Abate Francesco - Mia Madre e Altre Catastrofi
Abate Francesco - Mia Madre e Altre Catastrofi
Abate Francesco - Mia Madre e Altre Catastrofi
Mia madre e
altre catastrofi
Mia madre e altre catastrofi
1.
2.
Istruzioni di lettura.
1.
2.
3.
– Sí? Chi è?
– Sono il maresciallo Aruffo del
piano di sotto, professoressa. Ci può
aprire la porta, per favore?
– Un attimo! Mi dia il tempo di…
– Sí, faccia con comodo, sono qui
con i suoi bambini.
– Maresciallo!
– Professoressa, buonasera.
– Oddio, che è successo?!
Cos’hanno combinato questi due
disgraziati? Glielo dico sempre di non
star lí affacciati al terrazzino a fare la
gara di…
– Si calmi, professoressa, li
abbiamo trovati per tempo.
– … trovati per tempo? Ah! Non è
per le lenzuola?
– Come? Quali lenzuola?
– No, no, nulla… mi dica.
– Dicevo, professoressa, che li
abbiamo ritrovati per tempo.
– … ritrovati…
– Abbiamo subito capito che erano
fuggiti di casa.
– … fuggiti…
– Perché ci siamo detti: non è
possibile. Cosa ci fanno due bambini
da soli dall’altra parte della città,
mille miglia lontano da casa?
– Giusto! Cosa ci fanno?
– Ma Mamma!
– Voi state zitti! Che poi facciamo i
conti a casa!
– Ma Mamma, siamo già a casa! E
poi tu…
– Zitti! Zitti, disgraziati! E fate
parlare il maresciallo Aruffo!
– Allora, professoressa, le dicevo:
per fortuna oggi ero di servizio con il
Radiomobile, fatto che non mi compete
per l’elevatezza del mio grado, ma il
caso vuole che decida di uscire con
una mia pattuglia, e indovini chi
avvisto?
– Questi due disgraziati.
– Esatto. Mano nella mano, felici e
contenti, che se ne vanno in giro per la
città. Per di piú dividendosi un panino
che in seguito è stato appurato
contenesse margarina e zucchero.
– Maledetti.
– E subito mi sono detto: cosa ci
fanno lontani mille miglia dal nostro
palazzo i figli della professoressa
Pisano, nipoti del nostro amato
colonello? Cosa ci fanno soli un
bambino di…
– Quattro anni.
– Ecco, quattro anni. E uno di…
– Sette anni.
– Ecco, sette anni, lontani…
– Mille miglia da casa.
– Esatto professoressa, mille
miglia da casa! E in piú mi sono detto:
cosa ci fanno a quest’ora, poco prima
del tramonto? Che per essere giunti
sino a qua devono avere nell’ordine
superato: il viale Trieste, assai mal
frequentato da passeggiatrici note agli
uffici, la centralissima piazza Yenne,
assai peggio frequentata da gruppi di
malavitosi usi stazionare presso il bar
La cicala, il popolare quartiere la
Marina, che peggior zona nella nostra
città non c’è, bubbone infetto di bische
e bordelli? E da qui immettersi nella
scarsamente illuminata via XX
Settembre?
– Già, cosa ci fanno?
– Saranno fuggiti di casa!, mi sono
detto.
– Disgraziati! E io che pensavo
fossero in cortile!
– Ma Mamma!
– Zitti, voi! Zitti! Correte
immediatamente nella vostra stanza!
– Ma Mamma!
– Filate in silenzio, che dopo
facciamo i conti!
– Professoressa, non infierisca.
L’importante è che ora siano sani e
salvi a domicilio.
– Tutto merito suo, maresciallo.
– Ma si figuri, è stato un dovere e
un piacere essere utile alla sua
famiglia. Un vero onore e, la prego,
presenti i miei ossequi al colonnello.
– Sarà un piacere maresciallo.
Presenterò.
– Sa, nel vedere questi due
bambini ho pensato ai miei figli e, le
assicuro, mi sono commosso al
pensiero di questi due pargoli in balia
dei peggiori pericoli e delle piú
insidiose insidie.
– Certo, maresciallo, la mia
famiglia le sarà grata nei secoli.
– Grazie, professoressa, ora la
saluto. Una rampa e sono a casa.
– Saluti la sua cara moglie.
– Presenterò… Sa, solo una cosa
ancora mi incupisce.
– Prego, maresciallo.
– Chissà chi avrà dato loro quel
disgraziatissimo panino margarina e
zucchero…
– Eh già, maresciallo, chissà.
4.
5.
– Bambini!
– Sí, Mamma!
– Potete andare a giocare in
cortile.
– Grazie, Mamma!
– Prendetevi la merenda che vi ho
messo sul tavolo della cucina.
– Cosa ci hai preparato, Mamma?
– Rosetta con margarina e
zucchero.
– Ancora! No, dài, Ma’! L’ha detto
anche il maresciallo Aruffo che è un
panino disgraziatissimo.
6.
7.
8.
9.
– Checco!
– Mamma!
– Checcho!
– Mammaaa!
– Perché stai piangendo?
– Mi hanno rubato la merenda.
– E chi è stato?
– Un gruppo di ragazzini.
– Dài, non piangere… Cosa vuoi
che sia?
– Ma mamma, mi hanno anche
picchiato!
– Disgraziati, picchiare per avere
un panino. Dove porta la fame!
– Mamma, mi hanno picchiato
dopo averlo assaggiato.
10.
– Mamma?
– Che c’è, noioso?
– Anche la mamma di Mariacogotti
sta venendo al collettivo femminista?
– No, non mi risulta. Non al nostro,
perlomeno. Che io sappia. Ma perché?
– No, cosí.
– Cosí come? Forza, sputa il
rospo.
– No, nulla.
– Sei nervoso, vero?
– No.
– Sí, sei nervoso, quando ti tocchi
il pirillo sei nervoso.
– Non mi sto toccando il pirillo!
Sono i calzoncini che mi stanno stretti
qui.
– Sei nervoso, ti stai toccando il
pirillo e mi stai facendo perdere
tempo. Avanti! Perché mai la Mamma
della tua Maria Cogotti starebbe
venendo al collettivo femminista?
– Perché ieri lei mi ha detto che
non mi fa piú vedere la patata.
– Guardami bene in faccia, figlio
mio.
– Io ti guardo, ma tu non mi
picchiare.
– Non ti picchio, ma tu ascoltami
bene e smettila di toccarti il pirillo.
Insomma!
– Sí, Mamma.
– Punto uno: era ora che questa
Maria Cogotti la smettesse con quelle
porcherie, il Signore ha finalmente
ascoltato le mie preghiere e l’ha
illuminata. Punto secondo: cosa
diamine c’entra il nostro collettivo?
– No, cosí, sai…
– Sai cosa?
– No, cosí…
– Forza!
– Ecco, sai, io alla manifestazione
l’ho sentito che urlavate: «L’utero è
mio e lo gestisco io!»
– Sí, e cosa c’entra?
– Mariacogotti mi ha detto che non
mi fa piú vedere la patata se non le do
cinquecento lire.
– Checco!
– Sí, Mamma
– Avvicinati!
– Niente schiaffi, però!
– Tu avvicinati.
– No!
– Non farmi perdere la pazienza.
– No, dài…
– Avvicinati!
– Niente schiaffi, però.
– Tranquillo, figurati, fidati di
Mamma tua.
11.
12.
– Mamma?
– Sí.
– Ma non è una contraddizione
essere femministe e andare in chiesa?
– E chi l’ha detto?
– La maestra Ligias.
– Vieni qua, figlio mio.
– Sí, Mamma.
– Ascoltami bene.
– Sí, Mamma.
– Devi dire alla tua maestra che è
una contraddizione essere zitella,
senza figli, e pretendere di educare i
figli degli altri. Hai capito bene?
– Sí, Mamma, ma…
– Ma cosa?
– Sei sicura che glielo devo dire?
– Certo!
– Sicurissima?
– Sí.
– Super sicurissima?
– No, va be’, dài, lascia perdere.
– Grazie, Ma’.
– Fammi una cortesia, però.
– Certo, Mamma.
– Tu ricordale che il nono
comandamento è non desiderare la
donna d’altri.
– Cosa vuol dire, Mamma?
– Fregatene, figlio mio, lo
sappiamo io e la moglie del preside.
13.
– Ma’…
– Che c’è, noioso?
– Adesso che sono piú grande la
possiamo smettere con questo panino
con margarina e zucchero per
merenda?
– Può darsi.
– Dài, Ma’! Gli altri al campetto
mi prendono in giro.
– Vedremo.
– Dài, Ma’, per favore.
– Va bene.
14.
– Checco!
– Sí, Mamma.
– Hai visto il mio «Postal
Market»?
– No, Mamma.
– Sicuro?
– Sicurissimo.
15.
– No!
– Come sarebbe a dire no?
– Non ho voglia di svegliarmi
presto anche la domenica.
– Tuo fratello che dice?
– Neanche lui vuole.
– E perché non parla?
– Perché sono io il rappresentante
del nostro collettivo.
– Due non fanno un collettivo!
– Va be’, comunque noi non ci
vogliamo svegliare presto anche la
domenica per andare a messa.
– No.
– Cosa, no?
– No, non sento ragioni. Ci
andrete, punto e basta.
– Dài, Mamma, per favore!
– Ho detto no.
– Ti prego!
– Sei nervoso, vero?
– Certo! Non voglio andare a
messa.
– Sei nervoso, ti stai toccando il
pirillo.
– Non mi sto toccando il pirillo,
sono questi pantaloni che mi stanno
stretti qui!
– Sei nervoso e ti stai toccando il
pirillo perché non vuoi andare a
messa. Ma ci andrai, anche se cascasse
il mondo.
– No! Per favore!
– No! E ora basta!
– Dàiii!
– Non farmi perdere la pazienza!
Quando dico no, è no. Punto. Quando
dico sí, è sí. Ma quando dico di no, è
no! Chiaro?!
– Mamma, tu non dici mai sí. Sei
una nazista.
– Maoista, prego, compagno
Checco.
16.
17.
– Mamma.
– Che c’è? Sto stirando.
– Abbiamo deciso con Giuseppe
che diventiamo comunisti anche noi.
– Benissimo.
– Possiamo?
– Certo.
– Togo.
– Bene, allora tieni il ferro da
stiro.
– Il ferro da stiro?
– Certo, per essere comunisti
bisogna saper stirare.
– Ma va’!
– Papà non si stira le sue camicie?
– Sí, è vero.
– Quindi, vuoi sempre diventare
comunista?
– … mhm…
– Allora?
– … sí!
– Dài, prendilo che t’insegno.
– Grazie, Mamma.
18.
– Vieni qui.
– Mi devi dare i pizzicotti con la
girata? Non ho combinato nulla.
– No, ti devo dire una cosa.
– Sicura?
– Vieni qui, forza.
– Dimmi.
– Volete entrare nei lupetti?
– Io e Giuseppe?
– Certo.
– E cosa si fa nei lupetti?
– Ti dànno una divisa bellissima.
Si gioca tutti insieme. D’estate si fa un
grande campo estivo con le tende come
gli indiani, senza i genitori. Si fanno le
gite nei boschi, in montagna. Poi ci
sono le coccinelle, che sono le
bambine, e gli scout piú grandi, che vi
insegnano a fare le capanne…
– Anche l’arco indiano?
– Sí, anche quello.
– E le frecce?
– Sí, t’insegnano a fare anche
quelle.
– Togo!
– Allora, ci vuoi andare?
– Sí. E poi che altro si fa?
– Poi la domenica mattina ci si
sveglia presto per andare alla messa.
19.
– Ma’!
– Che c’è?
– Noi andiamo agli scout!
– Prendetevi la merenda! È sul
tavolo della cucina.
– Il solito panino margarina e
zucchero?
– No, tranquillo. Ho cambiato.
– Togo!
– Ogni promessa è debito.
– Grazie, Ma’, grazie.
– Figurati.
– Ma’!
– Che c’è ora, noioso?
– Ma allora che cavolo hai messo
nella rosetta?
– Margarina e sale.
20.
21.
23.
– Checco!
– Sí, Mamma.
– Hai visto il mio «Postal
Market»?
– No, Mamma.
– Sicuro?
– Sicurissimo.
– Ma io non lo so! In questa casa ci
sono i fantasmi e il «Postal Market»
sparisce sempre!
24.
– Ma’.
– Che c’è, ora?
– Ma non ti bastavamo io e
Giuseppe?
– In che senso?
– Nel senso della sorellina che
deve arrivare.
– Sei geloso, vero?
– No.
– Sei geloso perché adesso tutte le
attenzioni si sposteranno su di lei.
– No!
– Sei geloso.
– Ho detto di no!
– E allora qual è il problema?
– Il problema è che abbiamo due
stanze da letto, in una ci dormite tu e
papà, in una io e Giuseppe. Lei dove
dorme?
– All’inizio dormirà con noi, poi
bisognerà trovare una casa un po’ piú
grande.
– Ecco, era quello che temevo.
– Sei geloso.
– No, Mamma, ti assicuro. Solo,
non mi va di lasciare la nostra casa.
– Sei geloso.
– Uffa, no, Mamma, non mi va di
lasciare tutto. Mi capisci?
– Sei geloso.
– Ma no! MAMMA ! Mi ascolti?!
Non sono geloso, maledizione! Non mi
voglio trasferire! Non voglio perdere
tutti gli amici del palazzo! Non voglio
cambiare scuola! Non voglio lasciare i
boy-scout! Non voglio lasciare i
compagni di classe! Hai capito o no?
Uffa! Non mi voglio tra-sfe-ri-re!
– Sei geloso.
25.
– Checco!
–…
– Checco! Vuoi uscire dal bagno?
Forza, che mi devo truccare.
– Un attimo!
– Esci!
– Un attimo!
– Esci, che ho fretta.
– Un attimo!
– Esci dal bagno, porca di una
miseria! Esci…
– Eccomi.
– Cos’hai dietro la schiena?
– Letture.
– Letture? Fa’ vedere!
– Tieni.
– Il «Postal Market»! Il «Postal
Market»?
–…
– Cosa diavolo avrai da leggere
sul «Postal Market»?
– Embe’? Papà non va in bagno
con «l’Unità»?
26.
– Vieni qua.
– Dài, Ma’, non rompere.
– Vieni qua.
– Uffa, e dài.
– Ho detto vieni qua.
– Dimmi.
– Stai ancora frequentando quella
Maria Cogotti?
–…
– Allora?
– Non proprio.
– Come sarebbe a dire, non
proprio?
– Sarebbe a dire che anche lei si è
iscritta all’Agesci nelle guide.
– Mhm, bene. E vi frequentate?
– No, preferisce quelli piú grandi,
i rover, a noi scout ci ignora.
– Preferisce in che senso?
– Eh, in quel senso.
– Storie di patata?
– No, storie di marmotta.
– Di marmotta?
– Eja, Ma’. Di marmotta.
– Di marmotta? Che diavolo vuol
dire di marmotta?
– Vuol dire che le sono cresciuti i
peli, Ma’!
27.
1.
2.
3.
4.
– Checco.
– Sí, Mamma.
– Perché sei nervoso?
– Non sono nervoso.
– Certo che sei nervoso, ti stai
toccando il pirillo.
– No, non mi sto toccando il
pirillo.
– Sí che ti stai toccando il pirillo.
– No, Mamma, è che i pantaloncini
mi stanno stretti qui.
– Però sei nervoso.
– Un po’.
– Perché?
– Perché ci hanno preso in giro.
– Chi?
– Gli altri bambini.
– E perché? Perché i vostri
costumi non sono di marca?
– Sí, anche.
– E poi? Oh, la smetti di toccarti il
pirillo?!
– Perché hanno detto che Giuseppe
ha la testa a forma di melone.
– Ah!
– Sí, ci hanno rincorso urlando:
«Conch’e meloni! Conch’e meloni!»
– Va be’, dài, sono solo dei
bambini.
– Ma c’erano anche tre mamme che
ridevano! E una ha detto: «Guarda che
loffio, ha la testa da melone!»
– Ah!
– Mamma.
– Sí.
– Io prima di ieri non mi ero
accorto che Giuseppe aveva la testa
cosí.
– Vieni qui.
– Sí.
– Sai perché Giuseppe ha la testa
cosí?
– No.
– Perché Giuseppe è stato un po’
pigretto. Non voleva nascere.
– Sí.
– E Mamma stava molto male.
Anzi, Mamma stava per morire e con
lei Giuseppe.
– Sí.
– Allora i medici hanno deciso di
farlo uscire a forza usando il forcipe.
– Cos’è il forcipe?
– Hai presente le pinze che usiamo
per prendere l’insalata?
– Sí.
– Ecco, per farlo nascere hanno
usato quello. Hanno infilato il forcipe
dentro Mamma, hanno acchiappato la
testa di Giuseppe e l’hanno tirato via.
Solo che hanno stretto male e troppo
forte. Cosí tuo fratello Giuseppe è nato
con la testa un po’ schiacciata.
–…
– Checco! Dài, non piangere!
–…
– Checco, dài, non… e smettila di
toccarti quel pirillo!
– Scusami, Mamma.
– Forza, asciugati le lacrime.
– Scusami, Mamma. Io non lo
sapevo. Li avrei dovuti picchiare tutti.
– No, figlio mio, hai fatto bene a
non reagire. E smettila di piangere,
dài!
– No, li dovevo picchiare tutti!
Invece sono scappato.
– Hai fatto bene. «A chi ti percuote
sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi
ti leva il mantello, non rifiutare la
tunica».
– No! Sono scappato e poi ho
sgridato fortissimo Giuseppe perché
per colpa sua ci prendevano in giro.
Ma io non lo sapevo che stavate per
morire… non lo sapevo… non lo
sapevo… scusa, Mamma.
– Dài, smettila di singhiozzare e
vai ad abbracciare tuo fratello,
chiedigli scusa… e smettila di
toccarti!
– Sí, Mamma, vado subito.
– Checco.
– Sí, Mamma.
– Vieni qua e fatti abbracciare.
– Davvero, Mamma?
– Vieni e fatti abbracciare.
– Mamma, non mi avevi mai
abbracciato prima d’ora.
– Ecco, bravo, abbracciami e non
prendertela a vizio.
5.
6.
– Mamma!
– Giuseppe!
– Mamma!
– Oddio, Giuseppe! Fatti vedere,
cosa ti sei fatto? Sei tutto sporco di
sangue!
– No, Mamma, io niente.
– E tutto questo sangue?!
– Il sangue è di Checco.
– Il sangue è di Checco?
– Sí.
– E dov’è quel disgraziato?
– Al pronto soccorso dello
stabilimento.
– Che cosa ha combinato?!
– Si è picchiato.
– Si è picchiato?
– Sí.
– E perché? Con chi? Forza, parla!
Anche le parole a te bisogna levare col
forcipe!
– Si è picchiato con i bambini che
mi prendevano in giro e mi urlavano
contro: «Conch’e meloni! Conch’e
meloni!»
– Ma porca miseria! Gli avevo
detto…
– Mamma.
– Che c’è?
– Guarda che lui non ha colpa. La
colpa è mia che ho la testa cosí.
7.
8.
9.
10.
11.
– Ma’…
– Che c’è, figlio mio?
– Perché hai detto quella cosa alla
vicina di ombrellone?
– Alla signora Peddisi?
– Eja, Ma’.
– Perché la gente apre la bocca a
vanvera.
– Ma quindi io morirò giovane?
– Peddi mala no moriri.
– Eh?!
– Pelle cattiva non muore!
– E io sono cattivo?
– Stai continuando a frequentare la
tua amica?
– Chi? Mariacogotti?
– Sí.
– Eja, Ma’.
– Bravo, continua cosí che ci
seppellirai tutti.
12.
13.
14.
15.
16.
– Pronto, Checco?
– Sí, Ma’, ma dove sei?
– In bidelleria, a scuola, dove vuoi
che sia?
– Boh, sento rumore come di
acqua.
– Acqua?
– Sí, onde.
– Onde?
– Sí, Ma’.
– Ah no, sono le bidelle che stanno
passando lo straccio.
– Sí sí…
– Senti, organizzatevi per il
pranzo, che qui con gli scrutini finiamo
tardi.
– Okay, Ma’.
17.
18.
– Ciao Ma’.
– Ciao.
– Come sono andati gli scrutini?
– Bene, perché?
– Perché hai i sandali ancora
sporchi di sabbia.
19.
– Ma’.
– Che c’è, noioso, non lo vedi che
sto facendo la marmellata?
– È di questo che ti devo parlare.
– Dimmi.
– Quanti anni sono che andiamo al
Lido?
– Dunque, fammi pensare: tua zia
Annarella aveva già avuto Giovanna
ma non Marcella, tua bisnonna Maria
era già morta, tu eri al quarto ricovero
e mi sembra che tuo padre fosse già
stato ricoverato a Padova, tua nonna
Giovanna…
– Humpf, humpf…
– Che fai? Stai ridendo?
– No, Ma’.
– Tua nonna aveva già cambiato la
caldaia e aveva litigato con tuo nonno
che voleva attendere l’arrivo del gas
di città, tuo zio Roberto si era sposato
da…
– Humpf, humpf…
– Stai ridendo.
– No, Ma’. Giuro.
– Tua sorella era appena nata, lei è
del 1972, novembre, quindi… no, però
quell’anno non abbiamo fatto le tessere
perché tuo zio Nannino Maxia…
– Ahahah ahahah ahahah!
– Che fai, disgraziato? Perché ridi?
– Per il tuo calendario.
– Il mio calendario è infallibile.
– Sí sí.
– Non ci credi?
– Ma smettila.
– Quanto ci scommetti?
– Okay, dimmi, in che anno ho
preso la borsa di studio?
– Facilissimo. È l’anno in cui sei
andato per la prima volta in discoteca.
La ragazzina che ti piaceva e con la
quale dovevi vederti lí si stava già
baciando nel parcheggio con uno di
seconda liceo. Tua zia Lisetta ti aveva
recuperato ubriaco e piangente in viale
Poetto alle tre del mattino. La borsa di
studio era di cinquantamila lire, l’hai
presa in quarta ginnasio, con quei soldi
ti eri vestito da capo a piedi per
andare a ballare, ma le Clarks nuove
non siamo mai riuscite a ripulirle bene
del tuo vomito. Tuo nonno Pippo il
giorno dopo compiva gli anni, mi hai
accompagnato a prenderlo per portarlo
a pranzo a casa nostra, nel tragitto in
macchina hai rimesso di nuovo,
sporcando il cappotto di tua nonna.
Nonno rideva. Nonna quasi piangeva.
Quindi, la borsa di studio l’hai presa
nell’autunno, la figura di merda è del
15 novembre 1978.
20.
21.
– Sei triste?
– No, sono arrabbiata.
– Va be’, Ma’, prima o poi te lo
dovevo dire che quella crostata non è
mai piaciuta a nessuno.
– Una bugia in piú non ti costava
nulla.
22.
23.
– Ciao Checco.
– Ciao Mamma.
– Dove sei?
– In redazione, Ma’. Lavoro. E tu?
– In spiaggia.
– In spiaggia? Mamma, è il 12
dicembre!
– Ho fatto anche il bagno.
– Il bagno?
– Sí, l’acqua era calda, dopo la
pioggia l’acqua è sempre piú calda.
– Sarà.
– Ora poi splende un sole
fantastico e ho steso l’asciugamano
sulla sabbia. Cosí ti ho pensato.
– Mamma?
– Sí, figlio mio.
– Tu sei pazza, rischi di ammalarti.
– Era proprio a questo che
pensavo.
– Che cosa?
– Quanti anni hai?
– Quaranta, Mamma.
– E mi hai mai visto ammalata in
vita tua?
–…
– Allora?
– No, ora che ci penso, no. In
effetti, non ti ho mai visto ammalata.
– Ecco, pensavo a te e tuo padre,
alla vostra malattia. Pensavo alla
vostra vita di continui ricoveri, le cure
dolorose e inutili, le operazioni ancora
piú dolorose e inutili, il calvario di tuo
padre, la sua morte, e tu che peggiori
sempre di piú.
– Mamma, ti prego, non dire cosí.
– Pensavo che, forse, se fosse
spettata anche a me una bella fetta di
malattia… ecco, forse a voi sarebbe
stata risparmiata un poco di sofferenza.
– Mamma, ti prego, non dire cosí.
– Però non mi sono mai ammalata.
– Perché dovevi reggere la nostra
croce, Mamma.
– Forse devo pagare le colpe di
una precedente vita.
– E chi eri in una precedente vita?
– Un pesce. Piccolo ma dispettoso.
– Uno squaletto?
– Stamattina, quando sono venuta
qui presto, sai, il mare era una lastra
azzurra, piatta, brillava al sole. Non
c’era un filo di vento. Il silenzio
assoluto. E mentre mi spogliavo ho
visto le pinne di due delfini. Andavano
su e giú. Sembrava che danzassero. Su
e giú. Erano bellissimi, figlio mio.
Non so chi sono stata, ma di sicuro
nella prossima vita voglio essere un
delfino.
– Non ti vuoi riunire a papà?
– Certo, tuo padre è già in mare
che mi aspetta.
24.
25.
– Mamma?
– Ciao Checco.
– Che è successo? Sono le 6,30 del
mattino.
– È morto signor Addis.
– Chi?
– Il signor Addis.
– Mamma, chi è il signor Addis?
– Il capo dei bagnini del Lido.
– Oh, poverino.
– Ti ricordi? Ti aveva preso in
simpatia e vi difendeva dalle angherie
di quegli stronzetti figli di papà e da
quelle burricche delle loro madri.
– Mamma!
– E be’, figlio mio, la verità
bisogna dirla com’è. Quelli erano
degli stronzetti e le madri delle vere
asine calzate e vestite.
– Da bambini non ci dicevi cosí.
– Eravate bambini.
– Cercavi di minimizzare.
– Era mio dovere.
– Non ci difendevi mai. Stavi in
disparte e lasciavi che gli eventi ci
piombassero addosso.
– Volevi una madre diversa? Una
gonna a cui attaccarti? Volevi crescere
mammone?
– No, Ma’, è stato meglio cosí.
– Mi accompagni al funerale del
signor Addis?
– Dicevi che era un fascista.
– Veramente lo dicevi anche tu e
con vanto.
– Un fascista fa sempre comodo in
famiglia.
– Questa l’ha già detta qualcun
altro.
– Comunque, fascista o no, signor
Addis era un brav’uomo.
– Sí, un brav’uomo. Ti va di
accompagnarmi al funerale?
– Va bene. Dov’è la messa?
– Alla chiesa della spiaggia del
Poetto. Cosí poi mi accompagni in
spiaggia e Mamma si fa anche il
bagno.
– Mamma.
– Che c’è?
– Sai che mese è?
– Sí, aprile. Che bello. Un’altra
estate sta arrivando per noi.
26.
1.
– Mamma, mi dispiace.
– Di cosa, figlio mio?
– Che dobbiate passare la Pasqua
con me in ospedale.
– Non ti preoccupare. Speriamo
che in questo giorno di resurrezione
anche tu possa risorgere.
– Grazie, Mamma.
– Grazie a te.
– Perché, Mamma?
– Perché sei la mia croce.
2.
3.
4.
– Ciao Ma’.
– Ciao.
– Come sta papà?
– Lasciamo perdere, poi in
quell’ospedale è da una settimana che
gli dànno lo spezzatino e non ne può
piú.
– Io lo odio, e anche qui sono sette
giorni che non ci dànno altro.
– E indovina cosa gli avevo
portato oggi?
– Spezzatino.
– Bravo, ma non ho avuto il
coraggio di darglielo.
– Giusto.
– Cosí l’ho portato a te.
5.
7.
– Buongiorno, signor Francesco!
Buongiorno, professoressa, è sempre
un piacere vederla qui.
– Buongiorno, dottoressa.
– Buongiorno…
– Signor Francesco, mi scusi, non
troviamo il foglio… ma lo scorso
semestre l’ha fatta la colonscopia?
– Sí!
– No, dottoressa. Non l’ha fatta.
– Sí o no?
– Sí!
– No, dottoressa, non dia retta a
quel bugiardo di mio figlio. Non l’ha
fatta.
– Ma insomma, a chi devo
credere?!
– A me, dottoressa. Non mi
dimentico mai quando me lo infilano
nel sedere.
8.
– Maleducato! Sei un maleducato.
– Dài, Ma’, falla tu una
colonscopia ogni sei mesi.
– Resti un maleducato.
– Dài, Ma’…
– … e mi hai fatto vergognare…
– Scusami, Mamma.
– Troppo facile chiedere scusa
dopo.
– Sí, lo so, ho sbagliato. Però
ricordati che quando Pietro domandò:
«Signore, quante volte dovrò
perdonare al mio fratello, se pecca
contro di me? Fino a sette volte?»
Gesú gli rispose: «Non ti dico fino a
sette, ma fino a settanta volte sette».
– Embe’! Da quando in qua leggi i
Vangeli?
– Da quando li lasciano nei
cassetti dei comodini degli ospedali e
non ho altro da leggere.
– Comunque io non sono tuo
fratello! Sono tua madre e mi fermo a
una volta. E ora ti saluto!
– Dove vai?
– Da tuo padre, all’oncologico.
Piuttosto, quando ti dimettono?
– Dopo pranzo.
– Che fai?
– Stasera un salto al pub.
– Bravo.
– Ahia! Ma che fai, mi ridai i
pizzicotti? Cazzo, ho venticinque anni!
– Te ne avrei dovuti dare di piú da
bambino. Fetente. E maleducato.
9.
10.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Tieni, entra in camera mortuaria
e metti questa coperta a tuo padre. Lí
dentro c’è un freddo cane.
11.
12.
14.
15.
17.
– Quando ti trapianteranno?
– Non lo so, fra un’ora come fra un
anno. Nessuno può saperlo, dipende
dal destino.
– Dipende dal Signore!
– Sí, Mamma, dipende dal Signore.
– Oggi sono andata a cambiare i
fiori al tombino dei nonni. E ho chiesto
loro di intercedere per te.
– Grazie, Ma’. E ti hanno
ascoltato?
– Sí, ma prima si sono messi a
litigare come al solito.
18.
19.
20.
– Buongiorno!
– Ciao Ma’.
– Buongiorno, signor Cacioffo!
– Buongiorno, professoressa.
– Come andiamo?
– Oggi mi sono lavato,
professoressa.
21.
22.
23.
1.
3.
4.
5.
1.
– Mamma, è bellissima.
– Ti piace, Checco?
– Sí, molto. La preferisco alla
Mercedes del macellaio.
– Eh, adesso! Un giorno ti
insegnerò a guidarla.
– Togo.
– Ha anche i sedili reclinabili.
– E a cosa servono i sedili
reclinabili?
– Eh, un giorno lo capirai.
2.
– Mariella!
– Che c’è, Rosetta?
– Ma perché fa sempre un caldo
boia in questa tua 500?
– Checco!
– Sí, Ma’?
– Quante volte te lo devo dire di
stare attento alla levetta del
riscaldamento!
– Oh, Mamma! Ajò, dài. Mica è
colpa mia se questi della Fiat hanno
messo una cavolo di levetta sotto il
sedile di dietro!
– E tu stai attento!
– Solo quelli potevano concepire
l’avvio del riscaldamento con una
levetta messa in mezzo ai piedi!
– Non lamentarti!
– Uffa!
– Non lamentarti! Io solo una 500
mi potevo permettere! Mica faccio il
macellaio.
3.
4.
– Nannino.
– Sí, Mariella.
– Allora, cos’ha il ragazzino?
– Dalle prime analisi sembrerebbe
paratifo.
– Paratifo? Come, paratifo?!
– Sí, purtroppo cosí sembra.
– Ma ti ha detto che ha mangiato i
würstel?
– Sí sí, ma mi ha anche detto che
domenica scorsa ha giocato con la
squadra di pallanuoto al campo a mare
di Portoscuso.
– Sí, vero. Ma ti ha detto dei
würstel?
– Ed è già il terzo caso di paratifo
che ci arriva in questa estate da quella
zona.
– Sei stato tu a dire che non deve
mangiare i würstel.
– Quindi il mio sospetto è che se lo
sia preso anche lui. Almeno stando
alle prime analisi. Comunque lo devo
ricoverare e metterlo in isolamento.
– E i würstel?
– Marie’! I würstel non c’entrano
nulla!
– Ah, peccato.
5.
– Buongiorno, Mariella.
– Buongiorno, Rosetta, dài, sali,
facciamo veloci che oggi devo
incontrare due genitori prima degli
scrutini.
– Mamma mia, Marie’, ma che è
’sta puzza?!
– Niente, mio figlio che si strafoga
di würstel e poi vomita.
6.
– Buongiorno, Mariella.
– Buongiorno, Gabriella. Dài, sali,
facciamo veloci che oggi devo
incontrare due genitori prima degli
scrutini. Rosetta, per favore, falla
salire dalla tua parte.
– Mamma mia, Marie’, ma sta
macchina è un forno! E poi che è ’sta
puzza?!
– Niente, Gabrie’, mio figlio che
non sta mai attento alla levetta del
riscaldamento, si strafoga di würstel e
poi vomita.
7.
– Come stai?
– Cosí.
– Hai un brutto colore, tuo zio ha
detto che ti terranno qui almeno un
altro mese.
– Addio estate.
– Non piangere!
– Non piango.
– La professoressa Romagnino ha
detto che ti promuoveranno in terza
con la media del nove. E il mio
collega Pasqualino Carroni ti manda
questo libro.
– Kafka! Ringrazialo tanto.
– I tuoi compagni di pallanuoto ti
mandano i loro saluti e anche quelli
della tua classe. Paoletto Cherchi mi
ha incaricato di dirti che chiuderete il
campionato penultimi.
– Mamma.
– Sí.
– E la 500?
– La 500 l’ha pulita il mio collega
Carroni. Sempre gentile, Pasqualino.
Però un po’ di puzza è rimasta.
– Mamma.
– Sí.
– Ti posso fare una domanda?
– Certo.
– Ma cosa ci faceva la tua
pelliccia in macchina il 4 di giugno?
– Lo so io.
8.
– Sei nervoso.
– Sí.
– Sei nervoso, perché ti stai
toccando…
– Il pirillo.
– Sí, esatto, il pirillo. E cosa c’è
da ridere?
– Nulla, Ma’. Comunque volevo
dirti un po’ di cose.
– Dimmi.
– La prima è che questa volta hai
ragione. Sono molto nervoso.
– E perché? Per l’esame di terza
media?
– Sí, molto.
– Sei prontissimo, non rompere.
Hai studiato tanto tutto l’anno e pure
l’estate precedente.
– Be’, Mamma, in ospedale non
sapevo cosa fare, cosí mi sono portato
avanti con gli studi.
– Vedi che anche il paratifo aveva
un suo perché? Ogni disturbo è grazia.
– Ma’, quando mi dici «ogni
disturbo è grazia» mi fai saltare i
nervi!
– Non toccarti il pirillo!
– Non me lo tocco! Però tu
ascoltami! Ho paura! Hai capito? Ho
paura dell’esame!
– Se urli non ti passa! La paura è
normale. Senza la paura non si va da
nessuna parte. Ci si crede invincibili,
si prendono alla leggera gli ostacoli
che la vita ci pone. Invece la paura è
lí, pronta a ricordarci che dobbiamo
fare affidamento sulle nostre forze, su
tutto il nostro sapere, per poter
superare anche questo ostacolo.
– Sarà.
– Non sarà, è cosí. E poi? Poi che
altro hai?
– Poi, per l’esame vorrei un paio
di jeans nuovi.
– Va bene, ora chiamo la cugina
Annalisa Fois e vediamo se ti lascia i
suoi jeans dell’anno scorso. Oppure
potrei chiedere a Pasqualino Carroni
se…
– Ma’…
– Che c’è, noioso?
– Ecco, l’altra cosa importante che
volevo dirti è questa.
– Dimmi.
– Sono tredici anni che eredito
pantaloni e pantaloncini da Annalisa.
– Embe’? Ti sono stati sempre
bene.
– Ecco, non proprio. Il punto è che
mi stanno sempre piú stretti qui.
– Nella conigliera?
– Sí. Ma’, il punto è che fin da
bambino quando sono nervoso li sento
piú stretti qui.
– Nella conigliera.
– Sí, Ma’, nella conigliera.
– Quindi?
– Quindi possiamo fare come per
la tua 500 e mi compri i jeans nuovi?
– In che senso facciamo «come per
la mia 500»?
– Facciamo le cambiali.
9.
– Cosa sono?
– I soldi per i tuoi jeans.
– Grazie Ma’.
– Ringrazia tuo padre e la Cgil.
– La Cgil?!
– Sí, finalmente gli hanno pagato
una causa.
– Grazie. Grazie mille.
– Ti ci esce anche una t-shirt.
– Fruit of the Loom?
– Fruit of the Loom.
– Però, per l’esame ti suggerirei
mocassini e camicia.
– Button down?
– Sí, camicia button down, va
bene.
– Ti bastano i soldi?
– Non so.
– Tieni, ti do anche questi per la
camicia.
– Minchia, Ma’! Ancora la Cgil?!
– No, questi sono miei. E anche
questi.
– Che cavolo sono, Ma’?
– I jeans dell’anno scorso di
Annalisa.
10.
– Mi accompagni?
– Non se ne parla.
– Dài, Ma’, il vocabolario è
pesantissimo.
– Da quanti anni vai a scuola?
– Otto, Ma’.
– In questi otto anni ti ho mai
accompagnato a scuola?
– No, mai! Cioè, una volta mi ha
accompagnato papà. Ero in prima
elementare e gli hai fatto un casino.
– Ecco, figurati se ti accompagno il
giorno del tuo esame di terza media.
– LO ACCOMPAGNO IO.
– Gabriele!
– Papà!
– Andiamo tutti e tre insieme.
– Con la mia 500?
– No, con la mia Opel Kadett.
– Con la tua Opel Kadett? Da
quando in qua abbiamo una Opel
Kadett?
– Da ieri.
– Da ieri? E non mi hai detto
nulla?
– Sorpresa.
– Ma, Gabriele, non sarà un
azzardo?
– Ogni tanto bisogna pur
gratificarsi. E ora forza, tutti e tre
all’esame.
– Grazie, papà.
– E ringraziamo pure la Cgil.
11.
12.
– Come va?
– Dura, Ma’, il ginnasio è duro.
– Latino e greco?
– Eh sí, ma lí mi aiuta nonna.
– Matematica?
– Un disastro.
– Vuoi che parli con Gabriella
Cocco per farti dare un po’ di
ripetizioni?
– No, Ma’, lascia stare.
– E perché? Guarda, fra due minuti
è qui sotto casa. Oggi tocca a lei
portarci a scuola con la sua 500.
– No, grazie.
– Dài, ti conosce fin da bambino.
Anche Pasqualino Carroni dice che è
bravissima.
– No.
– Ma perché?
– Te lo dico, ma tu non devi dirle
nulla. Giura.
– Non giuro su queste fesserie.
– Giura.
– Non giuro. Semmai posso
promettertelo.
– Uff…
– Forza, noioso, sputa il rospo.
Perché non vuoi andare a fare
ripetizioni da Gabriella Cocco?
– Perché l’ha detto anche il figlio
Luca!
– E cosa ha detto?
– Che esistono tre modalità:
severo, crudele e modalità
professoressa Cocco!
13.
– Dài, attraversiamo.
– No.
– Attraversiamo e saliamo in
macchina.
– Nooo.
– Disgraziato, sali in macchina!
– No, quella non è la tua 500!
– Ah sí? E di chi sarebbe?
– Solo Gabriella Cocco ha la 500
color senape.
– Sali, lo facciamo per il tuo bene.
O vuoi essere rimandato in
matematica?
– No, non salgo.
– Forza, sali, che a bordo c’è
anche Pasqualino Carroni che ha fretta.
– No, vado a studiare con i miei
compagni, provo con loro a ripetere
matematica.
– Sarai bocciato.
– Ce la farò.
– Sarai bocciato.
– Ho detto che ce la farò.
– Gabriella! Metti in moto, dài, ce
ne andiamo! Altro che modalità
professoressa Cocco! Questo è piú
duro di te!
14.
– Mamma.
– Lo so già.
– Scusa.
– Lo aveva detto anche Pasqualino
Carroni che matematica te l’avrebbero
lasciata. Pasqualino però ha anche
detto che…
– E basta, Ma’, con ’sto cazzo di
Pasqualino! E Pasqualino di qua e
Pasqualino di là! Non se ne può piú!
Ma chi cazzo è… il tuo amante?
– Stai zitto! Cretino! E asino!
– Ahia! Ma’! Cazzo fai, mi prendi
a schiaffi?!
– Zitto! Cretino! Asino! Scimpru e
burriccu!
– Ahia! Ahia! Ahia!
– Zitto! Non ti azzardare mai piú a
dire una cosa cosí. Mai piú!
– Ahia! Cazzo!
– Non ti permettere mai piú di dire
una parola su Pasqualino! Mai piú!
Chiaro?! Asino! E maleducato!
15.
– Spunta piano.
– Sí.
– Spunta piano.
– Sí.
– Spunta pianooo.
– Sí.
– SPUNTA PIANO!
– Sí.
– Checco! Ti ho detto di spuntare
piano, mi stai facendo venire il volta
stomaco!
– Ah! Adesso hai capito come ci si
sente con la tua guida?!
16.
17.
18
– Ciao Mariella.
– Ciao Gabriella.
– Mi ha chiamato Rosetta, dice che
oggi a scuola non viene.
– Malata?
– No. Ha detto che non viene con
noi.
– Ah!
– Preferisce andare con il gruppo
dell’Amoruso.
– Ah!
– L’Amoruso si è comprata la
Ritmo.
– Ah!
– Cabrio.
– Ah! E tu?
– Non sono tipa da Ritmo Cabrio.
Io sono come te, faccio la spesa alla
Coop e mi vesto all’Upim.
19.
20.
21.
– Checco!
– Sí, Ma’.
– Mi accompagni a fare una
commissione?
– In macchina?
– Sí. Poi, se vuoi, te la lascio tutta
la sera.
– Sí, grazie, Ma’. Però guido io.
– Va bene. Guarda che viene con
noi anche Giuseppe.
– Okay, Ma’. Dove andiamo?
– Alla concessionaria a compare il
Vespino a tuo fratello.
22.
23.
24.
– Ti serve la 500?
– Sí, grazie, Ma’.
– Tieni le chiavi.
– Okay.
– Poi al rientro vai a prendere tua
sorella a scuola.
– Eh no! Cazzo!
– Non dire parolacce!
– Ora spiegami una cosa: a me non
hai mai voluto comprare il motorino e
a Giuseppe hai comprato il Vespino. E
va be’, le condizioni economiche
grazie a papà erano cambiate. Per
un’intera carriera scolastica non mi sei
mai venuta a prendere a scuola e ora io
devo andare all’uscita del ginnasio a
prendere mia sorella. Mi spieghi
perché?
– Lo so io.
– Eh no! Stavolta non te la cavi
cosí con i tuoi «lo so io» e «lo so già».
– Calmati!
– Non mi calmo neppure per idea!
– Quanti anni ha tua sorella?
– Quasi quindici.
– Bene, il prossimo anno né
compirà sedici e tu non dovrai piú
andare a prenderla a scuola.
– E perché?
– Perché a sedici anni prenderà il
patentino e tuo padre le ha promesso il
Vespone 125.
25.
26.
1.
2.
– Sí, pronto.
– Il reparto della cultura
dell’«Unione»?
– Sí, mi dica.
– Sono la scultrice Rosaria Marchi
in Uccheddu. Tu chi sei?
– Sono Francesco Ab…
– Non ti conosco!
– Emm… no, mi sa di no…
– Allora scrivi: «Mandela, della
scultrice Rosaria Marchi in
Uccheddu».
– No, mi scusi, non può mandarmi
una mail con i dati della mostra?
– Quale mostra?!
– Be’, la mostra Mandela.
– Non c’è nessuna mostra!
– Ah… ma allora Mandela cos’è?
– Come? Non conosce Mandela?!
– Sí, certo, va bene, ma non ho
capito…
– Allora, quando tu trovi uno
spazio nel giornale, scrivi: «Mandela,
della scultrice Rosaria Marchi in
Uccheddu».
– Sí, okay, ma dove metto che si
svolge?
– Come, dove si svolge?! In tutto il
mondo!
– Ah…
– Allora, ascoltami bene, ti do una
dritta!
– Sí…
– Prima era: Conchiglie e coralli
di Mandela, ora invece è Mandela.
Hai capito?
– No… ma veramente…
– Ecco, quando trovi uno spazio
sul giornale scrivi…
– «Mandela, della scultrice
Rosaria Marchi in Uccheddu»…
– Bravo! Finalmente ci siamo
capiti! Molto, ci voleva?! Buonasera e
grazie.
– Buonasera, grazie a lei.
3.
4.
5.
6.
7.
– Pronto?
– Sí, mi dica.
– La redazione della cronaca?
– No, signora, le do l’interno
giusto.
– Perché, non è la cronaca?
– No, signora, è la cultura.
– Ah, a me hanno detto che questo
è il numero della cronaca!
– No, signora, le hanno detto male.
Ora le passo l’interno…
– Ascolti, e non posso dire a lei?
Cosí lo scrive lei, l’articoletto.
– Credo di no, ma mi dica
comunque…
– Allora scriva: «Scosternati per
la scomparsa…»
8.
– Pronto, ti disturbo?
– No, Ma’, però dimmi, veloce, sto
lavorando…
– Tieni, Rosetta, te lo passo.
– Rosetta?! No! Ma’, aspetta! Sto
lavorando!
– Checco, sono Rosetta, volevo
dirti…
– Sííí…
– Che mi è arrivato il nuovo
«Postal Market»!
9.
10.
– Sí, pronto?
– Sono Mamma.
– Oh! Ciao Ma’.
– Ti disturbo?
– Sono un po’ incasinato, ma
dimmi pure.
– Ma sei al lavoro?
– Sí, Mamma, mi hai chiamato al
numero della redazione.
– E cosa ne so io! I tuoi fratelli mi
hanno registrato questo numero sul
telefonino come «Checco Unione»!
– Appunto, Mamma, «Unione» sta
per «L’Unione Sarda».
– Eh, cosa vuoi che ne sappia, io?
– Okay, Ma’, dimmi pure, che fra
dieci minuti ho la riunione con il
direttore.
– Mi ha chiamato la signora
Corrias…
– Sí…
– Si lamenta sempre, la signora
Corrias, le va tutto bene e si lamenta
sempre…
– Sí, Mamma, quindi?
– Mi ha tenuto mezz’ora al telefono
per dirmi che dall’iPad che le hanno
regalato i suoi nipoti non si leggono le
tue firme.
– Quali firme?
– Le tue firme sugli articoli.
– Le mie firme…
– Sugli articoli! La signora Corrias
è una tua attenta lettrice e non legge
piú la tua firma.
– Be’, sono mesi che non firmo un
articolo.
– Okay, allora chiedi ai tecnici
dell’«Unione» se possono fare
qualcosa per l’iPad della signora
Corrias.
11.
13.
14.
16.
– Pronto! Ha verificato?!
– Mi scusi, con chi parlo?
– Ha verificato se hanno scambiato
i preservativi?
– I preservativi?
– Ho chiamato l’altro giorno! Ha
verificato se c’è stato lo scambio di
preservativi nel prelievo del Dna
dell’assassino di quella povera
ragazza? Micaela!
– Signora, la prego. Un po’ di
rispetto per questa ragazza e, mi scusi
se glielo dico, anche per il mio lavoro.
Le ho già detto che questo non è il
reparto di cronaca. E poi, abbia
pazienza, ma cosa crede? Che un caso
giudiziario sia una serie televisiva
dove tutto si risolve da un giorno
all’altro? Dove i giornalisti sciolgono
i gialli intricati e diventano eroi?
– Ah no?
– No!
– Di che giornale è lei?
– Come, di che giornale sono?! È
lei che ha…
– Di che giornale è?
– «L’UNIONE SARDA»!
– Mischini.
17.
18.
– Pronto, Checco?
– Sí, chi parla?
– Sono Pasqualino Carroni.
– Ah, professore! Come sta?
– Ci ho impiegato mezz’ora a
parlare con te.
– E come mai?
– Perché al centralino dicevano
che non conoscevano nessun Checco!
– Be’, certo, cosí mi chiamano
solo in famiglia.
– Allora io gli ho detto: «Come,
Checco chi? Checco Pisano!»
– No, professor Carroni…
– Sí sí, lo so, quello è il cognome
di tua madre, il tuo è Abate. Comunque
alla fine ce l’ho fatta.
– Mi dica, allora.
– Senti, ti sto chiamando in segreto
da tua madre.
– Che è successo?!
– No, nulla. Tranquillo.
– E allora?
– Il fatto è che tua madre sta
iniziando a patire la solitudine. E tu
dovresti essere piú presente con lei.
– Ha ragione, professore. Ma il
mio è un lavoro con orari un po’
disgraziati. Vede che ore sono? La
gente normale è a casa a cenare, noi
invece siamo ancora qui.
– Sí, lo so. Ma io ti suggerirei, e
bada che tua madre non sa nulla di
questa chiamata, ogni tanto di portarla
al cinema, che le piace molto.
– Ha ragione, dovrei trovare il
tempo almeno una volta alla settimana.
– Oppure, Checco, se la sera non
puoi, accompagnala a fare una
passeggiata, per un gelato.
– Sí, magari di mattina.
– Checco, la solitudine, te lo dico
io, è una brutta cosa e non è giusto che
un figlio lasci sola una madre.
– Certo, professor Carroni, ha
proprio ragione.
– Poi è troppo tardi e uno se ne
pente.
– Ha ragione.
– Sennò poi vengono i sensi di
colpa.
– Giusto, è vero.
– Magari per farla felice la puoi
portare anche a teatro. Non le piace
come il cinema, ma ad esempio la
prossima settimana c’è… c’è… c’è
quello… come si chiama? Il figlio di
quello… come si chiama quello…
quello lí… coso…
– Gassmann!
– C’è Gassmann, capito, Checco?
Puoi portarla a vedere Gassmann. Ogni
tanto, non sempre, puoi anche portarla
a cena fuori e…
– Professor Carroni!
– Sí, Checco.
– Ma con chi è?
– Con nessuno!
– Sicuro?
– Sicurissimo!
– Professore!
– Sí, Checco.
– A me è sembrato…
– No no no, giuro, sono solo,
solissimo.
– Come tua madre!
– Professore!
– Sí.
– Guardi che ho sentito!
– Marie’, ha detto che ti ha sentito!
– Non è possibile, sto parlando
piano!
– Vi sento!
– Ci ha scoperto!
– Allora digli che non si scrive «al
lato» ma «a lato».
19.
20.
– Pronto, Ma’.
– … signora Corrias, allora, la
burrida la mettiamo tutta in queste
terrine…
– Ma’, pronto.
– … no, signora Corrias, il brodo
lo scaldiamo per ultimo…
– Mamma.
– … sí, lo stoccafisso con i pinoli
l’ho messo sul carrello dei secondi…
– MAMMA !
– Uffa! Che c’è, noioso?
– Come, che c’è? Mi hai chiamato
tu!
– Io non ti ho chiamato!
– Sí, Mamma, mi hai chiamato tu, ti
sarà partita la chiamata, ma mi hai
telefonato tu qui al numero del
giornale.
– Impossibile! Io sto preparando il
pranzo di Pasqua per gli indigenti
della comunità.
– Va be’. Senti, visto che ci siamo,
ieri in via Paoli ho incontrato zia
Maria Urraci e ti manda i suoi auguri.
– Impossibile! Zia Maria Urraci è
morta sei anni fa.
– … sí volevo dire zia Maria
Uccheddu.
– Non è possibile, è morta quattro
anni fa.
– Mhm, zia Maria Pisano?
– Non esistono zie Maria Pisano,
esisteva tua bisnonna Maria Pisano che
è morta quando avevi otto anni.
– Zia…
– Uffa, noioso, lasciami perdere
che stiamo preparando la cena per gli
indigenti!
– Ciao Ma’.
– Ciao! Allora signora Corrias le
dicevo…
– Chi era?
– Chi?
– Al telefono.
– Mio figlio.
– Lo scrittore?
– Eh, quello. Su scimpru.
– Ih, mischineddu, e già con
l’Alzaime ce l’hai?
– No, è giornalista.
21.
– Checco?
– Sí, Ma’.
– Oggi lavori?
– Sí.
– E cosa devi fare?
– Devo andare al gay pride, devo
fare un servizio lí.
– Ah!
– Ti scandalizza?
– No no.
– Bene.
– Mi passi a prendere?
– Mamma! Ma ti ho detto che devo
andare al gay pride!
– Appunto.
– Come, appunto?
– Anche io. Mi dài un passaggio?
– Ah, sí sí.
– Non mi va di andarci da sola in
500, ci sarà molto traffico.
– Okay.
– E prima puoi passare a prendere
anche un mio amico?
– Uff… va bene, Ma’, che palle.
– Abita vicino a casa tua.
– Ti ho detto che va bene.
– E la sua 600 è ormai vecchia e
scarrabbeccia.
– Mamma?
– Sí.
– Ma chi è ’sto tuo amico?
–…
– Mamma?
– Ti ricordi la mia pelliccia
d’estate… il tuo vomito…
– Oddio, Mamma, come ho fatto a
non capirlo, sono…
– Allora non si chiamavano ancora
drag…
– Sono proprio…
– Però c’erano già i localini dove
si facevano gli spettacoli…
– Mamma, sono un coglione.
– Se lo dici tu, figlio mio.
22.
– Buongiorno, Checco.
– Buongiorno, professor Carroni.
– Pasqualino. Basta con questo
professor Carroni.
– Pasqualino.
– A dirla tutta, Pasqualino
Maragià.
– Pasqualino Maragià.
– Quando facevo gli spettacolini:
Pasqualino Maragià.
– E Mamma le prestava la
pelliccia.
– Anche le parrucche.
– Anche le parrucche?
– Tua madre aveva una parrucca
bionda con i riccioli, bellissima.
– Ma davvero? Non l’ho mai vista.
– Sí, dice che a tuo padre
piaceva…
– Non voglio sapere altro. Grazie.
– Tua madre lo dice sempre che sei
un po’ bacchettone.
– Ma quale bacchettone?
– In verità, a un certo punto ha
pensato che anche tu fossi
omosessuale.
– IO ?!
– Sí, da ragazzino ti ha beccato piú
volte nella tua stanza che ballavi in
mutande.
– Minca, che vergogna. Però che
c’entra?
– Infatti, nulla. Glielo dissi pure io.
Anche se a un certo punto mi sono
preoccupato.
– Che fossi gay? Lei, dico lei,
professore, si è preoccupato che io
fossi gay?
– No, ma hai sempre avuto certi
mostri come fidanzate! Mischino.
– Va be’, professore, salga…
– Pasqualino.
– Pasqualino. Forza, salga in
macchina, che se arriviamo in ritardo
da Mamma poi chi la sente?
– Ti scoccia se mi cambio in
macchina?
– No, no, prego. Tanto, ormai.
– Secondo te vado bene, se resto
solo con le mutandine in pelle?
– Si figuri. È estate.
– Ah ah ah! Cretino. Sto
scherzando!
– Ah! Meno male!
– Mi metto anche la canottiera.
23.
24.
– Francesco.
– Oh! Caro Alessandrini!
– Sei un pezzo di merda.
25.
– Pronto, Alessandro?
– Vaffanculo.
– E dài!
– Cazzo, mi hai rovinato la vita! Tu
non hai idea di quante volte al giorno
mi chiama ’sto Deprunas.
– Ahahahah!
– E non hai idea a che ora mi
chiama e quanto mi tiene al telefono!
– Ahahahah!
– Non ridere. Guarda, anticipa
l’uscita della recensione, che non ne
posso piú!
– Okay.
– Okay un tubo! Ora vuole
sottopormi la lettura del saggio
Ungaretti - Bobore Moros e vuole
passare a casa a portarmelo
personalmente.
– Ah! A proposito, hai capito chi è
’sto poeta, Bobore Moros?
– Certo!
– E chi è?
– Il cognato!
26.
– Pronto, Checco?
– Sí, Mamma.
– Mi ha telefonato il poeta
Deprunas.
– Oddio, no!
– Oddio, sí. Mi ha tenuta un’ora al
telefono.
– Mamma, dobbiamo levare il
numero di casa tua dall’elenco
telefonico.
– Al piú presto. Poi Gabriele
Abate è il primo nome dell’elenco
telefonico di Cagliari.
– Io lo dico da anni.
– Credo che ormai, a vent’anni
dalla sua morte, non si offenderà
nessuno.
– Credo anche io.
– Comunque, questo Deprunas mi
ha fatto una testa a pallone. Pensava
che tu vivessi ancora qui. Dice che al
giornale non riesce piú a trovarti e
voleva il tuo numero di cellulare.
– Nooo!
– Infatti, per ora non gliel’ho dato.
– Come, per ora?
– Mi accompagni stasera al cinema
Odissea?
L’eterno riposo
1.
– Ci vieni a messa?
– No.
– Perché non ci vieni?
– Perché le vostre non sono messe,
sono maratone.
– Non esagerare.
– Non esagerare? Le nozze di Anna
sembravano quelle di Cana. Il funerale
di papà è iniziato a marzo ed è finito a
giugno.
– Non fare il cretino.
– Io non faccio il cretino, però voi
neocatecumenali siete esagerati. Ore e
ore per una semplice messa. E canti e
letture e poi di nuovo canti e poi di
nuovo letture. Non si finisce mai.
Neppure la presentazione di un libro
del poeta Deprunas dura cosí tanto!
Sintesi! Sintesi! Ci vuole sintesi.
Bastano poche ma giuste parole per
entrare nel cuore della gente. E voi
invece no! Parole, parole, parole,
quante parole. Troppe!
– Un giorno capirai. E poi calmati.
– Non sono interessato a capire né
a calmarmi! Il funerale di Gabriele,
nostro nipote… nemmeno lí vi siete
risparmiati…
– Cosa c’era che non andava?
– È stato uno strazio. Vedere mia
sorella salire sul pulpito e pregare per
suo figlio. Non una lacrima, il viso
stravolto dal dolore. E poi la bara,
piccola piccola al centro di quella
chiesa. Io non riesco a levarmelo dalla
mente… lui steso sul tavolo
dell’obitorio gelido. L’odore
nauseabondo dei fiori che si mischiava
con quello dei disinfettanti. Non si può
morire a diciotto mesi, Mamma!
– E cosa c’entriamo noi
neocatecumenali?
– Nulla, ma con qualcuno me la
dovrò pur prendere.
2.
– Ci vieni a messa?
– E dringhidi. Lo sai che da voi
non ci vengo.
– E dopo, quando esco, mi ci porti
al cimitero?
– Sí, in cimitero sí. Però non farmi
fare tutto il giro della famiglia.
– Tranquillo, tutta tutta no.
3.
4.
5.
7.
– Papà?!
– Che c’è, Giulietta?
– Papà?!
– Dimmi…
– Ma dov’eri?
– Al cimitero con tua nonna.
– Al cimitero? Ma hai una guancia
livida e la camicia sporca di sangue.
Ti ha picchiato nonna?
– Lascia perdere.
– Ahahahahahah. Col battipanni?
– Giulia, per favore.
– Ahahahahahah.
– Non è andata come credi.
– Ahahahahahah.
– Ho sedato una rissa tra tua nonna
e una ladra di fiori.
– Ahahahahahah.
– Giulietta, bella di papà tuo…
– Sí, papino?
– Vaffanculo, va’!
8.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la messa
commemorativa per tuo padre, ci
vieni?
– Certo, Mamma.
– Sicuro?
– Ma certo, ci mancherebbe altro.
Dimmi dove, quando e a che ora.
– Alla chiesa del Poetto, sabato
alle 6,30.
9.
– Non è giusto!
– Sali in macchina e non rompere.
– Non è giusto!
– Sali in macchina.
– Non è possibile!
– Quante volte hai accompagnato
tua nonna al cimitero?
– Tre!
– Quante?
– Due!
– Quante?
– Due!
– Non dire fesserie, Giulia! Ci sei
andata una volta sola!
– Due! Con questa, due!
10.
– Vedi, Giulia…
– Sí, nonna.
– Questa è la tomba di mio nonno
Rosolino Guicciardi.
– Sí, nonna.
– Tuo babbo una volta gli aveva
fatto la pipí sulle gambe. Tuo padre
era un grande piscione. E anche
cagone.
– Sí, nonna.
– Nonno Rosolino era sposato con
nonna Emma. Una donna bellissima.
Anche mia nonna Maria, che sta piú in
là, era molto bella.
– Sí, nonna.
– Tutte le donne di famiglia sono
sempre state molto belle.
– Sí, nonna.
– Slanciate, affascinanti ed
eleganti.
– … sí, nonna…
– Ora che ci penso, però, non tutte.
Zia Tea, no. Zia Tea era piú come te.
11.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la messa
commemorativa per tuo nipote
Gabriele, ci vieni?
– Certo, Mamma.
– Sicuro?
– Dimmi dove, quando e a che ora.
– Alla chiesa del Poetto, domenica
alle 6,45.
12.
– Nonna?
– Sí, Giulia.
– Ma avevi già pensato dove
seppellire papà se il trapianto fosse
andato male?
– A fianco a me.
– Non ti capisco.
– Ho avuto paura che un altro lutto
cosí non lo avrei sopportato. Senza un
marito si può provare a resistere, ma è
durissima. Poi, sai, io e tuo nonno,
be’… capirai quando sarai piú grande.
Perdere i genitori fa parte della vita, te
ne fai una ragione. Seppellire un
fratello e un nipotino ti fa mettere in
dubbio l’esistenza di Dio. Sono prove
insormontabili. La fede traballa, ma ti
sorregge. Perdere un figlio, tuo
padre…
– Non ce l’avresti fatta?
– E provaci tu a vivere senza
l’unica persona a cui puoi rompere i
coglioni impunemente.
13.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la messa
commemorativa per i nonni, ci vieni?
– Mhm, okay.
– Sicuro?
– Farò il possibile. Dimmi dove,
quando e a che ora.
– Alla chiesa del Poetto, lunedí
alle 12,15.
14.
– Sali in macchina.
– No.
– Forza, Giulia!
– No, papà! Ogni volta nonna mi
insulta.
– Ma smettila!
– Sí, l’ultima volta mi ha detto che
sono racchia e bassa come zia Tea.
– Ma smettila! Te l’ha detto per
prenderti in giro.
– No! Era seria!
– Ma se non esiste nessuna zia Tea!
– Non esiste?
– No, hai una nonna un po’ cosí…
– Cazzona?
– Eh, cosí.
– Ma dimmi tu. E comunque questa
volta non vengo con voi al cimitero.
– E dài, cosí ne approfittiamo,
andiamo al bancomat e ti do la paga
del mese.
– Allora vengo.
15.
16.
– Giulia?
– Sí, papà.
– Questo mese nonna al cimitero ci
va da sola.
– Sono d’accordo.
17.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la mess…
Click.
– Checco?! Checco?! Ci sei?
Pronto? Pronto, Checco? Prontooo?
Abbiate pietà
1.
2.
3.
4.
6.
7.
8.
– Mamma, ho sentito Giuseppe.
L’operazione è andata benissimo.
– Lo so già.
9.
10.
11.
– E come stai?
– Male.
– Va be’, e oggi perché stai male?
– Perché hai fatto un altro errore in
uno dei tuoi articoli.
12.
– Ahia!
– Quando fai cosí mi fai star male!
– Tu? Mi dài un ceffone al collo e
stai male tu?
– Certo. Mi fai vergognare.
– Io?
– Certo!
– Ma’.
– Oh.
– Perché mi hai dato una pappina?
– Perché stavi guardando quella
ragazza!
– No.
– Sí.
– E poi era una grezza.
– Dici?
– Vedi tu. Aveva il tacco piú alto
del femore.
13.
1.
2.
3.
– Pronto, Ma’, che succede?!
– Nulla, prima di partire mi sono
dimenticata di dirti di mettermi da
parte ogni giorno «L’Unione Sarda».
– Cazzo, Ma’! E mi chiami all’alba
per dirmi questo?
– Tu mettimi da parte «L’Unione» e
non dire parolacce. Sono a
Gerusalemme!
– Embe’!
– Qui Dio ci ascolta.
4.
– Pronto?
– Ciao Giuseppe.
– Hai sentito Mamma?
– No.
– Tu, come va?
– Bene, sto pensando di scrivere
una cosa su di lei.
– Tipo?
– Una serie di sketch su di lei.
– Ti ammazza.
– Su come ci ha educato. Il
rapporto con la malattia. E ora questo
suo viaggio.
– Ti ammazza.
– Una roba tipo… posso leggerti?
– Vai.
– «Sono disorientato. Quando era
in vita papà, lui e Mamma partivano
spesso. Ci lasciavano soli. Con mio
fratello non vedevamo l’ora. I nostri
ormoni in ebollizione adolescenziale
percepivano subito che per loro
sarebbe stata un’eccezionale
occasione. Ma Mamma lasciava in
giro per la casa e soprattutto sopra il
suo letto matrimoniale dei fogli con un
disegno fatto da lei e una scritta. Il
disegno: il triangolo e l’occhio dello
Spirito Santo. La scritta: “La Mamma
vi guarda anche se non c’è. Non
portate ragazze a casa!” Oggi
rientrando a casa ho avuto l’istinto di
guardare se quel foglietto non fosse sul
mio letto matrimoniale».
– Ti scortica.
– Vorrei testarlo sui social
network.
– E poi ti butta il sale sulle ferite.
– Va be’, da domani provo e
vediamo l’effetto che fa.
– Fratello?
– Sí.
– Sai qual è il tuo peggior difetto?
– Sí, non ti ascolto mai.
– Ecco. Però ricordati che metteva
anche una foglia secca sul suo letto fra
il materasso e il lenzuolo.
– Giusto!
– Se al suo rientro la foglia era
spezzata…
– Per noi erano dolori! La scrivo.
– Sí, ma non dire che te l’ho
ricordata io.
– Tranquillo.
5.
– Ciao Ma’
– Ciao un corno! Mi hanno detto
che stai scrivendo fesserie su
Facebook sul mio conto!
– Be’, non sono fesserie! Quella
dell’occhio con la scritta lasciata
sopra il letto matrimoniale è vera.
– Sí, quella è vera. Ma la gente non
deve sapere gli affari nostri!
– Ahahahaha! Ahahahahahah!
– Smettila o ti querelo!
– Ahahahaha ahahahahahah!
– Smettila o da ora in poi do il tuo
numero di telefono a tutti quelli che
chiamano me per farti leggere le loro
poesie!
– Okay, Ma’. Okay, la smetto.
6.
– Ciao Ma’, come stai?
– Non mi lisciare, cosa ti serve?
– Posso riprendere a scrivere su di
te e le tue amich…
– No!
– Dài, Ma’! Posso scrivere che
vuoi morire ed essere seppellita lí, che
già uno è risorto e magari capita anche
a te?
– No! E poi non è mia, l’ho copiata
da una barzelletta!
– E che sei nel lago di Tiberiade a
provare a camminare sull’acqua?
– No! Noioso! Non rompere!
– Dài…
– Ti ho detto di no! E ora lasciami
che ho la meditazione.
– Ma’, gli chiedi al Signore se…
– Al Signore già gli devo chiedere
perché mi ha dato te e non il figlio di
signora Castía.
– E cos’ha piú di me?
– È morto.
7.
– Pronto?
– Figlio mio, tutto bene?
– Sí sí, grazie, Ma’. E voi, tutto
bene?
– Sí, qui bellissimo, asco’: resta in
linea che ti passo la signora Corrias,
vuole essere messa anche lei su
Facebook…
– Ah! No no no! Ma’, aspetta un
attimo! Nooo! Non mi passare
nessuno! Maa’!
– Signora Corrias… sí, è mio
figlio, quello che da piccolo si era
fatto la cacca addosso nel suo
cortile…
– Maaa’!
– Buongiorno, si ricorda di me?
Ero quella che aveva prestato a sua
madre le mutande pulite per lei.
– Buongiorno, signora…
– Ascolti, volevo che mettesse una
barzelletta che ci ha raccontato ieri a
cena don Pibireddu.
– No, aspetti…
– Allora… Due rabbini italiani
s’incontrano…
– Aspetti…
– Uno si dice preoccupato perché
il figlio è andato in Terra Santa ed è
tornato cristiano. L’altro gli confessa
che la stessa cosa è successa al suo,
cosí si propongono di andare a
consulto dal Padre Eterno…
– Sí, signora, la conosco: è
vecchia…
– Allora vanno da Dio e gli
dicono: Signore i nostri figli sono
andati in Terra Santa e sono tornati
cristiani. E Dio gli risponde: Eh!
Cittirí! Anche il mio!
–…
– Ahahaha! Ahahaha!
Ahahahahahahahah! L’ha capita?!
– Sí, l’ho capita. Ma Dio secondo
lei gli ha risposto in sardo?
– … tiè, Mariella, prendi il
telefono. Avevi ragione l’altra sera:
tuo figlio è un povero scemo.
8.
– Pronto?
– Sí, Ma’, ora che c’è?
– Come si chiamava quella tua
fidanzatina dei diciassette anni?
– Quale, Ma’?
– Quella che ti aveva giurato
eterno amore. Quella che quando ti sei
fatto il ricovero di due mesi prima
della maturità voleva un letto a fianco
al tuo, poi non ti è mai venuta a
trovare.
– Non me lo ricordo, Ma’…
– Dài! Quella che mentre tu eri
ricoverato si è messa con un tuo
amico…
– Mamma, non me li ricordo e non
me li voglio ricordare.
– Iniziava con r…
– Cosa?
– Il nome di quella fidanzatina.
– Mamma! Dài, lascia perdere per
favore.
– Va be’, ciao.
– Ciao Ma’.
– … no, signora Corrias, non si
ricorda se era l’ex moglie di suo
figlio. Ma il genere è quello.
9.
10.
– Che ora è lí?
– Quasi mezzanotte. E lí?
– Booh.
– Come, booh, Ma’?
– Lasciamo perdere, che ho mal di
testa.
– Guarda che mi hai chiamato tu,
non io.
– Non ti ho chiamato io.
– Sí, Ma’, ho trovato una chiamata
persa e quindi ti ho richiamato.
– Non è possibile.
– Va be’, dài.
– Ti dico che non è possibile.
– Sí, sí. Comunque, visto che ci
siamo, ti è piaciuta Tel Aviv?
– Un caos bestiale. Però la
spiaggia è bellixedda. Non è il nostro
Poetto, però è bellixedda.
– E la festa?
– Be’, eravamo lí. Ci è esplosa
intorno. E, sai com’è, Pasqualino si è
subito lanciato.
– E tu?
– E io cosa?
– Ti sei divertita?
– Eja.
– E signora Corrias?
– Imbriaga. Non regge gli alcolici.
– E tu li reggi?
– No, ma io mica bevo. Faccio
finta. E a don Pibireddu gli è piaciuta
molto, la musica, soprattutto quella del
tuo amico… quello… coso… quello
che mi hai detto…
– Frankie Knuckles.
– Proprio lui. Ha detto che la trova
buona anche per la messa, riadattata
ma funziona. Ha detto che porta con sé
un bel messaggio di amore e
misericordia.
– Amore di sicuro… misericordia
non credo. Però, Mamma, piú che
amore, sesso, direi. Quel brano parla
di sesso.
– Anche il sesso fa parte
dell’amore. Tua bisnonna Maria
Pisano diceva sempre…
– Che tutti i problemi fra moglie e
marito si risolvono a letto.
– Te l’ho già detta?
– Mille volte, Ma’.
– Sto invecchiando. Ti ho detto,
invece, di Pasqualino?
– No. Ma me lo immagino.
– Forza.
– Si fa frate.
– No! Cretino!
– Allora non so.
– Ha detto che resta qui.
– Naaa! Si fa ebreo?
– Ma non dire fesserie!
– Si sposa! Ha trovato il compagno
della sua vita!
– Ih, mischino, ormai chi se lo
sposa? Oh, si tiene bene per la sua età,
ma ormai non se lo sposa piú nessuno.
– Be’, se si ostina a mettersi in
mutande di pelle ai gay pride.
– Noo, ma qui mica si veste cosí.
– Come minimo.
– No, resta qui alla Casa
Tiberiade. Un anno. Interprete
volontario per i pellegrini. Sai, lui
parla benissimo tre lingue.
– E tu, Ma’, non resti?
– Mi piacerebbe.
– E perché non resti?
– Sarebbe il sogno della mia vita.
Qui nei luoghi di nostro Signore Gesú
Cristo. Tu non hai idea, Checco. È una
sensazione indescrivibile.
– E allora perché non resti?
– No, non posso.
– Potresti fare anche tu l’interprete,
del resto hai insegnato francese per
anni.
– No, poi qui serve soprattutto
l’inglese.
– Va bene, ma puoi fare altro. O
no?
– No, poi io ho il mio gregge.
– Il tuo gregge?
– Sí, voi, figlio mio.
– E io chi sarei, Ma’, la pecora
nera?
– No, l’asino.
11.
– Checco?
– Mamma?
– Sono al Muro del Pianto.
– Ma stai piangendo?
– Quasi.
– Quasi?
– Lo sai che non ho piú lacrime.
– E dài!
– L’ha detto anche tuo cognato
Marco Piu, l’oculista, ho la sindrome
dell’occhio secco. Non ho piú lacrime,
ma adesso le vorrei avere tutte per
piangere.
– Ma perché, Mamma?
– Perché questo è un posto
bellissimo dove si dovrebbe trovare
amore e condivisione. E invece non è
cosí.
– E vorresti piangere per questo?
– Sí. Tanto. Anche per questo. Per
questa terra dilaniata. Per loro, tutti
loro che non trovano pace. Per noi che
non siamo in grado di essergli d’aiuto.
Per le loro famiglie e le nostre cosí
piene di dolore, di lutti. Qui al Muro
ho pensato soprattutto a nostro nipote
su quel marmo dell’obitorio, morto ad
appena diciotto mesi. Non so perché,
ma guardando questi bambini ho
pensato a lui.
– Su, Mamma, dài.
– Sai, Checco, è brutto non avere
le lacrime. Sfogarsi e far andare tutto
via. Liberarsi almeno per un poco.
Invece il Signore mi ha tolto anche le
lacrime. E io non riesco a capire
perché.
12.
– Mamma?
– Ciao Checco.
– Come va?
– Male.
– Sí, capisco. Mi spiace tanto,
Mamma. Però vedrai che lí, secondo
me, una risposta a tutte le domande la
troverai.
– Quali domande?
– Be’, i tuoi dolori, i tuoi lutti, la
tua solitudine, le lacrime che tu non hai
piú…
– Ma no! Sto parlando di cose
serie!
– Ah!
– Signora Corrias testarda!
– Cosa ha fatto?
– Ha bevuto da una fontanella.
– Ah!
– Eppure gliel’avevano detto in
tutte le lingue di bere solo dalle
bottiglie sigillate!
– E come sta?
– È tutto il giorno che ha la
cagarella!
– Oh, poverina.
– Poverina lei e poverina io che
condivido la stanza con lei. C’è un
odore, un odore che neppure nella
stiva dell’arca di Noè.
13.
– Ma’!
– Che c’è, noioso? Dài, che stiamo
salendo sul pulmino.
– Mi stanno votando personaggio
dell’anno in Sardegna.
– A chi?
– A me, Mamma.
– E perché?
– Be’, vedi…
– A te? Ahahahahahahahah!
Ahahahahahahahah! Ahah-
ahahahahahah!
– Smettila, Ma’…
– Ahahahahahahahah! Ahahahahah!
Ahahahahah!
– Ma’, dài…
– Ahahahahahahahah! Ahahahahah!
Ahahahahah!
– Ma’…
– Non vorrai chiedermi il voto,
vero?
– No… cioè… sí… cioè, magari
almeno la signora Corrias…
– La signora Corrias vota i
polpacci di Zola!
– Va be’, ciao Mamma. Forse il
Signore era meglio che ti levava le
risate e non le lacrime.
14.
– Checco.
– Mamma.
– Domani torniamo. Atterriamo
all’aeroporto di Elmas a mezzanotte.
– Ti vengo a prendere io.
– Grazie.
– Figurati. E allora, qual è la
lezione che ti porti a casa dopo questo
lungo mese?
– Tante, figlio mio, piú nuove
domande che certezze.
– Ah!
– «Solo chi naviga nelle tormentate
fiumane del dubbio e non si lascia
tentare dalle acque chete della certezza
avrà aperte le porte della saggezza»…
– La Bibbia?
– No, Facebook.
– Ah!
– Ma va bene cosí.
– Se lo dici tu.
– Di certo, c’è solo che voglio
tornare quanto prima.
– Nient’altro?
– No, solo signora Corrias tornerà
a casa con una grande certezza.
– Quale, Ma’?
– Che è molto brutto scagazzarsi in
pubblico come capitò a te.
15.