e tre.
V'ha fra queste contadine, cameriere, cittadine,
v'han contesse, baronesse, marchesane, principesse,
e v'han donne d'ogni grado, d'ogni forma, d'ogni età.
Nella bionda egli ha l'usanza di lodar la gentilezza;
nella bruna, la costanza; nella bianca, la dolcezza.
Vuol d'inverno la grassotta, vuol d'estate la magrotta;
è la grande maestosa,la piccina è ognor vezzosa.
Delle vecchie fa conquista pe 'l piacer di porle in lista:
ma passion predominante è la giovin principiante.
Non si picca se sia ricca, se sia brutta, se sia bella:
purché porti la gonnella, voi sapete quel che fa.
(parte)
Atto I, Scena 9
DON GIOVANNI
Alfin siamo liberati,
Zerlinetta gentil, da quel scioccone.
Che ne dite, mio ben, so far pulito?
ZERLINA
Signore, è mio marito...
DON GIOVANNI
Chi! Colui? Vi par che un onest'uomo,
Personaggi
Le nove sinfonie
Le nove sinfonie di Beethoven hanno ognuna una propria forza distintiva e nel loro
insieme formano un corpus di opere dalla forza espressiva difficilmente eguagliabile.
È cosa nota che, curiosamente, diversi compositori succeduti a Beethoven, romantici
o post-romantici, abbiano completato l'insieme delle proprie sinfonie fermandosi alla
nona; che sia un caso o sia una scelta voluta forse in omaggio proprio a Beethoven,
non ci sono certezze, però a seguito di questi avvenimenti è nato il mito della
"maledizione della nona" legata appunto all'ultima cifra d'opera delle sinfonie di
diversi compositori, oltre a Beethoven stesso: Bruckner, Dvorak, Mahler, Schubert,
ma anche Ralph Vaughan Williams.
Le prime due sinfonie di Beethoven sono d'ispirazione e d'impostazione classica.
Diversamente da queste prime due, La terza sinfonia, detta «Eroica», segnerà invece
un grande cambiamento nella composizione sinfonica e orchestrale. L'Eroica si
caratterizza per l'ampiezza dei suoi movimenti e per l'orchestrazione. Il primo
movimento era già da solo più lungo di una qualsiasi intera sinfonia scritta fino a
quel momento. Quest'opera monumentale, in partenza scritta per Napoleone, prima
che fosse incoronato imperatore, ci mostra un Beethoven simile ad grande "architetto
musicale" e rimarrà come esempio per il Romanticismo musicale. Nell'intenzione
dell'autore l'opera non è semplicemente il ritratto di Napoleone o di un qualsivoglia
eroe, ma in essa Beethoven voleva rappresentare l'immortalità delle gesta compiute
Le Sinfonie
Sinfonia n. 1 in Do maggiore, op. 21 (1800)
Sinfonia n. 2 in Re maggiore, op. 36 (1802)
Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore, op. 55 "Eroica" (1804)
Sinfonia n. 4 in Si bemolle maggiore, op. 60 (1806)
Sinfonia n. 5 in do minore, op. 67 (1808)
Sinfonia n. 6 in Fa maggiore, op. 68 "Pastorale" (1808)
Sinfonia n. 7 in La maggiore, op. 92 (1812)
Sinfonia n. 8 in Fa maggiore, op. 93 (1813)
Sinfonia n. 9 in re minore, op. 125 "Corale" (1824)
IV MOVIMENTO
« O Freunde, nicht diese Töne!
Wem der große Wurf gelungen,
Sondern laßt uns angenehmere
Eines Freundes Freund zu sein;
anstimmen und freudenvollere. Wer ein holdes Weib errungen,
Freude, schöner Götterfunken
Mische seinen Jubel ein!
Tochter aus Elysium,
Ja, wer auch nur eine Seele
Wir betreten feuertrunken,
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Himmlische, dein Heiligtum!
Und wer's nie gekonnt, der stehle
Deine Zauber binden wieder
Weinend sich aus diesem Bund!
Was die Mode streng geteilt;
Freude trinken alle Wesen
Alle Menschen werden Brüder,
An den Brüsten der Natur;
Wo dein sanfter Flügel weilt. Alle Guten, alle Bösen
Traduzione
Capitolo XI
Il Romanticismo
Dopo il Settecento ebbe inizio l’età romantica dove i popoli sotto la spinta degli
ideali della Rivoluzione Francese erano in fermento per rivendicare i propri diritti di
libertà e uguaglianza. L’aristocrazia dopo aver perso il potere economico perde
anche quello politico quindi la borghesia ha il sopravvento avviando un grande
processo d’industrializzazione. La musica entra nei salotti borghesi e cessa di essere
gestita dagli aristocratici. I compositori sono molto più liberi di esprimere i propri
sentimenti e pensieri perché non sono più alle dipendenze della nobiltà. Il
romanticismo sostituisce la Ragione universale, esso tende a risolvere i problemi
dell’umanità con altre tematiche quali i sentimenti, la lotta dell’uomo-eroe per
realizzare un ideale non sempre raggiungibile.
Questo profondo mutamento di pensiero cambio` tutta la società umana e
naturalmente si fece sentire anche sulle arti, infatti nella pittura gli artisti
dell’ottocento dipingevano secondo i loro sentimenti privilegiando argomenti storici,
che in qualche modo riflettessero le aspirazioni di libertà dell’epoca avendo sempre
come sfondo una natura bella, crepuscolare a volte inquietante fra un grande
contrasto di luci e colori;al contrario dell'artista del settecento che dipingeva
un'immagine geometrica in un mondo ideale.
In poesia il romanticismo porto’ a cambiamenti espressivi privilegiando certe forme,
quali la ballata, la romanza, più libere rispetto ad altre quali l’ode, il sonetto, l’ottava
più schematiche.
La musica romantica è la musica composta secondo i principi dell'estetica del
Romanticismo. In senso stretto abbraccia un arco di tempo che va dal 1820 al 1880
circa, e segue il periodo classico.
In questo periodo il linguaggio musicale subisce una rapida evoluzione. Il musicista
romantico muta infatti la sua posizione sociale: da un dipendente al servizio di
Ambroise Thomas
(Metz, 5 agosto 1811 – Parigi, 12 febbraio 1896)
.
La tragedia di Shakespeare assume un carattere romantico che ne stravolge il senso.
Amleto perde la sua ironia raggelante, le due coppie di cortigiani spariscono, il ruolo
di Polonio non esiste praticamente più, Gertrude non solo sa del crimine, ma ne è la
complice, come attesta il duetto dei sovrani nel II atto. In questo modo, il crimine
non è più potenzialmente fantastico, diventa realtà obiettiva. Il dramma si restringe
sulla tensione al cuore dell'amaro personaggio di Amleto, i suoi aspetti bizzarri sono
cancellati.
L'opera ha affascinato molto per la sua scena di follia tradizionale che occupa per
intero l'atto IV: l'aria di Ofelia.
Capitolo XV
Gioachino Rossini
o Gioacchino, all'anagrafe Giovacchino Antonio Rossini
(Pesaro, 29 febbraio 1792 – Parigi, 13 novembre 1868)
ATTO I SCENA I
(I Suonatori accordano gli istrumenti, Soave momento
e il Conte canta accompagnato da essi.) che eguale non ha.
Vincenzo Bellini
(Catania, 3 novembre 1801 – Puteaux, 23 settembre 1835)
Norma
Norma è un'opera in due atti su libretto di Felice Romani.
Composta in meno di tre mesi, dall'inizio di settembre alla fine di novembre del
1831, debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno,
inaugurando la stagione di Carnevale e Quaresima 1832.
Quella sera l'opera, destinata a diventare la più popolare tra le dieci composte da
Bellini, andò incontro ad un fiasco clamoroso, dovuto sia a circostanze legate
all'esecuzione (l'indisposizione della primadonna, il soprano Giuditta Pasta, nonché
la tensione psicologica degli altri membri del cast), che alla presenza di una claque
avversa a Bellini e alla Pasta. Non di meno l'inconsueta severità della drammaturgia
e l'assenza del momento più sontuoso, il concertato che tradizionalmente chiudeva il
primo dei due atti, spiazzò il pubblico milanese.
Il soggetto, tratto dalla tragedia di Alexandre Soumet Norma, ossia L'infanticidio, è
ambientato nelle Gallie, al tempo dell'antica Roma, e presenta espliciti legami con il
mito di Medea. Fedele a questa idea di classica sobrietà, Bellini adottò per Norma
una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l'orchestra al ruolo di
accompagnamento della voce.
L'opera, incentrata sulla protagonista, divenne il cavallo di battaglia di alcuni grandi
soprani del passato, tra cui Maria Callas, Joan Sutherland e Montserrat Caballé.
Tuttavia la poliedricità del personaggio e della sua vocalità - che spazia dal lirismo
più puro alla coloratura e ad accenti di sconvolgente drammaticità - ne fanno uno
dei ruoli più impervi per voce di soprano, tanto che l'opera è oggi più famosa che
rappresentata.
PERSONAGGI
Pollione, proconsole di Roma nelle Gallie (tenore)
Oroveso, capo dei druidi (basso)
Norma, druidessa, figlia di Oroveso (soprano)
Adalgisa, giovane ministra del tempio di Irminsul (soprano)
Clotilde, confidente di Norma (soprano)
Flavio, amico di Pollione (tenore)
Due fanciulli, figli di Norma e Pollione (recitanti)
ATTO I SCENA IV
(Entra Norma in mezzo alle sue ministre. Ha sciolto i capegli, la fronte circondata di una
corona di verbena, ed armata la mano d'una falce d'oro. Si colloca sulla pietra druidica, e
volge gli occhi d'intorno come ispirata. Tutti fanno silenzio.)
NORMA I dì maturi.
Sediziose voci, voci di guerra Delle sicambre scuri
Avvi chi alzarsi attenta Sono i pili romani ancor più forti.
Presso all'ara del Dio? OROVESO E UOMINI
V'ha chi presume E che t'annunzia il Dio?
Dettar responsi alla veggente Norma, Parla! Quai sorti?
E di Roma affrettar il fato arcano? NORMA
Ei non dipende, no, non dipende Io ne' volumi arcani leggo del cielo,
Da potere umano. In pagine di morte
Della superba Roma
OROVESO è scritto il nome.
E fino a quando oppressi Ella un giorno morrà,
Ne vorrai tu? Ma non per voi.
Contaminate assai Morrà pei vizi suoi,
Non fur le patrie selve Qual consunta morrà.
E i templi aviti L'ora aspettate, l'ora fatal
Dall'aquile latine? Che compia il gran decreto.
Omai di Brenno oziosa Pace v'intimo …
Non può starsi la spada. E il sacro vischio io mieto.
ATTO I SCENA II
Capitolo XVII
Gaetano Donizetti
Domenico Gaetano Maria Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – Bergamo, 8
aprile 1848)
Lucia di Lammermoor
Lucia di Lammermoor è un'opera in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di
Salvatore Cammarano, tratto da The Bride of Lammermoor (La sposa di
Lammermoor) di Walter Scott.
La prima assoluta ebbe luogo al teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835: nei
ruoli dei protagonisti figuravano Fanny Tacchinardi (Lucia), Gilbert Duprez
(Edgardo). In seguito lo stesso Donizetti curò una versione francese che andò in
scena al Théâtre de la Renaissance di Parigi il 6 agosto 1839.
Il 21 marzo 2006, al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Roberto Abbado,
l'opera Lucia di Lammermoor è stata messa in scena nella sua edizione originale:
Donizetti aveva infatti pensato, per la "scena della pazzia", all'uso della
glassarmonica (o armonica a bicchieri), integrata con l'orchestra sinfonica.
Circostanze pratiche costrinsero però Donizetti a rinunciare a questa originale
soluzione e a riscrivere la partitura. L'edizione critica dell'opera ha reintegrato la
parte per glassarmonica, che ben esprime, secondo quanto detto dal critico Paolo
Isotta nel suo articolo sul Corriere della Sera del 22 marzo 2006, "l'atmosfera spettrale e
nel contempo il totale distacco dalla realtà in cui Lucia è precipitata.”
PERSONAGGI
Lord Enrico Ashton (baritono)
Lucia, sua sorella (soprano)
Sir Edgardo di Ravenswood (tenore)
Lord Arturo Bucklaw (tenore)
Raimondo Bidebent, educatore e confidente di Lucia (basso)
Alisa, damigella di Lucia (mezzosoprano)
Normanno, capo degli armigeri di Ravenswood (tenore)
Dame e cavalieri, congiunti di Ashton, abitanti di Lammermoor, paggi, armigeri,
domestici di Ashton
ATTO II SCENA V
(Lucia è in succinta e bianca veste: ha le chiome scarmigliate, ed il suo volto, coperto da uno
squallore di morte, la rende simile ad uno spettro, anziché ad una creatura vivente. Il di lei
sguardo impietrito, i moti convulsi, e fino un sorriso malaugurato manifestano non solo una
spaventevole demenza, ma ben anco i segni di una vita, che già volge al suo termine.)
CORO
(Oh giusto cielo!
Par dalla tomba uscita!)
LUCIA
Il dolce suono
Mi colpì di sua voce!...
Ah! quella voce
M’è qui nel cor discesa!...
Edgardo! Io ti son resa:
Fuggita io son da’ tuoi nemici... –
Un gelo Mi serpeggia nel sen!...
trema ogni fibra!...
Vacilla il piè!... Presso la fonte, meco
T’assidi alquanto... Ahimé!...
Sorge il tremendo
Fantasma e ne separa!...
Qui ricovriamci, Edgardo, a piè dell’ara...
Chopin suona per i Radziwill nel 1829 (dipinto di Henryk Siemiradzki, 1887).
Notturno in Mi bemolle
maggiore, op.9 n.2
Il Notturno11 op. 9 n. 2 è una composizione per pianoforte di Fryderyk Chopin,
datata fra il 1829 e il 1830.
L'andamento sognante, il morbido appoggio del basso, la melodia ispirata e libera di
vagare sono i segni distintivi del secondo notturno dell'op. 9. Un unico tema
tessendo lentamente la sua fine trama articolandosi in due frasi: una prima tenera e
intimistica, una seconda più aperta e discorsiva. Basato sul principio
dell'ornamentazione, il notturno si sviluppa attraverso piccoli e impercettibili
cambiamenti del materiale tematico iniziale.
Chopin eseguiva spesso questo notturno, con continui nuovi interventi sugli
abbellimenti che insegnava agli allievi. Non è quindi irrilevante il fatto che oggi
possediamo di esso almeno quattordici varianti. La melodia, di stampo prettamente
vocale, riporta al gusto belcantistico italiano, tanto che Chopin ricordava ai propri
discepoli di rifarsi nell'interpretazione al modello della grande cantante lirica
Giuditta Pasta e alla grande scuola di canto italiana.
11 Un notturno (dal francese nocturne) è una composizione musicale ispirata alla notte. La dicitura «notturno»
fu per la prima volta impiegata nel XVIII secolo, quando stava ad indicare un'opera in vari movimenti, scritto in
forma libera e tipico dell'epoca romantica, con un tempo dolce e moderato. In ogni caso, l'esponente più famoso
di questa forma musicale fu Fryderyk Chopin, che ne scrisse 21. Le sue opere, in parte ispirate al melodramma
italiano del tempo, sono il regno del bel suono e dell'espressione; divise in più sezioni tematiche contrastanti,
alternano a sentimenti dolci e sognanti momenti cupi o di profondo sconforto. notturni sono generalmente
percepiti come tranquilli, spesso espressivi e lirici, alcune volte piuttosto pessimisti.
Giuseppe Verdi
(Le Roncole, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901)
La Traviata
La traviata è un'opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria
Piave, tratto dalla pièce teatrale di Alexandre Dumas (figlio) La signora delle camelie;
fa parte della "trilogia popolare" assieme a Il trovatore e a Rigoletto.
Fu in parte composta nella villa degli editori Ricordi a Cadenabbia, sul lago di
Como. La prima rappresentazione avvenne al Teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo
1853 ma, a causa soprattutto di interpreti non all’altezza e della scabrosità
dell'argomento, si rivelò un sonoro fiasco; ripresa l’anno successivo con interpreti
più validi, riscosse finalmente il meritato successo.
A causa della critica alla società borghese, l'opera, nei teatri di Firenze, Bologna,
Parma, Napoli e Roma, fu rimaneggiata dalla censura e messa in scena con alcuni
PERSONAGGI
PERSONAGGI
Il Duca di Mantova (tenore)
Rigoletto, suo buffone di Corte (baritono)
Gilda, figlia di Rigoletto (soprano)
Sparafucile, sicario (basso)
Maddalena, sorella di Sparafucile (contralto)
Giovanna, custode di Gilda (mezzosoprano)
Il Conte di Monterone (baritono)
Marullo, cavaliere (baritono)
Matteo Borsa, cortigiano (tenore)
Il conte di Ceprano (basso)
La contessa di Ceprano (mezzosoprano)
Un usciere di corte (basso)
Un paggio della Duchessa (soprano)
Cavalieri, dame, paggi, alabardieri (coro)
SCENA V-VII
Atrio nel castello di Macbeth che mette in altre stanze.
Lady Macbeth leggendo una lettera.
Aida
Aida è un'opera in quattro atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Ghislanzoni,
basata su un soggetto originale dell'archeologo francese Auguste Mariette.
Isma'il Pascià, Chedivè d'Egitto, commissionò un inno a Verdi per celebrare
l'apertura del Canale di Suez (1868) nel 1870, offrendo un compenso di 80.000
franchi, ma Verdi rifiutò, dicendo che non scriveva musica d'occasione. Invece,
quando venne l'invito (Mariette mandò uno schema di libretto su un soggetto
egiziano a Camille du Locle, direttore dell'Opéra-Comique di Parigi che lo sottopose
a Verdi, che trovò la storia valida) a comporre un'opera per l'inaugurazione del
nuovo teatro de Il Cairo, Verdi accettò. Il 27 aprile 1870 Mariette scriveva a du Locle:
«Ciò che il Viceré vuole è un'opera egiziana esclusivamente storica. Le scene saranno basate
su descrizioni storiche, i costumi saranno disegnati avendo i bassorilievi dell'alto Egitto come
modello». La prima dell'opera fu ritardata a causa della guerra franco-prussiana, dato
che i costumi e le scene erano a Parigi sotto assedio. Il teatro del Cairo s'inaugurò
invece con Rigoletto nel 1869. Quando finalmente la prima ebbe luogo ottenne un
enorme successo e ancora oggi continua ad essere una delle opere liriche più famose.
Verdi raggiunse un effetto sensazionale con l'utilizzo, nella Marcia trionfale, di
lunghe trombe, del tipo delle trombe egiziane o delle buccine romane («...com'erano le
Personaggi
Aida, principessa etiope (soprano)
Radamès, capitano delle Guardie (tenore)
Amneris, figlia del Faraone (mezzosoprano)
Amonasro, Re dell'Etiopia e padre di Aida (baritono)
Ramfis, Gran Sacerdote (basso)
Il Re d'Egitto, padre di Amneris (basso)
Una sacerdotessa (soprano)
Un messaggero (tenore)
Sacerdoti, sacerdotesse, ministri, capitani, soldati, ufficiali, schiavi e prigionieri
etiopi, popolo egizio (coro)
Atto I
Scena I: Sala del palazzo del re a Menfi.
Aida, figlia del Re di Etiopia Amonasro, vive a Menfi come schiava; gli Egizi l'hanno catturata
durante una spedizione militare contro l'Etiopia ignorando la sua vera identità. Suo padre ha
organizzato una incursione in Egitto per liberarla dalla prigionia. Ma fin dalla sua cattura,
Aida è innamorata, ricambiata, del giovane guerriero Radamès. Aida ha una pericolosa
rivale, Amneris, la figlia del Re d'Egitto. Giunta Aida, Amneris intuisce che possa essere lei la
fiamma di Radamès e falsamente la consola dal suo pianto. Appare il Re assieme agli ufficiali
e Ramfis che introduce un messaggero recante le notizie dal confine. Aida è preoccupata: suo
Atto II
Danze festose e musica nelle stanze di Amneris. Amneris riceve la sua schiava Aida e
ingegnosamente la spinge a dichiarare il suo amore per Radamès, mentendole dicendo che
Radamès è morto in battaglia; la reazione di Aida alla notizia la tradisce rivelando il suo
amore per Radamès. Amneris, scoperto il suo amore, la minaccia: ella è figlia del Faraone.
Con orgoglio Aida dice che anche lei è figlia di re, ma se ne pente ben presto. Risuonano da
fuori le trombe della vittoria. Amneris obbliga Aida a vedere con lei il trionfo dell'Egitto e la
sconfitta del suo popolo. Aida è disperata, e chiede perdono ad Amneris.
Scena II: Uno degli ingressi della città di Tebe.
Radamès torna vincitore. Marcia trionfale. Il faraone decreta che in questo giorno il
trionfatore Radamès potrà avere tutto quello che desidera. I prigionieri etiopi sono condotti
alla presenza del Re e Amonasro è uno di questi. Aida immediatamente accorre ad
abbracciare il padre, ma le loro vere identità sono ancora sconosciute agli Egizi. Amonasro
infatti dichiara che il Re etiope è stato ucciso in battaglia. Radamès per amore di Aida chiede
come esaudimento del desiderio offertogli del Re il rilascio dei prigionieri. Il Re d'Egitto,
grato a Radamès, lo proclama suo successore al trono concedendogli la mano della figlia
Amneris e fa inoltre rilasciare i prigionieri, ma, su consiglio di Ramfis, fa restare Aida e
Amonasro come ostaggi per assicurare che gli etiopi non cerchino di vendicare la loro
sconfitta.
Atto III
Scena: Le rive del Nilo, vicino al tempio di Iside.
Amonasro e Aida sono tenuti in ostaggio; il Re etiope costringe la figlia a farsi rivelare da
Radamès la posizione dell'esercito egizio. Radamès ha solo apparentemente consentito di
diventare il marito di Amneris, e fidandosi di Aida, durante la conversazione le rivela per
incauta confidenza le informazioni richieste dal padre. Quando Amonasro rivela la sua
identità e fugge con Aida, Radamès, disperato per avere involontariamente tradito il suo Re e
la sua Patria, si consegna prigioniero al sommo sacerdote.
Capitolo XX
Quadri da un’esposizione
Quadri da un'esposizione fu pubblicato la prima volta nel 1886, cinque anni dopo la
morte dell'autore, a cui seguì una seconda edizione, con una prefazione di Vladimir
Stasov. In entrambi i casi il revisore fu Nikolaj Rimskij-Korsakov che - snaturando
una delle più belle composizioni mai scritte - ammorbidì i tocchi audaci di
Musorgskij, con il risultato che il lavoro non fu stampato nella sua forma originale.
Fu probabilmente nel 1870 che Musorgskij conobbe l'artista ed architetto Viktor
Aleksandrovič Hartmann, forse grazie all'influente critico Vladimir Stasov, che li
conosceva entrambi e ne seguiva con interesse l'attività. I due svilupparono
rapidamente un profondo sentimento di amicizia, poiché entrambi appartenevano a
quel gruppo di intellettuali russi che aspiravano ad un'arte legata alle radici culturali
della loro terra, al suo folklore ed alle sue tradizioni, rifiutando le influenze straniere.
Hartmann morì improvvisamente per un aneurisma nel 1873, a soli 39 anni. In suo
ricordo ebbe luogo tra febbraio e marzo del 1874, su iniziativa di Stasov, una mostra
all'Accademia Russa di Belle Arti a San Pietroburgo, dove furono esposti circa 400
suoi lavori. Musorgskij, che aveva contribuito prestando alcune opere della sua
collezione, rimase molto colpito dalla visita alla mostra, e nel giro di poche settimane
compose i Quadri.
Il compositore fu ispirato da disegni ed acquerelli prodotti da Hartmann nel corso
dei suoi viaggi, soprattutto all'estero. Ad oggi la maggior parte di quei lavori è
Promenade
Qui c'è il motivo principale delle "passeggiate", filo conduttore ed autentica sigla
dell'intero brano. La melodia ed il ritmo richiamano canzoni popolari russe.
1. Lo gnomo
Il primo quadro rappresenta un nano malvagio che si aggira nella foresta. La musica,
caratterizzata da tempi contrastanti, da frequenti fermate e riprese, e da un alternarsi
di forte, pianissimo e fortissimo, rappresenta i movimenti dello gnomo. Ravel, nella
sua trascrizione per orchestra, affida il tema principale agli archi, specialmente ai
contrabbassi e ai violoncelli.
2. Il vecchio castello
La scena si svolge in Italia, dove un trovatore intona la sua struggente canzone
d'amore davanti alle mura di un castello medievale, in un paesaggio soffuso di
tristezza. È probabilmente l'episodio più lirico dell'intera raccolta, dal tono
melanconico e trasognato, in movimento di barcarola ed in tempo di Andante
cantabile. L'espressività è sottolineata dai numerosi crescendo e diminuendo. Il
canto, in modo minore, è legato e va intonato "piano, con espressione", finché piano e
forte si fondono formando un unico grande crescendo che porterà alla Promenade
successiva. Nella versione orchestrale di Ravel, la melodia principale fu affidata ad
un sassofono contralto, strumento che possiede un timbro caldo e vibrante, simile
alla voce umana. L'orchestra funge inizialmente da accompagnamento, ed alla fine
riprende il tema del sassofono. Questo brano non richiede grande tecnica solistica,
bensì spiccate doti espressive.
4. Bydło
Un bydło, caratteristico carro dei contadini polacchi, dalle ruote altissime e
pesantissimo, è trainato nel fango faticosamente e lentamente da buoi. Il brano va in
crescendo fino all'assordante passaggio del carro davanti all'ascoltatore-spettatore.
Progressivamente, poi, il carro si perde in lontananza. Il movimento è in forma
tripartita (ABA) con una coda. Nell'originale di Musorgskij il brano inizia in
7. Limoges, il mercato
Chiacchiere tra contadine nella piazza del mercato di Limoges, che degenerano in
una lite rumorosa. Nell'autografo di Musorgskij il pezzo era preceduto da un
preambolo scritto, poi depennato, in cui si spiegavano i motivi della lite. Il
movimento è uno scherzo in forma tripartita (ABA). Una rapida coda conduce senza
interruzione al pezzo seguente.
Lo Schiaccianoci
Lo Schiaccianoci (in russo Щелкунчик, Ščelkunčik) è un balletto con musiche di Pëtr
Il'ič Čajkovskij (op. 71), il quale seguì minuziosamente le indicazioni del coreografo
Marius Petipa e, in seguito, quelle del suo successore Lev Ivanov.
Il balletto fu commissionato dal direttore dei Teatri Imperiali Russi, Ivan
Aleksandrovič Vsevoložskij.
La storia deriva dal racconto Schiaccianoci e il re dei topi di Ernst Theodor Amadeus
Hoffmann (1816).
Pëtr Il'ič Čajkovskij compose le musiche del balletto tra il 1891 e il 1892. La prima
rappresentazione, che ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Teatro Mariinskij di
San Pietroburgo, Russia, fu diretta interamente dal compositore italiano Riccardo
Atto II
I due giovani entrano nel Regno dei Dolci, dove al Palazzo li riceve la Fata Confetto, che si fa
raccontare dallo Schiaccianoci tutte le sue avventure, e di come ha vinto la battaglia col Re
Topo. Subito dopo, tutto il Palazzo si esibisce in una serie di danze che compongono il
Divertissement più famoso e conosciuto delle musiche di Čajkovskij e che rendono famoso il
balletto, culminando nel conosciutissimo Valzer dei fiori.
Dopo, il Principe e la Fata Confetto si esibiscono in un Pas de deux, dove nella Variazione II
si può riconoscere in maniera eclatante il suono della celesta. Il balletto si conclude con un
ultimo Valzer, e il sogno finisce: una volta risvegliata, mentre si fa giorno, Clara ripensa al
proprio magico sogno abbracciando il suo Schiaccianoci.
Atto I
Al giardino del castello si festeggia il sedicesimo anno di età della principessa, dopo che ogni
fuso è stato bandito dal regno e il suo uso vietato severamente.
Aurora appare e, corteggiata da quattro pretendenti che arrivano dai quattro rispettivi
continenti, balla con i quattro principi (il famoso Adagio della Rosa): le varie danze di corte
distolgono l'attenzione del pubblico e così la fata Carabosse, travestita da vecchia mendicante,
porge un fuso alla principessa.
Incuriosita dall'oggetto mai visto, Aurora tocca la punta del fuso e sviene: la fata dei Lillà
interviene e trasforma la morte in sonno, con il suo dono.
Gli invitati si addormentano e il castello viene avvolto da rovi e circondato da un fitto bosco.
Atto II
Scena Prima: trascorrono cento anni e, in una radura nei pressi del castello ancora avvolto
dai rovi, una compagnia di nobili è presa in una battuta di caccia, allietandosi nel fitto bosco
con pic-nic e danze.
Tra questi è presente anche il principe Désiré. A un certo punto, l'atmosfera cambia e appare
la fata dei Lillà, che in un sogno conduce il principe da Aurora, avvisandolo dell'accaduto. La
visione di questa splendida principessa fa innamorare il giovane principe. Finito il sogno, il
principe si dirige al castello incantato. Scena Seconda: il principe riesce ad entrare nel castello
e, trovata la principessa, le dà un bacio, spezzando l'incantesimo; la corte allora si risveglia e le
danze ricominciano; il principe potrà ora sposare la principessa Aurora.
Atto III
C'è una grande festa al castello e tra gli invitati compaiono l'Uccello Azzurro e la principessa
Florin; compaiono anche molti dei personaggi delle fiabe di Perrault (Il gatto con gli stivali e
la gatta bianca, Cenerentola e il Principe Fortuné, Cappuccetto rosso e il lupo).
I due promessi sposi danzano, in un celebre passo a due, alla reggia di Floristano, e con loro
anche tutti gli invitati in onore del futuro re e della futura regina.
Il movimento che introduce il balletto è una breve sintesi musicale ed emotiva del
dramma, che rimpiazza la tradizionale ouverture. La melodia d'apertura è il primo
tema del cigno, in esso risuona già una delle scale discendenti che si incontreranno
poi in tutto il balletto. Queste scale alludono al destino che incombe sui due amanti,
a cui non potranno sottrarsi. Il movimento agitato che appare, simboleggia il
sortilegio del mago su Odette e la di lei trasformazione in cigno. In talune revisioni
librettistiche e coreografiche, comunque non conformi all'originale, la breve scena
viene rappresentata sul palcoscenico, come antefatto (ad esempio in Nicholas
Beriozoff, Milano, 1964).
Atto I
In un parco di fronte al castello, il principe Siegfried festeggia coi suoi amici il suo
compleanno. Si avvicinano dei contadini per porgergli gli auguri e lo intrattengono con le
loro danze. Giunge la regina madre, che esorta il figlio a trovare una sposa tra le ragazze che
lei ha invitato al ballo del giorno dopo. Alla sua uscita, le danze dei contadini riprendono con
due divertissement, posti al di fuori dell’intreccio. La festa continua con danze e scherzi del
buffone di corte.
Gli ospiti rientrano nel castello ed il principe Siegfried e i suoi amici decidono di andare a
caccia e imbracciato l'arco s'inoltrano nella foresta. Appare il secondo tema del cigno, più
precisamente della "fanciulla cigno”.
Atto III
Nella sala da ballo del castello entrano gli invitati, accolti da Siegfried e dalla regina madre.
Iniziano i festeggiamenti. Gli squilli di tromba annunciano l’arrivo delle sei ragazze aspiranti
pretendenti del principe. Siegfried si rifiuta di scegliere, quand’ecco che uno squillo di tromba
annuncia l'arrivo di nuovi ospiti. Si tratta del mago Rothbart e della figlia Odile che, grazie al
padre, ha assunto l'aspetto di Odette. L’intento del mago è quello di far innamorare Siegfried
di Odile, in modo da mantenere per sempre Odette in suo potere. La musica espone il tema
del fato, e il motivo della “fanciulla cigno” suggerisce la somiglianza tra Odette e Odile, che il
pubblico può comunque distinguere dal costume, che nel caso di Odile è nero.
Ciascuna ragazza balla una variazione per il principe. Seguono una serie di danze nazionali.
Con il suo fascino, Odile è riuscita a sedurre Siegfried, che la presenta a sua madre come
futura sposa. Rothbart esultante si trasforma in una civetta e fugge dal castello, che piomba
nell’oscurità fra l’orrore degli invitati. Siegfried, resosi conto dell’inganno, scorge la vera
Odette attraverso un’arcata del castello, e disperato si precipita nella notte alla ricerca della
fanciulla.
Atto IV
Odette, morente, piange il destino crudele che la attende. Siegfried arriva da lei tentando di
salvarla, ma una tempesta si abbatte sul lago e le sue acque inghiottono i due amanti. La
bufera si placa e sul lago, tornato tranquillo, appare un gruppo di candidi cigni in alto volo.
Capitolo XXII
4. Tartarughe (Tortues)
L'ironia del brano consiste nella scelta del tema. Il famoso Can-can dell'Orfeo
all'inferno di Jacques Offenbach, originariamente un travolgente balletto, viene qui
5. L'elefante (L'Éléphant)
Il goffo animale viene descritto dal timbro grave del contrabbasso, che espone un
valzer su accompagnamento del secondo pianoforte. Anche qui la citazione di un
tema famoso, la Danza delle silfidi di Hector Berlioz, dà ironia al brano: le silfidi
erano creature mitologiche leggiadre e graziose, che contrastano con la pesantezza
dell’animale.
6. Canguri (Kangourous)
I salti improvvisi dei canguri sono riprodotti da brevi successioni di note dei
pianoforti. Nonostante il carattere comico della descrizione musicale, il brano
conferisce un tono di mistero e di ambientazione fantastica, introducendo al
suggestivo brano che segue.
7. Acquario (Aquarium)
I pianoforti, il flauto, la glassarmonica e gli archi eseguono una dolce nenia, in tempo
Andantino. I fraseggi e gli arpeggi, esplorano sonorità inconsuete, descrivendo
l'ambiente impalpabile e al contempo soave dell'Acquario. Le scale ascendenti degli
archi e del pianoforte descrivono efficacemente le bollicine dell'acquario.I pianoforti
suonano nel registro acuto.TEMA:violini e flauto(traverso).
Pietro Mascagni
(Livorno, 7 dicembre 1863 – Roma, 2 agosto 1945)
Cavalleria Rusticana
Cavalleria rusticana fu la prima opera composta da Mascagni ed è certamente la più
nota fra le sedici composte dal compositore livornese (oltre a Cavalleria rusticana, solo
Iris e L'amico Fritz sono rimaste nel repertorio stabile dei principali enti lirici). Il suo
successo fu enorme già dalla prima volta in cui venne rappresentata al Teatro
Costanzi di Roma, il 17 maggio 1890, e tale è rimasto fino a oggi.
Venne rappresentata la Cavalleria Rusticana nel dicembre 1917 al Teatro Reale di
Madrid con grande successo. Luigi Rossi Morelli rappresentò Alfio, il carrettiere.
Personaggi
Santuzza, giovane contadina (soprano drammatico anche mezzosoprano)
Turiddu, giovanissimo contadino (tenore)
Lucia, sua madre (contralto)
Alfio, carrettiere (baritono)
Lola, sua moglie (mezzosoprano)
Capitolo XXIV
Ruggero Leoncavallo
(Napoli, 23 aprile 1857 – Montecatini Terme, 9 agosto 1919)
I Pagliacci
Essa si ispira a un delitto realmente accaduto a Montalto Uffugo, in Calabria, quando
il compositore era bambino e in seguito al quale il padre di Ruggero Leoncavallo, che
era magistrato, istruì il processo che portò alla condanna dell'uxoricida.
L'opera fu ed è ancora una delle opere più eseguite al mondo, il successo immediato
trova spiegazione nell'attualità del linguaggio e nell'approccio verista e popolare che
in quel periodo permeava tutte le arti, ma non secondari furono l'impegno
dell'editore Sonzogno che all'epoca conduceva una battaglia per contrastare il
dominio dell'editore di Giuseppe Verdi e di Giacomo Puccini, Ricordi, e la
celeberrima registrazione discografica con Enrico Caruso quale protagonista; infatti
il disco è ricordato come una pietra miliare dell'allora nascente industria
discografica, essendo stato il primo ad aver superato il milione di copie vendute.
L'opera di Ruggiero Leoncavallo s'intitolava originariamente "Il Pagliaccio". Ma,
siccome doveva rappresentarlo per la prima volta il baritono francese Victor Maurel,
tipo molto orgoglioso e puntiglioso, questi s'impuntò: "Nelle opere del mio
repertorio la parte del baritono dev'essere nel titolo. Qui il titolo comprende solo il
tenore. Pertanto, se non cambiate il titolo, io non canto!". L'editore, per evitare di
Personaggi
Nedda, nella commedia Colombina (soprano)
Canio, nella commedia Pagliaccio (tenore)
Tonio, nella commedia Taddeo (baritono)
Beppe, nella commedia Arlecchino (tenore)
Silvio, contadino (baritono)
Trama
La rappresentazione inizia a sipario calato, con Tonio che, in costume da Taddeo, si presenta
come Prologo, fungendo da portavoce dell'autore ed enunciando i principi informatori e la
poetica dell'opera. Il Prologo di Pagliacci costituisce un vero e proprio manifesto poetico-
programmatico della corrente verista all'interno della Giovane Scuola italiana (Si può, si
può?).
La compagnia di Canio è giunta in un paesino meridionale, Montalto Uffugo in provincia di
Cosenza, per inscenare una commedia. Canio non sospetta che la moglie Nedda lo tradisca
con Silvio, un contadino del luogo. Tonio, che ama Nedda ma che è da lei respinto, avvisa
Canio del tradimento. Questi scopre i due amanti che si promettono amore, ma Silvio fugge
senza che Canio lo veda in volto. Canio vorrebbe scagliarsi contro Nedda, ma arriva uno
degli attori a sollecitare l'inizio della commedia perché il pubblico aspetta. Canio non può
fare altro, nonostante il suo turbamento, che truccarsi e prepararsi per la commedia (Recitar...
Vesti la giubba).
Canio, nel ruolo di Pagliaccio, impersona appunto un marito tradito dalla sposa Colombina.
La realtà e la finzione finiscono col confondersi, e Canio, nascondendosi dietro il suo
personaggio, riprende il discorso interrotto dalla necessità di dare inizio alla commedia e,
sempre recitando, rinfaccia a Nedda la sua ingratitudine e trattandola duramente le dice che
il suo amore è ormai mutato in odio per la gelosia. Di fronte al rifiuto di Nedda di dire il
nome del suo amante, Canio uccide lei e Silvio accorso per soccorrerla. Tonio e Beppe,
inorriditi, non intervengono, ma gli spettatori, comprendendo troppo tardi che ciò che stanno
vedendo non è più finzione, cercano invano di fermare Canio. A delitto compiuto, Canio,
esclama beffardo: "la commedia è finita!".
Tonio
Si può?... Si può?...
(poi salutando)
Signore! Signori!... Scusatemi
se da sol me presento.
Io sono il Prologo: ed ei con vere lacrime scrisse,
Poiché in iscena ancor e i singhiozzi
le antiche maschere mette l'autore, il tempo gli battevano!
in parte ei vuol riprendere Dunque, vedrete amar
le vecchie usanze, e a voi sì come s'amano gli esseri umani;
di nuovo inviami. vedrete de l'odio i tristi frutti.
Ma non per dirvi come pria: Del dolor gli spasimi,
«Le lacrime che noi versiam son false! urli di rabbia, udrete,
Degli spasimi e de' nostri martir e risa ciniche!
non allarmatevi!» No! No: E voi, piuttosto
L'autore ha cercato che le nostre povere gabbane d'istrioni,
invece pingervi le nostr'anime considerate,
uno squarcio di vita. poiché siam uomini
Egli ha per massima sol di carne e d'ossa,
che l'artista è un uom e che di quest'orfano mondo
e che per gli uomini al pari di voi spiriamo l'aere!
scrivere ei deve. Il concetto vi dissi...
Ed al vero ispiravasi. Or ascoltate com'egli è svolto.
Un nido di memorie (gridando verso la scena)
in fondo a l'anima Andiam. Incominciate!
cantava un giorno, (Rientra e la tela si leva.)
Giacomo Puccini
(Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924)
Pochi sanno che a Giacomo Puccini si deve la costruzione del primo fuoristrada
italiano.
Appassionato di motori, il maestro iniziò la sua carriera automobilistica acquistando,
nel 1901, una De Dion-Bouton 5 CV, vista all'Esposizione di Milano di quell'anno e
presto sostituita (1903) con una Clément-Bayard.
Con quelle vetture, percorrendo l'Aurelia, dal suo "rifugio" di Torre del Lago
raggiungeva velocemente Viareggio o Forte dei Marmi e Lucca. Forse, troppo
velocemente, secondo la pretura di Livorno, che multò Puccini per eccesso di
velocità, nel dicembre del 1902. Una sera di due mesi più tardi, nei pressi di Vignola,
alla periferia di Lucca, sulla Statale Sarzanese-Valdera, la Clement usciva di strada,
rovesciandosi nel fossato "la Contesora", con a bordo anche la moglie, il figlio ed il
meccanico; tutti incolumi, tranne il musicista che si fratturò una gamba, il primo
incidente automobilistico della storia.
Nel 1905, acquistò una Sizaire-Naudin, cui seguì una Isotta Fraschini del tipo "AN
20/30 HP" e alcune FIAT, tra cui una "40/60 HP" nel 1909 ed una "501" nel 1919.
Tutte automobili che ben si prestavano alle gite con famiglia e amici, ma inadatte da
utilizzare nelle sue amate battute di caccia.
Per questo motivo, Puccini chiese a Vincenzo Lancia la realizzazione di vettura
capace di muoversi anche su terreni difficili. Dopo pochi mesi, gli venne consegnata
quella che possiamo considerare la prima "fuoristrada" costruita in Italia, con tanto
La Bohème. 1896
Ispirato al romanzo di Henri Murger Scènes de la vie de bohème, il libretto ebbe una
gestazione abbastanza laboriosa, per la difficoltà di adattare le situazioni e i
personaggi del testo originario ai rigidi schemi e all'intelaiatura di un'opera
musicale. L'orchestrazione della partitura procedette invece speditamente e fu
completata nel dicembre 1895.
Meno di due mesi dopo, il 1º febbraio 1896, La bohème fu rappresentata per la prima
volta al Teatro Regio di Torino, con Evan Gorga, Cesira Ferrani, Antonio Pini-Corsi e
Michele
Mazzara, diretta dal ventinovenne maestro Arturo Toscanini, con buon successo di
pubblico, mentre la critica ufficiale, dimostratasi all'inizio piuttosto ostile, dovette
presto allinearsi ai generali consensi.
L'opera ha la stessa fonte e lo stesso titolo dell'omonimo spettacolo di Ruggero
Leoncavallo, con cui al tempo Puccini ingaggiò una sfida.
Mimì (soprano)
Musetta (soprano)
Rodolfo, poeta (tenore)
Marcello, pittore (baritono)
Schaunard, musicista (baritono)
Colline, filosofo (basso)
Benoît, il padrone di casa (basso)
Parpignol, venditore ambulante (tenore)
Alcindoro, consigliere di stato (basso)
Sergente dei doganieri (basso)
Doganiere (basso)
Trama
L'esistenza gaia e spensierata di un gruppo di giovani artisti bohémien costituisce lo
sfondo dei diversi episodi in cui si snoda la vicenda dell'opera, ambientata nella
Parigi del 1830.
Quadro I
La vigilia di Natale. Il pittore Marcello, che sta dipingendo un Mar Rosso, e il poeta Rodolfo
tentano di scaldarsi con la fiamma di un caminetto che alimentano di volta in volta con il
Quadro II
Il caffè Momus. Rodolfo e Mimì raggiungono gli altri bohèmiens. Il poeta presenta la nuova
arrivata agli amici e le regala una cuffietta rosa. Al caffè si presenta anche Musetta, una
vecchia fiamma di Marcello, che lei ha lasciato per tentare nuove avventure, accompagnata
dal vecchio e ricco Alcindoro. Riconosciuto Marcello, Musetta fa di tutto per attirare la sua
attenzione, esibendosi ("Quando men vo"), facendo scenate ed infine cogliendo al volo un
pretesto, il dolore al piede per una scarpetta troppo stretta, per scoprirsi la caviglia. Marcello
non può resisterle e i due amanti, riconciliatisi, fuggono insieme agli altri amici, lasciando il
ricco amante di Musetta con la scarpa in mano e il conto da pagare.
Quadro III
Febbraio. Neve dappertutto. La vita in comune si è rivelata ben presto impossibile: le scene di
gelosia fra Marcello e Musetta sono ormai continue, come pure i litigi e le incomprensioni fra
Rodolfo e Mimì, accusata di leggerezza e di infedeltà. Per di più Rodolfo ha capito che Mimì
è gravemente malata e che la vita nella soffitta potrebbe pregiudicarne ancor più la salute; i
due vorrebbero separarsi, ma lo struggente rimpianto delle ore felici trascorse insieme li
spinge a rinviare l'addio alla primavera. Frattanto Marcello e Musetta si separano dopo una
furiosa litigata.
Tosca, 1900
Durante una tournée, La Tosca venne rappresentata anche al Teatro dei
Filodrammatici di Milano, all'inizio del 1889, e Giacomo Puccini vi assistette,
rimanendone molto colpito.
Così Puccini cominciò a pensare di ricavarne un'opera. Ne parlò con l'editore Giulio
Ricordi, chiedendogli di interessarsi ai diritti dell’opera per avere l’autorizzazione a
musicarla.
Sardou non oppose un netto rifiuto ma dimostrò freddezza; in ogni modo alla fine
del 1893 Ricordi ottenne l'autorizzazione a musicarla, anche se a favore di un altro
compositore, Alberto Franchetti, che aveva da poco trionfato con Cristoforo
Colombo (1892).
Luigi Illica preparò l'abbozzo del libretto, che fece approvare da Sardou in presenza
di Giulio Ricordi e Giuseppe Verdi (quest'ultimo, a Parigi per la prima francese di
Otello, confiderà qualche anno più tardi al suo biografo che, se non fosse stato per
l'età, avrebbe voluto lui stesso musicare Tosca).
Dopo pochi mesi Franchetti rinunciò a comporre l'opera. Così Ricordi commissionò
l'opera a Puccini, nel 1895. Cominciò il lavoro qualche mese dopo il successo de La
bohème, nella tarda primavera del 1896. Partecipò alla stesura del libretto anche
Personaggi
Floria Tosca, celebre cantante (soprano)
Mario Cavaradossi, pittore (tenore)
Il Barone Scarpia, capo della polizia (baritono)
Cesare Angelotti (basso)
Il Sagrestano (basso)
Spoletta, agente di polizia (tenore)
Sciarrone, Gendarme (basso)
Un carceriere (basso)
Un pastore (voce bianca)
Il libretto
Il libretto fu ricavato dal dramma omonimo di
Victorien Sardou, ma fu ridotto da cinque a tre atti e
snellito di molti particolari che costituivano la cornice
storica realistica del dramma in prosa; vennero inoltre
eliminati moltissimi personaggi secondari, tra cui
Giovanni Paisiello, che compariva in persona alle
prese con la famosa cantante, e la vicenda si concentrò
principalmente sul triangolo Scarpia - Tosca -
Cavaradossi, delineando le linee principali dei caratteri, anche se a scapito delle
concatenazioni logiche degli avvenimenti. Il dramma dell'amore perseguitato
interessava Puccini più del grande affresco storico condito di delitti e di sangue.
Atto primo
Angelotti (basso), bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla
prigione di Castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant'Andrea della Valle, dove
sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli
permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro
dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore). Quando irrompe nella chiesa un sagrestano
(basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando ("... e
sempre lava..."), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per
continuare a lavorare al suo dipinto ("Recondita armonia..."). Il sagrestano finalmente si
congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui
condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga ma l'arrivo di Floria Tosca
(soprano), l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella.
Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera ("Non la sospiri la nostra
casetta..."). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel
quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica ("Qual occhio al mondo..."), riesce a
calmarla e a congedarla.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo
indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da
Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella
fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella
cappella.
Atto secondo
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del
Re e della Regina di Napoli, per celebrare la vittoriosa battaglia; nel suo appartamento
Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri sbirri conducono in sua presenza
Mario che è stato arrestato. Questi, interrogato, si rifiuta di rivelare a Scarpia il nascondiglio
di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.
Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da
Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida
dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino
della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento
di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare
che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a
sconfiggere gli austriaci a Marengo. A questo annuncio Mario inneggia ad alta voce alla
vittoria, e Scarpia lo condanna immediatamente a morte, facendolo condurre via. Disperata,
Tosca chiede a Scarpia di concedere la grazia a Mario. Ma il barone acconsente solo a patto
che Tosca gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in
accorato rimprovero a Dio (Vissi d'arte, vissi d'amore). Ma tutto è inutile: Scarpia è
irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto
d'intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà simulata e i fucili caricati a salve. Dopo aver
scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si
avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo accoltella con un coltello trovato
sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere e, prima di uscire, pone
religiosamente due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e
finalmente esce.
Trama
Sbarcato a Nagasaki, Pinkerton (tenore), ufficiale della marina degli Stati Uniti, per vanità e
spirito d'avventura si unisce in matrimonio, secondo le usanze locali, con una geisha
quindicenne di nome Cio-Cio-San (giapponese: Chōchō-san), termine giapponese che
significa Madama (San) Farfalla (蝶 Chō), in inglese Butterfly, acquisendo così il diritto di
ripudiare la moglie anche dopo un mese; così infatti avviene, e Pinkerton ritorna in patria
abbandonando la giovanissima sposa. Ma questa, forte di un amore ardente e tenace, pur
struggendosi nella lunga attesa accanto al bimbo nato da quelle nozze, continua a ripetere a
tutti la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell'amato.
Pinkerton infatti ritorna dopo tre anni, ma non da solo: accompagnato da una giovane
donna, da lui sposata regolarmente negli Stati Uniti, è venuto a prendersi il bambino, della
cui esistenza è stato messo al corrente dal console Sharpless, per portarlo con sé in patria ed
educarlo secondo gli usi occidentali. Soltanto di fronte all'evidenza dei fatti Butterfly
comprende: la sua grande illusione, la felicità sognata accanto all'uomo amato, è svanita del
tutto. Decide quindi di scomparire dalla scena del mondo, in silenzio, senza clamore; dopo
aver abbracciato disperatamente il figlio, si uccide (secondo l'usanza giapponese denominata
jigai) con un coltello tantō donatole dal padre.
Il tabarro
Luogo: Una chiatta sulla Senna a Parigi.
Tempo: 1910.
L'opera è molto scura e cupa, piena di violenza: ha un
carattere verista.
Nei decenni, pur senza mai diventare un'opera popolare, Il tabarro si è guadagnato
un posto di tutto rispetto tra le opere di Puccini. L'intenzionale assenza di melodie
facili, di quelle che colpiscono immediatamente l'orecchio, è compensata da
un'estrema densità drammatica e compositiva. Puccini lavora per lo più su leitmotiv
di poche note, elaborandoli sul piano delle sonorità più che su quello armonico. Al
contrario, è a partire da quest'opera che Puccini inizia a costruire le sue partiture per
grandi blocchi tonali, di monumentale staticità.
Sul piano drammaturgico, Il tabarro sembrerebbe segnare un inatteso e tardivo
omaggio all'opera verista. L'azione si svolge infatti nei bassifondi di Parigi, in riva
alla Senna, tra scaricatori e donne del popolo. Due decenni prima, nel momento di
massima fortuna del melodramma verista, Puccini aveva evitato di pagare tributo a
questa moda, rinunciando a mettere in musica La lupa di Verga.
Nel farlo ora, fuori tempo massimo, ne rovescia di segno i principi estetici. Nessuno
dei suoi lavori è infatti così lontano dal tono nazional-popolare di Cavalleria
rusticana e delle altre celebri opere della stagione verista. La severità con cui la
musica si concentra sul dramma può semmai richiamare alla lontana l'idea verdiana
di un teatro musicale in cui tutto dev'essere al servizio del dramma.
La più cupa tra le opere di Puccini è imperniata sull'idea del tempo che passa,
incarnata metaforicamente dall'ora del tramonto, dalla stagione autunnale e
soprattutto dal lento, inesorabile scorrere del fiume, intorno al quale l'intera vicenda
si sviluppa. Un'idea alla quale rinvia anche l'uso massiccio di tempi a struttura
ternaria, il cui moto circolare guida i protagonisti verso la tragedia avvolti in un
clima di danzante erotismo. Dice la protagonista: «Io capisco una musica sola: quella
che fa danzare», ma la musica che accompagna le sue parole è la stessa che aprirà il
suo appassionato duetto d'amore con Luigi.
Suor Angelica
Luogo: Un convento vicino a Siena. Tempo: L'ultima parte del XVII secolo.
Questa seconda opera, (ma di solito è quella che viene omessa se sono eseguite solo
due opere): è un racconto edificante sulla redenzione religiosa.
È tra le poche opere a contenere solo personaggi femminili. Fra le tre opere che
compongono il Trittico era la preferita da Puccini.
Personaggi
Suor Angelica (soprano)
La zia principessa (contralto)
La badessa (mezzosoprano)
La suora zelatrice (mezzosoprano)
La maestra delle novizie (mezzosoprano)
Suor Genovieffa (soprano)
Suor Osmina (soprano)
Suor Dolcina (soprano)
La suora infermiera (mezzosoprano)
La trama
L'azione si svolge verso la fine del XVII secolo, tra le mura di
un monastero nei dintorni di Siena.
Da sette anni Suor Angelica, di famiglia aristocratica, ha
forzatamente abbracciato la vita monastica per scontare un
peccato d'amore. Durante questo lungo periodo non ha saputo
più nulla del bambino nato da quell'amore, che le era stato
strappato a forza subito dopo la nascita.
L'attesa sembra finalmente terminata: nel parlatorio del
monastero Angelica è attesa a colloquio dalla zia principessa.
Ma la vecchia signora, algida e distante, non è venuta a
concederle il sospirato perdono, bensì a chiederle un formale
atto di rinuncia alla sua quota del patrimonio familiare, allo
scopo di costituire la dote per la sorella minore Anna Viola,
prossima ad andare sposa. Il ricordo di eventi lontani ma mai cancellati dalla memoria e la
possibilità di avvicinare una persona di famiglia spingono Angelica a chiedere con insistenza
notizie del bambino.
Ma con implacabile freddezza la zia le annuncia che da oltre due anni il piccolo è morto,
consumato da una grave malattia. Allo strazio della madre, caduta di schianto a terra, la
vecchia non sa porgere altro conforto che una muta preghiera. Il pianto di Angelica continua,
soffocato e straziante, anche dopo che la zia, ottenuta la firma, si allontana. Nel suo animo si
fa strada l'idea folle e disperata di raggiungere il bambino nella morte per unirsi a lui per
sempre. È scesa intanto la notte e Suor Angelica, non vista, si reca nell'orto del monastero:
raccoglie alcune erbe velenose e con esse prepara una bevanda mortale.
D'improvviso, dopo aver bevuto pochi sorsi del distillato, Angelica è assalita da un angoscioso
terrore: conscia di essere caduta in peccato mortale, si rivolge alla Vergine chiedendole un
segno di grazia. E avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta e, con
gesto materno, sospinge il bambino fra le braccia protese della morente.
Personaggi
Gianni Schicchi, 50 anni (baritono)
Lauretta, sua figlia, 21 anni (soprano)
Zita detta La Vecchia, cugina di Buoso, 60 anni (contralto)
Rinuccio, nipote di Zita (tenore)
Gheraldo, nipote di Buoso, 40 anni (tenore)
Nella, sua moglie, 34 anni (soprano)
Gheraldino, loro figlio, 7 anni (soprano)
Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile (basso)
Simone, cugino di Buoso, 70 anni (basso)
Marco, suo figlio, 45 anni (baritono)
La Ciesca, moglie di Marco, 38 anni (mezzosoprano)
Maestro Spinelloccio, medico (basso)
Ser Amantio Di Nicolao, notaro (baritono)
Guccio, tintore (basso)
Pinellino, calzolaio (basso)
Trama
Gianni Schicchi, famoso in tutta Firenze per il suo spirito
acuto e perspicace, viene chiamato in gran fretta dai parenti
di Buoso Donati, un ricco mercante appena spirato, perché
escogiti un mezzo ingegnoso per salvarli da un'incresciosa
situazione: il loro congiunto ha infatti lasciato in eredità i
propri beni al vicino convento di frati, senza disporre nulla
in favore dei suoi parenti.
Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa
dell'atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati,
dell'aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui, uomo della
«gente nova». Ma le preghiere della figlia Lauretta
(romanza «O mio babbino caro»), innamorata di Rinuccio,
il giovane nipote di Buoso Donati, lo spingono a tornare sui
Turandot, 1924
Turandot è un'opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato
Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini (morto il 29 novembre 1924) e
successivamente completata da Franco Alfano.
La prima rappresentazione ebbe luogo nell'ambito della stagione lirica del Teatro alla
Scala di Milano il 25 aprile 1926, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta,
Maria Zamboni, Giacomo Rimini e Giuseppe Nessi sotto la direzione di Arturo
Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo
il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» (alla morte di Liù), ovvero dopo l'ultima pagina
completata dall'autore, rivolgendosi al pubblico con queste parole: «Qui termina la
rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.» La sera seguente,
l'opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, includendo anche il
finale di Alfano.
L'incompiutezza dell'opera è oggetto di discussione tra gli studiosi. C'è chi sostiene
che Turandot rimase incompiuta non a causa dell'inesorabile progredire del male che
affliggeva l'autore, bensì per l'incapacità, o piuttosto l'intima impossibilità da parte
del Maestro di interpretare quel trionfo d'amore conclusivo, che pure l'aveva
inizialmente acceso d'entusiasmo e spinto verso questo soggetto. Il nodo cruciale del
Personaggi
Turandot, principessa (soprano)
Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
Timur, re tartaro spodestato (basso)
Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore)
Liú, giovane schiava, guida di Timur (soprano)
Ping, Gran Cancelliere (baritono)
Pang, Gran Provveditore (tenore)
Pong, Gran Cuciniere (tenore)
Un Mandarino (baritono)
Il Principe di Persia (tenore)
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)
Guardie imperiali - Servi del boia - Ragazzi - Sacerdoti - Mandarini - Dignitari - Gli
otto sapienti - Ancelle di Turandot - Soldati - Portabandiera - Ombre dei morti - Folla
Atto I
Un mandarino annuncia pubblicamente il solito editto:
Turandot, figlia dell'Imperatore, sposerà quel pretendente
di sangue reale che abbia svelato tre indovinelli da lei
stessa proposti; colui però che non sappia risolverli, dovrà
essere decapitato. Il principe di Persia, l'ultimo dei tanti
pretendenti sfortunati, ha fallito la prova e sarà giustiziato
al sorger della luna. All'annuncio, tra la folla desiderosa di
assistere all'esecuzione, sono presenti il vecchio Timur che,
nella confusione, cade a terra e la sua schiava fedele Liù
chiede aiuto. Un giovane si affretta ad aiutare il vegliardo:
è Calaf, che riconosce nell'anziano uomo suo padre, re
tartaro spodestato. Si abbracciano commossi e il giovane
Calaf prega il padre e la schiava Liù, molto devota, di non
pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti
cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel
frattempo il boia affila la lama preparandola per
l'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna, la folla si agita ulteriormente.
Atto II
Ping, Pong e Pang si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad
assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero
vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.
Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. L'imperatore Altoum invita
il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare
la prova, ripetendo l'editto imperiale, mentre entra Turandot. La bella principessa spiega il
motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei
tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo
della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un
uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe
mai risolti.
Calaf riesce a risolvere uno dopo l'altro gli enigmi e la principessa, disperata e incredula, si
getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l'imperatore
la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo
modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal
giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell'alba, riuscirà a
scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona
un'ultima volta, solenne, l'inno imperiale.
Atto III
È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella
notte nessuno deve dormire in Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a
ogni costo, pena la morte. Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere e sognando le labbra di
Turandot, finalmente libera dall'odio e dall'indifferenza.
Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il
principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare
Il finale "incompiuto"
Per la verità il lavoro alla Turandot da parte dello stesso autore non rimase
effettivamente incompiuto. Certamente a questo episodio contribuì anche e non poco
il fatto che Puccini stesso in quel periodo non godeva affatto di buone condizioni di
salute, tanto che morirà prematuramente poco tempo dopo per un tumore maligno
alla gola. Puccini dopo aver scritto l' ultimo coro
funebre (dedicato alla morte di Liù), in cui ha
raggiunto "il massimo splendore" della sua musica
non volle più continuare, in quanto riteneva che il
lavoro era già perfettamente concluso, secondo una
sua legittima personale considerazione. Il lavoro di
stesura ad un vero e proprio finale alternativo iniziò
praticamente poche settimane prima della morte,
quando l'autore stava per essere ricoverato, ma non
rimasero solamente che abbozzi più o meno
compiuti. Gli abbozzi sono sparsi su 23 fogli che il
Maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles in
cui fu ricoverato nel tentativo di curare il male che
lo affliggeva. Puccini non aveva per niente indicato
Maurice Ravel
(Ciboure, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937)
Struttura
Il brano è strutturato dalla ripetizione di due temi principali A e B, di diciotto battute
ciascuno, proposti da strumenti diversi. I temi si inseriscono sull'accompagnamento
ritmico continuo del tamburo, e sull'accompagnamento armonico, spesso proposto
in maniera accordale. La successione delle ripetizioni è disposta in un graduale e
continuo crescendo, dal pianissimo iniziale fino al maestoso finale, per un totale di
diciotto sequenze musicali (nove ripetizioni del tema A e nove del tema B). Il brano
rimane sempre nella tonalità di do maggiore, sebbene nel tema B siano presenti
elementi tensivi dominanti come il SIb che lo differenziano dal tema A diatonico,
tranne una breve modulazione in mi maggiore nell'ultima sequenza che apre alla
cadenza finale. L'organico orchestrale previsto è un'orchestra con l'aggiunta di un
oboe d'amore, di tre sassofoni e di un gong. Man mano che cambiano i temi vengono
inseriti strumenti al fine di curare il timbro e nello stesso tempo per sottolineare uno
stato di confusione, tanto che nella parte finale gli strumenti sono tanti da alterare il
riconoscimento del ritmo e delle note. Il rullante ripete il ritmo ostinato 169 volte.
Igor Stravinsky
Igor' Fëdorovič Stravinskij (in russo: Игорь Фёдорович Стравинский?;
Lomonosov, 17 giugno 1882 – New York, 6 aprile 1971) è stato un compositore
russo naturalizzato francese, e in seguito statunitense.
Parte II - Il sacrificio
❖ Introduzione
❖ Cerchi misteriosi delle adolescenti
❖ Glorificazione dell'Eletta
❖ Evocazione degli antenati
❖ Azione rituale degli antenati
❖ Danza sacrificale (l’Eletta)
L’uccello di Fuoco
L'uccello di fuoco (francese: L'Oiseau de
feu; russo: Жар-птица, Žar-ptica) è un
balletto in un atto e due scene
rappresentato per la prima volta il 25
giugno 1910 all'Opéra di Parigi. Fu uno
dei cavalli di battaglia dei Balletti Russi di
Djaghilev.
La musica è di Igor' Stravinskij, la
coreografia di Mikhail Fokine, le scene di
Alexandre Golovine, i costumi di Leon
Bakst e la direzione di Gabriel Pierné.
Introduzione
Scena 1
‣ Il giardino incantato di Kascej
‣ Apparizione dell'Uccello di fuoco seguito dal principe Ivan
‣ Danza dell'Uccello di fuoco
‣ Cattura dell'Uccello di fuoco da parte del principe Ivan
‣ Suppliche dell'Uccello di fuoco – apparizione delle tredici principesse prigioniere
‣ Gioco delle principesse con il pomo d'oro
‣ Brusca apparizione del principe Ivan
‣ Khorovod (rondò) delle principesse
‣ Alba – Il principe Ivan entra nel palazzo di Kascej
‣ Carillon magico – apparizione dei mostri-guardiano di Kascej - cattura del
principe Ivan – intercessione delle principesse
‣ Danza della suite di Kascej incantato dall'Uccello di fuoco
‣ Danza infernale di tutti i sudditi di Kascej
‣ Berceuse (l'Uccello di fuoco) – risveglio di Kascej – morte di Kascej – Tenebre
profonde
Scena 2
Sparizione del palazzo e dei sortilegi di Kascej
animazione dei cavalieri pietrificati, allegria generale
Il Jazz
Il jazz è attualmente una forma musicale, ma nacque tra il 1600 e 1700 come
fenomeno sociale dagli schiavi di pelle scura africani che trovavano conforto e
speranza nelle loro anime improvvisando collettivamente od individualmente canti.
Il jazz viene riconosciuto come fenomeno musicale solo tra Ottocento e Novecento e
piace molto anche ai «bianchi».
Si sviluppa negli Stati Uniti, prima nelle piantagioni sud-americane e poi arriva con
le jam session (improvvisazioni collettive di suonatori che componevano musica «ad
orecchio»), gruppi di suonatori (massimo 3 strumenti) e con le jazz band a New
Orleans, Louisiana.
È nato come musica vocale perché si eseguiva durante il lavoro nelle piantagioni o
durante costruzioni ferroviarie e delle strade, questo per ritmare e coordinare i
movimenti del lavoro (infatti il ritmo era binario, deriva ad esempio dalla raccolta e
rimessa del cotone nella cesta). Il jazz arriverà anche a Chicago con Louis Armstrong
e poi anche in Europa dove avrà un successo grandissimo.
Nel jazz ci sono due forme primarie: il blues, in 12 battute (3 frasi musicali), e la
canzone, in 32 battute. L'essenza dell'improvvisazione è nella linea melodica, ciò è
dovuto al fatto che il mezzo jazz prototipico (originale) è il gruppo di ottoni, in cui,
dato che ogni suonatore può produrre una sola nota alla volta, gli assoli sono
necessariamente melodici. Il pianoforte venne dopo, copiando però le caratteristiche
dell'insieme di ottoni.
Sin dai primi tempi il jazz ha incorporato nel suo linguaggio i generi della musica
popolare americana, dal ragtime, al blues, alla musica leggera fino alla musica colta,
soprattutto statunitense. In tempi più recenti il jazz si è mescolato con tutti i generi
musicali moderni anche non statunitensi, come il samba, la musica caraibica e il
rock.
Il jazz si sviluppa agli inizi del XX secolo a New Orleans, Louisiana. La cittadina
costituiva un ribollente spirito etnico: prima di dominazione francese, poi spagnola,
era diventata parte degli Stati Uniti con il "Louisiana Purchase" del 1803. Il jazz si
afferma subito come sincretismo fra numerose culture musicali, europee (musica per
banda militare, canti da chiesa, opera lirica) e africane (percussione, ritmo).
Dal punto di vista tecnico, il jazz moderno è caratterizzato dall'uso estensivo
dell'improvvisazione, di blue note, di poliritmie e di progressioni armoniche insolite
Breve Storia
La musica che originariamente sarebbe stata chiamata "jass" e poco dopo "jazz" nasce
quasi certamente a New Orleans all'inizio del XX secolo. Il musicista cui è attribuito
il titolo di "padre del jazz", Buddy Bolden, è attivo a New Orleans nel 1904. Nel 1906
il pianista Jelly Roll Morton compose il brano King Porter Stomp, che fu uno dei
primi brani jazz a godere di vasta notorietà, e negli anni seguenti a New Orleans
furono attive molte formazioni jazz: tra le più importanti, quella capeggiata dal
cornettista Joe "King" Oliver. La parola "jazz" venne stampata da un quotidiano, per
la prima volta, nel 1913.
Grande notorietà ebbe la Original Dixieland Jass Band (O.D.J.B.), composta da soli
bianchi e diretta dal cornettista, di origini italiane, Nick La Rocca. Dopo il debutto a
Chicago il 3 marzo 1916, il 26 febbraio 1917, la O.D.J.B. registrò per la prima volta un
brano jazz Livery Stable Blues. Per questo alla O.D.J.B. venne attribuito il titolo di
"inventori del jazz".
Tra il 1910 e il 1920, molti musicisti di New Orleans, spinti dai maggiori guadagni
che venivano offerti al Nord e dalla decadenza dell'intrattenimento a New Orleans si
spostarono al nord e molti di essi scelsero Chicago, città che attrasse anche King
Oliver, e attorno alla quale si creò una scuola da cui emersero molti protagonisti
soprattutto bianchi, tra cui Bix Beiderbecke, Frank Trumbauer, Pee Wee Russell.
Il jazz aumentava la sua popolarità, affermandosi tra l'altro come musica da ballo e
nei locali notturni. Molti protagonisti, tra cui il sassofonista Sidney Bechet fecero
tournée in Europa. Nelle orchestre aumenta l'importanza del solista come
simboleggia l'emergere della figura di Louis Armstrong(agli esordi seconda cornetta
della "Creole Jazz Band" di Joe "King" Oliver) reso famoso dalle registrazioni dei suoi
gruppi, gli Hot Five e gli Hot Seven nel 1925.
Nacquero in questo periodo molte orchestre (Big band) tra cui si ricordano quelle di
Fletcher Henderson, quella del bianco Paul Whiteman e quella del giovane Duke
Ellington. La fiorente industria dell'intrattenimento e l'abbondanza di sale da ballo
fanno di New York una delle città centrali per il jazz.
A seguito della crisi di borsa dell'ottobre 1929 l'intrattenimento musicale negli Stati
Uniti d'America subì un drammatico azzeramento e negli anni immediatamente
successivi, passati alla storia come "la Grande depressione", pochi musicisti
Nel 1964, registrò una delle sue canzoni più famose, Hello, Dolly!. Il singolo scalò
subito le classifiche musicali, "cacciando" i Beatles dalla prima posizione della
Billboard Hot 100, arriva in seconda posizione in Norvegia ed in ottava in Germania
ed Olanda. Nel 1965 vince il Grammy Award alla canzone dell'anno ed Armstrong
vince il Grammy Award for Best Vocal Performance, Male. Nel 1969 esegue il brano
con Barbra Streisand nel film Hello, Dolly!. Il brano venne premiato nel 2001 con il
Grammy Hall of Fame Award.
Louis Armstrong mantenne la sua agenda sempre piena fino a pochi anni prima
della morte. Negli ultimi anni suonò talvolta in alcuni locali e show. Fece inoltre dei
tour in Africa, Europa e Asia. Non essendo più giovane, i suoi appuntamenti
vennero limitati ma continuò lo stesso a suonare fino al giorno della morte.
Personalità
Da giovane era anche conosciuto come Dippermouth. Ciò è riferito alla tendenza che
aveva nel rinfrescarsi con un mestolo da un secchio d'acqua, sempre presente nel
backstage con la band di Joe "King" Oliver a Chicago nei primi anni venti.
Il danno provocato alla bocca fu causato proprio dalla pressione con cui suonava e
ciò è visibile in molte foto degli anni venti. Per certi periodi non fu infatti in grado di
suonare. Tuttavia, dopo aver messo da parte la sua tromba per un po' di tempo,
migliorò il suo stile di suonare e continuò la sua carriera da trombettista. Amici e
musicisti lo chiamavano affettuosamente "Pops", che è il nome con cui Armstrong si
riferiva a loro, eccetto Pops Foster, che lui chiamava "George".
Ella Fitzgerald
« Some kids in Italy call me Mama Jazz; I thought that was so cute. As long as they don't
call me Grandma Jazz »
nota anche come Lady Ella e First Lady of Song
(Newport News, 25 aprile 1917 – Beverly Hills, 15 giugno 1996)
George Gershwin
George Gershwin (Brooklyn, 26 settembre 1898 – Hollywood, 11 luglio 1937)
compositore, pianista e direttore d'orchestra statunitense.
Leonard Bernstein
nato con il nome di Louis (Lawrence, 25 agosto 1918 – New York, 14 ottobre
1990), è stato un compositore, pianista e direttore d'orchestra statunitense.
« Il più grande pianista tra i direttori, il più grande direttore tra i compositori, il più grande compositore tra i
pianisti...un genio universale » (Artur Rubinstein)
Trama
La storia si ispira, con alcune varianti, a Romeo e Giulietta di William Shakespeare,
ambientato nell'Upper West Side di New York tra bande di strada inglesi e
portoricane. Tony e Maria si innamorano, nonostante facciano parte di gruppi rivali
(Tony con i Jets mentre Maria, nata a Porto Rico, con gli Sharks). Gli Sharks sono