Legislazione Socio Sanitaria e Legislazione Del Lavoro 1

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Legislazione socio sanitaria e Legislazione

del lavoro
Dr. Andrea Merlo

Premessa
Carissimi colleghi,

ho tirato fuori il testo dalle slide e fatto una mappa che spero possa essere utile ad orientarsi nei concetti,
affinché si possa avere una comprensione più completa. Detto ciò, ognuno resta libero di studiare come si
trova meglio, perché ognuno ha il suo metodo e questo è il mio, uno dei tanti possibili, dunque è un lavoro
che avrei fatto comunque per me e lo condivido volentieri con voi. Penso si possa superare con ottimi
risultati la verifica anche concentrandosi semplicemente sulle slide, magari con uno studio più mnemonico,
mettiamo che vi capita proprio quella domanda e taaaac … avete la risposta; c’è sempre il fattore “C” che
incide sul risultato, non dimentichiamolo, oltre all’impegno, naturalmente.

Non mi dilungo ancora perché avete già abbastanza da leggere, quindi bando alle ciance e mettevi a
studiare! Se qualcuno questo fine settimana vuole ripetere, compatibilmente con gli impegni, possiamo
cercare di organizzarci, ci sentiamo in chat magari. Mi sono attenuto fedelmente ai contenuti delle slide, se
dovesse esserci qualche errore vi ringrazio se me lo segnalate.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti del reciproco sostegno, se questo lavoro vi è stato utile, passate per
questa pagina, lasciate un like, condividete e aiutateci a crescere: https://www.facebook.com/scuolavola

Grazie di cuore, a presto!

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La garanzia costituzionale del diritto alla salute

Salute e sanità in Assemblea costituente

La prima formulazione di una disposizione che prevedesse la tutela del diritto alla salute è rappresentato
dall'art. 26 del progetto di Costituzione:

"La Repubblica tutela la salute e l'igiene ed assicura cure gratuite agli indigenti. Nessun trattamento
sanitario può essere obbligatorio se non per legge. Non sono ammesse pratiche sanitarie lesive della dignità
umana".

Mediante questa disposizione, si intendeva introdurre in Costituzione una norma che impegnasse
innanzitutto la Repubblica a tutelare il "bene salute" unitariamente inteso, senza che tale tutela si
ricollegasse a quegli interessi sovraordinati (come l'ordine pubblico o la capacità produttiva) che
subordinavano le forme di tutela ad un'ottica meramente strumentale.

Il cambio di prospettiva era insito nel fatto che la Costituzione si occupasse della tutela alla salute:
quest'ultima era da più parti ancora concepita come un fatto privato rilevante soltanto per ragioni di difesa
sociale o tenuta economica, per cui (fatta eccezione per le cure agli indigenti afferenti alla materia della
beneficenza pubblica) i pubblici poteri erano tenuti ad intervenire con azioni di prevenzione collettiva delle
malattie o mediante il governo del sistema mutualistico nel quale dominava una logica assicurativa fondata
sullo scambio tra denaro ed assunzione del rischio, nonché sul rapporto di consequenzialità tra tutela della
produzione e salvaguardia della salute/capacità lavorativa del dipendente.

Complessità strutturale dell'art. 32 della Costituzione

L'art. 32 della Legge Fondamentale, entrato in vigore il 1 gennaio 1948, ha modificato il progetto iniziale
dell'art. 26 sopra visto. Così recita:

"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".

Si passa ora ad un'analisi critica della disposizione.

Al termine "salute" possono essere attribuiti significati diversi.

Questa multidimensionalità del bene salute, che genera situazioni giuridiche polimorfe che a loro volta
condizionano la nozione di "salute" posta a loro fondamento, entro un circuito di determinazione biunivoca
dei rispettivi confini concettuali, è rinvenibile anche sulla base di una mera ricognizione dei significati di
salute nei principali documenti normativi ad oggi in vigore nell'ordinamento internazionale, in cui accanto a
formulazioni ampie e generali se ne possono trovare altre che affrontano aspetti specifici che si ricollegano
all'uso del termine.
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Una definizione ampia e molto nota del termine "salute" a livello internazionale - che rende direttamente
rilevante tutta l'attività preventiva si trova invece nel preambolo dell'atto costitutivo dell'Organizzazione
mondiale della sanità in cui si legge che la "salute" indica "uno stato completo di benessere fisico, mentale
e sociale e non solamente l'assenza di malattie o di infermità".

La salute pertanto si afferma come condizione che deve riguardare sia il fisico che la mente e come tale
viene intesa anche nell'art. 12 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, dove il
godimento della salute viene indicato come un diritto proprio di ogni individuo il quale - tuttavia - per
trovare effettiva realizzazione non può prescindere dagli interventi degli Stati sul versante sia della
prevenzione sia della cura.

Queste diverse nozioni si riflettono sull'approccio dell'ordinamento alla tutela del "bene salute",
distinguendosi:

- un approccio "negativo", ossia di impegno a non generare rischi per la salute ed a garantire l'astensione
di terzi dal commettere comportamenti lesivi della salute individuale;

- un approccio "positivo", ossia di protezione attiva della salute mediante la rimozione dei rischi e la
garanzia delle prestazioni sanitarie. La concezione imperniata sull'assenza di malattia comporta che questo
approccio si concentri sul versante della cura.

L'art. 32 della Legge Fondamentale dimostra di aver ben compreso la "multidimensionalità" del diritto alla
salute. Infatti, nella disposizione costituzionale sono distinguibili cinque situazioni giuridiche soggettive
coordinate tra loro:

- il diritto dell'individuo a che la Repubblica tuteli la sua salute;

- l'interesse generale a che la Repubblica tuteli la salute collettiva;

- il diritto della persona in stato di indigenza a pretendere cure gratuite;

- la libertà dell'individuo di non sottoporsi o di rifiutare trattamenti sanitari;

- il dovere dell'individuo di sottoporsi a trattamenti sanitari in base a un obbligo di legge e mai in violazione
dei limiti imposti dal rispetto della persona umana.

I soggetti coinvolti nella tutela costituzionale della salute

La Repubblica. Ai sensi dell'art. 32 il soggetto attivo che deve tutelare la salute è la Repubblica, con essa
ricomprendendo tutti gli enti pubblici sia funzionali che territoriali.

Deve infatti rilevarsi come l'assegnazione del dovere di tutela della salute alla Repubblica piuttosto che allo
Stato (diversamente dalla primissima formulazione) abbia fin da principio il significativo effetto di
coinvolgere i livelli di governo locale che prima e dopo l'entrata in vigore della Legge Fondamentale erano e
continuano ad essere attori di primo piano nell'attuazione della tutela mediante i propri apparati
organizzativi.

L'individuo. Il titolare del "fondamentale diritto" alla tutela della salute è identificato nell'"individuo", ossia
l'essere umano nella sua dimensione singolare, indipendente dalle sue condizioni sociali, la "persona".

In questo senso, il comma secondo impone alla legge - che dispone eccezionalmente trattamenti sanitari
obbligatori - di non violare i limiti imposti dal rispetto della "persona umana". Peraltro il pieno sviluppo
della persona umana deve essere perseguito dalla Repubblica mediante la rimozione degli ostacoli di ordine
economico e sociale al fine di realizzare la piena libertà ed uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.).
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Alla stessa persona umana, ai sensi dell'art. 2 Cost., devono essere riconosciuti e garantiti dalla Repubblica i
"diritti inviolabili" a fronte della richiesta di adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale".

La collettività. Le questioni interpretative di maggior significato, attinenti al diritto alla salute come
interesse della collettività, non riguardano tanto il profilo soggettivo della definizione di che cosa si intenda
la disposizione parlando di "collettività"; quest'ultima può intendersi in maniera intuitiva quale l'insieme dei
consociati.

Evoluzione normativa del diritto sanitario italiano.

I Parte: La tutela della salute nei primi trent'anni della Repubblica

Il sistema sanitario italiano post - Seconda Guerra Mondiale era di tipo mutualistico-assicurativo, basato su
numerosi "enti mutualistici", ognuno di essi competente per una certa categoria di lavoratori i quali, iscritti
all'ente stesso, fruivano dell'assicurazione sanitaria per provvedere alle cure medico-ospedaliere (la quale
era finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro).

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Il sistema delineava alcune grandi problematiche:

a) il diritto alla salute era correlato non all'essere cittadino bensì all'essere lavoratore e quindi vi erano
alcuni soggetti che non avevano copertura sanitaria (non essendo legati alle casse mutue).

b) il sistema soffriva sotto il profilo della tenuta finanziaria.

Legge n. 132/1968 (Legge Mariotti).


Questa legge, con riferimento alla rete ospedaliera, introdusse novità rilevanti.

Fu introdotto il principio di universalità per cui gli ospedali (trasformati in enti pubblici) dovevano svolgere
il servizio di assistenza ospedaliera pubblica "a favore di tutti i cittadini italiani e stranieri". Il sistema
mutualistico rimaneva tuttavia ancora in vigore ed infatti l'ospedale continuava, come in precedenza, ad
avvalersi di accordi e convenzioni con il mondo delle assistenze e delle mutue.

La legge n.833/1978 e l'istituzione del SSN.


La legge n.833/1978 cancella il vecchio sistema basato sugli enti mutualistici per creare un nuovo
organismo quale il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) organizzato in base ai canoni classici ed ai principi
informatori del Sistema Sanitario Inglese, che nel SSN si traducono in:

a) Universalità dei destinatari: il SSN, in ossequi all'art. 32 Cost., garantisce l'accesso alla sanità a tutta la
popolazione;

b) Equità nell'accesso ai servizi, da intendersi come equità rispetto alle condizioni socioeconomiche nonché
equità con riferimento all'intero territorio nazionale.

c) Globalità delle prestazioni: tale principio di desume dall'art. 1 comma 1 della legge n.833/1978 che
prevede come compito del SSN la promozione, il mantenimento ed il recupero della salute della
popolazione.

La legge n.833/1978 creò un SSN "multilivello" la cui attuazione competesse "allo Stato, alle regioni e agli
enti territoriali"(art. 1 comma 3) e di conseguenza:

1) Lo Stato manteneva alcune competenze amministrative (elencate nell'art.6), tra cui si ricomprendevano
le funzioni che presentavano esigenze di esercizio unitario. Inoltre, sul piano della programmazione, si
prevedeva la necessità di approvare con legge il Piano Sanitario Nazionale (PSN) (che prevedesse linee
generali di indirizzo del SSN)

2) Le Regioni avevano un ruolo strategico nell'ambito della programmazione, dovevano approvare del PSR
conformità al PSN e avevano il compito di eliminare "gli squilibri esistenti nei servizi e nelle prestazioni nel
territorio regionale" (art. 55)

3) I Comuni avevano residualmente tutte le funzioni amministrative non espressamente riservate a Stato-
Regioni.

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La creazione delle Unità Sanitarie Locali (legge n.833/1978)
Non essendo i Comuni in grado di gestire direttamente la tutela della salute, la legge n.833/1978 dispose
che alla gestione unitaria della tutela alla salute si dovesse provvedere uniformemente sull'intero paese
mediante una rete complessa di Unità Sanitarie Locali (USL).

Le USL erano definite come il complesso dei presidi, uffici e servizi sia dei Comuni che delle Comunità
montane al fine di assolvere ai compiti del SSN in un ambito territorialmente delimitato (art. 10); inoltre le
USL erano da considerarsi considerarsi come strutture operative dei Comuni e delle Comunità montane (art.
15).

Organizzazione delle USL:

a) l'organo di base (esercitante i poteri di pianificazione delle attività di competenza USL nonchè i poteri di
indirizzo-controllo sugli atti di amministrazione della USL) era l'Assemblea Generale, costituita dal Consiglio
Comunale (se l'ambito territoriale USL era coincidente con quello del Comune o con parte di esso) ovvero
l'Assemblea di associazione di Comuni o della Comunità montana (se l'ambito territoriale USL coincideva
con quello di più Comuni associati o con la Comunità montana);

b) l'organo di direzione della USL, eletto dall'Assemblea stessa, era il Comitato di gestione.

I compiti delle USL. Alle USL (ed al Comune) erano quindi attribuite tutte le funzioni non svolte dallo Stato e
dalla Regione.

Nel dettaglio, l'art. 14 comma terzo prevedeva che le USL nelle materie di propria competenza dovessero
provvedere ad una serie di incombenti (all'educazione sanitaria; alla prevenzione; all'assistenza pediatrica e
così via).

La non precisata natura giuridica delle USL. Questo è uno dei grandi limiti della legge n.833/1978. Si può
solo desumere che la USL non sia un Ente Pubblico nè un'Azienda comunale o regionale; inoltre, si può dire
che non ha personalità giuridica. Una dottrina l'ha definita come una struttura funzionante come un ufficio
comunale per l'aspetto operativo, ma con un'attività programmata e regolamentata dalla Regione (Tiberio
A - Viani G., Legislazione Sociale e Sanitaria, Roma, 1989).

La crisi della legge n.833/1978 vista dalla Dottrina


Massimo Severo Giannini (Profili strutturali delle unità sanitarie locali, Convegno Roma 22-24/4/1977)
criticava la legge già in sede di valutazione del disegno di legge, sostenendo l'irragionevolezza di un
soggetto (la USL) che nella sua piccola struttura inglobasse funzioni concernenti erogazione di servizi
sanitari; funzioni amministrative di polizia; funzioni organizzative.

Giovanni Marongiu (La prestazione dell'attività sanitaria, Milano, 1991) vedeva il sistema sanitario post
legge n.833/1978 come una sorta di "complesso sanitario-industriale" ed inoltre, con una semplice
valutazione in termini di costi-benefici, riteneva auspicabile un ripensamento dell'organizzazione sanitaria
postulante anche il ritorno alle mutue.

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Evoluzione normativa del diritto sanitario italiano. II Parte: il percorso
normativo verso l’aziendalizzazione (AUSL)

La legge delega n.421/1992


Il primo Governo Amato, a seguito della crisi economica dei primi anni'90 del secolo scorso, ritenne
necessario dover intervenire in quei settori di spesa che più incidevano (ed incidono) sulla politica di
bilancio. Fu quindi chiesto al Parlamento un ampio potere di delega su quattro temi cruciali:

a) sanità;

b) pubblico impiego;

c) previdenza;

d) finanza territoriale.

Il Parlamento procedette quindi all'emanazione della legge delega n. 421/92 la quale prevedeva un doppio
momento di attuazione: il primo con scadenza brevissima (31 dicembre 1992) ed il secondo invece con
scadenza 31 dicembre 1993. In pratica, un anno di tempo per consentire all'Esecutivo di apportare quelle
variazioni indispensabili ad un buon funzionamento del nuovo sistema.

La legge delega n.421/1992 individuava alcuni punti centrali in un progetto di riordino del SSN da parte
dell'Esecutivo (il potere esecutivo, generalmente posseduto da un'istituzione denominata "governo" o
"esecutivo", è in prima istanza il potere di applicare le leggi e farle rispettare). In particolare, veniva
stabilito:

• la necessità di attuare misure contro le evasioni e le elusioni contributive;


• la riserva statale della programmazione statale e della determinazione dei LEA;
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• la definizione dei principi organizzatori delle USL come aziende infra regionali con personalità
giuridica;
• riordinamento di alcuni soggetti del SSN;
• disposizioni migliorative del sistema di finanziamento del settore sanitario nonché disposizioni
migliorative per l'assistenza ai cittadini;
• criteri di modernizzazione degli ospedali di rilievo nazionale;
• previsione di nuovi rapporti SSN - università;
• definizione dei principi per garantire i diritti dei cittadini verso il SSN;
• riorganizzazione su base dipartimentale dei presidi multizonali;
• destinazione di quota del Fondo Sanitario Nazionale alle attività di ricerca.

Il d.lgs. 502/1992 attuativo della legge delega n.421/1992


Il d.lgs. 502/1992 mira a garantire una maggiore efficienza del SSN, riordinando aspetti essenziali
dell'intera disciplina sanitaria sul presupposto che lo Stato sociale non possa garantire ad ogni cittadino
tutte le prestazioni sanitarie, ma che possa erogare solo uno "standard minimo" di prestazioni, lasciando
alle Regioni (con la loro autonomia impositiva) o ai cittadini (mediante il loro reddito) la soddisfazione di
bisogni non coperti da risorse pubbliche.

Le Regioni vengono investite della responsabilità del funzionamento complessivo del riorganizzato SSN.
Con il Piano Sanitario Regionale (PSR) esse vengono investite del compito di definire i modelli organizzativi
dei servizi in funzione delle specifiche esigenze del territorio e delle risorse effettivamente a disposizione.

Il PSN (piano sanitario nazionale) di durata triennale stabilisce (art. 1 comma nono d.lgs. 502/1992):

a) gli obiettivi fondamentali da realizzare;

b) le linee generali di indirizzo del SSN;

c) i livelli di assistenza sanitaria da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale (in base
anche a dati epidemiologici e clinici, mediante specificazione delle prestazioni da garantire a ogni cittadino
rapportato al volume delle risorse a disposizione);

d) le aree prioritarie di intervento per il riequilibrio territoriale delle condizioni sanitarie della popolazione;

e) i criteri e gli indirizzi a cui deve riferirsi la legislazione regionale per l'organizzazione dei servizi
fondamentali previsti dalla legislazione nazionale per gli organici del personale addetto al SSN;

f) i progetti-obiettivo da realizzare anche in integrazione con i servizi sanitari e socio assistenziali degli Enti
Locali;

g) le esigenze prioritarie in tema di ricerca biomedica e di ricerca sanitaria applicata;

h) gli indirizzi per la formazione e l'aggiornamento del personale.

Impianto normativo del d.lgs. 502/1992

Titolo I - Ordinamento (art. 1 - 7octies). In questo Titolo si prevede il fatto che il SSN debba tutelare il
diritto alla salute, si dettano le linee guida in tema di programmazione sanitaria e si dà la definizione dei
LEA. Si passa poi ad elencare le competenze regionali, si definisce l'AUSL e i suoi organi. In seguito, si passa
alla definizione delle Aziende ospedaliere e dei presidi ospedalieri, dei rapporti tra SSN ed Università e dei

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protocolli d'intesa tra regioni, Università e strutture del SSN. Si delinea poi la fisionomia del Dipartimento di
prevenzione ed infine si rivolge l'attenzione agli Istituti zooprofillatici sperimentali e al coordinamento delle
attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.

Titolo II - Prestazioni (art. 8 - 10). Vengono qui disciplinati i rapporti per l'erogazione delle prestazioni
assistenziali nonché la disciplina delle "Tre A". Si definiscono poi i fondi integrativi del SSN ed i controlli di
qualità.

Titolo III - Finanziamento (art. 11 - 13). In questo Titolo si detta normativa in tema di versamento di
contributi assistenziali.

Titolo IV - Partecipazione e tutela dei diritti dei cittadini (art. 14). In questo Titolo, formato da un solo
articolo, si regolamentano le modalità con cui i "contenuti e le modalità di utilizzo degli indicatori di qualità
dei servizi e delle prestazioni sanitarie relativamente alla personalizzazione ed umanizzazione
dell'assistenza, al diritto all'informazione, alle prestazioni alberghiere, nonché dell'andamento delle attività
di prevenzione delle malattie" vengano disciplinati all'interno del SSN nei suoi vari livelli

Titolo V - Personale (art. 15 - 17bis). In questo titolo si regolamenta la disciplina della dirigenza medica e
delle professioni sanitarie, definendo le funzioni dei dirigenti responsabili di strutture (U.O.C. e U.O.S.)
nonché gli incarichi di natura professionale. Viene dettata la disciplina dell'esclusività del rapporto di lavoro
dei dirigenti del ruolo sanitario e le caratteristiche del rapporto di lavoro esclusivo dei dirigenti sanitari
nonché le caratteristiche del lavoro dei dirigenti sanitari che svolgono attività extramoenia. Si parla poi dei
casi particolari sono possibili assunzioni a tempo determinato, si prevede il limite massimo di età in cui il
dirigente medico può rimanere in servizio. Si dedicano poi una serie di norme alla formazione del
personale.

Titolo VI - Norme finali e transitorie. In questa ultima parte si disciplina, tra l'altro, la Commissione
nazionale per l'accreditamento e la qualità dei servizi sanitari, si dettano disposizioni con riferimento al
federalismo sanitario, al patto di stabilità e ad interventi a garanzia della coesione e dell'efficienza del SSN e
si prevede il fatto che il Ministro della sanità debba riferire annualmente alle Camere sull'andamento della
spesa sanitaria.

L'"Aziendalizzazione" della Unità Sanitaria Locale: la AUSL


La legge delega n. 421/92 definiva le USL come aziende infra regionali con personalità giuridica e prevedeva
che le stesse fossero "articolate secondo i principi della legge 8 giugno 1990, n. 142" (art. 1 lettera d)
rinviando allora al modello dell'azienda speciale.

Il rinvio alla legge n.142/1990 concerneva tuttavia solo il versante Strettamente organizzativo della
riformanda USL e non la sua natura giuridica. In altri termini, il rinvio al modello azienda speciale di cui alla
legge n.142/90 è da intendersi nel senso del rinvio all' "articolazione" dell'azienda speciale ma con alcune
differenze

La legge delega n. 421/92 (e poi il d.lgs. 502/1992) conferiscono alla USL la personalità giuridica pubblica,
superando la mancata definizione della personalità giuridica di cui alla legge n.833/1978.

A livello organizzativo, "i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell'unità sanitaria locale" (art. 3
comma 6 d.lgs. 502/1992) vengono accentrati nell'organo monocratico direttore generale, coadiuvato da:
"direttore amministrativo", "direttore sanitario" e assistito da un "collegio dei sanitari" ,da un "collegio dei
revisori" e da un "collegio di direzione"

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A livello economico, le Regioni vengono coinvolte e responsabilizzate nel finanziamento della spesa
sanitaria. Gli enti regionali vengono infatti chiamati a ripianare gli eventuali disavanzi di gestione delle AUSL
ed a finanziare con proprie risorse l'erogazione di livelli di assistenza superiori a quelli uniformi (che restano
a carico dello Stato, che li deve garantire ad ogni cittadino).

A livello istituzionale, le AUSL (dotate di personalità giuridica Pubblica), con il d.lgs. 502/1992 originario
erano definite come enti strumentali delle Regioni ma questa qualifica è stata poi soppressa dal d.lgs.
517/1993 (accogliendo indirizzi provenienti dalla dottrina). Dopo la legge Bindi (d.lgs. 229/1999) le AUSL
acquistano autonomia imprenditoriale.

Evoluzione normativa del diritto sanitario italiano. III Parte: La


regolazione dei rapporti tra sanità pubblica e privata.

La "Legge Bindi"
L'impianto normativo così come delineato non è tuttavia stato sufficiente e così il Governo è dovuto
ritornare a deliberare in merito al nuovo assetto del SSN e così - dopo intenso dibattito parlamentare - si è
giunti al d.lgs. 19 giugno 1999, n.229 recante "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale". Quest'ultimo testo legislativo appare significativo poichè "corregge la visione eccessivamente
economicista del decreto legislativo n.502/92"(parere espresso dalla Commissione Igiene e sanità del
Senato (XII) il 26 maggio 1999 in relazione allo schema di decreto legislativo 229/1999).

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La "Legge Bindi" e le importanti modifiche sulle AUSL

Con la "Legge Bindi" le AUSL, pur conservando la loro personalità giuridica di diritto pubblico, si vedono
riconoscere autonomia imprenditoriale la quale sostituisce (inglobandole) le sei forme di autonomia prima
declinate dal d.lgs. n.502/1992 (autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile,
gestionale e tecnica).

Questa nuova dicitura non appare tuttavia come un mero riassunto di quanto prima disposto; essa invece
mira a sottolineare che le strutture aziendali, pur rimanendo enti pubblici perseguenti finalità non
economiche "informano la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e sono tenute al
rispetto del vincolo di bilancio, attraverso l'equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse
finanziarie. Agiscono mediante atti di diritto privato".

Sempre il d.lgs. 229 prevede poi l'articolazione in distretti delle AUSL (si rimanda alla lezione
specificatamente dedicata). In questa fase si può brevemente accennare che il distretto ha lo scopo di
assicurare i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e garantisce la continuità assistenziale
coordinando medici generici, pediatri, servizi di guardia medica, in ambulatorio e a domicilio, operando il
necessario coordinamento di tali soggetti con le strutture operative e coi servizi specialistici.

La "Legge Bindi". Principali interventi operati

La "regionalizzazione". Il d.lgs. 229/1999 sposta di molto sulle Regioni la centralità nel sistema sanitario. In
particolare la Legge Bindi attribuisce il compito di assicurare i LEA alle Regioni e non più alle Aziende
sanitarie, le quali operano all'uopo tramite le stesse AUSL e si avvalgono dei presidi a gestione diretta, delle
Aziende Ospedaliere, degli IRCCS e dei soggetti accreditati. Sul punto della programmazione viene poi
principalmente in considerazione il PSR (Piano sanitario regionale) che rappresenta il piano strategico degli
interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi in vista del soddisfacimento delle esigenze
specifiche della popolazione regionale

Il ruolo dei Comuni. I comuni, nonostante una riforma che appare orientata in senso "regionalistico",
mantiene una sua importanza. In specie, si stabilisce che il Piano Sanitario Regionale debba esser
sottoposto alla Conferenza permanente per la programmazione sociosanitaria regionale (composta, tra gli
altri, dal Sindaco o dal Presidente della Conferenza dei Sindaci) e che debba essere approvato previo esame
delle osservazioni da essa formulate. Si prevedono poi dei Piani attuativi locali che sono da predisporsi con
la partecipazione degli enti locali interessati

Istituzione dei fondi integrativi del SSN. Con il d.lgs. 229/1999 si è prevista l'istituzione di fondi finalizzati
ad integrare le prestazioni garantite dai livelli di assistenza del SSN. Mediante tali fondi integrativi sarà
possibile rimborsare le spese sostenute per cure odontoiatriche, prestazioni termali e terapie non
convenzionali, non coperte dal SSN, nonché i ticket di esami e visite specialistiche, l'assistenza domiciliare,
le prestazioni svolte in libera professione intramuraria, i ricoveri nelle RSA (Residenze Sanitarie
Assistenziali).

Il sistema delle c.d. "Tre A" mediante il d.lgs. 229/1999, le strutture (pubbliche, private no profit e private
commerciali) per poter esser accreditate ed erogare prestazioni in nome e per conto del SSN dovranno
sottostare ad una sorta di attestato di qualità che sarà conferito dal SSN a seguito di tre passaggi:

a) autorizzazione a realizzare nuove strutture per l'esercizio dell'attività sanitaria;

b) accreditamento di ogni struttura (pubblica o privata) e dei professionisti che rispondono a requisiti di
qualità ulteriori;

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c) accordi contrattuali.

Ulteriore importante novità è il nuovo ruolo della dirigenza medica, per cui vi è la riconduzione ad un unico
livello della dirigenza medica e la conseguente scomparsa del primariato a vita. Sul punto si tornerà più
avanti nella lezione appositamente dedicata.

Si prevede un ruolo fondamentale per la formazione continua: in ossequi a ciò, il SSN è chiamato a
sviluppare la formazione permanente e l'aggiornamento professionale. Un settore importante è poi quello
riservato all'organo apicale della AUSL, il direttore generale.

Il sistema integrato di interventi e servizi sociali. L'art. 3septies d.lgs. 502/1992, introdotto con la Legge
Bindi, definisce l'integrazione socio sanitaria come il momento mediante cui il bisogno di salute
dell'individuo è possibile che sia soddisfatto attraverso percorsi assistenziali integrati tra dimensione sociale
e dimensione sanitaria.

Il d.l. 158/2012 (Decreto Balduzzi), convertito con legge n. 189/2012


Il d.l. 158/2012 ("Decreto Balduzzi"), convertito con l.189/2012, ha introdotto importanti novità nel settore
sanitario. In particolare si è intervenuti sull'assistenza sanitaria territoriale (cercando una riorganizzazione
delle cure primarie), sull'attività intramoenia del medico (con obbligo per le Aziende di fornire
definitivamente spazi per le attività libero-professionali dei dirigenti medici), sulla responsabilità
professionale del medico (vicina, in ambito civile, alla responsabilità extracontrattuale dopo la legge di
conversione), sulla trasparenza nella scelta di direttori generali e direttori di struttura complessa
(statuendosi la necessità di un'adeguata esperienza dirigenziale, oltre che dei titoli, per divenire direttori
generali e prevedendosi per i Direttori di UOC una procedura selettiva particolare), sul collegio di direzione
(ora vero organo dell'Azienda sanitaria chiamato allo sviluppo organizzativo gestionale dell'Azienda stessa),
sui LEA.

La programmazione del SSN


Il Piano Sanitario Nazionale (PSN)

Il PSN costituisce l'atto attraverso il quale sono individuati gli obiettivi e le priorità del servizio sanitario che
tutti i livelli territoriali competenti e le strutture del Servizio Sanitario sono chiamati a conseguire nel
triennio della sua vigenza.

L'obiettivo che si vuole conseguire è quello di dare razionalità alle decisioni da assumere nella gestione
integrata di un servizio articolato su più livelli essenziali per assicurare a tutti la tutela del diritto alla salute
(art. 32 Cost.).

Ai sensi dell'art. 1 comma 10 d.lgs. 502/1992, il PSN deve indicare:

a) le aree prioritarie di intervento,

b) i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del Piano;

c) la quota capitaria di finanziamento per ciascun anno di validità del Piano;

d) gli indirizzi finalizzati a orientare il SSN verso il miglioramento continuo della qualità dell'assistenza;

e) i progetti-obiettivo;

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f) le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria;

g) le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici;

h) i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti.

Il Piano Sanitario Regionale (PSR)

Ai sensi dell'art. 1 comma 13 d.lgs. 502/92 e successive modifiche ed integrazioni, il (PSR) rappresenta il
Piano strategico degli interventi relativi agli obiettivi di salute ed al funzionamento dei servizi sanitari per
soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale tenendo comunque come riferimento gli
obiettivi del PSN.

Il PSR non è quindi solo un mero atto di attuazione del PSN (come invece prevedeva la legge n.833/78 e
come affermava il d.lgs. 502/92 dopo il correttivo apportato dal d.lgs. 517/93) bensì un vero e proprio
"piano strategico" con proprie peculiari finalità nell'ambito delle scelte politiche generali della Regione.

Da una parte il PSR è ancora un atto di attuazione ed adeguamento del PSN nell'ambito regionale (con ciò
perseguendone concretamente e "territorialmente" gli obiettivi); d'altra parte esso è strumento di
attuazione di distinte politiche sanitarie regionali, autonome rispetto a quelle nazionali, ed è pertanto
capace di concorrere all'enunciazione di obiettivi prioritari e strategici elaborati dai competenti organi
regionali in coerenza con le scelte organizzative e gli obiettivi di settore fissati dalla legislazione regionale.

Vi sono pertanto ancora alcuni indubbi vincoli che esercita il PSN sui vari PSR: si pensi in questo senso
all'obbligo di adozione ed adeguamento del PSR entro un certo termine dall'entrata in vigore del PSN,
all'acquisizione del parere ministeriale sulla bozza di PSR onde verificarne la coerenza con gli obiettivi del
PSN, alla previsione di poteri sostitutivi e di sanzioni in caso di mancata adozione e così via.

La programmazione attuativa locale

Il PSR svolge poi il compito di indirizzare la programmazione aziendale così da perseguirne uno sviluppo
unitario e omogeneo dell'intero territorio regionale. Le Aziende USL e le Aziende Ospedaliere
predispongono il PAL (Piano attuativo locale) al fine di perseguire gli obiettivi fissati a livello regionale.
Spetta alla legislazione regionale disciplinare il rapporto tra la programmazione regionale e quella attuativa
locale, definendo la procedura di proposta, adozione ed approvazione del PAL nonché le modalità di
partecipazione degli EE.LL. interessati.

Nelle aree metropolitane (quando e se istituite) l'art. 2 commi 2 quater e quinquies d.lgs. 502/92 prevede
che un apposito organismo - individuato dalla legge regionale per il coordinamento delle strutture sanitarie
operanti nell'area - elabori il Piano attuativo metropolitano (PAM). Tale organismo trova la sua disciplina
nello statuto della Città metropolitana; la legge regionale in questo caso detta solo norme di principio.
Spetta alla Conferenza permanente verificarne la realizzazione (come avviene per i PAL delle Aziende
Ospedaliere).

A livello di distretto socio-sanitario il Programma delle attività territoriali (PAT) individua i bisogni e gli
interventi di natura sanitaria e socio-sanitaria necessari, disciplina l'intersettorialità degli interventi a cui
concorrono le varie strutture operative, localizza i servizi affidati al distretto stesso, individua le risorse per
l'integrazione socio-sanitaria.

13
Tipologie di rapporto di lavoro nella Pubblica Amministrazione

L'accesso al lavoro pubblico è disciplinato dall'art. 97 comma 3 della Costituzione, il quale stabilisce che
l'assunzione nella Pubblica Amministrazione avviene tramite concorso pubblico salvo i casi stabiliti dalla
legge. Questa norma ha lo scopo di assicurare imparzialità ed efficienza dell'azione amministrativa, in
quanto con il concorso si dovrebbe garantire la selezione di personale qualificato. Però nel corso degli anni
grazie allo spazio lasciato dalla legge e i profondi cambiamenti socio- economici, si è riscontrata la necessità
di porre in essere procedure di reclutamento del personale, che vadano oltre il concorso pubblico. Su
questo punto è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 5 luglio 2004 n.205, la quale ha ribadito
l'inderogabilità del principio del concorso pubblico per l'accesso al lavoro pubblico e che questa
determinata regola può dirsi rispettata solo quando le selezioni non sono caratterizzate da arbitrarie ed
irragionevoli prove di restrizione dell'ambito dei soggetti legittimati a partecipare. La generale disciplina del
reclutamento del personale nelle Pubbliche Amministrazioni è dettata dall'articolo 35 del D. Leg. n.
165/2001.

Modalità e procedure di reclutamento

Le specifiche modalità di reclutamento avvengono:

• Tramite procedure selettive volte ad accertare la professionalità e che garantiscono imparzialità,


oggettività, trasparenza e celerità;
• Mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, per le qualifiche per le quali è
richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo;
• Attraverso assunzioni obbligatoria dei soggetti appartenenti a categorie protette, secondo quanto
stabilito dalla L. 68/1999.

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Le procedure di reclutamento devono conformarsi, poi, ai seguenti principi:

• Adeguata pubblicità della selezione;


• Modalità di svolgimento che garantiscono l'imparzialità e assicurano economicità e celerità
nell'espletamento, ricorrendo ove opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a
realizzare forme di preselezione;
• Adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti;
• Rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;
• Decentramento delle procedure di reclutamento;
• Composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie
di concorso.

La principale modalità di assunzione, come menzionato precedentemente, è il concorso pubblico.

Sono previste diverse tipologie di concorso pubblico:

• Concorso per esami: l'esito del concorso si basa su i risultati conseguiti in una o più prove d'esame,
scritte, pratiche o orali indicate nel bando;
• Concorso per titoli ed esami: l'esito del concorso non si basa solamente dai risultati conseguiti nelle
prove d'esame ma sommando ad esso il voto conseguito nella valutazione dei titoli. La
commissione esaminatrice, in virtù del principio di trasparenza, dovrà decidere in anticipo quali
titoli il candidato potrà far valere e la loro valutazione;
• Concorso per titoli: l'esito del concorso si basa solamente sulla valutazione dei titoli posseduti dai
soggetti, senza che ci sia lo svolgimento delle prove d'esame;
• Corso-concorso: in questa tipologia le prove finali vengono svolte a seguito di un corso di
formazione sulle materie oggetto d'esame.

Doveri del pubblico dipendente

I doveri del dipendente pubblico, in via generale, possono essere suddivisi in due tipologie:

• Doveri di carattere pubblicistico: si tratta del dovere di fedeltà alla Repubblica (articolo 51
Costituzione) e il rispetto di imparzialità e buon andamento (articolo 97 Costituzione);
• Doveri di carattere privatistico: si tratta dei doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà sanciti dagli
articoli 2104 e 2105 del codice civile.

Il primo dovere dei dipendenti pubblici è quello di servire i cittadini, non a caso l'articolo 2 comma 5
prevede che " il comportamento del dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fiducia e
collaborazione tra i cittadini dell'amministrazione. Infatti, nel rapporto con il cittadino, il dipendente
pubblico, dimostra la massima disponibilità e non ne ostacola l'esercizio dei diritti. Alcune delle regole di
comportamento possono essere ricondotte all'idea di servizio a favore dei cittadini. Il dipendente pubblico
deve garantire un adeguato impegno, in termini di tempo e di energie nello svolgimento dei compiti
inerenti alla sua funzione. Il tutto viene disciplinato dall'articolo 2 comma 3, del Codice di Comportamento
dei dipendenti pubblici: " Nel rispetto dell'orario di lavoro, il dipendente dedica la giusta quantità di tempo
e di energie allo svolgimento delle proprie competenze, si impegna ad adempierle nel modo più semplice
ed efficiente nell'interesse dei cittadini e assume le responsabilità connesse ai propri compiti". Per
garantire quello sancito nell'articolo 2 comma 3, al dipendente pubblico, è vietato svolgere ulteriori attività
lavorative e per svolgere attività occasionali serve una preventiva autorizzazione. Questa è la regola
dell'esclusività

Il dipendente pubblico, inoltre deve garantire l'imparzialità, un principio fondamentale, enunciato


dall'articolo 97 della Costituzione. Nella condotta del dipendente pubblico si traduce, nella parità di
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trattamento, alla quale è dedicato l'articolo 13 del Codice di Comportamento del dipendente pubblico: " il
dipendente, nell'adempimento della prestazione lavorativa, assicura la parità di trattamento tra i cittadini
che vengono in contatto con l'Amministrazione da cui dipende.

A tal fine, egli non rifiuta né accorda ad alcuno prestazioni che siano normalmente accordate o rifiutate ad
altri. Il dipendente si attiene a corrette modalità di svolgimento dell'attività amministrativa di sua
competenza, respingendo in particolare ogni illegittima pressione, ancorché esercitata dai suoi superiori".

Un altro dovere del dipendente è quello dell'indipendenza nello svolgimento della sua funzione, infatti, vi
sono le regole imposte dal Codice di comportamento dei dipendenti pubblici per la partecipazione ad
associazioni. Il Codice impone obblighi di trasparenza stabilendo che "il dipendente comunica al dirigente
dell'ufficio la propria adesione ad associazioni ed organizzazioni, anche a carattere non riservato, i cui
interessi siano coinvolti dallo svolgimento dall'attività dell'ufficio, salvo che si tratti di partiti politici e
sindacati (articolo 4)

Inoltre è previsto che il dipendente "non accetta da soggetti diversi dall'amministrazione retribuzioni o
altre utilità per prestazioni alle quali è tenuto per lo svolgimento dei propri compiti d'ufficio" e "non accetta
incarichi di collaborazione con individui od organizzazioni che abbiano, o abbiano avuto nel biennio
precedente, un interesse economico in decisioni o attività inerenti all'ufficio" (articolo 7); "non chiede, per
sè o per altri, nè accetta, neanche in occasione di festività, regali o altre utilità salvo quelli d'uso di modico
valore, da soggetti che abbiano tratto o comunque possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti
all'ufficio"; "non chiede, per sè o per altri, nè accetta, regali o altre utilità da un subordinato o da suoi
parenti entro il quarto grado. Il dipendente non offre regali o altre utilità ad un sovraordinato o a suoi
parenti entro il quarto grado, o conviventi, salvo quelli d'uso di modico valore" (articolo 3).

Il dipendente pubblico è soggetto al segreto d'ufficio, regolato dall'articolo 28 legge 241/1990. Egli non può
fornire a chi non ne abbia diritto informazioni su provvedimenti e operazioni amministrative in corso o
concluse o notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, salvo se si tratti di atti e
documenti per cui è riconosciuto il diritto di accesso del cittadino

Il decreto legislativo 150/2009 ha introdotto alcune norme in materia di trasparenza stabilendo che alcune
informazioni, come i curricula e le retribuzioni dei dirigenti, siano pubblicati sul sito istituzionale di ciascuna
amministrazione.

Un'ulteriore area di doveri dei dipendenti pubblici attiene alla cura dell'immagine esterna
dell'Amministrazione, cioè di non distorcere la percezione dell'amministrazione e di non danneggiarne
ingiustificatamente l'immagine.

Diritti del pubblico dipendente

I diritti del dipendente pubblico si distinguono in patrimoniali e non patrimoniali. I diritti patrimoniali sono
diritti perfetti e possono essere modificate solo con atto legislativo. Tra i diritti di natura patrimoniale
quello più importante è il diritto del dipendente allo stipendio, ovvero la prestazione periodica di denaro
che la Pubblica Amministrazione deve pagare al dipendente come corrispettivo delle sue prestazioni.

Il primo diritto non patrimoniale che deve essere menzionato è il diritto all'ufficio. Si fa riferimento
all'aspettativa del dipendente pubblico di non essere rimosso dal proprio ufficio se non nei casi previsti
dalla legge, quali gravi malattie o infortuni che rendano impossibile svolgere qualsiasi lavoro, o dai contratti
collettivi.

Il diritto alla funzione consiste nel diritto all'esercizio delle funzioni inerenti alla propria qualifica.

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Un altro diritto è quello inerente alla progressione giuridica ed economica.

Le forme di avanzamento previste sono due:

• La progressione orizzontale(economica): per conseguire una retribuzione più elevata;


• La progressione verticale(giuridica): per una posizione giuridica più elevata.

Un interesse legittimo imputabile al dipendente pubblico può essere il diritto al trasferimento. Quello che
va sotto il nome di "diritto al trasferimento" è il semplice interesse del dipendente ad essere trasferito ad
un'altra sede. Il trasferimento in una sede piuttosto che in un'altra rientra nella podestà discrezionale
dell'Amministrazione, benché entro limiti legislativamente prestabiliti. Il dipendente ha diritto a periodi di
riposo che consistono nelle festività, nelle ferie, nell'astensione obbligatoria e facoltativa per gravidanza, in
permessi retribuiti per decesso o malattia di famigliari, in permessi retribuiti per motivi personali , come
matrimonio, partecipazione a concorsi ed esami, motivi di studio, permessi per l'adempimento di doveri
civili, come partecipare alla campagna elettorale, testimoniare o esercitare le funzioni di giurato e congedi
parentali, per l'assistere figli o parenti portatori di handicap.

Egli ha il diritto di assentarsi qualora sia impossibilitato a recarsi in ufficio per malattia e infermità fisica,
che consiste nella temporanea inabilità a prestare regolare servizio.

Al dipendente pubblico è garantito il diritto di associazione, di riunione sindacale, le aspettative e i


permessi sindacali e, in particolare, il diritto di sciopero. Colui che aderisce allo sciopero non ha diritto alla
retribuzione per l'intera giornata di sciopero anche quando questo sia limitato ad una sola parte di essa.

La responsabilità del sanitario.

La colpa

Qualora un professionista sanitario alle prese con un caso di routine (in relazione al quale è sufficiente
applicare le cognizioni tecniche del professionista sanitario medico appartenente alla categoria) attui un
comportamento commissivo e/o omissivo che faccia venir meno la diligenza richiesta, conseguentemente il
professionista incorrerà nella responsabilità per inadempimento.

Nel caso di colpa l'evento si verifica non per la volontà del soggetto, ma a causa di negligenza o imprudenza
o imperizia (colpa generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline (colpa
specifica).

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La colpa, in buona sostanza, è caratterizzata dalla mancanza di volontà del soggetto agente di produrre un
fatto illecito e scaturisce dall'inosservanza di regole espressamente prescritte o evocate dalle nozioni di
diligenza, prudenza, perizia. Il fatto illecito viene involontariamente posto in essere ed è imputabile a colpa
in quanto lo stesso non si sarebbe prodotto ove il soggetto avesse agito osservando tali norme.

Il sanitario è chiamato a porre in essere tutti i comportamenti e gli accorgimenti idonei a scongiurare danni
prevedibili da un esperto del settore di media diligenza ed, al contempo, deve astenersi dal porre in essere
tutti quegli atti che possono risultare fonte di rischio per la salute del paziente.

Se la condotta non va nel senso appena indicato, il sanitario è responsabile per colpa in quanto imprudente
(si pensi a Cass. n.5846/2007, con la quale è stato qualificato imprudente il comportamento di un medico
generico che aveva omesso di consultare uno specialista che avrebbe potuto indirizzarlo oltre ad una
diagnosi corretta anche verso un intervento chirurgico con conseguenze meno dannose).

La negligenza

La negligenza invece è la mancanza di attenzione o sollecitudine. In questa fattispecie, il soggetto pone in


essere un comportamento non adeguato alle regole sociali che prescrivono le modalità di svolgimento di
quel tipo di azione.

L' imperizia

L'imperizia è invece l'insufficiente adeguamento alle regole tecniche di competenza ed abilità valevoli per
determinate attività; essa connota un'insufficiente preparazione del professionista sanitario o - comunque -
un'inettitudine della quale il medico è consapevole (pur magari non avendone volutamente tenuto conto).
L'imperizia è fonte di responsabilità attenuata poiché il professionista sanitario è responsabile solo per dolo
o colpa grave e - segnatamente - per non essere a conoscenza di quelle nozioni fondamentali e di
letteratura scientifica mediamente conosciute dalla categoria di appartenenza. Quando l'elemento
soggettivo della colpa dipende da imperizia, la giurisprudenza - sia di legittimità che di merito - ritiene
applicabile l'art. 2236 c.c. e cioè la responsabilità del prestatore d'opera professionale.

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Il consenso informato

Il consenso - quale manifestazione di volontà attraverso la quale si attribuisce ad altri la facoltà di agire
nella propria sfera di interessi - è regolato dagli art. 13 e 32, comma secondo, Cost.

Il consenso è un istituto la cui evoluzione ha seguito parallelamente il progresso nella conoscenze


scientifiche, talché non è sufficiente che il paziente acquisisca le conoscenze tecniche dell'intervento da
eseguirsi da parte del sanitario, ma è necessario che egli venga informato con particolare peculiarità della
propria situazione personale, ivi compresi i benefici che potrebbero essere auspicabili dall'attività medica,
le tecniche terapeutiche alternative e le modalità di intervento idonee ad avere incidenza sulle condizioni
personali in senso lato.

Il contenuto dell'informazione.

Il contenuto dell'informazione deve mirare a dare al paziente in modo specifico l'esatta conoscenza sulla
portata dell'intervento ma anche sulle difficoltà dello stesso, sugli effetti e sugli eventuali rischi ovviamente
prevedibili oltre a tutte le informazioni relative ad altre scelte, alternativamente possibili, in modo tale da
consentire, anche in tal senso, l'autodeterminazione del paziente.

Appare quindi evidente che non si chieda al medico di fare una previsione su un rischio derivante da caso
fortuito o da forza maggiore (rischio ovviamente fuori da ogni previsione umana) ma gli si chiede
esclusivamente di tradurre in termini comprensibili l'attività che dovrà essere svolta con tutte le sue
implicazioni e conseguentemente con tutti i rischi dalla stessa derivante.

Conseguenze della mancanza del consenso informato

La mancanza del consenso opportunamente "informato" del malato, determinando l'arbitrarietà del
trattamento medico-chirurgico, ha conseguenze di carattere penale perché compiuto in violazione della
sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul suo corpo.

In tema di attività medico-chirurgica deve pertanto ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad
effettuare il trattamento terapeutico reputato necessario per salvaguardare la salute del paziente affidato
alle sue cure anche in mancanza di esplicito consenso e ciò in relazione alla funzione statale deferita al
medico nella propria attività professionale. Si dovrà in ogni caso ritenere insuperabile l'espresso libero e
consapevole rifiuto eventualmente manifestato dallo stesso paziente, ancorché l'omissione dell'intervento
possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell'infermo.

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Privacy

Quella che con un termine ormai entrato nell'uso comune viene indicata come privacy è il diritto alla
riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, cioè uno strumento posto a
salvaguardia e a tutela della sfera privata del singolo individuo, da intendere come la facoltà di impedire
che le informazioni riguardanti tale sfera personale siano divulgate in assenza dell'autorizzazione
dell'interessato, od anche il diritto alla non intromissione nella sfera privata da parte di terzi. Tale diritto
assicura all'individuo il controllo su tutte le informazioni e i dati riguardanti la sua vita privata, fornendogli
nel contempo gli strumenti per la tutela di queste informazioni.

Tra le fonti comunitarie contenenti riferimenti alla privacy ricordiamo direttiva 95/46/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, che dal 2018 sarà sostituita dal Regolamento generale europeo.

Per quanto riguarda la legislazione italiana è inutile cercare norme sulla privacy nella carta Costituzionale,
essendo nata in un'epoca nella quale il problema era poco sentito. Però nel tempo si sono ritrovati
numerosi riferimenti tra le righe delle varie disposizioni, in particolare negli articoli 14, 15 e 21,
rispettivamente riguardanti il domicilio, la libertà e segretezza della corrispondenza, e la libertà di
manifestazione del pensiero. In realtà il primo e più importante riferimento è oggi visto nell'articolo 2 della
Costituzione, in quanto si incorpora la privacy nei diritti inviolabili dell'uomo, come del resto ha sostenuto
la Corte Costituzionale con la sentenza n. 38 del 1973.

Inizialmente, quindi, la riservatezza era più che altro un diritto delle persone famose, infatti l'Italia arrivò
come penultima in Europa ad approvare una legge di tutela della privacy di applicazione generale, trasfusa
prima nella legge 675 del 1996 e poi nel Codice in materia di protezione dei dati personali (Codice della
privacy) cioè il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dal quale si evince chiaramente che la privacy
non è solo il diritto a non vedere trattati i propri dati senza consenso, ma anche l'adozione di cautele
tecniche ed organizzative che tutti, compreso le persone giuridiche, devono rispettare per procedere in
maniera corretta al trattamento dei dati altrui.

Detta normativa, considerata la più completa a livello europeo, dedica la prima parte ai principi generali,
dettando le definizioni essenziali per la comprensione della normativa, tra le quali quelle di dato personale
e di trattamento.

20
Evoluzione della normativa in materia di Privacy

Regolamento UE 2016/679

Nell'art. 4 ci sono le definizioni dei termini utilizzati all'interno del regolamento …

"dato personale": qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile
("interessato");

si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con
particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi
all'ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica,
fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale;

"trattamento": qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi
automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione,
l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la
consultazione, l'uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a
disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione ...

...quindi qualunque tipo di operazione sui dati, dall'inizio (raccolta) alla fine (cancellazione o distruzione)

"limitazione di trattamento": il contrassegno dei dati personali conservati con l'obiettivo di limitarne il
trattamento in futuro;

"consenso dell'interessato": qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e


inequivocabile dell'interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione
o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento;

"titolare del trattamento": la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che,
singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le
finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell'Unione o degli Stati membri, il titolare
del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto
dell'Unione o degli Stati membri;

"responsabile del trattamento": la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro
organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento;

"incaricato": la persona fisica autorizzata a compiere operazioni di trattamento dei dati personali sotto
l'autorità diretta del titolare o del responsabile;

21
"violazione dei dati personali": la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito
la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi,
conservati o comunque trattati;

"dati genetici": i dati personali relativi alle caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona
fisica che forniscono informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, e che
risultano in particolare dall'analisi di un campione biologico della persona fisica in questione;

"dati biometrici": i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche
fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano
l'identificazione univoca, quali l'immagine facciale o i dati dattiloscopici;

"dati relativi alla salute": i dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica,
compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di
salute;

Nel Regolamento non esiste più una specifica definizione di dati personali "sensibili" o di dati personali
"giudiziari", però la definizione è ricavabile dagli articoli generali dedicati a queste categorie di
informazioni.

Art. 9: individua in generale le "categorie particolari di dati personali" nelle informazioni "che rivelino
l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza
sindacale, i dati genetici, i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, i dati
relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona fisica".

Art. 10: disciplina il trattamento dei "dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse
misure di sicurezza".

Carta dei servizi

Il Decreto legge 12 maggio 1995, n.163, convertito dalla legge 11 luglio 1995, n.273, prevede l'adozione, da
parte di tutti i soggetti erogatori di servizi pubblici, anche operanti in regime di concessione o mediante
convenzione, di proprie "Carte dei servizi". Per l'adempimento è fissato un termine di 120 giorni a
decorrere dalla pubblicazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante lo "schema
generale di riferimento". Per il settore sanitario detto schema di riferimento è stato adottato con DPCM del
19 maggio 1995, (G.U. del 31 maggio 95, supplemento n.65). Il termine scade quindi il 13 ottobre 1995.

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L'introduzione della Carta dei servizi sanitari costituisce un intervento fortemente innovativo, destinato a
modificare in modo sostanziale il rapporto tra i cittadini e il SSN. La Carta rappresenta anche una
significativa occasione di miglioramento gestionale del servizio.

L'adozione della Carta dei servizi richiede che le strutture sanitarie si dotino di meccanismi di misurazione
del servizio, di informazione agli utenti e di controllo del raggiungimento degli obiettivi la cui diffusione
impone un significativo cambiamento culturale, conseguibile solo attraverso una graduale maturazione.

Gli elementi che compongono il sistema della Carta dei servizi in generale (1) sono i seguenti:

1. l'individuazione di una serie di principi fondamentali ai quali deve essere progressivamente uniformata
l'erogazione dei servizi pubblici: eguaglianza, imparzialità, continuità, diritto di scelta, partecipazione,
efficienza e efficacia;

2. la piena informazione dei cittadini utenti. L'informazione deve riguardare i servizi offerti e le modalità di
erogazione degli stessi. L'informazione deve essere resa con strumenti diversi, assicurando comunque la
chiarezza e la comprensibilità dei testi oltre che la loro accessibilità al pubblico;

3. l'assunzione di impegni sulla qualità del servizio da parte del soggetto erogatore nei confronti dei
cittadini utenti, attraverso l'adozione di standard di qualità, che sono obiettivi di carattere generale (cioè
riferiti al complesso delle prestazioni rese) o anche specifici (cioè direttamente verificabili dal singolo
utente);

4. il dovere di valutazione della qualità dei servizi per la verifica degli impegni assunti, e per il costante
adeguamento degli stessi. Gli strumenti di valutazione vanno dalle relazioni annuali, sottoposte al Comitato
nazionale permanente per l'attuazione della Carta dei servizi, alle riunioni pubbliche, alle conferenze dei
servizi, alle indagini sulla soddisfazione dei cittadini/utenti;

5. l'applicazione di forme di tutela dei diritti dei cittadini utenti, attraverso le procedure di reclamo, e di
eventuale ristoro.

Va infine segnalato che i temi cardine della Carta dei servizi risultano assolutamente coerenti con le
indicazioni dell'art. 14 del D.lgs 502/1992 sul riordino della disciplina in materia sanitaria.

23
Le forme di tutela

La legge n.6 del 9 gennaio 2004

La persona che per effetto di una infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova
nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un
Amministratore di Sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il
domicilio. Il ricorso può essere presentato da un legale o in autonomia

La disciplina del codice civile

Art. 427 codice civile: Atti compiuti dall'interdetto e dall'inabilitato

L'inabilitazione corrisponde alla parziale incapacità di intendere e volere, la persona sottoposta all'istituto
di protezione (inabilitato) avrà la piena capacità di agire per tutti gli atti di ordinaria amministrazione,
mentre ha una limitata capacità negli atti di straordinaria amministrazione, per i quali sarà necessaria

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l'assistenza di un curatore, nominato dal Giudice Tutelare. Alcuni atti che eccedono l'ordinaria
amministrazione possono essere compiuti dall'inabilitato senza l'assistenza del curatore, se debitamente
indicati in un provvedimento dell'autorità giudiziaria. I provvedimenti di inabilitazione ed interdizione sono
adottati dal Tribunale (in composizione Collegiale) e per promuovere il ricorso è necessario il patrocinio
legale…

Art. 414 codice civile: Persone che possono essere interdette

Il maggiorenne che si trova in una condizione di abituale infermità di mente tale da renderlo incapace di
provvedere ai propri interessi, può essere interdetto quando ciò è necessario per assicurare la sua
adeguata protezione. L'interdizione determina l'incapacità assoluta della persona a curare i propri interessi.
In sua vece, il Giudice Tutelare nomina un tutore che lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i
beni.

Alcuni atti di ordinaria amministrazione, se previsto con un provvedimento dell'autorità giudiziaria (Art.427
c.c.), possono essere comunque compiuti dalla persona interdetta senza intervento o con assistenza del
tutore.

Art. 404 codice civile: L'amministrazione di sostegno

Le persone nominate amministratori di sostegno, tutori e curatori assumono, con giuramento, un incarico a
carattere personale, che deve quindi essere svolto esclusivamente da loro senza possibilità di delega ad altre
persone.

"Il ruolo dell'Amministratore di Sostegno non è solo gestione amministrativa, ma si concretizza in attenzioni
concrete volte a creare dei legami forti, belli e ricchi di emozioni verso chi da solo non ce la fa"

Valeria volontaria AdS

"Chi mi affianca e mi aiuta non deve fermarsi all'esteriorità, aiutandomi a superare i miei limiti ma deve
saper riconoscere e sostenere le mie capacità"

Marco assistito da AdS

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