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Malattia di Whipple: differenze tra le versioni

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==Eziologia==
==Eziologia==
Negli [[Anni 1960|anni sessanta]], con l’avvento della microscopia elettronica, fu dimostrato che i macrofagi PAS+ contenevano strutture bacillari (Bacillo di Whipple, un batterio molto difficile da coltivare) e fu avanzata l’ipotesi infettiva della malattia, quindi si propose la terapia antibiotica. Negli [[Anni 1990|anni novanta]], con tecniche biomolecolari basate sulla PCR, fu definitivamente dimostrata la presenza di bacilli Gram + del tipo Actinomiceti. Tale bacillo fu denominato ''Tropheryma whippelii''. Nel [[1997]], il nuovo bacillo fu definitivamente isolato, caratterizzato e coltivato. Nel [[2001]] assunse la più corretta denominazione ''Tropheryma whipplei''.
Negli [[Anni 1960|anni sessanta]], con l’avvento della microscopia elettronica, fu dimostrato che i macrofagi PAS+ contenevano strutture bacillari (Bacillo di Whipple, un batterio molto difficile da coltivare) e fu avanzata l’ipotesi infettiva della malattia, quindi si propose la terapia antibiotica. Negli [[Anni 1990|anni novanta]], con tecniche biomolecolari basate sulla [[PCR|PCR (]][[Reazione a catena della polimerasi]], in inglese: Polymerase Chain Reaction), fu definitivamente dimostrata la presenza di bacilli Gram + del tipo Actinomiceti. Tale bacillo fu denominato ''Tropheryma whippelii''. Nel [[1997]], il nuovo bacillo fu definitivamente isolato, caratterizzato e coltivato. Nel [[2001]] assunse la più corretta denominazione ''Tropheryma whipplei''.


==Epidemiologia==
==Epidemiologia==
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La conferma diagnostica è data:
La conferma diagnostica è data:
*dal riscontro - al microscopio elettronico - di strutture bacillari con una caratteristica parete trilamellare,
*dal riscontro - al microscopio elettronico - di strutture bacillari con una caratteristica parete trilamellare,
*dalla ricerca - mediante [[PCR]] ([[Reazione a catena della polimerasi]], in inglese: Polymerase Chain Reaction) di specifiche sequenze di [[DNA]], sia in tessuti che nel liquido cefalorachidiano (nel sospetto di coinvolgimento del SNC).
*dalla ricerca - mediante [[PCR]] di specifiche sequenze di [[DNA]], sia in tessuti che nel liquido cefalorachidiano (nel sospetto di coinvolgimento del SNC).


==Trattamento==
==Trattamento==

Versione delle 08:55, 10 nov 2013

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
Malattia di Whipple
Malattia rara
Cod. esenz. SSNRA0020
Specialitàgastroenterologia
Eziologiainfezione
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-O000209
ICD-9-CM040.2
ICD-10K90.8
MeSHD008061
MedlinePlus000209
eMedicine183350 e 1166639
Sinonimi
Lipodistrofia intestinale
Eponimi
George Hoyt Whipple

La malattia di Whipple è una rara malattia descritta per la prima volta dal patologo George Whipple (John’s Hopkins Hospital, U.S.A.) nel 1907. Il quadro era quello di un malassorbimento severo. L’esame istologico rivelava presenza nei linfonodi (ingranditi, specie mesenterici), nel tratto intestinale e in altri tessuti, di macrofagi PAS +.

Eziologia

Negli anni sessanta, con l’avvento della microscopia elettronica, fu dimostrato che i macrofagi PAS+ contenevano strutture bacillari (Bacillo di Whipple, un batterio molto difficile da coltivare) e fu avanzata l’ipotesi infettiva della malattia, quindi si propose la terapia antibiotica. Negli anni novanta, con tecniche biomolecolari basate sulla PCR (Reazione a catena della polimerasi, in inglese: Polymerase Chain Reaction), fu definitivamente dimostrata la presenza di bacilli Gram + del tipo Actinomiceti. Tale bacillo fu denominato Tropheryma whippelii. Nel 1997, il nuovo bacillo fu definitivamente isolato, caratterizzato e coltivato. Nel 2001 assunse la più corretta denominazione Tropheryma whipplei.

Epidemiologia

È una malattia rara. Tra il 1907 e il 1990 sono stati descritti in letteratura 617 casi di malattia di Whipple. Presumibilmente la malattia è diffusa in tutte le etnie e le popolazioni, anche se la maggior parte dei casi riguarda la popolazione bianca ed anglosassone (appare come più frequente nei paesi di livello socio-economico più alto semplicemente perché lo standard sanitario più elevato ne rende più agevole la diagnosi). Più frequente negli uomini che nelle donne. Rarissima nei bambini.

Manifestazioni cliniche

  • Sintomi gastrointestinali (malassorbimento, perdita di peso, febbricola, linfoadenopatia) presenti nel 90% dei casi;
  • Sintomi articolari (artralgia migrante), presenti nel 60%;
  • Sintomi neurologici (demenza, oftalmoplegia, contrazioni cloniche della muscolatura facciale) nel 30-40% dei casi;
  • Sintomi cardiaci (endocardite, pericardite) nel 10-20 % dei casi.

Si tratta quindi di un’infezione batterica che o diventa sistemica, oppure ci sono delle tossine che vanno in circolo determinando diverse sintomatologie d’organo. Ancora sconosciuta è la modalità del contagio. Non sono mai nemmeno state descritte delle epidemie.

Diagnosi

Come nella descrizione originale del 1907 la diagnosi si basa sul riscontro istologico di macrofagi PAS+, specie nella mucosa duodenale o in linfonodi ingrossati (più facile quando sono interessati linfonodi sottocutanei, più difficile nel caso di linfonodi profondi mal raggiungibili). La conferma diagnostica è data:

  • dal riscontro - al microscopio elettronico - di strutture bacillari con una caratteristica parete trilamellare,
  • dalla ricerca - mediante PCR di specifiche sequenze di DNA, sia in tessuti che nel liquido cefalorachidiano (nel sospetto di coinvolgimento del SNC).

Trattamento

Almeno 40 anni di esperienza hanno dimostrato che il Cotrimossazolo è il farmaco più efficace, ma non privo di effetti collaterali tanto che alcuni pazienti non lo tollerano. Per questo si possono usare terapie alternative: buoni risultati sono stati anche ottenuti con CAF (Cloramfenicolo), Claritromicina, Doxiciclina, Eritromicina, Penicillina + Streptomicina.
Nei casi di Whipple con sintomatologia neurologica è meglio iniziare il trattamento con Cotrimossazolo (che supera la barriera emato-encefalica) per via endovenosa, e passare alla somministrazione orale dopo alcune settimane.
La durata del trattamento è compresa tra i 6 e i 12 mesi, con ripresa dell’antibiotico in caso di recidiva.
Il quadro istologico può migliorare, ma è difficile che regredisca del tutto. L’esame biomolecolare delle sequenze batteriche può invece mostrare la assoluta scomparsa dal circolo e dai tessuti del DNA batterico. Il test della PCR è pertanto considerato ottimale non solo perché dà la certezza assoluta della diagnosi ma anche per il monitoraggio del paziente e per decidere quanto a lungo continuare con il trattamento.

Un DNA scomparso dal circolo non vuol dire che la malattia non si ripresenti, quindi è possibile che il germe rimanga allo stato latente in alcuni linfonodi o nella mucosa duodenale e da qui si possa slatentizzare e dar luogo a nuove ondate di infezione.

Conclusioni

  • Malattia rara ed insidiosa, nella quale è difficile porre la diagnosi principalmente perché non ci si pensa;
  • Malattia per la quale esiste in teoria una cura (antibiotica), ma questa raramente riesce ad eradicare l’infezione e a controllare tutti i sintomi;
  • Possibile ereditarietà (sia orizzontale che verticale) della malattia. Più che di ereditarietà è meglio parlare di aggregazione familiare forse dovuta a un background genetico comune o più probabilmente a un contagio tra padre e figlio, contagio però che non si verifica praticamente mai data la rarità di questa malattia.
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