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Quintiliano e l’ Institutio oratoria

Oggetto di questo saggio è un approfondimento del trattato Institutio oratoria di Marco Fabio Quintiliano; dopo un breve focus sulle notizie biografiche dell'autore, comparate alla cronologia dell'Opera, viene fatta un'analisi della stessa sia contenutistica che stilistica. Inevitabili i confronti con Catone e Cicerone per i cui approfondimenti si rimanda alle note in calce.

Ilaria Giacobbi Letteratura latina Titolo: Quintiliano e l’ Institutio oratoria ABSTRACT Oggetto di questo saggio è un approfondimento del trattato Institutio oratoria di Marco Fabio Quintiliano; dopo un breve focus sulle notizie biografiche dell’autore, comparate alla cronologia dell’Opera, viene fatta un’analisi della stessa sia contenutistica che stilistica. Inevitabili i confronti con Catone e Cicerone per i cui approfondimenti si rimanda alle note in calce. INTRODUZIONE L’Institutio oratoria, scritta da Quintiliano, Oratore ma anche insegnante di retorica, rappresenta l’opera più completa e sistematica di retorica latina pervenutaci integra dall’ antichità; un vero e proprio trattato didascalico che in molte parti, per il suo carattere precettistico, può essere paragonato ad un Ars, cioè un manuale scolastico. Conosciuto solo parzialmente nel Medioevo, veniva infatti letto come un testo mutilo «un Quintiliano intero era noto in Francia prima del 1396, ma la diffusione della conoscenza del testo completo fu dovuta all'esemplare scoperto da Poggio Bracciolini a S. Gallo nel 1416 e di cui restano apografi più o meno diretti, come dell'altro esemplare scoperto dallo stesso Poggio nell'anno successivo»1. NOTIZIE BIOGRAFICHE E CRONOLOGIA DELL’ INSTITUTIO ORATORIA Marco Fabio Quintiliano nacque fra il 30 e il 40 d.C. (con buona probabilità delle fonti intorno al 35 d.C.) a Calagurris, (odierna Calahorra) nella Spagna Tarragonese; giunse a Roma nel 69 d.C. al seguito dell’Imperatore Galba dove esercitò la professione di oratore giudiziario (avvocato) e, soprattutto, insegnò retorica per circa vent’ anni (dal 70 al 90 d.C.) ottenendo un importante riconoscimento da parte dell’Imperatore Vespasiano, fu infatti il primo insegnate retribuito economicamente dallo Stato.2 Volontariamente si ritirò dall’ insegnamento, colpito da gravi lutti familiari, anche per dedicarsi alla scrittura e alla composizione dei suoi trattati: il De causis corruptae eloquentiae, (“Le cause della decadenza dell’ oratoria”) che non ci è pervenuto, e l’ 1 Achille Beltrami, QUINTILIANO, Marco Fabio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935, consultabile al link https://www.treccani.it/enciclopedia/marco-fabio-quintiliano_(Enciclopedia-Italiana)/ (20.03.2023) 2 L’ imperatore Vespasiano gli assegnò uno stipendio di circa centomila sesterzi annui, corrispondente a quello di un alto funzionario imperiale. Institutio Oratoria, (“La formazione dell’ oratore”), la sua opera maggiore, giuntaci integralmente, composta all’ incirca tra il 90 e il 96 d.C. 3. Ci è ignota la data certa della sua morte fissata con buona buona probabilità dagli studiosi intorno al 96 d.C. e comunque non molto dopo la fine della dinastia Flavia; Plinio il Giovane, che di Quintiliano fu allievo, nelle sue lettere, scritte sotto Traiano, si riferisce al suo maestro come a colui che non è più in vita. L’ INSTITUTIO ORATORIA L’ INSTITUTIO ORATORIA, dedicato all’ amico Marco Vitorio Marcello, funzionario della corte di Domiziano, per l’educazione del figlio Geta, è un trattato che si compone di dodici libri in cui Quintiliano delinea la figura del perfetto oratore (il vir bonus dicendi peritus secondo la formula di Catone il Censore4), fornendo indicazioni e consigli utili per la sua formazione che deve iniziare già dall’ infanzia, seguendo un iter preciso fino all’ acquisizione della più raffinata abilità oratoria. L’ opera, in cui confluiscono la ricchissima dottrina dell’autore ma anche l’esperienza maturata come sapiente e appassionato insegnante, può essere considerata una summa della teoria retorica antica, una trattazione sistematica e completa che non si limita alla tecnica oratoria bensì si presenta come un vero e proprio corso di educazione del futuro oratore, dove vengono affrontati tutti i problemi e gli argomenti, sia teorici che pratici. L’ autore cita molte fonti greche e latine (anche se non tutte di prima mano) e, ovviamente, si colloca sulla linea di Cicerone 5 (anche se a differenza del De Oratore non concepisce la sua opera come un dialogo) poiché come lui considera la retorica una scienza che non si limita a fornire competenze puramente tecniche anzi si propone di formare non solo un perfetto oratore ma anche un cittadino ed un uomo moralmente esemplare; si legge infatti nel Proemio: Oratorem autem instituimus illum perfectum, qui esse nisi vir bonus non potest, ideoque non dicendi modo eximiam in eo facultatem sed omnis animi virtutes exigimus (I, prooem.,9)6. L’ Institutio oratoria fu conclusa sicuramente prima della morte tragica di Domiziano, che viene elogiato nel IV e nel X libro. Si pensa che sia stata composta in due anni, tra il 92-93 d.C. oppure tra il 93 e l'autunno del 95, e per le sollecitazioni dell'editore Trifone la diede alla luce nel 93, o nel 96 prima della morte di Domiziano che gli aveva conferito il consolato. Cfr. Achille Beltrami, Op. cit. 4 Quintiliano definisce il perfetto oratore come vir bonus dicendi peritus utilizzando la definizione catoniana: vir bonus è il cittadino onesto impegnato nella vita politica per il bene comune e non per tornaconto personale e che dicendi peritus, si esprime efficacemente. Questa espressione era stata ripresa anche da Cicerone per indicare il cittadino eminente impegnato per difendere gli interessi degli ottimati, che lui faceva coincidere con quelli di tutta la comunità. Va comunque precisato che questa affermazione nel periodo storico in cui scrive Quintiliano assume nuove implicazioni visto che lo Stato ora si identifica di fatto con la figura dell’Imperatore che, di quindi, è l’unico a stabilire cosa sia utile al bene comune. 5 Quintiliano identifica nelle opere di Cicerone il culmine raggiunto dall’ oratoria romana, un modello insuperato a cui però si deve tornare per rimediare alla decadenza dell’eloquenza che l’autore imputa alla carenza di buoni insegnanti. 6 Intendiamo formare l’oratore perfetto, e questo non può non essere anche un uomo onesto; perciò, pretendiamo perciò pretendiamo che egli non sia solo straordinariamente eloquente ma sia anche fornito di tutte le doti morali. Per la traduzione Cfr. Giovanna Garbarino, Quintiliano. La formazione dell’oratore, in Letteratura Latina. Storia e testi. Excursus sui generi letterari, Volume unico – Nuova edizione, Paravia, Torino 2004, p. 600. 3 Come già accennato, l’Institutio oratoria è l’ unico tra i trattati di retorica antichi che conosciamo che affronta l'educazione del futuro oratore sin dall’ infanzia infatti, dopo il proemio, Quintiliano dedica i primi tre capitoli del I libro a precetti pedagogici che mostrano il suo essere un educatore esperto, saggio e illuminato; afferma, tra l'altro, che si devono assecondare le inclinazioni individuali dei fanciulli e si dice fermamente contrario alle punizioni corporali, tipiche del modello educativo della scuola antica. Successivamente tratta dello studio della grammatica cui ci si dedicava nei primi anni di scuola. Il II libro accompagna il ragazzo nel passaggio dalla scuola di grammatica a quella di retorica, delineando la figura del retore ideale, soffermandosi sugli esercizi da proporre ai principianti e definendo l'essenza e le caratteristiche dell'arte retorica. Nel III libro, dopo un rapido excursus sulla storia della retorica, riporta le partizioni fondamentali di questa disciplina: le cinque parti della teoria, inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio, secondo le quali sarà poi distribuita la materia; i tre generi di discorsi: deliberativo, epidittico (che Quintiliano preferisce chiamare laudativum), giudiziario; i tre compiti dell'oratore: docère, movere, delectare. Nella parte finale del libro III e nei libri IV, V e VI Quintiliano inizia la trattazione dell'inventio, del reperimento degli argomenti, svolta in riferimento al genere giudiziario. Il libro VII è dedicato alla dispositio, ossia all'ordine da assegnare agli argomenti all'interno del discorso mentre, a seguire, i libri VIII e IX trattano della elocutio, cioè dello stile oratorio, e svolgono ampiamente la teoria delle figure retoriche con cui si deve «ornare» il discorso. Il libro X contiene la celebre rassegna dei principali poeti e prosatori greci e latini, su ciascuno dei quali Quintiliano pronuncia brevi e spesso acuti giudizi, ponendosi sempre dal punto di vista che specificamente lo interessa, ossia l’utilità della lettura di quegli autori per la formazione dell'oratore. Questa parte si conclude con un giudizio particolarmente severo e critico sullo stile di Seneca da parte di Quintiliano perché rappresenta l’esempio più di quel gusto “corrotto” contro il quale, invece, lui combatte. Il resto del libro espone la teoria dell'imitazione e si occupa degli esercizi da fare per iscritto e della capacità d'improvvisare. Il libro XI tratta dell'aptum (cioè della necessità di adattare il discorso alle circostanze), della memoria (ossia delle tecniche per memorizzare ciò che si deve dire) e dell'actio o pronuntiatio (voce, dizione, gesti). Infine, nell’ XII e ultimo libro l'autore delinea la figura del perfetto oratore, riprendendo la definizione di Catone il Censore di vir bonus dicendi peritus7, e stabilendo quali debbano essere i suoi mores e i suoi officia8. 7 8 Vedi nota N. 4 Si cita integralmente la suddivisione riportata da G. Garbarino, Op. cit., pp.600-601. Per quanto riguarda lo stile utilizzato da Quintiliano nell’ Istitutio oratoria si mette in evidenza che lo stesso autore palesa il suo intento di evitare «una trasmissione di nozioni disadorna e arida (III, 1,3), conferendo alla sua esposizione aliquid nitoris, ossia una certa eleganza che la renda piacevole e attraente: questa impostazione si traduce con un uso abbastanza frequente, da parte dell’ autore, di figure retoriche, soprattutto similitudini e metafore, in linea alle preferenze dei suoi contemporanei di esprimersi in modo ornato e poetico. L’ uso ripetuto del congiuntivo esortativo mette in evidenza la sua inclinazione a «imporre le proprie idee servendosi della persuasione, per mezzo di varie argomentazioni». 9 Facendo un confronto col modello Ciceroniano possiamo sicuramente evidenziare che le differenze si notano sia nell’ abbondanza dei traslati che nella sintassi, meno ampia e distesa ma più mossa e variata; caratterizzano lo stile di Quintiliano anche la ricerca di una maggiore incisività e rapidità dei pensieri esposti. BIBLIOGRAFIA    Cardone Clara, Ricciardi Roberto, (a cura di), Il volto di Roma. GLI AUTORI LATINI PER IL BIENNIO, Paravia Torino, 1994. Garbarino Giovanna, Letteratura Latina, VOLUME UNICO-NUOVA EDIZIONE, Paravia Torino, 2004 Marco Fabio Quintiliano, L'istituzione oratoria, Torino, Utet, 1979 Clara Cardone, Roberto Ricciardi, (a cura di), Quintiliano: L’ Institutio oratoria, in Il volto di Roma. GLI AUTORI LATINI PER IL BIENNIO, Paravia Torino, 1994, p. 687. 9 SITOGRAFIA https://www.treccani.it/enciclopedia/marco-fabio-quintiliano_(Enciclopedia-Italiana)/ (21.03.2023)