GERUSALEMME LIBERATA (1)
GERUSALEMME LIBERATA (1)
GERUSALEMME LIBERATA (1)
Come si è già accennato, la prima idea di comporre un poema epico sulla liberazione del Santo
Sepolcro era venuta a Tasso a Venezia nel 1559, quando aveva solo quindici anni: tra il 1559 e il
1561 aveva composto le 116 ottave del Ge
rusalemme, in cui era descritto con slancio baldanzoso l'arrivo dei crociati in vista della città.
L'ispirazione era però venuta ben presto a mancare e il giovanissimo poeta aveva abbandonato
l'impresa. Tasso tornò al progetto tra il 1565 c e il 1566, dopo l'arrivo a Ferrara. Dopo
un'interruzione il lavoro riprese nel 1570 e fu portato a termine nell'aprile del 1575. Il poema uscì a
Ferrara nel 1581, col titolo di Gerusalemme liberata (che rimase poi il titolo corrente). Più tardi,
nel 1584, Scipione Gonzaga, letterato amico del Tasso, approntò una nuova edizione, che appare
diversa dalla precedente per alcuni interventi di censura, operati sia dal curatore sia dall'autore stesso.
Quella della Gerusalemme è una struttura chiusa, che ha un principio, un mezzo e una fine.
L'azione del Furioso non ha inizio (tant'è vero che Ariosto riprende la narrazione interrotta da
Boiardo) ed ha una fine solo parziale (la vittoria sui Mori, il matrimonio di Ruggiero). che non
pregiudica la potenziale continuazione delle avventure dei cavalieri. La narrazione della
Gerusalemme è invece tutta rigorosamente racchiusa entro i suoi termini estremi: tutto quanto
precede l'arrivo dei crociati dinanzi a Gerusalemme non è rilevante per l'azione, e viene evocato solo
di scorcio; dopo la conquista del Santo Sepolcro l'azione del poema non avrebbe più alcun motivo
di continuare.
La materia del poema è distribuita in venti canti, in ottave, il metro ormai tradizionale della
poesia epico-narrativa italiana.
Con il suo poema, carico di intenti pedagogici, edificanti e morali, Tasso si presenta come il
perfetto poeta cristiano, il cantore degli ideali della Controriforma che dominano la sua epoca.
Vuol essere il celebratore della maestà della vera religione e delle istituzioni della Chiesa che ne è
depositaria, del potere regale assoluto che riceve la sua investitura direttamente da Dio. Questa
celebrazione dà vita ad una serie di scenografie fastose e magnifiche come la scena sontuosa di
sfarzo orientale del re d'Egitto in trono, le molte parate militari e i movimenti grandiosi degli
eserciti, la solenne eloquenza di Goffredo in certi momenti ufficiali, la stessa immagine finale del
vessillo crociato piantato sulle mura della città conquistata.
Se da un lato Tasso contempla con ammirazione le scene in cui si manifesta la maestosità del
potere, dall'altro nel poema si tradisce l'incontenibile insofferenza che si è già sottolineata verso
quanto nella corte vi è di rigido e artificioso, il peso dell’autorità, gli intrighi, le finzioni i conflitti. Per
questo anche qui il poeta si rifugia nel vagheggiamento idillico di un mondo di pastori remoto
dalla storia e conforme solo alla natura, libero semplice e autentico. N ell’episodio del canto VII in
cui Erminia, incontrato un vecchio pastore, ascolta da lui la condanna delle “inique corti” e l’elogio
della vita naturale e schietta della campagna, e decide di cercare rifugio in quel mondo di pace.
All’intento di costruire un’opera tutta ispirata ad un rigoroso didascalismo moraleggiante, che salti il
sacrificio dei guerrieri tesi al loro santo fine, si contrappone l’attrazione per il voluttuoso, per un
amore svincolato da ogni legge morale, rivolto solo ad una ricerca del piacere dei sensi. Questa
tendenza è esemplarmente rappresentata dall’episodio del giardino di Armida, dove si avverte una
struggente nostalgia per l’edonismo naturalistico rinascimentale, ormai impossibile nel clima austero
della Controriforma. In altri casi invece l’amore si presenta come sofferenza: è il caso degli amori
impossibili e infelici che sono la regola nel poema, di Ermida per Tancredi, di Tancredi per
Clorinda, di Armida per Rinaldo.
La stessa ambivalenza investe il grande tema della guerra, che occupa tanta parte del poema:
all’esaltazione della guerra come manifestazione di eroismo e di forza si contrappone una
considerazione più grave e dolorosa, che vede nella lotta e nella strage una necessità inevitabile, ma
anche qualcosa di atroce e disumano, che genera sofferenza e lutto.
Contraddizioni analoghe si rivelano sull'altro versante fondamentale del poema, quello religioso.
Alla celebrazione scenografica della maestà della religione si contrappone una religiosità meno
esplicita e più intima, autentica e sofferta
Sarebbe sbagliato ritenere che le contraddizioni e le ambivalenze del poema costituiscano un
limite alla sua validità artistica: al contrario quelle contraddizioni, così gravide di risonanze,
arricchiscono i piani e le prospettive dell'opera e conferiscono alla poesia di Tasso tutta la sua
straordinaria profondità e la sua forza di suggestione.
Questo “bifrontismo” tassesco investe la struttura più profonda del poema, lo scontro stesso tra
cristiani e pagani. Come ha osservato Sergio Zatti (ci riferiamo al volume L'uniforme cristiano e Il
multiforme pagano, uno dei contributi più acuti e illuminanti che abbia dato in questi anni la critica tassesca),
non si tratta in realtà di uno scontro tra due religioni e due culture diverse, come vorrebbe
l'impianto intenzionale dell'opera, ma del conflitto tra due codici all'interno della stessa cultura,
quella occidentale e cristiana.
Nel poema è in atto quindi un triplice scontro, che si svolge su tre piani diversi:
1. cielo contro inferno: Dio ha scacciato angeli ribelli, che si dal cielo gli sono trasformati in demoni;
2. cristiani contro pagani: storicamente, la cristianità infligge una sconfitta agli infedeli;
3. il capitano contro i “compagni erranti”: Goffredo riporta sotto il suo imperio coloro che hanno
deviato.
La struttura narrativa del poema è omologa a questa struttura ideologica: anche a livello formale vi
è una perenne tensione tra molteplicità e unità, tra l'urgere di forze centrifughe e l'aspirazione
all'unità.
Il poeta, al livello della costruzione narrativa, riesce a contenere le spinte disgregatrici contro la
struttura unitaria.
Il “bifrontismo” che è proprio della struttura ideologica del poema e della sua struttura narrativa si
può cogliere anche nell'organizzazione del punto di vista da cui la narrazione è condotta. Il
punto di vista della narrazione è continuamente mobile e si colloca alternativamente nel campo
cristiano e in quello pagano.
Ad essere presentati dall'interno non sono solo gli eroi cristiani, ma anche quelli pagani: il lettore è
ammesso a conoscere pensieri e sentimenti non solo di Goffredo, di Tancredi, di Rinaldo, ma anche
di Clorinda, di Solimano, di Armida. Anche i pagani sono contrassegnati da una profondità
psicologica, che conferisce loro alta dignità narrativa
Tasso non evita di impiegare artifici come il "concettismo", che è un procedimento poetico
consistente nell'istituire un contrasto forzato tra il livello metaforico e quello letterale, al fine di
stupire il lettore.
Appena terminata la stesura del poema, Tasso cominciò a preoccuparsi della sua revisione, al fine
di renderlo perfettamente conforme ai principi di poetica e al clima religioso dominanti in quegli
anni. Lo sottopose quindi al giudizio di quattro autorevoli revisori, Scipione Gonzaga, Flaminio
de Nobili, Silvio Antoniano e Sperone Speroni. Le critiche che questi gli mossero suscitarono in
lui conflitti e tormenti, ingigantiti dalle turbe nervose che già lo affliggevano. Il lavoro di revisione
proseguì accanitamente negli anni successivi ed approdò ad una stesura del poema
completamente diversa, che fu intitolata Gerusalemme Conquistata e apparve a Roma nel 1593, poi a
Pavia nel 1594. Il numero dei canti fu portato da 20 a 24, in ossequio al modello dell'Iliade di
Omero; ma soprattutto il poema venne totalmente uniformato ai principi aristotelici e al moralismo
controriformistico. Furono soppressi episodi che sembravano poter attentare alla rigorosa unità,
come quello di Olindo e Sofronia e la pastorale di Erminia; furono eliminati tutti gli spunti
erotici e voluttuosi, specie quelli legati al personaggio della maga Armida; viceversa furono
accentuati i toni eroici e sublimi e gli aspetti pomposi e celebrativi della materia religiosa
In realtà la Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere
grande successo e ad essere costantemente ristampata, in Italia e nei Paesi stranieri, fu la Liberata,
che riuscì a diffondersi anche al di fuori del ristretto ambito cortigiano e a conquistare strati di
pubblico più popolari.