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La lettera dell’originale dei Rerum vulgarium fragmenta

Il più recente e voluminoso lavoro sulla lingua del Petrarca volgare non riserva al capitolo della grafia che otto delle sue oltre seicento pagine, otto pagine pressoché interamente occupate da nudi elenchi di forme, e prive d'ogni richiamo a studi specifici (VITALE 2 29-36): le dimensioni e il contenuto di quel capitolo rispecchiano con fedeltà l'interesse suscitato dall'argomento negli ultimi cento anni. Il fatto che l'edizione dei Rvf cui tutti ricorriamo si sia a suo tempo voluta molto conservativa per far conoscere, «anche fuori della ristretta cerchia degli specialisti, l'uso grafico» del Petrarca (CONTINI 2 290), e il fatto che la prassi editoriale sia oggi, anche per il viatico di quell'edizione, «sempre più attenta ai problemi di rispetto e puntuale conservazione della veste grafica» (COLUCCIA 114), sono paradossi soltanto apparenti. Resta che per imparare qualcosa degli usi grafici del Petrarca volgare, e della loro evoluzione, bisogna risalire all'anno 1900, e a sette pagine, piene di ricerca, di un maestro senza pari, Adolfo Mussafia; dopo, non importa leggere niente altro se non, e si scende di soli sette anni, la recensione con la quale, un altro insigne maestro, Ernesto Giacomo Parodi, forte dello studio del Mussafia e della sua propria scienza in fatto di scritture antiche, criticò molto lucidamente il conservatorismo grafico, oltranzista e perciò disarmato, dell'edizione Salvo Cozzo dei Rvf.

Estratto da «Per leggere», III, n. 5, autunno 2003 LIVIO PETRUCCI La lettera dell’originale dei R erum vulgarium fragmenta* Il più recente e voluminoso lavoro sulla lingua del Petrarca volgare non riserva al capitolo della grafia che otto delle sue oltre seicento pagine, otto pagine pressoché interamente occupate da nudi elenchi di forme, e prive d’ogni richiamo a studi specifici (VITALE2 29-36): le dimensioni e il contenuto di quel capitolo rispecchiano con fedeltà l’interesse suscitato dall’argomento negli ultimi cento anni. Il fatto che l’edizione dei Rvf cui tutti ricorriamo si sia a suo tempo voluta molto conservativa per far conoscere, «anche fuori della ristretta cerchia degli specialisti, l’uso grafico» del Petrarca (CO NTINI2 290), e il fatto che la prassi editoriale sia oggi, anche per il viatico di quell’edizione, «sempre più attenta ai problemi di rispetto e puntuale conservazione della veste grafica» (CO LUCCIA 114), sono paradossi soltanto apparenti. R esta che per imparare qualcosa degli usi grafici del Petrarca volgare, e della loro evoluzione, bisogna risalire all’anno 1900, e a sette pagine, piene di ricerca, di un maestro senza pari, Adolfo Mussafia; dopo, non importa leggere niente altro se non, e si scende di soli sette anni, la recensione con la quale, un altro insigne maestro, Ernesto Giacomo Parodi, forte dello studio del Mussafia e della sua propria scienza in fatto di scritture antiche, criticò molto lucidamente il conservatorismo grafico, oltranzista e perciò disarmato, dell’edizione Salvo Cozzo dei Rvf. È appunto dalle considerazioni di Mussafia e Parodi, soprattutto da quelle sull’uso dell’h- etimologico, che ha preso le mosse il presente lavoro, subito incamminatosi verso lo studio della divisione dei gruppi grafici. La praticabilità di questa strada un po’ nuova, cui inevitabilmente indirizzavano quelle pagine antiche, ha trovato il suo primo presupposto in uno strumento anch’esso centenario, l’edizione diplomatica dell’originale dei Rvf di Ettore Modigliani, e ha trovato un secondo presupposto, per le mie forze non meno necessario, nell’odierna disponibilità degli strumenti elettronici: più precisamente nella possibilità d’interrogare mille volte un file di testo in trascrizione diplomatica. Credo che la ‘sorpassatissima’ edizione diplomatica possa in effetti divenire, se alleata all’elettronica, un impareggiabile strumento di ricerca, quale non è forse mai stato per le nostre discipline: essa comporta infatti un’interpretaz ione delle situazioni grafiche più minute che non sarebbe facile realizzare, in modo altrettanto sistematico e ‘disinteressato’, ricorrendo a originali e riproduzioni di manoscritti sotto l’urgenza di specifici fini di ricerca. (E del resto non sono naturalmente mancate le occasioni, a centinaia, di ricorrere al diretto controllo dell’immagine manoscritta). PER LEGGER E N . 5- AUTUNNO 2003 68 LIVIO PETRUCCI 1. La documentaz ione L’originale dei Rvf, il manoscritto Vaticano Latino 3195 (d’ora in poi V95), è in parte autografo e in parte di mano del ravennate Giovanni Malpaghini, che lavorò sotto il costante controllo di Francesco Petrarca, e addirittura nella sua stessa casa, fino all’aprile del ’67; poi, il 21 di quel mese, il Malpaghini lasciò la casa e abbandonò per sempre quel lavoro di copia, che fu perciò portato a termine personalmente dal Petrarca. I componimenti autografi sono 123, per complessivi 2512 versi (32,3 %), quelli di mano del copista 243, per complessivi 5272 versi (67,7 %); le percentuali cambiano leggermente se si bada alla quantità di scrittura, 22122 “parole” nel primo caso (34 %) e 43019 nel secondo (66 %)1: la proporzione tra l’una e l’altra parte del lavoro di copia si può insomma equamente fissare in uno a due. Gli unici altri autografi volgari del Petrarca oggi consultabili, anch’essi esclusivamente di poesia, sono consegnati in venti fogli di carta che, riuniti tutti assieme solo nel XVI secolo, hanno dato luogo al cosiddetto “codice degli abbozzi”, l’attuale Vaticano Latino 3196 (d’ora in poi V96). Q uei fogli, non a caso cartacei, avevano una funzione variamente provvisoria; appunto per questo risultano tutti di scrittura corsiva, sia nelle forme posate della «cancelleresca», in genere per i componimenti ivi trascritti dopo aver raggiunto un certo grado di finitura, sia nelle forme correnti dell’«usuale», in genere per le correzioni e per i componimenti che venivano prendendo forma su quelle stesse carte (sulle pagine in pergamena di V95, il Petrarca impiegò invece la sua «semigotica testuale»)2. A parte un autografo latino, stesura provvisoria e incompleta della Familiare XVI 6, in V96 si leggono di mano del Petrarca una settantina di pezzi volgari, non sempre completi e a volte in duplice redazione: ai 54 passati in V95 si aggiungono 11 pezzi rimasti estravaganti, nonché il terzo capitolo del Triumphus Cupidinis, il Triumphus Eternitatis e tre sonetti di altrettanti corrispondenti (la copia del sonetto d’un quarto corrispondente, Pietro Dietisalvi, non spetta al Petrarca). Poiché la gran quantità di correzioni e varianti rende problematico ogni altro calcolo, volendo quantificare la scrittura autografa e volgare conservata nel codice degli abbozzi mi affiderò esclusivamente al numero delle “parole”, che sono 16269; tornerà utile osservare che la quantità di scrittura autografa e volgare conservata in V96 è pari al 24,9 % del totale della scrittura di V95, al 73,5 % della sua parte autografa e al 37,8 % di quanto trascritto dal Malpaghini. I venti fogli di V96 documentano gli usi grafici del Petrarca volgare in modo discreto, in varie situazioni di formalità e attraverso un lunghissimo arco di anni, dal ’36 al ’74; la sezione autografa di V95 li documenta in modo continuo, al massimo livello di formalità e per un periodo di nemmeno sette anni. La cronologia assoluta e relativa degli autografi volgari e del lavoro del Malpa- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 69 ghini è stata tutta pazientemente e minutamenete ricostruita da WILKINS 75198, con risultati che hanno superato bene il collaudo della successiva ricerca (cfr. PAO LINO 92-137 e SANTAGATA2 CLXXXVI- CLCII). È fondamentale fissare un quadro cronologico sintetico di tutta questa documentazione; nello schema che segue indico quattro “periodi documentali” che ho individuato incrociando fatti meramente cronologici con considerazioni d’altra natura: i componimenti di V96 sono richiamati col numero d’ordine del testo all’interno dell’attuale compagine di quel manoscritto (e nell’ed. Paolino), i componimenti di V95 col numero d’ordine del testo all’interno delle moderne edizioni (utilizzando anche in questo caso cifre arabe). (A) 1336-38 (B) 1348-60 V96 ni 38-54; 56-58 (ad v. 89); 70-73 V95 ni 16-37 [22 è 2a red. di 34]; 58 (ab v. 90) - 69 [60 è 2a red. di 63]; 74 [Triumphus Cupid. 3]3 (C) 1366-68 ni 1-15 [5 è 2a red. di 4] (D) 1369-74 gen.-feb. ’74; no 75 [Triumphus Eternitatis] Trascriz ioni Malpaghini ott. ’66-apr. ’67: a (ott. ’66-6 gen. ’67) ni 1-120, 122-165; b (16 nov. ’66-feb. ’67 ) ni 264-304; g (9 dic. ’66-mar. ’67 ) ni 166-178, 180-190; d (12 dic. ’66-16 apr. ’67) ni 305-318. Trascriz ioni autografe post apr. ’67-ante mag. ’68: ni 179, 191-198, 319-21. sett.-ott. ’68: ni 200-207, 322-326. mag.-dic. ’69: ni 208-227, 229-231, 328334. c.a ’69-’72: ni 232-238, 335-336, 350, 355, 351-354, 366 ’73-inizi ’74: ni 121, 199, 228, 239-245, 247-255 ad 18 lug. 1374 (†): ni 246, 256-263, 327, 337-349, 356-365 (A) e (B) corrispondono alle scritture di V96 non posteriori alla cosiddetta “forma Chigi” 4: l’isolamento di (A) è ragionevolmente suggerito dai successivi dieci anni di vuoto documentario, lo iato più ampio all’interno di V96. Il triennio ’66-’68, (C), è individuato come il periodo in cui il lavoro del Petrarca sulle pagine di V96, più precisamente sulle attuali due prime carte del ms., s’accompagna a buona parte dell’allestimento di V95: copiatura dei testi per mano 70 LIVIO PETRUCCI del Malpaghini e sostanzioso avvio della sezione autografa. In V96 (C) risulta ben individuato anche sotto il profilo meramente cronologico, dato che sei anni lo separano tanto da (B) quanto da (D); in V95 manca invece una paragonabile discontinuità cronologica tra (C) e (D), il quale ultimo risulta perciò individuato come il periodo dell’allestimento autografo dell’originale che non trova corrispondenza documentale in V96 (se non per i mesi estremi e per un testo estraneo a V95). O ltre alla datazione analitica delle copie autografe, evidenzio nello schema un elemento di dettaglio relativo al lavoro del Malpaghini, che fu “continuo”, ma all’interno del quale si devono distinguere quattro “blocchi” di testi che il Petrarca gli girò via via che li ritenne “pronti per la trascrizione” (WILKINS 137-140). Sempre a proposito del lavoro del copista si ricorderanno ancora tre evenienze: tra i ni 120 e 122 il Malpaghini copiò la ballata Donna mi vene spesso nella mente, poi erasa e sostituita dalla copia autografa del madrigale Or vedi, amor, che giovenetta donna; tra i ni 178 e 180 il Malpaghini lasciò in bianco, certo su indicazione di Petrarca, lo spazio per un sonetto che sarà poi occupato dalla copia autografa di Geri, quando talor meco s’adira; l’allestimento della prima parte (ni 1-263) e della seconda parte (ni 264366) dei Rvf procedette in parallelo, e ciò spiega perché il secondo “blocco” affidato al copista inizi appunto col no 264, mentre il terzo inizia col no 166. Nel corso del lavoro i rimandi andranno a SANTAGATA2 per i testi contenuti in V95, e a PAO LINO per quelli contenuti in V96 (senza avvisare se la lezione è tra quelle riportate a testo o tra quelle fornite in apparato). Il passaggio da Paolino alle carte di V96 è immediato; il passaggio da SANTAGATA2 alle carte di V95 richiede l’ausilio dell’edizione diplomatica (MO DIGLIANI): nel passare da SANTAGATA2 a MO DIGLIANI si ricorderà che, a copia ormai terminata, il Petrarca riordinò i ni 337-365 mediante una numerazione che abbraccia i ni 336 (= 1) e 366 (= 31): nelle moderne edizioni quei testi si susseguono naturalmente secondo l’estrema volontà dell’Autore, ma nell’edizione diplomatica si susseguono, altrettanto naturalmente, secondo appaiono nel manoscritto5. Con “edizione” (e con l’abbreviazione “ed.”), mi riferisco, salvo diverso avviso, al testo dell’ed. Contini, segnalando eventuali divergenze dell’ed. di Marco Santagata6. Impiego le sigle M e P per richiamare rispettivamente i testi di mano del copista e i testi autografi di V95; nel riportare direttamente le lezioni di V95 e V96 mi sono liberamente avvalso di trascrizioni corrispondenti alle esigenze del momento: a volte introducendo la divisione delle parole, la regolazione delle maiuscole, gli apostrofi, gli accenti (ho però sempre conservato u in luogo di v e viceversa), a volte attenendomi a criteri più diplomatici e dando eventualmente conto, ponendole tra parentesi tonde, delle lettere espresse per abbreviazione (non ho però mai conservato ç, costante in luogo di z ).Avverto infine che la ricerca è stata eseguita interrogando, mediante il programma O CP della O xford University Press, file di testo fatti da me appositamente appron- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 71 tare vari anni fa sull’edizione diplomatica (MO DIGLIANI) per V95 e sulla riproduzione fotografica (PO R ENA) per V967. Orientamenti e osservaz ioni sulla divisione delle parole in V95 2. Generalità L’opportunità di studiare la divisione delle parole nei nostri antichi manoscritti volgari è tutt’altro che pacifica; mancano in proposito sia ricerche generali sia spogli di singoli testi, né la trascuratezza può dirsi manifestamente infondata, commisurata com’è alla vastità del campo, alla confusione imperante in questo settore della scrittura e, per altro verso, all’indeterminatezza dei frutti che dovrebbero derivare da un simile studio. Alcune considerazioni di MUSSAFIA e PARO DI m’hanno tuttavia indotto, come ho già detto, a una ricerca del genere su V95, e da essa ho tratto il convincimento che lo studio della divisione delle parole possa fornire interessanti elementi di giudizio in ordine a questioni grafiche, fonetiche e (forse) semantiche di più ovvio interesse. Indipendentemente da questa prospettiva più ampia, che chiede d’essere collaudata nel tempo anche attraverso l’applicazione ad oggetti diversi, gli spogli condotti hanno comunque positivamente accertato che la segmentazione delle parole è tra i fatti che distinguono in modo più nitido e continuo le abitudini grafiche del Malpaghini da quelle del Petrarca. Per introdurre i termini generali del problema non trovo parole migliori di quelle che si leggono nell’ottimo manuale della nostra filologia: La divisione delle parole presenta, specie nei codici due-trecenteschi, diversità rispetto all’uso moderno: possono essere scritti di seguito articolo e nome, pronome e verbo ecc., mentre in altri casi si danno separazioni che spezzano unità lessicali. [...]. In generale, oltre all’astratta analisi in parole, sembrano aver avuto peso la concatenazione fonetica reale e la pronuncia interiore (STUSSI 60-61). Si può insomma dire che, a fronte degli usi moderni, i mss. antichi registrino saldature, le scrizioni «di seguito» di ciò che oggi scriviamo diviso, e fratture, le «separazioni» di ciò che oggi scriviamo unito: confrontando i gruppi grafici di V95 e le parole dell’ed. Contini ho contato nell’originale dei Rvf, con qualche empirico aggiustamento, 6584 saldature e 153 fratture8. L’assoluta disparità tra i due fenomeni si spiega naturalmente alla luce dell’avvertenza di Alfredo Stussi: è infatti intuitivo che la pressione della «concatenazione fonetica reale» sull’«astratta analisi in parole» debba spingere più all’agglutinazione di elementi linguistici eterogenei (come sarebbero appunto «articolo e nome», ildolor 262.11, o «pronome e verbo», loscuso 364.14) e meno alla scissione di unità lessicali (p. es. be gliocchi 9.11).Va del resto subito avvertito che in V95 le fratture si spiegano o come legittime seppur non più usuali scrizioni analitiche (Ben che 72 LIVIO PETRUCCI sia tal 23.71), ch’è il fatto più comune, o, a parte casi isolati, come contraccolpi di certe particolari saldature (§ 6); sicché quello che innanzi tutto importa è uno studio delle saldature. Studiare le saldature significa essenzialmente misurare l’attitudine delle varie forme a connettersi con quanto segue o con quanto precede; va da sé che tale attitudine non corrisponde al numero delle occorrenze saldate, ma alla percentuale delle saldature sul totale delle occorrenze: così, p. es., la prep. in (preconsonantica) e il pron. gli (prevocalico) contano in M rispettivamente 30 e 8 saldature, ma in su un totale di 421 occorrenze (preconsonantiche) e gli su un totale di 11 occorrenze (prevocaliche), sicché in una scala di attitudine alla saldatura gli (72,7 % delle occ. saldate) sopravanza di gran lunga in (7,1 %). Q uesta elementare misurazione implica il presupposto che all’interno d’ogni unità grafica “anomala” sia individuabile la forma che determina la saldatura, diciamo pure il saldante. In linea generale mi sono attenuto al principio, largamente intuitivo, di considerare saldante la prima delle due forme legate nella scrittura a meno che la seconda non sia aferetica: in soncominciar, 366.5, la saldatura va senz’altro sul conto di ncominciar non certo su quello di so (altrimenti mai saldato). R itengo saldante la seconda parola anche quando si tratti d’una forma con raddoppiamento della lettera iniziale in ragione d’un allungamento consonantico dovuto a rafforzamento o ad assimilazione in fonosintassi; i due casi vanno però distinti. In scrizioni del tipo accio ‘a ciò’ 37.73 o ella ‘e la’ 100.10 potrebbe parer meglio considerare saldanti a ed e, che rappresentano la preposizione e la congiunzione che “causano” l’allungamento della consonante successiva, piuttosto che ccio e lla, che rappresentano il pronome e l’articolo che “subiscono” il fenomeno; ma qui è appunto il carattere proprio della ricerca, che richiede un continuo aggiustamento dell’ottica tra suono e scrittura: ciò che in quei casi determina la saldatura non è per nulla il fatto fonetico, frequentissimo anzi continuo, del rafforzamento fonosintattico, ma il fatto grafico, sempre relativamente raro e in V95 decisamente eccezionale, della sua registrazione scritta. Insomma, sia nel caso dell’aferesi sia nel caso del raddoppiamento della lettera iniziale per registrare il rafforzamento fonosintattico, l’elemento saldante è da individuare nella parola che risulta “ deformata” dalla saldatura (come sarebbero ncominciar per incominciar o ccio per cio). Completamente diverso il caso dell’assimilazione, p. es. collei ‘con lei’ 73.92: qui il raddoppiamento della l avviene infatti a spese della scomparsa della n, e dunque con “deformazione” di entrambi gli elementi connessi: nei casi d’assimilazione l’individuazione del saldante nel secondo elemento è insomma da considerarsi solo convenzionale. Considero infine saldante il secondo elemento delle sequenze ei = e i e chei = che i, ritenendo che queste saldature siano favorite dal passaggio della giunzione fonosintattica da iato, [ei], a dittongo, [ei]. LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 73 3. Prospetto riassuntivo dello spoglio L’elenco analitico dei singoli saldanti sarebbe, prima che poco maneggevole, piuttosto inutile; si tratterà invece di dare un quadro che interpreti il loro comportamento, tenendo assieme forme diverse che presentino comportamenti affini per motivi presumibilmente identici (come le forme aferetiche)9, e separando forme identiche che presentino comportamenti diversi in ragione del diverso valore semantico (come gli art. e pron.) o della diversa posizione fonosintattica (come li prevocalico e preconsonantico). Senza star qui a giustificare analiticamente gli accorpamenti e le distinzioni con cui ho proceduto a costruire le prossime tabelle (la cui razionalità, se raggiunta, dovrebbe risultare di per sé), mi limiterò a qualche avviso di massima. I principi fondamentali cui mi sono attenuto sono due: 1. che le occorrenze da computare come non saldate si trovino nelle medesime condiz ioni delle occorrenze saldate; 2. che risultino distinte tutte quelle giunture che inducono (ne sia o meno evidente il motivo) un particolare addensamento delle saldature. Il primo principio è quello già applicato negli esempi del paragrafo precedente computando le occorrenze non saldate di in e di gli solo se, rispettivamente, preconsonantiche e prevocaliche; il secondo principio ha p. es. determinato che nella prossima tabella relativa ad M non trovi poi posto un indistinto in + cons., ma compaiano in + guisa (50 % delle occ. saldate) e, in altro lemma, i restanti casi di in + cons. (6 % delle occ. saldate). Dal computo dei casi non saldati sono tacitamente esclusi quelli che occorrono in fine di verso, quelli seguiti da punteggiatura del ms., quelli che precedono parola iniziante per h- (grafia etimologica di per sé incompatibile con la saldatura; § 12). La forma dei saldanti tiene conto, in linea di massima, della grafia del ms.: dati delasua gratia 366.37 e De lasua frale 360.147, saranno considerati saldanti, rispettivamente, dela e la; nel caso di scissioni lessicali presenti solo in concomitanza d’una saldatura, come sarebbe be gliocchi 9.11, assumo invece come saldante l’intera parola (begli) perché ritengo che quelle scissioni, pur materialmente precedenti, conseguano di fatto alla saldatura (§ 6). Nell’individuazione dei saldanti non distinguo tra che e ché, perché la distinzione «non ha alcun fondamento storico» per i testi antichi (AGOSTINI 373). Dell’organizzazione delle tabelle do conto in nota; avverto però qui di aver raggruppato nell’ultima riga di ciascuna tabella, sotto l’etichetta di “casi residui” e senza indicazione di rango, una serie di forme che non m’è parso possibile inquadrare sistematicamente; avverto inoltre che nelle tabelle, e anche nel prosieguo del discorso; le cifre in corsivo indicano il rango dei saldanti10. 74 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 LIVIO PETRUCCI PETR AR CA forme aferetiche me, se, te + ne/ n’/ la → 38, 56 già + mai gli, agli + voc. → 11 li, delli, nelli + scons. → 13, 30, 49 li pron. + voc. ad + or → 28 li dat. + cons. qua + giù / giuso un + altro → 71 gli pron. + voc. [A] → 4 forme elise li, ali, alli... + voc. → 5 ogni + altro/ a → 19, 40 -d eufonico (od) [B] la pron. + cons. → 24 al + cons. i (art.) unito a e/ che prec. [C] ogni + or [D ] → 14 belli + voc. [E] del + cons. a + cons. dela + cons. la art. + cons. → 16 da + cons. il art. + cons. → 35 dal, nel + cons. ad + voc. → 7 là + cons. li art. (per — ) + cons. → 5 i art. + cons. ala, nela + cons. monosillabi + ’l/ ’n + cons. [F] → 41, 63 di + cons. il pron. + cons. → 26 lo, alo + scons. → 45 si + cons. me, se + stesso/ a → 2 le, ale, dale, dele + cons. → 43 ogni + voc. → 14 bisillabi + ’l + cons. → 33 ti, vi (pron. e avv.) + cons. le pron. + cons. → 39 egli + voc. lo pron. + scons. → 36 à [G] mi + cons. coi + cons. li acc. + cons. → 5 ne + cons. fa + cons. i’ ma + cons. sì col, sul + cons. se cong. + cons. → 2 ben avv. + cons. [H] SALDATI/ TOTALI 442 / 442 % 100 12 / 12 10 / 10 5/ 5 100 100 100 5/ 3/ 2/ 2/ 2/ 2/ 1/ 1055 / 56 / 8/ 3/ 16 / 98 / 14 / 4/ 12 / 52 / 129 / 7/ 79 / 34 / 98 / 39 / 5/ 2/ 1/ 45 / 11 / 5 3 2 2 2 2 1 1062 61 9 4 22 137 20 6 19 86 217 12 141 63 183 75 10 4 2 94 24 100 100 100 100 100 100 100 99,3 91,8 88,9 75 72,7 71,5 70 66,7 63,1 60,5 59,4 58,3 56 54 53,5 52 50 50 50 47,9 45,8 134 / 130 / 5/ 3/ 24 / 6/ 322 324 13 8 73 19 41,6 40,1 38,5 37,5 32,9 31.6 32 / 3/ 21 / 6/ 3/ 1/ 1/ 10 / 30 / 1/ 1/ 4/ 2/ 19 / 11 / 21 / 4/ 7/ 3/ 102 11 78 23 12 4 4 49 148 5 5 22 11 116 70 137 31 55 29 31,4 27,3 26,9 26 25 25 25 20,4 20,3 20 20 18,2 18,2 16,4 15,7 15,3 12,9 12,7 10,3 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 MALPAGHINI SALDATI/ TOTALI begli + voc. [J] 39 / 39 K 26 / 26 -d eufonico (ed, ned, od) [ ] ad + or/ a [L] → 16 17 / 17 ogni + altro/ a [M] → 6, 20 16 / 16 iniziale doppia per allungam. 6/ 6 ogni + or/ a [N ] → 4 6/ 6 iniziale doppia per assimilaz. 4/ 4 rade + volte 2/ 2 un + altro → 28 2/ 2 forme aferetiche 786 / 789 forme elise 2299 / 2317 già + mai 34 / 35 i (art.) unito a e prec. [O] 49 / 51 gli, agli, dagli...+ voc. → 24 189 / 199 gli pron. + voc. [P] 8 / 11 ad + voc. → 3 19 / 35 me, se + ne/ n’ [Q] → 37 7 / 14 in + guisa → 32, 50 5 / 10 o cong. e interiez. + d’ 3 / 11 ogni + voc. → 4 4 / 16 ala prep. + cons. 1/ 5 no ‘non’ + cons. 1/ 5 e + cons. 7 / 40 gli art. + scons. → 14 1/ 7 vi pron. + cons. 2 / 20 le pron. + cons. 1 / 10 qua + giù 1 / 11 un art. m. + voc. → 9 1 / 11 i art. + cons. 16 / 184 da + cons. 8 / 105 a [R] 26 / 436 in + cons. → 18 25 / 411 i’ 11 / 213 sì + come 1 / 20 ne + cons. 2 / 44 monosill. + ’l/ ’n + cons. → 53 18 / 481 se cong. + cons. → 17 4 / 107 qual + voc. 1 / 27 de prep. + cons. [S] 1 / 28 à + cons. 2 / 59 è (dopo forma elisa) + cons. 2 / 62 mi + cons. 11 / 382 si + scons. 1 / 34 fa + cons. 1 / 40 tu + cons. 1 / 42 che + monosillabo eliso 2 / 86 ò + cons. 1 / 46 al, col, dal + cons. 8 / 415 di + cons. 9 / 542 in + voc. → 18 1 / 62 né + cons. 2 / 149 per + cons. 4 / 329 bisillabi + ’l + cons. → 36 2 / 172 la art. + cons. 5 / 482 chi + cons. 1 / 92 il art. 3 / 345 ma + cons. 1 / 164 (et) + cons. 3 / 737 casi residui [T] 3 T OTALE DELLE SALDATUR E 3712 % 100 100 100 100 100 100 100 100 100 99,6 99,2 97,1 96 95 72,7 54,3 50 50 27,3 25 20 20 17,5 14,3 10 10 9 9 8,7 7,6 6 6 5,16 5 4,5 3,7 3,7 3,7 3,6 3,4 3,2 2,9 2,9 2,5 2,4 2,3 2,2 1,9 1,7 1,6 1,3 1,2 1,2 1 1 0,9 0,6 0,4 LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA PETR AR CA SALDATI/ TOTALI % in + cons → 78 25 / 248 10 men avv. + cons. [H] 1 / 10 10 chi + cons. 4 / 41 9,7 quel + cons. 7 / 75 9,3 tua agg. e pron. + cons. 3 / 34 8,8 trisillabi + ’l + cons. → 33 1 / 12 8,3 co(n) + cons. 5 / 63 7,9 tra + cons. 1 / 13 7,7 che + cons. 31 / 413 7,5 bel + cons. 3 / 42 7,1 né + cons. 6 / 88 6,8 o cong. + cons. 4 / 60 6,7 ò + cons. 2 / 30 6,7 un art. m. + cons. → 10 4 / 83 4,8 tu + cons. 2 / 42 4,8 sua + cons. 2 / 45 4,4 miei + cons. [H] 1 / 24 4,2 de’ ‘dei’ + cons. 1 / 25 4 più + cons. 4 / 103 3,9 p(er) + cons. 3 / 121 2,5 in + voc. → 58 1 / 41 2,4 è + cons. 2 / 117 1,7 (et) 7 / 930 0,7 casi residui [I] 16 T OTALE DELLE SALDATUR E 2872 [A] A gli empie 210.10, gli empia 363.8 dell’ed. corrispondono glempie/ a del ms. [B] Non saldato od ante 204.5. [C] Saldate le (due) occ. dopo che.Tre delle forme non saldate occorrono dopo e iniziale di verso (332.3 e 10, 354.10). [D ] Nell’ed. tutte le sequenze saldate appaiono come ognor; appare come ognor anche la sequenza non saldata di 324. 10. [E] Solo le occ. che precedono immediatamente il determinato (sempre occhi). 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 75 [F] Senza distinguere tra art. e pron. (quindi anche nol, sel). [G] Una sola occ. prevocalica saldata: aindoglia 366.92. [H] Solo le occ. che precedono immediatamente il determinato. [I] O tto forme apocopate: dirdei 206.51, Qvalmio 221.1, solesso 360.35, songiunto 358.13, uomdice 226.9, uenmeno 236.3, uilamor 360.96, Vomerdi 228.5. Sei polisillabi: caldiingegni 360.113; cortesiain bando 338.5; lassoappoggi 194.5; miecondutto 360.110; potealeuarsi 360.143; senz astelle 195.5. Due monosillabi: abexperto 355.4; eno(n) 197.11, quest’ultimo in un verso tutto riscritto, dallo stesso Petrarca, su rasura. [J] La parola successiva è sempre occhi. [K] Da espungere ed in 96.4 (CO NTINI ed ogni < MODIGLIANI Et dogni), perché il ms. reca Et ogni. [L] In 68.13, adora, le lettere -dor- sarebbero frutto d’una riscrittura del Petrarca (MODIGLIANI). [M] In 94.2 MODIGLIANI stampa ogni altra, ma l’unione è indubitabile. [N ] Nell’ed. tutte queste sequenze appaiono come ognor, ognora; in 125.10 ognor è invece anche del ms. [O] Le forme non saldate, 23.45 e 50.43, occorrono all’inizio di verso. [P] gli è 125.42 dell’ed. corrisponde a gle del ms. In vario disaccordo col MODIGLIANI, seguendo il quale le occ. saldate sarebbero sette, considero saldati: 19.3, 33.8, 51.2, 60.11, 73.59, 84.7, 90.2, 169.14 e non saldati: 97.8, 116.3, 127.48. [Q] Non computato me ti mostrai 93.9, dove l’atonia di me può essere dubitabile. [R] Unica occ. prevocalica, audire ‘a udire’155.6, che il copista può aver frainteso in audire. [S] delassu ‘di lassù’ 128.78; così MO DIGLIANI, ma la divisione nel ms. è forse del assu. [T] asciuttigliocchi 30.9; quande gliarde (= quand’egli arde) 52.7; liocchi 284.14, li risulta immediatamente preceduto da una «lettera abrasa» (MO DIGLIANI), che è lecito immaginare essere stata una g. L’elemento più evidente del referto è certo la maggiore varietà di saldanti e la più alta frequenza di saldature offerte dai testi autografi: le 2872 saldature occorrenti sotto la mano del Petrarca, in un terzo del ms., indicano una propensione alla “scriptio continua” nettamente più spiccata che nel Malpaghini (3712 occ.). Ma il fatto di maggior interesse è senz’altro costituito dall’andamento delle percentuali di saldatura nella parte di mano del copista. Si evidenzia in primo luogo lo stacco abissale (-67,7 punti) che corre tra i ranghi 14 e 19: i quattro lemmi intermedi risultano poi robustamente isolati, verso l’alto e verso il basso, mediante gli stacchi più ampi registrati nella tabella tra un lemma e il successivo (-22,3 punti tra 14 e 15, -22,7 tra 18 e 19). È ragionevole assumere che i saldanti compresi tra il rango 19 e il fondo della scala siano coinvolti nella “scriptio continua” in modo sostanzialmente accidentale, tanto più accidentale, s’intende, quanto più è bassa la percentuale delle occorrenze saldate; il progressivo crescere della casualità comporta poi naturalmente una discesa via via più continua delle percentuali di saldatura: tra i ranghi 25 e 35 il divario di percentuale tra un lemma e il successivo non eccede gli 1,8 punti mentre tra i ranghi 36 e 58 non arriva al mezzo punto. È reciprocamente ragionevole attendersi che i saldanti compresi tra i ranghi 1 e 76 LIVIO PETRUCCI 14 siano coinvolti nella “scriptio continua” in modo sostanzialmente necessario; il che, se implica di nuovo l’assenza di forti discontinuità nell’andamento delle percentuali, implica pure, e così si verifica, che il massimo della continuità si determini nella parte alta piuttosto che nella parte bassa di quel tratto di scala. Nella tabella relativa alla parte autografa, dove le percentuali di saldatura discendono con sostanziale continuità da un capo all’altro della scala, la situazione è evidentemente del tutto diversa. R itengo tuttavia ragionevole supporre che la partizione di fondo tra saldanti “necessari” e saldanti “accidentali”, che dà forma alla scala delle percentuali di M, soggiaccia anche alla scala delle percentuali di P, salvo che quest’ultima, inflazionata dalla maggiore tendenza alla “scriptio continua”, nasconde la struttura sottostante, proprio come una figura grassa non lascia riconoscere l’impalcatura ossea e il sistema muscolare. Che le cose possano stare proprio così mi pare suggerito da due considerazioni. 1) In testa ai due elenchi si verifica una convergenza non più riscontrabile in successive zone di analoga ampiezza: dei primi diciotto saldanti di M, cioè di tutti quelli meno probabilmente casuali, dodici risultano collocati entro il rango 19 nella tabella di P, uno (ad + voc. ) vi occupa il rango 28, mentre i restanti cinque (1, 5, 7, 8, 18) corrispondono a forme e sintagmi assenti nella parte autografa del manoscritto. 2) Le due maggiori discontinuità riscontrabili nella pur tanto continua scala delle percentuali di P (-7,5 punti tra i ranghi 12 e 13, -13,9 tra i ranghi 14 e 15) cadono non lontano dalla zona in cui cadono le maggiori discontinuità della scala di M. Un’ultima ma fondamentale osservazione riguarda le ben 4582 saldature (il 69,5 % del totale) dovute all’aferesi e all’elisione (P ranghi 1 e 12, M ranghi 10 e 11): se ci si restringe a questo nucleo forte, i numeri del Petrarca (1497) e del Malpaghini (3085) risultano nel rapporto di uno a due che corre tra i rispettivi tratti di scrittura; il che significa che la maggiore disponibilità del Perarca alla «scriptio continua» si dispiega tutta al di fuori dell’aferesi e dell’elisione, e che in quel settore residuo essa supera la disponibilità del copista per un fattore 4,4 (1375 saldature di P contro 627 di M). 4. I “connettori” È naturale chiedersi perché mai il Petrarca e il Malpaghini, tanto diversamente propensi alla saldatura nel restante dei casi, convergano poi al millimetro quando si tratti di aferesi e di elisione.A proposito della scrittura fino a tutto il ’400, è stato per la verità già osservato: «manca ancora l’apostrofo, e si scrive lanima, lerrore, longegno (= lo ’ngegno)» (MIGLIO R INI 284-85); ma rimessa sui piedi, “si scriveva lanima, lerrore, longegno e perciò fu introdotto l’apostrofo”, quella frase spiega la comparsa, cinquecentesca, del segno diacritico, non la si- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 77 tuazione precedente. Il problema che si pone è in effetti tutt’altro: perché mai, “mancando l’apostrofo”, soggetti tanto diversamente orientati nella segmentazione delle parole andavano così perfettamente d’accordo nello scrivere infinitamente più spesso delalloro (M 313.10) e delarbor (P 195.4) piuttosto che, come pure a volte facevano, del errore (M 89.14) e del anno (P 325.13)? Per trovar la risposta basta tornare ancora una volta all’avvertenza di Alfredo Stussi (§ 2): se la pressione della «concatenazione fonetica reale» sull’«astratta analisi in parole» è in grado d’indurre la saldatura grafica di elementi immodificati rispetto alla loro fisionomia astratta (paradigmatica), come il e lo in ildolor 262.11 e loscuso 364.14, è allora intuitivo che quella medesima pressione debba risultare tanto più efficace allorché la giacitura sintattica modifichi la fonetica di parola: com’è il caso di l per le in lalte 204.4, di s per si in sadira 179.1, di mperla per imperla in emperla 192.5. In altri termini, riprendendo un concetto tornato utile nel precedente discorso sui saldanti, le parole che risultano “deformate” per ragioni fonosintattiche rispetto alla loro immagine astratta (paradigmatica) sono più resistenti all’«astratta analisi in parole», ed hanno perciò una speciale attitudine a connettersi col termine adiacente. In questa prospettiva risulta del tutto plausibile che il Petrarca e il Malpaghini convergessero nella saldatura delle forme aferetiche ed elise, pur divergendo radicalmente nella saldatura della maggior parte delle restanti parole. Il concetto di “saldante” è un concetto relativo: date due forme unite nella scrittura esso individua quella cui va più probabilmente imputata la saldatura; ciò non significa però che i saldanti abbiano una specifica predisposizione a determinare unioni grafiche, nella maggior parte dei casi, anzi, non è affatto così: la metà dei lemmi delle tabelle del precedente paragrafo non supera il 26,9 % di occ. saldate presso il Petrarca e il 7,6 presso il Malpaghini. Presso le medesime mani le forme aferetiche e le forme elise hanno viceversa percentuali di saldatura simili e altissime, appunto perché posseggono quella speciale attitudine a determinare unioni grafiche che abbiamo appena riconosciuta implicita nella loro rappresentazione grafica d’una “deformazione” di ragione fonosintattica: riserverei il nome di connettori alle forme aferetiche, alle forme elise e a quante altre rappresentino graficamente una “deformazione” fonosintattica rispetto alla loro immagine “paradigmatica”. È appena il caso di dire che per epoche in cui il volgare non è ancora grammaticalizzato il richiamo alle astratte immagini “paradigmatiche” conduce diritto alla “consapevolezza linguistica” individuale, cioè su un terreno molto scivoloso, in fondo al quale sono in agguato la petizione di principio e il circolo vizioso. Bisogna uscirne con un po’ d’empirismo: diciamo allora che chiameremo connettori quelle forme per le quali si diano congiuntamente un’altissima percentuale di saldature, la ragionevole possibilità di additarle come “deformazioni” di un’immagine paradigmatica e una significativa difficoltà di spiegarne altrimenti la netta predi- 78 LIVIO PETRUCCI sposizione alla saldatura. Nell’originale dei Rvf sembrano rispondere a questi requisiti: l’agg. begli (del solo M), l’articolo gli (M 199 occ., P 5 occ.), le forme con duplicazione della lettera iniziale in rappresentanza di allungamenti o di assimilazioni (del solo M) e le forme con - d eufonico (M 26 occ., P 4 occ.). La forma begli, plausibilmente avvertita come variante fonosintattica del paradigmatico belli (in rima in 59.13; nei Rvf mancano occorrenze preconsonantiche), risulta sempre saldata al determinato (M 1); che la sua costante saldatura (39 occ.) debba imputarsi alla rappresentazione grafica della palatalizzazione trova, sempre in M, due eccellenti controprove: laddove la palatalizzazione non sia graficamente rappresentata manca anche la saldatura, belli occhi 158.14, 167.1, e laddove la saldatura sia preclusa dalla presenza d’un h- (§ 12) la palatalizzazione non è graficamente rappresentata, belli homeri 185.10. È ben noto, e da ricondurre a un fatto di selettività poetica, che nei Rvf la forma begli occorra solo avanti al sost. occhi; sarebbe però improprio supporre che l’indefettibile saldatura tra i due termini abbia a che fare con la loro specifica giuntura piuttosto che col fatto generico della rappresentazione grafica della palatalizzazione prevocalica: è appunto per questo che nella tabella begli risulta lemmatizzato come begli + voc. e non come begli + occhi, a differenza di quanto per esempio avviene con ogni + altro/ a (M 4) ben distinto da ogni + voc. (M 20); cfr. § 7. Del tutto analoga, presso il copista, la situazione dell’art. gli (M 14), variante prevocalica di li: non è infatti saldata l’unica occorrenza di li prevocalico che gli si possa imputare, Li alti 318.10 (cfr. la nota T in apparato alla tabella); sono pure saldate le poche occorrenze autografe dell’art. gli prevocalico (P 4). Il fatto che sotto la mano del Petrarca li e belli risultino più o meno frequentemente saldati alla successiva iniziale vocalica costituisce certo un problema per quanto riguarda l’analisi degli usi scrittorii del Petrarca (§ 14), ma non revoca naturalmente in dubbio la regolarità del comportamento del Malpaghini. Che il raddoppiamento dell’iniziale consonantica per rappresentare allungamenti o assimilazioni fonosintattiche dovesse essere percepito come una “deformazione”, e che quindi le parole interessate, tutte saldate a quanto precede (M 5 e 7), costituiscano dei connettori, è cosa troppo ovvia e del resto già accennata nel § 2: la presenza di questo tipo di grafie in V96 e V95 meriterà invece d’essere illustrata, anche per escludere che nell’originale dei Rvf si dia, come vuole l’edizione, un’occorrenza autografa del fenomeno (§ 10). Che anche le congiunzioni con -d eufonico (M 2 e P 15) dovessero essere avvertite come “deformazioni” fonosintattiche può viceversa risultar meno ovvio, per il sospetto che la finale di ed e od potesse essere in qualche modo “autorizzata”, nella coscienza degli scriventi, dal - t dei corrispondenti grammaticali et e aut: do qui per assodato che ed e od dovessero essere percepiti come “deformazioni” di e e o, e che siano perciò connettori, rimandandone per comodità la di- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 79 mostrazione al prossimo § 9. Concludo osservando che nelle trascrizioni autografe in V95 il Petrarca ha deliberatamente escluso, o almeno fortemente ridotto, i connettori diversi dalle forme aferetiche ed elise: dico “deliberatamente” non solo per il già sufficiente motivo che i connettori di M, non essendo plausibilmente imputabili a pulsioni linguistiche del ravennate Malpaghini, devono risalire agli esemplari di copia, ma per il fatto positivo che nessuno di essi manca in V96 (§§ 9, 10, 14). L’evenienza ha un qualche interesse perché la tendenza ad escludere i connettori meno inevitabili corrisponde alla volontà d’un sistema grafico meno compromesso con gli accidenti della concatenazione fonetica reale, e in certo modo più “astratto” 11; prenderemo allora anche nota del fatto che i connettori dovevano disturbare il Petrarca giustappunto ed esclusivamente in quanto rappresentazioni degli accidenti della concatenazione fonetica reale, non per le saldature che di conseguenza comportavano: saldature che possono colpire la nostra odierna sensibilità “tipografica” ma alle quali lui, viceversa, largamente indulgeva. 5. Gli «invarianti» Le mancate saldature in caso d’aferesi, tre e tutte di M, sono fatti trascurabili che oscillano tra l’accidentalità e una probabile incertezza del copista12. Le mancate saldature in caso d’elisione, venticinque e in percentuali praticamente identiche presso le due mani (P 12, M 11), si prestano invece a qualche utile considerazione; ne do l’elenco completo, che comporta anche sette occorrenze (due di P, cinque di M) metodicamente escluse dalle precedenti tabelle perché seguite da parola iniziante per h: M: nel operation 20.8, nel exilio 21.10, quel ardente 37.50, nel eterno 46.13, un hora 50.27, nel aspetto 78.8, sul extremo 88.11, del errore 89.14, del aspectar 96.1, un humil donna 105.34, un imagine 108.6, un ombra 110.5, del esser 119.86, quel aria 122.13, nel italici 128.96, un altra 135.61, nel habito 143.7, del humor 166.6, nel odorato 185.12, quel humil 188.9, quel uno 270.95, nel età 278.1, com una ‘come una’ 281.13. P: quel elce 192.10, nel età 206.38, dal hispano 210. 1, nel anima 213. 6, nel onde 237.36, nel alto 319. 10, del anno 325. 13, quel antiquo 360. 1, del humane 366. 10. Studiando a più ristretto proposito quest’aspetto della divisione delle parole in V95, Adolfo Mussafia espresse a suo tempo il seguente parere: Il Petrarca […] predilige l’enclisi anche dinanzi a vocale: accanto a delun [211.8] troviamo nel etterno [46.13] [...]. Ma c’è di più. Anche nel femminile trovasi -l in luogo di -l’ (-ll’): col usata [50.32], quel aria [122.13] [...]. Come ognuno vede, la peculiarità di questi esempii sta nella forma grammaticale precedente il nome – facilmente spiegabile nel maschile, strana e, salvo il rispetto dovuto al poeta, a dirittura erronea nel femminile – (MUSSAFIA 399)13. In realtà non c’è alcuna stranezza, perché la questione non si pone affatto, come era inevitabile che a suo tempo la ponesse quel Grande, sul puro piano 80 LIVIO PETRUCCI della lingua, ma piuttosto sul piano bastardo degli usi grafici. Non sfuggirà infatti che in tutti questi casi la forma elisa che “resiste” alla saldatura coincide, almeno graficamente, con una forma non elisa, che può occorrere, e naturalmente occorre nei Rvf, anche in posizione preconsonantica (com in com perde 269.13)14. Q uesta coincidenza, almeno grafica, tra forme elise che resistono alla saldatura e forme apocopate non ha in effetti nulla di casuale: è proprio tale coincidenza infatti che cancellando la “deformità” dell’elisione rende possibile l’eliminazione della saldatura (il fenomeno, registrabile anche in V96, quel humil 4.9 e 5.9, quel armo 13.11, un hora 74.86, mi pare del resto diffusissimo)15. L’uso è in definitiva basato su un meccanismo del tutto analogo al sillogismo normativo che, due secoli dopo l’introduzione dell’apostrofo, mise al bando grafie come un’amico, fino ad allora perfettamente tollerate: Q uindi senz’esso [apostrofo] si scrive un quando è mascolino, non già quando è femminino; poichè si può tanto scrivere un uomo, quanto un diamante, essendo ambi nomi masculini; ma non già un stella, nè un misericordia; laonde quando poi si scrive un’anima, o un’essenz a, si dee apporvi l’apostrofo (CO RTICELLI l. III, Capo IV). S’intende che l’inventario delle forme elise graficamente coincidenti con forme non elise è commisurato alle consuetudini scrittorie generali: il tipo nel operation, nel età è autorizzato, dati nel primiero M 2.9 e N el qual P 194.9, dalla generalizzazione di l scempia nei tipi N e laltrui M 36.11, N elaltrui M 28.82, nelalma P 193.3. Insomma il controllo della pressione della concatenazione fonetica reale si attua senz’altro, e principalmente, attraverso l’astratta analisi in parole, cioè in ragione della competenza linguistica, ma poggia anche sul gioco delle possibilità offerte dalle abitudini grafiche in uso: una dimensione allora tanto più varia ed elastica del nostro attuale, rigidissimo orizzonte ortografico. R iserverei in definitiva il nome di invarianti alle forme capaci di ricorrere graficamente identiche, seppur eventualmente con valore fonetico diverso, avanti a qualsiasi iniziale. 6. Scissioni lessicali In V95 risultano separate, in corrispondenza di grafie unite nell’edizione, una serie di parole del carattere composito delle quali gli allestitori di quel codice, e in genere gli scriventi dell’età loro, avevano una coscienza più o meno vigile, ma comunque superiore alla nostra. I tipi cui mi riferisco, al fine, al men ecc., molto comuni nei mss. antichi e largamente inventariati in CO NTINI2 294, non necessitano d’essere qui elencati: basterà dire che nell’intero ms. ho contato una trentina di forme per 111 occorrenze, molto proporzionalmente distribuite tra M (76) e P (35)16. Diverso dai fatti precedenti, che potremmo dire di scriz ione analitica, è il fenomeno delle scissioni, autentiche “fratture” di unità lessicali non analizzabili; LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 81 in V95 se ne contano 42 casi, 33 dei quali hanno a che fare con connettori, o perché colpiscono parole precedute da una forma elisa o perché colpiscono appunto un connettore; i risultati dello spoglio sono elencati in ragione del connettore in causa (forme elise, forme aferetiche, begli, congiunzioni con -d eufonico): M: che gli ‘ch’egli’ 118. 6, 181. 5; oua lberga ‘ov’alberga’ 37. 111; quande gliardel ‘quand’egli arde ’l’ 52. 7; tin fiammaua ‘t’infiammava’ 34. 2; en cominciai ‘e ’ncominciai’ 119. 80; en tenerisci ‘e ’ntenerisci’ 128. 14; be gliocchi ‘begli occhi’ 9. 11, 21. 2, 30. 19, 37. 34, 37. 74, 43. 13, 59. 6, 61. 4, 63. 6, 72. 30, 74. 6, 75. 1, 75. 12, 93. 9, 107. 2, 112. 11, 125. 21, 150. 4, 165. 7; ibe gliocchi ‘i begli occhi’ 118. 8, 127. 60; e da ‘ed à’ 137. 3; e dol ‘ed ò ’l’ 264. 127; o dinterra ‘od in terra’ 145. 9; o duom ‘od uom’ 37. 120. P: che i (così MO DIGLIANI, ma forse è chei) ‘ch’ei’ 220.5. Benché la partecipazione di P sia marginalissima o del tutto assente, il fenomeno non manca in V96, dove compare però solo in relazione alla cong. ed e in pagine di scritturazione tumultuaria (e din 60.17, 74.83, 74.105; e do 60.3, 63.3; e dodo 74.99; i primi due casi sono incerti), lo direi inoltre piuttosto diffuso nei mss. antichi17. Credo che questo largo collegamento tra scissioni e connettori sia determinato dalla stessa capacità attrattiva dei connettori: una sorta di campo gravitazionale che, oltre a determinare saldature, può evidentemente anche determinare, per l’estemporanea prevalenza del legame fonosintattico sulla solidarietà lessicale, la scissione di uno degli elementi saldati. La contraddittorietà degli effetti non ci allontana dalla metafora celeste, buona anche ad illustrare il bell’esempio di 52.7, quande gliardel ‘quand’egli arde ’l’: egli, non connettore e mai saldato in M, viene spezzato dal connettore quand residuando un gli, che va a unirsi all’iniziale vocalica successiva quasi fosse un articolo (ma non è una regola: il gli di che gli ‘ch’egli’ 118.6 non si salda al successivo auanz i). Colpisce naturalmente la frequenza di be gliocchi, l’unica forma scissa più frequente della corrispondente forma intera (21 occ. contro 18): propenderei a spiegarne l’eccezionale fortuna con un’interferenza di be ‘bei’, mai saldato alla forma successiva18; s’intende che una simile interferenza non avrebbe mai sviato il Petrarca, e infatti in V96 si contano 12 begliocchi, tutti regolarmente saldati e tutti senza alcuna scissione (per le occ. cfr. il § 14, in fine). In ordine agli effetti “dirompenti” dei connettori segnalo infine Sa i ‘se ai’ M 153.14, non una scissione lessicale ma l’unico caso di scrizione analitica della prep. ai (17 occ. in M e 5 in P). Tutte a carico di M le nove scissioni restanti. In cinque casi si tratta di discrezioni della sillaba iniziale che non configurano, pur somigliandovi, plausibili scrizioni analitiche: Al quanto 40.10 e chal quanto 119.25 (che per la cooccorrenza di 40.10 ho preferito non imputare all’elisione di che); a richir 22.30, de lira 29.13; o mai 47.12. Negli ultimi quattro casi si tratta della discrezione di pronomi enclitici: conuen ti 270.4, esser mi 23.34, riuestir sen 268.40, uo ui ‘vo- 82 LIVIO PETRUCCI gliovi’ 113.5; non insisto, perché è ovvia, sull’estrema marginalità del fenomeno e osservo piuttosto che nel caso di uo ui l’infrazione può essere connessa al caso, molto raro, dell’enclisi dopo dittongo discendente ridotto: M ha ancora puomi ‘mi puoi’ 270.60 e uedraui ‘vi vedrai’ 305.10, P solo entraui ‘e vi entrai’ 214.24. 7. Le scriz ioni sintetiche Come già avvertito (§ 3), nello stendere le tabelle riassuntive dello spoglio ho adottato il principio di tener distinte le “giunture” che dessero luogo a un particolare addensamento delle saldature. Elenco tutte le giunture così definite, cui darei il nome di scriz ioni sintetiche, ordinandole in ragione delle percentuali di saldatura (in corsivo il numero del rango nella tabella): 100 %: me/ se/ te + ne/ n’/ la (P 2); ad + or/ a (M 3, P 7); già + mai (P 3); ogni + altro/ a (M 4); ogni + or/ a (M 6); rade + volte (M 8); un + altro (M 9, P 10); qua + giù / giuso (P 9). 97,1 %: già + mai (M 12). 88,9 %: ogni + altro/ a (P 14). 66,7 %: ogni + or (P 19). 50 %: me, se + ne/ n’ (M 17); in + guisa (M 18). 31,6 %: me, se + stesso/ a (P 38). 9 %: qua + giù (M 27). 5 %: sì + come (M 34). Come agevolmente risulta dai rinvii interni alle tabelle, in tutti questi casi il saldante in gioco non risulta altrimenti saldato presso la medesima mano (già, qua in M e P; me, rade, il pronome se, sì in M; te in P), ovvero vi compare con percentuali di saldatura estremamente più basse, sia in altra scrizione sintetica (me e se in P), sia in combinazioni non fisse (ad, ogni e un in M e P; in in M). Se è appena il caso di avvertire che le ragioni delle scrizioni sintetiche sono evidentemente sintattico-semantiche e non fonetiche, andrà esplicitamente notato che il trattamento di queste scrizioni è meno omogeneo del trattamento dei connettori (sia da una mano all’altra sia sotto la medesima mano) perché le ragioni della scrittura sintetica attengono a uno strato più “soggettivo” della sensibilità linguistica. 8. L’espunz ione Scrivere certe vocali e subito annullarle mediante la contestuale giunta d’un punto sottoscritto era pratica diffusa nei codici di poesia, una pratica che in ambito toscano ha riguardato molto più vocali adiacenti ad altre vocali che vocali interconsonantiche. Citerò a titolo d’esempio tre mss. importanti dell’età del Petrarca, il Trivulziano 1080 (la copia della Commedia eseguita e sottoscritta da Francesco di ser Nardo da Barberino nel 1337), il Laurenziano Acquisti e Doni 325 (l’autografo del Teseida, degli anni ’40); il Chigiano L.VI.213 (la copia della Commedia eseguita da Giovanni Boccaccio negli anni ’60): Trivulziano 1080 (spogliati Inf., Purg., Par. I, III, XVI, XVIII, XXXI e Purg. e Par. XXXIII): LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 83 80 espunzioni, 62 di vocali adiacenti a vocali (p. es., Inf. XVI 17 io. dicerei; Purg. I 35 Portava. ai suoi. capelli; Par. I 54 nostro. uso). Laurenziano Acquisti e Doni 325 (spogliato il primo libro): 60 espunzioni, 54 di vocali adiacenti a vocali (p. es., 65.2 centhauri. usciti; 97.6 assai. da lui. prima; 107.1 tuo. honore). Chigiano L.VI.213 (spogliato Inf. V): 75 espunzioni, tutte di vocali adiacenti a vocali (p. es., 25 Hora. incomincian; 28 Io.venni. in; 31 bufera .infernal che mai. non resta )19. Tutto sommato l’espunzione non è quindi prioritariamente legata alle ragioni del verso: sia perché i casi relativi alle vocali interconsonantiche (quelle che se lette determinerebbero ipermetrie) sono nettamente minoritari, sia perché una buona parte delle espunzioni di vocali adiacenti a vocali non serve affatto ad additare l’elisione o l’aferesi in luogo della sinalefe (che è questione ancora metrica). L’espunzione è piuttosto un artificio di ordine grafico che permette di segnalare il venir meno d’una vocale pur scrivendo le parole per intero; i fenomeni più rappresentati sono aferesi, apocope, elisione, ma anche, spessissimo, apocopi postvocaliche (come Io., tuo.) e riduzioni di dittonghi discendenti (come assai., mai.). Perché poi l’artificio grafico risulti impiegato solo nei codici di poesia è stato ottimamente chiarito da Salvatore Battaglia commentandone l’uso presso il Boccaccio (e la spiegazione è senz’altro generalizzabile): Il segno espuntivo è un avvertimento a chi legge, quasi a fargli sentire la differenza fra la prosa e la poesia; il poeta cioè mantiene le forme piene della prosa e rifugge dalle elisioni che dovevano apparirgli come deformazioni linguistiche (BATTAGLIA CXLIX). E di fatto, per stare agli esempi addotti dai mss. del Boccaccio, nell’autografo del Decameròn non si troveranno che due i’, e si cercherebbero invano assa’, lu’, ma’, tu’ o, per quel che è di bufera .infernal, un’aferesi dopo polisillabo (diverso dalla preposizione articolata)20. Ma questa pratica dell’espunzione attende ancora d’essere messa a fuoco, sia per quant’è della conoscenza degli usi scrittorii antichi, sia per quant’è della prassi ecdotica: basti dire che nell’edizione del Teseida il Battaglia non ha tenuto alcun conto delle espunzioni delle vocali non soprannumerarie21, espunzioni che sono state invece molto pacificamente accolte nel caso dei Rvf (tanto pacificamente che la memoria dell’esistenza di quell’artificio in V95 risulta oggi piuttosto appannata, § 11). Nella prospettiva del nostro discorso sulla divisione delle parole, basterà per l’intanto aggiungere questo tassello: la registrazione grafica di certi fatti fonosintattici che dovevano apparire “deformazioni linguistiche” poteva essere evitata, oltre che col ricorso agli invarianti (§ 5), mediante la “scriptio plena” e la contestuale espunzione della vocale che si sarebbe dovuta omettere nella scrittura: gli autografi una. hora (V95 219.13) e un hora (V96 74.86) rispondono insomma ad una medesima esigenza (cfr. anche § 12). 84 LIVIO PETRUCCI Postille e applicaz ioni 9. Il -d eufonico Le forme con -d eufonico presenti in V95 e V96 sono ed, ned, od, tutte prevocaliche e tutte saldate alla parola successiva (tranne od ante P 204.5); le condizioni del loro apparire sono però, in quei mss., notevolmente diverse. In caso di dialefe né richiede - d innanzi ad e- (ned ella M 171.12 e ned era V96 75.67), ma non innanzi ad altre vocali (p. es. né ovra da polir colla mia lima M 20.6, vissimi, che né lor né altri offesi P 207.19); viceversa e e o (cong.) non ricorrono in dialefe: l’unica eccezione, per o, è imposta dalla ragione dell’anafora, o Amore o madonna altr’uso impari (M 57.10); d’altra parte, mentre od non ha alternative, ed è univocamente surrogabile con la forma grammaticale et, che non occorre mai in sinalefe (nei nostri mss., e ai fini del nostro discorso, risulta irrilevante che et sia espresso a tutte lettere o per abbreviazione)22. Ne consegue che se la distribuzione di ed può essere significativa di usi grafici diversi, non lo è invece quella di ned e di od, meccanicamente obbligata dalla tessitura testuale23. In V96 ed ha 30 occorrenze, tutte risalenti al periodo (B), 1348-6024; dei venticinque pezzi oggi conservati per quegli anni quelli che recano ed sono solo nove, seppur disseminati lungo tutto l’arco di quel periodo (cfr. PAO LINO 104-28); osservo ancora che, tolto il n° 58 la cui unica occorrenza cade in una variante interlineare, nei restanti otto pezzi l’uso di ed appare piuttosto sistematico, uniche eccezioni: et udi ‘e udii’ 22.7 e et io 74.16. Credo se ne possa concludere, senza forzare il carattere casuale e discontinuo della complessiva testimonianza di V96, che l’uso di ed dovette essere praticato sistematicamente, ma a tratti e in un periodo di tempo piuttosto circoscritto. Nel caso di et udi potrebbe aver corso il sospetto che si sia voluto evitare, per opportunità fonica, [ed u'di], tanto più che di quel testo, il son. I’ vidi in terra angelici costumi,V96 conserva anche una precedente redazione in cui si legge appunto edudi 34.7; senza entrare nel merito25, noto che una tale ipotesi mentre ovviamente esclude che et udi possa esser letto [ed u'di], non implica perciò stesso che vada letto [et u'di], potendo la -t «valere come limite sillabico, senza essere pronunciata»: quel che sarebbe invece escluso è che anche -d possa avere il medesimo valore di astratto limite sillabico senza contropartita fonica26. Veniamo al computo, non proprio immediato, degli ed occorrenti in V95, cioè nel solo M (§ 4). In primo luogo va espunta l’occorrenza recata dall’ed. in 96.4, perché il ms. ha et (cfr. la n. K in calce alla tabella del § 3); in secondo luogo bisogna computare Edintorno 23.24, che può corrispondere nell’intenzione del copista a ed intorno (ed. e d’intorno); in terzo luogo, stando all’apparato MO DIGLIANI, bisogna computare l’ed originariamente scritto in 23.2 e poi LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 85 modificato nell’attuale et da una mano diversa da quelle del Malpaghini e del Petrarca. In conclusione avremmo sedici occorrenze distribuite in dodici componimenti27. Già il numero delle occorrenze allude al carattere residuale di questo ed, che il Petrarca doveva aver abbandonato da tempo, carattere residuale confermato dal fatto, senza riscontro in V96, che nella metà dei componimenti interessati ed subisce una considerevole concorrenza di et28. Un fatto grafico indicato da V96 come residuale, e presente in modo piuttosto episodico solo in M, significa che gli esemplari dati da copiare al Malpaghini dovevano a volte essere, com’è naturale, vecchi di anni, seppur aggiornati mediante minimi interventi alle ultime vedute “ortografiche” del Petrarca; è altrettanto naturale immaginare che questi aggiornamenti potessero risultare episodicamente incompleti. È rimasta in sospeso, dal § 4, la dimostrazione che ed e od dovessero essere percepiti dai nostri scriventi come “deformazioni” di e e o piuttosto che come forme “autorizzate” dal - t dei corrispondenti grammaticali et e aut. Un elemento di prova molto forte è certo già fornito dall’evenienza che ed e od siano soggetti a scindersi allo stesso titolo dei connettori (§ 6), ma il fatto più generalmente e direttamente probante risiede nella diversità fra la comune sorte di ed e od e quella di ad, la cui consonante è certamente, lei sì, “autorizzata” dalla coincidenza con la forma grammaticale. Il Petrarca non impiega mai, né in V96 né in V95, ad in posizione preconsonantica (che pure era diffuso)29, e impiega una sola volta, nei testi d’entrambi i mss., la prep. a in sinalefe (N on fur ma’ Giove, v. 6 volse a vederla, et suoi lamenti a udire)30; sicché, fatta questa sola eccezione, ad compare in quei testi come variante prevocalica di a, cioè in distribuzione identica a quella di ed e od rispetto a e e o. Ciononostante, ad, pur forte di 64 occ., non risulta mai scisso e non risulta nemmeno saldato quanto ed e od: cfr. la tabella del § 3 ai ranghi 2 e 16 di M (-45,7 punti) e ai ranghi 15 e 28 di P (-25 punti); queste divergenze sono evidentemente e appunto da spiegare col fatto che ad era sottoposto a una “tutela grammaticale” che non spettava a ed e od. Anche l’abbandono di ed nella stesura autografa di V95 trova il suo inquadramento più economico nel generale contenimento dei connettori messo in opera dal Petrarca a quell’altezza cronologica, e più precisamente scrivendo in quel codice (§ 10). Concludo ritornando sul v. 24 di N el dolce tempo, dove si legge Edintorno al mio cor pensier gelati nel ms., e d’intorno al mio cor pensier’ gelati nel testo Contini (ma anche in CAR DUCCI- FER R AR I e in CHIAR I). Ai fini del nostro discorso è bastato avvertire che Edintorno poteva corrispondere, nell’intenzione del Malpaghini, a ed intorno: vorrei qui accennare che una tale divisione (preferita da PARO DI2 447-48, che però non la giustifica) non sarebbe poi improponibile neanche in sede ecdotica. La scelta degli editori ha certo dalla sua il corrispondente abbozzo V96 58, dove al v. 24 si legge appunto, con una svista che 86 LIVIO PETRUCCI non conta, Et di(n)torto al mio cor; sebbene non irresistibile (come escludere una modifica prima dell’ingresso in V95?), l’argomento è naturalmente forte, ma è anche il solo: contro c’è che lungo tutti i Rvf ricorre unicamente intorno (non d’intorno) al, cominciando, neanche a farlo apposta, col v. 95 di quella medesima canzone, Morte mi s’era intorno al cor avolta (le successive occ. in 28.63 intorno agli occhi, 31.8 intorno a lei, 108.4 intorno a sé e, ma il caso è diverso, in 119.105 intorno intorno a le mie tempie). 10. La notaz ione del rafforz amento e dell’assimilaz ione in fonetica di frase La notazione del rafforzamento fonosintattico ricorre quattro volte in V96 e cinque volte, per mano del Malpaghini, in V95; ripartisco le occorrenze di V96 secondo le epoche documentali individuate nel § 1: V96: (B) dallunge 74.102. (C) dallunge 11.14, 13.12; ellauro ‘e l’auro’ 13.8. V95: Allamentar ‘a lamentar’ 12.8; accio ‘a ciò’ 37.73; Allor ‘a loro’ 73.42; Ella ‘e la’ 100.10; Al lungo ‘a lungo’ 104.13. La grafia Al lungo, senza riscontro in P e in V96, ricorda certe discrezioni della sillaba iniziale già incontrate presso il solo Malpaghini (§ 6, in fine). La notazione dell’assimilazione fonosintattica interessa esclusivamente le combinazioni con + lei, lui e ricorre tre volte in V96, considerando anche il sonetto di Geri Gianfigliazzi in copia del Petrarca, e quattro volte, per mano del Malpaghini, in V95. Q ueste occorrenze non mi paiono dissociabili, nella consapevolezza linguistica degli scriventi e quindi in uno studio degli usi grafici, dal trattamento delle forme articolate della preposizione con, comunque se ne voglia concepire l’origine31. Fornisco quindi entrambi gli spogli, dando conto anche delle occorrenze non assimilate (per le preposizioni indico a testo il numero delle occorrenze e in nota i rimandi): V96: (A) con lui 72.8 MA collei 39.9; collui 47.12 [Gianfigliazzi], 54.14. (D) con lui 75.39 (bis). Preposizioni: (A) co la 1; cole 2; coll’ 1. (B) con la 1 MA cola 3, cole 2; col’ 2; coll’ 3. (C) con la 1, con le 1 MA cola 2. (D) con la 2, con le 1 MA cola 1. V95: M con lei 22.31; con lui 25.1 MA collei ‘con lei’73.92, 78.9; co lei 115.2; col lui 32.9, 35.14. P conlei 361.6. Preposizioni: M: con la 3; con l’ 3 MA co la 9, co le 7, co li 1; cola 6, cole 1; colla 7, colle 5; co l’ 3; col’ 3; coll’ 4.V95 P: con la 1, con le 4, con li 2; con l’ 2 MA cola 4, cole 3; coll’ 132. Le grafie assimilate delle preposizioni si presentano nelle forme coll-, co l-, col-: ritengo che i tipi con l scempia (necessariamente per -[ll]-, comunque si voglia concepire l’origine delle forme articolate di con) rappresentino esclusivamente il dileguo della [n] per attenuare la “deformazione” indotta dall’assimilazione; non sarebbe così un caso che le grafie con - ll- occorrano più frequentemente quando all’assimilazione s’aggiunge l’elisione (9 occ. su 17 tra le LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 87 forme elise, 12 su 54 tra le forme intere): la concomitanza delle due “deformazioni” doveva evidentemente diminuire la resistenza a un’integrale rappresentazione degli accidenti della concatenazione fonetica reale. Irrilevante invece l’alternanza co l- / col-, che attiene esclusivamente alla soggettiva propensione alla saldatura; non a caso presso il Petrarca domina appunto col-. Per col lui, senza riscontro in P e in V96, vale quanto già osservato per Al lungo; non ha riscontro negli autografi del Petrarca nemmeno l’isolato co lei, che, senza escludere una qualche suggestione del tipo co la, allude probabilmente a un personale imbarazzo del copista altrimenti denunciato da quattro occorrenze di collui ‘colui’ (cfr. VITALE2 138), anche questo estraneo agli autografi del Petrarca. Il fatto che in V95 la registrazione grafica di rafforzamenti e assimilazioni compaia esclusivamente per mano del Malpaghini richiede una preliminare considerazione di metodo già speditamente avanzata in DE RO BERTIS 272: non sono «sospettabili d’arbitrio di copista» tutti i fatti che risultino estranei alle sue tendenze dialettali; siamo quindi tenuti a credere che le occorrenze di mano del Malpaghini fossero già tutte presenti in quanto il Petrarca gli dette da copiare. Attribuiremo perciò al Petrarca anche accio, unica notazione del rafforzamento d’una consonante diversa da [l], e riconosceremo come del tutto casuale il fatto che nel codice degli abbozzi il tipo collui s’arresti al periodo (A), 133638, perché tra le grafie assimilate di mano del Malpaghini c’è anche un collei che occorre nella canzone Poi che per mio destino (n° 73), «ancora in fase di profonda revisione» dopo il febbraio del 1353 (SANTAGATA2 382-83). Sempre in via preliminare va anche notata una fondamentale differenza tra rafforzamento e assimilazione. Il rafforzamento fonosintattico è un fenomeno obbligato, sicché la sua registrazione grafica, per quanto rara, ha valore del tutto generale: dato dallunge [dal'lundȢe], la contropartita fonetica di dalunge, o da lunge, sarà ancora necessariamente [dal'lundȢe]. L’assimilazione corrisponde viceversa a una tendenza che può essere controllata dal parlante; ne consegue, molto banalmente, che se collei e co la, cola, colla rappresentano [kol'lεi] e [kolla], con lei e con la rappresentano, o dovrebbero rappresentare, [kon 'lεi] e [kon la]. Venendo ai dati dello spoglio delle assimilazioni e delle preposizioni, è immediato costatare che queste ultime, il cui numero fornisce un quadro abbastanza dettagliato, indicano un’indubitabile crescita delle grafie non assimilate sia che si passi via via dalle carte più antiche alle più recenti di V96, sia che si passi dalle copie del Malpaghini alle copie autografe di V95; le combinazioni con + lei, lui compongono d’altra parte un quadro del tutto compatibile col precedente, seppure estremamente frammentato in ragione del fatto che il minor numero d’occorrenze aumenta l’incidenza della casualità. O ra, se non m’inganno, questa continua crescita delle forme non assimilate solleva un problema. È ovvio e naturalmente indiscutibile che il Petrarca potesse gestire contemporaneamente, a propri fini espressivi, forme foneticamente assimilate e 88 LIVIO PETRUCCI forme foneticamente non assimilate; c’è addirittura un luogo del suo estremo autografo volgare in cui i due tipi convivono: la prima stesura del v. 23 del Triumphus Eternitatis (V96 75) suonava con le sue stelle e co la terra e ’l mare, e si può ben credere che [kon le] e [kolla] convivessero effettivamente nel dettato interiore dell’autore, magari perché [kon la] avrebbe un po’distratto la terra dal mare verso le stelle, mentre la polarizzazione doveva essere l’altra, quella confermata dalla lezione definitiva, con le sue stelle anchor la terra e ’l mare. R esta però che le grafie che non registrano l’assimilazione crescono passando dalle carte più antiche alle più recenti di V96, e da M a P in V95; e resta che non è plausibile supporre che questa sicura crescita diacronica possa risolversi nella somma di singole scelte stilistiche disposte dalla sorte in modo tale da suggerire una falsa conclusione: bisognerà allora concludere che, facendo salvi puntuali fatti stilistici, il Petrarca abbia effettivamente maturato nel tempo una propensione generale per il tipo [kon la]. E così potrà anche essere avvenuto. Devo però confessare che l’ipotesi d’un autore toscano e trecentesco che avverte la generica esigenza di contenere il tipo [kolla] a favore di [kon la] mi pare un po’ spaesata nel tempo e nello spazio, e insomma non mi convince fino in fondo. Mi chiedo in definitiva se (facendo sempre salvi puntuali fatti stilistici di significato anche fonetico) la crescente propensione del Petrarca per i tipi con la e con lei non rientri piuttosto nel quadro della sua già richiamata aspirazione a un sistema scrittorio meno compromesso con gli accidenti della concatenazione fonetica reale (§ 4): se insomma con la e con lei non costituiscano, nella maggior parte dei casi, grafie analitiche per [kolla] e [kol'lεi], così come et la costituisce sempre e senz’altro una grafia analitica per [ella]. C’è, naturalmente, che in questo modo il Petrarca avrebbe tolto alla lettera dei suoi testi la possibilità di distinguere un caso come quello della prima stesura del v. 23 del Triumphus Eternitatis; ma negli usi scrittorii antichi una simile “approssimazione” sarebbe poi tanto rara? Credo che ad ammettere “approssimazioni” del genere non rilutti poi tanto la nostra conoscenza «del rapporto [...] tra grafia e pronuncia [...] nei testi antichi, in particolare di poesia», ch’è «tutto ancora da esplorare» (DE RO BERTIS 269), quanto la nostra sensibilità di lettori condizionati dalla certezza ortografica e tipografica, una sensibilità molto delicata che non possiamo attribuire senz’altro agli antichi (neanche al “modernissimo” Petrarca), a loro volta condizionati dalla continua e non ovviabile mobilità della lettera dei testi volgari in epoca di diffusione manoscritta e in assenza di norme ortografiche. Passiamo sul terreno più solidamente grafico delle notazioni del rafforzamento fonosintattico, la cui assenza non può alludere, come abbiamo già visto, a una diversa contropartita fonetica. O sservo che tali notazioni, del tutto assenti in P, occorrono in V96 anche e soprattutto — tre volte su quattro — nel periodo (C), cioè nelle prime due carte del ms., risalenti al triennio 1366-68 en- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 89 tro il quale si compì il lavoro del Malpaghini e si avviò quello del Petrarca su V95; di più, quelle notazioni cadono tutte in due dei tre “sonetti dell’aura” che, dopo una laboriosa gestazione sulla c. 2r di V96, dove sono scritturati e ricorretti nelle forme veloci dell’“usuale” (§ 1), furono copiati «quasi subito», dallo stesso Petrarca, in V95 (PAO LINO 133-34). Ebbene, di quelle tre occorrenze: dallunge 13.12 scompare per una complessiva riscrittura del verso (che giunge nello stesso abbozzo alla lezione definitiva,V95 197.12); ellauro, v. 8 del medesimo sonetto, diviene olauro in V95 (e non c’è da attendersi notazione del rafforzamento perché dopo o non se ne danno esempi né in V95 né in V96); dallunge 11.14 viene mutato dal Petrarca in dalunge (V95 194.14). Commentando anche questo preciso esempio, assieme ad altri di varia natura e un po’ meno stringenti, Domenico De R obertis ha scritto che quella delle grafie scempie «è un’osservanza che nello stesso Petrarca [...] si scontra se non con l’uso, con una tendenza irriflessa, sotterranea» (DE RO BERTIS 270); è proprio così: il caso, importantissimo, di questo dallunge, scritto in brutta e nell’urgenza del comporre, e poi subito mutato, sotto i nostri stessi occhi, nel dalunge della copia in buono certifica la naturale esistenza d’un doppio registro dell’attenzione, quella esercitata nella scrittura privata, che può non curarsi del totale controllo degli impulsi del dettato interiore, e quella esercitata nella messa in forma sul libro, che cerca di tener sotto controllo ogni particolare della scrittura. De R obertis accenna, in modo dubitativo, alla possibilità che il Petrarca cercando d’evitare le doppie si potesse scontrare anche con un «uso»: è bene ripetere che quella sua frase si riferiva a consonanti doppie di varia origine, non solo a quelle dovute al rafforzamento fonosintattico, per il quale l’uso d’una notazione almeno un po’ sistematica non è in verità mai esistito, né sarebbe immaginabile33. Tuttavia gli affioramenti sotto l’insospettabile mano del Malpaghini rendono certo che qualche volta gli sia capitato di registrare il fenomeno, non solo nel primo getto d’una composizione ma anche nelle “brutte copie definitive”, quali dovevano essere quelle girate al copista. Non sfuggirà d’altra parte che le notazioni copiate dal Malpaghini sono solo cinque, e tutte comprese entro il n° 104, cioè tra le unità iniziali del primo blocco di testi affidatogli dal Petrarca (a nello schema del §1), sicché potrebbe aver corso il sospetto che l’ispezione delle prime carte della definitiva copia in buono abbia suggerito al Petrarca l’opportunità di sottoporre a più stretto controllo ciò che il Malpaghini doveva copiare; lo spoglio delle preposizioni offre un ulteriore indizio in tal senso: le dodici occorrenze di colla e colle (le uniche che, in assenza del favoreggiamento dell’elisione, registrino sia l’assimilazione che l’allungamento della [l]) non oltrepassano la canzone Italia mia, n° 128. Mi resta da spiegare perché nello spoglio di V95 non ho tenuto conto d’un caso di notazione del rafforzamento fonosintattico, e sarebbe l’unico autogra- 90 LIVIO PETRUCCI fo, che si legge tanto nell’ed. Contini quanto nell’ed. Chiari. Il sonetto Geri, quando talor meco s’adira, fu posatamente copiato, dopo Messer Francesco, chi d’amor sospira di Geri Gianfigliazzi, cui risponde per le rime, in una delle carte più antiche di V96 (n° 48), dove rimase privo d’ogni intervento elaborativo; rispetto a questo abbozzo il testo personalmente immesso dal Petrarca in V95 (n° 179) non presenta che sei varianti, due delle quali prodotte sul medesimo V95 mediante rasura e riscrizione autografa: tra queste ultime è anche l’innovazione testualmente più pesante, quella che ha modificato in E ciò il Se ciò che apre il v. 9 in V9634. R iporto i vv. 5-11 secondo si leggono nell’ed. Contini: 5 9 O vunque ella sdegnando li occhi gira (che di luce privar mia vita spera?) le mostro i miei pien’ d’umiltà sì vera, ch’a forza ogni suo sdegno indietro tira. E·cciò non fusse, andrei non altramente a veder lei, che ’l volto di Medusa, che facea marmo diventar la gente. O sservo che la non banale ellissi di se al v. 9 non sarà certo servita per dar luogo a un e banalmente coordinativo, ma piuttosto a una congiunzione latinamente asseverativa nei confronti di andrei non altramente:‘e davvero, se non fosse che la mia umiltà a forz a ogni suo sdegno indietro tira, «l’andare a vedere lei sarebbe come guardare il volto di Medusa»’(il virgolettato è da SANTAGATA 792). Ma veniamo alla questione grafica. Nell’ed. diplomatica il v. 9 si legge nella forma Ee cio no- fu∫∫e andrei no- altrame-te e reca in apparato questo commento: La E iniziale, di cui la parte superiore è formata di ciò che resta di una S rasa inferiormente, è con inchiostro più scuro su rasura. Il P. volle mutare un Se cio in Eccio, ma lasciò intatta (forse volutamente, per la somiglianza della e con la c) la e di Se e dimenticò di congiungere la seconda e la terza lettera con un tratto d’unione (MO DIGLIANI 89 n. 3). Chiunque abbia esperienza di quell’edizione converrà nel riconoscere che un simile cumulo di supposizioni costituisce un fatto rarissimo, direi unico, lungo tutto il lavoro così mirabilmente oggettivante del Modigliani. Nel ms. non c’è in effetti che una correzione incompleta, la cui incompletezza ha però turbato l’Editore, il quale, per restringerla all’assenza di «un tratto d’unione», ha senz’altro immaginato una e lasciata volutamente «intatta» in luogo di c, «per la somiglianza della e con la c», e un Petrarca che si propone di mutare «Se cio in Eccio», quasi che nella parte autografa di quel manoscritto ricorresse abitualmente la notazione del rafforzamento fonosintattico. La mancanza d’un minimo intervento finale (s’intende della modifica di Ee in Et, l’unica plausibilmente attribuibile alle intenzioni del Petrarca) è certo un po’ curiosa, ma pure giustificabile con l’esiguità stessa del da farsi, che sarà alla fine uscito di testa a chi era venuto a capo della più impegnativa modifica di S in E. L’ipotesi del Modigliani, già di per sé inverosimile, è ora genericamente contraddetta dagli spogli LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 91 di questo paragrafo, ma è anche specificamente contraddetta dal fatto che quell’unico cedimento non si sarebbe poi prodotto nella routine della copia e a carico d’un qualunque e coordinativo, ma nel momento vigile della correzione e a carico d’un e dalle precise connotazioni latine. Come che sia, il pessimo suggerimento dell’ottimo Modigliani è stato tacitamente promosso a certezza testuale nell’ed. Contini; nell’ed. Chiari lo stesso E·cciò compare invece indipendentemente da MO DIGLIANI35. 11. Le espunz ioni in V95 e V96 Dall’apparato dell’ed. Modigliani risulta che nella sezione autografa di V95 ricorrono, in altrettanti versi, diciassette forme con una vocale espunta: in tredici casi l’espunzione è stata effettuata con «lo stesso inchiostro» del testo, negli altri quattro il punto sottoscritto o è insicuro o è «raso»; i versi in questione sono (non sciolgo le abbreviazioni e pongo i casi incerti in coda): Leuarsi i-seme en un pu-to en una. hora 219.13, Or fia mai il di chio. ui riueggia 7 oda 253.2, Quella honorata man cheseco-da. amo 257.4, Quale. ella e oggi en qual parte dimora 319.13, Tolta me quella onde. attendea mercede 324.3, Masi come. vom talor che pia-ge 7 parte 325.39, Come uinse qui. il [starà per qui .il] mio uostra beltate 326.14, Tolto. a colei che tuttol mo-do sgo-bra 327.4, N elliocchi oue. habitar solealmio core 331.37, 7 se-ti che uer te .il mio core in terra 347.9, Che uiue-do ella no- sarei stato. oso 356.4, Io. i-comincio daquel guardo amoroso 356.5, Che bisogna. amorir ben altre scorte 358.3; 7 parole 7 sospiri ancho ne.elice 321.4, N ie-te -i lei terreno era. o mortale 335.5, Di mia salute chaltrame-te era.ita 351.14, N oacaso . e uertute az i e bellarte 355.14. Il rilievo essenziale è che nessuna di queste espunzioni, né le sicure né le incerte, serve a regolarizzare la misura del verso. La situazione di M è duplicemente diversa: sotto il profilo quantitativo, perché qui le espunzioni sono solo dodici (proporzionalmente, poco più d’un terzo di quelle di P), e sotto il profilo qualitativo, perché tre sole espunzioni risultano tipologicamente accostabili a quelle di P (si aggiunga che le prime due sono incerte mentre l’ultima, effettuata con «lo stesso inchiostro» del testo, è del Malpaghini): Interro-per conuen questi. a-ni rei 268.6, Che solean fare. in terra un paradiso 292.7, Poco aueua. andugiar che glia-ni el pelo 316.9. Per il resto abbiamo un intervento, dubitabile, che sembra sanare una banalizzaione sintattica (69.7 sopra a.l’acque) e ben otto espunzioni, due dubitabili, che attengono alla misura del verso (sono effettuati con «lo stesso inchiostro» del testo gli interventi ai ni 36, 178, 272, 311, sono dubitabili gli ultimi due dell’elenco): strale. la 36.10, odaffricano. fossin 104.10, uale. te-po 133.6, Derrore.si 178.8, laspettare.maccora 272.5, rosigniuolo.che 311.1, fare.del 291.7, doro.puro 292.5. V95 registra insomma complessivamente ventinove espunzioni, otto solo 92 LIVIO PETRUCCI delle quali (il 27,6 %) di ragione metrica. In V96, che ho spogliato percorrendo l’apparato dell’ed. Paolino, le espunzioni sono estremamente più frequenti, ben 83 in un’estensione di scrittura pari a un quarto di V95, mentre l’incidenza delle espunzioni di ragione metrica (15) è ancora più bassa (18 %)36. O rdino il referto secondo i periodi documentali definiti nel § 1: (A) ESPUNZIO NI DI R AGIO NE METR ICA: pensieri. tutti 41.7, nocchieri. governi 44.11, fiori. tra 45.11, soli. che 47.8, uedere. fragile 50.5, diuedere. chal 52.13, fare. de [in interlinea, la .e è anche depennata] 53.14, humano.la rena 54.4, talora. da 57.1, stagione. foglia 58.40, sentire. che 58.67, caualiere. tutta 71.1, animali. de [nel ms. animalj, la - j è espunta con un punto a destra e uno a sinistra del tratto discendente] 72.1. ESPUNZIO NI DI ALTR A NATUR A: policleto.intento 38.1, Mille. anni 38.3, c(er)to.il mio. Simon 38.5, morto.il 40.3, Sopra. il 40.7, tali. inganni 41.5, rivolsi. i 41.7, P(er)o .i di miei 43.5, sae.tte a gioue [sae.tte sta certo per saette.] 44.4, senz a. arte 45.10, presso. o di lontano 46.6, Celandogli. i duo 47.4, Partir si dee. ben che non sia 47.8, Ouunque. ella 48.5, ueggio. exclusa 48.12, nostro. usa 48.14, sia. endegna 49.14, noiose. aspre 50.2, uiue. ilbel 53.1, ti(n)fia(m)maua. a le thesaliche.onde 53.2, poste.in 53.4, gielo.(et) dal te(m)po. aspro 53.5, lonorata. (et) 53.7, i(n)uescato. io 53.8, a se stessa. o(m)bra 53.14, gli. esce 56.3, io. mi 56.4, Se(m)bianz a. e forse 56.13, giusta. ira 57.1, sasse(m)bla. al core 57.7, cantando .il 58.4, Mentre. amor 58.6, Troppo. asprame(n)te 58.8, fatto. a 58.9, Fatto.auean 58.25, Ingegno. o forz a. o 58.37, feci. io 58.41, sperata. auea. gia 58.44, me(m)bro. a 58.46, peneo. ma 58.48, mai. insi dolci o .in si soaui 58.64, altro. habito 58.75, la o.uio. era 58.81, petto.oue 70.6, Fia. assicurata 72.14. (B) ESPUNZIO NI DI R AGIO NE METR ICA: freno . mi 31.2, core. già sta(n)co 32.4. ESPUNZIO NI DI ALTR A NATUR A: agghiaccia(n)do. io 17.3, Sarai. anchor 19.6, uentura. a 21.14, questo. a 23.2, sua. asprez a 25.7, dolcez z a. e 27.12, Vederla. ir 27.13, lui. il ghiaccio 29.2, doue. e 29.4, fino. oro 33.6, come. amor sana e come. ancide 33.12, aspro. e graue 60.13, auessi. io 69.11. (C) e (D) ESPUNZIO NI NO N O RTO METR ICHE: come. ombra 6.2, molti. è 75.48. L’impiego autografo dell’espunzione a fini ortometrici disegna molto nitidamente il quadro, piuttosto pacifico, d’un uso remoto, ben presto e definitivamente dismesso: fuori dalle carte più antiche di V96 questo tipo d’espunzione non compare infatti che nel successivo periodo (B) e per due sole volte (anzi una sola, perché in 32.4 l’espunzione non è contestuale e dipende dalla successiva inserzione di già). Non troppo dissimile il quadro delle espunzioni senza impellenza metrica all’interno del medesimo V96: ancora un’altissima concentrazione nelle carte più antiche, e ancora una brusca caduta in quelle dell’epoca successiva, dove però il fenomeno non è evidentemente accidentale e riverbera isolati strascichi in (C) e (D)37. R isulta perciò inattesa la comparsa non proprio sporadica di questo secondo tipo d’espunzione nella parte autografa di V95, dove interessa, 10 volte su 17, componimenti posteriori al 1369, 6 dei quali addirittura degli estremi mesi di vita e di lavoro del Petrarca38; il carattere così tardivo di queste apparizioni spiega naturalmente perché le espunzioni di vocali non soprannumerarie siano solo tre presso il Malpaghini, il cui lavoro, compiuto entro l’aprile del ’67, sarà stato verosimilmente condotto su esemplari largamente depurati da quell’artificio39. E non senza motivo; così, p. es., in 317.3 Fra glianni de la eta matura honesta il Malpaghini aveva senz’altro da copiare la. età, proprio come aveva appena copiato (quattro righe più sopra) aueua.andugiar 316.9: in nessun altro caso lungo tutto il ms. un la, un le o un lo, LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 93 sia pron. sia art. (con o senza preposizione), compare non eliso avanti a vocale. R imanendo ad M, è interessante notare che delle sei espunzioni sicure tra quelle necessarie alla misura del verso ben quattro sono di mano del copista. Il nodo di problemi sollevato dall’uso dell’espunzione presso il Petrarca mi pare troppo complesso per essere qui non dico affrontato ma neppure istruito. Lo scopo di questi spogli era del resto solo quello di documentare fatti tanto dimenticati dagli studi che la situazione di V95 si è potuta recentemente e autorevolmente rappresentare, per un banale equivoco, precisamente al rovescio40. 12. L’h iniz iale L’h si scrive, se veramente iniziale; quando però precede una proclitica, la cui vocale finale graficamente si elide, le due voci vengono considerate e scritte come se ne formassero una sola, per entro alla quale l’h non si scrive: atti honesti, ma lonesto, donesto, sonesto. Poiché noi ora usiamo l’apostrofo, si potrebbe in via pratica enunciare la norma così: Dopo voce apostrofata l’h non si scrive (MUSSAFIA 396). A questa «norma», formulata proprio in relazione a V95 e V96 e oggi generalmente nota soprattutto grazie ai richiami di Gianfranco Contini editore dei Rvf 41, Adolfo Mussafia faceva seguire un lungo e ragionato elenco di «eccezioni» che, non richiamate da Contini, risultano oggi assai meno note. Il significato complessivo di buona parte di quelle eccezioni fu eccellentemente sintetizzato nel 1907 da Ernesto Giacomo Parodi recensendo l’ed. Salvo Cozzo dei Rvf; dopo aver avvertito che «tutta la ragione dell’abbandono dell’h» non consiste affatto nell’elisione ma nell’«unione grafica» che in genere ne consegue, sicché mancherà l’h- anche nei casi in cui s’abbia unione grafica senza elisione, ma sarà viceversa presente nei casi in cui s’abbia elisione senza unione grafica, egli proseguiva a questo modo: Salvo trascrisse altr’uom e degli uomini, ne l’habito [ms. altruom e degliuomini, nel habito]: ma se il primo può in qualche modo riguardarsi come un’imagine abbastanza fedele della grafia petrarchesca, lo stesso non si può dire né del secondo né del terzo. È singolare che il Salvo, che conosce lo scritto del Mussafia, e lo cita, non se ne sia giovato per riflettere sul metodo da seguire. Chi si mettesse ora a studiare nella sua edizione le norme ortografiche del Petrarca, riguardanti il h, non riuscirebbe, io credo, a trovarle, poiché il tipo degli uomini e il tipo ne l’habito gli opporrebbero ostacoli insormontabili (PARO DI2 445-46); e gli stessi ostacoli incontrerebbe oggi chi volesse studiare la medesima questione sull’ed. di Gianfranco Contini, che del resto indicava quella di Salvo Cozzo come «la più vicina» alla sua per criteri editoriali (CO NTINI2 290). La fenomenologia su cui si concentrava l’attenzione del Parodi è insomma tale da rendere incoerente la lettera delle moderne edizioni “conservative”, ma non quella dei manoscritti.Vediamo qual è la situazione in V95 e V96: senza tener conto delle forme or e uom, di cui dirò appresso, le saldature indipendenti 94 LIVIO PETRUCCI dall’elisione che comportano la fognatura dell’h- sono 19 in V95 e 1 in V96, per la più parte determinate, in V95, da una scrizione sintetica, adora, e per il resto dall’articolo gli: V95: gliami 270.55; adora ‘ad ora’13.1 (bis), 37.107 (bis), 50.25 (bis), 68.13, 71.75, 71.76 (bis), 169.3, 264.95; ne gliumani 37.65; gliumani 122.7; de gliuomini 37.27; gliuomini 50.49, 104.14, 115.3.V96: gliami 59.40. La sopravvivenza dell’h- nonostante una precedente elisione è resa possibile in 10 casi (7 in V95) dall’uso d’un invariante, dal hispano, del humane, del humor, nel habito, quel humil (3), un hora (2), un humil (cfr. per le occ. il § 5), e in tre casi dall’uso dell’espunzione:V95 una. hora 219.13, oue. habitar 331.37,V96 altro. habito 58.7542. Si può riconoscere nei nostri mss. una volontà di tutelare la presenza dell’h iniziale? benché la tutela non risulti attuata in tutti i casi possibili, mi pare senz’altro di sì. Lo dimostra in primo luogo il fatto che la fognatura dell’h- non è mai indotta da saldature generiche, ma sempre da una scrizione sintetica o da un connettore (§§ 4, 7), e lo dimostra altrettanto bene il fatto che gli invarianti che permettono di evitare la saldatura precedono forme inizianti per h 7 volte su 32 in V95, e addirittura 3 volte su 4 in V9643. A un’espressa tutela dell’h- è dovuto anche l’artificio messo in opera nell’autografo de helia 206.55: non d, per salvaguardare l’iniziale, e non di, per escludere una lettura diversa da [de'lia]; il medesimo de anche in V96, de hector 2.6, e poco importa che qui Petrarca stia copiando il sonetto di Giacomo Colonna. Espunte queste che potremmo chiamare “false eccezioni”, si possono esaminare con più chiarezza le eccezioni “autentiche”, quelle cioè che si verificano nella lettera stessa dei manoscritti; tutte già individuate da Adolfo Mussafia, anche le eccezioni autentiche sono per la massima parte razionalizzabili e dal Mussafia già razionalizzate: le esamino qui appresso una per una. Il sost. edra 148.5, nel ms. preceduto da non senza saldatura, è un hapax da confrontare col pur hapax hedera 318.8, nel ms. preceduto da muro senza saldatura. Il Mussafia ne parla all’interno d’un ragionamento più ampio: Troviamo vaghi habitator [303], 9 e abitador [214], 33; è soverchia sottigliezza l’imaginare che la forma più italiana con la - d- protonica non si acconci bene con l’h latino? Il caso è alquanto diverso in edre [148], 5 di fronte a hedera [318], 8, perché anche edre non è popolare. Che il diminutivo di erba oscilli, si comprende facilmente: colgo herbette [114], 6 e Ridon or per le piagge erbette [239], 36 (MUSSAFIA 400). La grandezza dell’uomo si mostra anche in questo, che arrivò a veder giusto nonostante un’informazione imperfetta: il testo ha in realtà habitador, e sempre herbette44. Q uel che importa nel suo discorso è l’idea che un eccessivo allontanamento dalla forma latina possa comportare l’assenza di h: non vale però (e senza entrare nel merito) l’impopolarità di edra, ciò che può escludere l’h è appunto la “deformazione” rispetto al modello latino, condizione che non fini- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 95 sce di valere anche quando la voce “deformata” sia altrimenti impopolare. Diciamo allora che edra non ha l’h- per lo stesso motivo (e nel caso più cogente) avanzato da Mussafia riguardo al presunto abitador, che è poi il medesimo motivo che rendeva a lui comprensibile la presunta oscillazione tra herbette e erbette, e che rende a noi comprensibile la reale oscillazione tra edra e habitrebbe 31.12 (quest’ultimo forse sostenuto dalla più ampia presenza di corradicali nel testo?). La parola ‘ora’ ha 34 occorrenze non saldate con quanto precede, 17 per il sostantivo, anche plur., e 17 per l’avverbio: le prime sono tutte provviste, tranne una, dell’iniziale etimologica (hora, hore), le seconde ne sono tutte sprovviste (ora)45. La forma apocopata, or, ha 241 occorrenze non saldate con quanto precede, tutte sprovviste dell’h-: 239 per l’avverbio e 2 per il sostantivo: M 184.9 dor in or (cfr., p. es., dora in hora 152.13) e P 216.8 ogni or46. Anche in questo caso, e di nuovo nonostante difficoltà indotte da un’imperfetta informazione, il Mussafia ha perfettamente colto l’essenziale (pongo tra graffe un’avvertenza data in nota): Modificazione di significato dilunga del pari la voce italiana dalla latina e impedisce la grafia latineggiante. Il sostantivo ora, che conserva il valore primigenio, ha l’h in tutti i casi, in cui secondo la norma può e deve averlo {Solo un’eccezione: [355], 7 E sarebbe ora, ed è passata omai. Di rivoltarli in più secura parte} [...]. L’avverbio isolato ora, or, che per il suo significato (or altresì per la forma) non ridesta più alla mente la voce latina [...] ricorre sempre senza h (MUSSAFIA 401 e n. 79). Siamo insomma ben lontani dalla presunta «consueta incostanza» tra ora e hora denunciata in CO NTINI2 290. Q uanto all’unica eccezione registrabile in V95, sarebbe ora P 355.9 (non 7), è da avvertire che un’unica eccezione occorre anche in V96, in ora 24.13, ricondotto a norma in V95, 152. Per il resto, in assenza di saldatura, anche il codice degli abbozzi ha sempre hora per il sostantivo, ora per l’avverbio e or per l’avverbio e il sostantivo47. O sservo da ultimo che mentre l’assenza dell’h in or – non solo nell’avverbio, come credeva il Mussafia, e quindi tanto più «per la forma», come lui stesso intuiva – s’inquadra nella fenomenologia di edra, la sua assenza nella forma intera dell’avverbio stabilisce un rapporto tra grafia e semantica di cui sarebbe interessante controllare la diffusione: noto per l’intanto che la distinzione manca senz’altro nell’autografo del Decameròn48. Q ualche reale incertezza sembra invece sussistere, documentata molto più dagli autografi che dal Malpaghini, per ‘uomo’. In V95 su 62 occ. complessive 54 presentano o meno l’iniziale etimologica secondo la norma, mentre le restanti, una sola di M, mancano dell’h- nonostante l’assenza d’una precedente saldatura. In V96, dove ‘uomo’ occorre solo in pagine scritte entro il 1360, il tasso d’irregolarità non è inferiore: 4 huom e 6 uom/ o in regolare alternanza, ma 3 vom/ o senza precedente saldatura49. Nel caso non soccorre neppure il 96 LIVIO PETRUCCI magistero del Mussafia, che prospettò per questa parola un’evoluzione non rettilinea negli usi del Petrarca (MUSSAFIA 400-401): ipotesi irricevibile, perché compromessa sia dall’imprecisa informazione sulla lettera del codice, sia dall’approssimazione delle nozioni d’allora sui tempi della scrittura autografa in V95. In M l’unica deroga occorre in 176.2 Onde uanno a gran rischio uominj et arme; in P le eccezioni riguardano i seguenti versi: 206.12 225.6 226.9 237.10 325.39 332.72 339.13 Cielo / (et) terra / vomini / (et) dei Al uello o(n)de oggi ogni uom uestir si uole Il so(n)no è uerame(n)te qual uomdice Che ta(n)ti affa(n)ni uom mai sotto laluna Masì come. vom talor che pia(n)ge Chogni vom attrista / (et) me po far sìlieto (Et) p(er) auer uom liocchi nel sol fissi / Certo, data l’interferenza grafico-semantica individuata per ‘ora’, si potrebbe osservare che nella maggior parte di questi casi uom ha spiccato valore impersonale, ma è anche vero che in contesti analoghi occorre viceversa la grafia etimologica (I’ come huom cherra 336.10, Quasi huom che teme morte 360.8), per non dire che il sintagma vomini (et) dei ricorre come Homini (et) dei in 239.19. Senza insistere su una questione di cui non m’è riuscito di venire a capo, concludo avvertendo che si dà una curiosa concomitanza che esclude di poter liquidare questi casi come fortuiti. R ichiamato il fatto che anche nella zona autografa è riconoscibile un solido nucleo di regolarità50, c’è infatti da notare che per ben tre volte (206.12, 325.39, 332.72) l’iniziale della parola è in forma di v, fatto davvero eccezionale perché altrove in V95 il Petrarca impiega v solo all’inizio di verso: l’uso di v all’interno del verso non può significare che la volontà d’una accurata segnalazione dell’inizio del gruppo grafico, volontà positivamente garantita dal caso di 325.39, dove l’espunzione, come., serve a evitare la fusione col successivo vom; è insomma proprio lo stesso espediente messo altre volte in opera per non perdere l’h iniziale. Tirando le somme, la causa prima dell’omissione dell’h-, in parole che altrimenti la comportano, è la “deformazione” grafica indotta dalla saldatura, comunque determinata, con la parola che precede.Va del resto ricordato che, almeno negli autografi di Giovanni Boccaccio, la “deformazione” da saldatura induce uno straniamento dal modello grafico latino che è anche più ampio, interessando, oltre l’h-, altre iniziali e anche lettere che iniziali non sono: vi si possono infatti cogliere alternanze del tipo «examinare ma lesamino [...], experiença ma lesperiençe [...], ymagine ma limagine, ymitare ma dimitarli, yndia ma dindia [...], admendare ma damendar, admonire ma damonirlo, advisare ma savisavano, vavisate» (CO R R ADINO 72). Il concetto di “deformazione” è poi da tenere in gran conto anche perché si presta ad estensioni tutt’altro che metaforiche: l’avverbio ora va privo dell’h- perché, come abbiamo letto in MUSSAFIA, dilungato LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 97 dalla voce latina a causa d’una «modificazione di significato», ch’è quanto dire a causa d’una “deformazione” semantica. 12.1 L’h di anchora (e di qualchun, ciaschun) Messi da parte i latinismi certi, anchore ‘àncore’M 80.34, choro M 93.6 e monarcha P 235.351, in V95 si contano 186 occorrenze di forme con ch + a, o, u; le elenco indicando per ogni forma il numero delle occorrenze in M e in P e rimandando alle Concordanze per i rinvii al testo: ancho M 9, P 1; anchor(a) M 70, P 32; anticha M 1, P 3; anticho M 4; barcha P 1; biancha M 2; biancho M 6, P 1; boscho M 2; carcha P 1; cerchand’ M 1; chui M 2; ciaschun M 1; faticha M 1; fiacchar M 1; fiancho M 4, P 1; frescha M 1; imbiancha M 1; ingiuncha M 1; mancha M 3, P 1; mancho M 2; Marroccho M 2; micha M 1; nevicha M 1; pocho M 1; qualchun/ a P 3; scioccho M 1; stancha M 4, P 1; stanchar P 1; stancho M 6, P 3; tocchai M 1; tocchar M 1; tocchò M 1; tronchon M 1; unquancho M 4; varcha P 1. Due circostanze devono colpire, l’altissimo numero di anchor, anchora, e il fatto che le sue occorrenze siano distribuite tra M e P nel fisiologico rapporto di due a uno, mentre le occorrenze delle restanti forme sono molto più frequenti in M che in P (66 contro 18). Ciò non significa peraltro che, tolto anchora, il Malpaghini ci abbia messo del suo; sempre astraendo da anchora (e dal choro cit. nella n. 51), V96 conta infatti ben 42 occ. di forme di questo tipo; le elenco ripartendole secondo le epoche documentali individuate nel § 1: (A) 8 occ. imbiancha 73.4; mancha 73.5, 73.8; mecho 54.14, 58.84; pocho 71.7; stancha 73.1; stancho 46.5; (B) 27 occ. amicho 63.79; ancho 74.18; anticho 59.1; archo 59.35; boscho 59.53; carcho 59.32; ciaschun 21.14; ciecho 60.22, 63.22; inuescha 59.43; mancha 59.26; manchar 74.55; manchò 19.14; mecho 60.21, 63.21, 63.59; mendicho 59.6; pudicho 59.7; rechandomi 63.51; schudo 59.60; stancha 58.124, 59.27; techo 63.12, 63.72; toccho 60.26, 63.26; uarcho 59.33; (C) 4 occ. ancho 10.4; anticha 15.8; biancho 14.9; fiancho 13.2; (D) 3 occ. affaticha 75.107; anticho 75.143; stancha 75.137. O ra, tenuto conto che le scritture di V96 hanno un’estensione inferiore al 40% di M (§ 1), è evidente che negli abbozzi il Petrarca ha impiegato questi ch non etimologici con una frequenza notevolmente più alta di quella riscontrabile in M. Siamo insomma di fronte alla situazione già vista nel § 10: un uso grafico che è spontaneo nelle scritture di servizio, che viene variamente arginato nelle “brutte copie definitive” girate al Malpaghini e poi, con più successo, nelle copie autografe in V95; anche qui, come lì, il sonetto L’aura amorosa, n° 13, ci permette del resto di cogliere il Petrarca all’opera nell’immediato passaggio dal fiancho dell’uso spontaneo al fianco della messa in forma sul libro (V95 197.2). Tutto ciò, però, non vale a proposito di anchora, che è frequentissimo in P non meno che in M: ce n’è abbastanza per occuparsene più a fondo. Incomincio col completare lo spoglio avvertendo che in V95 occorrono, accanto ai 102 anchor(a), soltanto 8 ancor, e anche questi ben distribuiti tra M (5) e P (3). 98 LIVIO PETRUCCI Dallo spoglio di V96 risulta che nel periodo documentale più antico, (A), è normale ancor(a), 6 occ., e minoritario anchor, 1 occ., mentre nei periodi successivi, non utilmente discriminabili per questo tratto, è viceversa normale anchor(a), 25 occ., e minoritario ancor, 3 occorrenze52. Dunque una prima acquisizione è che l’uso primitivo del Petrarca era ancora non anchora. Un secondo fatto interessante è che gli 11 ancor che si leggono in V95 e nelle pagine meno remote di V96 occorrono tutti dopo un che eliso: essi non saranno quindi rimasugli d’un uso antiquato, ma piuttosto apparizioni d’una “variante combinatoria” che doveva evitare la sequenza grafica chanchor, per qualche motivo sgradita al Petrarca. L’ipotesi parrebbe confermata da una duplice evenienza: nella documentazione autografa si colgono due soli chanchor (V96 75.97 e V95 352.4), mentre nell’intera documentazione, autografa e non autografa, a fronte di 12 ancho ‘anche’ occorre, autografo, un unico anco, e giustappunto nella sequenza chanco (V95 255.8)53. Insomma questo anchor(a), che si fissa solo dopo il ’38, e rimane poi assolutamente incontrastato fino alla fine, salve le combinazioni chancor, non ha evidentemente nulla a che spartire con l’uso delle altre forme con ch + a, o, u, presente fin dalle carte più antiche e poi decisamente declinante passando da V96 a M e a P. Ma perché il Petrarca scrive anchora con l’- h-? Perché le iniziali etimologiche possono «figurare in taluni composti (come inhonesti)», anche solo «facoltativamente (come in anchora)» (CO NTINI2 290; cfr. anche CO NTINI3 XXXVII). L’inattesa risposta, tralasciando l’incongruo richiamo a inhonesti (tutto latino seppur composto), è stata ripresa per due volte da Maurizio Vitale,«si ha l’inserzione dell’h etimologica di hora» (VITALE1 18) e, più prudentemente, «può essere inserimento dell’h etimologica di hora» (VITALE2 35); ma la spiegazione è irricevibile: sia per il fatto particolare che l’avverbio non prevede l’iniziale etimologica (MUSSAFIA), sia per il fatto generale (MUSSAFIA e PARO DI2) che l’eventuale h- dell’avverbio sarebbe stato comunque fognato nella saldatura con quanto precede. Le cose stanno naturalmente in tutt’altro modo perché, era già avvertito da tempo, «in anchor l’h, s’intende, spetta alla c [...] per ricordo della composizione anch’or» (MUSSAFIA 401, n. 81)54. Q uesta così ovvia e piana interpretazione spiega d’un colpo perché l’uso di anchora non subisca alcun declino fino all’ultimo, e perché possa essersi fissato solo dopo il ’38. Se non è infatti concepibile che solo a mezzo del cammino della vita il Petrarca si sia ricordato dell’h di hora, è invece del tutto plausibile che solo a quella altezza abbia deciso di passare da una scrizione sintetica a una scrizione analitica: perché di fatto, a ben vedere, in assenza d’apostrofo, anchora sta ad ancora esattamente come in dietro, in tanto e in vano stanno a indietro, intanto e invano. Benché li abbia lasciati finora confusi con i restanti casi di ch + a, o, u, anche gli autografi, in V95, qualchun 359.44 e qualchuna 332.53 corrispondono naturalmente a grafie analitiche, per non dir poi di qualchuna 121.8, che è in LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 99 grafia totalmente analitica, qual chuna: qualcuno non esiste, né in V95 né in V96. Normale è invece ciascun/ o/ a, 18 occ. in V95 e 4 in V96 (45.11, 74.8, 75.113 [anche in una variante]), a fronte dell’isolato ciaschun M 303.14, che non è però invenzione del Malpaghini perché trova corrispondenza nel relativo abbozzo (V96 21.14): la “sfortuna” di ciaschuno, cioè ciasch’uno, si spiega naturalmente con il fatto che la grafia analitica veniva ad isolare un primo componente che non sussiste nella lingua del Petrarca; direi però che quell’unica eccezione autografa (farla duplicare dal Malpaghini deve essere stata una distrazione) testimonia della decisa propensione del Nostro per le scrizioni analitiche. Un’ultima osservazione. Delle 186 occorrenze di ch + a, o, u che si leggono nell’ed. dei Rvf solo 80 occorrono effettivamente in V95, le restanti 106, quelle di anchora, qualchuno e ciaschuno, lì non esistono, corrispondendo, in termini moderni, ad anch’ora, qualch’uno, ciasch’uno. 13. Le preposiz ioni articolate con l scempia e doppia Nelle scritture fiorentine del Duecento, certo seguendo la pronuncia dell’epoca, «le preposizioni articolate hanno sempre l scempia» in posizione preconsonantica (de la Gina) e l «scempia o doppia» in posizione prevocalica («prevalentemente» scempia se la vocale è atona, de l’Arlotto, ma dell’asino); quando la pronuncia -[ll]- si estese a tutte le posizioni, il che avvenne presso «le generazioni nate dopo il 1280», la grafia registrò bensì quel mutamento, che possiamo perciò datare, ma in modo tutt’altro che sistematico: gli scriventi rimasero infatti ben spesso fedeli, per «tradizione», al tipo con una sola l, sicché pur pronunciando ormai [della 'kasa] potevano scrivere anche de la casa, e di conseguenza, pur avendo sempre pronunciato [dell 'asino], potevano anche scrivere de lasino (cfr. CASTELLANI1 130, CASTELLANI3 227 e CASTELLANI7 10-11). Q uesta è la premessa storica dell’assoluta predominanza del tipo de la (o dela, in grafia sintetica) sul tipo della nell’originale dei Rvf, predominanza che VITALE 143 spiega nel seguente modo: Per le preposizioni articolate, le forme analitiche (con la liquida scempia) sono nei RVF del tutto dominanti, sia davanti a parola cominciante per consonante (che era la regola nel Duecento) sia davanti a parola cominciante per vocale (dove si poteva avere la scempia o la doppia); esse erano quindi per lo più conformi alle condizioni tosco-fiorentine antiche, così come alla antica tradizione poetica. Le forme assimilate (con la liquida doppia in ogni caso), che erano delle abitudini fiorentine più recenti e presenti ormai nel linguaggio della poesia, appaiono in modo minoritario nel canzoniere, sia più facilmente davanti a iniziale vocalica sia più raramente davanti a iniziale consonantica (specie con la preposizione con). Per quanto si possa rimanere incerti sul merito dell’analisi, solo grafico o anche fonetico?, il senso generale non è equivocabile: l’assoluta dominanza delle forme con l scempia indicherebbe un Petrarca che, doppiata la modernità, si rifà senz’altro all’«antica tradizione poetica». La falsariga è un paradigma lette- 100 LIVIO PETRUCCI rario importante (cfr. le belle considerazioni di SANTAGATA1 30-34), ma del tutto improprio a condurre un discorso sulla dominanza del tipo de la nei Rvf. Per sostenere la tesi del Vitale non basta infatti che i mss. più remoti rechino con grandissima preferenza il tipo de la, sarebbe anche necessario indicare una serie di mss. di poesia, più prossimi all’età del Petrarca, in cui si desse una corposa prevalenza del tipo della, senza di che un «ritorno all’antico» (grafico o anche fonetico che lo si voglia intendere) semplicemente non sussiste55. A questo riguardo il Vitale resta però piuttosto sul vago (pur possedendo intorno agli usi grafici di autori e scuole poetiche informazioni tutte sue, imparzialmente desunte da autografi, copie di amanuensi e moderne edizioni)56; né mi pare che basti quanto scritto da Michele Barbi in rapporto alla lettera della sua capitale edizione della Vita nuova (il Vitale in verità non lo cita, ma sarebbe azzardato supporre che non lo abbia avuto presente): Q uanto all’articolo unito alle preposizioni, seguo la notazione scempia, perché essa è in gran prevalenza in K S M O [...]: ad adottare tale sistema mi conforta anche il fatto che lo scempiamento dell’articolo è della tradizione poetica (Caix 189, 191, 199) e assai comune nell’uso fiorentino più antico (Framm. del 1211, Capit. S. Gilio, Stat. Carmine ecc.), e che il raddoppiamento cresce per opera dei copisti quanto più si procede oltre nel sec. XIV (BAR BI CCXCVICCXCVII). In quella tradizione sarà senz’altro così, ma non è verosimile che il fatto abbia portata sistematica. Io non ho certo in pronto una mia ricognizione di mss. letterari, che va eseguita sui manufatti e non sulle edizioni, ma mi pare improbabile che la generalità dei copisti di tali mss. si dovesse caratterizzare, rispetto agli estensori di documenti pubblici e privati, per una più accentuata estraneità alle grafie con l scempia; ora avviene appunto che quei testi pratici, consultabili loro sì con qualche fondamento attraverso le edizioni, assicurino che a Firenze il tipo de la è stato ben diffuso anche nel pieno Trecento. Fra gli anni ’30 (ch’è il decennio delle più antiche carte di V96) e il 1374 si danno, nei limiti d’una mia inchiesta, sette testi, tutti posteriori al 1350, che registrano esclusivamente de la e ne la57: Statuto del Capitano del Popolo di Firenze. Rubrica concernente l’elez ione e imborsaz ione dell’Ufficio dei Priori, Gonfaloniere e loro N otaio (1352); Statuti delle Compagnie del popolo della città di Firenze e delle Leghe del Contado (1355); Statuto del Capitano del Popolo di Firenze. Rubrica concernente i divieti de’ Priori, Gonfaloniere, e loro N otaio (1355); Libro bianco dell’Arte della lana di Francesco di Iacopo Del Bene e di Stoldo di Lapo Stoldi (1355-71); Ordini della Scarsella de’ mercanti fiorentini per la corrispondenz a tra Firenze e Avignone (1357); Lettera di Coppo de’ Medici sulla riforma della miliz ia delle Leghe (1364); Istruz ioni ed ordini dati dalla Signoria di Firenze nel 1365; altri sette testi, quattro dei quali posteriori al ’55, registrano la prevalenza, a volte nettissima, della grafia antica (ad essi aggiungo i Libri dei Peruzzi, in miracoloso equilibrio tra i due tipi): LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 101 Capitoli della Compagnia della Madonna d’Orsammichele dell’anno 1333: 66 - l-, 49 - ll-; LibroVermiglio di Iacopo Girolami, Filippo Corbiz z i eTommaso Corbiz z i (1333-37): 294 - l-, 6 - ll-; Statuto della Parte Guelfa di Firenze compilato nel MCCCXXXV : 506 - l-, 54 - ll-; Libri di commercio dei Peruz z i (1335-46): 175 - l-, 175 - ll-; Ricordanze del Provveditore Cambino Signorini (1358-59): 14 - l-, 2 - ll-; Inventari degli argenti della camera dell’arme del Palagio del popolo di Firenze (1361-67): 9 - l-, 5 - ll-; Lettera di Michele di Ridolfo, Tomaso di s. Manetto e Matteo de Riccho, Consoli di Calimala residenti a Genova, ai Consoli dell’Arte di Calimala (1374): 3 - l-, 2 - ll-; Sentenz a del giudice del Tribunale della Mercanz ia di Firenze contro Landoz zo e Giovanni Lolli (1374): 14 - l-, 1 - ll-; il tipo con - l- è inoltre presente, minoritario, spesso fortemente minoritario, in altri undici testi: Libro verde segreto dell’asse C . [degli Alberti del Giudice] (1333-52): 67 - ll-, 7 - l-; Libro delle possessioni di Duccio e d’Alberto di Lapo [degli Alberti del Giudice] (1334-45): 28 - ll-, 3 - l-; Statuto dell’Arte di Calimala del 1334: 680 - ll-, 5 - l-; Libro giallo della compagnia dei Covoni (1336-40): 158 - ll-, 8 - l-; Inventario e bilancio di Settimo (1338): 6 - ll-, 3 - l-; Statuto dell’Arte di Calimala del 1339. Riforme e correz ioni (1341-53): 75 - ll-, 1 - l-; Quaderno dei creditori di Taddeo dell’Antella e compagni (1345): 24 - ll-, 4 - l-; Statuto dell’Arte di Por Santa Maria del 1335. Riforme e aggiunte (1352-61): 21 - ll-, 5 - l-; Parere di Benci di Cione architetto da Fiorenz a sopra il difetto di alcune colonne e volte nella fabbrica del Duomo nuovo (1356 ?): 2 -ll-, 1 -l-; Statuto dell’arte dei rigattieri e venditori di panni lini e lino di Firenze del 1357: 521 - ll-, 52 - l-; Disposiz ione di frate Alesso Stroz z i (1367): 3 - ll-, 1 - l-. La grafia moderna risulta viceversa incontrastata nei restanti ventitré testi che recano una delle forme cercate (cfr. la n. precedente): Istruz ione per trattare la condotta dei capitani Ugo di Melichin ed Ermanno de Vinden (1364); Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 1330; Statuto dell’Arte di Calimala del 1334. Riforme e correz ioni (1335-36); Statuto degli albergatori volgariz z ato (1338/ 70); Libro di commercio della compagnia de’ Pitti (1341); Libello presentato dai figli di Chierico Donati all’Arte della Lana (1344); Libro dell’asse de’ mali debitori [degli Alberti del Giudice] (1346-51); Libro di ricordanze di Bartolomeo di Caroccio [degli Alberti del Giudice] (1349-74); Ricordanze del Provveditore Filippo Marsili (1353-58); Capitoli della Compagnia dei Disciplinati della città di Firenze (1354); Statuto del Podestà di Firenze. Rubrica concernente l’elez ione e l’Ufficio del N otaro delle Riformagioni (1355); Statuto del podestà di Firenze del 1355; Ordinamenti contro alli soperchi ornamenti delle donne e soperchie spese de’ moglaz z i e de’ morti (1356); Scritta di ser Francesco Masi (1360); Attestato di N iccolò di Ghino Tornaquinci di un deposito di 100 fiorini d’oro (1360); Deliberaz ioni dei Capitani della Compagnia della Misericordia di Firenze riguardanti il testamento di N eri Boscoli (1363); Statuto dell’Arte dei vinattieri (ante 1364); Lettere scritte da vari Commissari alla Signoria nel 1364 intorno ai movimenti della Compagnia degli Inglesi; Ricordi circa una vicenda giudiz iaria (136465); Informaz ioni e lettere al Podestà di Firenze e agli ambasciatori fiorentini mandati a Samminiato (1367); Lettere del Comune di Firenze concernenti il ritorno della Santa Sede in Roma (1367); Documenti del trattato della Repubblica con Ugolino degli Ubaldini per l’acquisto del Caprile (1373); Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 137458. Non sfuggirà che questi spogli, oltre ad assicurare la vegeta sopravvivenza delle forme con l scempia in pieno Trecento, dicono pure che quelle grafie “tradizionali” non dovevano poi costituire un fenomeno residuale: i testi in cui de la e ne la risultano incontrastati o maggioritari appartengono infatti piuttosto alla seconda che alla prima metà del secolo. In altre parole, la preferenza per il tipo con - l-, quando si dia, parrebbe corrispondere, più che a un fatto inerziale, a una cultura grafica “paradigmatica” e “astratta” che non “deforma” gli ar- 102 LIVIO PETRUCCI ticoli raddoppiandone la l. Non mi pare affatto escluso, e considero anzi fortemente probabile, che un’apposita ricerca, valutando da vicino quelle scritture pratiche in relazione al loro grado di formalità e alle restanti abitudini dei loro estensori, possa concludere che il predominio del tipo con l scempia s’infittisca piuttosto nei piani alti che nei piani bassi della produzione di testi pratici: già ora del resto, sia pur sulla base d’un sondaggio magro e grossolano, i “documenti ufficiali” sembrano aver più spazio tra i testi in cui de la e ne la risultano incontrastati o maggioritari. Tornando a noi, l’idea d’un Petrarca che, in presenza di moderni modelli affollati dal tipo della, preferisce le grafie con la scempia perché «conformi [...] alla antica tradizione poetica» (VITALE) mi pare insomma del tutto insostenibile, e anche troppo conforme all’idea d’una «specificità poetica» del tipo de la: idea che s’è affermata solo molto più tardi, e appunto sull’esempio dei Rvf, con «i trattatisti» del Cinquecento (SER IANNI 135). In realtà la situazione di V95 è perfettamente inquadrabile, anche sotto questo rispetto, nelle più generali abitudini del Petrarca e del Malpaghini in fatto di divisione di parole; accanto all’alternanza tra i tipi della e de la bisognerà naturalmente considerare anche l’alternanza tra la scrizione analitica, de la, e la scrizione sintetica, dela (la quale ultima è apparentemente ignota al Vitale)59. Q uesti i dati dello spoglio (lv indica gli articoli la, lo, le; l’ indica l’articolo eliso, nel ms. saldato alla forma successiva; trascuro gli invarianti, § 5, nei quali la scempia è indotta dalla mancata saldatura della forma elisa, ma ripeto, per comodità, i dati relativi alle forme articolate, e assimilate, di con, già schedate nel § 10): MALPAGHINI a lv co lv co li da lv da li de lv fra lv fra li ne lv 69 16 1 23 1 73 7 1 22 su lv tra lv tra li 11 7 1 231 alv colv 7 7 a l’ 34 co l’ 3 al’ 19 col’ 3 dalv 2 da l’ 11 dal’ 4 dall’ 1 delv 5 de l’ 34 fra l’ 7 del’ 5 dell’ 1 nelv 3 ne l’ 7 nel’ 9 collv 12 all’ coll’ 3 4 nelli 1 su l’ 4 tra l’ 5 25 105 40 13 9 LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 103 PETR AR CA a lv 5 da lv 1 de lv de li 8 1 fra li ne lv 3 2 su lv su li 3 1 alv 34 ali 6 colv 7 dalv 6 dali 1 delv 22 deli 4 al’ alli de l’ 2 fra l’ 2 24 nelv 7 su l’ 3 87 32 tra l’ 1 8 dal’ 4 del’ 9 fral’ 1 nel’ 2 sul’ 1 49 1 dalli 1 delli 5 nelli 6 13 coll’ 1 dell’ 1 2 Le prime quattro colonne confermano la consueta maggior propensione del Petrarca per le saldature, che nel caso specifico, al contrario di ciò che avviene presso il Malpaghini, superano le scrizioni analitiche. Si noterà però che entrambe le mani convergono, pur in un quadro di comportamenti tanto diversi, nel saldare più volentieri i tipi elisi, e che sempre all’elisione sono legate le due uniche occorrenze saldate, ovviamente in P, di fra e su (che, con tra, non risultano per il resto mai saldati in V95); il fenomeno è naturalmente da spiegare col fatto che l’elisione, essendo un connettore (§ 4), indirizza verso una scrizione complessivamente sintetica delle combinazioni prep. + articolo. Q uesto medesimo fattore spiega in definitiva anche perché lungo l’intero ms. 11 delle 37 occ. con ll siano relative a forme elise (cfr. § 10; il fatto è già rilevato, senza numeri, nel referto del Vitale). Non sfuggirà inoltre che le forme non elise con ll ricorrono in due soli tipi, le preposizioni uscenti in - lli e il tipo collv (già avvisato da Vitale); mentre la presenza di collv è stata spiegata nel § 10, quella delle preposizioni uscenti in - lli va inquadrata in un discorso più ampio che devo rimandare al prossimo paragrafo. La possibilità di precisare l’eziologia delle forme con ll in V95 e l’intrecciarsi dei tipi de la e della nella documentazione pratica fiorentina del Trecento non lasciano dubbi sul fatto che la contropartita fonetica di scrizioni come de la, o dela, debba essere stata, per il Petrarca e per gli autori fiorentini e più generalmente toscani dell’età sua, senz’altro [della]. Decretato come forma più scelta e poetica nel Cinquecento, il tipo de la ha poi trovato larga e lunga accoglienza nella nostra tradizione letteraria, fino a Pascoli e D’Annunzio (DE RO BERTIS 279-80); s’intende bene che in un così protratto corso di tempo e in una tradizione a rigida “vocazione scritta” (perché sovraordinata alla varietà delle pronunce locali) il carattere convenzionale di quella grafia possa essere 104 LIVIO PETRUCCI più o meno largamente sfuggito a lettori ed autori. Credo meriti l’aneddoto un tardissimo riflesso letterario di quell’equivoco: «Lui dice: Fresche le mie parole ne la sera... ». «Dice proprio: ne la? Non piú nella?». «Ne la, ne la! Lo senti che è piú dolce?». «Sì, è proprio piú dolce: ne la. Seguita dunque!»60. Va peraltro riconosciuto che, a dispetto degli accertamenti del Castellani, quell’equivoco continua a proiettarsi retrospettivamente sullo studio dei nostri massimi autori. Nel medesimo anno, 1996, in cui appariva il libro petrarchesco di Maurizio Vitale, con quella sua analisi anodinamente sospesa tra suono e grafia, apparvero pure l’edizione della Vita nuova curata da Guglielmo Gorni e lo stimolante articolo di Domenico De R obertis, già più volte richiamato. Mentre nella nota al testo il primo scriveva: Il presupposto di voler delegare alla sola pronuncia la realizzazione del raddoppiamento in scritture quali de la, a la e simili è smentito dall’esperienza di ogni giorno, con poche eccezioni. Anzi si può credere che una rappresentazione grafica come questa induca di fatto in errore anche lettori colti (GO R NI 291) il secondo, non parteggiando le medesime certezze, iniziava le sue argomentazioni chiedendosi, proprio in relazione a Petrarca, «se insomma [...] le scrizioni scempie [anche ma non solo nelle preposiz ioni articolate] non stiano alla fine per pronuncie doppie» (DE RO BERTIS 270). O ggi, alla luce di CASTELLANI7 (che attribuisce le pronunce del tipo [della] in posizione preconsonantica alle «generazioni nate dopo il 1280», p. 11), la sicurezza di Gorni in ordine al valore fonetico di de la nella Vita nuova deve apparire senz’altro eccessiva. Ma un po’ eccessiva quella sicurezza era anche allora, nel ’96, quando già valeva, e da tempo, il disposto combinato di CASTELLANI1 (che aveva fissato la durata delle pronunce del tipo [dela] in posizione preconsonantica «fin verso la fine del sec. XIII», p. 130) e di PARO DI1 (p. 238) che aveva attirato l’attenzione sulle preposizioni articolate in rima di Purg. XVII 55 e di Par. XI 13: Q uesto è divino spirito, che ne la via da ir sù ne drizza sanza prego, e col suo lume sé medesmo cela. Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s’era, fermossi, come a candellier candelo. Dei risultati di Castellani Gorni non fa parola, mentre delle rime citate da Parodi scrive così: «è un esempio che [...] sarebbe difficile promuovere da artificiosa eccezione, o licenza di rima, a regola valida perfino per la prosa» (GO R NI 291): non più difficile, e rischioso, per la verità, che rubricare senz’altro come LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 105 «artificiosa eccezione» o «licenza di rima» un fatto fonetico più che indiziato d’essere stato del tutto normale presso gli scriventi fiorentini della generazione di Dante, e delle precedenti, e dunque della gran maggioranza tra quanti scrissero a Firenze finché Dante vi stette. Fatto si è che gli ultimissimi risultati semplicemente smentiscono le certezze del Gorni, più sicuro del proprio gusto che dello studio della storia61; avviene infatti che la mano di colui che Gianfranco Contini ha battezzato l’«amico di Dante» rispecchi in tutto e per tutto le condizioni fonetiche indicate da Castellani per il fiorentino duecentesco, sempre l scempia in posizione preconsonantica e avanti vocale atona, ma ll nelle due occorrenze avanti vocale tonica, nell’atto e all’atto (il bell’accertamento è in LAR SO N 95), né mancano altri documenti, di genere letterario e non letterario, che dimostrano che «la regola era ancora pienamente in vigore presso le generazioni nate intorno al 1265» (CASTELLANI7 11). Naturalmente anche il dubbio di Domenico De R obertis circa la contropartita fonetica delle scrizioni scempie di Francesco Petrarca scontava una sostanziale estraneità rispetto alle ricerche di Castellani; ma il maestro di filologia e di poesia antica (e non solo antica) suppliva a quell’estraneità da par suo, cogliendo a colpo sicuro l’importanza e il significato di un all’esca allignante tra le lezioni poi rifiutate di V96 11 (DE RO BERTIS 270-71), cioè di uno di quei “sonetti dell’aura” la cui complessiva crucialità (anche nella modesta prospettiva d’uno studio degli usi scrittorii) abbiamo già sperimentato nei §§ 10 e 12.1. 14. L’articolo li (e l’aggettivo belli) in posiz ione prevocalica L’articolo masch. plur. prevocalico, solo o combinato con una preposizione, si presenta in entrambi i mss. nelle forme gl(i) e l(i): ne fornisco di seguito lo spoglio, segnalando le grafie elise. I casi del tipo glinvescati e linganni comportano l’ineliminabile esigenza editoriale di scegliere tra elisione e aferesi; la medesima esigenza risulta estranea, e sarebbe pregiudicante nell’esame grafico-linguistico del ms., nel quale si curerà piuttosto di tener separato quel tipo di situazioni sia dai casi in cui l’articolo è senz’altro graficamente intero (gliocchi, liocchi) sia dai casi in cui è senz’altro graficamente eliso (glidoli, litalici)62. Le occorrenze di V96 sono distribuite secondo i periodi documentali individuati nel § 1: V95: gl(i) 201 occ. in M (gl in glidoli 137.9 e glinvescati 142.29) e 5 in P; li 2 occ. in M (l in nel italici 128.96) e 65 in P (l in alinfiniti 355.11 e linganni 357.5, 360.105)63. V96: (A) gli 17 occ.; (B) gl(i) 29 occ. (gl in eglelementi 26.1, con saldatura della cong., e glinfiammati 67.2), l 1 occ. (linfiammati 68.3); (C) gli 6 occ., li 3 occ.; (D) gl(i) 3 occ. (gl in glelementi 75.56, in due redazioni del verso), li 4 occorrenze. N.B. glinfiammati e linfiammati ricorrono rispettivamente nel primo e nel secondo abbozzo della dispersa Amor, che ’n cielo, entrambi scritti sulla medesima pagina (c. 14v) a distanza di due giorni l’uno dall’altro (30 dic. 1349 - 1° gen. 1350)64. 106 LIVIO PETRUCCI La sostanza di questo spoglio non è cosa nuova: l’ha individuata e interpretata oltre cent’anni fa Adolfo Mussafia. A proposito di V95, dopo aver concesso che, «a primo vedere, sembra che il Petrarca [...] ondeggi indeciso fra gli e li», il Mussafia avvertiva «che va fatta distinzione» tra le due mani, e quantificava precisamente la disegualissima distribuzione delle due forme tra parte autografa e parte del copista; a proposito del codice degli abbozzi osservava invece che «nella IIIa strofa di Standomi, scritta appena del ’68, già il [V96] ha dellarbor ([V95] delli arb. ), mentre in altri componimenti di [V96] scritti in età anteriore, troviamo che in questo codice il Petr. usò gli», e ne concludeva che il Petrarca «stimò da preferirsi li» a gli «in età avanzata» (MUSSAFIA 402-3)65. Q ueste importanti osservazioni hanno goduto d’una singolare sfortuna: neppur menzionate per oltre ottant’anni (a parte un cenno in APPEL2 176), non sono arrivate ad incidere sul corso degli studi neanche dopo essere state rimesse in circolazione dalla meritoria raccolta di lavori del Mussafia qui utilizzata: Maurizio Vitale le ha bensì richiamate un paio di volte, ma sempre occultando, a sé e ai suoi lettori, la macroscopica divergenza tra M e P (VITALE1 29 n. 83; VITALE2 142 n. 10); tant’è che il suo ultimo referto non si discosta in nulla, a parte l’ascrizione di li alla «tradizione lirica», da quanto, secondo Mussafia, può risultare solo «a primo vedere»: Davanti a iniziale vocalica è spesso usata nei RVF la forma li, che era la forma della tradizione lirica, in oscillazione con la dominante forma tosco-fiorentina gli (VITALE2 142); neanche l’ipotesi che il Petrarca sia passato al tipo li «in età avanzata» ha trovato un po’ di grazia; anzi il Vitale fa dire al Mussafia esattamente il contrario: Il Mussafia [...] ha mostrato [...] che la forma con la palatale gli rientrava nelle abitudini del poeta agli inizi della sua attività poetica (VITALE2 142 n. 10). Le considerazioni di Mussafia meritano invece di essere riprese nella loro autenticità e nella loro interezza e di essere verificate sulla strumentazione oggi disponibile. Gli esempi più antichi di li prevocalico non eliso reperibili nel codice degli abbozzi risalgono effettivamente al 1368: al periodo maggio-ottobre delli arbor e li occhi (15.3 e 13) e precisamente al 19 ottobre li affanni (69.10), che, scritto in interlinea e preceduto da una g depennata, è parte d’una serie d’interventi operati, appunto quel giorno, sulla copia, vecchia di trent’anni, della canzone Ben mi credea (PAO LINO 95-96 e 135-36); in V95 le prime attestazioni autografe di li (179.5, 197.14, 321.14) sono appena anteriori, aprile-maggio ’68, o, al più presto, aprile ’67-maggio ’68 (WILKINS 144). Insomma parrebbe proprio che il Mussafia abbia colto nel segno ipotizzando che il Petrarca sia passato a li solo «in età avanzata», a 63 o 64 anni. C’è per la verità, in V96, quel linfiammati dalla seconda redazione della ballata Amor, che ’n cielo, esplicitamente datata al primo giorno del 1350, ma il caso è evidentemente LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 107 molto particolare, e ci torneremo; qui basterà osservare che quell’occorrenza non può costituire un sintomo di svolta, non solo in vista della costanza di gl(i), 18 occ., nel successivo decennio che completa il periodo (B)66, ma anche, e soprattutto, in vista dei 201 gl(i) di M.Va qui infatti richiamata la considerazione di metodo già presa in prestito, nel § 10, da Domenico De R obertis: quegli gli, non essendo imputabili alla lingua del copista ravennate, devono necessariamente supporsi tutti già presenti nei quattro “blocchi” di autografi “pronti per la trascrizione” che furono girati al Malpaghini, tra l’autunno del ’66 e la primavera del ’67 (§ 1); e mai il Petrarca si preoccupò di eliminarne uno, o forse uno solo e proprio all’ultimo minuto, ammesso che significhi qualcosa il fatto che l’unico li non eliso di M cade appunto nell’ultimo componimento di mano del copista, Li alti 318.10 (ne l’italici, 128.96, che ricorre invece nel primo “blocco” di copia, conferma nel sospetto che li eliso avanti [i] costituisca una questione a sé stante). Benché il Mussafia non se ne sia occupato, la distribuzione di begli e belli torna ad eccellente conferma della sua ipotesi sull’epoca dell’adozione di li da parte del Petrarca; prendendo in considerazione le occorrenze prevocaliche e immediatamente avanti il determinato, abbiamo infatti (come in parte già risulta dal § 4): V95: begli 39 occ. in M e nessuna in P; belli 3 occ. in M (in un caso avanti h-, §§ 4 e 12) e 19 in P. V96: (A) begli 2 occ. (46.13, 71.14); (B) begli 8 occ. (16.7, 20.14, 28.9, 35.13, 36.4, 59.16, 64.5, 67.6); (C) begli 2 occ. (7.14, 8.14), belli 2 occ. (10.14 e 13.5); mancano occorrenze per (D). Dunque, in notevole e non sorprendente accordo con gli, la forma begli risulta incontrastata negli abbozzi delle epoche (A) e (B), del tutto maggioritaria in M, completamente bandita da P, ma ancora in uso negli abbozzi di (C). Q uest’ultimo punto è del massimo interesse: dopo la tarda “conversione” a li e belli il Petrarca s’è certamente impegnato ad osservare l’uso delle nuove forme sulle pergamene di V95, ma non già sui fogli di carta impiegati per gli abbozzi. Q ui gli ricorre, tutt’altro che episodico, ancora nell’estrema scrittura del Triumphus Eternitatis, e resta addirittura maggioritario nei testi del periodo (C), cioè sulle due prime, crucialissime carte di V96 (§ 10), tant’è che l’ultimo verso del sonetto n° 13, reca un Ma gli occhi, puntualmente modificato in Ma li occhi nel passaggio in V95 197: ancora una volta insomma, come già al § 10 (per lo scempiamento dallunge > dalunge) e al § 12.1 (per l’eliminazione dell’h di fiancho) i “sonetti dell’aura” ci permettono di cogliere, in sicura sincronia, la diversa attenzione prestata dal Petrarca a questo ordine di problemi nella scrittura privata e nella messa in forma sul libro. Identico significato ha il begli di (C), che compare due volte nello spoglio perché parte del sestetto appiccato prima alle quartine di Sì come eterna vita (dove risulta cancellato), e quindi, sulla stes- 108 LIVIO PETRUCCI sa pagina, alle quartine di Stiamo, Amor, a veder; il quale Stiamo, Amor, a veder è poi entrato per mano del Petrarca in V95, al n° 192, dove naturalmente non si legge più begli ma belli. Domenico De R obertis ha osservato che ai vv. 1, Il cantar novo e ’l pianger delli augelli, e 7, destami al suon delli amorosi balli, dell’autografo V95 219, delli, in luogo di degli, è «probabilmente in funzione di esplicito “retentissement”» (DE RO BERTIS 272). La notazione, accattivante ma improponibile, si spiega con la lunga eclisse degli accertamenti del Mussafia dal panorama degli studi; in realtà, come abbiamo appena visto, degli e delli non risalgono affatto ad una medesima sincronia delle vedute scrittorie petrarchesche: all’altezza delle copie autografe in V95, e più precisamente all’atto di scrivere in quel ms., delli risponde oramai, per lui Petrarca, a una scelta sistematica, e non può dunque essere imputato, da noi moderni, ad esigenze stilistiche puntuali (come sarebbe in astratto proponibile per i cinque gli autografi). Il sospetto di De R obertis solleva però anche una questione diversa, e non di chiusa “filologia petrarchesca”. L’ipotesi che in quei versi delli compaia per un «retentissement» con augelli e balli implica naturalmente che alli, dalli, delli e nelli in posizione prevocalica vadano letti come richiede l’ortografia corrente: il presupposto è tanto pacifico da passare inosservato, ma è poi altrettanto sicuro? o non sarà forse che avanti a vocale alli, dalli, delli, nelli vadano letti come se fossero scritti agli, dagli, degli, negli? Il dubbio, che allo stato delle nostre convenzioni di lettura dei testi antichi può apparire provocatorio, non mi pare in effetti manifestamente infondato e sarà tanto più legittimo discuterlo se è vero, come è vero, il parere dello stesso De R obertis (già richiamato nel § 10) secondo cui il rapporto tra grafia e pronuncia nei testi antichi è tutto ancora da esplorare. La discussione deve riguardare in primo luogo, come nel caso dei tipi dela e della del paragrafo precedente, le scritture pratiche. Lasciando per ora da parte le occorrenze avanti parola iniziante per [i], il tipo (l)gl(i) dell’articolo, da solo o in combinazione con preposizione, è così largamente testimoniato nei testi pratici fiorentini (c.a 1550 occ. tra il 1211 e il 1374)67 da non richiedere particolari illustrazioni68; nelle medesime condizioni e nel medesimo periodo di tempo il tipo (l)li, da solo o in combinazione con preposizione, risulta senz’altro minoritario (426 occ.) ma pure presente in un numero relativamente ampio di documenti. Per quanto son riuscito a vedere, otto testi recano esclusivamente li: Primo libricciolo di crediti di Bene Bencivenni (1262-75, [2 occ.]); Secondo libricciolo di crediti di Bene Bencivenni (1277-96, [23 occ.]); Ricordanze di Santa Maria di Cafaggio (1295-1332, [1 occ.]); Libro del dare e dell’avere dei figli di Stefano Soderini (1306-25, [13 occ.]); Ricordanze di Guido Filippi dell’Antella (1299-1312 [1 occ.]); Libro Vermiglio di Iacopo Girolami, Filippo Corbiz z i e Tommaso Corbiz z i (1333-37, [73 occ.]); Quietanz a di frate Ghisello sindaco del Convento di San Miniato (1354, LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 109 [1 occ.]); Sentenz a del giudice del Tribunale della Mercanz ia di Firenze contro Landoz zo e Giovanni Lolli (1374, [3 occ.]); nove recano li in modo maggioritario: Libro della Parte del Guelfo di Firenze (1276-79, [2 li, 1 gli]); Capitoli della Compagnia della Madonna d’Orsammichele (1294-97, [16 li, 9 gli]); Statuto della Parte Guelfa di Firenze compilato nel MCCCXXXV (55 li, 1 gli); Libri di commercio dei Peruz z i (1335-46, [13 li, 5 gli]); Statuto del podestà di Firenze del 1355 (9 li, 1 gli); Statuto del Podestà di Firenze. Rubrica concernente l’elez ione e l’Ufficio del N otaro delle Riformagioni (1355, [3 li, 1 gli]); Ordinamenti contro alli soperchi ornamenti delle donne e soperchie spese de’ moglaz z i e de’ morti (1356, [11 li, 3 gli]); Statuto dell’arte dei rigattieri e venditori di panni lini e lino di Firenze (1357, [90 li, 4 gli]); Lettera di Coppo de’ Medici sulla riforma della miliz ia delle Leghe (1364, [2 li, 1 gli]); e ventuno recano li in modo minoritario, spesso decisamente minoritario69. Come è noto, la lingua antica aveva notevole libertà nell’alternare tipi fono-morfologici diversi dell’articolo m. pl. in posizione preconsonantica (RO HLFS § 414; MIGLIO R INI 159, 226); nei nostri testi documentari si danno, ad es.: per li panni de’ fanciulli e per gli panni de la Bicie; tutti i panni e tutti li panni; per li quali e per gli quali; dell’anima li quali sacramenti e detta Parte gli quali per lo tempo; ecc.70. La questione che si pone, tenendo sempre da parte le occorrenze avanti [i], è dunque questa: se anche in posizione prevocalica le scrizioni li e gli rappresentino tipi fono-morfologici distinti, [li] e [ʎ], ovvero se si tratti di tipi grafici diversi che rappresentano il medesimo tipo fono-morfologico palatalizzato [ʎ]. A me pare che più considerazioni debbano convincere della seconda ipotesi. La prima considerazione è che sotto il profilo fonetico la libera alternanza [li]/ [ʎ] in posizione prevocalica sarebbe cosa sostanzialmente diversa dall’analoga alternanza [li]/ [ʎi] in posizione preconsonantica: mentre quest’ultima è pienamente compatibile con la fonetica fiorentina, la prima significherebbe la sottrazione a un fenomeno di palatalizzazione (o la regressione da un fenomeno di palatalizzazione) che pare fondamentale in quel sistema, e che comunque precede la documentazione disponibile: nel testo più antico, il Libro di conti di banchieri fiorentini del 1211, ricorre solo, e per due volte, degli Aquerelli. La seconda considerazione è che nei testi fiorentini del Duecento l’uso della grafia (l)li (+ voc.) per [ʎ], non solo nella scrizione dell’articolo ma anche all’interno di parola, è stato da tempo e pacificamente riconosciuto (SCHIAFFINI 266-67; CASTELLANI4 39); sarebbe perciò casomai da spiegare, e non mi pare sia stato fatto, perché nelle scritture posteriori quella medesima grafia debba ritenersi adibita a rappresentare una diversa pronuncia, spiegazione tanto più urgente in quanto il fatto riguarderebbe poi solo la scrizione dell’articolo: all’interno di parola l’uso di (l)li (+ voc.) per [ʎ] è infatti documentabile a Firenze almeno lungo tutta la prima metà del Trecento71. La terza considerazione riguarda un fatto macroscopico, comune alle scritture dell’uno e dell’altro seco- 110 LIVIO PETRUCCI lo e sotto gli occhi d’ogni lettore di testi fiorentini (e non solo di quelli pratici): l’articolo li non si elide; un certo gusto paradigmatico per la “scriptio plena” induce, beninteso, moltissimi casi del tipo la Università, lo avello, le offerte ecc., ma in una marea di corrispondenti forme elise, laddove l’elisione di li risulta per l’appunto sostanzialmente esclusa. Nell’insieme di testi esaminati non ho trovato che nove occorrenze di questo l’, e mai più di una per testo, nulla insomma che ecceda la fisiologica presenza di “scorsi di penna” (a questo proposito va anche notato che quattro di quei nove testi, il Libro di Gentile de’ Sassetti, il Registro di Santa Maria, il Liber mercatorum e gli Inventari degli argenti, non recano mai la forma intera li): l’atri (Libro del dare e dell’avere di Gentile de’ Sassetti e suoi figli, 1274-1310); l’atri (Secondo libricciolo di crediti di Bene Bencivenni, 1277-96); l’usci (Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio, 1286-90); l’Uberti (Ricordanze di Guido Filippi dell’Antella, 1299-1312)72; nell’atti (Liber mercatorum de fFriscobaldis, 1311-13); l’ufficiali (Statuto della Parte Guelfa di Firenze compilato nel MCCCXXXV ); l’altri (Libri di commercio dei Peruz z i, 1335-46); l’asiguitori (Libro Vermiglio di Iacopo Girolami, Filippo Corbiz z i e Tommaso Corbiz z i, 1333-37); l’arienti (Inventari degli argenti della camera dell’arme del Palagio del popolo di Firenze, 1361-67). Una così recisa renitenza alla rappresentazione grafica dell’elisione sarebbe di non facile giustificazione se li stesse per [li], ma diviene del tutto pacifica ammettendo che li stia per [ʎ], perché in questo caso la i costituirebbe un segno diacritico non opportunamente eliminabile73. Q uest’ultima considerazione a me pare risolutiva, ma anche le precedenti non sono di poco peso; la prima impone, a chi voglia sostenere il valore [li] di li prevocalico, l’onere di teorizzare la convivenza di forme palatalizzate e non palatalizzate (o depalatalizzate), mentre la seconda dissolve la differenza (tacitamente) presunta tra abitudini scrittorie duecentesche e abitudini scrittorie trecentesche: c’è, è vero, che l’uso di (l)li (+ voc.) per [ʎ] pare mantenersi più a lungo nella scrizione dell’articolo che nella scrizione di sillabe interne alla parola, ma il fatto sarà da spiegare (nell’ambito della fortuna degli invarianti grafici, § 5) con il sostegno offerto dalla forma [li] dell’articolo preconsonantico; non è forse un caso che in alcuni testi li prevocalico pare favorito dall’essere preceduto da per, cioè dal trovarsi nella posizione in cui era più universalmente comune l’uso dell’articolo forte, e dunque di [li] preconsonantico74. Molto diversi i dati relativi all’art. precedente parole inizianti per [i].Va in primo luogo avvertito che, messa da parte la questione, connessa ma scorporabile, dell’articolo avanti [s] + cons. (e dunque situazioni come gl’istrumenti / gli strumenti o dell’isconti / delli sconti), i casi incontrati, 97, riguardano solo parole inizianti per [in]-, [im]-, con la nasale generalmente seguita da altra consonante (i termini sono in tutto tredici: imborsamenti, infamati, Infanghati, infermi, infrascripti / infrascritti, inganni, inghilesi, iniqui, innocenti, imponitori, insegnatori, interra- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 111 ghatori, invitatori); ho considerato l’articolo eliso tutte le volte che i mss. presentano, per quel che risulta dalle edizioni, una sola i all’incontro tra articolo e nome (l’infrascritti e gl’infermi come ali ’nfrascritti e gli ’nfermi), e come intero negli altri casi (degli infrascripti, li imponitori). Ciò premesso, in questa non frequentissima congiuntura il tipo l(i), pur rimanendo minoritario (34 occ.), aumenta in modo non trascurabile la propria incidenza percentuale (da circa il 22 al 35 %); la seconda e capitale differenza è che l’elisione, lungi dall’essere come nel caso delle restanti vocali del tutto accidentale, risulta qui nettamente preponderante (23 occ. su 34)75. Il duplice fatto dell’incremento di li su gli, e della preponderanza di l su li spinge naturalmente a credere che la palatalizzazione dell’articolo avanti parole inizianti per [i] non fosse stabile. L’ipotesi si connette con l’idea che da un incontro di [li] con [i], mettiamo [li i'talitʃi], ci si debba attendere [li'talitʃi], non [ʎi'taliʃi], e che di conseguenza [ʎi'talitʃi] dipenda da analogia sulla forma delle restanti occorrenze prevocaliche, [ʎa'mori], [ʎ'enti], [ʎ'ɔri], [ʎ'unitʃi], regolarmente sviluppatasi nell’incontro di [i] con vocale di timbro diverso76. È possibile che l’instabile palatalizzazione dell’art. m. pl. avanti [i] corrisponda all’inerte conservazione d’un uso anteriore all’estensione analogica di [ʎ]? Non lo credo, e non mi pare che il quadro delle attestazioni autorizzi a crederlo; ritengo anzi probabile che l’estensione analogica di [ʎ] preceda la documentazione disponibile. L’instabilità della palatalizzazione avanti ad [i] mi pare invece dinamicamente sostenuta da due fattori attuali, che agiscono sul presupposto d’un paradigma che possiede ancora un articolo [li] preconsonantico: per un verso, nel caso delle forme più dotte, p. es. italici, e quindi non associate a un determinato articolo nell’uso corrente, valeva la tendenza “fonetica” a risolvere con l’elisione l’incontro dell’articolo [li] con parola iniziante per [i] (è quello che sembra risultare da una sommaria inchiesta)77; per altro verso, la fortissima incidenza di parole inizianti per [i]- + nasale + altra cons. nel lessico meno raro favoriva l’esito non palatalizzato perché l’incombente equivoco tra aferesi ed elisione doveva in qualche modo contenere la pressione analogica di [ʎ] prevocalico78. In definitiva concluderei l’ispezione dei testi pratici fiorentini a questo modo. Innanzi ad [a], [e], [o], [u], la forma dell’art. m. plur. era [ʎ], rappresentata, eventualmente anche presso la medesima mano, tanto da (l)gl(i) quanto, minoritariamente, da (l)li: le rarissime occorrenze di l sono da ritenersi accidentali. Anche innanzi ad [i] l’articolo era in linea di massima [ʎ], come garantisce la perdurante maggioranza delle grafie gl(i); è però d’altra parte necessario supporre la concorrenza d’una forma non palatalizzata [li], tanto in forza del relativo infittirsi del tipo li, quanto, e soprattutto, per la notevole diffusione della grafia elisa l. Insomma li anni valeva senz’altro [ʎ'anni], ma li infrascritti, senza escludere al tutto un corrispettivo fonetico [ʎinfras'kritti], doveva valere piut- 112 LIVIO PETRUCCI tosto [linfras'kritti]; e senz’altro [linfras'kritti], non [ʎinfras'kritti], doveva essere il corrispettivo fonetico di l’infrascritti. Le conclusioni cui siamo giunti circa il vario valore da attribuire alla grafia li dell’articolo prevocalico rendono ragione di certi disallineamenti riscontrati sia negli spogli di questo paragrafo sia in spogli precedenti. L’ipotesi d’una instabile palatalizzazione dell’art. m. pl. avanti a [i] dà pienamente conto del fatto che glinfiammati di V96 67.2 possa essere diventato linfiammati due giorni più tardi (V96 68.3), così come giustifica il fatto che quello stesso linfiammati (con articolo non palatalizzato) preceda di molto e isolatamente la grafia li per l’articolo (palatalizzato) avanti vocale diversa da [i]; lo stesso vale per ne l’italici (M 128.96), che ricorre isolatissimo nella prima “tranche” del lavoro del Malpaghini. Passando alla frequenza delle saldature, se li + voc. diversa da [i] vale [ʎ] è allora comprensibile che anche in quella forma l’articolo, pur non essendo un connettore (perché non registra graficamente la “deformazione” fonosintattica), presenti una percentuale di saldature altissima (rango 13 nella tabella di P) e di fatto assai prossima alla percentuale di saldature della forma gli, questo sì un connettore, presso il Malpaghini (rango 14 nella tabella di M); in altre parole, a fronte d’un dettato interiore [ʎ'ɔkki], il Petrarca scrive liocchi (p. es. 179.5) perché adotta la grafia li ma al contempo non dismette la saldatura obbligatoriamente praticata nei rari casi in cui egli stesso impiega, in V95, l’articolo gli prevocalico (P rango 4). Da questa particolare esposizione di li alla saldatura consegue pure la soluzione del problema (rimasto inevaso nel § 13) relativo al fatto che in P le preposizioni articolate “intere” presentino - ll- solo, e per 13 volte, al maschile plurale: in realtà quegli alli, dalli, delli e nelli prevocalici, rappresentando [aʎʎ], [daʎʎ], [deʎʎ] e [neʎʎ], sono forme “intere” solo nella superficiale dimensione della grafia ed hanno quindi la medesima forza delle forme elise nell’indurre la grafia - ll-. A questo proposito, visto che i manuali di metrica appongono comunemente il segno di sinalefe all’incontro di gli, art. o pron., con una vocale successiva (p. es. gliˆocchi), non sarà inopportuno precisare, per quanto riguarda il Nostro, che quando il Petrarca scrive glianni 254.14 o gliocchi 192.7, ma anche glio ‘gli ho’ 219.12, la i che segue gl è un mero segno diacritico (MUSSAFIA 389); quelle grafie stanno insomma per [ʎ'anni], [ʎ'ɔkki], [ʎ'ɔ], non per [ʎi 'anni], [ʎi 'ɔkki], [ʎi 'ɔ], e non c’è quindi modo né di supporre sinalefe né, eventualmente e allo stesso titolo, di supporre dialefe79: il fatto, più che probabile presso la generalità degli antichi scriventi toscani, è provato nel caso del Petrarca dalla costante assenza della i avanti parola iniziante per [e]: in V95, dove l’articolo gli è rarissimo, se ne danno solo due esempi relativi al pronome (ridotto a gli nell’ed.), glempie 210.10 e glempia 363.8; in V96 si danno i già citati glelementi 26.1, 75.56 (ripetuto in due reda- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 113 zioni distinte del verso) e il notevolissimo gli. esce 56.3, dove la i risulta scritta e contestualmente espunta. (Naturalmente l’assenza di i avanti ad [e] significa che avanti alle restanti vocali ha valore solo diacritico)80. R iguardo a belli e begli la documentazione pratica fiorentina esaminata non fornisce neanche un esempio prevocalico immediatamente anteposto al determinato, e tuttavia, la solidarietà linguistica di gli e begli, ancor oggi ben presente alla coscienza dei parlanti, e la precisa sincronia della comparsa di li e belli prevocalici negli autografi petrarcheschi suggerisce risolutamente che anche belli + voc. rappresenti in effetti ['beʎʎ] + voc.; del resto si noterà che le saldature grafiche di belli alla parola successiva (rango 20 nella tabella P) sono piuttosto congruenti con i dati relativi all’articolo (rango 13), certo in ragione del soggiacente ['beʎʎ]: è bensì vero che la percentuale di saldatura dell’aggettivo risulta notevolmente più bassa di quella dell’articolo, ma si tratta pur sempre, tolte le preposizioni articolate, e le scrizioni sintetiche (che obbediscono ad altre logiche, § 7), del bisillabo più frequentemente saldato in P81. Al di là della soluzione offerta a questioni più “tecniche”, è d’altra parte evidente che l’ipotesi che li avanti vocale diversa da [i] corrisponda a una rappresentazione grafica dell’articolo [ʎ], e non a un diverso tipo fono-morfologico [li], rende senz’altro più plausibile la tarda adozione che ne fece il Petrarca. Che il Nostro sia stato uomo capace di consumarsi fino all’ultimo anche sui dettagli formali del proprio lavoro è un dato di fatto, e da esso consegue tra l’altro la plausibilità che a lui, già ultrasessantenne, s’affacciasse l’idea di quella grafia li, tanto accomodata al suo ideale d’un sistema grafico sciolto dagli accidenti della concatenazione fonetica reale (§ 4); ch’egli potesse però indursi a mutare nella sostanza fonica un elemento grammaticale così comune e fondamentale come l’articolo pare davvero piuttosto inverosimile; escluderei del pari che il Petrarca abbia potuto decidere di dismettere, nel 1366/ 68, la pronuncia d’una vita del suo tanto fondamentale begli occhi per sostituirlo con un artificioso belli occhi (['belli 'ɔkki], [bel'ljɔkki]?): voler intendere che li e belli vadano letti secondo le attuali norme ortografiche significherebbe ipotizzare un autentico terremoto nelle fonetica petrarchesca degli anni estremi. Ma, poi, quale mai autorità avrebbe potuto indurre l’ultrasessantenne Petrarca a un simile cambiamento? Maurizio Vitale, che ha voluto raccontare a rovescio le parole del Mussafia sulla cronologia del li petrarchesco, questo problema non se l’è naturalmente neanche posto; egli ha tuttavia affermato, come abbiamo visto, che li «era la forma della tradizione lirica»; non ha, per la verità, anche detto che i li del Petrarca dipendano da quella tradizione, ma ad ogni buon conto non sarà male precisare che questa pretesa liricità di li non solo è indirettamente contraddetta dai precedenti spogli dei testi pratici fiorentini, ma è anche direttamente esclusa dai nostri antichi canzonieri. Badando alle occorrenze avanti vocale diversa da [i], il Canzoniere Vaticano, ch’è fiorentino, fa 114 LIVIO PETRUCCI contare 165 (l)gl(i) e 5 li, il Canzoniere Palatino, ch’è di mano certamente toscano-occidentale, 17 (l)gl(i) e 28 li, mentre le mani pisane del Canzoniere Laurenziano (poi completato da fiorentini) impiegano 14 volte (l)gl(i) e 18 volte li: i dati relativi alle mani toscano-occidentali sono più eloquenti di quelli relativi al Canzoniere Vaticano, perché nei testi pratici di Pisa, Lucca e Pistoia l’articolo gli è infinitamente più raro che in questi libri di poesia (cfr. la n. 73), sicché a volerne trarre conseguenze meccaniche si dovrebbe dire che la “tradizione lirica” pencolasse, ben al contrario, piuttosto per gli che per li. Su ciò comunque non insisto perché lo stesso Vitale assicura, sulla base d’informazioni che a me mancano, «che spesso [gli] sostituisce nei codici dell’antica lirica l’originario li» (VITALE2 142). Ma veniamo pure a un ultimo e definitivo rilievo. S’è già visto che copiando in V95 l’ultimo verso de L’aura celeste, n° 13 di V96 (dove il sonetto è stato sottoposto, come gli altri “dell’aura”, a una fittissima rielaborazione), il Petrarca mutò l’incipitario Ma gli occhi in Ma li occhi; s’è anche già visto che al belli (occhi) di V95 192.14 corrisponde in V96 begli, e in duplice trascrizione: ora ci si chiede s’è mai possibile credere che [maʎ'ʎɔkki] e [beʎ'ʎɔkki], positivamente sopravvissuti in V96 l’uno alle mille riletture interiori e l’altro a due trascrizioni, dovessero divenire [malli 'ɔkki] e ['belli 'ɔkki] (o come altro si pensi di dover leggere senza palatalizzazioni Ma li occhi e belli occhi) giustappunto al momento del loro ingresso in V95. Non è possibile; quel mutamento deve essere di sola grafia, come di sola grafia sono i mutamenti già sorpresi nell’immediato passaggio dei “sonetti dell’aura” da V96 a V95 (dallunge > dalunge, fiancho > fianco): solo i mutamenti di grafia, non quelli fonetici, si possono immaginare mentalmente differiti al momento del passaggio dalla carta alla pergamena, proprio come, verrebbe da dire, viene mentalmente differito il mutamento della spontanea scrittura usuale nella calligrafica libraria. 15. O gni altro e ogni ora nei componimenti autografi di V95 Dagli spogli relativi alle scrizioni sintetiche, § 7, risulta che ogni altro/ a e ogni or(a), sempre saldati dal Malpaghini (22 occ. complessive), presentano tre eccezioni alla saldatura nei testi autografi di V95 (15 occ. complessive), una avanti ad ‘altro’ e due avanti ad ‘ora’. Commentando l’insieme di quegli spogli s’è già detto che il trattamento delle scrizioni sintetiche è meno omogeneo del trattamento dei connettori perché nel primo caso è in gioco uno strato più “soggettivo” della sensibilità linguistica: ora va segnalato che tutte e tre le mancate saldature grafiche del Petrarca si determinano in connessione biunivoca con certe particolarità semantiche. Avverto subito che non pretendo di proporre una sicura razionalizzazione dei fatti, sia per l’entità del fenomeno in P e sia perché i rilievi che avanzo non valgono, sarebbero cioè smentiti, spostandosi su LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 115 M e, quel che è peggio, sullo stesso V96. Dunque, indizi minimi di un comportamento che varrebbe solo per la scrittura autografa in V95: d’altra parte, posto che l’autore risulta in generale più proclive del copista alle saldature grafiche, i casi in cui la tendenza generale s’inverte devono richiamare l’attenzione, e poi non mancano fatti certi che indicano come passando alla copia autografa su V95 il Petrarca abbia adottato atteggiamenti grafici estranei alla documentazione precedente, e in qualche caso al contemporaneo lavoro su V96 (§§ 10, 13, 14). Inizio dall’unica infrazione alla saldatura di ogni + ‘altro’. In 366.96, ch’ogni altra sua voglia era a me morte, et a lei fama rea ogni ed altra sono separati nel ms., mentre nei rimanenti otto casi si ha sempre ognialtro/ a (179.13, 193.4, 203.3, 212.9, 247.3, 260.4, 263.6, 325.47). Com’è evidente, e come i commentatori variamente sottolineano, ad altra inerisce qui la nozione esclusiva di ‘diversa’, laddove nelle occorrenze di ognialtro/ a non è mai esclusa la nozione di ‘restante’. La sequenza ogni + or ricorre in P sei volte, quattro delle quali saldate. La grafia ognior, ridotta a ognor nell’ed. (206.13, 209.3, 319.11, 325.35), comporta la nozione di ‘sempre’, ch’è invece esclusa quando manca la saldatura. Sul primo dei due casi di scrizione separata, 216.8 mi tengon ad ogni or di pace in bando (ms. adogni or), non c’è da insistere perché è la preposizione stessa che assicura la disarticolazione di ognior ‘sempre’ in ogni or ‘ogni momento’, sicché la nozione di ‘sempre’ sarà, eventualmente, a carico del complessivo ad ogni or82. Più interessante l’altra occorrenza separata, in Amor, quando fioria, 324; ne riporto i vv. 8-12 sostituendo l’ogni or del ms. all’ognor dell’ed.: 10 et lei che se n’è gita seguir non posso, ch’ella nol consente. Ma pur ogni or presente nel mezzo del meo cor madonna siede, et qual è la mia vita, ella sel vede. Che anche qui ogni or non debba valer ‘sempre’ mi pare abbastanza pacifico, e ad ogni buon conto confermato dalla storia elaborativa del testo documentata nel relativo abbozzo,V96 65, a c. 14r. Su quella pagina la forma più antica del v. 10 (per il resto della citazione non sono documentate modifiche) era ma pur continuamente, un’espressione che soddisfaceva alla necessità del trapasso avversativo (ma) e alla fondamentale esigenza che l’espressione temporale articolasse la duplice nozione di ‘sempre’ (pur) e di ‘in ciascun momento’ (continuamente). La prima e decisiva innovazione, ma pur sempre presente, venne a fissare una nuova esigenza fondamentale: che la denuncia della presenza di madonna nel cuore non ricadesse su siede, che può così essere interamente deputato a indi- 116 LIVIO PETRUCCI carne la posizione signorile. Il resto dell’elaborazione s’esaurisce in due battute di riaggiusto: pur ad ogni or presente che mette a miglior fuoco la nozione ‘in ciascun momento’, ma perde insieme quella di ‘sempre’ (non affidabile a pur, incaricato del trapasso avversativo), e il definitivo ma pur ogni or presente, che recupera ma, restituisce pur al suo valore temporale, e definisce di conseguenza per ogni or il significato ‘in ciacun momento’. Certo, nell’abbozzo ognior è scritto, e per due volte, unito, né c’è da speculare sul carattere niente affatto calligrafico delle correzioni; semplicemente il valore semantico della separazione è ignoto a V96, dove, in componimenti scritti senz’altro a ridosso della loro copia (autografa) in V95 troviamo, per ‘restante’, ogni altro (9.4 = 193.4) e addirittura ognj altro (15.6 = 323.30), con - j ch’è segno inequivoco di chiusura del gruppo grafico. Insomma, se non si tratta d’una triplice casualità, che può pure essere, il valore semantico della separazione di ogni altro e ogni ora è, come dicevo, cosa che riguarda esclusivamente il momento dell’autografia in V95. 16. Autografo e idiografo Sono di mano del copista [...] i componimenti I- CXC (tolti il madrigale CXXI e il sonetto e CCLXIV- CCCXVIII. Sono di mano del Petrarca i restanti componimenti [...]. Ciò va tenuto presente a ogni citazione che sarà fatta qua sotto, senza tuttavia dimenticare che l’autore ebbe a rivedere minutamente, con rasure, correzioni, espunzioni, aggiunte, anche i componimenti esemplati da Giovanni (CO NTINI2 288). CLXXIX) [...] ma anch’essi [i componimenti di mano del copista] furono rivisti minutamente dall’autore, con rasure, correzioni, espunzioni, aggiunte, talché la copia può considerarsi a ogni effetto autorizzata. Sono sfuggiti al revisore solo alcuni scorsi meramente servili, quasi tutti del suo scriba (CO NTINI3 XXXVI). Non si tratta del fisiologico attenuarsi della problematicità nel passaggio dall’ed. critica alla divulgativa: «la copia può considerarsi a ogni effetto autorizzata» di CO NTINI3 significa una cosa che in CO NTINI2 non era stata ancora detta, e precisamente questo, che tutto ciò che si legge di mano del copista, fatti salvi gli «scorsi meramente servili», può essere trattato, in forza della revisione del Petrarca e sotto ogni riguardo, come fosse stato scritto di proprio pugno dall’autore stesso. È questo principio, di cui si potrebbero facilmente allegare tante applicazioni, il caposaldo inconcusso delle attuali vedute filologiche sul testo dei Rvf, come risulta, tra l’altro, dal nostro più autorevole, equilibrato e informato manuale. Petrarca sorvegliò minutamente il lavoro di Giovanni e il risultato rappresenta in modo fedele la sua volontà di autore, da tutti i punti di vista: struttura dell’opera, numero e integrità dei testi, particolarità di lingua e perfino di grafia e di composizione della pagina (STUSSI 92). In realtà il punto di vista di Contini avrebbe chiesto una qualche documentata giustificazione già nella sua prima e meno drastica formulazione. LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 117 L’ampiezza e la sistematicità dell’intervento correttorio del Petrarca sono in effetti tutt’altro che certe; basti dire che il Modigliani, attraverso la cui ed. Contini utilizzò V95 (cfr. la n. 35), attribuisce al Petrarca non più di 40 interventi sulle trascrizioni del Malpaghini, e questi interventi interessano 33 componimenti presenti in 28 pagine, spesso contigue, mentre i 243 componimenti di mano del copista di pagine ne occupano 9383. Certo, da questi conti esulano le rasure non accompagnate da riscrittura, perché inattribuibili; ed esulano pure le espunzioni, perché un inchiostro diverso da quello di scrittura non esclude né un seriore intervento del Malpaghini stesso né l’intervento d’una mano terza: ma in compenso il Modigliani attribuisce al copista, per l’identità d’inchiostro tra segno espuntivo e scrittura, cinque delle sette espunzioni da lui riconosciute come sicure in M (§ 11). Senza speculare su cifre che saranno forse presto modificate (in occasione di qualche visita paleografica sollecitata dal prossimo anniversario), pare evidente che se il Modigliani non ha sbagliato alla grossa, gli interventi “autorizzanti” del Petrarca si devono essere mantenuti ben al di qua d’una correzione sistematica. Se la correzione “post factum” va senz’altro ridimensionata, resta però che ci fu certamente un’attentissima sorveglianza in corso d’opera84, e resta che la fedeltà del Malpaghini a quanto il Petrarca gli dava da copiare deve essere stata sicuramente notevole. Il punto, però, è un altro: il punto è che (a parte la separazione delle parole e fatti congeneri) ciò che più distingue i componimenti di mano del copista da quelli autografi non è poi, come abbiamo già visto, il quanto di “malpaghiniano” che possono contenere, ma il tanto di “veteropetrarchesco” che certamente contengono. Il che pone non pochi problemi all’idea d’un autore “compos libri sui”. Prendiamo ad esempio il caso delle forme gli e li dell’art. plur. prevocalico: non c’è alcun dubbio che sia li e non gli a rappresentare le ultime vedute dell’autore, così come non c’è alcun dubbio che sia gli e non li (206 occ. contro 67) a caratterizzare V95; cosa significa in questo caso che la lettera dell’originale dei Rvf è «a ogni effetto autorizzata»? che il Petrarca ha “voluto” una così sbilanciata convivenza di due diverse grafie, o peggio ancora (per chi non concordi con la mia tesi), di due diverse forme fono-morfologiche? Evidentemente no, semplicemente il Petrarca non poteva eradere duecento e passa g, o, come scrisse il Mussafia, «non se ne dette la briga» (MUSSAFIA 403 n. 91): sono due facce della stessa medaglia, perché il limite fisicamente imposto alle correzioni dal manufatto doveva necessariamente implicare una minor resistenza ad accettare fluttuazioni “ortografiche”. E in quanti altri casi, anche quantitativamente non ingenti, ciò sarà avvenuto? La trasposizione tipografica conferisce inevitabilmente a oscillazioni del genere un peso che sulla pagina manoscritta doveva essere più lieve; insomma «non bisogna attribuire nemmeno al Petrarca concetti o scrupoli modernissimi» (PARO DI 449). 118 LIVIO PETRUCCI Nei precedenti paragrafi, pur svolgendo ricerche destinate a tutt’altro, si è avuto modo d’individuare un certo numero di fenomeni capaci di distinguere le copie del Malpaghini da quelle effettuate dal Petrarca in V95; mi pare opportuno richiamarle velocemente per un sintetico bilancio. In un paio di casi, saldatura dei gruppi grafici e scissioni lessicali (§§ 3, 6), si tratta senz’altro di usi diversi dei due scriventi in settori presumibilmente idiosincratici della scrittura (anche se abbiamo osservato che la maggiore inclinazione del Malpaghini alle scissioni lessicali può avere a che fare con una certa “incompetenza” linguistica); dal caso dell’espunzione (§ 11), che pure compare assai più spesso in V96 e in P che in M, non si può invece trarre partito perché è del tutto verosimile che per un verso il Malpaghini non era spinto a praticarla di propria iniziativa in V95 e che per altro verso il Petrarca abbia curato che gli esemplari per il copista fossero ripuliti da quell’artificio; nei restanti cinque casi (-d eufonico, notazione dei rafforzamenti e delle assimilazioni fonosintattiche, uso dell’articolo gli avanti vocale [§§ 4, 9, 10, 14], uso di ch + a, o, u [§ 13] e scrizione con - ll- delle preposizioni articolate non elise e non uscenti in -i [§ 13]) si tratta di abitudini ben petrarchesche, perché presenti in V96, che però sopravvivono piuttosto in M che in P, dunque tendenzialmente eliminate nel tempo dal Petrarca. Lo stesso vale per un sesto tratto che m’è capitato di notare nel corso del lavoro: la riduzione di alcuni dittonghi discendenti e la fognatura dell’articolo i. Le forme, bei, coi, ei, fui, quai, quei, tai, presentano la riduzione del dittongo più frequentemente in M che in P; il tratto è toscano e dunque la maggior frequenza sotto la mano del Malpaghini indica che c’è stata un’evoluzione nelle vedute del Petrarca, tanto più che in V96 quelle riduzioni sono in genere maggiori che in M: M M M M M M M be’ 10 / bei 8; P be’ 1 / bei 8;V96 be’ 5 / bei 5 co’ 13 / coi 2; P co’ 2 / coi 5;V96 co’ 2 / coi 2 e’ 9 / ei 1 (46.10, da correz. del Malp. su el); P e’ 8 / ei 12;V96 e’ 6 fu’ 4 / fui 19; P fui 4;V96 fu’ 2 / fui 6 qua’ 7 / quai 5; P qua’ 2 / quai 3;V96 qua’ 2 que’ 10 / quei 10; P que’ 4 / quei 8;V96 que’ 9 / quei 3 ta’ 3 / tai 1; P ta’ 2 / tai 2;V96 ta’ 1 / tai 185 Anche la fognatura dell’articolo i, corrispettivo fonosintattico del medesimo fenomeno, risulta un po’ più frequente in M che in P (M ’ 25 / i 61; P ’ 6 / i 21); in V96 (’ 11 / i 16) è nettamente più diffusa che in M86. R imanda invece a fatti idiosincratici, come la saldatura dei gruppi grafici e le scissioni lessicali, la diversa intensità nell’uso delle abbreviazioni. Nella parte autografa di V95 ho contato 2925 abbreviazioni, nell’idiografa 2402; tenuto conto dell’estensione delle due scritture, il Petrarca abbrevia con una frequenza che è quasi due volte e mezza quella del Malpaghini. Dal punto di vista qua- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 119 litativo non si dà viceversa alcuna sostanziale divergenza tra le due mani, perché le abbreviazioni esclusive dell’una o dell’altra sono rare (4 in M, 3 in P) e raramente impiegate (10 occ. in M, 7 in P). Compaiono solo in M la q con titolo increspato per qua (q(ua)l 22.5, q(ua)nto 22.3) e la t con riccio per tur (nat(ur)al 21.12); sono ancora esclusivi di M i «nomina sacra» (omessi i titoli) Ihu = I(es)ù 27.14, 28.72 e xpo = (Crist)o 27.5, 28.90, 138.8, col connesso xpianissime = (crist)ianissime 28.33, ma in P mancano quasi le forme piene (solo cristo 334.14). Compaiono solo in P il compendio (omesso il titolo) gra = gr(ati)a 366.37, la q con gamba tagliata per qui (tra(n)q(ui)lla 360.61) e u con riccio per uer (co(n)u(er)si 360.151; gou(er)na 363.13; u(er)gognoso 360.125; u(er)tute 366.102; u(er)tuti 360.141). Non sfuggirà che quattro delle sette occorrenze dei compendi esclusivi di P sono relative alla canzone Quel’antiquo mio dolce (n° 360), tutta scritta molto serratamente, a tre versi per rigo, nel calcolato e riuscito sforzo di far rientrare 21 sonetti e 2 canzoni nelle pagine d’un quaderno, cc. 67-70, interpolato nell’ultima fase d’allestimento (cfr. MO DIGLIANI XIX- XX, WILKINS 375 e le considerazioni di BRUGNO LO 269 n. 12). L’impiego delle abbreviazioni è omogeneamente corretto lungo tutto il ms., fatta salva una nota tironiana utilizzata dal Malpaghini in luogo di è (135.56, conservo la punteggiatura e le maiuscole del ms.): Q uando ’l bel lume adorno Ch’è ’l mio sol s’allontana / (et) triste (et) sole Son le mie luci . (et) notte oscura / (è) loro . in vista della grossolanità dell’uso, dell’unicità del caso, dell’inusualità del costrutto, e della coppia di congiunzioni al v. 55, mi pare realistico supporre un’incomprensione, e dunque l’intenzione di scrivere et. In V96 ho contato 2300 abbreviazioni. Il confronto è naturalmente forzatissimo, data l’enorme differenza tra scrizioni eventualmente ordinate ma comunque provvisorie e la copia dell’esemplare definitivo; resta tuttavia che nelle due situazioni tanto diverse il comportamento del Petrarca risulta meno disomogeneo di quanto ci si potrebbe attendere: in un’estensione di scrittura pari al 73,5 % di P, le abbreviazioni di V96 non superano il 78,5 % di quelle presenti nel medesimo P. È bensì vero che sotto il profilo qualitativo si coglie una qualche consistente divergenza, perché V96 presenta diciassette tra compendi e abbreviazioni del tutto assenti in P, ma è anche vero che buona parte delle tachigrafie tipologicamente eccedenti cadono nei luoghi e nei momenti di più veloce scritturazione87. Sia qui lecito commentare un fatto estraneo alla lettera dell’originale dei Rvf, ma vistosissimo, e perciò capace di distinguere a colpo d’occhio il lavoro del copista da quello del Petrarca. Com’è ben noto,V95 presenta una duplice impaginazione: su due colonne, un verso per rigo, nel caso delle nove sestine; su 120 LIVIO PETRUCCI una sola colonna, con più versi per rigo, nel caso di ballate, canzoni, madrigali e sonetti (la seconda metà del rigo può rimanere bianca in coincidenza di capoversi che segnalano partizioni interne di madrigali, ballate e canzoni): fatto salvo un limitato numero d’eccezioni abbastanza sistematiche, l’impaginazione su una colonna prevede che ogni rigo ospiti due soli versi88. È pure noto che nelle migliaia di casi in cui un rigo ospita due versi il Malpaghini mantiene «uno spazio costante tra verso e verso» (MO DIGLIANI XV), mentre il Petrarca cura che i versi pari del rigo risultino incolonnati, sicché le carte di sua mano hanno tutte, dal più al meno, l’aria d’essere impaginate su due colonne (si veda, p. es., la c. 65v, dove i vv. 49-64 della canzone Solea dala fontana, n° 331, e i vv. 1-44 della successiva sestina, Mia benigna fortuna, appaiono a prima vista impaginati al medesimo modo). Furio Brugnolo, che ha ottimamente mostrato che la scrittura delle canzoni a due versi per rigo «deriva» dal modello della scrittura del sonetto (BRUGNO LO 267-68), s’esprime così a proposito della sistemazione di quest’ultimo: Per la presentazione del sonetto Petrarca adotta [...] la disposizione ‘a distici’ [...] che consiste [...] nel disporre [...] due versi per riga, con uno stacco fra l’un verso e l’altro [...] sufficiente a far riconoscere, dietro l’impianto grafico, la tradizionale impalcatura del doppio incolonnamento (ancora più evidente nelle carte trascritte di proprio pugno dal poeta) (BRUGNO LO 267). Ed anche in V96, effettivamente, fin dalle carte più antiche e poi sempre quando i testi siano di scrittura sufficientemente posata, il Petrarca mostra una nitida preferenza per l’incolonnamento dei versi pari dei sonetti89. Il codice degli abbozzi ci dice invece assai poco per quel che riguarda le canzoni, che sono generalmente documentate nelle pagine di scrittura più tumultuaria; l’unica eccezione è costituita dai primi 89 vv. del n° 58 (N el dolce tempo, c. 11r), risalenti al periodo (A) e scritti tre versi per rigo, come s’addice, verrebbe da dire, all’economia d’un foglio di lavoro (ammesso che all’epoca già valesse il principio di scrivere anche le canzoni a due versi per rigo). Q uesto stato di cose comporta un problema: se l’effetto di duplice incolonnamento prodotto tanto chiaramente dal modo tenuto dal Petrarca nel distanziare i versi sul rigo è un effetto voluto (non solo come può parere a prima vista, ma come risulta pure alla specifica e meditata considerazione di Furio Brugnolo), e se l’effetto diviene meno evidente (come pare a Brugnolo) o si perde del tutto (come mi pare più vero) col distanziamento uniforme dei versi praticato dal Malpaghini, perché mai è stato permesso al copista di regolarsi in tal modo? La domanda ha un’urgenza ch’è pari solo alla facilità con cui il Petrarca avrebbe potuto governare questo aspetto della messa in pagina. Seppure non mi sia possibile tener qui conto di tutta la densa problematica implicata dall’ottimo lavoro di Brugnolo sull’impaginazione di V95, proverò a proporre una risposta. Gli elementi indiscutibili mi paiono tre: l’estrema attenzio- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 121 ne riservata dal Petrarca all’organizzazione della pagina, la facilità con cui avrebbe potuto imporre al copista l’incolonnamento dei versi pari del rigo, e il fatto che invece non glielo impose; la conclusione parrebbe essere una sola: il Petrarca trovò opportuno che il Malpaghini copiasse come ha copiato. La conclusione può apparire paradossale, ma prima di escluderla sarà il caso di rileggere cosa scrisse, oltre trent’anni fa, Armando Petrucci a proposito del Malpaghini impaginatore: L’assoluta uniformità della scrittura in ogni pagina del codice dimostra che il Malpaghini aveva in sè le qualità sicure dell’amanuense di gran classe; circostanza confermata, del resto, dalla misura, rara e difficile, dell’impaginazione (certamente ispirata dal Petrarca, il quale però nelle carte autografe non seppe realizzare in modo altrettanto perfetto il rapporto fra testo e margini), dall’euritmia delle righe, d[a]ll’eleganza complessiva della scrittura (PETRUCCI1 78). O ra, se fosse possibile supporre, e perché no?, un analogo giudizio del Petrarca sul proprio amanuense, sapremmo ad un tempo perché ritenne opportuno lasciar fare al Malpaghini come lui solo sapeva, e perché, venutogli meno il Malpaghini, preferì completare il ms. rientrando nell’ordine suo, quello più facile, perché più rigido e consueto, di V96: la gestione del rigo nel modo sciolto del copista gli dovette sembrare, se non irraggiungibile, troppo onerosa. In conclusione (non degli accertamenti possibili ma di quelli del Mussafia e del Parodi, e di quanto m’è riuscito di vedere e di comunicare in questa sede) si deve riconoscere un’infinita, instancabile attenzione del Petrarca ai fatti di grafia; un’attenzione che non persegue né un sistema economico e funzionale né l’annobilimento del volgare attraverso il latino (i suoi latinismi non eccedono di molto quelli d’un qualunque statuto fiorentino dell’epoca), ma piuttosto la linea direttiva dell’emancipazione dagli accidenti della concatenazione fonetica reale. L’«ortografia» costituisce, secondo Vittorio R ossi, una «sfuggente sembianza della personalità del Petrarca», e se così era per il latino, non c’è meraviglia che così sia stato per il volgare: del resto chi si studi di riflettere sulle pagine che l’editore delle Familiari dedica all’argomento (RO SSI CLXIVCLXIX) troverà modo di riscontrare significative analogie, anche di date, tra le vicende ortografiche sui due campi, anche se la situazione da cui emanciparsi era nell’altro caso quella tutta diversa degli usi mediolatini (il tipo dompna giunge almeno fino al 1349!). L’altro punto accertato è che la grafia di V95 non si può dire unitaria, essendo precisamente variata in ragione del passaggio da una mano all’altra, salvo che, ove si prescinda dai fatti che abbiamo qualificato per idiosincratici (e dal capitolo qui neanche sfiorato delle infiltrazioni della padanità del copista), quelle variazioni non rappresentano un’alterità sincronica ma la sedimentazione dei mutamenti diacronici dell’ortografia dell’autore. R ileggiamo l’apertura del saggio di Gianfranco Contini sulle “correzioni del Petrarca volgare”: 122 LIVIO PETRUCCI La scuola poetica uscita da Mallarmé, e che ha in Valéry il proprio teorico, considerando la poesia nel suo fare, l’interpreta come un lavoro perennemente mobile e non finibile, di cui il poema storico rappresenta una sezione possibile, a rigore gratuita, non necessariamente l’ultima. È un punto di vista di produttore, non d’utente. Sennonché, se il critico intende l’opera d’arte come un «oggetto», ciò rappresenta soltanto l’oggettività del suo operare, il «dato» è l’ipotesi di lavoro morale della sua abnegazione; e una considerazione dell’atto poetico lo porterà a spostare dinamicamente le sue formule, a reperire direzioni, piuttosto che contorni fissi, dell’energia poetica. Una direttiva, e non un confine, descrivono le correzioni degli autori; e soltanto oggi la coscienza mallarméana, alla pari con la riduzione unitaria delle personalità imposta dall’estetica dell’espressione, ne consente uno studio rigoroso e poeticamente fecondo (CO NTINI1 5); e rileggiamo la non meno memorabile, e non meno memorizzata (in ambito forse appena più ristretto), dichiarazione metodica dell’edizione dei Rvf: Q uanto caratterizza la presente edizione rispetto alle correnti (la più vicina ai nostri criterî è quella del Salvo Cozzo, Firenze 1904) è tuttavia la maggiore osservanza dell’originale in ciò che è della grafia. I nuovi orientamenti strutturalistici della linguistica hanno rialzato il livello, piuttosto depresso, della considerazione in cui vanno tenute le questioni ortografiche: l’ortografia è un metodo di rappresentazione, che può essere piú o meno economico, di un sistema fonologico determinato; il principale ostacolo alla sua economia ideale (un segno per ogni fonema e inversamente) è costituito dai relitti, non immeritevoli di storica pietas, della tradizione. Precisato ciò, risulta evidente l’interesse che si ha a conoscere, anche fuori della ristretta cerchia degli specialisti, l’uso grafico del primo grande scrittore di lingua volgare (ed è un genio, e divenne un paradigma letterario) sul quale siamo direttamente informati. Se, com’è indubitabile esperienza, escirá da questa operazione un testo che, abbandonati i caratteri piú meramente diplomatici, sia perfettamente leggibile, ne concluderemo (risultato tanto piú notevole in un umanista sommo) che l’invasione della tarda tradizione latino-medievale fu molto discreta e che, assai piú che non si creda volgarmente, la grafia del Petrarca, come del resto quella dell’italiano antico, si accostava al valore «fonologico» della grafia moderna; il quale, se non è ottimo funzionalmente, non è dei piú cattivi (CO NTINI2 290). Separati per data di stampa da uno spazio di sei anni, il tenue volumetto del 1943 e la monumentale edizione del 1949 non sono dissociabili: due mosse di un’unica geniale manovra che per un verso sottopose la seconda corona al vivo della riflessione critica novecentesca e per altro verso impose alle Rime o Canzoniere delle patrie lettere la veste grafica “volgare”, storicamente non ancora “italiana”, dell’originale dei Rerum vulgarium fragmenta: due mosse, la seconda non meno della prima, finalizzate a travasare il Petrarca dei “frammenti” nella cultura del secolo. Così è, e la magnanimità dell’assunto, se non coonesta il metodo adottato nella resa grafica del testo (con buona pace dell’odierno “conservatorismo” che se ne fa scudo), neppure tollera eccezioni tecniche, pretendendo d’essere valutata rispetto ai propri fini. Ed è appunto su questo terreno che si deve intendere perché mai gli accertamenti di Adolfo Mussafia sulla diacronia scrittoria petrarchesca non abbiano poi trovato la strada per incanalarsi nella teoria del «poema storico [...] sezione possibile, a rigore gratuita» del fare poetico, perché mai l’impegno «a reperire direzioni, piuttosto che contorni fissi» si sia arrestato avanti alla grafia, perché insomma pro- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 123 prio per questa non sia valso il principio che «una direttiva, e non un confine, descrivono le correzioni degli autori». Certo si deve riconoscere che solo la legittimazione d’una totale e indistinta osservanza della lettera di V95 poteva fornire il solido appoggio necessario ad imporre la nuova, antiretorica veste che l’assunto esigeva, e di qui senz’altro derivano il sostanziale sacrificio della lezione del Mussafia, dei pareri del Parodi, e d’un tratto della ricerca dello stesso Editore. Ma neppure andrà dimenticato il richiamo ai «nuovi orientamenti strutturalistici della linguistica», un richiamo che in quel 1949 era una tal novità da poter imporre, anche al più avvertito, l’aprioristica certezza che la grafia di V95 dovesse necessariamente “fare sistema”. N OTE * Nel testo e nelle note impiegherò le seguenti abbreviazioni. AGO STINI = Francesco Agostini, Preposiz ioni subordinate, in Enciclopedia dantesca. Appendice. Biografia, Lingua e stile, Opere, R oma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1978, pp. 370-408; APPEL1 = Carl Appel, Z ur Entwickelung italienischer Dichtungen Petrarcas. Abdruck des cod. Vat. Lat. 3196 und Mitteilungen aus den Handschriften Casanat. A III 31 und Laurenz . Plut. XLI n. 14, Halle a. S., Max Niemeyer, 1891; APPEL2 = Carl Appel, Die Triumphe Francesco Petrarcas in kritischem Texte herausgegeben, Halle a. S., Max Niemeyer, 1901; BAR BI = Dante Alighieri, La Vita nuova, edizione critica per cura di Michele Barbi, Firenze, Bemporad, 1932; BATTAGLIA = Giovanni Boccaccio, Teseida, edizione critica per cura di Salvatore Battaglia, Firenze, Sansoni, 1938; BELTR AMI = Pietro G. Beltrami, La metrica italiana, Bologna, il Mulino, 20024; BR ANCA = Giovanni Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo l’autografo hamiltoniano a cura di Vittore Branca, Firenze,Accademia della Crusca, 1976; BRUGNO LO = Furio Brugnolo, Libro d’autore e forma-canzoniere: implicaz ioni petrarchesche, «Lectura Petrarce», XI (1991), pp. 259-90; CAR DUCCI- FER R AR I = Le Rime di Francesco Petrarca di su gli originali, commentate da Giosue Carducci e Severino Ferrari, Firenze, Sansoni, 1899; CASTELLANI1 = Arrigo Castellani, Frammenti d’un libro di conti di banchieri fiorentini del 1211. N uova ediz ione e commento linguistico, «Studi di Filologia Italiana», XVI (1958) [ristampato in CASTELLANI5 II 73-140, da cui cito]; CASTELLANI2 = Arrigo Castellani, N ote su Miliadusso,«Studi Linguistici Italiani», II (1961) e IV (1963-64) [ristampato in CASTELLANI5 II 321-87, da cui cito]; CASTELLANI3 = Arrigo Castellani, Il più antico statuto dell’Arte degli Oliandoli di Firenze, «Studi Linguistici Italiani», IV (1963-64) [ristampato in CASTELLANI5 II 141-252, da cui cito]; CASTELLANI4 = Arrigo Castellani, Lingua parlata e lingua scritta nella Toscana medievale, in Atti del XIV Congresso Internaz ionale di linguistica e filologia romanz a. N apoli, 15-20 aprile 1974, 5 voll., Napoli e Amsterdam, Macchiaroli e Benjamins, 1978-1981, I, pp. 455-62 [ristampato, con una Postilla del 1977, in CASTELLANI5 I 36-48, da cui cito]; CASTELLANI5 = Arrigo Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanz a (1946-1976), 3 voll., R oma, Salerno editrice, 1980; CASTELLANI6 = Arrigo Castellani, Grammatica storica della lingua italiana. I Introduz ione [unico vol. finora uscito], Bologna, il Mulino, 2000; CASTELLANI7 = Arrigo Castellani, I più antichi ricordi del primo Libro di memorie dei Frati di Penitenz a di Firenze, 1281-7 (date della mano a), in L’Accademia della Crusca per Giovanni N encioni, Firenze, Le Lettere, 2002, pp. 3-11; CELLA = R oberta Cella, I gallicismi nei testi dell’italiano antico (dalle origini alla fine del sec. XIV ), Firenze,Accademia della Crusca, 2003; CHIAR I = Francesco Petrarca, Canzoniere. Introduzione e note di Alberto Chiari, Milano, Mondadori, 1985; CLPIO = D’Arco Silvio Avalle (a cura di, con il concorso dell’Accademia della Crusca), Concordanze della lingua poetica italiana delle origini (CLPIO),Vol. I [unico finora uscito], MilanoNapoli, R icciardi, 1992; CO LUCCIA = R osario Coluccia, «Scripta Mane(n)t». Studi sulla grafia dell’italiano, Galatina, Congedo, 2002; Concordanze = Accademia della Crusca-O pera del Vocabolario, Concordanze del Canzoniere di Francesco Petrarca, a cura dell’ufficio lessicografico[diretto da Al- 124 LIVIO PETRUCCI do Duro], 2 voll., Firenze, [Accademia della Crusca], 1971; CO NTINI1 = Gianfranco Contini, Saggio d’un commento alle correz ioni del Petrarca volgare, Firenze, Sansoni, 1943; CO NTINI2 = Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, con una nota al testo di Gianfranco Contini e indice dei capoversi, Parigi, Tallone, 1949 [le pagine della N ota al testo, alle quali solo si dovrà rinviare, non sono numerate; i rimandi vanno perciò alle corrispondenti pagine di CO NTINI4, immutate per quel che qui importa]; CO NTINI3 = Francesco Petrarca, Canzoniere.Testo critico e introduzione di Gianfranco Contini. Annotazioni di Daniele Ponchiroli, Torino, Einaudi, 1964; CO NTINI4 = Francesco Petrarca, Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta),Testo critico. Saggio introduttivo e Nota finale di Gianfranco Contini, Alpignano, Tallone, 1974; CO R R ADINO = Alessandra Corradino, Rilievi grafici sui volgari autografi di Giovanni Boccaccio, «Studi di Grammatica Italiana», XVI (1996), pp. 5-74; CO RTICELLI = Salvadore Corticelli, Regole ed osservaz ioni della lingua toscana ridotte a metodo, Bologna, Dalla Volpe, 1745 [mi servo dell’ed. di Bassano, R emondini, 1827, nel frontespizio sulla anziché della]; DE RO BERTIS = Domenico De R obertis, Quae legat ipse... , in Operosa parva per Gianni Antonini, Studi raccolti da Domenico De R obertis e Franco Gavazzeni,Verona,Valdonega, 1996, pp. 269-80; GO R NI = Dante Alighieri, Vita nova, a cura di Guglielmo Gorni, Torino, Einaudi, 1996; ItalN et = Base di dati testuale del Tesoro della Lingua italiana delle Origini (T LIO ) consultabile via Internet a partire dall’indirizzo ‹http:/ / www.vocabolario.org.›, ovvero ‹http:/ / www.csovi.fi.cnr.it.›; LAR SO N = Pär Larson, Appunti sulla lingua del canzoniere Vaticano, in LEO NAR DI IV 57-103; LEO NAR DI = Lino Leonardi (a cura di), I canzonieri della lirica italiana delle Origini, vol. I Il canzoniereVaticano (Biblioteca ApostolicaVaticana,Vat. Lat. 3793). R iproduzione fotografica; vol. II Il canzoniere Laurenz iano (Firenze, Biblioteca Mediceo Laurenz iana, Redi 9). R iproduzione fotografica; vol. III Il canzoniere Palatino (Biblioteca N az ionale Centrale di Firenze, Banco Rari 217, ex Palatino 418). R iproduzione fotografica; vol. IV Studi critici, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2000-2001; MAIDEN = Martin Maiden, Storia linguistica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 1998; MENICHETTI = Aldo Menichetti, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova, Antenore, 1993; MIGLIO R INI = Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 19836; MO DIGLIANI = Il Canzoniere di Francesco Petrarca riprodotto letteralmente dal Cod.Vat. Lat. 3195 con tre fotoincisioni a cura di Ettore Modigliani, R oma, Società filologica romana, 1904; MUSSAFIA = Adolfo Mussafia, Dei codici Vaticani Latini 3195 e 3196 delle Rime del Petrarca, «Denkschriften der Wiener Akademie der Wissenschaften, Philosophischhistorische Klasse», XLVI (1900) [ristampato, secondo un estratto con correzioni autografe, in Adolfo Mussafia, Scritti di filologia e linguistica, a cura di Antonio Daniele e Lorenzo R enzi, Padova, Antenore, 1983, pp. 357-404, da cui cito; riconduco, tra parentesi quadre, i richiami numerici dei componimenti dei Rvf all’uso corrente e le sigle dei mss. all’uso di questo articolo]; PAO LINO = Francesco Petrarca, Il codice degli abboz z i. Edizione e storia del manoscritto Vaticano latino 3196 a cura di Laura Paolino, Milano-Napoli, R icciardi, 2000; PARO DI1 = Ernesto Giacomo Parodi, La rima e i vocaboli in rima nella Divina Commedia, «Bullettino della Società Dantesca Italiana», III (1896) [ristampato in PARO DI3 203-84, da cui cito]; PARO DI2 = Ernesto Giacomo Parodi, recensione a SALVO CO ZZO , «R assegna Bibliografica della Letteratura Italiana», XV (1907) [ristampata, col titolo Ortografia petrarchesca, in PARO DI3 443-52, da cui cito]; PARO DI3 = Ernesto Giacomo Parodi, Lingua e Letteratura. Studi di Teoria linguistica e di Storia dell’italiano antico, a cura di Gianfranco Folena, 2 voll. (con paginazione continua),Venezia, Neri Pozza, 1957; PETRUCCI1 = Armando Petrucci, La scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1967; PETRUCCI2 = Armando Petrucci, Le mani e le scritture del Canzoniere Vaticano, in LEO NAR DI IV 25-41; PO R ENA = Il codice Vaticano Lat. 3196 autografo del Petrarca, [a cura di Manfredi Porena], R oma, R eale Accademia d’Italia, 1941; RO HLFS = Gerhard R ohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. I. Fonetica, II. Morfologia, III. Sintassi e formaz ione delle parole, 3 voll. (con paragrafazione continua), Torino, Einaudi, 1966-69; RO SSI = Francesco Petrarca, Le familiari. Edizione critica per cura di Vittorio R ossi, 4 voll., Firenze, Sansoni, 1933-1942; SALVO CO ZZO = Francesco Petrarca, Le Rime, a cura di Giuseppe Salvo Cozzo, Firenze, Sansoni, 1904; SANTAGATA1 = Marco Santagata, I frammenti dell’anima. Storia e racconto nel Canzoniere di Petrarca, Bologna, il Mulino, 1992; SANTAGATA2 = Francesco Petrarca, Canzoniere, edizione commentata a cura di Marco Santagata, Milano, Mondadori, 1996; SCHIAF- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 125 FINI = Alfredo Schiaffini, Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze, Sansoni, 1926; SER IANNI = Luca Serianni, Introduz ione alla lingua poetica italiana, R oma, Carocci, 2001; STUSSI = Alfredo Stussi, Introduz ione agli studi di filologia italiana, Bologna, il Mulino, 1994; VITALE1 = Maurizio Vitale, Le correz ioni linguistiche del Petrarca nel «Canzoniere», «Studi linguistici italiani», XIV (1988), ora in Maurizio Vitale, Studi di storia della lingua italiana, Milano, LED, 1992, pp. 13-47, da cui si cita; VITALE2 = Maurizio Vitale, La lingua del canzoniere (R erum vulgarium fragmenta) di Francesco Petrarca, Padova, Antenore, 1996; WILKINS = Ernest Hatch Wilkins, T he Making of the «Canzoniere» and Other Petrarchan Studies, R oma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1951. 1 Q ui, e poi appresso, misuro convenzionalmente i testi col numero di “parole” contate dal sistema di scrittura nei relativi file. 2 PETRUCCI1 71-86 e 107-14. 3 Per la datazione del n° 69 tengo conto degli anni, tra il ’46 e il ’52, indicati da WILKINS 198; una data più alta è stata prospettata da PETRUCCI1 111 n. 2 (cfr. SANTAGATA2 879 e PAO LINO 95). 4 Si tratta della più antica “forma” dei Rvf oggi consultabile (nella copia del ms. Vaticano Chigiano L.V.176, di mano di Giovanni Boccaccio). 5 Una tavola di ragguaglio in SANTAGATA2 CXCIII. 6 Marco Santagata adotta come edizione di riferimento CO NTINI2; le tormentate «vicende editoriali» del testo Contini, da CO NTINI1 a CO NTINI3, sono documentatamente esposte in SAN TAGATA2 CLXXXI- CLXXXV, le modifiche introdotte dal medesimo Santagata sono indicate a p. CLXXXV. 7 Il lavoro è stato ottimamente eseguito, nel 1997, dalla dott.ssa Arianna Pecorini, che con intelligenza collaudò e mi permise di perfezionare i criteri di trascrizione. 8 Non ho tenuto conto della divisione, costante nell’ed. e incostante nel ms., delle preposizioni articolate con l scempia. Tra le saldature ho computato ognior e ogniora (13 occ.), a fronte di ogni or (2 occ.): nell’ed. ognior, ogniora, e una volta anche ogni or, compaiono come ognor e ognora. Il confronto è stato condotto utilizzando sistematicamente l’ed. diplomatica (MO DIGLIANI) in luogo del ms.: ho naturalmente effettuato moltissimi controlli su microfilm, derivandone non poche correzioni di cui non do però generalmente conto. Q ui avviso che l’alternanza infra 131.9 / in fra 126.34, 68 dell’ed. Contini (SANTAGATA2 ha infra in 126.34) riflette l’ed. Modigliani ma non il ms., dove si legge sempre in fra; anche l’alternanza maisempre 224.10 / mai sempre 28.47, 73.3 mi par riflettere più l’ed. Modigliani che il ms.: direi infatti che in 224.10 le parole lagrimar mai sempre, serratissime, sono in sostanza equidistanti (MO DIGLIANI: lagrimar maisempre). 9 Computo tra le forme aferetiche anche l’articolo enclitico, ’l, che doveva essere certo sentito come variante di il: basti il fatto che lo si trova rappresentato anche con .il (§ 11). 10 I saldanti sono elencati secondo l’ordine decrescente delle percentuali delle occ. saldate a (4 col., le percentuali sono arrotondate al primo decimale): a parità di percentuali vale l’ordine decrescente del numero assoluto delle occ. saldate (3a col., il n° a sinistra della barra; il n° a destra indica le occ. totali), a parità di occ. saldate vale l’ordine alfabetico diretto. Le entrate della 2a col., munite per chiarezza dei diacritici, sono accompagnate, se necessario, dall’indicazione grammaticale: per gli articoli lo, la ecc. ometto l’indicazione se la forma è a lemma assieme a prep. articolate; per i pronomi gli e li ometto l’indicazione quando ne sia specificata la funzione morfologica («dat.», «acc.»); l’indicazione d’una serie di prep. articolate può essere troncata, per brevità, da tre punti (ali, dalli...). L’indicazione relativa al termine che segue la forma a lemma si limita in genere a precisarne il tipo d’iniziale («+ voc.» o «+ cons.»; «scons.» sta per s impura o [ʃ]), ma può anche consistere nella riproduzione del termine specifico (p. es., «+ mai»). Le forme che compaiono più volte in una stessa tabella, in ragione di diversi valori semantici o di diverse combinazioni fonosintattiche, sono provviste, quando non siano adiacenti, di rinvii interni (freccia seguita dal rango). 11 Della necessità, per il Petrarca, di «una lingua poetica [...] del tutto separata dall’accidentalità e dalla mutevolezza [...] del parlato» ha scritto, certo pensando a tutt’altro, SANTAGATA1 34. 12 Si tratta di che nanz i ‘che innanzi’ 38.11, 56.13 e la ue ‘là ove’ 71.55. Mentre la ue sarà ac- 126 LIVIO PETRUCCI cidentale (le restanti tre occ. di M son tutte saldate, laue 23.56, 282.9, 299.11), i due che nanz i, cui si oppone il solo enanzi ‘e innanzi’ 22.29, potrebbero alludere a un’incertezza del Malpaghini circa la natura aferetica di nanz i. 13 Per 46.13 il MUSSAFIA dà, con etterno, la forma del corrispondente abbozzo (V96 43); su col usata (ms. co lusata) era invece male informato. 14 Nulla qui importa che l’apocope di com corrisponda a un riflesso d’oltralpe (cfr. CELLA 253-54). 15 Non avendo compiuto spogli specifici al di fuori dei mss. del Petrarca, mi limito a segnalare dalla c. 70r-v del ms.Trivulziano 1080 (parzialmente spogliato ad altro fine, cfr. § 8): del humane; del humana; nel ecterne (= Par. I 30, 57, 64). 16 R estano fuori dal computo col lui (ed. co·llui) 32.9, 35.14 e Al lungo (ed. A ·llungo) 104.13, da discutere con gli allungamenti fonosintattici, § 10. Circa la regolarità degli usi nel ms., è da notare che solo in uano ‘invano’, ben che ‘benché’ e non che ‘nonché’ risultano presenti e sempre scissi presso entrambe le mani (M 2, 11 e 5 occ.; P 1, 6 e 4 occ.). Tra le parole non costantemente in forma analitica c’è anche qual che (1 qualche in P e 5 in M), a dispetto del fatto che il carattere composito del termine fosse così vivo da poter notoriamente dar luogo alla forma del plurale: nei Rvf se ne hanno due occorrenze autografe, la prima, con riduzione del dittongo discendente, in 237.32, in qua che uerdi boschi, e la seconda in 260.6, in quai che strani lidi. Segnalo qui che la prep. ‘dai’ è separata, da i M 66.18, nell’unica occ. del ms. che non presenti riduzione del dittongo discendente. 17 Due begli esempi ancora dal ms. Trivulziano 1080 (cfr. n. 15): era ltra ‘er’altra’ e cho mom ‘com’om’ (= Purg. I 62 e 119). 18 Non guasta, benché veramente accessorio, che in M quattro delle dieci occorrenze di be ‘bei’ cadano nel sintagma be uostrocchi 3.4, 11.14, 12.4, 44.14. 19 Nel Trivulziano 1080 c’è anche un’espunzione in servizio della rima: Paolo (Par. XVIII . 136); nel Chigiano L.VI.213 c’è un’espunzione che mi rimane incomprensibile: no.(n) fu diviso (v. 135). 20 I due casi di i’ si leggono in IV, 4, 17 e in VIII, 9, 51; non contano, perché del codice Mannelli (usufruito da BR ANCA in assenza dell’autografo) i due i’ di VII, 8, 34 e 46, e l’unico assa’ di X, 7, 27. Costituirebbero una bella controprova i quattro i’ occorrenti nei versi di IX, concl., 12 e di X, 7, 20 e 21, che sono però tutti ancora del cod. Mannelli. 21 Secondo BATTAGLIA CXLIX, la concorrenza nell’autografo del Teseida di scrizioni come «quello . altro, uno . altro, buono . Arcita, vide .il, aveva .il ecc.» e di scrizioni come «quellaltro, unaltro, buonarcita, videl, aveval ecc.», documenterebbe «che l’incertezza era più propriamente della pronunzia»; e dunque non tenendo conto di quelle espunzioni «si registr[erebbe] un fatto fonetico e non solamente grafico». 22 In M ho contato 98 et prevocalici e 633 preconsonantici, 86 (et) prevocalici e 737 preconsonantici. In P ho contato 11 et prevocalici e 36 preconsonantici, 111 (et) prevocalici e 819 preconsonantici. La prevalenza percentuale degli et prevocalici presso entrambe le mani esclude ogni speculazione sullo scioglimento della nota tironiana. 23 Le occorrenze di ned sono solo quelle indicate a testo; per le occorrenze di od in V95 (11 in M, 4 in P) rimando alle Concordanze; in V96 od occorre in 29.5, 8, 9 (bis), 11; 36.2. 24 Cfr. 22.12; 23.12; 29.7; 34.7, 12; 58.105; 60.3, 4, 14, 17; 63.3 [anche in una variante], 4, 14, 17 [anche in una variante]; 66.4; 74.6, 22, 76, 77, 78, 79, 81, 83, 95, 99, 102, 105, 110. 25 Il v. 12 di questo medesimo sonetto reca in entrambe le redazioni salde edingegnose, passato poi, con tutte le terzine, in V95 155. 26 Le parole tra virgolette sono prese a prestito da BELTR AMI 176, dove peraltro il piano del discorso è più ampio di questo mio, esclusivamente puntato su Petrarca e sul rapporto tra grafia e fonetica. 27 Cfr. 4.12; 23.2, 24, 78, 108; 30.6, 30; 78.4; 137.3; 145.7; 155.12; 156.12; 264.127; 267.4; 270.37; 288.5. 28 Cfr. 4.1 et arte; 23.17 Et un, 20 et io, 69 et acerba, 144 Et anchor, 158 Et in, 160 Et anchor; 145.4 Et ou’ è; 264.50 et addorno, 55 et agro, 59 et alma, 106 Et agli, 108 et a se, 136 et al; 267.5 Et LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 127 oimè; 270.92 et ora. 29 L’uso di ad preconsonantico è notoriamente costante nell’autografo del Decameròn; aprendo a caso, c. 59r, trovo nelle prime 20 righe della colonna di sinistra: ad tentare 8, ad casa 13, ad terra 14, ad voler e ad menarlo 17, ad tirarlo 18, ad buona 19, ad temere 20. 30 L’unicità di a udire ha probabilmente indotto un fraintendimento da parte del Malpaghini (cfr. la nota R in calce alla tabella del § 3): lo stesso Petrarca,V96 23, aveva scritto, in copia posata, volse a uederla. e suoi lame(n)ti udire, poi aggiungendo la a in interlinea (la correzione pare immediata e per ovviare un’omissione di copia). 31 Collo ‘con lo’ può intendersi come formato da con + lo, nel qual caso -[ll]- sarebbe il prodotto d’una assimilazione fonosintattica, o come esito di CU (M) + ILLU (M), nel qual caso -[ll]sarebbe di ragione etimologica (e con lo corrisponderebbe a una successiva rianalisi della preposizione). 32 Q uesti i rimandi relativi alle preposizioni.V96: (A) co la 39.4; cole 42.3, 49.3; coll’ 73.5. (B) con la 36.10; cola 28.7, 59.27, 74.30; cole 58.155, 59.44; col’ 67.9 (poi co l, per l’interposizione d’una barretta), 74.121; coll’ 37.5, 68.9, 74.124. (C) con la 3.13; con le 3.2; cola 4.14, 5.14. (D) con la 75.137 bis; con le 75.23; cola 75.23.V95 M: con la 28.67, 59.8, 135.15 (non tengo conto di con li 284.14, originariamente con gli, cfr. la n. T alla tabella del § 3); con l’ 28.37, 71.12, 174.6; co la 27.2, 102.11, 129.29, 157.4, 166.8, 264.19 e 126, 284.11, 291.2; co le 23.155, 51.14, 119.90 e 104, 170.2, 264.7, 270.59; co li 136.11 (specchi); cola 127.9, 162.14, 188.14, 264.134, 270.27, 289.13; cole 167.3; colla 20.6, 21.4, 27.5, 28.78, 53.5, 78.4, 128.67; colle 30.15 (bis), 36.3, 45.3, 75.13; co l’ 17.12, 50.32, 126.9; col’ 148.8, 165.9, 285.7; coll’ 40.4, 53.61, 58.5, 186.4.V95 P: con la 340.14; con le 322.2, 323.14, 325.84, 366.63; con li 345.13 (angeli), 359.58 (sciocchi); con l’ 345.12, 362.1; cola 223.3, 228.1, 322.13, 341.10; cole 223.3, 341.10, 359.68; coll’ 359.16. 33 L’impossibilità d’una notazione almeno un po’ sistematica del rafforzamento fonosintattico deriva dalla sua stessa altissima frequenza: anche i copisti che più vi indulgono non arrivano in effetti a registrare il fenomeno che in minima parte. 34 Le restanti modifiche sono dolce mia > mia dolce 2, io > i’ 3, orgoglio > sdegno 8, féssi > fussi 9, viso > volto 10 (è questa l’altra modifica procurata direttamente su V95). 35 L’ed. Contini è dichiaratamente basata sull’ed. Modigliani: «Usare quel codice significa ormai ricorrere all’edizione diplomatica» (CO NTINI1 287). Il Chiari avverte invece, con ovvio errore polare sfuggito alla correzione, che «il testo è stato nuovamente, e accuratamente, riveduto su l’autografo Vaticano 3196» (CHIAR I 49), e a commento di E·cciò afferma, nell’annotazione a 179.9, che il cod. reca «Ec cio», senza nulla dire della correzione di S in E e della diversa lettura del Modigliani, che mi pare molto più sicura. 36 Ho considerando anche il sonetto di Geri Gianfigliazzi in copia del Petrarca, n° 47. 37 Si tenga conto che le carte dell’epoca (A), 52 espunzioni, contengono il 21,8 % della scrittura degli abbozzi, mentre quelle del periodo (B), 14 espunzioni, ne contengono il 52,8 %. 38 I dieci componimenti più tardi sono, nell’ordine cronologico, i ni 335, 351, 355, 253, 257, 327, 347, 356, 356, 358 (cfr. § 1). 39 Nulla importa, naturalmente, che a questi a . ni rei di V95 268.6 corrisponda questanni rei di V96 60.6, perché quell’ultimo abozzo a noi noto di Che debb’io far è ancora distante dal testo copiato dal Malpaghini. 40 «All’espunzione hanno fatto ricorso nei loro autografi alcuni autori antichi: il caso più noto è il Canzoniere di Petrarca, dove peraltro le espunzioni intervengono tutte meno una in versi di mano del copista Giovanni [Malpaghini] di R avenna e non sono mai connesse con sinalefe/ elisione, bensì con apocopi dinanzi a consonante o con sincopi» (MENICHETTI 316). Si tratta ovviamente d’un equivoco sulla lista degli interventi editoriali fornita in CO NTINI2 28889; il Contini, per parte sua, non si trattenne affatto sulle espunzioni del ms., né su quelle di ragione metrica né sulle altre. 41 Cfr. CO NTINI1 290 e CO NTINI2 XXXVII. Della norma, registrata anche dal nostro maggior manuale (STUSSI 58), non tiene alcun conto lo spoglio di VITALE2 29-31. 42 La regolare applicazione della “norma Mussafia” secondo la formulazione vulgata comporta centinaia d’occorrenze.Tralasciando di dar conto di quelle di V95, agevolmente recupera- 128 LIVIO PETRUCCI bili attraverso le Concordanze, mi limito a segnalare quelle di V96. In assenza d’una precedente forma elisa: habitator 21.9; herba/ e 21.5, 58.2, 74.91; herboso 21.10; Hercole 57.8; herma 75.31; hirto 59.47; honestà 16.2; honesto/ i 32.10, honesti 70.4; honor(e) 14.4, 32.9, 51.4, 60.76, 61.4, 71.2; voci di honorare 3.13, 10.11, 44.6, 49.2, 51.2, 58.166; hora/ e 6.3, 7.7, 74.86; horribil 13.7; human/ o/ a 19.9, 24.2, 44.2, 54.4, 58.76; humido/ i 58.118, 74.43; humil(e) 15.40, 16.9, 24.1, 24.2, 29.5, 32.11, 39.7, 45.1, 58.125; humiltà 57.2, 58.104; humor 15.33; huom 28.14, 36.14, 46.7, 58.110. Dopo elisione: abitar 49.8; abito 8.6, 63.43; erba/ e 12.2, 15.15, 15.37, 27.9, 29.1, 45.11, 49.14, 53.13, 58.111, 59.53, 73.9, 75.31; erbetta/ e 7.9, 8.9; onestate 26.10, 30.3; oneste 75.89; onor 26.13; onorata 53.7; ora/ e 24.13, 32.13, 59.39, 75.62; umana/ e 14.13, 75.33; umiliasse 58.66; umiltà 13.11, 48.7; uom(o) 51.8, 58.39, 58.119, 58.136, 69.17, 74.19. 43 Sette su trentadue significa un 22 %, percentuale a colpo d’occhio altissima rispetto a quella delle forme suscettibili di h- sul totale delle forme inizianti per vocale. 44 Irrilevanti le rimanenti imprecisioni: edre per edra e il presunto erbette collocato al v. 36 invece che al 31. 45 Hora/ e in M 50.27, 152.13, 271.1, 272.1, 317.8 e in P 191.7, 219.13, 255.4, 255.12, 319.3, 323.23, 329.1, 331.20, 349.1, 356.8, 360.61. Ora in M 28.61, 39.5, 53.49, 53.88, 56.3, 65.9, 87.12, 96.13, 119.18, 142.34 e in P 270.92 (bis), 291.4, 239.22, 347.10, 355.4, 359.6. 46 Cfr. le Concordanze, avvertendo che oltre quelle precedute da elisione sono saldate le seguenti occorrenze: ad or 71.75, 147.3 (bis), 169.3, 264.95, 346.11 (bis); ed or 4.12; (et) or 362.7. 47 Hora in 6.3, 7.7, 74.86. Ora in 59.29, 69.38, 75.42, 75.68. Or in 1.2, 3.10, 4.3, 4.6, 5.2, 6.7, 7.5, 10.8, 13.11 (bis), 13.11, 14.8, 16.5, 18.7, 20.10, 21.12, 26.13, 44.5 (ter), 46.4, 50.13, 52.4, 53.7, 58.30, 59.19, 60.55, 63.70, 69.4, 69.12, 69.20, 69.38, 74.34, 74.82, 74.110, 75.16, 75.42 (ter), 75.145. 48 M’accontento di riportare i quattro esempi reperibili nella prima pagina, c. 2r, del ms.: in piccola hora (col. a, r. 21) e la sua ultima hora (col. b, r. 37), ma la nocte hora ad quella taverna hora ad quella altra andando (col. a, rr. 47-48). 49 Huom in 28.14, 36.14, 46.7, 58.110. Uom/ o preceduto da saldatura in 51.8; 58.39, 119, 136; 69.17; 74.19. Senza precedente saldatura vom 74.16 e vomo 74.23, 38. 50 A non voler tener conto di Homo 366.136 e Homini 239.19, perché integralmente latini, abbiamo pur sempre 5 huom senza saldatura (245.6; 336.10; 360.8, 117, 126) contro 9 uom / uomo dopo saldatura (203.12, 207.17, 218.11, 236.2, 331.61, 342.11, 351.9, 359.26, 366.110); e si aggiunga pure che nelle 13 occorrenze autografe del corradicale (h)umano presenza e assenza dell’h- obbediscono alla norma generale. 51 Anche le forme di mano del copista sono ben petrarchesche: anchora è negli autografi latini (RO SSI CLXVI), e choro occorre, in volgare, in V96 75.43. 52 Per le occorrenze di ancor in V95 rimando alle Concordanze. Q uesto lo spoglio di V96: (A) ancor(a) 40.13, 42.7, 53.1, 58.2, 58.27, 71.6; anchor 58.50. Periodi successivi anchor(a) 6.9, 15.23, 15.39 (ripetuto in una variante), 16.11, 18.8, 19.6, 23.13, 34.13, 58.144, 59.41, 60.14, 60.33, 60.74, 63.14, 63.33, 63.46, 63.76, 74.18, 74.42 (ripetuto in una variante), 75.14, 75.23, 75.97, 75.141; ancor 11.10, 58.137, 59.18. 53 Per gli ess. di ancho in V95 rimando alle Concordanze, quelli di V96 sono in 10.4 e 74.18. Sotto la mano del Malpaghini le cose cambiano notevolmente perché ai suoi 5 chancor si accompagnano ben 10 chanchor; e qui non escluderei che il copista abbia iniziato col seguire il modello, ma poi, non avendo introiettato la “regola”, sia ben presto passato ad adottare il maggioritario anchor come tipo unico. Così suggerirebbe anche la distribuzione delle occorrenze: chancor 10.3, 16.11, 20.1, 23.137, 63.5; chanchor 27.12, 53.29, 70.5, 76.4, 83.6, 127.34, 135.84, 187.10, 270.18, 279.7 (non insisto sul fatto che la penultima occorrenza corrisponda a chancor di V96 59.18, perché la dipendenza dall’abbozzo non può essere diretta). La diversa ipotesi che i suoi molti chanchor fossero già negli esemplari è resa poco plausibile dalla precisa convergenza di P con le pagine meno remote di V96. 54 Per la verità il MUSSAFIA, forse troppo preoccupato di neutralizzare il sospetto d’una frequentissima deroga alla norma della fognatura dell’h-, aggiunse un’ipotesi subordinata: che l’h spettasse alla c «per il vezzo del P. di scrivere ch dinanzi a e o, cfr. stancha, mancho, ecc.» (l.c.), il LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 129 che però non può essere perché, come abbiamo visto, la sorte di anchora è troppo diversa dalla sorte delle forme del tipo stancha, mancho ecc. 55 A proposito dell’effettiva prevalenza del tipo de la nei canzonieri antichi, basti osservare che nel fiorentino Vat. Lat. 3793, il “Canzoniere Vaticano” datato «tra l’ultimo decennio del Duecento e il primo decennio del secolo successivo» (PETRUCCI2 41), non ricorrono che 11 occ. del tipo - ll- in posizione preconsonantica (i rinvii sono quelli consueti per le CLPIO ): alla mia donna 90 Neri.4, alla sua giente 887 LaFr.6, alle fiate 516 Cion.3, alli suoi 72.10, dalla chui rimembranz a 167.5, dalla più avenente V 273.24, della mia vita 206 ChDa.25, dello leone 204 ChDa.42, dello senno 444 GuAr.5, dello suo fallimento 108 ToFa.44, nella quale 45 GiMo.27; cui si aggiunge, nella tavola iniziale dei componimenti, alle loro donne Indice xvij.2. R ingrazio Lino Leonardi per avermi cortesemente permesso di consultare le CLPIO in formato elettronico. 56 «I poeti della prima scuola impiegavano forme analitiche (si vd. Caix 1881, § 194); così i siculo-toscani (Guittone, Monte Andrea, Davanzati) e Dante lirico e della Commedia (altresì nella prosa del Convivio). Gli stilnovisti, se ancora impiegano maggiormente le forme con la liquida scempia, esibiscono però numerose forme con la consonante doppia, sia davanti a iniziale vocalica (all’aire, all’anima, all’amoroso, ecc.; dall’anima; dell’animo, dell’alma, ecc.; coll’anima, coll’arco, ecc.) sia davanti a iniziale consonantica (dallo cor, nella mente, nella sua, nella presenz a, nelle braccia, nello stato, ecc.). Il Boccaccio poeta, a parte l’assoluto gradimento per le forme analitiche con preposizione con e i rarissimi casi di forme analitiche con de nel Teseida, ha sempre le forme con doppia consonante sia davanti a iniziale vocalica sia davanti a iniziale consonantica» (VITALE 144 n. 17). 57 Mi sono limitato, per economia, alle sole preposizioni della e nella, cioè alle forme della, nella, de la, ne la, dela, nela. L’inchiesta è stata condotta tramite ItalN et, e ha riguardato tutte le unità che quella base testuale data precisamente tra il 1330 e il 1374, indica come di area linguistica senz’altro fiorentina e classifica come «documenti», «statuti» e «lettere»; ho però escluso l’epistola di Giovanni Boccaccio a Pino de’ R ossi, casualmente finita tra quei testi pratici. Avverto che le singole unità testuali di ItalN et, che chiamerò per semplicità “testi”, possono corrispondere, almeno nel settore esaminato, per un verso a parti di testi e per altro verso ad insiemi di testi omogenei; avverto inoltre che alcuni testi sono stati immessi in formato elettronico solo per campioni. Per l’individuazione bibliografica dei testi rimando al medesimo ItalN et, da cui ripeto le titolature, non sempre identiche a quelle delle edizioni usufruite: al titolo del testo faccio seguire tra parentesi tonde la relativa datazione (a meno che questa non sia già compresa nel titolo). 58 Aggiungo un sommario, privo d’ogni rinvio, della situazione nel resto della Toscana (per le stesse forme, per lo stesso tipo di testi e per lo stesso arco d’anni indicati nella n. precedente): il tipo con - l- è assolutamente preponderante nei documenti senesi, aretini e cortonesi, e abbastanza attestato a Pisa, dove risulta però sempre minoritario nei testi posteriori agli anni ’40; il tipo con - ll- è viceversa nettamente predominante a Lucca, Pistoia e Prato. Tutte queste emergenze risultano ben accomodate alla situazione precedente delle singole aree; cfr. CASTELLANI2 374 e CASTELLANI6 314, 358, 420-21. 59 O pponendo, come s’è visto, «le forme analitiche (con la liquida scempia)» alle «forme assimilate (con la liquida doppia in ogni caso)», il VITALE pare appunto escludere, pago dell’edizione, le forme sintetiche con l scempia: assumo il suo assimilate per ‘sintetiche’ sia perché non vedo in che altro senso della sia una forma assimilata sia perché così suggerisce la precisazione «con la liquida doppia in ogni caso». 60 Le parole sono scambiate, in un racconto di Vitaliano Brancati, datato 1941 ed ambientato a Pachino nei primi anni del ’900, tra il ventenne Francesco Maria Lanteri e un amico, cui egli legge, nel cenacolo della farmacia del paese, l’appena pubblicato Alcyone: ne era entrato casualmente in possesso il giorno prima e lo aveva divorato in una notte. Cito da Vitaliano Brancati, Opere 1932-1946, a cura di Leonardo Sciascia, Milano, Bompiani, 1987, p. 868. 61 «Q uei de la e a la [dell’ed. Barbi] [...] appaiono al mio gusto, se mi è lecito dire, un tratto ottocentesco, da “ode barbara” carducciana» (GO R NI 291); si sarà anche notato, nella frase riportata a testo, quel «regola valida perfino per la prosa», che dà per già consumata una differenzia- 130 LIVIO PETRUCCI zione tra forme della prosa e forme del verso che per quell’epoca e su questo punto specifico sarebbe tutta da dimostrare. 62 L’ed. Contini analizza glinvescati come gl’invescati, e linfiniti e linganni come li ’nfiniti e li ’nganni (ma sempre d’infiniti 86.6, 235.10, 339.11 e d’inganni 138.5), mentre le edd. CarducciFerrari e Chiari stampano gl’invescati, l’infiniti e l’inganni. 63 Facendo conto sulle Concordanze, ometto i rinvii al testo (ma cfr. la n. precedente). Nel computo relativo ad M ho trascurato li occhi 284.14 per il motivo indicato nella nota T alla tabella del § 3; in quella medesima tabella era stato trascurato, perché preceduto da h- (§ 2), li hebrei P 206.27, che ora rientra naturalmente nel computo. 64 (A) gli 38.2, 14; 41.4; 44.14; 46.4; 48.5; 49.2; 53.4; 54.3, 7; 56.10; 57.6; 58.65, 72; 70.2; 72.1, 6. (B) gli 16. 8; 17. 1, 5; 23. 8; 26. 7; 31. 5; 33. 10; 37. 5 [ripetuto in una var. ]; 58. 101; 59. 40; 60. 39, 77; 63. 3, 6, 39; 68. 6; 69. 14; 74. 11, 24, 37 [ripetuto in una var. ], 43, 60, 68 [ripetuto in una var. ], 119; le occorrenze di gl e l sono indicate a testo. (C) gli 4.12; 5.12 [ripetuto in una var.]; 8.7; 13.7, 14; li 15.3, 13 e 69.10 [in una giunta interlineare datata 1368]. (D) gli 75.130; li 75.11, 58, 79, 101; le occorrenze di gl sono indicate a testo. Per il periodo (C) ho trascurato un’occorrenza compresa nel sonetto di Sennuccio, gli occhi 1.4. 65 Il Nostro leggeva dellarbor in APPEL1 34;V96 15.3 reca in realtà delli arbor come il corrispondente, e autografo, 323.27 di V95. 66 Si tratta, cfr. la n. 64, delle occorrenze reperibili nei componimenti 16, 17, 23, 26, 31, 33, 37 e 74. 67 Anche questa ricerca è stata condotta tramite ItalN et; valgono in proposito le avvertenze già fornite nella precedente n. 57, aggiungendo che in questo caso il vincolo cronologico è appunto “tra il 1211 e il 1374”, e che all’interno di tale limite ho accolto anche i testi di datazione meno precisa, tra i quali non ho però tenuto in conto la Pratica della mercatura di Francesco Pegolotti (XIV, prima metà), che senz’altro non è un “documento” e che è per di più trasmessa da un ms. del XV secolo. 68 Mi limito ad elencare i testi integralmente duecenteschi che presentano esclusivamente o prevalentemente le forme gl(i)/ lgl(i): Libro di conti di banchieri fiorentini del 1211; Ricordi di compere e cambi di terre in Val di Streda e dintorni (1255-90, [2 gli, 1 li]); Libro d’amministraz ione dell’eredità di Baldovino Iacopi Riccomanni (1272-78); Conto delle mercanz ie di Pisa tenuto da Stefano Soderini (1278-79); Testamento della contessa Beatrice da Capraia (1279); Libro d’introiti e d’esiti di papa N iccolò III nella Marca, tenuto dal tesoriere Ruggieri da Firenze (1279-80); Libro del dare e dell’avere, e di varie ricordanze, di Lapo Riccomanni (1281-97, [17 gli, 1 li]); Capitoli della Compagnia di San Gilio (ante 1284, [6 gli, 2 li]); Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio (1286-90 [12 gli, 1 li]); Quaderno di tutela dei minori Perotto e Fina di Paghino Ammannati tenuto da Compagno Ricevuti (1290-95); Libro degli ordinamenti della Compagnia di Santa Maria del Carmine (1290-98 [22 gli, 3 li]); Lettera di messer Consiglio de’ Cerchi e messer Lapo de’ Cerchi, e compagni, in Firenze, a Giachetto Rinucci, ed a Ghino ed agli altri compagni (1291); Lettera di messer Consiglio de’ Cerchi, e compagni in Firenze, a Giachetto Rinucci, e compagni, in Inghilterra (1291); Quaderno di riscossione dei crediti di messer Consiglio de’ Cerchi (1291-98); Libro del dare e dell’avere di N offo e Vese figli di Dego Genovesi (1291-1300, [8 gli, 1 li]); Libro del dare e dell’avere di mercanti fiorentini in Provenz a, tenuto da Matino Mannucci (1299-1300). 69 Ai sei testi integralmente duecenteschi che presentano li minoritario (cfr. la n. precedente) si aggiungeranno: Statuto dell’Arte degli oliandoli (1310/ 13, [47 gli, 14 li]); Documenti relativi alle Compagnie dei Bardi e dei Peruz z i (1310-60, [2 gli, 1 li]); Lettere e istruz ioni della prima metà del secolo XIV dettate dai Cancellieri [di Firenze] in lingua volgare (87 gli, 7 li); Provvisione concernente l’elez ione del N otaro della Signoria (1320, [5 gli, 1 li]); Ordinamenti di Giustiz ia del Popolo e Comune di Firenze (circa 1324, [120 gli, 35 li]); Statuto dell’Arte di Calimala del 1334 (119 gli, 15 li); Statuto degli albergatori volgariz z ato (1338/ 1370, [111 gli, 6 li]); Quaderno dei creditori di Taddeo dell’Antella e compagni (1345, [8 gli, 1 li]); Ordinamenti intorno agli sponsali ed ai mortorii (Magl. XXIX. 108) (XIV, prima metà, [9 gli, 2 li]); Ricordanze del Provveditore Filippo Marsili (1353-58, [34 gli, 4 li]); Ordini della Scarsella de’ mercanti fiorentini per la corrispondenz a tra Firenze e Avignone (1357, [3 gli, 2 li]); Ricordanze del Provveditore Cambino Signorini (1358-59, [2 gli, 1 li]); Statuto dell’arte dei vi- LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 131 nattieri (ante 1364, [129 gli, 4 li]); Documenti del trattato della Repubblica con Ugolino degli Ubaldini per l’acquisto del Caprile (1373, [2 gli, 1 li]); Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 1374 (11 gli, 10 li). 70 Le espressioni segnalate (in modo del tutto casuale) sono tratte, nell’ordine da: Estratti notarili del Libro del dare e dell’avere di Castra Gualfredi e compagni dei Borghesi (1259-67), Libro del dare e dell’avere di Gentile de’ Sassetti e suoi figli (1274-1310), Statuto dell’Arte di Calimala del 1339. Riforme e correz ioni (1341-53), Ordinamenti contro alli soperchi ornamenti delle donne e soperchie spese de’ moglaz z i e de’ morti (1356), Libro della Parte del Guelfo di Firenze (1276-79), Quaderno di ricordi di messer Filippo de’ Cavalcanti (1290-1324), Capitoli della Compagnia di San Gilio (ante 1284), Statuto della Parte Guelfa di Firenze compilato nel MCCCXXXV . 71 P. es.: Libro del dare e dell’avere dei figli di Stefano Soderini (1306-25: lulio, molie, ricoliere, tovalia, tovaliuole); Statuto dell’Arte degli oliandoli (1310/ 13: medallia); Documenti relativi alle Compagnie dei Bardi e dei Peruz z i (1310-60: lullio); Liber mercatorum de fFriscobaldis (1311-13: lullio, medallia/ e, milliaia, vermillio); Ordinamenti di Giustiz ia del Popolo e Comune di Firenze (circa 1324: galliardi); Statuto dell’Arte di Calimala del 1334: filliolo); Libri di commercio dei Peruz z i (133546: filiuolo/ a/ i, lulio, miliaio, molie, ricoliere). 72 L’occorrenza è certamente plur., come assicura il contesto che merita di essere riportato nella sua interezza: «Anchora conperai da meser La[n]bertuccio Frescobaldi, da meser Uberto di meser R ugieri R osso e da Guido Chavalcha[n]ti i· chasolare del cha[n]to da la piaza de l’Uberti, il quale fue di messer Farinata, e fuoro due conpere: l’una da messer La[n]bertucio, e fecie la carta ser Lapo Cinghetti, l’atra da meser Uberto e da Guido, e fecie la carta ser Istefano; di chuesta conpera non ò io ancora paghato danaio sin’a dì xxvij di ma[r]zo anno iijcij ch’io feci questa iscritta». Non me la son sentita di computare, neanche per tuziorismo metodologico, la seguente partita, «Demo per lei con sua parola al Maestruzzo per raconciare l’ovi, lbr. 9 s. 4 picoli.Valgliono, a ffior. lbr. 3 s. 17 d. 4», che si legge nell’ed. del Libro bianco dell’Arte della lana di Francesco di Iacopo Del Bene e di Stoldo di Lapo Stoldi (1355-71), «Archivio dell’Istituto Giapponese di Cultura di R oma», IV (1966-67), p. 70. 73 Più ovviamente eliminabile, anche se il caso non è frequentissimo, la i di (l)gli (ho contato 144 occ. di (l)gl), anch’essa diacritica ma senz’altro meno necessaria in scritture in cui erano frequenti forme come famiglare, luglo, figluolo o, un po’ meno diffuse, familgla, volglo, filgluolo (ne ho contato complessivamente un migliaio d’occorrenze). Fuor di Firenze, è vero, le cose stanno altrimenti. Nei testi documentari pistoiesi e pisani ho ad es. contato 33 e, rispettivamente, 29 occ. di l’ m. pl. avanti vocale diversa da [i], ma in quei medesimi testi domina l’art. li mentre la presenza di gli vi è assolutamente minoritaria: a Pistoia ho contato 220 occ. di li contro 10 di gli e a Pisa ancora 10 occ. di gli contro oltre 1360 occ. di li; nel terzo più importante centro della Toscana occidentale, Lucca, dove non ho trovato alcun esempio di l, ho incontrato un solo gli a fronte di 180 occ. di li. 74 Hanno li solo dopo per il Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio (1286-90: per li avogati; per il resto 12 gli) e i Documenti relativi alle Compagnie dei Bardi e dei Peruz z i (131060: per li altri; per il resto 2 gli). Nelle Lettere e istruz ioni della prima metà del secolo XIV dettate dai Cancellieri [di Firenze] in lingua volgare il tipo li è preceduto da per sei volte su sette: per li Ambasciadori, per li Ubertini, per li usciti, per li ufficiali, per li Ubaldini, per li Uz anesi (per il resto 87 gli). Nelle Ricordanze del Provveditore Filippo Marsili (1353-58) ricorrono dopo per due delle quattro occorrenze intercettate: per li operai, per li aspi (per il resto 34 gli). 75 In fortissimo incremento anche la scrizione “elisa” gl rispetto a gli, 49 occ. su 63, cosa che era logico attendersi dato che la -i dell’articolo diviene in questo caso del tutto superflua (all’interno di parola non trovo che un paglii, plur. di palio, nello Statuto dell’Arte di Calimala del 1334). Q uesti i dati dello spoglio. LA FO R MA gli O CCO R R E IN : Capitoli della Compagnia dei portatori di Firenze (1317): degli infrascripti; Constituto e Statuto dell’Arte e dell’Università dei monetieri di Firenze (XIV, prima metà): gli infrascripti; Ordinamenti e statuti dell’Arte e dell’Università dei monetieri della città di Firenze (XIV, prima metà): gli infrascritti; Lettere e istruz ioni della prima metà del secolo XIV dettate dai Cancellieri [di Firenze] in lingua volgare: degli infrascripti; Scritta di ser Francesco Masi (1360): cogli / degli infrascritti (3 occ.); Statuto dell’Arte dei vinattieri (ante 1364): gli im- 132 LIVIO PETRUCCI borsati, gli infrascritti (2 occ.), gli iniqui, gli invitatori; Statuto degli albergatori volgariz z ato (1338/ 70): degli infrascritti. LA FO R MA gl O CCO R R E IN : Libro degli ordinamenti della Compagnia di Santa Maria del Carmine (1280-98): gli ’nfermi; Capitoli della Compagnia di San Gilio (ante 1284): gli ’nfermi, gli ’Nnocenti; Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio (1286-90): gli ’nponitori / gl’inponitori (4 occ.), gli ’nfermi (5 occ.); Lettera di messer Consiglio de’ Cerchi, e compagni in Firenze, a Giachetto Rinucci, e compagni, in Inghilterra (1291): gl’inghilesi (2 occ.); Statuto dell’Arte degli oliandoli (1310/ 13): gl’infrascritti, gl’inponitori; Capitoli della Compagnia dei portatori di Firenze (1317): gl’infrascripti; Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 1330: gl’infermi; Libro verde segreto dell’asse C. [degli Alberti del Giudice] (1333-52): gl’infrascritti; Statuto dell’Arte di Calimala del 1334: gl’infermi; Libri di commercio dei Peruz z i (1335-46): gl’infrascritti, gl’Inghilesi; Lettere e istruz ioni della prima metà del secolo XIV dettate dai Cancellieri [di Firenze] in lingua volgare: gli ’nfrascripti (3 occ.); Statuto del Capitano del Popolo di Firenze. Rubrica concernente l’elez ione e imborsaz ione dell’Ufficio dei Priori, Gonfaloniere e loro N otaio (1352): agl’infrascritti, agl’inborsamenti; Ricordanze del Provveditore Filippo Marsili (1353-58): gl’infrascritti (6 occ.); Capitoli della Compagnia dei Disciplinati della città di Firenze (1354): gl’infrascritti (2 occ.); Statuto del podestà di Firenze del 1355: gl’infrascritti; Ordini della Scarsella de’ mercanti fiorentini per la corrispondenz a tra Firenze e Avignone (1357): gli ’nfrascritti; Deliberaz ioni dei Capitani della Compagnia della Misericordia di Firenze riguardanti il testamento di N eri Boscoli (1363): delgl’infrascripti; Statuto dell’Arte dei vinattieri (ante 1364): gl’infrascritti (2 occ.); Lettere scritte da vari Commissari alla Signoria nel 1364 intorno ai movimenti della Compagnia degli Inglesi: algl’/ gl’Inghilesi (3.occ.), cogli / degli ’Nghilesi (3 occ.); Lettere del Comune di Firenze concernenti il ritorno della Santa Sede in Roma (1367): agl’infrascripti; Statuto degli albergatori volgariz z ato (1338/ 70): gl’infrascritti; Lettera di Michele di Ridolfo, Tomaso di s. Manetto e Matteo de Riccho, Consoli di Calimala residenti a Genova, ai Consoli dell’Arte di Calimala (1374): degl’inghilesi; Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 1374: agl’/ gl’infermi. LA FO R MA li O CCO R R E IN : Libro degli ordinamenti della Compagnia di Santa Maria del Carmine (1280-98): li infrascritti; Statuto dell’Arte degli Oliandoli (1310/ 13): per li imponitori (2 occ.); Capitoli della Compagnia dei portatori di Firenze (1317): li infrascripti; Statuto dell’Arte di Calimala del 1334: li infrascritti (2 occ.); Capitoli della Compagnia dei Disciplinati della città di Firenze (1354): delli infermi; Statuto dell’arte dei rigattieri e venditori di panni lini e lino di Firenze (1357): delli infrascritti; Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 1374: delli infermi (3 occ.). LA FO R MA l O CCO R R E IN : Testamento della contessa Beatrice da Capraia (1279): ali ’nfrascritti; Libro d’introiti e d’esiti di papa N iccolò III nella Marca, tenuto dal tesoriere Ruggieri da Firenze (1279-80): l’interraghatori; Capitoli della Compagnia di San Gilio (ante 1284): li ’nfermi (6 occ.); Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio (1286-90): li ’nfermi; Capitoli della Compagnia della Madonna d’Orsammichele (1294-97): de l’insegnatori; Ricordanze di S. Maria di Cafaggio (1295-1322): dell’Innocenti; Ricordanze di Guido Filippi dell’Antella (1299-1312): a l’Infa[n]ghati; Ordinamenti di Giustiz ia del Popolo e Comune di Firenze (circa 1324): l’impotenti, l’infamati, l’infrascritti, l’inganni, l’iniqui (per 8 occ. complessive); Statuto dell’Arte di Calimala del 1334: l’infrascritti; Statuto degli albergatori volgariz z ato (1338/ 70): l’infrascritti; Statuto del Capitano del Popolo di Firenze. Rubrica concernente l’elez ione e imborsaz ione dell’Ufficio dei Priori, Gonfaloniere e loro N otaio (1352): l’imborsati; Capitoli degli Ordini dello Spedale e Chiese di Santa Maria N uova e di San Gilio di Firenze del 1374: all’infrascritti. 76 Per la verità RO HLFS § 414 non esclude affatto la palatalizzazione di [li] avanti [i]: «gli si è formato nei nessi i l l i a m i c i , i l l i i s p i r i t i». La trafila [li] + voc. > [ʎ] + voc. presuppone però uno stadio intermedio [lj] + voc., a sua volta indotto dal passaggio di [i] alla semiconsonante, [j], in ragione dello iato di [i] con vocale di timbro diverso: lo iato con altra [i] si risolve invece con la fusione delle due in un’unica [i]. Insomma le tendenze fonetiche generali avrebbero comportato la presenza di due forme dell’articolo m. pl. prevocalico, una non palatalizzata, avanti [i], ed una palatalizzata, avanti [a], [e], [o], [u]; il meccanismo di tale alternanza sarebbe lo stesso che ha determinato nella lingua antica un diverso sviluppo consonantico del suffisso - AR IUS in ragione del numero: al sing. -[ajo] < -[arjo] < - AR IUM, ma al plur. -[ari] < - AR II (cfr., p. es., i vari casi di operaio / operari nello Statuto dell’Arte di Calimala del 1334). L’analogia ha LA LETTER A DELL’OR IGINALE DEI RERUM VULGARIUM FRAGMENTA 133 però esteso, prima o poi, il plur. gli a tutte le parole per le quali si era via via stabilizzato l(o) al sing.; cfr. MAIDEN 129-30, dove peraltro si discorre dell’estensione di gli in posizione preconsonantica (gli scogli, gli gnomi, ecc.). 77 Per quanto le edizioni dei testi non documentari non offrano le (relative) certezze offerte dalle edizioni dei testi documentari, ho provato a fare una ricerca, estesa a tutti i testi che vengono definiti «fiorentini» nella base testuale di ItalN et, relativamente a un gruppo di 12 termini (idioti, idolatri, idoli, idraulici, Illirici, ipocriti, iracondi, iracundi, iracundiosi, irascibili, Italiani, Italici). I risultati sono abbastanza congruenti con quelli ottenuti esaminando il corpus di testi pratici preso finora come riferimento: le forme in questione sono precedute 38 volte da gli e 150 volte da gl, 40 volte da li e 95 da l. 78 La medesima ambiguità di segmentazione era naturalmente generata dal gioco elisione / prostesi nelle occorenze avanti [s] + cons., trascurate nel precedente spoglio. 79 Il segno di sinalefe è impiegato, «per non complicar le cose e non introdurre troppi distinguo», anche quando si avverta con chiarezza della realtà fonetica soggiacente: cfr. MENICHETTI 316-17, con un debito, non denunciato, verso l’esposizione di MUSSAFIA, e con una bella discussione della congettura di Contini in Fiore 24.12, Ch[ed] egli à ’n ben guardar troppo fallito, congettura già avanzata, meno risolutamente, da Ernesto Giacomo Parodi e imposta dall’esclusione della dialefe egliˇà. 80 Le cose vanno in tutt’altro modo presso il non toscano Malpaghini: gle ‘gli è’ 125.42 ma glieffecti 25.3 e 73.62, gli electi 26.12, gli extremi 120.5, glielementi 154.1. 81 Per il rapporto inverso che corre tra la capacità di saldatura dei non connettori e la loro “lunghezza” cfr. la ben diversa sorte dei monosillabi, bisillabi e trisillabi seguiti da ’l / ’n (P, ranghi 33, 41, 63). 82 Non m’è riuscito di capire perché l’ed. rechi ad ognor, e non ancora ad ogni or, a fronte di adognior del ms. (148.7, 175.3, 265.7), così come ad ognor, e non ad ogn’or, a fronte di adognor del ms. (125.10).Tutti questi casi riguardano comunque M. 83 Gli interventi del Petrarca occorrono in: 3.14, 22.37, 23.10, 37.96, 40.12, 50.54, 53.31, 66.39, 68.13, 71.17, 71.19, 71.97, 80.34, 94.8, 128.120, 157.13, 158.6, 158.9, 158.12, 178.3, 183.3, 183.9, 185.10, 268.40, 270.104, 277.13, 280.5, 281.6, 283.2, 284.7, 285.4, 288.14, 289.3, 289.7, 293.14, 297.3, 297.11, 303.6, 315.14, 316.12. Le pagine interessate sono: 1r, 3v-4r, 9r-v, 11v-12r, 14v-15v, 19r, 21r, 29r, 34r-v, 37r-v, 54v, 56r, 57r-60r, 61v. 84 Cfr., p. es., quanto osservato nel § 10 a proposito della localizzazione delle preposizioni articolate intere con -ll- in M. 85 Lo spoglio dà conto delle forme piene non in rima, e di bei solo se immediatamente preposto al determinato. Per i rimandi a V95 rinvio alle Concordanze. Q uesti i rimandi a V96 (sono stati esclusi i sonetti dei corrispondenti): (A) be’ 40.14, 41.2; (B) be’ 34.5, 61.5 / bei 22.5; (C) bei 8.8, 15.4, 15.15, 15.32; (D) be’ 75.128. (A) co’ 71.14 / coi 70.3; (B) co’ 28.9 / coi 27.13. (B) e’ 58.156, 59.20, 60.66, 63.66, 74.101, (D) e’ 75.84. (A) fu’ 53.8, (B) fu’ 58.161 / fui 28.12, 29.13, 58.164, 58.165, 59.40, 74.24. (B) qua’ 60.18, 63.18. (A) que’ 40.1, 50.9, 57.7, (B) que’ 22.5, 23.10, 34.5, 34.10, 58.107, 74.10 / quei 28.9, (D) quei 75.55, 75.127. (C) 11.10, ta’ nodi poi sostituito da tai lacci, ma ta’, che sarebbe l’unica occ. ridotta di questo periodo, oggi non si legge più (cfr. l’apparato dell’ed. Paolino). 86 In V95 e in V96 l’articolo risulta fognato solo dopo le forme che (nell’ed. anche ché), contra, e, ecco, entro, fra, o, oue, se, tra: si sono conseguentemente computate solo le occ. di i successive a queste forme. M ’ 3.6, 25.7, 43.13, 48.5, 53.14, 58.4, 66.24, 74.9, 84.13, 93.9, 99.6, 105.43, 119.20, 125.61, 128.4, 128.120, 135.19, 138.10, 144.9, 172.7, 174.4, 279.12, 282.5, 297.7, 316.3 / i 3.4, 9.6, 12.5, 12.6, 12.11, 23.38, 23.43, 23.45, 30.37, 37.84, 37.101, 46.1, 46.1, 50.33, 50.41, 50.43, 53.32, 53.58, 53.60, 53.60, 53.60, 61.11, 66.24, 69.12, 70.9, 89.10, 92.12, 96.3, 103.7, 105.70, 107.14, 110.3, 110.11, 119.101, 128.12, 135.58, 137.11, 142.6, 151.8, 163.2, 167.2, 171.14, 177.3, 180.8, 270.56, 270.57, 272.14, 273.5, 276.8, 280.9, 280.10, 280.10, 280.14, 283.2, 286.10, 291.12, 292.2, 305.8, 310.2, 317.4, 318.10. P ’ 217.8, 255.9, 259.7, 360.49, 360.113, 366.18 / i 198.4, 203.10, 213.9, 237.18, 254.10, 328.5, 332.3, 353.4, 354.10, 359.70, 360.72, 360.73, 192.9, 249.10, 259.2, 320.1, 328.5, 332.10, 353.4, 357.8, 366.128.V96 (A) ’ 43.1, 52.12, 134 LIVIO PETRUCCI 58.38 / i 43.1, 46.13, 58.45, 73.4, (B) ’ 16.7, 59.41, 59.42, 63.26, 67.11, 68.11, 74.91 / i 35.8, 59.41, 74.121, 74.123, (C) ’ 15.15 / i 7.9, 8.9, 12.2, 15.4, 15.37, (D) i 75.23, 75.89, 75.128. 87 Ne fornisco l’elenco limitandomi a segnalare la prima occorrenza. Compendi (omessi i titoli): aia = a(n)i(m)a (58.121), aie = a(n)i(m)e (75.82), coe = co(mun)e (74.81), n = n(on) (15.12), nra = n(ost)ra (75.64), nro = n(ost)ro (63.15), qn = q(ua)n(do) (11.9), qnuq3 = q(ua)n(d)u(n)q(ue) (75.84), qto = q(uan)to (63.13), qi = q(uas)i (58.12), uo = u(ost)ra (69.25). Abbreviazioni: ch con taglio nell’asta per ch(e) (11.5) e ch’(è) (54.11), ɔ per (con) / (com) (47.10), ɔ con titolo increspato per (contra) (65.7), l con taglio nell’asta per l(o) (60.23), m con titolo per m(en) / m(em) (8.7), q con titolo per q(ue) (7.4). 88 O tto canzoni, cinque di mano del copista e tre autografe, presentano tre versi per rigo in punti fissi della stanza (ni 50, 207 e 359 in corrispondenza dei vv. 7°-9°; ni 70, 206 e 268 in corrispondenza dei vv. 5°-7°; ni 125 e 126 in corrispondenza dei vv. 1°-3°, 4°-6°, 7°-9°): in tutti questi casi l’«eccezione» è indotta da sequenze di tre versi brevi, o di due brevi e uno lungo col primo verso che cade all’inizio di rigo; le medesime sequenze si verificano in altre quattro canzoni (37, 128, 135, 366, le prime tre di mano del copista), che sono però tutte scritte a due versi per rigo. Infine, come s’è avvertito spiegandone il motivo, l’autografa Quel’antiquo mio dolce (n° 360) è tutta scritta a tre versi per rigo. 89 Premesso che in V96 pressoché tutti i sonetti risultano scritti a due versi per rigo (solo i ni 29 e 31 hanno i terzetti separati tramite capoverso), presentano almeno tendenzialmente l’incolonnamento dei versi pari i ni 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 49, 50, 56 [periodo (A)]; 16, 17, 18, 19, 24, 26, 28, 29, 31, 33, 35, 36 [periodo (B)]; 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 14 [periodo (C)]. O mettono almeno tendenzialmente l’incolonnamento dei versi pari i ni 47, 48, 51, 52, 53, 54, 57 [periodo (A)]; 20, 21, 22, 23, 25, 27, 30, 32, 34 [periodo (B)]; 1 [periodo (C)].