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‘I delitti, i castighi, le pene, le impunità'

2022, in ‘La questione'. Sciascia, Primo Levi, Manzoni: giustizia, tortura, intolleranza, ed. by Domenico Scarpa, special issue of Todomodo 12.2 : 95-108

Si sa che in Francia è frequente l'aggregazione di lettori particolarmente fedeli intorno al nome di certi scrittori: associazioni che si dicono di amici: Amici di France, Amici di Giraudoux, Amici di Buzzati (e credo che Buzzati sia uno dei pochi scrittori stranieri a godere in Francia di una cerchia di amici); associazioni che, con quelle degli Amici del Libro, cui si debbono felicissimi incontri tra opere letterarie e artisti che le illustrano, sono segni di una civiltà intellettuale a noi quasi ignota.

ROBERT S.C. GORDON I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ ESTRATTO da TODOMODO Rivista internazionale di studi sciasciani A Journal of Sciascia Studies Fondata da / Founded by Francesco Izzo Anno XII - 2022 Amici di Leonardo Sciascia TODOMODO Rivista internazionale di studi sciasciani A Journal of Sciascia Studies Fondata da / Founded by Francesco Izzo Anno XII - 2022 - Tomo II Leo S. Olschki Editore Amici di Leonardo Sciascia TODOMODO Rivista internazionale di studi sciasciani A Journal of Sciascia Studies Fondata da / Founded by Francesco Izzo Anno XII - 2022 Tomo II Leo S. Olschki Editore Amici di Leonardo Sciascia / Friends of Leonardo Sciascia www.amicisciascia.it Si sa che in Francia è frequente l’aggregazione di lettori particolarmente fedeli intorno al nome di certi scrittori: associazioni che si dicono di amici: Amici di France, Amici di Giraudoux, Amici di Buzzati (e credo che Buzzati sia uno dei pochi scrittori stranieri a godere in Francia di una cerchia di amici); associazioni che, con quelle degli Amici del Libro, cui si debbono felicissimi incontri tra opere letterarie e artisti che le illustrano, sono segni di una civiltà intellettuale a noi quasi ignota. Leonardo Sciascia, Appunto per un discorso sul mistero di Stendhal, 3 novembre 1983 It is a well-known fact that in France groups of particularly loyal readers tend to cluster around individual writers in associations that are called “friends”: Friends of France, Friends of Giraudoux, Friends of Buzzati (and I believe that Buzzati is one of the few foreign writers to boast a circle of friends in France). These associations – as well as the Society of Friends of Books, to which we owe fortunate encounters between literary works and the artists who illustrate them – are signs of an intellectual civility almost unknown to us. Leonardo Sciascia, Notes for a speech on the mystery of Stendhal, 3 November 1983 L’Associazione Amici di Leonardo Sciascia, priva di scopi di lucro, è stata fondata nel 1993 a Milano, nella sua sede storica, presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani, tanto amata dallo scrittore di Racalmuto (1921-1989). Ispirato all’amore di Sciascia per le associazioni di amici di scrittori e artisti, «segni di una civiltà intellettuale a noi quasi ignota», il sodalizio mira per statuto a diffondere e mantenere viva la lettura, la conoscenza e la ricerca sulla figura e l’opera di Leonardo Sciascia, riassumendo nel logo – realizzato da Agostino Arrivabene – tre segni distintivi della felice contaminazione dei generi e delle passioni dell’uomo Sciascia: la penna della scrittura, il bulino dell’incisione e la spada dell’impegno civile. The Association of the Friends of Leonardo Sciascia is a non-profit organization founded in 1993 in Milan in its historic home of the Palazzo Sormani public library, a space much loved by the writer from Racalmuto (1921-1989). Inspired by Sciascia’s love for associations of friends, writers and artists, ‘signs of an intellectual civility almost unknown to us’, the society aims to disseminate readings of Sciascia and to promote knowledge of and research into his life and works. The society’s logo (designed by Agostino Arrivabene) combines three distinctive symbols that show the way Sciascia’s passions and range of works cross-fertilize each other: the writer’s pen, the engraver’s burin, and the sword of civil engagement. CONSIGLIO DIRETTIVO / EXECUTIVE COMMITTEE Valerio Cappozzo, Presidente, President Sergio Piccerillo, Vice Presidente, Vice-President Roberta De Luca, Segretario, Secretary Penny Brucculeri Giulia di Perna Gli Amici di Leonardo Sciascia perseguono sin dagli esordi una politica di partenariato e finanziamento dei propri obiettivi statutari volta a garantire indipendenza, autonomia e sostenibilità alle iniziative e ai progetti del sodalizio. Siamo grati alle imprese che uniscono l’eccellenza nei diversi settori in cui operano alla sensibilità per la promozione della cultura. The Association of the Friends of Leonardo Sciascia has, since its foundation, pursued a policy of partnership and financing of its statutory objectives, aimed at guaranteeing the independence, autonomy and sustainability of its non profit initiatives and projects. We would like to express our gratitude to those companies which continue to combine excellence in the various sectors in which they operate with an appreciation of the promotion of culture. Con il contributo di / With the support of Per diventare sponsor di «Todomodo» rivolgersi a: To become a sponsor of «Todomodo» please contact: todomodo@todomodo.net INDICE / INDEX Tomo I IL DONO / THE GIFT Giovanni Battista Fogazzi, I libri aiutano a vivere . . . . . . . . . . . Pag . 3 LETTURE / READINGS Giuseppe Pontiggia, Un orizzonte di impotenza e terrore . . . . . . . » 15 Pino Di Silvestro, Favole archetipe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 17 Joseph Farrell, The Fables of Leonardo Sciascia . . . . . . . . . . . . . » 25 » 33 Salvatore Ferlita – Alessandro Cutrona, Il centenario di Sciascia, suggello eloquente del suo magistero . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 Tiziana Migliore, Il centenario di Sciascia. Una ricognizione nei media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 65 Andrea Agliozzo, Rassegna critica sulla bibliografia sciasciana in Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 89 Marco Pioli, Cien años con Leonardo Sciascia in Spagna . . . . . . » 95 STUDI E RICERCHE / STUDIES AND RESEARCH Davide Luglio, Sciascia et Foucault au prisme de Raymond Roussel RASSEGNA CRITICA DELLE PUBBLICAZIONI TRA DUE RICORRENZE SCIASCIANE — IX — INDICE / INDEX Albertina Fontana, Ein Sizilianer von Festen prinzipien . . . . . Pag . 101 Salvatore Pappalardo, «Si fecero tante scecchenze»: il centenario di Sciascia negli Stati Uniti d’America . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 107 » 115 Rossana Cavaliere, Sulla questione femminile, a partire da Leonardo Sciascia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 133 Barbara Alberti, Le due facce di Sciascia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 139 Gianrico Carofiglio, Leonardo Sciascia: un temperamento da polemista, ma le matriarche erano una realtà a lungo perdurante . . » 145 Maria Rosa Cutrufelli, Il femminismo in Sicilia e la grandiosità del potere delle donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157 Dacia Maraini, Una «distrazione culturale» (ma la stima e l’ammirazione permangono) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 163 Lidia Ravera, Il coraggio delle idee (e le distanze siderali) . . . . . . . » 169 Evgenij M . Solonovich, Il mio Sciascia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 183 Anna Jampol’skaja, Leonardo Sciascia in Russia: traduzioni e studi letterari e linguistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 185 PERSI E RITROVATI / LOST AND FOUND Valerio Cappozzo, Le corrispondenze americane di Leonardo Sciascia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRADDISSE E SI CONTRADDISSE / DISCUSSIONS IL FEMMINILE SECONDO SCIASCIA (E DINTORNI) CONVERSAZIONI CON ROSSANA CAVALIERE TRADUZIONI / TRANSLATIONS (a cura di Andrea Schembari) — X — INDICE / INDEX RECENSIONI / BOOK REVIEWS Leonardo Sciascia, «Questo non è un racconto…» (Gabriele Rigola) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag . 199 Marcello Benfante, Taccuino del centenario. Nuovi appunti su » 203 Leonardo Sciascia (Filippo La Porta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gianfranco Dioguardi, Leonardo Sciascia. Un’amicizia fra i libri » 207 ovvero il gioco del caso (Francesco Izzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Massimo Onofri, Storia di Sciascia ( Joseph Farrell) . . . . . . . . . . » 211 Salvatore Picone – Gigi Restivo, Dalle parti di Leonardo Scia» 214 scia. I luoghi, le parole, la memoria (Marcello D’Alessandra) . Diritto verità giustizia. Omaggio a Leonardo Sciascia, a cura di Luigi Cavallaro e Roberto G . Conti (Giuseppe Traina) . . . » 218 Leonardo Sciascia (1921-1989). Letteratura, critica, militanza civile, a cura di Marina Castiglione ed Elena Riccio (Ricciarda » 223 Ricorda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici, a cura di Filippo La Porta (Ivan » 228 Pupo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PUBBLICAZIONI RICEVUTE E POSTILLATE / PUBLICATIONS RECEIVED WITH SHORT COMMENTS (a cura di Estela González de Sande) Della memoria. Sulla giustizia. Settant’anni di Sciascia, a cura di Massimo Tita (Franco Corleone) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 235 Ennio Amodio, La giustizia di Leonardo Sciascia tra primato della ragione e irrazionalità degli uomini di legge (Niccolò De Laurentiis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 236 Domenico Calcaterra, Sciascia classico o dell’ufficio della letteratura come agone conoscitivo (Carlo Brugnone) . . . . . . . . . . . . » 237 Nunzio La Fauci, Prassi della scrittura. Con Calvino e Sciascia (Francesco Bonfanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 239 Andrea Schembari, Maestri del dissenso: Leonardo Sciascia e la lezione degli scrittori polacchi (Albertina Fontana) . . . . . . . . . » 240 — XI — INDICE / INDEX Segnalazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 241 L’ESPRIT DE L’ESCALIER Paolo Squillacioti, Ancora sul carteggio fra Carlo Ferdinando Russo e Leonardo Sciascia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 247 » 259 Domenico Scarpa, La questione . Introduzione al Colloquium . . » 3 Emma Bonino, «Parlare più forte» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13 Domenico Scarpa, Diari dal secolo della peste . . . . . . . . . . . . . . . » 19 Alberto Petrucciani, «Mi sono divagato in ricerche d’archivio e di biblioteca» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33 Fabio Moliterni, «Queste gocce di sangue rappreso». Tortura e ingiustizia nelle Favole della dittatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 Mariarosa Bricchi, Le parole scivolose. Sciascia e il vocabolario della giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61 Martina Mengoni, Giallo, gioco, giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 77 Robert S .C . Gordon, I delitti, i castighi, le pene, le impunità . . . . » 95 Paolo Squillacioti, Una negazione della ragione e del diritto. La tortura e la pena di morte secondo Sciascia . . . . . . . . . . . . . . . . » 109 IN CAUDA Andrzej Krauze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tomo II RASSEGNA / REVIEW ESSAYS LEONARDO SCIASCIA COLLOQUIUM, XII LA QUESTIONE SCIASCIA, PRIMO LEVI, MANZONI GIUSTIZIA, TORTURA, INTOLLERANZA (a cura di Domenico Scarpa) — XII — INDICE / INDEX Lorenzo Zilletti, Il passato non è passato . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag . 125 Mario Barenghi, Words, words, words. La vendetta in parole . . » 135 Joseph Farrell, Il Diritto, la Legge e il Potere . . . . . . . . . . . . . . . . » 149 Roberta Mori, Inventare l’antifascismo. L’«insofferenza beffarda» di una generazione senza maestri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161 Roberta De Luca, «Burocrati del male» e «Violenza inutile»: Leonardo Sciascia e Primo Levi sui crimini nazisti . . . . . . . . . . . . . » 175 Jhumpa Lahiri, The Figure in Sciascia’s Carpet . . . . . . . . . . . . . . . » 181 Valerio Cappozzo, La questione americana di Leonardo Sciascia: prospettive di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 185 Giancarlo Alfano, Tratti/Tracce. Sulla immaginazione grafica della (in)giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 197 Indice dei Nomi Vol . XII - Tomi I e II, a cura di Luca Rivali . . . » 211 — XIII — RASSEGNA / REVIEW ESSAYS LEONARDO SCIASCIA COLLOQUIUM, XII La QUESTIONE Sciascia, Primo Levi, Manzoni giustizia, tortura, intolleranza (a cura di Domenico Scarpa) Giuseppe Modica, Una tragedia senza fine, acquaforte, 2022. Nota Nel presente volume di «Todomodo», riservato al XII Leonardo Sciascia Colloquium, le opere di Primo Levi saranno indicate con le seguenti sigle: OPL, I e OPL, II: Primo Levi, Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, Torino, Einaudi 2016, 2 voll. OPL, III: Primo Levi, Opere complete. Conversazioni, interviste, dichiarazioni, a cura di Marco Belpoliti, Bibliografia e indici a cura del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, Torino, Einaudi 2018. Per le opere di Alessandro Manzoni, delle quali esistono più edizioni autorevoli, si riporteranno in forma estesa quelle adottate da ciascun collaboratore. Rassegna Todomodo, XII, 2022, pp. 95-108 Robert S.C. Gordon* I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ ABSTRACT This essay, presented at the 12th Leonardo Sciascia Colloquium held in Rome on the 7th and 8th of October 2021, draws connections between the works of Sciascia and Primo Levi, in the light of some of the moral and historical questions posed by the Shoah and by the problem of violence in modern times. It offers a re-reading of several points of contact between and parallel reflections by the two authors, based on four terms presented as the synthesis of the crucial content of Levi’s last novel on the Shoah, The Drowned and the Saved (1986). This essay proposes these terms as effective tools for a re-reading of a matrix of values shared by Sciascia and Levi. Nel lungo secondo dopoguerra del Novecento, la letteratura e la memoria culturale della Shoah si sono sviluppate in Italia per lo più ai margini del campo culturale dominante, a volte dovendo, o per forza o per scelta attiva, prendere in prestito linguaggi e metafore, come per esempio la metafora della deportazione degli ebrei come forma di ‘resistenza’, analoga o in qualche modo coincidente con la Resistenza antifascista.1 Quello che può parere un limite, però, cioè il dover parlare di un trauma in un linguaggio che non era il proprio, a volte si è dimostrato invece fonte di una fertile rielaborazione di un terreno di formazione e di una cultura condivi* Università di Cambridge (rscg1@cam.ac.uk). Keywords: Levi, Primo, I sommersi e i salvati; Manzoni, Alessandro, Storia della Colonna Infame; Rohmer, Charles, L’altro; giudizio morale; giustizia; modernità; Shoah; violenza. 1 Sulla memoria della Shoah in Italia, si veda Filippo Focardi, Nel cantiere della memoria, Roma, Viella 2020; mi permetto di rimandare anche a Robert S.C. Gordon, Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010) [The Holocaust in Italian Culture, 1944-2010, 2012], trad. it. di Giuliana Olivero, Torino, Bollati Boringhieri 2013. — 95 — ROBERT S.C. GORDON sa e collettiva: un percorso che ha potuto persino aiutare a esprimere quel trauma, e a radicare la sua espressione in un determinato terreno storico e generazionale e in un concetto specifico del valore etico della cultura e in particolare della letteratura. È in questa ottica che questo intervento intende mettere in rapporto aspetti dell’opera di Primo Levi con quella ricca e articolata riflessione sui temi della giustizia, della violenza e della tortura che si trova nell’opera di Leonardo Sciascia, con echi – attraverso entrambe queste figure – della lezione illuminista sia di Manzoni che di Beccaria. Il primo elemento da sottolineare in questo accostamento tra Levi e Sciascia, sotto la lente della memoria della Shoah, è un effetto di rovesciamento o di raddoppiamento tra letteratura e storia. Infatti, «la questione» della tortura posta da Sciascia, attraverso l’avvocato Di Blasi in Il Consiglio d’Egitto, che è il tema centrale di questo volume, non si limita a segnalare un trait d’union tematico e una genealogia tra una serie di autori di fondamentale importanza nella tradizione letteraria italiana dal Settecento al Novecento – Beccaria, Manzoni, Sciascia, e Levi, per l’appunto; ma fa trasparire inoltre un filo rosso molto particolare, e molto specifico al contesto italiano, nella storia della memoria culturale della Shoah. In Italia, cioè, la memoria e la comprensione della Shoah passano, per quanto possa parere improbabile, attraverso l’illuminismo lombardo, in una misura pari o superiore rispetto a quell’illuminismo generico o universale che fu bersaglio dell’analisi spietata del totalitarismo nazista che Adorno e Horkheimer offrirono nella loro Dialettica dell’illuminismo già a metà degli anni Quaranta.2 E visto che inevitabilmente, nel bene e nel male, il caso italiano ha avuto un’incidenza relativamente minore sulla storiografia europea della Shoah e sui correlativi processi di elaborazione culturale nel dopoguerra, è di notevole interesse identificare questa rara specificità italiana: una chiave euristica di lettura del genocidio, e quindi anche per certi versi della modernità stessa, che si radica nella tradizione letteraria e nel pensiero nazionali, e che non è però direttamente legata a quelle questioni strettamente storico-politiche e novecentesche più comunemente messe in rapporto con la Shoah, quali il fascismo, il colonialismo e la Chiesa di Roma. Rivisitare il dialogo a distanza e implicito tra Levi e Sciascia ci permette di intravvedere questo filo rosso in modo chiaro e risonante. È già stata notata da altri la presenza di una certa forza di attrazione, nella letteratura moderna che affronta i temi della violenza e del male, verso fonti e storie sei-settecentesche, senz’altro a causa della persistenza 2 Theodor Adorno – Max Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo [Dialektik der Aufklärung, 1947], trad. it. di Renato Solmi, Torino, Einaudi 1966. — 96 — I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ del modello manzoniano nel romanzo contemporaneo. E, come ha ben spiegato in un saggio recente Gianluca Cinelli, ciò vale anche per la narrazione della Shoah.3 In Italia, la memoria, la consapevolezza, la rappresentazione e l’analisi della Shoah riprendono – entrano più volte in dialogo con loro – una serie di riflessioni e rappresentazioni storiche del potere, dell’esclusione e della violenza, con origini stratificate che rimontano al Seicento, milanese, friulano o siciliano che sia: rappresentazioni riviste poi con gli occhi dell’Ottocento manzoniano e riprese in pieno Novecento, con gli occhi stralunati del ‘dopo’, cioè dopo la frattura dei campi di concentramento. Questa prospettiva a strati diventa la matrice di tutta una riflessione letteraria sul male storico e morale, che congiunge Beccaria e Manzoni con Sciascia, con i romanzi storici di Sebastiano Vassalli (soprattutto La chimera), con le prove microstoriche e le altre indagini di Carlo Ginzburg, per raggiungere la Shoah con Primo Levi e altri scrittori-testimoni della violenza moderna. Causa e effetto di un’affinità a volte sotterranea ma persistente, la risposta alla Shoah di una generazione di scrittori e di intellettuali italiani è stata cioè intrisa di una certa idea illuministica della ragione e della storia dell’illuminismo, non senza un riconoscimento dei suoi lati oscuri, appoggiata su un’idea particolare del potere, dello stato e dell’individuo – quasi un’idea, si potrebbe ipotizzare, riconducibile al Partito d’Azione 4 – che ha messo in stretto rapporto, di fronte agli estremi del Lager, la sofferenza e la giustizia, la legge morale e l’integrità dell’individuo, e anche il modo in cui essi vengono raccontati e trasmessi in letteratura. Questo nesso ricco e complicato caratterizza, anche se in modi profondamente diversi o contrastanti, l’opera sia di Primo Levi che di Leonardo Sciascia, entrambi illuministi obliqui e perplessi, manzoniani ma antiprovvidenziali, obbligati a confrontarsi con la violenza moderna adoperando gli strumenti di una storia e di una storiografia che sanno essere superata. Di qui la loro ironia persistente, quasi malinconica – sono entrambi, e non soltanto nel caso più evidente di Sciascia, umoristi pirandelliani –, un’ironia pienamente consapevole dell’inadeguatezza di quei loro strumenti, siano essi la lingua o la memoria, l’archivio o il frammento di un passato perduto. Il modo in cui vorrei riproporre qui la questione della violenza e della tortura, e del rapporto Levi-Sciascia di fronte alla Shoah, è anch’esso appa3 Gianluca Cinelli, Il diciassettesimo secolo nel romanzo storico italiano come paradigma del male, in La letteratura e il male, a cura di Gianluca Cinelli e Patrizia Piredda, Roma, Sapienza 2015, pp. 79-104. 4 Sull’azionismo v. Claudio Novelli, Il Partito d’Azione e gli italiani: moralità, politica e cittadinanza nella storia repubblicana, Firenze, La Nuova Italia 2000. — 97 — ROBERT S.C. GORDON rentemente obliquo e indiretto. Passa attraverso un micro-elemento, poco notato e ancora meno studiato, di un’opera di Levi, un enigma e una strana presenza nella prima edizione del libro forse più importante di Levi per «la questione», I sommersi e i salvati.5 Le copertine dei libri, come si sa, insegnano molto, sia sull’autore, sia sul testo in sé, e anche sull’editore e su tutto il contesto culturale e il momento storico in cui il prodotto è destinato a essere lanciato. La copertina è la bottiglia che contiene e in qualche modo sintetizza il messaggio del libro.6 I sommersi e i salvati esce nel 1986 nella collana Einaudi «Gli struzzi», volume numero 305, come viene indicato in alto a sinistra della copertina (Fig. 13). Poco sotto, al centro, vediamo il nome dell’autore e il titolo (di origine dantesca, forse, già presente come titolo di un capitolo centrale di Se questo è un uomo di quarant’anni prima e, com’è noto, già allora pensato da Levi come possibile titolo di quel primo libro).7 Sotto il titolo, troviamo l’impressionante dettaglio tratto dal trittico Il Giudizio universale di Hans Memling (1467-1471), scelto con cura da Levi insieme con Enrica Melossi, redattrice dell’Einaudi, per la sua tremenda visione della sofferenza umana (e divina).8 Infatti, non c’è un’altra copertina nell’opera di Levi paragonabile a questa immagine presa da Memling, per l’impatto visuale e per l’uso plastico della figura umana, del corpo umano; nessuna, salvo forse quella della prima edizione 1947 di Se questo è un uomo, che presenta un altro dettaglio preso da uno studio classico della violenza, della sofferenza e della morte, questa volta tratto da un disegno preparatorio per I disastri della guerra (1810-1820) di Francisco Goya, artista prediletto anche di Sciascia e per di più parte integrante di quel retroterra post-illuminista condiviso con Levi.9 Infine, per tornare a I sommersi e i salvati, sulla parte inferiore della copertina, sotto il nome dell’editore, troviamo l’enigma, quattro parole scarne: «I delitti, i castighi, le pene, le impunità». Primo Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi 1986, poi in OPL, II, pp. 1143-1276. Si veda ad es. Alberto Cadioli, L’editore e i suoi lettori, Bellinzona, Casagrande 2000. 7 Sul titolo si veda Marco Belpoliti, Note ai testi, in OPL, II, pp. 1827; 1832. 8 Cfr. Ian Thomson, Primo Levi. A Life, London, Hutchinson 2002, p. 504, dove Thomson indica che fu Levi stesso a proporre l’immagine a Enrica Melossi dell’ufficio grafico. 9 Cf r. OPL, I, pp. 1458-1460; si veda anche Album Primo Levi, a cura di Roberta Mori e Domenico Scarpa, Torino, Einaudi 2017, p. 123. Il disegno di Goya e l’opera di Levi sono stati entrambi inclusi nella mostra Inferno curata da Jean Clair alle Scuderie del Quirinale, Roma, 15 ottobre 2021-9 gennaio 2022. Opere di Goya si trovano su varie copertine sciasciane, inclusa quella del Consiglio d’Egitto; Goya è la fonte del titolo di Il cavaliere e la morte. Sotie [1988], e si trovano allusioni per esempio in apertura a Nero su nero [1979], OA, II.1, pp. 897-898. 5 6 — 98 — Fig 13. Hans Memling, Il giudizio universale, particolare del pannello centrale del Trittico, 1467-1473, olio su tavola, 221 × 161 cm, Danzica, Museo Nazionale. Illustrazione di copertina per I sommersi e i salvati, di Primo Levi, Torino, Einaudi 1986. ROBERT S.C. GORDON È una frase, un motto, un paratesto che sembra per la sua posizione grafica un commento al titolo, forse anche all’immagine, quasi una risposta o una chiosa (ma qui, e nemmeno dopo, non ha mai acquisito lo status di sottotitolo formale del libro). Assomiglia anche in qualche modo a una fascetta pubblicitaria, una summa dei grandi temi affrontati per ‘lanciare’ il libro-prodotto. In questa prospettiva va notato che forse la frase non si può nemmeno attribuire alla mano di Levi; forse è un’aggiunta editoriale. Comunque, in base al patto che qualsiasi libro instaura con il proprio lettore, possiamo dire che Levi l’ha firmata come sua. Perché sembrano strani, questi termini lapidari posti in copertina ai Sommersi e i salvati? Perché, almeno a prima vista, non sembrano molto efficaci né precisi come descrizione del libro che chiosano e che inquadrano nel suo complesso, né sono termini che ricorrono di frequente nel contenuto specifico dei saggi contenuti nel volume. Appaiono, semmai, in ordine sparso in alcuni testi scritti durante le fasi preparatorie della stesura del libro, ora analizzate a fondo da Martina Mengoni in un saggio importante: 10 per esempio, nelle lettere spedite a Levi dai suoi lettori tedeschi dopo la pubblicazione di Se questo è un uomo in Germania nel 1959, poi diventate argomento di un capitolo dei Sommersi; 11 oppure negli scambi con Simon Wiesenthal per il racconto-inchiesta Il girasole, per il quale Wiesenthal, sopravvissuto e cacciatore di ex-nazisti, aveva posto a una serie di autori, pensatori e intellettuali di tutti i paesi un rebus storico-morale su come trattare un ipotetico soldato nazista in fin di vita, che vuole il perdono da parte di un ebreo. Nella risposta di Levi troviamo accenni alle categorie sia del «delitto» che del «castigo», e delle conseguenze penali del genocidio.12 Sono quindi termini che circolano nella penombra del libro, che è invece segnato da e strutturato intorno a ben altri termini-chiave, di grande risonanza, termini che sembrano in qualche modo contrapposti a nozioni nette e categoriche come i delitti, le pene e i castighi, termini che hanno poi avuto in alcuni casi una loro storia importante, proprio a partire dall’uso che ne fa Levi nei Sommersi e i salvati. Volendo sintetizzare il libro, in copertina o altrove, si potrebbe proporre svariate serie di termini alternativi, più consonanti al suo contributo effettivo, per esempio ‘La violenza, la vergo10 Martina Mengoni, «I sommersi e i salvati» di Primo Levi. Storia di un libro (Francoforte 1959-Torino 1986), Macerata, Quodlibet 2021. 11 Troviamo per esempio «delitto/i» o «pene» nei testi delle lettere, dei lettori di Levi e nelle sue repliche; si veda OPL, II, pp. 1261 e 1264. 12 Simon Wiesenthal, Il girasole, Milano, Garzanti 1970. La risposta di Levi è ora in OPL, II, pp. 1360-1362 (per es. «un’atmosfera satura di delitto […] il terrore del castigo eterno dalla sua coscienza religiosa»). — 100 — I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ gna, le memorie, le responsabilità’, oppure ‘L’offesa, la memoria, la lingua, la cultura’, e così via. A ben riflettere, però, la soluzione all’enigma di quelle quattro parole non è nella loro eliminazione, dopo le prime edizioni, in quanto errato giudizio editoriale, le abbia scartate l’autore oppure la casa editrice. Questo perché a un secondo sguardo, allargando la prospettiva storico-culturale, mettendo Levi in rapporto con le tradizioni che condivise con Sciascia e con svariati altri suoi contemporanei, possiamo dire che «i delitti, i castighi, le pene, le impunità» non sono in realtà termini del tutto fuori luogo o non meritevoli della nostra attenzione. Quei termini ci permettono anzi di sondare un aspetto forse nascosto, una matrice della prospettiva di Levi sulla violenza e sulla giustizia, che lo inserisce – e con questo inserisce il suo concetto implicito della Shoah stessa, che è stato determinante per gran parte del campo culturale italiano – precisamente in quella linea italiana postilluminista, in quella genealogia del male storico-moderno, che è anche una linea centrale del pensiero e del metodo d’indagine di Leonardo Sciascia. Prendiamo dunque sul serio il peso e la specificità di ciascuna di quelle quattro parole e del loro insieme. Da notare subito l’evidente doppio richiamo, quasi un gioco di parole troppo facile, da una parte al Dostoevskij di Delitto e castigo (1866) e dall’altra al Beccaria di Dei delitti e delle pene (1764), e quindi da un lato a una fonte oscuramente moraleggiante, interessata alla violenza, alla morte e alla responsabilità, al vuoto morale e al problema tremendo del male; e dall’altro lato a un trattato giuridico-analitico, razionale-illuminista, sistematizzante, secolarizzante. Entrambi questi lati – ed entrambi questi autori, anche se a volte dietro le quinte – trovano posto nella biblioteca ideale sia di Levi che di Sciascia: condividono cioè un interesse per l’esperienza umana-storica del male e della violenza – colto nella sua essenza nell’atto della tortura e dell’esecuzione – e per il sistema delle leggi e della Legge, una esperienza e un sistema che a volte appoggiano le loro idee, e che altre volte le contrastano. Di mezzo c’è sempre, sia in Levi che in Sciascia, l’individuo, l’uomo, più o meno in grado di volere e di intendere, di resistere e di giudicare, che stia dalla parte del potere oppure – e più spesso – dalla parte del soggetto-vittima del potere. È questo nesso giuridico-morale, quindi, che sottende quella frase sulla copertina dei Sommersi e i salvati e che mette in stretto rapporto Levi, Sciascia e una certa visione della Shoah. La frase e il nesso rimandano poi, oltre a Dostoevskij e a Beccaria, anche a vari altri intertesti che circolano in Levi e in Sciascia intorno a temi della responsabilità, della violenza e del potere. Si può pensare per esempio a Franz Kaf ka, che Levi sta traducendo, con difficoltà intense, proprio negli anni della stesura dei Sommersi, e che — 101 — ROBERT S.C. GORDON Sciascia ha nominato, insieme a Borges e a Pirandello, come uno dei tre autori che hanno attraversato il Novecento, «dando nome […] alle nostre inquietudini, ai nostri smarrimenti, alle nostre paure»; 13 e poi anche a Hannah Arendt, che in qualche modo percorre una strada parallela e inversa a quella di Levi nell’esplorazione delle zone grigie e scure del totalitarismo e del genocidio, e delle responsabilità individuali e collettive; e che appare come una traccia anche in Sciascia, soprattutto in La strega e il capitano, quando commenta malinconico la stupidità, la cretineria (di «un tal nefasto cretino») del processo e della tortura di una vittima innocente nel seicento milanese: «(c’è una banalità dell’atroce, della crudeltà, della sofferenza; c’è sempre stata, mai però così invadente e saturante come ai giorni nostri; e insomma, come è stato già detto: la banalità del male)».14 La formulazione precoce dell’idea di una banalità del male, o meglio di una piatta normalità e una sorda sistematicità del male quando viene messo in atto come compito quotidiano, e per di più con riferimento diretto alla Shoah, la troviamo in Sciascia ben prima di La strega e il capitano, almeno quindici anni prima, e con riferimento ancora più addietro a un testo che precede il processo Eichmann a Gerusalemme, che nel 1961 che aveva ispirato il reportage di Arendt nella rivista «The New Yorker» e tutto il dibattito ferocissimo che ne conseguì.15 Nel 1973, Sciascia scrive un saggio importante come prefazione a un’edizione della Storia della Colonna Infame, in cui la Shoah emerge come punto cardinale della sua analisi, nonché della nostra comprensione contemporanea del testo manzoniano.16 Il riferimento non è a Levi – anzi, Sciascia soltanto raramente accenna nei suoi scritti 13 L. Sciascia, Nel cinquantenario della morte di Luigi Pirandello [1986], in Pirandello e la Sicilia, Milano, Adelphi 1999, pp. 239-248: 241 (non incluso in OA). Cfr. Fausto De Michele, Il paradigma inquieto del Novecento: Pirandello, Kaf ka e Borges, in Pirandello oggi: intertestualità, riscrittura, ricezione, a cura di Anna Frabetti e Stefania Cubeddu-Proux, Pesaro, Metauro 2017, pp. 239-251. 14 L. Sciascia, La strega e il capitano [1986], OA, II.1, p. 779 (anche per il «nefasto cretino»). Sia Levi che Sciascia sono stati affascinati dalla cretineria oppure dalla stupidità umana, come causa di dolore e sofferenza. Cfr. G. Cinelli, Il diciassettesimo secolo, cit., p. 90; Andrea Verri, Leonardo Sciascia e «La banalità del male», in Leonardo Sciascia (1921-1989). Letteratura, critica, militanza civile, a cura di Marina Castiglione e Elena Riccio, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani 2020, pp. 183-195. 15 Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, New York, Viking 1963. 16 L. Sciascia, «Quel che è sembrato vero e importante alla coscienza», introduzione a La Colonna Infame di Alessandro Manzoni, Vasco Pratolini, Nelo Risi, Gianni Scalia, Bologna, Cappelli 1973, pp. 9-22. Rielaborato, questo saggio diviene una Nota conclusiva in Alessandro Manzoni, Storia della Colonna Infame [1840], Palermo, Sellerio 1981, pp. 169-190, e verrà incluso, con il titolo «Storia della Colonna Infame», in L. Sciascia, Cruciverba, Torino, Einaudi 1983, pp. 101-114; infine in OA, II.2, pp. 591-604. — 102 — I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ allo scrittore torinese. Passa invece attraverso altri autori terzi, altri punti intermedi che ci permettono di metterlo in rapporto indiretto con Levi: in questo caso sono due interlocutori: Vittorini – il Vittorini della collana Einaudi «I gettoni» e anche, in nuce, il Vittorini neo-razionale e (anche lui) post-illuminista delle note postume raccolte nel volume Le due tensioni – e un dimenticato scrittore francese degli anni Cinquanta, Charles Rohmer, autore del romanzo L’Autre.17 La Shoah viene alla ribalta nel saggio nel momento in cui Sciascia vede una somiglianza di fondo tra i giudici «onesti» della Colonna Infame e i nazisti della SS, che vivono la loro vita quotidiana e familiare mentre di giorno gestiscono la tortura e la morte: La giustezza della visione manzoniana possiamo verificarla stabilendo una analogia tra i campi di sterminio nazisti e i processi contro gli untori, i supplizi, la morte. […] quei giudici erano onesti e intelligenti quanto gli aguzzini di Rohmer erano buoni padri di famiglia, sentimentali, amanti della musica, rispettosi degli animali. Quei giudici furono «burocrati del Male»: e sapendo di farlo.18 Il romanzo di Rohmer è per Sciascia «quanto di più terribile ci sia rimasto nella memoria e nella coscienza di tutta la letteratura sugli orrori nazisti pubblicata dal 1945 in poi».19 Descrive gli aguzzini attraverso gli occhi di un servo ebreo, in un Lager non specificato, invisibile e senza nome, noto semplicemente come «l’uomo», e così li rende banali, quasi comici, e per questo tanto più orripilanti. È Vittorini che coglie l’essenza dell’operazione di Rohmer già nel suo risvolto di copertina per la traduzione del libro, uscito nei «gettoni», nella traduzione di Silvana Lupo, nel 1954 (l’anno prima del contratto di Levi con Einaudi per la seconda edizione di Se questo è un uomo). Va citato per esteso: L’esperienza dei campi di concentramento, se ha dato negli anni dell’immediato dopoguerra gran numero di documenti, testimonianze, cronache e diari di straordinario interesse, soltanto oggi, si può dire, comincia ad essere compresa nella sua essenza di caso limite, di termine assoluto di paragone. Dopo la Specie umana di Antelme, ancora tutto «vissuto», carico dell’indignazione del superstite, questo romanzo di Rohmer, così composto, matematico, se17 Elio Vittorini, Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura, Milano, Il Saggiatore 1967; Charles Rohmer, L’altro [L’Autre, 1951], trad. it. di Silvana Lupo, Torino, Einaudi 1954 («I gettoni», n. 42). 18 L. Sciascia, «Storia della Colonna Infame», cit., pp. 594-595. 19 Ivi, p. 595. — 103 — ROBERT S.C. GORDON gna forse la nuova direzione che ha preso la letteratura «concentrazionaria». Rohmer non racconta ciò che ha subito sulla propria pelle: il protagonista della sua storia non ha addirittura nome, è «un uomo». E come semplice oggetto entrerà nella casa dei suoi aguzzini, uno strumento per spaccar legna, scopare, accendere la stufa, completamente «negato», invisibile; è attraverso i suoi occhi di testimone passivo, di estraneo, di «altro», che ci appariranno, dal basso in alto, il mondo e la vita dei carnefici: un mondo, ed è questa la chiave del libro, mostruosamente simile al nostro, dove non mancano le più sfumate tenerezze, gli affetti più delicati; una vita per nulla truce o stravolta, ma fatta di gioie e dolori privati, di meticolosi eventi, piena di banale, domestico tepore, che scorre senza scosse, parallela al bagliore dei forni crematori, all’immenso anonimato del campo di sterminio. Non si tratta dunque di una condanna esplicita ma piuttosto di una dimostrazione per assurdo, in cui è proprio la parte di umanità rimasta nei burocrati del Male, la loro capacità di sentire ed agire come tutti noi, a dare l’esatta misura della loro negatività.20 Si sente nel commento vittoriniano, citato in parte da Sciascia, un’anticipazione diretta della dichiarazione della «questione» nel Consiglio d’Egitto: (E la disperazione avrebbe accompagnato le sue ultime ore di vita se soltanto avesse avuto il presentimento che in quell’avvenire che vedeva luminoso popoli interi si sarebbero votati a torturarne altri; che uomini pieni di cultura e di musica, esemplari dell’amore familiare e rispettosi degli animali, avrebbero distrutto milioni di altri esseri umani: con implacabile metodo, con efferata scienza della tortura; e che persino i più diretti eredi della ragione avrebbero riportato la questione nel mondo […]).21 Anche Levi nei Sommersi, in capitoli come La memoria dell’offesa e Violenza inutile, si sforza con insistenza, a volte quasi autolesiva, di proiettarsi nella coscienza dell’altro, del nazista, per capire meglio e per denunciare; oppure, nella «Zona grigia», dei collaboratori e dei compromessi, dei «grigi» come i Sonderkommandos oppure di Chaim Rumkowski, capo del Judenrat di Łódź, figura di un essere umano intrappolato, posto di fronte alla radicalità di un sistema totale di violenza e di potere. Qui Levi fa una dichiarazione importante di sospensione del giudizio, che richiama aspetti chiave del metodo dell’inchiesta storica di Sciascia, con la sua proiezione empatica, attraverso le tracce minime di coscienze individuali ritrovate nell’archivio (e poi ricreate nell’immaginazione, in tutta la loro complessità umana). Sono momenti, sia in Levi che in Sciascia, collocati su una frontiera ostica tra giudizio morale e giudizio legale: 20 Ch. Rohmer, L’altro, risvolto di copertina. La parte qui messa in corsivo è quella citata da Sciascia («Storia della Colonna Infame», cit., p. 595). 21 L. Sciascia, Il Consiglio d’Egitto [1963], OA, I, p. 494. — 104 — I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ La condizione di offeso non esclude la colpa, e spesso questa è obiettivamente grave, ma non conosco tribunale umano a cui delegarne la misura. […] Ogni individuo è un oggetto talmente complesso che è vano pretendere di prevederne il comportamento, tanto più se in situazioni estreme; neppure è possibile antivedere il comportamento proprio. Perciò chiedo che la storia dei «corvi del crematorio» venga meditata con pietà e rigore, ma che il giudizio su di loro resti sospeso. La stessa «impotentia judicandi» ci paralizza davanti al caso Rumkowski. […] Come Rumkowski, anche noi siamo così abbagliati dal potere e dal prestigio da dimenticare la nostra fragilità essenziale: col potere veniamo a patti, volentieri o no, dimenticando che nel ghetto siamo tutti, che il ghetto è cintato, che fuori del recinto stanno i signori della morte, e che poco lontano aspetta il treno.22 I delitti, i castighi e le pene si trasformano quindi in spie della questione profonda della complessità e dell’ambiguità umana. Lo stesso si potrebbe dire per quella serie di figure in Sciascia, soprattutto le vittime della tortura e del potere – Francesco Paolo Di Blasi, Diego La Matina, Caterina Medici – ma anche per quelle figure ambigue, compromesse col potere, quali l’Abate Vella, che gode a falsificare, a mistificare l’archivio e quindi la storia, oppure il poliziotto torturatore, il giudice volutamente cieco, variamente condizionati dal potere e da una legge corrotta. Sono gli stessi che Sciascia trova nella Storia della Colonna Infame e che, insiste, avevano gli strumenti per vedere ma hanno scelto di non vedere. Verso la fine di Morte dell’inquisitore, Sciascia aveva già citato e commentato la Storia della Colonna Infame, e in particolare il punto in cui Manzoni arriva per paradosso, inorridito, quasi alla negazione di Dio stesso: «cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla».23 Secondo la ricostruzione documentario-immaginaria di Sciascia, anche Fra Diego, davanti ai suoi inquisitori teologi, arriva ad accusare la Provvidenza, con la sua tesi finale che «Dio è ingiusto».24 Dio c’è, quindi, ma è ingiusto. È un giudizio paradossale che anche Levi contempla, per poi rovesciarlo, in una nota frase scritta in margina al dattiloscritto di un’intervista con Ferdinando Camon: «C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non troP. Levi, OPL, II, pp. 1169; 1180-1181; 1186 (corsivi nostri). L. Sciascia, Morte dell’inquisitore [1964], OA, II.1, pp. 234-235. E si veda l’Introduzione in A. Manzoni, Storia della Colonna Infame [1840], Palermo, Sellerio 1981, pp. 9-19: 14. 24 L. Sciascia, Morte dell’inquisitore, cit., p. 234. 22 23 — 105 — ROBERT S.C. GORDON vo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo».25 Il paradosso è già presente in nuce fin dal momento in Se questo è un uomo quando Levi immagina un Dio – anzi, se stesso come Dio – nel gesto di sputare a terra la preghiera di Kuhn, dopo che questi si è visto salvare nella terribile selezione dell’ottobre del 1944 ad Auschwitz: «Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn».26 Un paradosso analogo viene evocato da Elie Wiesel, quando ricorda il processo a Dio celebrato in una improvvisata corte rabbinica ad Auschwitz. La corte condanna Dio come colpevole di aver abbandonato gli ebrei e, terminate le loro deliberazioni, i rabbini tornano a pregare. Wiesel ha ricostruito l’evento in un dramma teatrale, attraverso l’allegoria di un pogrom del Seicento (di nuovo il Seicento), nel suo testo del 1979 Le Procès de Shamgorod.27 In realtà, per Manzoni, come per Sciascia e per Levi, è piuttosto la cecità umana che gli interessa, non quella divina: la cecità del sistema istituzionale e dei funzionari singoli, la cecità dei costumi e del buon senso dei cittadini, dei giudici milanesi o dei bystanders tedeschi, che scelgono di non vedere. Perfino Manzoni, dopo l’evocazione inorridita della provvidenza negata, prosegue così: Ma quando, nel guardar più attentamente a que’ fatti, ci si scopre un’ingiustizia che poteva essere veduta da quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole ammesse anche da loro, dell’azioni opposte ai lumi che non solo c’erano al loro tempo, ma che essi medesimi, in circostanze simili, mostraron d’avere, è un sollievo pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa.28 Qui il discorso verte infine sulla verità, e in particolare sulla fragilità della verità di fronte alla malafede, alla violenza e alla mistificazione, e di fronte all’autoinganno degli aguzzini e delle vittime, in sintesi cioè di fronte alla menzogna. E così come la verità diventa centrale alla «questione», anche il quarto termine di quel sottotitolo per I sommersi e i salvati torna qui all’attenzione, cioè l’impunità. Tra la fine degli anni Settanta e i primi OPL, III, p. 858. OPL, I, p. 242. 27 Elie Wiesel, Il processo di Shamgorod così come si svolse il 25 febbraio 1649 [Le Procès de Shamgorod tel qu’il se déroula le 25 février 1649, 1979], trad. it. di Daniel Vogelmann, Firenze, La Giuntina 1982. 28 A. Manzoni, Introduzione, in Storia della Colonna Infame, cit., p. 14 (corsivi nostri). Sciascia allude allo stesso brano anche in Il contesto [1971]. Si veda Filippo Grendene, Quel «desiderio sempre crescente». Intertestualità e ri-usi della Colonna infame nel Novecento, «Enthymema», XV, 2016, pp. 48-71: 58-61. 25 26 — 106 — I DELITTI, I CASTIGHI, LE PENE, LE IMPUNITÀ anni Ottanta, sia Levi che Sciascia furono entrambi presi e preoccupati dal problema dell’impunità, sia morale che giuridica, come nociva per la verità e per la memoria della verità storica. Per Sciascia il motivo era il fenomeno del pentitismo in cambio dell’immunità negli ambiti del terrorismo e della criminalità mafiosa: tant’è vero che in un ultimo paragrafo del suo saggio sulla Colonna Infame, non presente nella prima versione del 1973 ma aggiunto nella versione del 1981, lega direttamente il suo discorso sulla tortura e sulla verità, presente in Manzoni oltre che nella rappresentazione della Shoah, all’impunità: E per finire nella più bruciante attualità – di fronte alle leggi sul terrorismo e alla semi-impunità che promettono ai terroristi impropriamente detti pentiti – si rileggano, del terzo capitolo, le considerazioni che il Manzoni muove riguardo alla promessa di impunità al Piazza: «Ma la passione è pur troppo abile e coraggiosa a trovar nuove strade, per iscansar [evitare, ndr] quella del diritto, quand’è lunga e incerta. Avevan cominciato con la tortura dello spasimo [la tortura corporale, ndr], ricominciarono con una tortura d’un altro genere…»; ed era quella dell’impunità promessa, che più della tortura poté convincere il Piazza ad accusare falsamente, ad associare altri, come lui innocenti, al suo atroce destino.29 Negli stessi anni Levi si sta preoccupando molto di un fenomeno analogo per la coincidenza di due percorsi paralleli: il dilagare del negazionismo in Francia e in Germania, e l’imminente scadenza del limite della prescrizione in Germania per i crimini del nazismo, poi rinviata nel 1979 sine die, ma che fino a quel momento doveva apparirgli come una specie di impunità, quello che Manzoni chiamava rispetto alle grida e ai bravi una «impunità […] organizzata», promessa ai peggiori criminali della storia, e un tradimento della legge e di quella verità in procinto di essere negata da alcuni storici.30 In questo preciso momento, proprio sul tema del negazionismo, troviamo un rarissimo ‘incontro’ tra Sciascia e Levi, con due articoli sulla prima pagina del «Corriere della Sera» del 3 gennaio 1979.31 Forse non è un caso che questo incrocio tra i due autori sia avverato proprio intorno L. Sciascia, «Storia della Colonna Infame», cit., p. 604. «L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere»: A. Manzoni, I Promessi Sposi [1840], in Id., I romanzi, a cura di Salvatore Silvano Nigro, Milano, Mondadori 2002, p. 21 (cap. I). Sulla legislazione tedesca, cfr. Caroline Sharples, In Pursuit of Justice: Debating the Statute of Limitations for Nazi War Crimes in Britain and West Germany during the 1960s, «Holocaust Studies», XX, n. 3, 2014, pp. 81-108. 31 L. Sciascia, A chi giova l’atroce bugia che vuole cancellare le stragi nelle camere a gas del regime nazista, «Corriere della Sera», 3 gennaio 1979, p. 1; P. Levi, Ma noi c’eravamo, ivi, pp. 1-2; poi in OPL, II, pp. 1435-1436. 29 30 — 107 — ROBERT S.C. GORDON alla questione del «delitto» della Shoah, della verità e di una temuta «impunità», l’impunità dell’individuo colpevole – sia il finto storico Faurisson, che i nazisti stessi che si rischia sfuggano alla legge e alla condanna giuridica, storica e morale –, ma anche l’impunità della menzogna stessa di fronte alla fragilità della verità: la menzogna come «fatto», come spiega acutamente Sciascia nel suo articolo, anticipando un problema storiografico e politico che purtroppo rimane «di bruciante attualità». — 108 — RD OSCIA SCIACO LEO N A ISSN 2240-3191 Q LLO UIA