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Circonvenzione di persone incapaci

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«Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore [di diciotto anni], ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 a euro 2065.»

Delitto di
Circonvenzione di persone incapaci
FonteCodice penale italiano
Libro II, Titolo XIII, Capo II
Disposizioniart. 643
Competenzatribunale monocratico
Procedibilitàd'ufficio, ma a querela della persona offesa, nei casi ex art. 649, comma 2 c.p.
Arrestofacoltativo
Fermonon consentito
Penareclusione da 2 a 6 anni e multa da 206 a 2 065 euro

La circonvenzione di persone incapaci, detta anche circonvenzione di incapace, è un delitto previsto e punito dall'art. 643 del codice penale italiano.

Consiste nell'abusare dei bisogni, passioni o dell'inesperienza di persona che non abbia compiuto i diciotto anni o in stato d'infermità o deficienza psichica, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto. Completa la fattispecie la circostanza per cui la condotta dell'incapace deve consistere in un atto dannoso per sé o per altri. È inoltre fondamentale l'assoluta certezza della sussistenza dell'incapacità nel soggetto passivo, infatti il giudizio di colpevolezza può fondarsi solo su queste basi, in cui è possibile escludere la capacità del circonvenuto di avere cura dei propri interessi[1].

L'autore del reato è quindi chiunque, perciò anche una persona con meno di diciotto anni o un soggetto con psicopatologia, purché capace di intendere e di volere in riferimento allo specifico comportamento.

La procedibilità è d'ufficio, salvo il caso ex art. 649, comma 2 c.p. e la competenza appartiene al tribunale monocratico; il reato è punito con la reclusione da due a sei anni e con una multa da 206 a 2 065 euro.

  1. ^ Cass. pen., sez. II, 10.6.1998, n. 2532 e Cass. pen., sez. II, 4.10-7.12.2006, n. 40383

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