Linguistica generale, lezione 2

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Linguistica generale: lezione 2

La disciplina della linguistica


Per avvicinarsi a questa disciplina è innanzitutto necessario eliminare i
pregiudizi linguistici. Difatti, la linguistica studia tutte le manifestazioni della
comunicazione umana e tutte queste manifestazioni si collocano sullo stesso
piano di importanza. Così, per esempio, una lingua degli aborigeni è un
meccanismo linguistico degno di essere analizzato e studiato come il latino.
Inoltre, bisogna chiarire il fatto che la linguistica non sia una disciplina
normativa: non va a definire quale lingua sia “giusta” o “sbagliata”, tutte le
varietà linguistiche, anche quelle che noi stigmatizziamo, sono di grande
importanza e ci danno degli interessanti segnali. Anzi, gli “errori” sono spesso
gli elementi più interessanti, perché ci permettono di intravedere possibili
mutamenti linguistici e un esempio di ciò è la perdita del congiuntivo: è
interessante notare in quali ambiti e situazioni si assista alla scomparsa del
congiuntivo. Questo tempo verbale, difatti, continua a essere utilizzato nelle
espressioni di desiderio, ma si perde nelle subordinate: un’espressione che
reputiamo sbagliata come “penso che è” vincola l’incertezza e il congiuntivo
non viene perciò utilizzato, giacché apparirebbe ridondante. Inoltre, il
paradigma del congiuntivo appare fragile in certe forme e di ciò ce ne fanno
rendere conto proprio gli errori legati all’utilizzo di questo tempo verbale.
Infatti, gli errori fanno anche emergere punti fragili, instabilità del sistema
linguistico.
Tuttavia, è inoltre fondamentale chiarire che la linguistica non può prevedere
un futuro cambiamento linguistico, questo mutamento non è prevedibile, ma
predicibile: possiamo comprendere attraverso quali linee di base si svilupperà
il cambiamento.
Infatti si possono individuare delle costanti di sviluppo e mutamento delle
lingue. In particolar modo noi indoeuropei possiamo andare molto a ritroso
nella ricerca di tali costanti perché abbiamo molta più documentazione
linguistica rispetto ad altri sistemi linguistici. Questo perché per individuare
queste costanti bisogna, appunto, tenere in considerazione le lingue arcaiche
(come il latino) e ogni forma di comunicazione.
Bisogna tener conto di ogni forma di comunicazione soprattutto perché i
sistemi linguistici sono detti diasistemi, ovvero complessi linguistici che
interferiscono tra loro, che creano un repertorio linguistico che ciascun
parlante utilizza.
Per rendere più chiaro questo concetto, prendiamo come esempio il repertorio
italiano: questo è composto da italiano standard (che utilizziamo più nelle
situazioni formali), italiano non standard (quello che viene utilizzato per
parlare e presenta caratteristiche proprie e differenti dall’italiano standard,
come, ad esempio, il “che” polivalente, la particella “gli” per dire “a loro”, usi
epistemici del futuro in sostituzione del congiuntivo per veicolare incertezza,
per esempio nell’espressione “chi sarà?”), italiano regionale (il quale presenta
anch’esso alcune caratteristiche proprie che lo differenziano dalle due
categorie precedenti, come aperture o chiusure di vocali e vocali indistinte),
italiano dialettale, lingua straniera 1 (ovvero l’inglese), lingua straniera 2.
(Nota: la differenza tra lingua e dialetto si va a collocare sul piano
extralinguistico e l’assegnazione di questi ruoli è un accidente storico che
dipende dalle vicende storiche. Inoltre anche dire che si parla sardo è
un’astrazione a incomodo perché ci sono quattro diversi tipi di sardo). Tutti
questi non sono scompartimenti stagni, ma dialogano vivacemente tra loro,
comunicano, andando a creare il repertorio italiano. Per questo dobbiamo
eliminare l’idea del parlante monolingue. Inoltre la realtà linguistica italiana in
particolar modo è molto sfumata anche per ragioni storico-letterarie.
In età latina tarda abbiamo una ricca trattatistica grammaticale che definisce i
canoni della lingua latina nel momento in cui si perde l’unità imperiale. Sono
trattati più sull’ortografia, ma gli errori che stigmatizzano già ci fanno
comprendere che le lingue si stavano avviando verso le lingue romanze. Un
esempio di tali errori è “colonna”, la cui corretta ortografia sarebbe stata
“colunna”): il fatto che questo errore sia segnalato, significa che qualcuno
scriveva “colonna”, forma che probabilmente si utilizzava nel parlato,
avvicinandosi all’italiano. Un altro esempio è “calda”, la cui corretta ortografia
sarebbe stata “calida”, che ci fa comprendere che nel linguaggio parlato già si
diceva “calda”. Notiamo, quindi, che la forma sbagliata è quella che poi è
divenuta d’uso (come conferma del fatto che la lingua si evolva seguendo delle
costanti e che gli errori possano aiutarci a predire possibili mutamenti
linguistici).
La data di nascita della linguistica è la pubblicazione postuma del libro di de
Saussure a opera di tre allievi, testo che ben si presta a un lavoro filologico.
Questa versione del 1916 è la più nota, ma successivamente è stata fatta
un’edizione diversa basata sugli appunti di un solo studente. Saussure non ha
infatti mai lasciato scritto molto di suo. Per la prima volta nelle lezioni di
Saussure viene studiata la lingua da sola in quanto tale. Non che prima non
venissero portati avanti studi linguistici, anzi, ma la lingua veniva sempre
studiata in funzione d’altro, in prospettiva filosofica (come nel caso di Platone,
in cui veniva studiata e analizzata per indagare il problema dell’arbitrarietà),
religiosa (per l’analisi dei testi biblici) per la ricerca di una lingua perfetta. Si
trattava sempre di uno studio strumentale della lingua, finalizzato ad altro.
La lingua inizia a essere studiata dagli alessandrini, ma anche in questo caso in
funzione d’altro, della letteratura. L’Ars Grammatica di Varrone è il testo
fondativo della grammatica di tutto l’occidente.
Grammatica= studio della letteratura
Gramma= lingua scritta, lettera
Grammatikè= traduzione= letteratura
La grammatica quindi studia i testi letterari, per esempio comprendere Omero
non era semplice, servivano degli specialisti.
La grammatica si suddivide in 6 parti, secondo quanto affermato da Dionisio di
Trace:
-lettura, ἀνάγνωσις (accenti e altro);
-interpretazione secondo i traslati poetici, ἐξήγησις (figure retoriche);
-spiegazione delle glosse e illustrazione del contesto storico, γλωσσῶν
τε καὶ ἱστοριῶν ἀπόδοσις;
-ricerca etimologica, (ἐτυμολογίας εὕρεσις;
-considerazione dell’analogia (come si flettono i termini), ἀναλογίας
ἐκλογισμός;
-giudizio critico, κρίσις.
Una delle prime definizioni di grammatica viene data anche da Varrone, che
scrisse “grammatica, che noi chiamiamo letteratura, la scienza delle lettere
(lingua scritta), che sono dette per lo più da storici, oratori e altro”.
Asclepiade nel Περὶ γραμματικῆς ne distingue tre componenti principali:
tecnica, storica e grammatica vera e propria. A noi interessa la parte tecnica,
ovvero quella che si occupa delle unità minime del discorso, dell’ortografia e
dell’uso corretto del greco. In alcuni passi, le unità minime di cui si tratta in
realtà assomigliano più ai fonemi, quindi è una parte più linguistica; la parte
storica si focalizza invece sull’analisi storica di un brano, sulla descrizione di
eroi, luoghi e vicende; infine la parte di grammatica vera e propria, connessa
alle due precedenti, esamina la lingua dell’autore in poesia o in prosa e
chiarisce i punti rimasti oscuri, dà un giudizio su ciò che è sensato e ciò che non
lo è e si occupa di distinguere le opere autentiche da quelle spurie.
I modelli canonici sono Dionisio di Trace (Τέχνη γραμματική) e Donato (Ars
Maior).
Nell’Ars Maior di Donato le “partes orationis” di cui parla sono le classi lessicali
che tutt’ora utilizziamo (persone, aggettivi, verbi ecc.). Già nell’antichità
classica sono state gettate basi per definire delle categorie linguistiche, ma non
per studiare la lingua, bensì per studiare gli autori.
Un altro filone dello studio della lingua è la ricerca etimologica, uno strumento
retorico per argomentare il proprio discorso, ma senza alcuna validità nella
ricerca di verità nascoste dietro alle parole: le parole sono solo delle
descrizioni, non c’è alcuna verità primigenia in esse, come invece sostenevano
coloro che seguivano una ricerca etimologica nei primi tempi.
Secondo Belli la ricerca etimologica consiste unicamente in un rimescolarsi
senza senso le parole per farsi tornare ciò che si vuole dire/sostenere
all’interno di un discorso. Recuperare l’etimologia significa in realtà recuperare
una visione della realtà del passato, ma la verità non si declina a livello di
parola, ma di discorso, non esistono parole vere o false (esempio: malaria).

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