Abate Francesco - Mia Madre e Altre Catastrofi

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Francesco Abate

Mia madre e
altre catastrofi
Mia madre e altre catastrofi

a Cinzia e a tutti i donatori di vita


– Cara Mamma, questo libro è un
gioco, un gioco dedicato a mio padre
Gabriele, che ci ha lasciato troppo
presto. E gli sarebbe piaciuto leggere
una storia cosí, vedere come ce la
siamo cavata senza di lui.
– Un disastro, caro figlio.
Ci presentiamo

1.

Mi chiamo Mariella, sono nata nel


1937. Sono figlia di un’insegnante di
greco e latino e di un colonnello dei
carabinieri. Babbo per molti anni è
stato nei servizi segreti.
Sono vedova dall’età di
cinquant’anni. Ho avuto tre figli, otto
nipoti, due di loro sono già volati in
cielo. Sono stata anch’io un’insegnante
di scuola media. Avrei dovuto
insegnare francese. Pigiati in cinque in
una Fiat 500, all’alba raggiungevamo
le scuole dei paesini piú remoti della
Sardegna. In quegli anni il francese era
l’ultima cosa che a quei ragazzini
servisse.
Anche oggi insegno. Scuola
popolare. I miei alunni sono lavoratori
immigrati o collaboratrici domestiche
ai quali serve almeno la terza media.
Ho combattuto le battaglie
d’emancipazione per la donna. Sono
marxista ma soprattutto cristiana, anzi
neocatecumenale, che come dice mio
figlio è la Formula 1 del cattolicesimo.
Lo dice per prendermi in giro, perché
lui non approva.
Mio figlio, con tutto il rispetto per
me stessa, è un gran figlio di buona
donna.
Racconta un sacco di balle, ma fra
le bugie infila molte verità.
Non gli ho mai fatto sconti.
Neppure sui diritti d’autore di questo
libro.

2.

Sono il figlio della Mamma di


Francesco Abate.
E questa è la nostra piccola storia.

Istruzioni di lettura.

I fatti qui riportati sono divisi in


capitoli tematici, a loro volta divisi
secondo una scansione temporale che
va dall’infanzia al presente. Ma
Mamma dice che mica è cosí chiaro.
Anzi.
Con Mamma si è anche molto
litigato su cosa fosse accaduto
esattamente prima o dopo, quale fosse
la precisa collocazione dei fatti negli
anni.
Ci siamo scornati nell’accertare
con matematica precisione se
frequentassi ancora le elementari
Sebastiano Satta o se fossi già alle
medie Regina Elena, se studiassi al
liceo ginnasio Dettori o fossi già
fuggito al liceo ginnasio Siotto Pintor.
Se ho ceduto su alcune sue
convinzioni, ma solo per quiete
familiare, nulla le ho concesso sulla
localizzazione degli ospedali dove
siamo stati costretti a vivere parte
della nostra vita.
Mamma dice che però spesso ero
rintontito dai farmaci e quindi sto
comunque e sempre dicendo fesserie.
La mangiatrice di tigri

Mamma è stata allevata con le


tigri. L’hanno chiusa dentro una gabbia
e l’hanno fatta uscire solo quando ha
sbranato l’ultima. Dunque, siamo i figli
di una mangiatrice di tigri. Almeno
cosí dicono.

1.

– Mamma, Mariacogotti mi ha fatto


vedere la patata.
–…
– Ahia! Ahiaaa! Ahiaaa! E basta,
con questi pizzicotti con la girataaa!
Ahiaaa! Bastaaa! Non ho fatto nullaaa!
È stata lei a farmela vedereee!
– E tu l’hai guardata?
– … Sí, però… Ahia! Ahiaaa!
Ahiaaa!

2.

– Mamma, quindi la differenza fra


maschi e femmine è che noi abbiamo il
pirillo e voi la patata?
– No, la differenza è che noi
femmine quando voi maschi siete
bambini vi puliamo il culetto, quando
siete grandi vi puliamo mutande,
camicie, calze, pantaloni e il piatto
dove mangiate, quando siete vecchi
tutto questo e nuovamente il culetto.
– Quindi noi maschi non facciamo
nulla?
– Esatto.
– Quindi siamo fortunati?
– Esatto.
– Quindi oggi non tocca a me
lavare i piatti?
– Esatto.
– Grazie, Mamma.
– Prego, figlio mio.
– Ahia! Ahiaa! Ahiaaa! Ahiaaa!
Dài, basta Mamma, con i pizzicotti!
Cosa ho fatto di maleee?!
– Il furbo. E ora fila a lavare i
piatti.
– Io vado, comunque in questa casa
la differenza è solo pisello e patata.

3.

– Sí? Chi è?
– Sono il maresciallo Aruffo del
piano di sotto, professoressa. Ci può
aprire la porta, per favore?
– Un attimo! Mi dia il tempo di…
– Sí, faccia con comodo, sono qui
con i suoi bambini.
– Maresciallo!
– Professoressa, buonasera.
– Oddio, che è successo?!
Cos’hanno combinato questi due
disgraziati? Glielo dico sempre di non
star lí affacciati al terrazzino a fare la
gara di…
– Si calmi, professoressa, li
abbiamo trovati per tempo.
– … trovati per tempo? Ah! Non è
per le lenzuola?
– Come? Quali lenzuola?
– No, no, nulla… mi dica.
– Dicevo, professoressa, che li
abbiamo ritrovati per tempo.
– … ritrovati…
– Abbiamo subito capito che erano
fuggiti di casa.
– … fuggiti…
– Perché ci siamo detti: non è
possibile. Cosa ci fanno due bambini
da soli dall’altra parte della città,
mille miglia lontano da casa?
– Giusto! Cosa ci fanno?
– Ma Mamma!
– Voi state zitti! Che poi facciamo i
conti a casa!
– Ma Mamma, siamo già a casa! E
poi tu…
– Zitti! Zitti, disgraziati! E fate
parlare il maresciallo Aruffo!
– Allora, professoressa, le dicevo:
per fortuna oggi ero di servizio con il
Radiomobile, fatto che non mi compete
per l’elevatezza del mio grado, ma il
caso vuole che decida di uscire con
una mia pattuglia, e indovini chi
avvisto?
– Questi due disgraziati.
– Esatto. Mano nella mano, felici e
contenti, che se ne vanno in giro per la
città. Per di piú dividendosi un panino
che in seguito è stato appurato
contenesse margarina e zucchero.
– Maledetti.
– E subito mi sono detto: cosa ci
fanno lontani mille miglia dal nostro
palazzo i figli della professoressa
Pisano, nipoti del nostro amato
colonello? Cosa ci fanno soli un
bambino di…
– Quattro anni.
– Ecco, quattro anni. E uno di…
– Sette anni.
– Ecco, sette anni, lontani…
– Mille miglia da casa.
– Esatto professoressa, mille
miglia da casa! E in piú mi sono detto:
cosa ci fanno a quest’ora, poco prima
del tramonto? Che per essere giunti
sino a qua devono avere nell’ordine
superato: il viale Trieste, assai mal
frequentato da passeggiatrici note agli
uffici, la centralissima piazza Yenne,
assai peggio frequentata da gruppi di
malavitosi usi stazionare presso il bar
La cicala, il popolare quartiere la
Marina, che peggior zona nella nostra
città non c’è, bubbone infetto di bische
e bordelli? E da qui immettersi nella
scarsamente illuminata via XX
Settembre?
– Già, cosa ci fanno?
– Saranno fuggiti di casa!, mi sono
detto.
– Disgraziati! E io che pensavo
fossero in cortile!
– Ma Mamma!
– Zitti, voi! Zitti! Correte
immediatamente nella vostra stanza!
– Ma Mamma!
– Filate in silenzio, che dopo
facciamo i conti!
– Professoressa, non infierisca.
L’importante è che ora siano sani e
salvi a domicilio.
– Tutto merito suo, maresciallo.
– Ma si figuri, è stato un dovere e
un piacere essere utile alla sua
famiglia. Un vero onore e, la prego,
presenti i miei ossequi al colonnello.
– Sarà un piacere maresciallo.
Presenterò.
– Sa, nel vedere questi due
bambini ho pensato ai miei figli e, le
assicuro, mi sono commosso al
pensiero di questi due pargoli in balia
dei peggiori pericoli e delle piú
insidiose insidie.
– Certo, maresciallo, la mia
famiglia le sarà grata nei secoli.
– Grazie, professoressa, ora la
saluto. Una rampa e sono a casa.
– Saluti la sua cara moglie.
– Presenterò… Sa, solo una cosa
ancora mi incupisce.
– Prego, maresciallo.
– Chissà chi avrà dato loro quel
disgraziatissimo panino margarina e
zucchero…
– Eh già, maresciallo, chissà.

4.

– Mamma, però non è giusto.


– Muti e zitti.
– No, non è giusto.
– Zitti tutti e due!
– Zitti un cavolo! Ti abbiamo
sentito!
– Sentito cosa?
– Che ridevi!
– Quando?
– Prima, al telefono!
– Con chi?
– Con nonno!
– Non era il nonno!
– E chi era? Ti abbiamo sentito che
dicevi: «Babbo, dovevi vedere la
faccia del maresciallo Aruffo!»
– Uffa, noiosi.
– Mamma…
– Che c’è?
– Perché non gli hai detto al
maresciallo che ci hai mandato tu a
casa dei nonni a piedi, che tanto ormai
siamo due bravi ometti? Perché non gli
hai detto che ci hai spiegato tu la
strada per benino? Perché non gli hai
detto che saremmo tornati indietro in
macchina con papà che stava dai nonni
a studiare per l’esame di Stato? Che
qui noi facciamo chiasso con le
macchinine e lui non riesce a
concentrarsi e se poi non passa
l’esame è colpa nostra? Eh, perché?
Perché non gli hai detto che papà si
sarebbe prima stupito poi commosso
nel vederci comparire lí da soli? Eh,
Mamma? Perché non gliel’hai detto?
– E voi perché non glielo avete
detto?
– Perché abbiamo avuto paura che
ci volevano arrestare.
– E perché?!
– Perché sputiamo sempre dal
terrazzino sulle lenzuola del
maresciallo Aruffo.
– Bravi. Proprio bravi.
– Sí, ma tu perché non gliel’hai
detto?
– Perché la gente non capisce e ha
paura.
– Cosa non capisce, Mamma?
– L’emancipazione.
– Ah…
– Sí.
– E di cosa ha paura?
– Della libertà.

5.

– Bambini!
– Sí, Mamma!
– Potete andare a giocare in
cortile.
– Grazie, Mamma!
– Prendetevi la merenda che vi ho
messo sul tavolo della cucina.
– Cosa ci hai preparato, Mamma?
– Rosetta con margarina e
zucchero.
– Ancora! No, dài, Ma’! L’ha detto
anche il maresciallo Aruffo che è un
panino disgraziatissimo.

6.

– Ti ho lasciato il panino con


margarina e zucchero. E la gazzosa,
che ti piace tanto, è in frigo.
– Uffa, Mamma, sempre il solito
panino! E per Giuseppe cosa c’è?
– Nulla.
– Come, nulla?
– Viene con me al collettivo.
– Non gli piace.
– Cosa, non gli piace?
– Il collettivo femminista.
– E perché? Facciamo anche un
sacco di torte per i bambini.
– Ecco, infatti, lui dice che sono
torte alluppose! Sembrano fatte con la
sabbia!
– Alluppose?
– Sí, dice che ci vuole lo stoppino
per spingerle giú oppure tanta Coca-
Cola. Però voi la Coca-Cola non la
comprate perché è capitalista e avete
solo gazzosa calda che fa schifo.
– Non abbiamo i soldi per un frigo.
– E poi ha paura!
– Paura? E di che?
– Ha sentito una che urlava che ai
maschi gli tagliavate il pisello.

7.

– Mamma, è vero che sei stata


allevata dentro una gabbia di tigri e
quando ti sei mangiata l’ultima ti hanno
fatto uscire?
– Chi l’ha detta questa scemenza?
– Il maresciallo Aruffo del piano
di sotto questa mattina alla portinaia.
– Ah sí?
– Sí!
– Avete il permesso di fare la gara
di sputi dal terrazzino.
– Anche se sotto hanno steso le
lenzuola?
– Soprattutto.
– Grazie, Mamma!
– Prego.

8.

– Sono stanca e avvilita. Quindi


oggi non giochiamo insieme a
Monopoli.
– No, dài!
– Lasciatemi perdere, oggi non è
serata.
– Perché, Mamma?
– Perché ci toccherà pagare la
ripulitura del muro condominiale.
–…
– Hanno scoperto che è stato tuo
fratello a fare le scritte.
– No, non è vero! Non è stato lui!
– «Pino il Soversivo». Solo lui che
ha sei anni poteva scriverlo tutto storto
e con una sola v. E poi è l’unico
Giuseppe del palazzo.
– Te l’avevo detto, Mamma, che
quel collettivo gli faceva male.
–…
– Ahia! Ahiaa! Ahiaaa! E basta,
con questi pizzicotti con la girataaa!

9.

– Checco!
– Mamma!
– Checcho!
– Mammaaa!
– Perché stai piangendo?
– Mi hanno rubato la merenda.
– E chi è stato?
– Un gruppo di ragazzini.
– Dài, non piangere… Cosa vuoi
che sia?
– Ma mamma, mi hanno anche
picchiato!
– Disgraziati, picchiare per avere
un panino. Dove porta la fame!
– Mamma, mi hanno picchiato
dopo averlo assaggiato.

10.

– Mamma?
– Che c’è, noioso?
– Anche la mamma di Mariacogotti
sta venendo al collettivo femminista?
– No, non mi risulta. Non al nostro,
perlomeno. Che io sappia. Ma perché?
– No, cosí.
– Cosí come? Forza, sputa il
rospo.
– No, nulla.
– Sei nervoso, vero?
– No.
– Sí, sei nervoso, quando ti tocchi
il pirillo sei nervoso.
– Non mi sto toccando il pirillo!
Sono i calzoncini che mi stanno stretti
qui.
– Sei nervoso, ti stai toccando il
pirillo e mi stai facendo perdere
tempo. Avanti! Perché mai la Mamma
della tua Maria Cogotti starebbe
venendo al collettivo femminista?
– Perché ieri lei mi ha detto che
non mi fa piú vedere la patata.
– Guardami bene in faccia, figlio
mio.
– Io ti guardo, ma tu non mi
picchiare.
– Non ti picchio, ma tu ascoltami
bene e smettila di toccarti il pirillo.
Insomma!
– Sí, Mamma.
– Punto uno: era ora che questa
Maria Cogotti la smettesse con quelle
porcherie, il Signore ha finalmente
ascoltato le mie preghiere e l’ha
illuminata. Punto secondo: cosa
diamine c’entra il nostro collettivo?
– No, cosí, sai…
– Sai cosa?
– No, cosí…
– Forza!
– Ecco, sai, io alla manifestazione
l’ho sentito che urlavate: «L’utero è
mio e lo gestisco io!»
– Sí, e cosa c’entra?
– Mariacogotti mi ha detto che non
mi fa piú vedere la patata se non le do
cinquecento lire.
– Checco!
– Sí, Mamma
– Avvicinati!
– Niente schiaffi, però!
– Tu avvicinati.
– No!
– Non farmi perdere la pazienza.
– No, dài…
– Avvicinati!
– Niente schiaffi, però.
– Tranquillo, figurati, fidati di
Mamma tua.

11.

– Mamma, scusa, mi dispiace. Però


non essere cosí triste.
– Non sono triste. Mi fanno solo
male le mani per gli schiaffi che ti ho
dato.

12.

– Mamma?
– Sí.
– Ma non è una contraddizione
essere femministe e andare in chiesa?
– E chi l’ha detto?
– La maestra Ligias.
– Vieni qua, figlio mio.
– Sí, Mamma.
– Ascoltami bene.
– Sí, Mamma.
– Devi dire alla tua maestra che è
una contraddizione essere zitella,
senza figli, e pretendere di educare i
figli degli altri. Hai capito bene?
– Sí, Mamma, ma…
– Ma cosa?
– Sei sicura che glielo devo dire?
– Certo!
– Sicurissima?
– Sí.
– Super sicurissima?
– No, va be’, dài, lascia perdere.
– Grazie, Ma’.
– Fammi una cortesia, però.
– Certo, Mamma.
– Tu ricordale che il nono
comandamento è non desiderare la
donna d’altri.
– Cosa vuol dire, Mamma?
– Fregatene, figlio mio, lo
sappiamo io e la moglie del preside.
13.

– Ma’…
– Che c’è, noioso?
– Adesso che sono piú grande la
possiamo smettere con questo panino
con margarina e zucchero per
merenda?
– Può darsi.
– Dài, Ma’! Gli altri al campetto
mi prendono in giro.
– Vedremo.
– Dài, Ma’, per favore.
– Va bene.

14.

– Checco!
– Sí, Mamma.
– Hai visto il mio «Postal
Market»?
– No, Mamma.
– Sicuro?
– Sicurissimo.

15.

– No!
– Come sarebbe a dire no?
– Non ho voglia di svegliarmi
presto anche la domenica.
– Tuo fratello che dice?
– Neanche lui vuole.
– E perché non parla?
– Perché sono io il rappresentante
del nostro collettivo.
– Due non fanno un collettivo!
– Va be’, comunque noi non ci
vogliamo svegliare presto anche la
domenica per andare a messa.
– No.
– Cosa, no?
– No, non sento ragioni. Ci
andrete, punto e basta.
– Dài, Mamma, per favore!
– Ho detto no.
– Ti prego!
– Sei nervoso, vero?
– Certo! Non voglio andare a
messa.
– Sei nervoso, ti stai toccando il
pirillo.
– Non mi sto toccando il pirillo,
sono questi pantaloni che mi stanno
stretti qui!
– Sei nervoso e ti stai toccando il
pirillo perché non vuoi andare a
messa. Ma ci andrai, anche se cascasse
il mondo.
– No! Per favore!
– No! E ora basta!
– Dàiii!
– Non farmi perdere la pazienza!
Quando dico no, è no. Punto. Quando
dico sí, è sí. Ma quando dico di no, è
no! Chiaro?!
– Mamma, tu non dici mai sí. Sei
una nazista.
– Maoista, prego, compagno
Checco.

16.

– Siete pronti per la messa?


– Sí.
– Forza, di corsa dai salesiani.
– Però non è giusto.
– Cosa?
– Che voi restate a letto e non
andate in chiesa.
– Io a messa ci vado a
mezzogiorno, con tua nonna.
– Papà però non ci va.
– Che c’entra, papà è comunista.

17.

– Mamma.
– Che c’è? Sto stirando.
– Abbiamo deciso con Giuseppe
che diventiamo comunisti anche noi.
– Benissimo.
– Possiamo?
– Certo.
– Togo.
– Bene, allora tieni il ferro da
stiro.
– Il ferro da stiro?
– Certo, per essere comunisti
bisogna saper stirare.
– Ma va’!
– Papà non si stira le sue camicie?
– Sí, è vero.
– Quindi, vuoi sempre diventare
comunista?
– … mhm…
– Allora?
– … sí!
– Dài, prendilo che t’insegno.
– Grazie, Mamma.
18.

– Vieni qui.
– Mi devi dare i pizzicotti con la
girata? Non ho combinato nulla.
– No, ti devo dire una cosa.
– Sicura?
– Vieni qui, forza.
– Dimmi.
– Volete entrare nei lupetti?
– Io e Giuseppe?
– Certo.
– E cosa si fa nei lupetti?
– Ti dànno una divisa bellissima.
Si gioca tutti insieme. D’estate si fa un
grande campo estivo con le tende come
gli indiani, senza i genitori. Si fanno le
gite nei boschi, in montagna. Poi ci
sono le coccinelle, che sono le
bambine, e gli scout piú grandi, che vi
insegnano a fare le capanne…
– Anche l’arco indiano?
– Sí, anche quello.
– E le frecce?
– Sí, t’insegnano a fare anche
quelle.
– Togo!
– Allora, ci vuoi andare?
– Sí. E poi che altro si fa?
– Poi la domenica mattina ci si
sveglia presto per andare alla messa.

19.

– Ma’!
– Che c’è?
– Noi andiamo agli scout!
– Prendetevi la merenda! È sul
tavolo della cucina.
– Il solito panino margarina e
zucchero?
– No, tranquillo. Ho cambiato.
– Togo!
– Ogni promessa è debito.
– Grazie, Ma’, grazie.
– Figurati.
– Ma’!
– Che c’è ora, noioso?
– Ma allora che cavolo hai messo
nella rosetta?
– Margarina e sale.

20.

– Perché hai quella faccia?


– Perché agli scout ci hanno preso
in giro.
– E perché?
– Perché tutti avevano Buondí e
Coca-Cola e noi eravamo gli unici con
quel cavolo di panino.
– E quindi?
– Quindi ci hanno detto che siamo
dei poveracci.
– Ma noi siamo dei poveracci.
– Siamo dei poveracci, Ma’?
– Be’, con tuo padre senza
stipendio e ricoverato in ospedale e il
mio stipendio da insegnante, credi che
navighiamo nell’oro?
– No, Ma’. Scusami, Ma’.

21.

– Pronto, Mamma? Sono io.


– Tu? Ma avete il telefono in
campeggio?
– No, Mamma, sono alla guardia
medica di Burcei con don Antonio e
Massimosaba.
– Alla guardia medica? Oddio
mio! E cosa si è fatto don Antonio?
– No, Mamma, sono io che mi sono
fatto male.
– Cos’hai combinato, disgraziato?!
– Nulla, Mamma, stavo facendo il
passaggio indiano con la corda. La
corda si è spezzata e sono finito con il
ginocchio su una pietra tagliente. Il
dottor Paderi vuole sapere se…
– Il dottor Paderi?
– Sí, Mamma.
– Ma il dottor Tonino Paderi di
Lunamatrona che quando era studente
alla facoltà di Medicina a Cagliari tua
zia Dededda gli aveva affittato una
stanza nella casa che tua nonna le
aveva lasciato in via Ospedale prima
dei bombardamenti?
– Mamma, scusa, ma il dottor
Paderi prima di mettermi i punti vuole
sapere se…
– … che poi lui, il dottor Paderi, si
era sposato con Anna Sonnino, mia
collega di università, figlia del
maggiore Sonnino, te lo ricordi il
maggiore Sonnino? Sí che te lo ricordi,
perché al Lido dell’esercito quando
avevi due anni ti comprava sempre il
lecca-lecca alla Coca-Cola…
– Mamma, sto perdendo molto
sangue e il dottor Paderi vuole sapere
se ho mai fatto l’antitetanica.
– … poi, mischino, il maggiore
Sonnino si era sentito male in acqua ed
era morto affogato e il genero, il dottor
Paderi, quel giorno non era in spiaggia
ma alla mensa a giocare a biliardino e
non si era accorto di nulla e io credo
viva ancora con un grande rimorso…
– Mamma…
– … infatti poi per questo avevano
lasciato Cagliari. Ah, ecco dove era
finito! A Burcei, anche se io sapevo
che erano a Muravera e avevano avuto
due figli, un maschio e una bambina
che…
– MAMMA !
– Che c’è?
– L’ho fatta l’antitetanica!?
– Uffa, noioso! No che non l’hai
fatta! Ma lui è quell’Antonio Paderi o
no?!
22.

– Fammi vedere questo ginocchio,


che lo laviamo un po’.
– Piano, Mamma, che mi fa male.
– Forza, metti la gamba nella
vasca.
– Ahi! L’acqua è bollente!
– Macché bollente, è appena
tiepida.
– Scotta.
– Brutta ferita, profonda. Ora ti
pulisco tutt’intorno col cotone. Tu
cerca di non finire per intero dentro la
vasca.
– Sí, Mamma.
– Quanti punti ti hanno messo?
– Venti, e il dottore ha detto che
rimarrà una brutta cicatrice.
– Meglio cosí. Se un giorno
dovessi andare via, figlio mio, e
tornare dopo tanti anni, io ti
riconoscerei da questa cicatrice. Come
Euriclea con Ulisse.

23.

– Checco!
– Sí, Mamma.
– Hai visto il mio «Postal
Market»?
– No, Mamma.
– Sicuro?
– Sicurissimo.
– Ma io non lo so! In questa casa ci
sono i fantasmi e il «Postal Market»
sparisce sempre!

24.

– Ma’.
– Che c’è, ora?
– Ma non ti bastavamo io e
Giuseppe?
– In che senso?
– Nel senso della sorellina che
deve arrivare.
– Sei geloso, vero?
– No.
– Sei geloso perché adesso tutte le
attenzioni si sposteranno su di lei.
– No!
– Sei geloso.
– Ho detto di no!
– E allora qual è il problema?
– Il problema è che abbiamo due
stanze da letto, in una ci dormite tu e
papà, in una io e Giuseppe. Lei dove
dorme?
– All’inizio dormirà con noi, poi
bisognerà trovare una casa un po’ piú
grande.
– Ecco, era quello che temevo.
– Sei geloso.
– No, Mamma, ti assicuro. Solo,
non mi va di lasciare la nostra casa.
– Sei geloso.
– Uffa, no, Mamma, non mi va di
lasciare tutto. Mi capisci?
– Sei geloso.
– Ma no! MAMMA ! Mi ascolti?!
Non sono geloso, maledizione! Non mi
voglio trasferire! Non voglio perdere
tutti gli amici del palazzo! Non voglio
cambiare scuola! Non voglio lasciare i
boy-scout! Non voglio lasciare i
compagni di classe! Hai capito o no?
Uffa! Non mi voglio tra-sfe-ri-re!
– Sei geloso.

25.

– Checco!
–…
– Checco! Vuoi uscire dal bagno?
Forza, che mi devo truccare.
– Un attimo!
– Esci!
– Un attimo!
– Esci, che ho fretta.
– Un attimo!
– Esci dal bagno, porca di una
miseria! Esci…
– Eccomi.
– Cos’hai dietro la schiena?
– Letture.
– Letture? Fa’ vedere!
– Tieni.
– Il «Postal Market»! Il «Postal
Market»?
–…
– Cosa diavolo avrai da leggere
sul «Postal Market»?
– Embe’? Papà non va in bagno
con «l’Unità»?

26.

– Vieni qua.
– Dài, Ma’, non rompere.
– Vieni qua.
– Uffa, e dài.
– Ho detto vieni qua.
– Dimmi.
– Stai ancora frequentando quella
Maria Cogotti?
–…
– Allora?
– Non proprio.
– Come sarebbe a dire, non
proprio?
– Sarebbe a dire che anche lei si è
iscritta all’Agesci nelle guide.
– Mhm, bene. E vi frequentate?
– No, preferisce quelli piú grandi,
i rover, a noi scout ci ignora.
– Preferisce in che senso?
– Eh, in quel senso.
– Storie di patata?
– No, storie di marmotta.
– Di marmotta?
– Eja, Ma’. Di marmotta.
– Di marmotta? Che diavolo vuol
dire di marmotta?
– Vuol dire che le sono cresciuti i
peli, Ma’!

27.

– Guarda cosa ho trovato!


– Il battipanni!
– Te lo ricordi?
– Certo, che me lo ricordo.
– Che bei tempi.
– Ah sí, proprio bellissimi.
– Che botte che vi ho dato con
questo. Mi ricorda tanto quando
eravate ancora bambini. Che tempi.
– Guarda, Mamma, che l’ultima
volta che mi hai picchiato con il
battipanni è stata quando ti ho detto
che non avrei proseguito l’università.
– Ah, davvero?
– Sí, davvero.
– Non me lo ricordavo.
– Me lo ricordo io, come mi
ricordo tutte le volte che mi hai
lasciato impressi sulle cosce i segni di
questo maledettissimo battipanni.
– Poverino, adesso è vecchiarello.
Povero battipanni, lo comprai alla
bottega di signora Noretta che,
mischina, è morta. L’ho comprato
l’anno prima che nascessi. Però ha
tenuto bene, non si è mai rotto.
– Certo, Ma’, l’hai sempre e solo
usato per picchiarci.
– Be’, vi nascondevate sotto il
letto…
– Vuol dire che non eravamo votati
al martirio.
– … e per stanarvi usavo la scopa.
Ecco, le scope, quelle sí che se ne
sono rotte tante…
– Ci stanavi come topi, la scopa in
una mano e il battipanni nell’altra.
Pronta a colpirci come sbucavamo
fuori.
– … tuo padre non approvava, ma
mi lasciava fare…
– Ma’!
– … però credo di non aver fatto
male a crescervi cosí…
– Mamma!
– … non come oggi, con i genitori
asserviti ai figli…
– Mamma!
– … credo che una passata di
battipanni non abbia mai fatto male a
nessuno, anzi…
– MAMMA !
– Che c’è, noioso?
– Ora che l’hai ritrovato, cosa
vogliamo farne, lo buttiamo?
– Ecco, no. Era questo che volevo
dirti.
– Dimmi, Ma’.
– Adesso che hai deciso di andare
a vivere da solo, Mamma ti fa un
grande regalo. Tieni, prendilo e fanne
buon uso con i figli che verranno.
A mare

Mamma ha amato pazzamente mio


padre e il mare. La storia d’amore fra
lei e suo marito è un fatto privato.
Quella per il mare no. Morto papà,
coltiva con determinazione l’ultimo
amore che le è rimasto.

1.

– Quest’ anno abbiamo fatto


l’abbonamento per il Lido.
– Ma il Lido quello vero?
– Sí.
– Ma dicevi sempre che costava un
occhio della testa.
– Ce l’hanno regalato i nonni.
– Io ho un po’ di vergogna.
– Perché?
– Perché ci sono tutti i bambini
ricchi.
– E quindi?
– Quindi io non ho il costume di
marca.
– E quindi?
– Quindi mi prenderanno in giro se
non ho il costume di marca.
– Che problema c’è? Lo
compriamo.
– Davvero?
– Certo.
– E quando?
– Quando passi l’esame di quinta
elementare.
– Ma Mamma, io quest’anno sono
in terza!
– E quindi?
– Quest’estate mi uccideranno, al
mare!
– Non credo. Ti rafforzerai lo
spirito. E ora fila a fare i compiti o ti
ammazzo io.

2.

– Mamma, ma gli abbonamenti per


il Lido sono due!
– Certo! Io e papà siamo due.
– E noi?
– Tu e Giuseppe passate dal mare,
vi imboscate.
– Cioè?
– Cioè Mamma vi lascia prima del
muro dello stabilimento.
– Sí.
– Percorrete il tratto di spiaggia
che separa lo stabilimento
dell’aeronautica militare dal Lido.
– Sí.
– Poi vi tuffate in acqua e dal mare
arrivate al Lido, senza farvi beccare
dai bagnini.
– Ma Mamma! I bagnini se ci
beccano ci picchiano con la pompa!
– E che sarà mai! Non farà piú
male di quando vi picchio io col
battipanni!

3.

– Mamma, i bagnini ci hanno


scoperto. Però non ci hanno picchiati.
– E come mai?
– Ci hanno chiesto dove stavamo
andando e io ho indicato il tuo
ombrellone.
– E loro?
– Uno ha chiesto se eravamo i figli
della professoressa. E Giuseppe gli ha
detto di sí e si è messo subito a
piangere.
– E loro?
– Uno ha detto all’altro che già
avevamo i guai nostri e di lasciarci
stare.
–…
– Ma’…
– Sí.
– Quali sono i guai nostri?

4.

– Checco.
– Sí, Mamma.
– Perché sei nervoso?
– Non sono nervoso.
– Certo che sei nervoso, ti stai
toccando il pirillo.
– No, non mi sto toccando il
pirillo.
– Sí che ti stai toccando il pirillo.
– No, Mamma, è che i pantaloncini
mi stanno stretti qui.
– Però sei nervoso.
– Un po’.
– Perché?
– Perché ci hanno preso in giro.
– Chi?
– Gli altri bambini.
– E perché? Perché i vostri
costumi non sono di marca?
– Sí, anche.
– E poi? Oh, la smetti di toccarti il
pirillo?!
– Perché hanno detto che Giuseppe
ha la testa a forma di melone.
– Ah!
– Sí, ci hanno rincorso urlando:
«Conch’e meloni! Conch’e meloni!»
– Va be’, dài, sono solo dei
bambini.
– Ma c’erano anche tre mamme che
ridevano! E una ha detto: «Guarda che
loffio, ha la testa da melone!»
– Ah!
– Mamma.
– Sí.
– Io prima di ieri non mi ero
accorto che Giuseppe aveva la testa
cosí.
– Vieni qui.
– Sí.
– Sai perché Giuseppe ha la testa
cosí?
– No.
– Perché Giuseppe è stato un po’
pigretto. Non voleva nascere.
– Sí.
– E Mamma stava molto male.
Anzi, Mamma stava per morire e con
lei Giuseppe.
– Sí.
– Allora i medici hanno deciso di
farlo uscire a forza usando il forcipe.
– Cos’è il forcipe?
– Hai presente le pinze che usiamo
per prendere l’insalata?
– Sí.
– Ecco, per farlo nascere hanno
usato quello. Hanno infilato il forcipe
dentro Mamma, hanno acchiappato la
testa di Giuseppe e l’hanno tirato via.
Solo che hanno stretto male e troppo
forte. Cosí tuo fratello Giuseppe è nato
con la testa un po’ schiacciata.
–…
– Checco! Dài, non piangere!
–…
– Checco, dài, non… e smettila di
toccarti quel pirillo!
– Scusami, Mamma.
– Forza, asciugati le lacrime.
– Scusami, Mamma. Io non lo
sapevo. Li avrei dovuti picchiare tutti.
– No, figlio mio, hai fatto bene a
non reagire. E smettila di piangere,
dài!
– No, li dovevo picchiare tutti!
Invece sono scappato.
– Hai fatto bene. «A chi ti percuote
sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi
ti leva il mantello, non rifiutare la
tunica».
– No! Sono scappato e poi ho
sgridato fortissimo Giuseppe perché
per colpa sua ci prendevano in giro.
Ma io non lo sapevo che stavate per
morire… non lo sapevo… non lo
sapevo… scusa, Mamma.
– Dài, smettila di singhiozzare e
vai ad abbracciare tuo fratello,
chiedigli scusa… e smettila di
toccarti!
– Sí, Mamma, vado subito.
– Checco.
– Sí, Mamma.
– Vieni qua e fatti abbracciare.
– Davvero, Mamma?
– Vieni e fatti abbracciare.
– Mamma, non mi avevi mai
abbracciato prima d’ora.
– Ecco, bravo, abbracciami e non
prendertela a vizio.

5.

– Mamma, vogliamo anche noi le


tessere per lo stabilimento.
– Non ce le possiamo permettere.
– L’acqua alle otto del mattino è
freddina.
– Capirai. Tuo nonno si è fatto
quattro anni di prigionia ai piedi
dell’Himalaya, lí sí che c’era freddo.
– E poi il tratto di spiaggia che
dobbiamo fare a piedi nudi è pieno di
bottiglie rotte.
– Capirai. Abebe Bikila ha vinto la
maratona di Roma, a piedi nudi.
– Era nostro parente?
– Non fare il cretino e portami la
sdraio in spiaggia.
– Ma’, sei una schiavista.
– No, figlio mio, Mamma ti abitua
alle avversità della vita.

6.

– Mamma!
– Giuseppe!
– Mamma!
– Oddio, Giuseppe! Fatti vedere,
cosa ti sei fatto? Sei tutto sporco di
sangue!
– No, Mamma, io niente.
– E tutto questo sangue?!
– Il sangue è di Checco.
– Il sangue è di Checco?
– Sí.
– E dov’è quel disgraziato?
– Al pronto soccorso dello
stabilimento.
– Che cosa ha combinato?!
– Si è picchiato.
– Si è picchiato?
– Sí.
– E perché? Con chi? Forza, parla!
Anche le parole a te bisogna levare col
forcipe!
– Si è picchiato con i bambini che
mi prendevano in giro e mi urlavano
contro: «Conch’e meloni! Conch’e
meloni!»
– Ma porca miseria! Gli avevo
detto…
– Mamma.
– Che c’è?
– Guarda che lui non ha colpa. La
colpa è mia che ho la testa cosí.

7.

– Dov’eri? A picchiarti con altri


bambini?
– No. Ai casotti da Mariacogotti.
– E dringhidi con questa Maria
Cogotti.
– Preferisci che mi picchi con
quegli scemi?
– No, anche perché poi
regolarmente le prendi.
– Però tengo saldo il mio onore.
– E chi te l’ha detta questa
stupidaggine?
– Il bagnino fascista.
– Buono, quello.
– Però ora ho il rispetto dei
bagnini, che ci difendono, a me e
Giuseppe. Perché i bagnini sono
proletari come noi.
– Noi non siamo proletari e non
siamo fascisti. Siamo solo in disgrazia.
– Sarà. Ma intanto non ci possiamo
permettere le tessere.
– Perché tuo padre entra ed esce
dall’ospedale, e quando è dentro non
lavora, e se non lavora non guadagna,
e se non guadagna dobbiamo vivere
solo con il mio stipendio da
insegnante.
–…
– E poi tuo padre non sarà mica
contento che fai comunella con i
fascisti.
– Cosa vuoi che ne sappia papà?!
Non sa mai nulla di noi. Quello abita
in ospedale!
– Non azzardarti a parlare cosí di
tuo padre! Hai capito? Non azzardarti!
E ora sei in punizione. Niente Maria
Cogotti, niente casotti, stai fermo qui,
io vado a fare il bagno, tu guardami la
borsa.
– Sí, Mamma.
– E non piangere!
– Neanche tu!
– Io non sto piangendo!
– Sí.
– Forza! Vieni con me a fare il
bagno.
– Sí, Mamma.

8.

– Dov’eri? A picchiarti con altri


bambini?
– No, Mamma, te l’ho promesso:
non mi picchio piú.
– E dov’eri?
– Ai casotti da Mariacogotti.
– E dringhidi con questa Maria
Cogotti.
– Abbiamo fatto le sculture di
sabbia.
– Tu cosa hai realizzato?
– Un pescecane.
– Bravo. E Maria?
– Un uomo nudo con un pisello
lungo cosí.
– Fa’ vedere. Lungo quanto?
– Cosí.
– Non può essere. Non esistono
piselli cosí lunghi.
– Davvero?
– Fidati di Mamma.

9.

– Mamma, se faccio il giro dalla


spiaggia senza lagnarmi, ti porto dalla
cabina all’ombrellone la sedia e la
sdraio, ti faccio scaldare al bar il
biberon con il latte per la sorellina,
dopo posso andare ai casotti?
– Sí, portati anche tuo fratello,
però.
– No, dài, Ma’!
– Portati tuo fratello!
– No, e dài, Ma’!
– Ho detto: PORTATI TUO
FRATELLO !
– No!
– Dov’è che devi andare?
– Ai casotti.
– Da Maria Cogotti, vero?
– Sí.
– Allora sentimi bene: o ti porti tuo
fratello appresso o mi ridai le
cinquecento lire che ti sei fatto
regalare da tuo nonno.

10.

– Signora Peddisi, le presento mio


figlio, il grande.
– Eh, bruttarello, mischineddu.
– Sí, ha preso tutto dal padre.
Anche la malattia.
– La malattia?
– Sí, la malattia, sono destinati a
morire giovani tutti e due. Fegato.
Epatite.
– Signora, mi scusi, sono
costernata, non sapevo, mi perdoni.
Oddio, non mi sarei mai immaginata…
– Si figuri, signora Peddisi…
– Ma chi poteva immaginare…
– «Fino a quando, o inesperti,
amerete l’inesperienza e i beffardi si
compiaceranno delle loro beffe e gli
sciocchi avranno in odio la scienza?»
– Come ha detto?
– Nulla, citavo la Bibbia.
Piuttosto, signora Peddisi, le volevo
chiedere…
– Mi dica, mi dica.
– Ma poi suo marito l’aveva
riconosciuto il figlio della vostra
domestica o no?

11.

– Ma’…
– Che c’è, figlio mio?
– Perché hai detto quella cosa alla
vicina di ombrellone?
– Alla signora Peddisi?
– Eja, Ma’.
– Perché la gente apre la bocca a
vanvera.
– Ma quindi io morirò giovane?
– Peddi mala no moriri.
– Eh?!
– Pelle cattiva non muore!
– E io sono cattivo?
– Stai continuando a frequentare la
tua amica?
– Chi? Mariacogotti?
– Sí.
– Eja, Ma’.
– Bravo, continua cosí che ci
seppellirai tutti.

12.

– Mamma, posso fare il bagno?


– Non ancora, noioso! È la decima
volta che me lo chiedi!
– E quando posso?
– Dopo due ore dal pranzo.
– E quanto manca?
– Uffa, mezz’ora.
– E se mi tuffo adesso cosa
succede?
– Ti viene una congestione.
– E poi?
– Muori.
– E io mi tuffo lo stesso, tanto hai
detto alla signora Peddisi che muoio
giovane.
– Tu muori giovane in questo
istante per le botte che ti do io.

13.

– Signora Peddisi, buongiorno.


– Buongiorno a lei, mi sono
permessa di portare un regalo per suo
figlio. Quello malato.
– Tu vieni qua e ringrazia.
– Grazie, signora Peddisi, cosa
sono?
– Una maschera e un boccaglio.
– Ringrazia.
– Grazie, signora Peddisi, grazie
mille a lei, a suo marito e alla
domestica.

14.

– Non c’era bisogno che mi


picchiassi in spiaggia davanti a tutti.
– Zitto, e asciugati il moccio!
– Una volta almeno mi dicevi che
facevamo i conti a casa.
–…
– Mamma, ma che fai? Perché mi
sorridi?
– Hhmpf… hhmpf…
– Ma che fai, stai ridendo?
– Ahahahahahahahah
ahahahahahahaha
– Ahahahahahahahah
ahahahahahahaha
– Ahahahahahahahah
ahahahahahahaha
– Mamma, ti voglio bene.
– Anche io, figlio mio.

15.

– Mamma! Noi andiamo in


spiaggia per conto nostro con l’autobus
P!
– Prendetevi anche vostra sorella!
– No, dài, Ma’!
– Prendetevi anche vostra sorella,
ho detto!
– No!
– Ho detto: prendetevi anche
vostra sorella!
– No, dài, Ma’. Dove andiamo noi
ci sono solo ragazzi, se ci presentiamo
con una bambina ci prendono in giro!
– Noioso! Dove devi andare, ai
casotti da Maria Cogotti?
– Da chi?
– Quella della patata!
– Chi?
– Quella della marmotta!
– Boh, ma chi?
– Sí, va be’.

16.

– Pronto, Checco?
– Sí, Ma’, ma dove sei?
– In bidelleria, a scuola, dove vuoi
che sia?
– Boh, sento rumore come di
acqua.
– Acqua?
– Sí, onde.
– Onde?
– Sí, Ma’.
– Ah no, sono le bidelle che stanno
passando lo straccio.
– Sí sí…
– Senti, organizzatevi per il
pranzo, che qui con gli scrutini finiamo
tardi.
– Okay, Ma’.

17.

– Sto uscendo! Anche oggi non


torno per pranzo, abbiamo gli ultimi
scrutini. Vi ho lasciato il pranzo
pronto.
– Maaa’!
– Che c’è, noioso? Sono sulla
porta e ho fretta!
– Qui non c’è nessun pranzo
pronto!
– Come, non c’è?! I pelati sono
nell’armadio a lato del frigo, la pasta
ve l’ho messa nello scaffale di destra e
per l’acqua basta aprire il rubinetto!
Piú pronto di cosí.

18.

– Ciao Ma’.
– Ciao.
– Come sono andati gli scrutini?
– Bene, perché?
– Perché hai i sandali ancora
sporchi di sabbia.
19.

– Ma’.
– Che c’è, noioso, non lo vedi che
sto facendo la marmellata?
– È di questo che ti devo parlare.
– Dimmi.
– Quanti anni sono che andiamo al
Lido?
– Dunque, fammi pensare: tua zia
Annarella aveva già avuto Giovanna
ma non Marcella, tua bisnonna Maria
era già morta, tu eri al quarto ricovero
e mi sembra che tuo padre fosse già
stato ricoverato a Padova, tua nonna
Giovanna…
– Humpf, humpf…
– Che fai? Stai ridendo?
– No, Ma’.
– Tua nonna aveva già cambiato la
caldaia e aveva litigato con tuo nonno
che voleva attendere l’arrivo del gas
di città, tuo zio Roberto si era sposato
da…
– Humpf, humpf…
– Stai ridendo.
– No, Ma’. Giuro.
– Tua sorella era appena nata, lei è
del 1972, novembre, quindi… no, però
quell’anno non abbiamo fatto le tessere
perché tuo zio Nannino Maxia…
– Ahahah ahahah ahahah!
– Che fai, disgraziato? Perché ridi?
– Per il tuo calendario.
– Il mio calendario è infallibile.
– Sí sí.
– Non ci credi?
– Ma smettila.
– Quanto ci scommetti?
– Okay, dimmi, in che anno ho
preso la borsa di studio?
– Facilissimo. È l’anno in cui sei
andato per la prima volta in discoteca.
La ragazzina che ti piaceva e con la
quale dovevi vederti lí si stava già
baciando nel parcheggio con uno di
seconda liceo. Tua zia Lisetta ti aveva
recuperato ubriaco e piangente in viale
Poetto alle tre del mattino. La borsa di
studio era di cinquantamila lire, l’hai
presa in quarta ginnasio, con quei soldi
ti eri vestito da capo a piedi per
andare a ballare, ma le Clarks nuove
non siamo mai riuscite a ripulirle bene
del tuo vomito. Tuo nonno Pippo il
giorno dopo compiva gli anni, mi hai
accompagnato a prenderlo per portarlo
a pranzo a casa nostra, nel tragitto in
macchina hai rimesso di nuovo,
sporcando il cappotto di tua nonna.
Nonno rideva. Nonna quasi piangeva.
Quindi, la borsa di studio l’hai presa
nell’autunno, la figura di merda è del
15 novembre 1978.

20.

– Però non vale.


– Cosa, non vale?
– Picchiarmi con il mestolo sporco
di marmellata. Ho ventuno anni, Ma’…
– Sappi che ti picchierò anche a
cinquanta!
– Comunque, lo sai quanti anni
sono che andiamo al Lido?
– No, noioso! Dimmelo tu.
– Sono dodici anni. La prima volta
era il giugno del 1971 e Giuseppe
compiva quattro anni.
– Sí, me lo ricordo.
– E ti ricordi cosa gli avevi
preparato per la sua prima festicciola
in spiaggia?
– Certo! La crostata con la
marmellata di arance fatta da me!
– Ecco, Ma’, il punto è questo.
– Quale punto?
– Che domani Giuseppe compie
diciotto anni.
– Embe’?
– E tu per il quattordicesimo anno
gli stai preparando la crostata con la
marmellata fatta da te.

21.

– Sei triste?
– No, sono arrabbiata.
– Va be’, Ma’, prima o poi te lo
dovevo dire che quella crostata non è
mai piaciuta a nessuno.
– Una bugia in piú non ti costava
nulla.

22.

– Ecco qua le vostre tessere del


Lido.
– Finalmente, Ma’, ci sono voluti
quindici anni.
– Questa è la tua. E questa è quella
di Giuseppe. Prendetele.
– Come mai questa svolta, Ma’?
– Per gli orfani sono gratis.

23.

– Ciao Checco.
– Ciao Mamma.
– Dove sei?
– In redazione, Ma’. Lavoro. E tu?
– In spiaggia.
– In spiaggia? Mamma, è il 12
dicembre!
– Ho fatto anche il bagno.
– Il bagno?
– Sí, l’acqua era calda, dopo la
pioggia l’acqua è sempre piú calda.
– Sarà.
– Ora poi splende un sole
fantastico e ho steso l’asciugamano
sulla sabbia. Cosí ti ho pensato.
– Mamma?
– Sí, figlio mio.
– Tu sei pazza, rischi di ammalarti.
– Era proprio a questo che
pensavo.
– Che cosa?
– Quanti anni hai?
– Quaranta, Mamma.
– E mi hai mai visto ammalata in
vita tua?
–…
– Allora?
– No, ora che ci penso, no. In
effetti, non ti ho mai visto ammalata.
– Ecco, pensavo a te e tuo padre,
alla vostra malattia. Pensavo alla
vostra vita di continui ricoveri, le cure
dolorose e inutili, le operazioni ancora
piú dolorose e inutili, il calvario di tuo
padre, la sua morte, e tu che peggiori
sempre di piú.
– Mamma, ti prego, non dire cosí.
– Pensavo che, forse, se fosse
spettata anche a me una bella fetta di
malattia… ecco, forse a voi sarebbe
stata risparmiata un poco di sofferenza.
– Mamma, ti prego, non dire cosí.
– Però non mi sono mai ammalata.
– Perché dovevi reggere la nostra
croce, Mamma.
– Forse devo pagare le colpe di
una precedente vita.
– E chi eri in una precedente vita?
– Un pesce. Piccolo ma dispettoso.
– Uno squaletto?
– Stamattina, quando sono venuta
qui presto, sai, il mare era una lastra
azzurra, piatta, brillava al sole. Non
c’era un filo di vento. Il silenzio
assoluto. E mentre mi spogliavo ho
visto le pinne di due delfini. Andavano
su e giú. Sembrava che danzassero. Su
e giú. Erano bellissimi, figlio mio.
Non so chi sono stata, ma di sicuro
nella prossima vita voglio essere un
delfino.
– Non ti vuoi riunire a papà?
– Certo, tuo padre è già in mare
che mi aspetta.

24.

– Mamma, buongiorno, dove sei?


– A fare la spesa.
– E non vai al mare oggi?
– Al mare?! È il 13 dicembre, ti
sembra giornata per andare al mare?!
C’è un freddo di galera!

25.

– Mamma?
– Ciao Checco.
– Che è successo? Sono le 6,30 del
mattino.
– È morto signor Addis.
– Chi?
– Il signor Addis.
– Mamma, chi è il signor Addis?
– Il capo dei bagnini del Lido.
– Oh, poverino.
– Ti ricordi? Ti aveva preso in
simpatia e vi difendeva dalle angherie
di quegli stronzetti figli di papà e da
quelle burricche delle loro madri.
– Mamma!
– E be’, figlio mio, la verità
bisogna dirla com’è. Quelli erano
degli stronzetti e le madri delle vere
asine calzate e vestite.
– Da bambini non ci dicevi cosí.
– Eravate bambini.
– Cercavi di minimizzare.
– Era mio dovere.
– Non ci difendevi mai. Stavi in
disparte e lasciavi che gli eventi ci
piombassero addosso.
– Volevi una madre diversa? Una
gonna a cui attaccarti? Volevi crescere
mammone?
– No, Ma’, è stato meglio cosí.
– Mi accompagni al funerale del
signor Addis?
– Dicevi che era un fascista.
– Veramente lo dicevi anche tu e
con vanto.
– Un fascista fa sempre comodo in
famiglia.
– Questa l’ha già detta qualcun
altro.
– Comunque, fascista o no, signor
Addis era un brav’uomo.
– Sí, un brav’uomo. Ti va di
accompagnarmi al funerale?
– Va bene. Dov’è la messa?
– Alla chiesa della spiaggia del
Poetto. Cosí poi mi accompagni in
spiaggia e Mamma si fa anche il
bagno.
– Mamma.
– Che c’è?
– Sai che mese è?
– Sí, aprile. Che bello. Un’altra
estate sta arrivando per noi.
26.

– Embe’! Oh, signora, che ha da


guardare? Non ha mai visto un bagnino
con l’orecchino?
– Con l’orecchino sí, con tutto quel
cerume no.
Nelle patrie corsie

Cinquant’anni di ricoveri. Dal


1966 a oggi mia madre ha dovuto
supportare e sopportare un marito e un
figlio malati di epatite e accolti nelle
patrie corsie d’ospedale. A modo suo,
ovviamente.

1.

– Mamma, mi dispiace.
– Di cosa, figlio mio?
– Che dobbiate passare la Pasqua
con me in ospedale.
– Non ti preoccupare. Speriamo
che in questo giorno di resurrezione
anche tu possa risorgere.
– Grazie, Mamma.
– Grazie a te.
– Perché, Mamma?
– Perché sei la mia croce.

2.

– Se vuoi, domani che è domenica


te lo porta Mamma, il pranzo.
– Non ti disturbare, Ma’.
– Va be’, almeno fatti portare una
merenda.
– No, Ma’, meglio di no.
– Perché?
– Perché hanno scoperto che la
margarina fa malissimo al fegato.

3.

– Be’, cosa hanno servito?


– Stai zitta, Ma’, anche questa
domenica pollo lesso e patate lesse.
– Sorpresa!
–…
– Mamma ti ha portato la cena!
– Grazie, Mamma, grazie! E cosa
mi hai portato?
– Fagiolini lessi con patate e pollo
lesso.

4.

– Ciao Ma’.
– Ciao.
– Come sta papà?
– Lasciamo perdere, poi in
quell’ospedale è da una settimana che
gli dànno lo spezzatino e non ne può
piú.
– Io lo odio, e anche qui sono sette
giorni che non ci dànno altro.
– E indovina cosa gli avevo
portato oggi?
– Spezzatino.
– Bravo, ma non ho avuto il
coraggio di darglielo.
– Giusto.
– Cosí l’ho portato a te.

5.

– Come va, figlio mio?


– Benino, dài. Ho appena finito la
visita e stasera mi dimettono.
– Si sono ricordati che è da dieci
mesi che non fai la colonscopia?
– No, per fortuna no.
– Meno male, è una vera rogna.
– Sí, Mamma, una vera rogna.
– Sí, soprattutto la preparazione.
– Quelle bustine da ingerire che
fanno schifo.
– Due giorni seduti sul gabinetto.
– E poi quel tubo su per il…
– Sí, figlio mio, una vera rogna.
Che il Signore te la eviti.
6.

– Signor Francesco, buongiorno.


– Buongiorno, dottoressa.
– Ho qui con me le analisi che non
mi piacciono per nulla e… Oh! Ma
vedo che è venuta a trovarla sua
madre. Buongiorno, professoressa.
– Buongiorno, dottoressa. Ma ci
conosciamo?
– Certo, professoressa. Lei non è
la figlia del colonello Pisano?
– Certo, sono io.
– Ecco, io sono la nipote del
colonello Cicatiello.
– Oh, carissima! Si faccia baciare!
– Professoressa! Ma che piacere,
si faccia baciare anche lei!
– Ma che bella ragazza che si è
fatta! Era già bellissima da bambina!
– Mamma, dottoressa, scusate. Le
mie analisi?
– Non esageri, professoressa. Lei,
piuttosto, è sempre una ragazzina!
– Ma no, non esageri lei, invecchio
anch’io.
– Professoressa, è una gioia
rivederla. Non gliel’ho mai detto, ma
lei è sempre stata il mio mito, fin da
quando ero bambina. Le sue lotte
femministe…
– Be’, modestamente…
– La sua scelta di andare a
insegnare nelle borgate…
– Be’, un obbligo sociale…
– Dottoressa, Mamma, scusate…
– E poi, professoressa, la sua forza
nell’allevare tre figli con un marito
gravemente malato, che coraggio…
– Dottoressa, Mamma…
– Piuttosto, professoressa, e suo
marito? Suo marito, il professore,
come sta?
– Be’, è diventato avvocato, nel
frattempo.
– Oh, complimenti, e come sta
l’avvocato?
– Male, malissimo, carcinoma. Ma
combatte. Un esempio per questo suo
figlio.
– Mi era giunta voce, che tragedia.
– Mamma, dottoressa…
– E suo nonno, il colonnello
Cicatiello, come sta?
– Forte come un toro. Invecchia
bene. E suo padre, professoressa?
– Forte come un cinghiale.
Invecchia benissimo.
– MAMMA, DOTTORESSA…
– E sua madre, professoressa?
– Una meraviglia. E la sua?
– Sempre al mare.
– Sí, infatti la incontro spesso.
– SCUSATE!
– Uffa, che c’è, noioso? La smetti
di interromperci?
– Scusate se vi interrompo, ma
vorrei sapere in che senso le mie
analisi sono andate male, vorrei sapere
quanto male, se devo fare una nuova
cura e se devo stare ancora per molto
ricoverato.
– Guardi, signor Francesco,
gliel’avrei voluto spiegare con calma,
ma visto che lei è cosí irruento glielo
spiego subito!
– Bene, dottoressa, la ringrazio.
– Lei ha la cirrosi e deve fare
l’interferone. Lo voleva sapere? Ora
lo sa.
– Ecco, noioso, adesso lo sai.
L’interferone.
– Le dicevo, professoressa…
– Mi dica, mi dica, dottoressa…
– Ma’…
– Che c’è ora?
– Nulla, ma almeno ti puoi alzare
dal tubo della mia flebo?

7.
– Buongiorno, signor Francesco!
Buongiorno, professoressa, è sempre
un piacere vederla qui.
– Buongiorno, dottoressa.
– Buongiorno…
– Signor Francesco, mi scusi, non
troviamo il foglio… ma lo scorso
semestre l’ha fatta la colonscopia?
– Sí!
– No, dottoressa. Non l’ha fatta.
– Sí o no?
– Sí!
– No, dottoressa, non dia retta a
quel bugiardo di mio figlio. Non l’ha
fatta.
– Ma insomma, a chi devo
credere?!
– A me, dottoressa. Non mi
dimentico mai quando me lo infilano
nel sedere.

8.
– Maleducato! Sei un maleducato.
– Dài, Ma’, falla tu una
colonscopia ogni sei mesi.
– Resti un maleducato.
– Dài, Ma’…
– … e mi hai fatto vergognare…
– Scusami, Mamma.
– Troppo facile chiedere scusa
dopo.
– Sí, lo so, ho sbagliato. Però
ricordati che quando Pietro domandò:
«Signore, quante volte dovrò
perdonare al mio fratello, se pecca
contro di me? Fino a sette volte?»
Gesú gli rispose: «Non ti dico fino a
sette, ma fino a settanta volte sette».
– Embe’! Da quando in qua leggi i
Vangeli?
– Da quando li lasciano nei
cassetti dei comodini degli ospedali e
non ho altro da leggere.
– Comunque io non sono tuo
fratello! Sono tua madre e mi fermo a
una volta. E ora ti saluto!
– Dove vai?
– Da tuo padre, all’oncologico.
Piuttosto, quando ti dimettono?
– Dopo pranzo.
– Che fai?
– Stasera un salto al pub.
– Bravo.
– Ahia! Ma che fai, mi ridai i
pizzicotti? Cazzo, ho venticinque anni!
– Te ne avrei dovuti dare di piú da
bambino. Fetente. E maleducato.

9.

– Giuseppe ! Che ci fai qui al pub?


– Vieni, andiamo in ospedale. Papà
è morto.
– Una birra in suo onore.
– Una birra in suo onore.
– Chi c’era quando è morto?
– Solo io.
–…
– Mi ha chiesto di abbracciarlo.
–…
– L’ho abbracciato forte.
– Ti ha detto qualche cosa?
– Sí.
– Cosa?
– Sono stato un uomo fortunato.

10.

– Checco?
– Sí, Mamma.
– Tieni, entra in camera mortuaria
e metti questa coperta a tuo padre. Lí
dentro c’è un freddo cane.

11.

– Cosa ti hanno detto i medici?


– Nulla, Ma’, tutto okay.
– Guarda, se mi nascondi qualcosa,
ti ammazzo io prima dell’epatite.
– Tranquilla, Ma’.
– Tranquilla un corno, con te non si
può mai stare tranquilli.
– Tranquilla, Ma’.
– Non sono tranquilla da quando
hai compiuto due anni e ti hanno
ricoverato la prima volta.
– Tranquilla.
– Non sono per nulla tranquilla
perché sei sempre stato un gran
bugiardo.
– Tranquilla.
– Mi hai fatto sempre penare.
Prima con lo studio: non ti sei voluto
laureare. Poi con questa fesseria che,
morto tuo padre, non ti sei piú voluto
curare.
– Tranquilla.
– Poi ti sei sposato che non avevi
ancora un lavoro fisso in quel cavolo
di tuo giornale.
– Tranquilla.
– Poi hai fatto una figlia e subito
dopo hai divorziato.
– Tranquilla.
– Insomma, mi stai ascoltando o
no?
– Tranquilla, Mamma, tranquilla,
se vuoi ti porto al mare.

12.

– Perché mi hai tenuto nascosto che


ti devono trapiantare?
– Per non darti un’altra pena.
– È da quando eri bambino che ti
spiego che non mi devi dire bugie.
– È un fatto genetico.
– Cosa?
– Le bugie.
– In che senso?
– Che ho preso da te.
– Da me?!
– Sí, da te.
– E chi l’avrebbe detta questa
calunnia? Questa immensa fesseria?
Questa carognata?
– Dài, Ma’, calmati. Sei diventata
tutta rossa.
– No! Adesso mi spieghi chi ha
detto questa… questa… questa…
– Dài, Ma’, calmati…
– Non mi calmo per niente. Adesso
tu mi dici chi ha detto questa immensa
cattiveria!
– Mio nonno, tuo padre.
–…
– Ma’! Dove vai? Vieni qui! Ma
dove vai? Mi devi fare l’iniezione
d’interferone…
– Al cimitero!
– Al cimitero?
– Sí, al cimitero, a strappare i fiori
che ho messo stamattina sul tombino di
tuo nonno!
13.

– Dài, Ma’, non prendertela.


– Certo, che me la prendo.
– Ma nonno non ha detto che eri
bugiarda, ha detto che sapevi adattare
la realtà a tuo uso e consumo.
– Ah be’, detto da lui.
– In che senso, Mamma?
– Che mestiere faceva tuo nonno?
– Il carabiniere.
– Per la precisione, la spia.
– Ah!
– Eh sí. Anzi, il capo delle spie.
– Ah!
– Lui sí che ha dovuto adattare la
realtà a suo uso e consumo.
– Ah!
– Quindi, se tu sei bugiardo non lo
devi a me, ma a tuo nonno!
– Ah, ecco.
– Ma lui lo faceva per il bene della
patria.
– E tu, Ma’?
– Cosa?
– Dov’eri oggi?
– Perché? Ho i sandali sporchi di
sabbia?

14.

– Come va, figlio mio?


– Preoccupato, Ma’.
– Per le analisi?
– No, perché è dura stare bloccati
qui in ospedale mentre fuori c’è una
figlia adolescente che cresce senza di
me.
– Non ti preoccupare, ci penso io.
– È questo che mi preoccupa.

15.

– Scusami se ieri non ti sono


venuta a trovare.
– Figurati, Mamma.
– Ma sono andata al cimitero a
sistemare i fiori sulla tomba di tuo
padre e sul tombino dei tuoi nonni.
– Ma’?
– Sí.
– Ma perché diavolo lo chiami
tombino?
– Perché è piccolino.
– Ah! Comunque sappi che
anch’io, quando muoio, voglio un
loculo piccolo come quello dei nonni.
– Però quello lo dànno solo a chi
si fa cremare.
– Ecco, infatti, allora sappilo,
anche io mi voglio far cremare.
– Me lo segno. Comunque, sappi
che anch’io mi voglio far cremare.
– Okay, me lo segno anch’io.
– Allora, facciamo cosí: chi resta
provvede per l’altro.
– Affare fatto.
16.

– Perché quella faccia, Ma’?


– Ho trovato tua figlia che si
baciava sotto casa con un ragazzino!
– Che teneri.
– Che teneri?! Gli ho zaccato una
surra!
– No, Ma’, dài, poverina!
Picchiarla no!
– Non a lei! A LUI !
– A lui?! Ma sei pazza? Poteva…
– Mabbà, è scappato!
–…
– Comunque, mi dispiace.
– Be’, come minimo.
– Mi dispiace per tua figlia che ha
scelto uno che scappa davanti a quattro
colpi di borsetta di una vecchia.

17.
– Quando ti trapianteranno?
– Non lo so, fra un’ora come fra un
anno. Nessuno può saperlo, dipende
dal destino.
– Dipende dal Signore!
– Sí, Mamma, dipende dal Signore.
– Oggi sono andata a cambiare i
fiori al tombino dei nonni. E ho chiesto
loro di intercedere per te.
– Grazie, Ma’. E ti hanno
ascoltato?
– Sí, ma prima si sono messi a
litigare come al solito.

18.

– Chi è questo che ti hanno portato


in stanza?
– Cacioffo, ex barista.
– Mamma mia, quanto puzza!
– Ma’, cazzo, abbassa la voce che
ti sente!
– Dici?
– Eh sí.
– Va be’, bisogna pur che qualcuno
glielo dica.

19.

– Come stai, figlio mio?


– Insomma, stanco. Sempre molto
stanco. Le gambe gonfie e le emorragie
stanno aumentando.
– Hai dormito bene?
– Mica tanto, ho pensato tutta la
notte ai nonni.
– Ti volevano bene.
– Sí, è vero.
– In fondo, con tutti i ricoveri di
tuo padre, le nostre continue partenze
per gli ospedali di Milano e Padova,
alla fine vi hanno fatto piú da genitori
loro che noi.
– Pensavo a quando nonno mi
portava in campagna con lui. Io,
Giuseppe e i suoi cani. Ci sentivamo
liberi.
– Già. Anche se tuo nonno è stato
un padre molto severo. Come te.
– Sono molto severo?
– Solo con te stesso e con chi
decide di amarti.
– Dici?
– Dico. Anche con tua madre. Sei
sempre stato molto severo con me.
– Mah, sarà. Comunque, pensavo a
nonna che faceva con me i compiti di
latino e greco.
– Era una brava insegnante, tua
nonna.
– Pensavo ai pomeriggi nel salotto,
fuori pioveva, ognuno di noi leggeva
un libro della loro immensa biblioteca.
– Nonno ti leggeva il De Bello
Gallico.
– Mi piaceva Giulio Cesare, ma a
volte anche Vercingetorige.
– Tuo fratello era fissato con i
fumetti.
– Nonna glieli comprava
all’edicola di piazza Garibaldi tutti i
mercoledí.
– Io non glieli ho mai voluti
comprare. Troppo inutili e scemi,
pensavo. Sbagliavo.
– Litigavano sempre, i nonni,
soprattutto quando giocavano a carte.
– Si amavano molto.
– Ho una foto loro, sai? La porto
sempre con me, anche qui in ospedale,
è di pochi anni fa. Quando Anna si è
sposata. Ecco, guardala. Cosa vedi?
– Tua sorella Anna e suo marito
Alessandro che stanno per tagliare la
torta nuziale.
– Guarda meglio sullo sfondo.
– Oddio! Mamma e babbo!
– Ecco, e cosa fanno?
– Oddio!
– Ecco, sí. Questi due vecchi quasi
novantenni si baciano
appassionatamente come ragazzini.
Mentre tutti festeggiano, in mezzo al
gran casino, loro sono lí in un angolo,
si baciano e sembra quasi che non
respirino piú.
– Litigavano, ma si amavano come
pazzi.
– Mi mancano, Ma’. Mi mancano
da morire.
– Tu hai le mani come tuo nonno,
morbide e curate.
– Invece nessuno in famiglia ha
preso gli occhi di nonna.
– Azzurri, cosí azzurri da sembrare
alieni. Invece tutti voi… tutti noi siamo
usciti con questi occhi color carbone.
– Ho pensato ai nonni anche perché
ieri a cena Grazia mi ha portato la
pasta col sugo. E ho riassaporato un
gusto che avevo dimenticato, i
maccheroni con quel sugo che solo
nonna sapeva fare.
– Io non ho mai saputo rifarlo. È
una brava cuoca, questa tua Grazia?
– Sí, molto.
– Se lo dici tu.
– Ho pensato a come sono morti,
dieci giorni l’uno dall’altra. Nonno
che non ha saputo resistere all’assenza
di nonna. E ora sono lí, in quel
tombino, come dici tu, piccolo
piccolo, stretti anche nella morte.
– Sei innamorato di questa Grazia?
– Sí, molto, Mamma.
– Non essere severo anche con lei.
– No, Ma’, prometto. È per lei che
ora non voglio morire.

20.

– Buongiorno!
– Ciao Ma’.
– Buongiorno, signor Cacioffo!
– Buongiorno, professoressa.
– Come andiamo?
– Oggi mi sono lavato,
professoressa.

21.

– Guarda Mamma chi ti ha portato!


–…
– Non la riconosci?
– … no, Mamma.
– Non riconosci questa bella
dottoressa a braccetto di Mamma?
– … no, mi perdoni, dottoressa.
Sa, con tutti i ricoveri che ho fatto…
– È la dottoressa…? La
dottoressa…?
– Pirinu!
– No! Lei, signor Cacioffo, stia
zitto e si faccia gli affari suoi!
– Mi scusi, professoressa.
– Ecco, bravo. Allora, figlio mio,
chi è questa bella ragazza? Dài!
Rispondi! Lo vedi che me la fai
diventare tutta rossa!
– … no, chiedo scusa, non la
ricordo.
– Uffa! Dài!
– Ma’, non mi ricordo!
– Maria Cogotti! Quella che da
bambino ti chiedeva cinquecento lire
per farti vedere la patata.

22.

– Amore, mi riconosci? Sono


Grazia. Se vuoi, non aprire gli occhi,
non ti affaticare. Ma soprattutto non
provare a parlare. Hai un lungo tubo in
gola. Non provare neppure a muoverti.
Sei collegato a mille macchine. Ti
tengo la mano, tu stringimela e basta.
Una stretta è un sí, due strette un no.
Ora ascoltami. Hai fatto il trapianto.
Non è andato tutto bene. Ti hanno
operato una seconda volta. Ti sei
accorto?
– No. Ah! Va bene, amore. Anche
adesso la situazione è molto grave. Tua
madre è fuori dalla rianimazione.
Perché ora sei qui in rianimazione. Tuo
fratello le ha detto chiaro e tondo che
le hai vietato di entrare qui dentro. E
che le uniche persone che hai
autorizzato a starti a fianco se le cose
fossero andate male siamo io e lui.
Vuoi comunque che la facciamo
entrare?
– Va bene, amore, glielo dirò. Si
arrabbierà moltissimo, ma glielo dirò.

23.

– Nessuno ti crederà, figlio mio.


Nessuno. Che eri malato sin da
bambino, che hai visto tuo padre
soffrire prima di te. Che hai passato
una vita dentro gli ospedali. Che hai
fatto anni di cure insopportabili e nel
frattempo ti sei messo a fare pure il
cretino nelle discoteche. Che sei stato
maciullato e ricucito.
– Mamma, smettila! Che ti
succede, parli bene di me?
– Ma soprattutto nessuno crederà
che hai impedito a tua madre di entrare
in rianimazione! A TUA MADRE!
– Non volevo che dopo tuo marito
vedessi morire anche tuo figlio.
– Ascoltami bene, figlio mio, ma
proprio bene. Io sono stata allevata
dentro una gabbia con le tigri e solo
dopo che ho divorato l’ultima mi
hanno fatto uscire! Chiaro?!
– Che fai, Ma’, piangi?
– Non sto piangendo! Sono gli
spruzzi delle onde! E ora muoviti,
facciamoci questa benedetta
passeggiata in spiaggia!
Lo so già

Bisogna avere fede nelle madri.


Sanno ciò che noi non potremo mai
comprendere, vedono oltre la nostra
capacità visiva. La mamma è una fede,
e come ogni fede porta con sé dei
dogmi. Due sono i principî di fronte ai
quali non si può che accettare il
mistero. Il primo si esprime con
l’assioma: «Lo so io». Il secondo: «Lo
so già».

1.

– Mamma, perché anche questa


domenica dobbiamo andare a trovare
la bisnonna Maria che è sorda e cieca
e non si accorge neppure di noi?
– Lo so io.
– E perché papà non viene?
– Lo so io.

– Mamma! Mamma! Sono stato


promosso con la media del nove!
– Lo so già.

3.

– Mamma! Sono in attesa di una


figlia! Sarai nonna!
– Lo so già.

4.

– Mamma, uscirà il mio primo


libro!
– Lo so già.

5.

– Mamma, ma perché non mi dài


mai una soddisfazione?
– Lo so io.
La 500 color crema

Nel 1973 Mamma comprò una Fiat


500. Dopo anni di trasferte con
cattedre a non meno di quarantasette
chilometri da Cagliari, dopo mille
viaggi nella Fiat 600 del collega
professor Pasqualino Carroni
(educazione artistica) da egli
medesimo guidata con a bordo altri tre
colleghi per dividere le spese della
benzina, Mamma si è fatta coraggio e,
compilando una pila di cambiali alta
come il palazzo dell’Enel di via Roma
(undici piani), comprò una Fiat 500
color crema. A bordo, sovente, la
professoressa Rosetta Pillai (inglese)
e la professoressa Gabriella Cocco
(matematica).
Anno 2016: Mamma gira ancora
con la sua Fiat 500. Il suo arrivo è
annunciato dall’inconfondibile rumore
della doppia debraiata.

1.

– Mamma, è bellissima.
– Ti piace, Checco?
– Sí, molto. La preferisco alla
Mercedes del macellaio.
– Eh, adesso! Un giorno ti
insegnerò a guidarla.
– Togo.
– Ha anche i sedili reclinabili.
– E a cosa servono i sedili
reclinabili?
– Eh, un giorno lo capirai.

2.

– Mariella!
– Che c’è, Rosetta?
– Ma perché fa sempre un caldo
boia in questa tua 500?
– Checco!
– Sí, Ma’?
– Quante volte te lo devo dire di
stare attento alla levetta del
riscaldamento!
– Oh, Mamma! Ajò, dài. Mica è
colpa mia se questi della Fiat hanno
messo una cavolo di levetta sotto il
sedile di dietro!
– E tu stai attento!
– Solo quelli potevano concepire
l’avvio del riscaldamento con una
levetta messa in mezzo ai piedi!
– Non lamentarti!
– Uffa!
– Non lamentarti! Io solo una 500
mi potevo permettere! Mica faccio il
macellaio.
3.

– Non correre, per favore…


– Dobbiamo arrivare il prima
possibile in ospedale!
– Mamma, non correre, per favore.
– Sei giallo come un limone.
– Mamma, per favore, non correre:
mi stai facendo venire la nausea.
– Tuo zio Nannino ha detto di
correre subito da lui in ospedale!
– Mamma, ma cosí anziché in
gastroenterologia finiamo al pronto
soccorso.
– Tuo zio ha detto che forse è un
attacco di epatite acuta.
– Ma’, vai piano, rischio di
vomitare.
– Vomitare? No, no, no. Abbassa il
finestrino e fai dei respiri profondi.
– Io respiro, tu non prendere le
curve cosí larghe e veloci.
– Respira! Fai dei respiri profon…
Checco!
–…
– Ma che hai fatto?
– … scusa, Mamma…
– Disgraziato!
– … scusa, Mamma…
– Scusa un corno! Che puzza! Che
schifo!
– Scusa, Mamma. Poi pulisco tutto
io.
– Scusa un corno, la pelliccia!
– Mamma, non mi dài la paga della
settimana e la portiamo in lavanderia.
– La mia pelliccia…
– Dài, Mamma, la tua pelliccia
tanto è sintetica.
– La mia pelliccia è…
– Dài, Ma’. Ti prego, sto male…
– La mia pelliccia è…
– Mamma, dài, la laviamo per
bene.
– La mia pelliccia è… è piena di
pezzetti di würstel! Disgraziato! Col
fegato che ti ritrovi lo sai che non devi
mangiare i würstel. Quante volte te lo
devo dire? Non devi rubare i würstel
dal frigo, che ti fanno male! Pulisciti,
disgraziato! E ora vai, siamo arrivati,
corri al quarto piano da tuo zio
Nannino che ti aspetta e abbi il
coraggio di dirgli che sei giallo come
un limone perché ti sei strafogato di
würstel!
– Ma Mamma…
– Abbi il coraggio!
– Sí, Mamma. Scusa, Mamma.

4.

– Nannino.
– Sí, Mariella.
– Allora, cos’ha il ragazzino?
– Dalle prime analisi sembrerebbe
paratifo.
– Paratifo? Come, paratifo?!
– Sí, purtroppo cosí sembra.
– Ma ti ha detto che ha mangiato i
würstel?
– Sí sí, ma mi ha anche detto che
domenica scorsa ha giocato con la
squadra di pallanuoto al campo a mare
di Portoscuso.
– Sí, vero. Ma ti ha detto dei
würstel?
– Ed è già il terzo caso di paratifo
che ci arriva in questa estate da quella
zona.
– Sei stato tu a dire che non deve
mangiare i würstel.
– Quindi il mio sospetto è che se lo
sia preso anche lui. Almeno stando
alle prime analisi. Comunque lo devo
ricoverare e metterlo in isolamento.
– E i würstel?
– Marie’! I würstel non c’entrano
nulla!
– Ah, peccato.
5.

– Buongiorno, Mariella.
– Buongiorno, Rosetta, dài, sali,
facciamo veloci che oggi devo
incontrare due genitori prima degli
scrutini.
– Mamma mia, Marie’, ma che è
’sta puzza?!
– Niente, mio figlio che si strafoga
di würstel e poi vomita.

6.

– Buongiorno, Mariella.
– Buongiorno, Gabriella. Dài, sali,
facciamo veloci che oggi devo
incontrare due genitori prima degli
scrutini. Rosetta, per favore, falla
salire dalla tua parte.
– Mamma mia, Marie’, ma sta
macchina è un forno! E poi che è ’sta
puzza?!
– Niente, Gabrie’, mio figlio che
non sta mai attento alla levetta del
riscaldamento, si strafoga di würstel e
poi vomita.

7.

– Come stai?
– Cosí.
– Hai un brutto colore, tuo zio ha
detto che ti terranno qui almeno un
altro mese.
– Addio estate.
– Non piangere!
– Non piango.
– La professoressa Romagnino ha
detto che ti promuoveranno in terza
con la media del nove. E il mio
collega Pasqualino Carroni ti manda
questo libro.
– Kafka! Ringrazialo tanto.
– I tuoi compagni di pallanuoto ti
mandano i loro saluti e anche quelli
della tua classe. Paoletto Cherchi mi
ha incaricato di dirti che chiuderete il
campionato penultimi.
– Mamma.
– Sí.
– E la 500?
– La 500 l’ha pulita il mio collega
Carroni. Sempre gentile, Pasqualino.
Però un po’ di puzza è rimasta.
– Mamma.
– Sí.
– Ti posso fare una domanda?
– Certo.
– Ma cosa ci faceva la tua
pelliccia in macchina il 4 di giugno?
– Lo so io.

8.

– Sei nervoso.
– Sí.
– Sei nervoso, perché ti stai
toccando…
– Il pirillo.
– Sí, esatto, il pirillo. E cosa c’è
da ridere?
– Nulla, Ma’. Comunque volevo
dirti un po’ di cose.
– Dimmi.
– La prima è che questa volta hai
ragione. Sono molto nervoso.
– E perché? Per l’esame di terza
media?
– Sí, molto.
– Sei prontissimo, non rompere.
Hai studiato tanto tutto l’anno e pure
l’estate precedente.
– Be’, Mamma, in ospedale non
sapevo cosa fare, cosí mi sono portato
avanti con gli studi.
– Vedi che anche il paratifo aveva
un suo perché? Ogni disturbo è grazia.
– Ma’, quando mi dici «ogni
disturbo è grazia» mi fai saltare i
nervi!
– Non toccarti il pirillo!
– Non me lo tocco! Però tu
ascoltami! Ho paura! Hai capito? Ho
paura dell’esame!
– Se urli non ti passa! La paura è
normale. Senza la paura non si va da
nessuna parte. Ci si crede invincibili,
si prendono alla leggera gli ostacoli
che la vita ci pone. Invece la paura è
lí, pronta a ricordarci che dobbiamo
fare affidamento sulle nostre forze, su
tutto il nostro sapere, per poter
superare anche questo ostacolo.
– Sarà.
– Non sarà, è cosí. E poi? Poi che
altro hai?
– Poi, per l’esame vorrei un paio
di jeans nuovi.
– Va bene, ora chiamo la cugina
Annalisa Fois e vediamo se ti lascia i
suoi jeans dell’anno scorso. Oppure
potrei chiedere a Pasqualino Carroni
se…
– Ma’…
– Che c’è, noioso?
– Ecco, l’altra cosa importante che
volevo dirti è questa.
– Dimmi.
– Sono tredici anni che eredito
pantaloni e pantaloncini da Annalisa.
– Embe’? Ti sono stati sempre
bene.
– Ecco, non proprio. Il punto è che
mi stanno sempre piú stretti qui.
– Nella conigliera?
– Sí. Ma’, il punto è che fin da
bambino quando sono nervoso li sento
piú stretti qui.
– Nella conigliera.
– Sí, Ma’, nella conigliera.
– Quindi?
– Quindi possiamo fare come per
la tua 500 e mi compri i jeans nuovi?
– In che senso facciamo «come per
la mia 500»?
– Facciamo le cambiali.

9.

– Cosa sono?
– I soldi per i tuoi jeans.
– Grazie Ma’.
– Ringrazia tuo padre e la Cgil.
– La Cgil?!
– Sí, finalmente gli hanno pagato
una causa.
– Grazie. Grazie mille.
– Ti ci esce anche una t-shirt.
– Fruit of the Loom?
– Fruit of the Loom.
– Però, per l’esame ti suggerirei
mocassini e camicia.
– Button down?
– Sí, camicia button down, va
bene.
– Ti bastano i soldi?
– Non so.
– Tieni, ti do anche questi per la
camicia.
– Minchia, Ma’! Ancora la Cgil?!
– No, questi sono miei. E anche
questi.
– Che cavolo sono, Ma’?
– I jeans dell’anno scorso di
Annalisa.

10.

– Mi accompagni?
– Non se ne parla.
– Dài, Ma’, il vocabolario è
pesantissimo.
– Da quanti anni vai a scuola?
– Otto, Ma’.
– In questi otto anni ti ho mai
accompagnato a scuola?
– No, mai! Cioè, una volta mi ha
accompagnato papà. Ero in prima
elementare e gli hai fatto un casino.
– Ecco, figurati se ti accompagno il
giorno del tuo esame di terza media.
– LO ACCOMPAGNO IO.
– Gabriele!
– Papà!
– Andiamo tutti e tre insieme.
– Con la mia 500?
– No, con la mia Opel Kadett.
– Con la tua Opel Kadett? Da
quando in qua abbiamo una Opel
Kadett?
– Da ieri.
– Da ieri? E non mi hai detto
nulla?
– Sorpresa.
– Ma, Gabriele, non sarà un
azzardo?
– Ogni tanto bisogna pur
gratificarsi. E ora forza, tutti e tre
all’esame.
– Grazie, papà.
– E ringraziamo pure la Cgil.
11.

– Mamma! Ho passato l’esame con


OTTIMO !
– Lo so già.

12.

– Come va?
– Dura, Ma’, il ginnasio è duro.
– Latino e greco?
– Eh sí, ma lí mi aiuta nonna.
– Matematica?
– Un disastro.
– Vuoi che parli con Gabriella
Cocco per farti dare un po’ di
ripetizioni?
– No, Ma’, lascia stare.
– E perché? Guarda, fra due minuti
è qui sotto casa. Oggi tocca a lei
portarci a scuola con la sua 500.
– No, grazie.
– Dài, ti conosce fin da bambino.
Anche Pasqualino Carroni dice che è
bravissima.
– No.
– Ma perché?
– Te lo dico, ma tu non devi dirle
nulla. Giura.
– Non giuro su queste fesserie.
– Giura.
– Non giuro. Semmai posso
promettertelo.
– Uff…
– Forza, noioso, sputa il rospo.
Perché non vuoi andare a fare
ripetizioni da Gabriella Cocco?
– Perché l’ha detto anche il figlio
Luca!
– E cosa ha detto?
– Che esistono tre modalità:
severo, crudele e modalità
professoressa Cocco!
13.

– Dài, attraversiamo.
– No.
– Attraversiamo e saliamo in
macchina.
– Nooo.
– Disgraziato, sali in macchina!
– No, quella non è la tua 500!
– Ah sí? E di chi sarebbe?
– Solo Gabriella Cocco ha la 500
color senape.
– Sali, lo facciamo per il tuo bene.
O vuoi essere rimandato in
matematica?
– No, non salgo.
– Forza, sali, che a bordo c’è
anche Pasqualino Carroni che ha fretta.
– No, vado a studiare con i miei
compagni, provo con loro a ripetere
matematica.
– Sarai bocciato.
– Ce la farò.
– Sarai bocciato.
– Ho detto che ce la farò.
– Gabriella! Metti in moto, dài, ce
ne andiamo! Altro che modalità
professoressa Cocco! Questo è piú
duro di te!

14.

– Mamma.
– Lo so già.
– Scusa.
– Lo aveva detto anche Pasqualino
Carroni che matematica te l’avrebbero
lasciata. Pasqualino però ha anche
detto che…
– E basta, Ma’, con ’sto cazzo di
Pasqualino! E Pasqualino di qua e
Pasqualino di là! Non se ne può piú!
Ma chi cazzo è… il tuo amante?
– Stai zitto! Cretino! E asino!
– Ahia! Ma’! Cazzo fai, mi prendi
a schiaffi?!
– Zitto! Cretino! Asino! Scimpru e
burriccu!
– Ahia! Ahia! Ahia!
– Zitto! Non ti azzardare mai piú a
dire una cosa cosí. Mai piú!
– Ahia! Cazzo!
– Non ti permettere mai piú di dire
una parola su Pasqualino! Mai piú!
Chiaro?! Asino! E maleducato!

15.

– Spunta piano.
– Sí.
– Spunta piano.
– Sí.
– Spunta pianooo.
– Sí.
– SPUNTA PIANO!
– Sí.
– Checco! Ti ho detto di spuntare
piano, mi stai facendo venire il volta
stomaco!
– Ah! Adesso hai capito come ci si
sente con la tua guida?!

16.

– Non ti insegno piú.


– No, dài, Ma’!
– Uff, noioso. Ho detto che non ti
insegno piú.
– Per favore.
– Lo sai, quando dico no, è NO !
– Ti prego.
– Non sono disposta a perdere
tempo con uno che mi prende in giro.
– Non ti prendo in giro, ma se non
imparo bene è perché tu non è che sei
una gran pilota.
– Allora iscriviti alla scuola guida
e non rompere. I tuoi nonni ti hanno
dato anche i soldi per l’iscrizione.
– Quei soldi li vorrei usare per
comprarmi il motorino nell’attesa di
prendere la patente.
– E dringhidi con questo motorino.
– Dài, Ma’.
– Quanti anni hai?
– Diciassette, quasi diciotto.
– Da quanti anni metti da parte i
soldi del motorino?
– Da quando ne avevo tredici.
Perché tu non me lo hai mai voluto
comprare.
– Esatto.
– E io sono andato a fare la
vendemmia, a scrostare i muri di casa
di zio Roberto Pisano, a raccogliere
ciliegie, a vendere collane di perline
per mettere da parte i soldi e
comprarmelo da me.
– Bravo, era tuo dovere
sacrificarti.
– Sí, però poi tu non me l’hai fatto
comprare.
– Certo, il motorino è pericoloso.
Già sei sfigato di tuo.
– Mamma, sono l’unico coglione
della mia classe che ha l’abbonamento
del bus.
– Sí, ma io sono piú sicura. Cosa ti
ho detto? Ti prendi la patente e quando
ti serve ti presto la 500.
– Sí, buonanotte.
– Forza, riparti.
– Mamma, ti prego. Ho visto un
Vespino usato.
– No. Forza, spunta e riparti.
– Un Ciao di seconda mano.
– No. Ho detto no.
– Il bidello sta vendendo il suo
Boxer sella lunga. È un affare.
– Riparti! E non ti voglio piú
sentire. E spunta piano o mi fai venire
la nausea!
– Ti prego.
– No. Punto e basta.
– Ma perché?
– Perché il motorino è pericoloso!
E tu sei un imbranato.
– Grazie, Ma’.

17.

– Pronto, la signora Abate?


– Professoressa Pisano, prego.
– La Mamma di Francesco Abate?
– Sí, sono io, con chi parlo?
– Sono la segretaria del liceo
Siotto.
– Ah! E mi dica, cosa ha
combinato di nuovo quel disgraziato!?
Ha guidato lo sciopero per l’assenza
di riscaldamento? È entrato per
l’ennesima volta alla seconda ora? Ha
fatto scritte sui muri della biblioteca
come il mese scorso? O forse era a
fumare nel bagno delle ragazze come
l’altra settimana?
– No, professoressa. La prego, non
si spaventi.
– Ha fatto a cazzotti?!
– No, professoressa. La prego, non
si spaventi.
– Ma se lei continua a dirmi di non
spaventarmi, io mi spavento e come!
Forza, che è successo?
– Francesco ha avuto un incidente.
– Un incidente?! Sull’autobus!?
– No, professoressa, in motorino.
– In motorino!?
– Sí, in motorino.
– Ma lui non ha un motorino!
– Infatti, era seduto dietro alla
moto di Dinaro Ninni quando, fermi a
uno Stop, un’auto li ha travolti.
– Oddio! E cosa si è fatto Ninni?!
– Nulla di grave, professoressa.
Dall’ospedale dicono solo
escoriazioni ed ematomi.
– E la moto?
– Distrutta.
– O Santo Dio!
– Professoressa?
– Sí. Mi dica.
– Ma… e di suo figlio non vuole
sapere?
– E mi dica.
– Dall’ospedale dicono frattura
scomposta di tibia e perone. Lo stanno
per mettere in trazione.
– Cosí impara a disubbidire.

18

– Ciao Mariella.
– Ciao Gabriella.
– Mi ha chiamato Rosetta, dice che
oggi a scuola non viene.
– Malata?
– No. Ha detto che non viene con
noi.
– Ah!
– Preferisce andare con il gruppo
dell’Amoruso.
– Ah!
– L’Amoruso si è comprata la
Ritmo.
– Ah!
– Cabrio.
– Ah! E tu?
– Non sono tipa da Ritmo Cabrio.
Io sono come te, faccio la spesa alla
Coop e mi vesto all’Upim.

19.

– Mamma! Ho preso la patente!


– Lo so già.

20.

– Mamma mi presti la 500 stasera?


– No, ho riunione alla scuola
popolare di Sant’Elia e finisco tardi.
– Domani?
– No, ho catechesi alla nuova
comunità e devo passare a prendere
anche Pasqualino Carroni.
– Che comunità?
– Neocatecumenale. Ci vieni?
– No no. Sabato sera? Me la lasci
sabato sera?
– No, siamo invitati con tuo padre
a una festa in maschera.
– E non potete andare con quella di
papà?
– No, è dal carrozziere.
– Domenica, me la lasci domenica
pomeriggio?
– No, sono in ritiro spirituale fuori
città. Se vuoi te la presto lunedí.
– Lunedí non mi serve. Però cosí
non vale. Me lo avevi promesso.
Niente motorino, ma dopo la patente la
500.
– No! Ti avevo detto che ti avrei
prestato la 500 quando a me non fosse
servita.
– Ma cosí non riuscirò mai ad
avere una ragazza!
– Ah! E ti serve una macchina per
avere una ragazza?
– Sí!
– Boh! Ai miei tempi serviva altro.

21.

– Checco!
– Sí, Ma’.
– Mi accompagni a fare una
commissione?
– In macchina?
– Sí. Poi, se vuoi, te la lascio tutta
la sera.
– Sí, grazie, Ma’. Però guido io.
– Va bene. Guarda che viene con
noi anche Giuseppe.
– Okay, Ma’. Dove andiamo?
– Alla concessionaria a compare il
Vespino a tuo fratello.
22.

– Dài, Checco, non fare cosí.


–…
– Dài, lo sai com’è Mamma.
– E come sarei?
– Mamma, per favore, stai zitta e
lascia parlare me.
– Va be’, sto zitta. Ma solo perché
me lo dici tu, Giuseppe.
– Dài, Checco, lo so che a te non ti
hanno mai voluto comprare il
motorino, che ti hanno sempre detto
che non c’erano i soldi per comprarlo
e poi quando i soldi li hai messi da
parte tu lavorando ogni estate non
hanno voluto lo stesso. Però hanno
capito la lezione.
–…
– Rispondi a tuo fratello, noioso!
–…
– Rispondi!
– Che cazzo vi devo dire? Quale
cazzo di lezione?
– Che è meglio essere alla guida,
perché è sempre quello seduto dietro
che ci lascia le penne. Noioso!

23.

– Ecco la figliola prodiga.


– Dài, Mariella, non prendertela.
– Non me la prendo, anzi, sono
contenta.
– Anche io.
– Da quanto ci conosciamo,
Rosetta?
– Dai tempi del ginnasio.
– Sempre insieme.
– Ti voglio bene, Mariella.
– Anche io, tanto. Dài, monta a
bordo o facciamo tardi a scuola.
– Non correre, però.
– Non corro.
– Non prendere le curve larghe.
– Non prendo le curve larghe. Ma
dimmi un po’, com’era ’sta Ritmo
Cabrio?
– La macchina è bella. Ma le
colleghe, quell’Amoruso. Mamma mia.
– Fanatiche?
– Di piú. Delle burricche. Mi
mettevano in imbarazzo. Non sono
come noi.
– E come siamo noi?
– Siamo da 500, Marie’,
eternamente da 500.

24.

– Ti serve la 500?
– Sí, grazie, Ma’.
– Tieni le chiavi.
– Okay.
– Poi al rientro vai a prendere tua
sorella a scuola.
– Eh no! Cazzo!
– Non dire parolacce!
– Ora spiegami una cosa: a me non
hai mai voluto comprare il motorino e
a Giuseppe hai comprato il Vespino. E
va be’, le condizioni economiche
grazie a papà erano cambiate. Per
un’intera carriera scolastica non mi sei
mai venuta a prendere a scuola e ora io
devo andare all’uscita del ginnasio a
prendere mia sorella. Mi spieghi
perché?
– Lo so io.
– Eh no! Stavolta non te la cavi
cosí con i tuoi «lo so io» e «lo so già».
– Calmati!
– Non mi calmo neppure per idea!
– Quanti anni ha tua sorella?
– Quasi quindici.
– Bene, il prossimo anno né
compirà sedici e tu non dovrai piú
andare a prenderla a scuola.
– E perché?
– Perché a sedici anni prenderà il
patentino e tuo padre le ha promesso il
Vespone 125.

25.

– Ahia! Ahiaaa! Basta, Ma’! Ti


prego! Bastaaa!
– Maledetto, maledetto, maledetto,
maledetto.
– Ti prego, basta con ’sto cazzo di
battipanni, bastaaa!
– Maledetto! Ecco qua! Abbi il
coraggio! Forza, dillo! Cosa sono
queste?!
– Pastiglie.
– Ma ti ammazzo io di colpi prima
che ti ammazzino le pastiglie!
– Ahia! Ma’, basta!
– E questo?! Questo cos’è? Forza
parla! Abbi il coraggio!
– Fumo.
– Fumo! Maledetto! E lo dici cosí,
fumo, come se nulla fosse. Droga!
Chiamala col suo nome: droga!
– Ahia! Ahiaaa! Basta, Ma’! Ti
prego! Bastaaa!
– Sai dov’erano?!
– Mhm…
– Sotto il sedile della mia 500. La
mia 500! Le ha trovate Pasqualino
Carroni mentre cercava il portafoglio
che gli era caduto!
– Scusa, Ma’.
– Scusa lo devi chiedere a te
stesso. Non a me! Maledetto.

26.

– Ha detto che non te la presta piú.


– Pazienza.
– Ha detto che la presta solo a me.
– Meglio cosí.
– Però, fratello, se ti servono
passaggi chiedimi.
– Grazie, Giuseppe.
– Prego.
– Sempre insieme, fratello.
– Sempre insieme, Checco.
– Ti ricordi quando facevo a botte
per te al mare?
– Mi rincorrevano per prendermi
in giro.
– «Conch’e meloni, conch’e
meloni».
– Stronzi.
– Bastardi.
– Non siamo mai stati dei bei
bambini.
– Come ti va, Giuse’?
– Ho paura per l’esame di
maturità, Checco.
– Fatti spiegare da Mamma che la
paura serve.
– Serve?
– Sí, cosí dice lei. Serve a
superare gli ostacoli, a prendere
coscienza delle nostre forze.
– Io ho paura di non ricordarmi
niente.
– Guarda, Giuseppe, stai
tranquillo: se hai studiato, e tu hai
studiato, ti siedi lí e magicamente ti
ritorna tutto alla memoria.
– Chissà.
– Sí, se hai studiato è cosí.
– E tu?
– Mollo l’università.
– Nooo.
– Sí.
– Papà ci muore. Mamma ti
ammazza.
– Lo so. Ma non fa per me.
– E cosa vuoi fare?
– Non lo so. Ma l’avvocato no,
mai. Non è per me.
– Dovresti scrivere.
– Dici?
– Sí, dovresti scrivere. Magari
giornalista, scrittore. Dovresti.
– Sarebbe bello.
– Hai sempre saputo scrivere. Sei
bravo a raccontare storie.
– Ma, insomma, sono piú un bravo
lettore. Tutto merito dei nonni.
– E poi…
– E poi?
– Sei un gran bugiardo.
– Coglione.
– E poi…
– E poi?
– Poi la dovresti smettere con
queste cazzo di pastiglie.
– Non mi fanno pensare.
– A cosa?
– Alla mia malattia.
– Cazzate.
– Ho paura, Giuseppe.
– Be’, l’hai detto tu che Mamma
dice…
– Senti, te lo dico qui, questa notte
d’agosto, dentro questa 500. Il giorno
che morirò ti dovrai occupare tu del
mio funerale. Vorrei una bara semplice
e povera. Vorrei una messa alla
cattedrale di Bonaria davanti al golfo,
cosí quando la bara esce vedo il nostro
mare. Poi vorrei essere cremato e
voglio che buttiate le ceneri nell’acqua
alla spiaggia del Poetto. Il giorno in
cui me ne andrò, se…
– Francesco.
– Sí?
– Smettila.
– Ho paura, Giuseppe.
– L’hai detto tu, Mamma dice che
la paura aiuta a superare gli ostacoli.
– Lei dice cosí.
– Tu dalle retta e smettila con
queste cazzo di pastiglie.
– Okay.
– Promesso?
– Promesso. Vuoi fare l’ultimo tiro
di canna?
– No, lo sai, non fumo. E poi
domani ho la partita di pallanuoto in
piscina. E smettila anche con le canne.
– Okay.
– Promesso?
– Promesso, fratello.
– Dài, ora scendiamo e andiamo a
farci un tuffo.
– Dici che l’acqua è calda? Anche
a mezzanotte?
– Sarà caldissima, fidati, Checco.
Mamma in redazione

Mia madre ha un superpotere piú


superpotere degli altri superpoteri che
ha. Sa esattamente qual è il momento
meno opportuno per chiamarmi.
Ovvero un secondo dopo la chiusura di
un’urticante conversazione di lavoro al
telefono della redazione.

1.

– E allora, come è andata la


settimana?
– Benino, Ma’. Ho ricevuto
ottocento telefonate da persone che mi
chiedevano un favore. Nessuna per
ringraziare di averlo ricevuto. Due per
cazziarmi che il favore non era proprio
come se lo aspettavano e una perché
non ce l’avevo fatta.
– Capitava anche a tuo padre.
– E lui che ha fatto?
– Nulla. È morto sereno.

2.

– Sí, pronto.
– Il reparto della cultura
dell’«Unione»?
– Sí, mi dica.
– Sono la scultrice Rosaria Marchi
in Uccheddu. Tu chi sei?
– Sono Francesco Ab…
– Non ti conosco!
– Emm… no, mi sa di no…
– Allora scrivi: «Mandela, della
scultrice Rosaria Marchi in
Uccheddu».
– No, mi scusi, non può mandarmi
una mail con i dati della mostra?
– Quale mostra?!
– Be’, la mostra Mandela.
– Non c’è nessuna mostra!
– Ah… ma allora Mandela cos’è?
– Come? Non conosce Mandela?!
– Sí, certo, va bene, ma non ho
capito…
– Allora, quando tu trovi uno
spazio nel giornale, scrivi: «Mandela,
della scultrice Rosaria Marchi in
Uccheddu».
– Sí, okay, ma dove metto che si
svolge?
– Come, dove si svolge?! In tutto il
mondo!
– Ah…
– Allora, ascoltami bene, ti do una
dritta!
– Sí…
– Prima era: Conchiglie e coralli
di Mandela, ora invece è Mandela.
Hai capito?
– No… ma veramente…
– Ecco, quando trovi uno spazio
sul giornale scrivi…
– «Mandela, della scultrice
Rosaria Marchi in Uccheddu»…
– Bravo! Finalmente ci siamo
capiti! Molto, ci voleva?! Buonasera e
grazie.
– Buonasera, grazie a lei.

3.

– Ciao Ma’, dimmi, veloce che


sono incasinato.
– Mi porti al cinema questa
settimana?
– Sarà difficile, sono pieno di
lavoro.
– Andiamo presto.
– Dài, Ma’, vediamo. Cosa vuoi
andare a vedere?
– Invictus.
– No, Ma’. Invictus proprio no.
– Ma se non sai neppure di cosa
parla.
– Sí, Ma’, lo so. È la storia di
Mandela.

4.

– Sí, pronto, sono Antiogu


Ribichesu, ha ricevuto il mio libro di
poesie?
– Sí, signor Ribichesu, ricevuto,
grazie. Entro la fine del mese lo
recensiremo.
– Cioè?
– Come, cioè? Intendo dire che
entro la fine del mese uscirà la
recensione del suo libro.
– Ma in che senso?
– … eh… nel senso che uno dei
nostri giornalisti recensirà il suo libro
sulle nostre pagine di cultura.
– No, mi scusi, ma mi sfugge il
termine.
– … quale termine?
– «Recensire»! Cosa vuol dire che
mi recensirete?

5.

– Che c’è, Ma’?


– Stai lavorando?
– Sí, Ma’.
– Ti disturbo?
– No, però dimmi, veloce.
– Ieri poi sono andata all’Odissea,
il cinema.
– Hai visto Invictus?
– No, la sala era piena.
– Ah! E cosa hai visto?
– Un film bellino di un nuovo
regista italiano.
– Ah, e ti è piaciuto?
– No. Ma ti ho pensato.
– Ah! Ti ha ricordato un mio libro?
– No.
– E cosa?
– Era la storia di una madre e di un
figlio.
– Sí…
– E il figlio rubava sempre alla
madre il «Postal Market»…
– Sííí…
– Il resto lo sai perché lo facevi
anche tu.
– No, Ma’, ti sbagli, aspe’…
– Ciao, figlio mio, lo vedi che poi
le madri vengono sempre a scoprire
tutto.
– No, Ma’, aspe’…
– Maniaco! Ahahahah ahahahah!
– Ma che fai, ridi?
– Certo! Con un figlio che si
chiudeva in bagno per guardare
l’intimo di «Postal Market» non posso
che ridere.
– No, Ma’! Non è come credi…
non è… e poi ero un ragazzino.
– Anche Rosetta, che è venuta con
me al cinema, ha riso molto.
– Rosetta? Ma’! No, dài! Come
sarebbe a dire Rosetta? Hai detto
questa cosa a Rosetta?
– Certo, noioso! A chi lo dovevo
dire? Tu non mi ci porti mai al cinema.

6.

– Pronto! La pagina della cultura?


– Sí, signora, prego, mi dica.
– Quando vi decidete a pubblicare
un bell’articolo sulla nostra
manifestazione?! Eh?
– Mi perdoni, quale
manifestazione?
– Quella sulle figlie spirituali di
Emily Dickinson!
– Ma signora, mi scusi, giusto ieri
le abbiamo dedicato una bella spalla
con foto, non ha avuto modo di
vederla?
– No! Non leggo il giornale, io!

7.

– Pronto?
– Sí, mi dica.
– La redazione della cronaca?
– No, signora, le do l’interno
giusto.
– Perché, non è la cronaca?
– No, signora, è la cultura.
– Ah, a me hanno detto che questo
è il numero della cronaca!
– No, signora, le hanno detto male.
Ora le passo l’interno…
– Ascolti, e non posso dire a lei?
Cosí lo scrive lei, l’articoletto.
– Credo di no, ma mi dica
comunque…
– Allora scriva: «Scosternati per
la scomparsa…»
8.

– Pronto, ti disturbo?
– No, Ma’, però dimmi, veloce, sto
lavorando…
– Tieni, Rosetta, te lo passo.
– Rosetta?! No! Ma’, aspetta! Sto
lavorando!
– Checco, sono Rosetta, volevo
dirti…
– Sííí…
– Che mi è arrivato il nuovo
«Postal Market»!

9.

– Pronto, la pagina della cultura?


Sono il professor Cavallotti. Chiamo
per proporre un articoletto.
– Sí, buongiorno, sono Francesco
Abate. Mi dica pure…
– Abate? Ma il figlio
dell’avvocato Abate?
– Sí, esatto.
– E mi ricordi come si chiamava di
nome suo padre.
– Gabriele.
– Ah, sí, giusto, Gabriele. Ma poi
suo padre era morto o no?
– … Sí, era morto.

10.

– Sí, pronto?
– Sono Mamma.
– Oh! Ciao Ma’.
– Ti disturbo?
– Sono un po’ incasinato, ma
dimmi pure.
– Ma sei al lavoro?
– Sí, Mamma, mi hai chiamato al
numero della redazione.
– E cosa ne so io! I tuoi fratelli mi
hanno registrato questo numero sul
telefonino come «Checco Unione»!
– Appunto, Mamma, «Unione» sta
per «L’Unione Sarda».
– Eh, cosa vuoi che ne sappia, io?
– Okay, Ma’, dimmi pure, che fra
dieci minuti ho la riunione con il
direttore.
– Mi ha chiamato la signora
Corrias…
– Sí…
– Si lamenta sempre, la signora
Corrias, le va tutto bene e si lamenta
sempre…
– Sí, Mamma, quindi?
– Mi ha tenuto mezz’ora al telefono
per dirmi che dall’iPad che le hanno
regalato i suoi nipoti non si leggono le
tue firme.
– Quali firme?
– Le tue firme sugli articoli.
– Le mie firme…
– Sugli articoli! La signora Corrias
è una tua attenta lettrice e non legge
piú la tua firma.
– Be’, sono mesi che non firmo un
articolo.
– Okay, allora chiedi ai tecnici
dell’«Unione» se possono fare
qualcosa per l’iPad della signora
Corrias.

11.

– Pronto, l’ufficio tecnico?


– No, è la pagina della cultura.
– Avrei un problema con l’iPad.
– … porco cazz…
– Come? Non la sento. Cosa ha
bisbigliato?
– No, nulla, nulla. È la signora
Corrias, vero?
– No! Sono la professoressa
Balestra.
– Oh, mi scusi!
– La figlia della signora Corrias.
12.

– Pronto! E allora! Da quanto non


ci sentiamo!
– Dall’ultimo favore che mi hai
chiesto…
– Come? Non ho capito bene.
– No, nulla, dicevo a un collega.
– Allora, stai sempre a lavorare
per quel giornalaccio di merda? È
sempre piú illeggibile. Pieno di errori,
inesattezze, marchette. Ho smesso di
comprarlo ormai da anni.
– Be’, insomma, non direi che
siamo un giornale di…
– Fidati, fidati, siete una vergogna.
– Ma veramente non direi che…
– Ne parlavamo giusto ieri
all’università, Gramsci si rivolterebbe
nella tomba al pensiero che nel
giornale dove lui ha messo la sua
firma…
– Che c’entra Gramsci? E poi
scusami ma qui…
– Senti, guarda, dài, non stiamo
neppure a discuterne, lasciamo
perdere, piuttosto ti chiamavo perché ti
devo chiedere un favore…
– Sí… Dimmi…
– Ho lanciato una bella iniziativa,
ti manderei un po’ di materiale, ho
anche due o tre foto che dànno l’idea
del nostro staff e del progetto. Poi ne
avrei una mia col senatore. Ti mando
ora tutto via mail cosí ti ci esce un
bell’articolo, un bel paginone.
– Ah! E vuoi tutto questo nel nostro
illeggibile giornale di merda?

13.

– Pronto, Checco? Hai fatto felice


la signora Corrias. Finalmente ha letto
la tua firma.
– Mamma, veramente non ho fatto
nulla, ho solo firmato un articolo e
quindi ha letto la mia firma. Tutto qua.
– L’ho letto anch’io che non sono
di bocca buona e c’era un errore.
– Ah! E che errore c’era?
– Hai scritto «al lato» anziché «a
lato».
– «Al lato» anziché «a lato»… Ma
perché, non si può scrivere «al lato»?
– Certo che no! Asino.
– «Al lato»… Mamma, sto
rileggendo l’articolo rapidamente e
non trovo nessun «al lato».
– Guarda bene.
– Ma dove? Non lo trovo.
– Noioso! Nella didascalia della
foto.
– E va be’, capirai… la didascalia.
– Capirai un corno!
– Grazie, Ma’, di un intero articolo
ciò che noti è un errore nella
didascalia della foto.
– Certo, figlio mio! Cosa credi? La
gente ti conta gli errori. Solo quelli, ti
conta.

14.

– Pronto, buongiorno, è lei che si è


occupato del caso Franzoni?
– Buongiorno, no, mi spiace,
questo è il reparto cultura. Le hanno
passato l’interno sbagliato. Lei deve
parlare con la cronaca.
– Perché secondo me non è stata
lei ad ammazzare il figlio. Una madre
non ammazzerebbe mai un figlio.
– … perché lei non conosce mia
madre…
– Come?!
– No, nulla. Però, le dicevo, lei
deve parlare con la cronaca…
– E del caso Micaela?! Lei si
occupa del caso Micaela?
– No, signora, le ribadisco: questo
è il re-par-to cultura. Reparto cultura.
Ha capito bene? Se vuole le do il
numero del collega che si occupa della
cronaca nera.
– È lei che si occupa di quella
povera ragazzina, Micae​la, uccisa cosí
barbaramente?
– No, signora. Oddio, la prego, le
ho detto che questo è…
– No, perché, sa, volevo capire:
secondo lei hanno confuso i ghindoli?
– I ghindoli?
– Sí, i ghindoli, i preservativi!
– Non capisco, mi scusi.
– Non è che quello che hanno
arrestato per Micaela non c’entra nulla
e hanno sbagliato con il prelievo del
Dna? Mischino.
– No, non capisco, mi scusi. Ma
cosa c’entrano i preservativi?
– E da dove crede che lo prelevino
il Dna? Dai preservativi usati!
15.

– Pronto, ciao mammina.


– Ah! Adesso sono diventata
«mammina».
–…
– Cosa mi devi chiedere?
– Nulla.
– Dove sei?
– Al lavoro.
– E da quando in qua mi chiami dal
lavoro?
– Volevo dirti…
– Sí, dimmi.
– Volevo dirti, be’, intanto come
stai?
– Male! Come vuoi che stia?
Abbiamo la nipote di signora Corrias
con la broncopolmonite. È ovvio che
sto male! Resisto, non lo do a vedere,
ma è chiaro che sto male per questa
povera ragazzina.
– Mi spiace, ma volevo dirti…
– Sputa il rospo!
– Ho fatto una ricerca e…
– Uffa! Muoviti, noioso, che ho da
fare il minestrone per cena.
– Ho fatto una ricerca e si può
scrivere anche «al lato».
– Ma di cosa stai parlando?
– Dell’errore dell’altro giorno.
– Quale errore?
– Quello nel mio articolo, cioè,
nella didascalia.
– Ma quale?
– Quello per cui mi hai cazziato
l’altro giorno.
– E secondo te mi devo ricordare
ogni volta che ti cazzio?! Dài, noioso,
devo finire di tagliare le verdure per il
minestrone! E portarlo alla nipote di
signora Corrias!

16.
– Pronto! Ha verificato?!
– Mi scusi, con chi parlo?
– Ha verificato se hanno scambiato
i preservativi?
– I preservativi?
– Ho chiamato l’altro giorno! Ha
verificato se c’è stato lo scambio di
preservativi nel prelievo del Dna
dell’assassino di quella povera
ragazza? Micaela!
– Signora, la prego. Un po’ di
rispetto per questa ragazza e, mi scusi
se glielo dico, anche per il mio lavoro.
Le ho già detto che questo non è il
reparto di cronaca. E poi, abbia
pazienza, ma cosa crede? Che un caso
giudiziario sia una serie televisiva
dove tutto si risolve da un giorno
all’altro? Dove i giornalisti sciolgono
i gialli intricati e diventano eroi?
– Ah no?
– No!
– Di che giornale è lei?
– Come, di che giornale sono?! È
lei che ha…
– Di che giornale è?
– «L’UNIONE SARDA»!
– Mischini.

17.

– Pronto, buonasera, vorrei parlare


con il dottor Francesco Abate.
– Sí, buonasera, mi dica.
– È lei, dottore?
– Sí, sono io.
– Buonasera, dottore…
– Guardi, non sono dottore.
– Ah, ecco, non è dottore.
– Eh, no.
– Peccato. Un vero peccato.
– Sí, lo dice anche mia madre.
– Vede, dottore, io scrivo libri e
vorrei incontrarla domani. So che
anche lei scrive.
– Sí, mi diletto.
– Ma io non li ho mai letti, i suoi
libri, non ho molto tempo per leggere
gialli.
– Ah sí… ma, comunque, non ho
mai scritto gialli.
– Bene allora ci vediamo domani,
direi che sono da lei in redazione alle
undici.
– No, aspetti. Io domani non posso,
sarò in ospedale per dei controlli…
– Eh! Ma io ho fretta!
– Guardi, se lei ha fretta, allora le
fisso un appuntamento con un nostro
collaboratore che si occupa di
letteratura e…
– No! Mi ascolti bene. Io devo
incontrare lei.
– Domani…
– Certo, domani!
– Ma le ho già detto che…
– Mi ascolti bene, dottor Abate: io
la devo incontrare subito perché vorrei
assolutamente che lei facesse un film
da uno dei miei libri.
– Un film? Come, un film?!
– Sí, certo, un film! Mi hanno detto
che lei fa anche il regista.
– … ehm, no. Le hanno detto male.
Mi piacerebbe fare il regista ma non lo
so fare.
– E dài! Non lo può fare almeno
per me?
– No, mi scusi, no. Ma di cosa
parla il suo libro da cui vuole fare un
film?
– Di numismatica.

18.

– Pronto, Checco?
– Sí, chi parla?
– Sono Pasqualino Carroni.
– Ah, professore! Come sta?
– Ci ho impiegato mezz’ora a
parlare con te.
– E come mai?
– Perché al centralino dicevano
che non conoscevano nessun Checco!
– Be’, certo, cosí mi chiamano
solo in famiglia.
– Allora io gli ho detto: «Come,
Checco chi? Checco Pisano!»
– No, professor Carroni…
– Sí sí, lo so, quello è il cognome
di tua madre, il tuo è Abate. Comunque
alla fine ce l’ho fatta.
– Mi dica, allora.
– Senti, ti sto chiamando in segreto
da tua madre.
– Che è successo?!
– No, nulla. Tranquillo.
– E allora?
– Il fatto è che tua madre sta
iniziando a patire la solitudine. E tu
dovresti essere piú presente con lei.
– Ha ragione, professore. Ma il
mio è un lavoro con orari un po’
disgraziati. Vede che ore sono? La
gente normale è a casa a cenare, noi
invece siamo ancora qui.
– Sí, lo so. Ma io ti suggerirei, e
bada che tua madre non sa nulla di
questa chiamata, ogni tanto di portarla
al cinema, che le piace molto.
– Ha ragione, dovrei trovare il
tempo almeno una volta alla settimana.
– Oppure, Checco, se la sera non
puoi, accompagnala a fare una
passeggiata, per un gelato.
– Sí, magari di mattina.
– Checco, la solitudine, te lo dico
io, è una brutta cosa e non è giusto che
un figlio lasci sola una madre.
– Certo, professor Carroni, ha
proprio ragione.
– Poi è troppo tardi e uno se ne
pente.
– Ha ragione.
– Sennò poi vengono i sensi di
colpa.
– Giusto, è vero.
– Magari per farla felice la puoi
portare anche a teatro. Non le piace
come il cinema, ma ad esempio la
prossima settimana c’è… c’è… c’è
quello… come si chiama? Il figlio di
quello… come si chiama quello…
quello lí… coso…
– Gassmann!
– C’è Gassmann, capito, Checco?
Puoi portarla a vedere Gassmann. Ogni
tanto, non sempre, puoi anche portarla
a cena fuori e…
– Professor Carroni!
– Sí, Checco.
– Ma con chi è?
– Con nessuno!
– Sicuro?
– Sicurissimo!
– Professore!
– Sí, Checco.
– A me è sembrato…
– No no no, giuro, sono solo,
solissimo.
– Come tua madre!
– Professore!
– Sí.
– Guardi che ho sentito!
– Marie’, ha detto che ti ha sentito!
– Non è possibile, sto parlando
piano!
– Vi sento!
– Ci ha scoperto!
– Allora digli che non si scrive «al
lato» ma «a lato».

19.

– Pronto, è «L’Unione Sarda»?


– Sí, signora.
– Il reparto delle pagine della
cultura?
– Sí, signora.
– Quelle dove si parla anche dei
libri?
– Certo, signora.
– Come?
– Ho detto: CERTO, SIGNORA.
– Mi scusi, sa, sono anziana e non
sento bene. Ma lei è Abate?
– Sí, sono io. Mi dica, mi dica,
signora.
– Come si fa a comprare la
pubblicità per un libro?
– Guardi, signora, non deve
parlare con me, deve parlare con la
concessionaria della pubblicità.
– La concessionaria? Cioè?
– Ora le do il numero della nostra
concessionaria, cosí le spiegano tutto
per benino e…
– Come?
– Le ho detto che…
– Mi perdoni, ma quanto spendo?
Sa, non ho molti soldi e vorrei uno
spazietto come quello dato allo
scrittore Antonio Bachis.
– Ah! Ma signora, quello non è uno
spazio pubblicitario. Quella è una
recensione.
– E non si paga?
– No.
– No? E tutto quell’inserto
dedicato ai libri, anche quello non si
paga?
– No, signora. Ma scherza? Sono
recensioni. Sono i nostri giornalisti
che leggono un libro e poi lo
propongono ai lettori raccontando loro
perché lo consigliano o non lo
consigliano.
– E quindi non si paga.
– No.
– E quindi come devo fare?
– Deve spedire il suo libro qui da
noi in redazione…
– Come?
– Deve spedire il suo libro qui da
noi in redazione e noi lo recensiremo.
– E non devo pagare?
– No! Sarebbe contro ogni regola
professionale.
– Allora ve lo spedisco.
– Bene. Signora, scusi, ma chi le
ha detto che doveva pagare?
– Quelli della mia casa editrice.
Hanno detto che un tot era per pagare
la pubblicazione del mio libro e un tot
per pagare i giornali per far uscire la
pubblicità. Però io ho preferito
chiamare perché il conto mi sembrava
un po’ troppo alto e mi sa che mi
volevano imbrogliare.
– No, signora, questo non è un
imbroglio, è una vigliaccata.
– Come?!
– UNA VIGLIACCATA.
– Ah! Vede: io me lo sentivo. E
gliel’avevo detto, a mio cognato. Ma
lui no, insisteva che aveva ragione lui,
che si fa cosí.
– Ah.
– Sí, guardi, mio cognato è uno di
quelli che sanno tutto loro. Be’, poi in
realtà in questo campo, a dirla tutta, è
uno navigato.
– Ah, e come si chiama? Magari lo
conosco.
– Certo che lo conosce. È il
Deprunas, aspetti che glielo passo, che
le vuole parlare anche lui.

20.

– Pronto, Ma’.
– … signora Corrias, allora, la
burrida la mettiamo tutta in queste
terrine…
– Ma’, pronto.
– … no, signora Corrias, il brodo
lo scaldiamo per ultimo…
– Mamma.
– … sí, lo stoccafisso con i pinoli
l’ho messo sul carrello dei secondi…
– MAMMA !
– Uffa! Che c’è, noioso?
– Come, che c’è? Mi hai chiamato
tu!
– Io non ti ho chiamato!
– Sí, Mamma, mi hai chiamato tu, ti
sarà partita la chiamata, ma mi hai
telefonato tu qui al numero del
giornale.
– Impossibile! Io sto preparando il
pranzo di Pasqua per gli indigenti
della comunità.
– Va be’. Senti, visto che ci siamo,
ieri in via Paoli ho incontrato zia
Maria Urraci e ti manda i suoi auguri.
– Impossibile! Zia Maria Urraci è
morta sei anni fa.
– … sí volevo dire zia Maria
Uccheddu.
– Non è possibile, è morta quattro
anni fa.
– Mhm, zia Maria Pisano?
– Non esistono zie Maria Pisano,
esisteva tua bisnonna Maria Pisano che
è morta quando avevi otto anni.
– Zia…
– Uffa, noioso, lasciami perdere
che stiamo preparando la cena per gli
indigenti!
– Ciao Ma’.
– Ciao! Allora signora Corrias le
dicevo…
– Chi era?
– Chi?
– Al telefono.
– Mio figlio.
– Lo scrittore?
– Eh, quello. Su scimpru.
– Ih, mischineddu, e già con
l’Alzaime ce l’hai?
– No, è giornalista.

21.

– Checco?
– Sí, Ma’.
– Oggi lavori?
– Sí.
– E cosa devi fare?
– Devo andare al gay pride, devo
fare un servizio lí.
– Ah!
– Ti scandalizza?
– No no.
– Bene.
– Mi passi a prendere?
– Mamma! Ma ti ho detto che devo
andare al gay pride!
– Appunto.
– Come, appunto?
– Anche io. Mi dài un passaggio?
– Ah, sí sí.
– Non mi va di andarci da sola in
500, ci sarà molto traffico.
– Okay.
– E prima puoi passare a prendere
anche un mio amico?
– Uff… va bene, Ma’, che palle.
– Abita vicino a casa tua.
– Ti ho detto che va bene.
– E la sua 600 è ormai vecchia e
scarrabbeccia.
– Mamma?
– Sí.
– Ma chi è ’sto tuo amico?
–…
– Mamma?
– Ti ricordi la mia pelliccia
d’estate… il tuo vomito…
– Oddio, Mamma, come ho fatto a
non capirlo, sono…
– Allora non si chiamavano ancora
drag…
– Sono proprio…
– Però c’erano già i localini dove
si facevano gli spettacoli…
– Mamma, sono un coglione.
– Se lo dici tu, figlio mio.

22.

– Buongiorno, Checco.
– Buongiorno, professor Carroni.
– Pasqualino. Basta con questo
professor Carroni.
– Pasqualino.
– A dirla tutta, Pasqualino
Maragià.
– Pasqualino Maragià.
– Quando facevo gli spettacolini:
Pasqualino Maragià.
– E Mamma le prestava la
pelliccia.
– Anche le parrucche.
– Anche le parrucche?
– Tua madre aveva una parrucca
bionda con i riccioli, bellissima.
– Ma davvero? Non l’ho mai vista.
– Sí, dice che a tuo padre
piaceva…
– Non voglio sapere altro. Grazie.
– Tua madre lo dice sempre che sei
un po’ bacchettone.
– Ma quale bacchettone?
– In verità, a un certo punto ha
pensato che anche tu fossi
omosessuale.
– IO ?!
– Sí, da ragazzino ti ha beccato piú
volte nella tua stanza che ballavi in
mutande.
– Minca, che vergogna. Però che
c’entra?
– Infatti, nulla. Glielo dissi pure io.
Anche se a un certo punto mi sono
preoccupato.
– Che fossi gay? Lei, dico lei,
professore, si è preoccupato che io
fossi gay?
– No, ma hai sempre avuto certi
mostri come fidanzate! Mischino.
– Va be’, professore, salga…
– Pasqualino.
– Pasqualino. Forza, salga in
macchina, che se arriviamo in ritardo
da Mamma poi chi la sente?
– Ti scoccia se mi cambio in
macchina?
– No, no, prego. Tanto, ormai.
– Secondo te vado bene, se resto
solo con le mutandine in pelle?
– Si figuri. È estate.
– Ah ah ah! Cretino. Sto
scherzando!
– Ah! Meno male!
– Mi metto anche la canottiera.

23.

– Pronto? Sono il poeta Deprunas.


– Buonasera, mi dica.
– Ha ricevuto il mio capolavoro?
– Mhm… mi ricordi il titolo…
– Sogni di mezz’autunno sul
manto porporino di Eleonora
d’Arborea.
– Ah, sí sí.
– Ha visto che meraviglia?
– No, mi perdoni, l’ho dato in
lettura a un collega.
– Bene, e quando uscirà la vostra
recensione su questa mia opera che, le
assicuro, sta cambiando il panorama
della poesia italiana?
– A breve.
– Sia piú preciso, per favore. Sa,
sto per ultimare anche una saggio
bilingue italiano e sardo sulla poetica
dell’Ungaretti e del Bobore Moros.
– Ah!
– Sí, e le assicuro che ho superato
me stesso. L’opera che sto stendendo
sarà uno dei capisaldi della letteratura
comparata di tutti i tempi. Un testo che
dovrà essere assolutamente adottato da
tutte le scuole, e infatti mi sono già
attivato con l’assessore Marruscheri
affinché la Regione ne faccia un
consistente acquisto. Quindi, è
importante conoscere l’uscita esatta
della recensione per dare alle stampe
il mio prossimo splendore editoriale.
– Bene, uscirà sabato 18.
– Ottimo! E chi avrà la fortuna di
recensirlo?
– Alessandro Alessandrini.
– Ah, il dottor Alessandro
Alessandrini!
– Lo conosce?
– No! A tal proposito, infatti, le
chiederei il numero di telefono per un
confronto, affinché nulla vada perso
dell’intensità della mia opera nello
scritto dell’Alessandrini. Posso
averlo?
– Ma certo!

24.

– Francesco.
– Oh! Caro Alessandrini!
– Sei un pezzo di merda.

25.
– Pronto, Alessandro?
– Vaffanculo.
– E dài!
– Cazzo, mi hai rovinato la vita! Tu
non hai idea di quante volte al giorno
mi chiama ’sto Deprunas.
– Ahahahah!
– E non hai idea a che ora mi
chiama e quanto mi tiene al telefono!
– Ahahahah!
– Non ridere. Guarda, anticipa
l’uscita della recensione, che non ne
posso piú!
– Okay.
– Okay un tubo! Ora vuole
sottopormi la lettura del saggio
Ungaretti - Bobore Moros e vuole
passare a casa a portarmelo
personalmente.
– Ah! A proposito, hai capito chi è
’sto poeta, Bobore Moros?
– Certo!
– E chi è?
– Il cognato!

26.

– Pronto, Checco?
– Sí, Mamma.
– Mi ha telefonato il poeta
Deprunas.
– Oddio, no!
– Oddio, sí. Mi ha tenuta un’ora al
telefono.
– Mamma, dobbiamo levare il
numero di casa tua dal​l’elenco
telefonico.
– Al piú presto. Poi Gabriele
Abate è il primo nome dell’elenco
telefonico di Cagliari.
– Io lo dico da anni.
– Credo che ormai, a vent’anni
dalla sua morte, non si offenderà
nessuno.
– Credo anche io.
– Comunque, questo Deprunas mi
ha fatto una testa a pallone. Pensava
che tu vivessi ancora qui. Dice che al
giornale non riesce piú a trovarti e
voleva il tuo numero di cellulare.
– Nooo!
– Infatti, per ora non gliel’ho dato.
– Come, per ora?
– Mi accompagni stasera al cinema
Odissea?
L’eterno riposo

Ce ne siamo lasciati dietro


parecchi. Non siamo stati una famiglia
molto fortunata, come tante, del resto.
Il cimitero di San Michele, alla
periferia nord di Cagliari, è un buon
camposanto dove Mamma va spesso a
deporre i fiori e a snocciolare le sue
preghiere. Va a trovare chi le è stato
caro in vita e spera tanto di incontrare
ancora nell’aldilà. A San Michele ama
andarci da sola, ma non sempre.
Purtroppo.

1.

– Ci vieni a messa?
– No.
– Perché non ci vieni?
– Perché le vostre non sono messe,
sono maratone.
– Non esagerare.
– Non esagerare? Le nozze di Anna
sembravano quelle di Cana. Il funerale
di papà è iniziato a marzo ed è finito a
giugno.
– Non fare il cretino.
– Io non faccio il cretino, però voi
neocatecumenali siete esagerati. Ore e
ore per una semplice messa. E canti e
letture e poi di nuovo canti e poi di
nuovo letture. Non si finisce mai.
Neppure la presentazione di un libro
del poeta Deprunas dura cosí tanto!
Sintesi! Sintesi! Ci vuole sintesi.
Bastano poche ma giuste parole per
entrare nel cuore della gente. E voi
invece no! Parole, parole, parole,
quante parole. Troppe!
– Un giorno capirai. E poi calmati.
– Non sono interessato a capire né
a calmarmi! Il funerale di Gabriele,
nostro nipote… nemmeno lí vi siete
risparmiati…
– Cosa c’era che non andava?
– È stato uno strazio. Vedere mia
sorella salire sul pulpito e pregare per
suo figlio. Non una lacrima, il viso
stravolto dal dolore. E poi la bara,
piccola piccola al centro di quella
chiesa. Io non riesco a levarmelo dalla
mente… lui steso sul tavolo
dell’obitorio gelido. L’odore
nauseabondo dei fiori che si mischiava
con quello dei disinfettanti. Non si può
morire a diciotto mesi, Mamma!
– E cosa c’entriamo noi
neocatecumenali?
– Nulla, ma con qualcuno me la
dovrò pur prendere.

2.
– Ci vieni a messa?
– E dringhidi. Lo sai che da voi
non ci vengo.
– E dopo, quando esco, mi ci porti
al cimitero?
– Sí, in cimitero sí. Però non farmi
fare tutto il giro della famiglia.
– Tranquillo, tutta tutta no.

3.

– Non trovo mai tuo zio Roberto.


– Non chiederlo a me, perché ogni
volta io in questo cimitero mi perdo.
– Dunque, quelli morti nel 1999
dovrebbero essere nel blocco NO45.
– Perché lo zio lo chiamavano
Piscicani, eh Ma’?
– Perché era un grande nuotatore. È
stato anche campione italiano, stile
libero. Ed è questa la cosa che mi fa
piú arrabbiare.
– Quale?
– Che un corpo cosí sano, sportivo,
ancora giovane, non lo abbia salvato
dalla leucemia.
– Eccolo qua, Ma’. Ecco lo zio.
Ultima fila, in alto a destra.
– Povero fratello mio.
– Prendo la scala e gli mettiamo
due fiori?
– No, lasciamogli quelli che gli ha
messo tua zia Marianne. Sono ancora
freschi e belli. Lasciamo che glieli
cambi lei. Sono i pochi privilegi che
restano a noi vedove.

4.

– Dài, Mamma, ora basta.


– Cammina, pelandrone.
– Allora, da papà siamo stati, dai
nonni anche, dal piccolo Gabriele
pure, da zio Roberto anche, siamo stati
da zio Ottavio, zia Rita, zio Tonino, zio
Franco, zia Rosaria, zia…
– Figlio mio, abbi pazienza, non è
colpa mia se tuo nonno aveva undici
tra fratelli e sorelle e tua nonna
altrettanto.
– E noi dobbiamo mettere un fiore
e dire una preghiera a tutti?
– E tu, da tutti hai avuto il regalo di
matrimonio?
– Mhm, e sí.
– E allora forza, cammina.

5.

– Scusi, signora! Signora! Dico a


lei! Signora!
– Dài, Mamma, lascia perdere.
– Non lascio perdere neppure per
idea.
– Mamma, per favore, non
facciamo queste figure…
– Signora! Venga qua! Non scappi!
Guardi che l’ho vista!
– Mamma, per favore, smettila,
cosa vuoi che siano due fiori…
– Signora! È inutile che scappa!
L’abbiamo vista mentre rubava i fiori
da quella tomba!
– Mamma!
– Torni indietro! Li rimetta al loro
posto! Ladra! Ladra! Ladra!
– Mamma, per favore. Basta.
Smettila, prima che arrivi qualcuno.
– L’abbiamo vista sa? Non la passa
liscia! Mio figlio è anche giornalista e
ora lo scrive sul giornale!
– Ommioddio! Mamma, sta
tornando indietro!
– Ladra! Abbi il coraggio.
– Mamma! Quella sta tornando
indietro!
– Fatti avanti, ladra! Forza, fatti
avanti!
6.

– Ti vergogni di tua madre?


– Molto, Mamma.
–…
– E poi, dico io, quando ti sei
scagliata contro la signora era proprio
necessario urlare: FORZA PARIS?!

7.

– Papà?!
– Che c’è, Giulietta?
– Papà?!
– Dimmi…
– Ma dov’eri?
– Al cimitero con tua nonna.
– Al cimitero? Ma hai una guancia
livida e la camicia sporca di sangue.
Ti ha picchiato nonna?
– Lascia perdere.
– Ahahahahahah. Col battipanni?
– Giulia, per favore.
– Ahahahahahah.
– Non è andata come credi.
– Ahahahahahah.
– Ho sedato una rissa tra tua nonna
e una ladra di fiori.
– Ahahahahahah.
– Giulietta, bella di papà tuo…
– Sí, papino?
– Vaffanculo, va’!

8.

– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la messa
commemorativa per tuo padre, ci
vieni?
– Certo, Mamma.
– Sicuro?
– Ma certo, ci mancherebbe altro.
Dimmi dove, quando e a che ora.
– Alla chiesa del Poetto, sabato
alle 6,30.

9.

– Non è giusto!
– Sali in macchina e non rompere.
– Non è giusto!
– Sali in macchina.
– Non è possibile!
– Quante volte hai accompagnato
tua nonna al cimitero?
– Tre!
– Quante?
– Due!
– Quante?
– Due!
– Non dire fesserie, Giulia! Ci sei
andata una volta sola!
– Due! Con questa, due!
10.

– Vedi, Giulia…
– Sí, nonna.
– Questa è la tomba di mio nonno
Rosolino Guicciardi.
– Sí, nonna.
– Tuo babbo una volta gli aveva
fatto la pipí sulle gambe. Tuo padre
era un grande piscione. E anche
cagone.
– Sí, nonna.
– Nonno Rosolino era sposato con
nonna Emma. Una donna bellissima.
Anche mia nonna Maria, che sta piú in
là, era molto bella.
– Sí, nonna.
– Tutte le donne di famiglia sono
sempre state molto belle.
– Sí, nonna.
– Slanciate, affascinanti ed
eleganti.
– … sí, nonna…
– Ora che ci penso, però, non tutte.
Zia Tea, no. Zia Tea era piú come te.

11.

– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la messa
commemorativa per tuo nipote
Gabriele, ci vieni?
– Certo, Mamma.
– Sicuro?
– Dimmi dove, quando e a che ora.
– Alla chiesa del Poetto, domenica
alle 6,45.

12.

– Nonna?
– Sí, Giulia.
– Ma avevi già pensato dove
seppellire papà se il trapianto fosse
andato male?
– A fianco a me.
– Non ti capisco.
– Ho avuto paura che un altro lutto
cosí non lo avrei sopportato. Senza un
marito si può provare a resistere, ma è
durissima. Poi, sai, io e tuo nonno,
be’… capirai quando sarai piú grande.
Perdere i genitori fa parte della vita, te
ne fai una ragione. Seppellire un
fratello e un nipotino ti fa mettere in
dubbio l’esistenza di Dio. Sono prove
insormontabili. La fede traballa, ma ti
sorregge. Perdere un figlio, tuo
padre…
– Non ce l’avresti fatta?
– E provaci tu a vivere senza
l’unica persona a cui puoi rompere i
coglioni impunemente.

13.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la messa
commemorativa per i nonni, ci vieni?
– Mhm, okay.
– Sicuro?
– Farò il possibile. Dimmi dove,
quando e a che ora.
– Alla chiesa del Poetto, lunedí
alle 12,15.

14.

– Sali in macchina.
– No.
– Forza, Giulia!
– No, papà! Ogni volta nonna mi
insulta.
– Ma smettila!
– Sí, l’ultima volta mi ha detto che
sono racchia e bassa come zia Tea.
– Ma smettila! Te l’ha detto per
prenderti in giro.
– No! Era seria!
– Ma se non esiste nessuna zia Tea!
– Non esiste?
– No, hai una nonna un po’ cosí…
– Cazzona?
– Eh, cosí.
– Ma dimmi tu. E comunque questa
volta non vengo con voi al cimitero.
– E dài, cosí ne approfittiamo,
andiamo al bancomat e ti do la paga
del mese.
– Allora vengo.

15.

– Perché hai quella faccia,


Checco?
– Guarda le unghie di tua nipote!
– E cos’hanno le mie unghie che
non va? Eh, papà?
– Sono da… sono da… zoccola!
– Checco! Siamo al cimitero!
– Papà!
– Ma sono unghie da ragazzina,
queste? Cosí lunghe e nere!
– Uffa! Papà!
– Stai tranquilla, Giulietta. Anche
tuo padre un anno si è smaltato le
unghie di nero.
– Ma cosa dici, Mamma?!
– Dico, dico. Avevi le unghie nere.
– Non me lo ricordo.
– Me lo ricordo io.
– Mai avute cosí lunghe.
– No, cosí lunghe no. Ma smaltate
di nero sí.
– Non è vero!
– Ahahahahahah!
– E tu non ridere, figlia cretina!
– Cara Giulietta, una volta tuo
padre ha anche indossato la gonna per
andare in discoteca.
– Non dire fesserie! Non ho mai
indossato gonne in vita mia!
– E come, se le hai indossate.
Quando eri punk. Smalto nero e gonna
scozzese.
– Ahahahahahah!
– Non dire fesserie, Mamma! E tu,
Giulia, non ridere!
– Ahahahah!
– Invece sí. Ho una memoria di
ferro, io. Gonna scozzese e smalto
nero. Ecco, le unghie cosí lunghe da
zoccola… ecco, quelle no.

16.

– Giulia?
– Sí, papà.
– Questo mese nonna al cimitero ci
va da sola.
– Sono d’accordo.

17.
– Checco?
– Sí, Mamma.
– Ho fissato la mess…
Click.
– Checco?! Checco?! Ci sei?
Pronto? Pronto, Checco? Prontooo?
Abbiate pietà

Mamma non ha mai mostrato


dolore nella sua vita. Mai. Né fisico né
morale. Perlomeno, mai davanti ai suoi
figli. Eppure ha provato tutti i dolori.
Ma nessuno ricorda di averla mai vista
abbattuta o disperata. Mai. Mamma ha
sempre tenuto tutto per sé, sfogando
chissà come i suoi dispiaceri, le sue
angosce, le sue sofferenze. Questo non
significa che non si sia mai lamentata.
Anzi.

1.

– Ciao Mamma, come va?


– Male. Malissimo.
– E cosa è successo?
– Rosetta…
– Rosetta?
– Sí, poverina, ha avuto un brutto
incidente e si è fratturata il bacino.
– Oh, poverina. Mi spiace tanto.
Ma com’è successo?
– Un cretino non ha rispettato lo
Stop e le è andato addosso.
– Oh, porca miseria! Ma eravate
assieme?
– No, no.
– Senti, e tu come stai?
– Male.
– E perché?
– Uffa, noioso, te l’ho già detto!
Per Rosetta!

2.

– Ciao Ma’, come va?


– Male.
– E cosa è successo?
– Gabriella…
– Gabriella?
– Sí, poverina, l’ha punta
un’aragna in spiaggia.
– Oh, poverina. Mi spiace tanto.
– Sí, mischina, è finita
all’ospedale Marino.
– Ma eravate insieme?
– No, no. Devi vedere che piede
gonfio che ha.
– Oh, porca vacca! E tu come stai?
– Male.
– E perché?
– Uffa, noioso, te l’ho già detto!
Per Gabriella!

3.

– Ciao Ma’, come va?


– Male.
– E cosa è successo?
– Signora Brunella…
– Signora Brunella? E chi è?
– … sí, poverina, è morta.
– Scusa, Mamma, chi è signora
Brunella?
– … oh, aveva pure i suoi
ottantanove anni…
– Mamma…
– … e la sua vita l’ha vissuta
anche bene, perché il marito le aveva
lasciato una bella eredità e la casa al
mare vicino a quella di tua cugina
Giorgia Corso…
– MAMMA !
– Uffa, che c’è, noioso?
– Ma chi è signora Brunella?
– La madre dell’ex moglie del
figlio di signora Corrias.
– Ah! Mi spiace tanto. E tu come
stai?
– Male.
– E perché?
– Uffa, noioso, te l’ho già detto…
– Per signora Brunella…
– No, cretino, cosa me ne frega di
signora Brunella! Manco la
conoscevo! Mi spiace per signora
Corrias.

4.

– Ciao Ma’, come va?


– Male.
– E cosa è successo?
– Don Pibireddu…
– È morto?
– No! Cretino!
– E allora?
– Ha la gotta.
– Ah…
–…
–…
– Embe’, a me non chiedi come
sto?
– No.
5.

– Ciao Mamma, come va?


– Male.
– Perché?
– Tuo fratello ha la figlia con il
morbillo.

6.

– Ciao Ma’, come va?


– Male.
– Perché?
– Tuo fratello ha la figlia con il
morbillo.
– Di nuovo?!
– Non Sofia, la piccola Emma!

7.

– Ciao Ma’, come va?


– Male.
– Perché?
– Emma.
– Che cosa è successo?
– La bambina deve essere operata,
alla testa.
– Mamma, lo sapevo. Ma avevamo
deciso di non dirtelo sino all’ultimo
minuto.
– Imbecilli! Cretini e imbecilli, tu
e tuo fratello! Quante volte vi devo
dire di non nascondermi nulla? Nulla!
Soprattutto le cose peggiori!
– Ma Mamma…
– «Ma Mamma» un tubo.
– Ma lo vedi che poi soffri e stai
male.
– Io sto male perché sta male tuo
fratello, la moglie e mia nipote! Io non
sto male per me, sto male per gli altri.

8.
– Mamma, ho sentito Giuseppe.
L’operazione è andata benissimo.
– Lo so già.

9.

– Ciao Ma’, come va?


– Malissimo.
– E oggi perché stai malissimo?
– Mi è successa una cosa ieri al
supermercato.
– Mamma, ieri era domenica, vai
al supermercato la domenica?
– Sí, vado subito dopo la prima
messa. Non c’è nessuno. Tanto
silenzio, raccolgo i pensieri dopo le
preghiere e faccio un poco di spesa.
– E quindi, cosa è successo?
– Quando sono arrivata alla cassa,
sai, avevo tante cose nel carrello e ho
notato che dietro di me c’era una
coppia con solo un po’ di latte e
biscotti. Sai, una di quelle coppie un
po’ cosí.
– Cosí come?
– Male in arnese. Lui piccolo e
rugoso, indosso una vecchia tuta da
ginnastica. Lei enorme, i capelli neri,
lunghissimi. Le ho notato le mani.
Grosse, nodose. Mani da uomo. Allora
ho capito.
– Ah!
– Mi è sembrato brutto farli
attendere, visto che avevano solo due
cosette mentre io… E le ho detto:
«Prego, signora, prego, vada prima
lei».
– E quindi?
– Quindi, quando ho finito anch’io,
mi sono diretta verso i parcheggi. E lí
ho notato che mi attendevano.
– Ah! Cacchio!
– Lei mi è venuta quasi di corsa
incontro…
– Oh, cacchio…
– E mi ha detto: «Grazie, grazie, la
voglio ringraziare tanto, lei è la prima
persona nella mia vita che mi chiama
“signora”. Sa, io in realtà sono ancora
un uomo e lui è il mio compagno». Poi
si è messa a piangere.
– Oddio. E tu, Ma’?
– Io le ho detto: «Signora, siamo
tutte creature di Dio. Buona
domenica».
– Brava Mamma! Ma allora perché
stai male?
– Per questo amore triste.

10.

– Ciao Ma’, come stai?


– Male.
– E oggi per chi stai male?
– Smettila, cretino.
– Senti, Mamma, noi abbiamo
avuto i nostri guai. Ora basta! Basta
col farti carico del dolore degli altri.
– Non posso, figlio mio, non
posso.
– Va be’, Mamma, ma tu ti fai
carico anche delle piú piccole fesserie
degli altri.
– A noi sembrano fesserie, per loro
sono macigni. Non puoi mica fare la
classifica dei dolori e delle disgrazie.

11.

– E come stai?
– Male.
– Va be’, e oggi perché stai male?
– Perché hai fatto un altro errore in
uno dei tuoi articoli.

12.

– Ahia!
– Quando fai cosí mi fai star male!
– Tu? Mi dài un ceffone al collo e
stai male tu?
– Certo. Mi fai vergognare.
– Io?
– Certo!
– Ma’.
– Oh.
– Perché mi hai dato una pappina?
– Perché stavi guardando quella
ragazza!
– No.
– Sí.
– E poi era una grezza.
– Dici?
– Vedi tu. Aveva il tacco piú alto
del femore.

13.

– Pronto, ciao Mamma, come va?


– Tutto bene, figlio mio. Tutto
bene.
– Ah! Mi scusi, signora. Ho
sbagliato numero.
– Checco!
– Sí.
– Non fare il cretino!
– Ahahah!
– Non fare il cretino e non rubare
le battute a Moni Ovadia!
– La conoscevi già?
– Certo, l’ha scritta Moni Ovadia
in un suo libro. Cosa credi, che leggi
solo tu?
– Ho parlato di te a Moni Ovadia.
– Conosci Moni Ovadia?!
– No, cioè sí, cioè no, insomma,
cioè, abbiamo fatto una volta uno
spettacolo insieme a Carbonia nel
2008, ma non credo che si ricordi di
me.
– E cosa gli hai detto di me?
– Gli ho raccontato come sei fatta.
– E lui?
– Mi ha detto che ho una Mamma
molto yiddish.
– Ah! Ecco, infatti, ti volevo dire
una cosa.
– Dimmi, Ma’.
– Fra un mese parto per la Terra
Santa.
– Per sempre?
Terra Santa

Per anni Mamma ha coltivato un


sogno, andare a vivere in Terra Santa.
Le avversità della vita e la
responsabilità di una famiglia glielo
hanno impedito. All’età di settantasette
anni ha finalmente coronato il suo
sogno. O almeno parte di esso. È
volata in Terra Santa con le consorelle
della sua comunità neocatecumenale.
Per un mese ho atteso invano questa
notizia: «Terroristi islamici si
arrendono a un gruppo di donne sarde
e dichiarano: “Basta che stiano zitte”».

1.

– Mamma, ma cosa farai


esattamente in Terra Santa?
– Faremo catechesi!
– Catechesi? Ma’, che dici? Lí
rischi grosso. Quelli sono fuori di
testa.
– Guarda, figlio mio, mi sembravi
piú fuori di testa tu quando ti credevi
punk.

2.

– Ciao Mamma, buon viaggio. Ci


vediamo fra un mese.
– Non mi chiamare! Non mi
chiamare, che spendo un sacco di soldi
anche io che ricevo.
– Okay, Mamma.
– Mamma ti chiama solo se
succedono cose gravissime.

3.
– Pronto, Ma’, che succede?!
– Nulla, prima di partire mi sono
dimenticata di dirti di mettermi da
parte ogni giorno «L’Unione Sarda».
– Cazzo, Ma’! E mi chiami all’alba
per dirmi questo?
– Tu mettimi da parte «L’Unione» e
non dire parolacce. Sono a
Gerusalemme!
– Embe’!
– Qui Dio ci ascolta.

4.

– Pronto?
– Ciao Giuseppe.
– Hai sentito Mamma?
– No.
– Tu, come va?
– Bene, sto pensando di scrivere
una cosa su di lei.
– Tipo?
– Una serie di sketch su di lei.
– Ti ammazza.
– Su come ci ha educato. Il
rapporto con la malattia. E ora questo
suo viaggio.
– Ti ammazza.
– Una roba tipo… posso leggerti?
– Vai.
– «Sono disorientato. Quando era
in vita papà, lui e Mamma partivano
spesso. Ci lasciavano soli. Con mio
fratello non vedevamo l’ora. I nostri
ormoni in ebollizione adolescenziale
percepivano subito che per loro
sarebbe stata un’eccezionale
occasione. Ma Mamma lasciava in
giro per la casa e soprattutto sopra il
suo letto matrimoniale dei fogli con un
disegno fatto da lei e una scritta. Il
disegno: il triangolo e l’occhio dello
Spirito Santo. La scritta: “La Mamma
vi guarda anche se non c’è. Non
portate ragazze a casa!” Oggi
rientrando a casa ho avuto l’istinto di
guardare se quel foglietto non fosse sul
mio letto matrimoniale».
– Ti scortica.
– Vorrei testarlo sui social
network.
– E poi ti butta il sale sulle ferite.
– Va be’, da domani provo e
vediamo l’effetto che fa.
– Fratello?
– Sí.
– Sai qual è il tuo peggior difetto?
– Sí, non ti ascolto mai.
– Ecco. Però ricordati che metteva
anche una foglia secca sul suo letto fra
il materasso e il lenzuolo.
– Giusto!
– Se al suo rientro la foglia era
spezzata…
– Per noi erano dolori! La scrivo.
– Sí, ma non dire che te l’ho
ricordata io.
– Tranquillo.
5.

– Ciao Ma’
– Ciao un corno! Mi hanno detto
che stai scrivendo fesserie su
Facebook sul mio conto!
– Be’, non sono fesserie! Quella
dell’occhio con la scritta lasciata
sopra il letto matrimoniale è vera.
– Sí, quella è vera. Ma la gente non
deve sapere gli affari nostri!
– Ahahahaha! Ahahahahahah!
– Smettila o ti querelo!
– Ahahahaha ahahahahahah!
– Smettila o da ora in poi do il tuo
numero di telefono a tutti quelli che
chiamano me per farti leggere le loro
poesie!
– Okay, Ma’. Okay, la smetto.

6.
– Ciao Ma’, come stai?
– Non mi lisciare, cosa ti serve?
– Posso riprendere a scrivere su di
te e le tue amich…
– No!
– Dài, Ma’! Posso scrivere che
vuoi morire ed essere seppellita lí, che
già uno è risorto e magari capita anche
a te?
– No! E poi non è mia, l’ho copiata
da una barzelletta!
– E che sei nel lago di Tiberiade a
provare a camminare sull’acqua?
– No! Noioso! Non rompere!
– Dài…
– Ti ho detto di no! E ora lasciami
che ho la meditazione.
– Ma’, gli chiedi al Signore se…
– Al Signore già gli devo chiedere
perché mi ha dato te e non il figlio di
signora Castía.
– E cos’ha piú di me?
– È morto.
7.

– Pronto?
– Figlio mio, tutto bene?
– Sí sí, grazie, Ma’. E voi, tutto
bene?
– Sí, qui bellissimo, asco’: resta in
linea che ti passo la signora Corrias,
vuole essere messa anche lei su
Facebook…
– Ah! No no no! Ma’, aspetta un
attimo! Nooo! Non mi passare
nessuno! Maa’!
– Signora Corrias… sí, è mio
figlio, quello che da piccolo si era
fatto la cacca addosso nel suo
cortile…
– Maaa’!
– Buongiorno, si ricorda di me?
Ero quella che aveva prestato a sua
madre le mutande pulite per lei.
– Buongiorno, signora…
– Ascolti, volevo che mettesse una
barzelletta che ci ha raccontato ieri a
cena don Pibireddu.
– No, aspetti…
– Allora… Due rabbini italiani
s’incontrano…
– Aspetti…
– Uno si dice preoccupato perché
il figlio è andato in Terra Santa ed è
tornato cristiano. L’altro gli confessa
che la stessa cosa è successa al suo,
cosí si propongono di andare a
consulto dal Padre Eterno…
– Sí, signora, la conosco: è
vecchia…
– Allora vanno da Dio e gli
dicono: Signore i nostri figli sono
andati in Terra Santa e sono tornati
cristiani. E Dio gli risponde: Eh!
Cittirí! Anche il mio!
–…
– Ahahaha! Ahahaha!
Ahahahahahahahah! L’ha capita?!
– Sí, l’ho capita. Ma Dio secondo
lei gli ha risposto in sardo?
– … tiè, Mariella, prendi il
telefono. Avevi ragione l’altra sera:
tuo figlio è un povero scemo.

8.

– Pronto?
– Sí, Ma’, ora che c’è?
– Come si chiamava quella tua
fidanzatina dei diciassette anni?
– Quale, Ma’?
– Quella che ti aveva giurato
eterno amore. Quella che quando ti sei
fatto il ricovero di due mesi prima
della maturità voleva un letto a fianco
al tuo, poi non ti è mai venuta a
trovare.
– Non me lo ricordo, Ma’…
– Dài! Quella che mentre tu eri
ricoverato si è messa con un tuo
amico…
– Mamma, non me li ricordo e non
me li voglio ricordare.
– Iniziava con r…
– Cosa?
– Il nome di quella fidanzatina.
– Mamma! Dài, lascia perdere per
favore.
– Va be’, ciao.
– Ciao Ma’.
– … no, signora Corrias, non si
ricorda se era l’ex moglie di suo
figlio. Ma il genere è quello.

9.

– Adesso lo chiediamo a mio figlio


che ha fatto il dee-jay.
– Mamma?
– Sí sí, anche lí… sí, ad Alghero…
– Mamma?
– Ih, guarda, mi rubava i soldi dal
portafoglio per comprare i dischi sin
da bambino…
– Mamma.
– Certo che lui lo sa! Cosa credi?
– Mamma!
– Ci sei, figlio miooo?
– Ci sono, ci sono. Cos’è ’sto
casino?
– Siamo a Tel Aviiiv!
– E questa musica?
– Siamo in spiaggiaaa!
– Sí, ma questa musica assordante?
– Siamo a una festa in spiaggiaaa!
– Ma non siete lí a fare catechesi?
– Aspetta, aspe’…
– Ma’…
– La senti?!
– Cosa?
– La canzone!
– No.
– Aspetta… e ora?!
– Sí, vagamente, ma la sento.
– Di chi è?!
– Ma che ne so! Non si capisce un
tubo.
– E ora?
– Booh!
– Ora? Che canzone è?
– Mi sembrerebbe Your Love di
Frankie Knuckles.
– Ha detto che è Franco Nacol!
– Frankie Knuckles!
– Frenchi Nacols!
– Va be’, ciao Ma’…
– Grazie, ciaoo! Qui ti ringraziano
tuttiii!
– Sei con Pasqualino vero?
– Eja, ma anche con signora
Corrias e don Pibireddu.
– Mamma, ma…
– Ciaooo! … Sí, sa tutto di musica,
di altro non sa nulla, ma di musica ne
sa.

10.
– Che ora è lí?
– Quasi mezzanotte. E lí?
– Booh.
– Come, booh, Ma’?
– Lasciamo perdere, che ho mal di
testa.
– Guarda che mi hai chiamato tu,
non io.
– Non ti ho chiamato io.
– Sí, Ma’, ho trovato una chiamata
persa e quindi ti ho richiamato.
– Non è possibile.
– Va be’, dài.
– Ti dico che non è possibile.
– Sí, sí. Comunque, visto che ci
siamo, ti è piaciuta Tel Aviv?
– Un caos bestiale. Però la
spiaggia è bellixedda. Non è il nostro
Poetto, però è bellixedda.
– E la festa?
– Be’, eravamo lí. Ci è esplosa
intorno. E, sai com’è, Pasqualino si è
subito lanciato.
– E tu?
– E io cosa?
– Ti sei divertita?
– Eja.
– E signora Corrias?
– Imbriaga. Non regge gli alcolici.
– E tu li reggi?
– No, ma io mica bevo. Faccio
finta. E a don Pibireddu gli è piaciuta
molto, la musica, soprattutto quella del
tuo amico… quello… coso… quello
che mi hai detto…
– Frankie Knuckles.
– Proprio lui. Ha detto che la trova
buona anche per la messa, riadattata
ma funziona. Ha detto che porta con sé
un bel messaggio di amore e
misericordia.
– Amore di sicuro… misericordia
non credo. Però, Mamma, piú che
amore, sesso, direi. Quel brano parla
di sesso.
– Anche il sesso fa parte
dell’amore. Tua bisnonna Maria
Pisano diceva sempre…
– Che tutti i problemi fra moglie e
marito si risolvono a letto.
– Te l’ho già detta?
– Mille volte, Ma’.
– Sto invecchiando. Ti ho detto,
invece, di Pasqualino?
– No. Ma me lo immagino.
– Forza.
– Si fa frate.
– No! Cretino!
– Allora non so.
– Ha detto che resta qui.
– Naaa! Si fa ebreo?
– Ma non dire fesserie!
– Si sposa! Ha trovato il compagno
della sua vita!
– Ih, mischino, ormai chi se lo
sposa? Oh, si tiene bene per la sua età,
ma ormai non se lo sposa piú nessuno.
– Be’, se si ostina a mettersi in
mutande di pelle ai gay pride.
– Noo, ma qui mica si veste cosí.
– Come minimo.
– No, resta qui alla Casa
Tiberiade. Un anno. Interprete
volontario per i pellegrini. Sai, lui
parla benissimo tre lingue.
– E tu, Ma’, non resti?
– Mi piacerebbe.
– E perché non resti?
– Sarebbe il sogno della mia vita.
Qui nei luoghi di nostro Signore Gesú
Cristo. Tu non hai idea, Checco. È una
sensazione indescrivibile.
– E allora perché non resti?
– No, non posso.
– Potresti fare anche tu l’interprete,
del resto hai insegnato francese per
anni.
– No, poi qui serve soprattutto
l’inglese.
– Va bene, ma puoi fare altro. O
no?
– No, poi io ho il mio gregge.
– Il tuo gregge?
– Sí, voi, figlio mio.
– E io chi sarei, Ma’, la pecora
nera?
– No, l’asino.

11.

– Checco?
– Mamma?
– Sono al Muro del Pianto.
– Ma stai piangendo?
– Quasi.
– Quasi?
– Lo sai che non ho piú lacrime.
– E dài!
– L’ha detto anche tuo cognato
Marco Piu, l’oculista, ho la sindrome
dell’occhio secco. Non ho piú lacrime,
ma adesso le vorrei avere tutte per
piangere.
– Ma perché, Mamma?
– Perché questo è un posto
bellissimo dove si dovrebbe trovare
amore e condivisione. E invece non è
cosí.
– E vorresti piangere per questo?
– Sí. Tanto. Anche per questo. Per
questa terra dilaniata. Per loro, tutti
loro che non trovano pace. Per noi che
non siamo in grado di essergli d’aiuto.
Per le loro famiglie e le nostre cosí
piene di dolore, di lutti. Qui al Muro
ho pensato soprattutto a nostro nipote
su quel marmo dell’obitorio, morto ad
appena diciotto mesi. Non so perché,
ma guardando questi bambini ho
pensato a lui.
– Su, Mamma, dài.
– Sai, Checco, è brutto non avere
le lacrime. Sfogarsi e far andare tutto
via. Liberarsi almeno per un poco.
Invece il Signore mi ha tolto anche le
lacrime. E io non riesco a capire
perché.
12.

– Mamma?
– Ciao Checco.
– Come va?
– Male.
– Sí, capisco. Mi spiace tanto,
Mamma. Però vedrai che lí, secondo
me, una risposta a tutte le domande la
troverai.
– Quali domande?
– Be’, i tuoi dolori, i tuoi lutti, la
tua solitudine, le lacrime che tu non hai
piú…
– Ma no! Sto parlando di cose
serie!
– Ah!
– Signora Corrias testarda!
– Cosa ha fatto?
– Ha bevuto da una fontanella.
– Ah!
– Eppure gliel’avevano detto in
tutte le lingue di bere solo dalle
bottiglie sigillate!
– E come sta?
– È tutto il giorno che ha la
cagarella!
– Oh, poverina.
– Poverina lei e poverina io che
condivido la stanza con lei. C’è un
odore, un odore che neppure nella
stiva dell’arca di Noè.

13.

– Ma’!
– Che c’è, noioso? Dài, che stiamo
salendo sul pulmino.
– Mi stanno votando personaggio
dell’anno in Sardegna.
– A chi?
– A me, Mamma.
– E perché?
– Be’, vedi…
– A te? Ahahahahahahahah!
Ahahahahahahahah! Ahah​-
ahahahahahah!
– Smettila, Ma’…
– Ahahahahahahahah! Ahahahahah!
Ahahahahah!
– Ma’, dài…
– Ahahahahahahahah! Ahahahahah!
Ahahahahah!
– Ma’…
– Non vorrai chiedermi il voto,
vero?
– No… cioè… sí… cioè, magari
almeno la signora Corrias…
– La signora Corrias vota i
polpacci di Zola!
– Va be’, ciao Mamma. Forse il
Signore era meglio che ti levava le
risate e non le lacrime.

14.

– Checco.
– Mamma.
– Domani torniamo. Atterriamo
all’aeroporto di Elmas a mezzanotte.
– Ti vengo a prendere io.
– Grazie.
– Figurati. E allora, qual è la
lezione che ti porti a casa dopo questo
lungo mese?
– Tante, figlio mio, piú nuove
domande che certezze.
– Ah!
– «Solo chi naviga nelle tormentate
fiumane del dubbio e non si lascia
tentare dalle acque chete della certezza
avrà aperte le porte della saggezza»…
– La Bibbia?
– No, Facebook.
– Ah!
– Ma va bene cosí.
– Se lo dici tu.
– Di certo, c’è solo che voglio
tornare quanto prima.
– Nient’altro?
– No, solo signora Corrias tornerà
a casa con una grande certezza.
– Quale, Ma’?
– Che è molto brutto scagazzarsi in
pubblico come capitò a te.

15.

Sogno dell’ultima notte in Terra


Santa.
E fu cosí che Maria Maddalena,
Maria di Cleofa e altre donne,
recandosi al sepolcro, videro che la
pietra dell’ingresso era rotolata via, le
bende sparse e nessuna traccia del
Cristo.
– O Gesú, però prima di andare
via te lo potevi pure riordinare, ’sto
sepolcro.
E una voce dal cielo tuonò:
– Chi sei tu, donna?
– La Mamma di Francesco Abate.
16.

– Ciao Mamma, bentornata.


– Fatti abbracciare.
– Ahia, ahiaa, ahiaaa! Di nuovo
con questi pizzicotti! Smettila!
– Io la smetto, però scrivilo che
non sono cosí!
– E come sei, Ma’?
– Peggio!
Finale di stagione

– Guarda, figlio mio, io te lo dico


chiaro e tondo.
– Sí, Ma’.
– Tu con questo libro rischi di fare
uno scivolone. Penseranno che tua
madre è una macchietta. Diranno che
l’hai fatta facile. Crederanno che sei
un mammone, che ci sentiamo cento
volte al giorno, invece, se capita una
volta alla settimana è un miracolo.
Diranno che sei stato superficiale. E
poi, non capisco perché non hai mai
parlato di come faccio lo stoccafisso
che ti piace tanto. Ti accuseranno di
essere stato leggero e frivolo.
Comunque un passaggio a tua zia Rosa,
che di ogni tuo libro ne compra dieci
copie, potevi anche dedicarglielo.
Bisbiglieranno che sei stato
inconsistente, e buffone. Figlio mio,
guarda, te lo dico chiaro e tondo, qui tu
rischi grosso.
– Lo so già.
– Ah! E allora perché diamine vuoi
pubblicare questo libro?
– Lo so io.
Ringraziamenti.

A tutti gli amici che sui social network mi hanno


incoraggiato a trasportare su carta le prime prove di
queste scene.
A Paolo Repetti e al Festivaletteratura di
Mantova. L’idea di questo libro è nata, infatti, una
notte in piazza Sordello durante l’edizione 2014 del
festival, quando Paolo ascoltò una telefonata fra me
e mia madre e decise che sui nostri dialoghi doveva
nascere un libro.
A Rosella Postorino, perché questo è il quarto
libro su cui sudiamo insieme e grazie ai libri siamo
amici inseparabili.
Preghiere.

Mamma pregherà per:


Paolo Repetti, chiedendo per lui protezione alla
Vergine Maria.
Severino Cesari, chiedendo per lui protezione ai
santi Cosma e Damiano.
Rosella Postorino, chiedendo per lei protezione a
sant’Eustachio.
Raffaella Baiocchi, chiedendo per lei la
protezione a santa Lucia.
Luisa Pistoia, chiedendo per lei protezione a
santa Francesca Romana.
Stefania Cammillini, chiedendo per lei protezione
a san Giovanni Battista.
Kylee Doust, chiedendo per lei protezione a san
Cristoforo.
Giulia Pietrosanti, chiedendo per lei protezione a
san Giuseppe lavoratore.
Le sorelle Ariu, chiedendo per loro protezione a
santa Luisa di Marillac.
Per Piera Degli Esposti, Peter Marcias, Michela
Murgia e l’amico Anthony di Tresnuraghes Mamma
reciterà invece un intero rosario.
Il libro

– Devo chiedere al Signore perché mi


ha dato te e non il figlio di signora Castía.
– E cos’ha lui piú di me?
– È morto.
Inflessibile, caustica, cinica e generosa,
frivola e dolente: la mamma di Francesco ha
sempre l’ultima parola. Proprio come tua
madre. E proprio come la tua arriva dritta al
cuore.
Una serie di dialoghi folgoranti,
irresistibilmente comici, che tessono il
racconto di un’intera vita, anzi due: quella di
un figlio e di sua madre, dall’infanzia fino a
oggi.
Con grazia estrema, ma senza sconti,
Francesco Abate ha scritto la
tragicommedia del rapporto sentimentale piú
dolce e ingarbugliato di tutti.
È «maoista» ma va in chiesa, è devota
al marito ma non rinuncia al collettivo
femminista. Per merenda ti propina la solita
rosetta con margarina e zucchero, ed è
convinta che due colpi di battipanni ben
assestati sul sedere non possano che
temprarti il carattere. Insegna in una scuola
di periferia e fa il bagno al mare anche in
dicembre. Se le chiedi perché, ti risponde: lo
so io. Se le racconti una cosa, ti risponde: lo
so già. È la mamma di Francesco.
Nato come una serie social a episodi,
questo libro mette in scena una giocosa,
inarrestabile dialettica tra madre e figlio che,
tra una risata e l’altra, ci commuove.
L’autore

Francesco Abate (Cagliari, 1964) ha


pubblicato per Einaudi Stile Libero Mi fido
di te (con Massimo Carlotto, 2007), Cosí si
dice (2008), Chiedo scusa (con Saverio
Mastrofranco, 2010) e Un posto anche per
me (2013). È fra gli autori dell’antologia
benefica Sei per la Sardegna (Einaudi
2014).
Dello stesso
autore
Mi fido di te (con M.
Carlotto)
Cosí si dice
Chiedo scusa (con S.
Mastrofranco)
Un posto anche per me
© 2016 Giulio Einaudi editore s.p.a.,
Torino Progetto grafico di Riccardo Falcinelli.
In copertina: disegno di Leandro
Agostini.
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www.einaudi.it
Ebook ISBN 9788858422243

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