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Le strutture abitative di età neolitica in Italia

INDICE 1. INTRODUZIONE 2. ITALIA SETTENTRIONALE 2.1 SITI MAGGIORI 2.1.1 Alba Corso Langhe 2.1.2 Bagnolo San Vito 2.1.3 Lugo di Romagna 2.1.4 Sammardenchia 2.1.5 Sant’Andrea di Travo 2.2 SITI MINORI 2.2.1 La Vela del Trento 2.2.2 Lugo di Grezzana 2.2.3 Fimon-Molino Casarotto 3. ITALIA CENTRALE 3.1 SITI MAGGIORI 3.1.1 Catignano 3.1.2 La Marmotta 3.1.3 Casale del Dolce 3.1.4 Pienza 4. ITALIA MERIDIONALE 4.1 SITI MAGGIORI 4.1.1 Passo di Corvo 4.1.2 Rendina 1 4.1.3 Scamuso 4.1.4 Favella della Corte 4.1.4.1 Ian Hodder: The domestication of Europe 1990 4.1.5 Serra d’Alto 4.2 SITI MINORI 4.2.1 Murgia Timone 4.2.2 Balsignano 5. CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA 2 1 INTRODUZIONE “La casa omerica è un oggetto simbolico… Nel paesaggio si manifesta per il suo alto tetto che ha una trave maestra (il significato primitivo, si dice, del termine óikos). Questo alto tetto copre l’eschára, il focolare centrale. Circolare e matriciale (anche il sesso femminile si dice eschára), ogni mattina il focolare si apre per dar vita al fuoco nascosto sotto le ceneri … Il padre che porta lo stesso nome della casa, è come essa un "tutto" e mantiene insieme gli elementi del gruppo di riproduzione. La madre, nel giorno del matrimonio, viene ad accovacciarsi tra le ceneri del focolare. Il figlio legittimo è colui che nasce una seconda volta vicino al fuoco. Cinque giorni dopo il parto, il padre solleva il neonato deposto tra le ceneri del focolare e, mettendolo nella posizione verticale dell'uomo e della fiamma, pronuncia (?) per la prima volta, il nome che gli conferisce il suo posto nella discendenza e nella fratria. Avere un nome significa, quindi, essere stato riconosciuto dal padre e dalla casa... Se la casa è il segno dell'appartenenza al gruppo residenziale, la terra permette la costruzione della sua gerarchia. Lo status delle case è legato al loro accesso alla terra... La casa e la terra sono ricchezze che determinano lo status... Alla continuità delle generazioni corrisponde la continua trasmissione dei "segni concreti" del loro status. Casa e terra sono beni indefettibili, di cui i loro titolari non possono disporre.” [LEDUC, 1990, pp.251-253] 3 2 ITALIA SETTENTRIONALE 2.1 SITI MAGGIORI 2.1.1 ALBA CORSO LANGHE Le Langhe sono una regione storica del Piemonte situata a cavallo delle province di Cuneo e di Asti, confinante con altre regioni storiche del Piemonte, ossia il Monferrato e il Roero e costituita da un esteso sistema collinare definito dal corso dei fiumi Tanaro, Belbo, Bormida di Millesimo e Bormida di Spigno. Tra il 1988 e il 1996 la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte ha indagato alla periferia meridionale di Alba due diversi contesti insediativi, riferibili l’uno al Neolitico antico e l’altro al Neolitico recente, collocati ad alcune centinaia di metri di distanza sullo stesso terrazzo fluviale. [VENTURINO GAMBARI, GIARETTI, GAJ, DELCARO, 2001, pp.427] Il primo contesto insediativo riferibile al Neolitico antico (inizi V millennio a.C.) si può individuare nella zona detta Cooperativa dei Lavoratori. Qui si è rinvenuta una struttura (capanna 1) di forma ellissoidale irregolare, ma l’assenza di buche di palo all’interno e all’esterno del perimetro della fossa, fa ipotizzare agli studiosi che si tratti di una struttura autoportante costituita da un insieme di tronchi impostati sul perimetro direttamente sulla terra e convergenti al colmo, intrecciati orizzontalmente: la struttura è a forma di cesto rovesciato per cui non necessita di pali o di travi di colmo, e la capanna è intonacata. Per la copertura si ipotizza fossero utilizzate fascine di cannette disposte a strati sovrapposti e fissate con 4 legature in salice, mentre una piccola apertura vicina al colmo assicura l’uscita del fumo di combustione del focolare. Questa è solo un’ipotesi di ricostruzione avanzata dagli autori, senza un riscontro archeologico. Il focolare consta di una struttura di combustione interna incassata nel piano pavimentale lungo il lato settentrionale. [VENTURINO GAMBARI, GAJ, DELCARO, GIARETTI, 2001, pp.428-429] Il secondo contesto insediativo (capanna 2) riferibile al Neolitico recente è individuabile nella zona definita Alba Corso Langhe 43. Qui è stata rinvenuta una struttura di forma rettangolare datata al 5330±40 BP (Neolitico recente). Questo edificio è lungo 15m e largo 6, marginato da una canaletta perimetrale continua su tre lati profonda 40cm, è orientato in senso NO-SE con l’ingresso rivolto a SE. Una trincea di fondazione per l’alloggio di una serie di pali ed altre buche di palo, sono individuabili anche all’interno dello spazio abitativo. La collocazione di pali all’interno di una trincea continua permette una maggiore rapidità nella loro sistemazione, rispetto all’inserimento all’interno di singole buche; l’inclinazione di alcune buche verso la parete di fondo suggerisce interventi di puntellamento successivi per contrastare sbandamenti dell’assetto della capanna. L’analisi della struttura ha portato ad identificare varie ipotesi costruttive: 1) Era una struttura con caratteristiche miste, composta da due elementi integrati, un vano (di destinazione abitativa) è costituito da una palizzata perimetrale e da travi che supportano un soppalco ma anche che bloccano l’estremità superiore dei pali delle pareti perimetrali. La copertura era forse di tipo leggero, poggiante a terra e addossata sulle pareti. La realizzazione di una abitazione con tali caratteristiche risulta essere molto costosa in termini di tempo ed energie. 5 2) La seconda ipotesi sostiene che per evitare che le pareti potessero cedere ed aprirsi, ci fossero una serie di travi di collegamento trasversali fra le due pareti. 3) La terza ipotesi considera che i pali posti in terra siano più facilmente deteriorabili, per questo siano stati inseriti dei puntoni all’interno della struttura perimetrale. [VENTURINO GAMBARI, CERRATO, FULCHERI, GIARETTI, GIOMI, MICHELETTI CREMASCO, OTTOMANO, PEROTTO, TRAVERSONE, 1999, pp.427] Gli studiosi hanno ipotizzato, in base ad un’analisi sui tempi costruttivi ricavati in base a confronti etnografici che per la struttura 1 si richieda un impiego di tempo di circa 250 ore/uomo, la sua durata è stimata per 5-8 anni se sono effettuati sufficienti interventi di manutenzione (soprattutto per il tetto). Questa capanna esprime un concetto di precarietà e temporaneità, anche se iniziano ad emergere le esigenze proprie delle abitazioni a carattere più stabile e duraturo, con maggior robustezza e la necessità di disporre di uno spazio più ampio. Questo modo si adatta alle caratteristiche di una fase iniziale di neolitizzazione che si attua attraverso la colonizzazione itinerante di piccoli spazi aperti nella copertura forestale per il pascolo e la coltivazione di cereali. Per la seconda si richiede un impegno di tempo maggiore, di circa 1700-2000 ore/uomo e molti più materiali, con durata di 12-16 anni e con sempre molti interventi di manutenzione. Queste capanne esprimono il concetto di una struttura che deve perdurare nel tempo, in un periodo in cui ormai si affermano strutture di villaggio e l’economia agricola è diffusa su ampie estensioni ed è diversificata nel numero e nei tipi di cereali e leguminose coltivate. [VENTURINO GAMBARI, GAJ, DELCARO, GIARETTI, 2001, pp.431] Nell’area archeologica sono state rinvenute strutture funerarie protostoriche, segno che la superficie 6 ha conosciuto una frequentazione durata più fasi archeologiche. All’esterno dell’abitato è stata scavata una struttura funeraria collettiva datata al 3600-3100 BP., denominata “Papillon”. I resti ossei sono riferibili a 4 individui adulti e 6 in età evolutiva, le ossa erano concentrate lungo il lato orientale della sepoltura, mentre molti denti, soprattutto di bambini, sono stati recuperati nel sedimento tra le lastre del pavimento. Tutti i resti rinvenuti sono in deposizione secondaria e le ossa non sono pertinenti a scheletri completi ma sono anche mescolate tra loro. I diversi distretti scheletrici non sono rappresentati in modo uniforme, mancano molte ossa lunghe. L’arco cronologico in cui è usata la struttura funeraria è molto ampio, si è ipotizzato che questo complesso funerario possa aver svolto anche funzioni di santuario in cui erano venerate le spoglie mortali degli antenati, per cui varie ossa sono state oggetto di manipolazione a scopo culturale. Alternativamente si può ipotizzare che solo una parte delle ossa prelevate dalla sepoltura originaria sono state deposte in questa nuova struttura-ossario: la stessa monumentalità della struttura di Alba potrebbe costituire una conferma di questa ipotesi. [VENTURINO GAMBARI, 1995, pp.124] Struttura 1 Neolitico antico Buche di palo: No Capanna: 1 Compound: Assente Forma: Ellissoidale irregolare Fossato: Assente Intonaco: Presente Localizzazione geografica: a cavallo tra la provincia di Cuneo e Asti Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: No Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Si? 7 Strutture interne: Forno Strutture lavorative: No Superficie: Non presente in letteratura Struttura 2 Neolitico recente Buche di palo: Si, in canaletta Capanna: 1 Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Assente Intonaco: Assente Localizzazione geografica: a cavallo tra la provincia di Cuneo e Asti Orientamento: NO-SE, ingresso SE Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti (esterne all’abitato) Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: 90 m2 8 BAGNOLO SAN VITO 2.1.2 Bagnolo San Vito è un comune italiano della provincia di Mantova in Lombardia; il territorio è delimitato dal fiume Po a sud e dal Mincio a nord. Il paesaggio risulta caratterizzato da molte opere idrauliche, specialmente gli argini maestri del Po e del Mincio. In località Ca’ Rossina, gli scavi della Soprintendenza hanno portato alla luce tracce insediative riferibili all’età neolitica, indagate su una superficie di circa 5000m2. È stata documentata una capanna di forma rettangolare con strutture annesse (struttura 1), profondamente decapitate dai lavori agricoli, da collocare nella prima metà del VI millennio a.C. [MENOTTI, PESSINA, 2001, pp.527] La capanna è di forma rettangolare, lunga 13,40m e larga 6m, orientata a NO-SE e delimitata da una serie di 52 buche di palo; all’angolo NO della casa vi era un ingresso di 2m di ampiezza, mentre altre buche di palo all’interno della capanna potrebbero riferirsi a partizioni interne dello spazio abitativo e quelle esterne al perimetro potrebbero essere dei sistemi di rinforzo delle pareti. Lungo il lato corto frontale ci sono buche che farebbero supporre ad una tettoia, mentre il tetto era probabilmente sostenuto da pali portanti posti lungo le pareti. Sia all’interno che nelle vicinanze della capanna sono state messe in luce alcune buche di scarico da cui provengono frammenti ceramici neolitici, poca industria in selce e rari resti faunistici. Struttura 1 Neolitico antico Buche di palo: 52 Capanna: 1 Compound: Assenti 9 Forma: Rettangolare Fossati: Assenti Intonaco: Assente Localizzazione geografica: Provincia di Mantova Orientamento: NO-SE, ingresso NO Ripartizioni interne: Presenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Focolare Strutture lavorative: Assenti Superficie: 80 m2 10 LUGO DI ROMAGNA 2.1.3 L’insediamento di Lugo di Romagna, si trova nell’odierna Emilia Romagna; i resti archeologici sono sepolti al di sotto di una coltre alluvionale e sono stati messi in luce dai lavori di estrazione di argilla della Fornace Gattelli. Le ricerche sistematiche, intraprese dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna nel 1983 sotto la direzione di Giuliana Steffè e Patrizia von Eles, consentono di delineare anche aspetti finora poco noti relativi alla topografia, organizzazione degli spazi, distribuzione e relazione reciproca tra i vari tipi di strutture in un villaggio del primo Neolitico. [DEGASPERI, FERRARI, STEFFÈ, 1997, pp.117] L’insediamento è datato alla metà del VI millennio a.C. e i livelli archeologici sono riferibili alla Cultura di Fiorano; sorgeva nei pressi di un corso d’acqua a circa 12km dall’allora linea di costa. Per quanto riguarda l’ambiente circostante, i dati che sono stati forniti dai dati paletnobotanici e archeozoologici testimoniano aree caratterizzate da boschi aperti, dov’erano cacciati capriolo, cinghiale, cervo, martora e gatto selvatico. [BOSCATO, DEGASPERI, STEFFÈ, 1997, pp.117] Il complesso perimetrale ha un asse orientato in senso EO, è costituito da un piccolo fossato che garantiva un debole drenaggio dell’area, quindi per scongiurare il rischio di esondazione del fiume si aveva un argine in argilla largo 30 cm e alto circa 1 m, che costituiva un’altra protezione, contenuto questo da un doppio ordine di assi lignee sorrette da pali; più all’interno vi era una palizzata i cui elementi lignei erano posti in una canaletta di fondazione. Durante lo scavo della trincea di posa della palizzata è stato rinvenuto in prossimità del fondo un bicchiere in terracotta rovesciato sopra alla 11 zampa anteriore di un cane, e sulla base di altri confronti gli autori interpretano questa deposizione come un “rito di fondazione”. La capanna (struttura 1) è a pianta rettangolare orientata NO-SE, misura 70m2 circa ed è stata distrutta da un violento incendio quando era ancora in uso. È costituita da due ambienti separati da una depressione oblunga che doveva alloggiare elementi di alzato; le pareti perimetrali avevano una trama a graticcio di canne ed erano intonacate. Robusti pali in doppia fila lungo l’asse maggiore sorreggevano al culmine del tetto, che doveva essere a doppio spiovente, mentre la copertura doveva essere composta da fascine vegetali. Probabilmente nella capanna erano presenti soppalchi interni. L’ingresso della capanna era situato all’angolo SE. L’ambiente principale, situato a nord, conserva il piano di un focolare di forma circolare, nonché i resti conservati di un forno dotato di copertura a botte situato a ridosso della parete settentrionale in posizione centrale. Il vano a sud, più piccolo e di forma rettangolare, ha restituito una grande quantità di reperti (8 vasi ricostruibili), frammenti di macine, industria litica e accumuli di cariossidi di cereali che forse erano stoccati in contenitori appesi; questo vano era quindi destinato alla conservazione di derrate alimentari e alla preparazione del cibo. Particolari addensamenti di reperti all’esterno della capanna possono indicare aree di lavoro all’aperto. All’esterno SE di questa, si trova un pozzetto di forma cilindrica colmato da rifiuti organici e manufatti frantumati. Insieme a questo, la fossa “rifiutaia” a 10m più ad est e le grandi buche analoghe all’esterno delle strutture del villaggio, documentano varie tipologie di strutture definite pozzetti-silos per la conservazione di derrate alimentari, cave di argilla per opere in terra e per la produzione fittile, fosse di decantazione per depurare gli 12 impasti ceramici, buche per lo scarico dei rifiuti. [DEGASPERI, FERRARI, STEFFÈ, 1997, pp.122] Lugo di Romagna rappresenta l’insediamento più orientale della cultura di Fiorano, ubicato in un’area di cerniera fra il mondo padano e quello peninsulare e mostra di risentire in maniera significativa della sua posizione geografica e cronologico-culturale. Costituisce l’esempio di diffusione da occidente verso oriente di genti portatrici di questa cultura. Struttura 1 Neolitico antico Buche di palo: Presenti Capanna: 1 Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Presenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Ravenna Orientamento: NO-SE, ingresso SE Ripartizioni interne: Presenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: forno, focolare Strutture lavorative: Presenti Superficie: 70m2 13 2.1.4 SAMMARDENCHIA Il sito di Sammardenchia è ubicato nell’alta pianura friulana; è una delle frazioni del capoluogo Pozzuolo del Friuli. Scoperto da A. Candussio, A. Nazzi e R. Tosone negli anni Ottanta dello scorso secolo e scavato stratigraficamente a partire dal 1985 dal Museo Friulano di Storia Naturale con la collaborazione di altri enti di ricerca. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.147] Nell’insediamento di Sammardenchia, di notevole estensione, sono state messe in luce varie strutture tra cui pozzetti di 120-150cm di diametro, due dei quali con rivestimento in argilla utilizzati probabilmente come silos per granaglie. Attività agricola è stata ricostruita attraverso il ritrovamento di un gran numero di macine e macinelli. Le strutture in fossa sono state oggetto di scavi particolarmente estensivi e mirati sia a Sammardenchia che nel sito di Fagnigola (sempre in Friuli) che hanno permesso di inquadrare come pozzettisilos alcune delle numerose fosse scavate. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.148] Questi pozzetti presentano, infatti, una morfologia cilindrica o a campana e un rivestimento delle pareti con argilla impermealizzante; in un caso è stato rinvenuto nel riempimento anche un manufatto circolare in concotto, interpretato come residuo della copertura sigillante. Altre cavità di questi siti sono caratterizzate, però, da morfologie irregolari e dimensioni più ampie e potrebbero essere state utilizzate come luogo di prelievo di inerti con finalità costruttive. Il sito friulano di Sammardenchia rappresenta un caso-studio del tutto particolare di ricostruzione paleo ambientale, che non rientra nella modellistica delineata a livello sub regionale. Diversamente 14 dagli altri siti friulani, il complesso insediativo di Sammardenchia non è collocato, infatti, in allineamento fluviale e la sua principale caratteristica morfologica è rappresentata dalla posizione isolata ed elevata, che gli conferisce una visibilità del tutto particolare, determinando il ruolo di central place che questo sito sembra aver svolto nel sistema socioeconomico neolitico della Pianura friulana. La maggior parte delle diffusissime strutture antropiche, che rappresentano il cosiddetto “villaggio di Sammardenchia”, si concentrano sull’altura di Cûeis. La diversa fertilità naturale doveva essere particolarmente evidente in antico, dando luogo a coperture boschive sui rilievi di Cûeis e a prateria magra nelle zone di piana. Le analisi condotte a Sammardenchia hanno confermato l’ipotesi di un modello insediativo diffuso, a carattere puntiforme, formulato su base archeologica per la straordinaria estensione delle presenze neolitiche. Alla fase di occupazione, avrebbe fatto seguito il sistematico abbandono, con la ripresa rapida del bosco e la ricostituzione del suolo. Due cicli di queste fasi di occupazione e abbandono, intervallate da un più lungo periodo di stasi, sono state riconosciute dall’analisi delle sezioni sottili dei sedimenti in situ nei pozzetti di Sammardenchia, evidenziando un modello insediamentale piuttosto mobile sul medio periodo, collegato a modi di produzione di tipo shifting agricolture. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.181] È emersa nei vari siti friulani, una varietà di situazioni insediative in aree più o meno interessate da terreni fertili nelle fasce pedemontana, collinare, di alta e media pianura, con insediamenti, come Sammardenchia, molto estesi sui territori di buona fertilità, fino a siti documentati con scarse testimonianze in aree più idonee ad attività tradizionali. 15 Scheda riassuntiva dei fondi di capanna Neolitico antico Buche di palo: Assenti Capanna: presenti fondi di capanna Compound: Assenti Forma: Non presente in letteratura Fossati: Assenti Intonaco: Assenti Localizzazione geografica: Provincia di Udine Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Non presente in letteratura Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 16 2.1.5 S. ANDREA DI TRAVO Nella media Val Trebbia, in località S. Andrea, in provincia di Pavia, è stato scavato a più riprese, un abitato con strutture assai complesse datato al Neolitico antico. Negli anni ’80 era stata messa in luce dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna (M. Bernabò Brea), una grande capanna rettangolare, che appariva eccezionale nel panorama Neolitico dell’Italia settentrionale per dimensioni e caratteristiche strutturali. [BERNABÒ BREA, CASTAGNA, OCCHI, 1999, pp.7] Nel 1995 sono riprese le ricerche in un’area ubicata circa cinquanta metri a nord della zona precedentemente indagata, mettendo in luce una rete di strutture facenti parti il medesimo insediamento. Con le successive campagne di scavo del 1998-99, l’indagine ha raggiunto un’estensione di 1024m2. L’insediamento si trova su un terrazzo fluviale sulla riva sinistra del Trebbia. Proprio questa posizione morfologica risulta preferenziale per i numerosi insediamenti neolitici italiani, che occupano quasi sistematicamente terrazzi della media valle. Le strutture abitative messe in luce a S. Andrea sono alcune capanne, o meglio alcuni edifici costruiti solidamente, che occupano la parte del terrazzo più vicina al fiume e sono grosso modo orientati tutti in maniera simile (NO-SE); due di essi sono stati interamente scavati, mentre di altri si posseggono solo degli indizi della loro presenza. Tra le strutture interamente scavate, una è molto simile, anche se più piccola, alla grande casa venuta alla luce negli anni ’80, mentre l’altra appartiene ad una tipologia diversa. Nell’area di queste due capanne sono state rinvenute numerosissime buche di palo, alcune probabilmente riconducibili a palizzate, altre a strutture non ricostruibili. [BERNABÒ BREA, CASTAGNA, OCCHI, 1999, pp.8-9] 17 L’edificio “II”, è di pianta rettangolare, orientato NO-SE ed ampio 66m2. È ubicato nell’attuale margine sud-orientale del terrazzo di S. Andrea, dove l’erosione fluviale e le arature moderne hanno asportato parte dell’evidenza archeologica. Sui tre lati il perimetro è costituito da una canaletta continua, con pareti sub-verticali piuttosto regolari, analoga a quella interpretata come cavo di fondazione nell’edificio I degli scavi degli anni ’80. Il fronte dell’edificio è formato da quattro grosse buche di palo, apparentemente differente rispetto al resto della struttura e all’edificio “I”. Rispetto a quest’ultimo restano comunque marcatamente simili la struttura perimetrale nel suo insieme, l’orientamento, la posizione del lato frontale verso il fiume e le proporzioni complessive: è simile infatti, il rapporto lunghezza/larghezza. L’edificio “II” ha subito un rifacimento, testimoniato dalla ristrutturazione dell’elemento portante posto al centro del lato corto posteriore, che documenta una sua durata nel tempo. Le strutture portanti di maggiore evidenza sono costituite da un tratto di muretto a secco e da grandi buche di palo sui lati corti; sui lati lunghi il fondo delle canalette, forse trincee di fondazione, è piano e sembra aver ospitato travature orizzontali, sulle quali potevano essere infissi o messe ad incastro altri elementi verticali. Un unico elemento portante è presente all’interno dell’edificio: una grande buca posta sull’asse centrale. Analizzando in dettaglio le evidenze riguardanti l’edificio, si può constatare che la canaletta sul lato NE è conservata per circa 10,5m, ed il fondo è piuttosto regolare e ciò permette di ipotizzare la presenza di una travatura lignea orizzontale. Il riempimento è costituito da tre distinte unità ad andamento orizzontale: quella basale è argillosa, di colore grigio scuro, coperta da uno strato ghiaioso di matrice limosa, di colore giallastro molto compatto; infine 18 la canaletta è colmata al tetto da un sedimento argillo-limoso bruno grigiastro. Il riempimento basale fa ipotizzare la presenza di una travatura lignea orizzontale compatta dal riporto ghiaioso soprastante, volutamente disposto con funzione di inzeppatura per l’alzato ligneo; l’ultimo riempimento sembra riferirsi alle fasi d’uso o d’abbandono dell’edificio. Il tratto di canaletta posto a NO, lungo circa 6m, costituisce il lato corto a monte della struttura. Questo lato è la testimonianza di una ristrutturazione subita dall’edificio; al centro, infatti, si apriva originariamente una buca di palo, grande e profonda (diametro 35cm; profondità 45cm), con pareti verticali e fondo piano. In epoca successiva la buca è stata interamente colmata con grossi ciottoli sovrapposti ed incastrati con cura; verso la sommità sono state utilizzate soprattutto pietre di forma squadrata, disposte in modo da formare una sorta di muretto a secco. Tale struttura risulta costruita sulla colmatura intenzionale di una precedente buca di palo portante ubicata sull’asse mediano dell’edificio ed è anch’essa adatta a fare da appoggio ad una travatura verticale portante. La canaletta perimetrale del lato lungo SO è conservata per 7m. Il riempimento è costituito principalmente da contenuto organico, di colore bruno-grigio scuro. Il fronte dell’edificio, sul lato corto SE, è formato da quattro buche di palo grandi e profonde, allineate tra loro e parallele al lato NO, circolari e a fondo piano che presentano tutte il medesimo riempimento. Prendendo in considerazione l’edificio “II” nel suo complesso ed in relazione con la struttura dell’edificio “I” non si può escludere che le quattro buche di palo fossero originariamente comprese all’interno di 19 un unico cavo di fondazione che completasse il perimetro dell’edificio; di tale elemento non resta traccia. All’interno dell’edificio il piano d’uso non è conservato e lo strato è apparso del tutto simile a quello esterno, senza particolari concentrazioni di materiali. Nell’area interna dell’edificio “II” vi sono inoltre alcuni elementi (buche di palo di piccole dimensioni ed una canaletta già citata) che documentano una parziale sovrapposizione di altre strutture. L’edificio “III” è di un ambiente rettangolare di 35m2, posto a monte dell’edificio II, a tre metri di distanza dalla sua parete di fondo ed orientamento ONO-ESE, quindi non esattamente allineato, bensì leggermente ruotato rispetto a quella struttura. [BERNABÒ CASTAGNA, OCCHI, BREA, 1999, pp.10] Il perimetro è costituito parzialmente da una canaletta non continua, lunga 7m e relativamente profonda rispetto al piano di individuazione. In essa sono state trovate una quindicina di buche di palo piuttosto piccole, generalmente cilindriche, che si approfondiscono 10-20cm oltre la base della canaletta in cui sono alloggiate. Il riempimento sia della canaletta che delle buche, sembra poco antropizzato. Sul resto del perimetro, la struttura è caratterizzata da una serie di buche di palo con diametri considerevoli, di 30 e 50cm, e con riempimenti molto antropizzati, alcune delle quali appaiono incluse entro brevi tratti di canalette. Il lato NE è formato da un allineamento di buche piuttosto grandi e profonde, alcune delle quali interferiscono con un allineamento diversamente orientato (SO-NE) che probabilmente costituisce un lato di un altro edificio (edificio “IV”). 20 All’interno dell’ambiente così delimitato si trovano diverse buche di palo, che tuttavia sembrano appartenere ad altre strutture, e soprattutto all’edificio “IV”. Nemmeno per questo ambiente è stato individuato il piano d’uso; entro il suo perimetro, nell’angolo orientale, ricade un focolare complesso, formato da più piani di terra scottata e da un sottofondo di ciottoli, che non sembra appartenere all’edificio. Il cosiddetto edificio “III” si differenzia dagli edifici “I” e “II” per una serie di aspetti: le dimensioni e le proporzioni dell’ambiente, l’assenza di un riconoscibile lato frontale, l’assenza di elementi portanti privilegiati. Tuttavia la parte meridionale della struttura sembra costruita con pali piuttosto piccoli e poco profondi, ma questo dato potrebbe essere ingannevole se, come è possibile, il piano di impianto della struttura fosse stato più alto del piano di individuazione delle canalette e dei pali. L’edificio “III” occupa la zona che ha restituito le maggiori evidenze stratigrafiche, grazie alle quali è possibile avanzare ipotesi sulla sua posizione stratigrafica e cronologica nell’ambito del sito. Il suo lato NE, si incrocia con un lato dell’edificio “IV”, che sembra essere più antico, come l’angolo O è coperto dal focolare US 91. [BERNABÒ BREA, CASTAGNA, OCCHI, 1999, pp.11] L’edificio “IIIB” si trova ad oriente dell’edificio “III” e in parziale sovrapposizione con l’edificio “II”, con alcuni elementi che sembrano delineare un piccolo ambiente, forse appoggiante all’edificio “III”, che risulterebbe allungato fino ad assumere la lunghezza totale di m12,80 conservando la larghezza di m5,60. L’elemento più significativo sembra essere la canaletta US 16/271, che incrocia un lato dell’edificio “II” ed orientata SO-NE. Al suo interno sono alloggiate in modo simmetrico 4 buche di palo, di cui due all’estremità. 21 Il lato meridionale sembrerebbe formato dalle buche di palo UUSS 12, 14 e da una serie di buche di dimensioni omogenee, ma formanti un allineamento disassato e per un tratto doppio. Il lato opposto, verso nord, potrebbe esser formato da una serie di buche disposte a distanza non ravvicinata, ma regolare. Infine il quarto lato sarebbe costituito dal lato orientale della casa “III”, che in questa ipotesi sarebbe diventato una sorta di tramezzo, a seguito dell’ampliamento dell’edificio. L’edificio “IV” è una struttura che per il momento è solo ipoteticamente indiziata, essendo stata individuata solo sul lato sudorientale, dove si trova un allineamento di buche particolarmente grandi e profonde, orientate SO-NE profonde tra 50 e 65cm dal piano di individuazione, di forma allungata, alcune delle quali hanno alloggiato due pali. Tale allineamento incrocia il lato NE dell’edificio “III”, che probabilmente gli si sovrappone. Il resto dell’edificio “IV” deve essere meglio indagato, poiché l’incompletezza dello scavo in quest’area rende azzardata qualsiasi ipotesi ricostruttiva. Sono state inoltre utilizzati quali buche di palo anche alcuni pozzetti, ponendo sul fondo grossi ciottoli come inzeppature: -US 308: pozzetto circolare contenente, alla base, una consistente inzeppatura in ciottoli a formare un alloggiamento per pali dal diametro di 30 cm. -US 353: pozzetto circolare dal diametro di circa un metro e profondo 77 cm. Alla base conteneva un’inzeppatura in ciottoli a formare un alloggiamento per pali, dal diametro di circa 25 cm. -US 422: pozzetto circolare che mostra evidenza di più fasi di utilizzo. Alla base grossi ciottoli fluviali formano un’inzeppatura per alloggiare il palo. [BERNABÒ BREA, CASTAGNA, OCCHI, 1999, pp.12] 22 In prossimità dell’angolo orientale dell’area di scavo è venuto in luce un tratto di canaletta con andamento NO-SE, della larghezza media di 30-40 cm e caratterizzata da un riempimento di colore bruno scuro ricco di manufatti. La canaletta per le sue caratteristiche costituisce un elemento strutturale pertinente ad un altro edificio che sembra essere parallelo all’edificio “II” e, come quello, costruito in prossimità della riva del fiume. Nell’area in corso di scavo, sono venuti alla luce dieci fosse interpretabili come pozzetti-ripostiglio sulla base della forma regolare. Tre concentrati nell’area dell’edificio “IV”, sono stati modificati inserendovi grossi ciottoli per alloggiare una buca di palo; degli altri, uno sembra usato come fossa di scarico, altri non appaiono riutilizzati, ma intenzionalmente riempiti o abbandonati e lasciati colmare naturalmente. Solo alcuni pozzetti appaiono isolati in punti diversi dell’area di scavo, mentre la maggior parte è concentrata nei pressi dell’edificio “IV”. Per quanto riguarda la topografia del villaggio di S. Andrea, nell’area finora indagata, si notano zone funzionalmente differenziate, ciascuna delle quali presenta caratteristiche e problematiche particolari. In quella più orientale, sono ubicate le strutture abitative, che fino al tempo della casa “II” si affacciavano sulla riva del fiume senza difese e delimitazioni. In seguito il villaggio si è dotato di una recinzione, forse costituita da un doppio ordine di palizzate, che chiudeva l’accesso dalla parte del Trebbia; l’esistenza di strutture di questo tipo è del resto ben documentata dalla complessa e ben conservata difesa sperimentale dell’insediamento di Lugo [DEGASPERI, FERRARI, STEFFÈ, 1999, pp.117-118] 23 di Romagna. Le case, che sono indiziate da buche di palo e canalette di fondazione, sembrano aver avuto una durata non irrilevante. Troviamo infatti edifici grandi e robusti, costruiti solidamente con grossi pali e in qualche caso sottoposti a radicali ristrutturazioni. Non siamo in grado di sapere quali costruzioni siano coesistite e certamente la fitta rete di strutture visibili del substrato è la risultante di vari interventi successivi. Edificio “II” Neolitico Antico Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: Rettangolari Fossati: Assenti Intonaco: Assenti Localizzazione geografica: Provincia di Pavia Orientamento: NO-SE; edificio “III”: ONO-ESE; edificio “IV”: SO-NE Ripartizioni interne: Non presente in letteratura Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: Edificio “II”: 66m2; edficio “III”: 7x5m Edificio “III” Neolitico Antico Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Assenti Intonaco: Assente Localizzazione geografica: Provincia di Pavia Orientamento: ONO-ESE; Ripartizioni interne: Non presente in letteratura Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: edificio “III”: 35m2 24 2.2 2.2.1 SITI MINORI LA VELA DEL TRENTO Il sito neolitico de «La Vela» è situato a nord-ovest di Trento sull'ampio conoide del torrente omonimo in prossimità della sua confluenza nel fiume Adige. L'importanza paletnologica di questa località è nota a partire dagli anni sessanta, momento in cui quest'area, in seguito al processo di espansione della città di Trento, veniva lottizzata a scopi di edilizia privata. Da allora sono state costruite otto palazzine. Nelle trincee di fondazione è sempre stato possibile rilevare tracce di un abitato Neolitico antico con la relativa necropoli. Si è naturalmente, di volta in volta, immediatamente proceduto al recupero di tali importanti testimonianze. L'area attualmente indagata ricopre una superficie di circa 800m2 ed è stata suddivisa in sette settori (Vela I-VII). Il sito de «La Vela» rappresenta l'abitato con necropoli della cultura dei vasi a bocca quadrata più vasto attualmente noto nel Trentino Alto Adige. Il 5 giugno del 1960 F. Zorzi segnalava, in occasione della V Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria tenuta a Firenze, la scoperta di questo importante sito. [ZORZI, 1960, pp. 23] Nella primavera dello stesso anno gli scavi di fondazione di una villetta (Vela I) avevano infatti portato alla luce un livello neolitico ed alcune inumazioni. Gli strati contenenti i materiali neolitici vennero sconvolti dall'opera di una scavatrice meccanica; mancano quindi dati stratigrafici sicuri sulla posizione originaria dei reperti. I materiali 25 recuperati a cura del Museo Tridentino di Scienze Naturali sono stati oggetto di uno studio da parte di Barfield (1970). Delle successive campagne di scavo (Vela II-VI) promosse dall'Ufficio Beni Archeologici in collaborazione con il Museo Tridentino di Scienze Naturali esistono solo relazioni preliminari. [BAGOLINI, 1975, pp.221]. Esse pongono soprattutto l'accento sulle modalità delle scoperte e la descrizione stratigrafica, soffermandosi in alcuni casi sull'analisi dei complessi tombali. Per il momento in letteratura è presente un'unica data al 14C effettuata su un campione prelevato dal livello della cultura dei vasi a bocca quadrata del settore Vela II corrispondente in datazione non calibrata 3420±180 a.C. [PEDROTTI, 1986, pp.219] I dati della fauna a disposizione riguardano attualmente il materiale proveniente dalla campagna di scavo del 1975 a cura di Benedetto Sala (Vela II). Nel II livello antropico, quello attribuibile al Neolitico inferiore, le specie domestiche sono scarsamente documentate; vi è un'assoluta prevalenza del cervo. In quest'epoca quindi la caccia era dominante sull'allevamento, dato questo rilevato anche in altri giacimenti trentini del Neolitico inferiore. Il livello attribuibile alla cultura dei vasi a bocca quadrata contiene invece una fauna con dominanza assoluta di animali domestici, in particolare capra o pecora, indicante rispetto al livello precedente, un notevole cambiamento dell'indirizzo economico. Lo studio è stato condotto da Castelletti sui resti vegetali carbonizzati del livello della cultura dei vasi a bocca quadrata messo in luce dagli scavi del 1975 (Vela II). Accanto a numerosi frammenti di legno carbonizzato, residuo del combustibile del focolare è stata riconosciuta la presenza di una piccolissima quantità di cariossidi vegetali in cattivo stato di conservazione. 26 Scheda sito Neolitico Antico Buche di palo: Assenti Capanna: Presenti ma non specificato il numero Compound: Assenti Forma: Non presente in letteratura Fossati: Assenti Intonaco: Assenti Localizzazione geografica: Provincia di Trento Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: No Strutture lavorative: No Superficie: Non presente in letteratura 27 2.2.2 LUGO DI GREZZANA La frazione di Lugo di Grezzana appartiene al comune di Grezzana, in provincia di Verona. L’area a sud del piccolo abitato, denominata località Campagne, adibita oggi a zona industriale, è oggetto a partire dai primi anni novanta di ricerche sistematiche intraprese dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, coadiuvata in un secondo tempo (1996) dal Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche dell’ Università degli Studi di Trento. Tali indagini hanno portato alla luce un vasto insediamento riferibile alla cultura di Fiorano particolarmente importante per le numerose strutture insediative finora messe in luce. [PEDROTTI, CAVULLI, MIORELLI, 2000, pp.111]. I settori di scavo vennero denominati in base alla successione degli interventi (I-IX); nel 1998 venne aperto il settore X di ca. 800m2 . Di particolare importanza è stata la scoperta di una trincea di fondazione per la posa di una palizzata indagata attualmente per circa m10. La fossa presenta un tratto risparmiato corrispondente probabilmente al punto di ingresso al villaggio, è profonda circa un metro e taglia uno strato ghiaioso in cui sono ben visibili le impronte di buche di palo. La palizzata è stata realizzata con 5 grossi pali di testa affiancati e da una serie di pali di minor diametro disposti alternati in doppia fila. Alla base è stata ritrovata una falange, forse di caprovino, che gli autori ipotizzano possa avere implicazioni con il rito di fondazione della struttura. [PEDROTTI, CAVULLI, MIORELLI, 2000, pp.111]. Nel corso delle campagne di scavo del 1996, 1997 e 1998 è stato indagato il settore IX dove sono state messe in luce tre strutture principali: un focolare in parte sovrastante un pozzetto di forma circolare abbastanza regolare, con diametro massimo di m1.15 e 28 profondità m0.5 e una grande struttura di cui la parte conservata è molto limitata a causa dei danneggiamenti apportati dagli scavi abusivi. È stata messa in luce durante gli scavi una struttura, di cui in letteratura non si trova un’interpretazione adeguata. Tale struttura è profonda m1, ha pareti subverticali e tre lati che si incontrano ad angolo retto; solo di uno è possibile ricavare le misure complete (m2.8) mentre gli altri due sono preservati per m2.1 e m0.5. Il riempimento è rappresentato da un livello molto carbonioso con cumuli di concotto e la presenza sul fondo di un livello con pedorelitti che suggerisce che la buca sia stata lasciata aperta per un certo lasso di tempo; probabilmente fungeva da base di un alzato ligneo con rivestimento argilloso distrutto da un incendio. Tale evento è suggerito dalla stratificazione alternata di livelli carboniosi e di concotto inclinati dalle pareti verso il centro. La struttura (struttura 1) doveva essere orientata nord-est sud-ovest. Sulla base di analoghe evidenze rilevate nei settori IV e V gli autori suppongono avesse una pianta rettangolare allungata e fondo leggermente convesso. [PEDROTTI, CAVULLI, MIORELLI, 2000, pp.112]. A queste strutture potrebbero essere associate due buche di palo a sezione conica. In letteratura non sono presenti analisi al 14C che permettano di datare l’intera struttura abitativa, riferibile alla cultura di Fiorano, quindi al Neolitico medio. Struttura 1 Neolitico medio Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare allungata a fondo convesso Fossati: Presenti Intonaco: Assente 29 Localizzazione geografica: Provincia di Verona Orientamento: NE-SO Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: focolare, pozzetto Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 30 2.2.3 FIMON MOLINO CASAROTTO Il Sito di Fimon Molino Casarotto, si trova in provincia di Vicenza, ai piedi dei Colli Berici. Nel corso del ‘900 le ricerche di Gastone Trevisiol nell’area di Molino Casarotto (località “Persegaro”) permisero di rinvenire un insediamento neolitico, scavato e studiato negli anni ’70 dai professori Broglio, Barfield e Bagolini. Sono state identificate 3 distinte aree abitative, con tracce di capanne, strutture di focolari, accumuli di resti di pasto, attestanti un’economia basata sulla raccolta di vegetali, sulla pesca e sulla caccia, strumenti di pietra e manufatti ceramici attribuibili alla cultura dei vasi a bocca quadrata. Le datazioni radiometriche attribuiscono all’insediamento un’età compresa tra i 5750 e i 5200 BP. Questo sito ha restituito un’esauriente testimonianza delle strutture messe in opera in ambiente umido. Si tratta di capanne con impalcato di base costituito da pali orizzontali disposti regolarmente, attorno ai quali erano infissi in profondità pali verticali allo scopo di contenere le strutture orizzontali e disidratarne i limi lacustri su cui esse poggiavano; l’insediamento doveva infatti essere ubicato sulle sponde di un antico bacino lacustre oggi estinto. Ciascuna capanna presentava al centro dell’impalcato un focolare che, invece di essere svuotato, veniva rigenerato sopraelevandosi fino anche a più di un metro sul pavimento, probabilmente per ottenere un miglior tiraggio attraverso il foro centrale del tetto. 31 Scheda generale delle 3 aree abitative Neolitico antico Buche di palo: Presenti Compound: 3 Forma: Non presente in letteratura Fossati: Assenti Intonaco: Assente Localizzazione geografica: Provincia di Vicenza Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Ciascuna capanna presenta al centro dell’impalcato un focolare Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 32 Figura 1 ‐ Alba, Cooperativa dei Lavoratori Figura 2‐ Lugo di Romagna. Planimetria generale delle strutture finora indagate. In nero: elementi lignei della palizzata caduti a terra; in rosso: canaletta di fondazione della palizzata; in giallo: "argine" prodotto dal collassamento di un muretto in terra e paramento ligneo; in azzurro: fossato; in grigio: grandi buche e pozzetti; in arancio: la capanna. 33 3 3.1 3.1.1 ITALIA CENTRALE SITI MAGGIORI CATIGNANO L’insediamento si trova in località di Ponte Rosso nel comune di Catignano, Pescara. Il villaggio è situato all’estremità di un lembo, alla convergenza tra la valle del fiume Nora e il Fosso dei Cappuccini; il territorio è in prevalenza pianeggiante. L’insediamento è stato scoperto nel 1970 dal Dott. Claudio De Pompeis, il quale raccolse, in seguito ad arature, frammenti di intonaco di capanne, industria litica e numerosi frammenti di ceramica figulina. Gli scavi iniziarono l’anno successivo ad opera dell’università di Pisa e proseguirono fino al 1980. [TOZZI, ZAMAGLI, 1981, pp.12-13] Inizialmente vennero utilizzate le tecniche di scavo allora in uso, scavando due trincee perpendicolari tra loro nei punti ove c’era più concentrazione archeologica. Successivamente veniva asportato il terreno di copertura agricolo-vegetale. Ben presto questo sistema si rivelò inadeguato, dato che le strutture di dimensioni più piccole, come le buche, le fossette e i focolai sfuggivano all’indagine archeologica. In seguito venne asportato completamente il terreno agricolo su tutta la superficie di scavo. In un secondo momento avvenne la ripulitura del terreno per evidenziare i solchi lasciati dall’aratro; la superficie veniva pulita 34 ulteriormente con un’accurata raschiatura per rendere visibili i cambiamenti di terreno. Con questo metodo risaltavano le strutture di dimensioni maggiori con riempimento di colore più evidente, mentre per fossette e per buche di palo, la loro individuazione richiedeva determinate condizioni di luce che avvenivano nel mattino o nel tardo pomeriggio. [BAGNONE, TOZZI, 1992, pp.77-79] Le strutture fotografate, venivano messe in pianta, e a questo punto iniziava lo scavo vero e proprio. Ciò che è visibile del villaggio sono le fosse e le buche. Le arature del 1971 avevano già asportato il livello di calpestio dell’abitato neolitico, che era parzialmente conservato solo sul bordo del terrazzo. Le strutture neolitiche messe in luce nel villaggio si possono classificare secondo quattro tipologie distinte in base alla forma e alle caratteristiche del riempimento: • • Capanne absidate; • hanno traccia di cottura delle pareti; • Grandi cavità a contorno curvilineo, rotondeggiante che non Pozzetti cilindrici, forse silos; Strutture di combustione. In alcune buche si è notato nella parte centrale un addensamento di frammenti di carbone e la presenza di un terreno che diveniva più visibile dopo una pioggia leggera, che metteva in evidenza un alone centrale di maggiore umidità che contrassegnava la posizione delle buche di palo. Le capanne sono state contrassegnate raggruppando le buche e le fossette che apparivano più o meno in connessione tra loro. [TOZZI, ZAMAGLI, 1981, pp.27] Le capanne meglio conservate si trovano sull’estremità est-ovest dell’area, mentre nella parte centrale si trovano gruppi di fossette e di 35 buche mal conservate e con distribuzione irregolare, che non consentono di individuare le capanne originarie; ciò è dovuto alla maggiore profondità dell’aratura recente. È quindi probabile che le strutture peggio conservate appartenessero agli edifici abbandonati per far posto ai nuovi e che una parte di queste strutture sia sfuggita all’individuazione durante lo scavo o che sia andata completamente distrutta in seguito ad interventi successivi. L’insieme delle fossette e delle buche di palo indicano una chiara funzione abitativa. Al momento della loro scoperta esse rappresentavano una novità nel panorama abitativo Neolitico dell’Italia centro-settentrionale. Un altro tipo di struttura che poteva rappresentare una novità, erano le fosse di combustione con riempimento ad acciottolato. La grande cavità intorno al villaggio di Catignano, presenta caratteri strutturali particolari non segnalati in altri luoghi. Il terreno argilloso applicato alla parete con andamento aggettante verso l’interno, in origine si innalzava sopra il piano della campagna, formando una sorta di bassa parete intorno alle fosse. Nel momento dell’abbandono, parte di questo terreno si ripiegava verso l’interno senza distaccarsi dalla parete. Per quanto riguarda le buche di palo, ne sono state evidenziate 114. Per risalire al modello d’abitato, si sono prese in considerazione alcune caratteristiche di queste buche, come il diametro e la gerarchia del palo stesso (portante o di rinforzo). Lungo la parete orientale della struttura è stato rinvenuto un individuo inumato. La deposizione è stata considerata contemporanea al riempimento della cavità poiché non si sono rinvenute tracce di scavo di una fossa sepolcrale. 36 Lo scheletro era sul fianco sinistro in posizione rannicchiata, con gli arti inferiori flessi, il volto era rivolto verso est, il braccio sinistro era disteso sotto il corpo mentre quello destro era piegato su un fianco. Il cranio presentava lesioni traumatiche e due ipotetiche trapanazioni. Le analisi in laboratorio hanno permesso di valutare che si trattava di un individuo di sesso femminile di età compresa tra i 40-50 anni. Non è rinvenuto il corredo, ma non si esclude che l’abbondanza della ceramica rinvenuta nella cavità possa essere correlata alla sepoltura. Il dato che senz’altro ha suscitato interesse sono le trapanazioni del cranio, dovute ad una serie di interventi curativi dovuti a precedenti fratture. Tali lesioni sono ricollegabili alle attività svolte in vita dall’individuo. Analisi sulle ossa hanno messo in rilievo come la donna probabilmente macinava cereali, portava pesi e quindi svolgeva lavori pesanti, quindi con la possibilità di riportare traumi violenti. I denti presentano usure dovute alla masticazione di cibi duri o confezionati con farine non setacciate. In una buca è stato ritrovato la deposizione di un bambino di età compresa tra i 3-5 anni. Il corredo si componeva di un ciotoletta in ceramica grossolana di colore grigio, con pareti dritte, collocata in prossimità della testa. Il bambino (Catignano 2), giaceva in posizione rannicchiata. [TOZZI, ZAMAGLI, 1981, pp.35] In una stessa cavità sono stati ritrovati ben due resti di bambini mescolati tra loro. Il primo, è un bambino di età compresa tra 1-3 anni; ne rimangono il cranio e otto ossa lunghe frammentarie; il secondo è un neonato o un bambino di 0-1 anno, rappresentato dalla diafisi del femore sinistro. Si sono rinvenuti anche resti animali. Le modalità sepolcrali dei due inumati, sono ricorrenti della corrente culturale della ceramica dipinta a bande rosse. In particolare la posizione rannicchiata è un elemento che si ripropone spesso. 37 All’interno della buca situata nella capanna 2, le analisi hanno individuato vari frammenti di cranio di cane, completo di mandibola, oltre che dell’ulna. La relativa abbondanza di tali resti, può far ipotizzare un uso rituale della buca e non di semplice buca di palo. Di difficile interpretazione sicuramente è il rinvenimento nella fossa di combustione n.3, di due mandibole di cane in connessione anatomica, che non sono pertinenti all’uso primario della struttura poiché non sono bruciate. Quindi non si intravede nessun significato culturale, ma al contempo sorge il quesito di riuscire a capire cosa è da considerare come “sacro” e cosa è invece semplice materiale di rifiuto. La presenza nella buca (buca 146) di resti di due cani, potrebbe ricondursi a riti di fondazione o di altra natura. Un’osservazione attenta, può far notare come la buca 146 formi con la buca 159 e la 159a, una sorta di vestibolo; in conclusione si può supporre che tali deposizioni venissero fatte in punti topici delle strutture, considerati i più deboli della costruzione, come gli ingressi. Nel corso degli scavi del sito, sono stati prelevati carboni da diverse strutture. Le analisi hanno portato alla conoscenza di 14 taxa (specie) di carboni; non è sempre possibile riconoscere con precisione il tipo di albero o arbusto. In questo senso si possono trarre dall’ecologia delle diverse specie e dalle caratteristiche tecnologiche del legno. Alle consuetudini difficoltà di determinazione, si sono aggiunti i problemi riguardanti la frammentarietà dei reperti di modeste dimensioni e gli aspetti conservativi. Oltre il 75% dei carboni analizzati appartengono alla quercia; seguono gli aceri, frassini e faggio. 38 Le dimensioni dei carboni sono mediamente piccole; la strategia di campionatura ha consentito il recupero di gran parte dei resti botanici, ma per gli elementi di maggiori dimensioni, non è più possibile risalire alla forma originaria. Le piccole dimensioni dei carboni rappresentano una forte limitazione anche per quanto concerne il rilevamento delle superfici lavorate o di taglio. Poche sono le evidenze di attacchi del legno da parte di organismi lignivori; un forte attacco di ife può alterare il potere di combustione della legna, anche se non necessariamente in senso negativo. La raccolta dei resti vegetali, ha portato alla suddivisione dei semi in tre gruppi principali: • • Erbe infestanti: sono rappresentate da pochi semi carbonizzati. Graminacee: appartengono ai tre generi più diffusi nel Neolitico in Italia, il grano, l’orzo e l’avena; il frumento è • rappresentato principalmente dal farro. Leguminose: possono essere suddivise in due gruppi principali: quello legato ai gruppi delle erbe infestanti delle coltivazioni principali, e quello comprendente la lenticchia e la fava, che sono più tipicamente coltivate e di interesse alimentare. In conclusione il gruppo di Catignano possedeva un’economia tipicamente agricola. La raccolta di piante selvatiche e di semi di erbe infestanti utilizzabili per l’alimentazione, è molto limitata se non accidentale. La presenza di tre tipi di grano, tre tipi di orzo e di due leguminose coltivate, indica un’agricoltura evoluta con specializzazione verso la produzione del farro. Inoltre la rarità di erbe infestanti fa pensare ad un’evoluta capacità di utilizzazione di tecniche agricole. 39 Tra la fauna domestica prevalgono gli ovicaprini sia come numero di frammenti che come numero minimo di individui. Se si considera invece la percentuale di carne commerciata, sono molto inferiori ai bovini, e superano di poco la percentuale di carne di maiale. Nel villaggio di Catignano si trovano alcune materie prime, non sempre reperibili nelle immediate vicinanze del sito. In alcuni casi si tratta di materiali presenti nell’area geografica occupata dalla cultura di Catignano, per cui possiamo supporre che l’approvvigionamento fosse diretto o tramite altri gruppi della stessa cultura, in altri casi, tali presenze presuppongono l’esistenza di rapporti con culture diverse, tramite un’attività di ordine commerciale. Non si esclude quindi che questi oggetti arrivassero nel villaggio sottoforma di doni. L’insieme della documentazione raccolta consente di delineare l’esistenza di un aspetto culturale ben definito nelle sue componenti. L’insediamento si presenta particolarmente esteso e complesso e l’area indagata, per quanto di notevole estensione, non è sufficiente per la comprensione completa della sua articolazione spaziale e temporale. Probabilmente intorno alle capanne si svolgevano le attività artigianali ed vi erano ubicate anche le strutture destinate all’immagazzinamento delle derrate; lontano dalle abitazioni, si svolgevano le attività connesse con le fosse di combustione. Le ipotesi circa queste strutture sono molteplici, ma nessuna si basa su prove convincenti. Ugualmente incerta è l’utilizzazione delle cavità a contorno curvilineo. Scheda delle 5 capanne Neolitico antico Buche di palo: Presenti 40 Compound: Presenti Forma: Tutte rettangolari absidate Fossati: Presenti Intonaco: Assenti Localizzazione geografica: Provincia di Pescara Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Focolari Strutture lavorative: Assenti Superficie: 70-80m2 41 LA MARMOTTA 3.1.2 Il villaggio preistorico de “La Marmotta” risulta essere il più antico insediamento Neolitico perilacustre dell’Europa occidentale; anticamente ubicato sulla sponda sudorientale del lago di Bracciano, prende il nome dalla località in cui esso fu rinvenuto nel comune di Anguillara Sabazia (Rm). La porzione di terreno occupata dal villaggio preistorico è delimitata verso sud dalla sponda di un corso d’acqua perenne, il fiume Arrone, mentre a nord-ovest da una delle antiche linee di riva del lago. Nel marzo del 1989, in seguito ad alcune richieste per una trincea subacquea per la posa delle condotte del nuovo acquedotto, iniziarono nel lago di Bracciano perlustrazioni del fondale perilacustre. Dato che le prime analisi diedero esito negativo, si iniziarono i lavori per la trincea. Ma appena dopo un mese, si incappò in un deposito archeologico. Immediatamente gli scavi dell’acquedotto furono sospesi anche nella zona circostante. Si iniziò una campagna di recupero dei materiali ad opera degli archeologi M. A Fugazzola Delpino, G. d’Eugenio e A. Pessina e tutta l’area fu divisa in 3 grandi settori lunghi complessivamente 80 metri: quello centrale (B) largo circa 9 metri e quelli laterali (A, verso sud, e C, verso nord), intatti e ricoperti dal terreno archeologico sconvolto, larghi 10,5 metri. A loro volta, i tre grandi settori, furono suddivisi trasversalmente in sei fasce larghe 10 metri ognuna e contraddistinte da numerazione romana (dall’I all’VIII), quindi progressivamente dalla riva verso il centro del lago. [FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp182] Terminate le operazioni di recupero del materiale rimosso, iniziarono le operazioni di scavo. 42 Vennero alla luce strutture lignee fisse e mobili, resti fittili, litici stanti o inglobati nello strato archeologico. I pali, infissi nel terreno, sporgevano dalla superficie dello strato per circa 15-20 centimetri. Gli elementi lignei mobili consistevano soprattutto in resti di tavole; altri reperti archeologici si trovavano al di sopra di queste tavole e molte di queste mostravano la faccia superiore carbonizzata e quella inferiore intatta, a contatto con la superficie argillosa sottostante. In letteratura si ipotizza che alla base del ritrovamento di un gran numero di carboncini sullo strato archeologico, vi sia un incendio. Nel quadrato B26 si notò una particolare concentrazione di materiali, soprattutto intorno al palo 36; infatti sullo strato 1 giacevano capovolti una tazza ed un fondo convesso di vaso, mentre tutti gli altri frammenti fittili, si trovavano con la parte interna rivolta verso l’alto. Il settore B, nella fascia VI, sembra essere un’area particolarmente ricca di reperti e strutture lignee: si riconoscono in particolare delle tavole, larghe e spesse, lunghe anche più di 2 metri, sovrapposte le une alle altre. Tutti i dati (frammenti di assi, assicelle, tavole, frammenti di argilla con impronta del cannucciato, vasi schiacciati in situ) portano gli autori ad affermare che con molta probabilità, ci si trovava di fronte al crollo di una capanna; l’intera zona fu definita “Capanna 1”. Le prime datazioni di una cronologia assoluta al 14C effettuate nei quadrati B1-B40, nel settore BVII-VIII, risultano essere: 5280-52705260 a.C. Nel quadrato B8 il palo 16 è stato datato al 6350±75 BP come età convenzionale, mentre come età calibrata al 5270 a.C. [FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp.284] 43 SITO DATAZIONE DATA (a.C cal.) (a.C. cal.) La Marmotta 5428-5232 5280 La Marmotta 5371-5231 5270 La Marmotta 5310-5147 5260 CENTRALE Rispetto alla ceramica dipinta abruzzese “tipo Catignano” si può notare la contemporaneità delle date della Marmotta soltanto con quelle al 5270 a.C (6330 BP) della struttura 3 di Catignano, ma anche la recenziorità di tutte le altre date del villaggio di Catignano. [FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp.286] SITO DATAZIONE DATA CENTRALE (a.C. cal.) (a.C. cal.) Catignano 5320-5225 5270 Catignano 5204-4940 5050 Catignano 5064-4908 4950 Catignano 5042-4810 4930 Catignano 4946-4799 4900,4870,4860 Catignano 4911-4789 4983,4886,4840 Rispetto all’Italia meridionale, le date che più si avvicinano a quelle della Marmotta per la ceramica impressa sono quella più recente del Fossato n.14 di Rendina al 5440 a.C (6530 BP). [FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, SITO Rendina, fossato 14 1995, pp.286] DATAZIONE DATA (a.C. cal.) (a.c. cal.) 5577-5288 5440 44 CENTRALE La documentazione archeologica sembra indicare che l’abitato venne costruito ai margini dello specchio lacustre di Bracciano, in un’area asciutta che venne ricoperta, immediatamente dopo l’abbandono da parte delle genti neolitiche, dalle acque del lago. [FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp.289] I pali infissi verticalmente, dovevano servire per la stabilizzazione del terreno oppure erano semplicemente elementi portanti di strutture lignee in alzato, tracce delle quali si avrebbero dagli elementi di crollo individuati. L’unica testimonianza a noi nota degli abitanti del villaggio, è un dente deciduo di un bambino. Il villaggio era inserito in un ambiente che vedeva boschi affacciarsi sul lago, quindi con la possibilità per gli abitanti di attività di coltivazione, pascolo di bestiame e di sfruttamento del legname. Probabilmente data la presenza nel villaggio di materie prime, come l’ossidiana, si è pensato a scambi con altre comunità neolitiche provenienti dall’Italia meridionale. Scheda generale Neolitico antico Buche di palo: Presenti Capanne: Numero non definito in letteratura Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Roma Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: 70m2 45 CASALE DEL DOLCE 3.1.3 L’area di Casale del Dolce fa parte della provincia di Frosinone (nel Lazio, Italia centrale), e in particolare nei comuni di Anagni e Sgurgola. Il sito archeologico è compreso tra il corso del Rio S. Maria a NO e quello del fiume Sacco a S e SE, occupando un settore pianeggiante e un altro di debole pendenza, separati da una netta discontinuità morfologica che va così a formare un terrazzo di formazione calcarea. Le indagini archeologiche hanno avuto inizio il 27 novembre del 1995, durante i lavori per la realizzazione della linea ad Alta Velocità Roma–Napoli, e si sono concluse il 13 febbraio 1997. È stata indagata un’area di circa 2 ettari e la zona di intervento fu divisa in 5 aree (A-B-C-D-E). [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.35-36] Gli autori individuano due fattori principali che hanno alterato il grado di conservazione del sito: 1) La presenza di una cava di travertino che ha provocato la distruzione della parte prospiciente il fiume Sacco; infatti sono state individuate nel terreno tracce di una cavatura meccanica anche nella parte più alta e meridionale del terrazzo (Area D), dove non a caso appare molto scarsa la concentrazione di strutture archeologiche. 2) La lavorazione agricola che ha determinato nel corso del tempo un’alterazione e asportazione della stratigrafia, comportando difficoltà della lettura dell’insediamento. L’insediamento neolitico si estende nella stessa area che sarà poi occupata dalla necropoli eneolitica. Si registra in effetti una lunga frequentazione che va dal V al IV millennio a.C., che in letteratura viene suddivisa in 3 fasi principali: 46 -la fase antica di frequentazione, caratterizzata dalla presenza di ceramica di tipo Sasso con decorazione a linee incise, comprendente un periodo che va dal 5300 al 4700 a.C. (6400–5800 BP). -la fase media di frequentazione, caratterizzata dalla presenza di ceramica di tipo Ripoli, con datazione che parte dal 4400 fino al 4300 a.C. (5500-5400 BP) . -l’ultima fase di frequentazione, caratterizzata dalla necropoli che permette l’inquadramento nell’ambito delle facies funerarie dell’Italia tirrenica del Gaudo e di Rinaldone. [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.40] Per quanto concerne le strutture abitative, ne sono state individuate due: una facente parte dell’area A, (struttura 1) ed un’altra nell’area B (struttura 2). L’area A si colloca nel settore centro meridionale dell’area di scavo; al suo interno è stata individuata un’unica struttura (A) con funzioni abitative. Essa risulta definita da tre segmenti distinti del Cavo di Fondazione e da un totale di 9 buchi di palo a essa associabili. Questi buchi di palo presentavano un riempimento di terreno compatto, di colore scuro rispetto al taglio, con una quantità piuttosto ridotta di materiali ceramici e litici, mediamente di piccole dimensioni; mentre era del tutto assente l’intonaco di capanna. La struttura presenta un’estensione di circa 45m2, a pianta rettangolare con i lati corti leggermente arrotondati, orientata in direzione SO-NE. Gli autori ipotizzano che l’accesso alla struttura fosse realizzato sul lato corto meridionale, senza escludere la possibilità che potesse essere localizzato sul lato settentrionale. Inoltre, sono state individuate due strutture piuttosto articolate (Strutture B e C) con probabili funzioni produttive, legate alla trasformazione delle materie prime. La struttura B è costituita da un ampio taglio di forma irregolare, praticato nel substrato argilloso; è stata riscontrata la presenza di 47 componenti organiche e artificiali (frammenti di piccole dimensioni di carbone e ceramica), che ne hanno fatto ipotizzare la natura artificiale. Su questa struttura è stato rinvenuto un livello carbonioso, composto principalmente da carboni di piccole e medie dimensioni. [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.71] Associate a questa grande struttura, sono tre fosse disposte attorno ad essa: la più grande con forma circolare, mentre la seconda con dimensioni ridotte, di forma ovale, caratterizzate entrambe da un riempimento ricco di granuli di concotto, posto al di sopra di un livello molto compatto formato anch’esso da concotto. Infine la terza struttura associabile, potrebbe essere un forno che si trova esternamente al taglio 279. Gli autori desumono da questi dati una bipartizione funzionale all’interno della struttura: “un’area destinata probabilmente alla combustione in cui era maggiore la produzione di calore, con la formazione di un’atmosfera riducente, e una destinata alla manipolazione del combustibile e probabilmente anche degli oggetti destinati alla cottura, al contrario maggiormente ossidante.” [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.76] Nelle immediate vicinanze non sono state rinvenute tracce e scarti di lavorazione da mettere in relazione con l’utilizzo primario del forno. La struttura C è costituita da un taglio articolato, da una lunga canaletta e da un sistema di fosse di forma circolare. Associabili a questo sistema di fosse, ma non direttamente correlati fisicamente, si trovano un forno con ricca presenza di granuli di concotto e di frammenti di carbone e una fossetta subcircolare. L’area B si colloca nel settore centrale dell’area di scavo, per un’estensione complessiva di 0,40 ettari; è delimitata a S da una cresta di travertino parzialmente rasata dai lavori agricoli, a N da un’ampia fascia di travertino poco rilevata priva di emergenze 48 archeologiche e il margine O è prospiciente il fiume Sacco. [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.93] Nel corso dell’indagine è stata recuperata in situ un’olla ovoide di grandi dimensioni, posizionata all’interno di un pozzetto (P3) di diametro di 44cm. L’unica struttura abitativa presente viene chiamata dagli scavatori E (struttura 2); presenta una pianta rettangolare, perfettamente conservata, orientata in senso NE-SO, con il lato curvo NE semicircolare e quello SO rettilineo, con un’interruzione nella parte mediana. È stato individuato un cavo di fondazione continuo di 31m che presenta una larghezza piuttosto costante, in media di 40cm nel tratto semicircolare, mentre nei due tratti rettilinei varia maggiormente. Il cavo era conservato per una profondità variabile, in media di 25cm. La sezione è a pareti verticali, leggermente convergenti verso l’interno e il fondo concavo: qui sono stati individuati gli alloggiamenti per i pali. I 125 buchi di palo individuati all’interno del cavo di fondazione hanno dimensioni variabili; la loro distribuzione non è affatto casuale, ma si è pensato a precise esigenze strutturali: nel tratto curvilineo si riscontra una maggiore presenza di buchi di diametro più grande, mentre nei tratti rettilinei vi è una quasi esclusiva concentrazione di quelli di minori dimensioni. [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.95] All’interno dell’area delimitata dal cavo di fondo, sono stati rinvenuti 8 buchi di palo, alcuni dei quali sicuramente in relazione con l’impianto strutturale della capanna. La struttura così definita presenta un estensione planimetrica di circa 84m2, orientata in senso NE-SO. All’esterno della struttura E, totalmente isolato, è stato rinvenuto un pozzetto a pianta circolare, del diametro di circa 50cm. Il riempimento si caratterizza per il ritrovamento di 11 pesi discoidali in argilla,di diametro medio di 9cm. 49 Le pareti della fossa non presentavano tracce di esposizione al fuoco, escludendo così, secondo gli scavatori, la possibilità di una cottura in situ. Sempre all’esterno sono stati individuati 6 buchi di palo, il cui grado di conservazione risulta essere pessimo, con riempimenti privi di materiali archeologici significativi. Nelle restanti aree, C-D-E, vennero alla luce strutture produttive legate alla trasformazione di materie prime e strutture di immagazzinamento. Numerose sono infatti le strutture funzionali: forni, pozzetti, silos contenenti semi carbonizzati, resti di cultura materiale e fauna. Nel quadrato AD/IV, in una fossa a botte, sono stati individuati i resti di sette individui (A-G) e una deposizione di un cane, su due livelli di deposizioni all’interno dei quali è stato possibile riconoscere la sequenza delle sepolture. La deposizione più antica sembra essere l’individuo A, di età adulta e deposto sul fondo della camera in prossimità della parete opposta all’accesso; il corredo si compone di un unico elemento, una punta in osso a taglio obliquo. La successiva deposizione è costituita dall’individuo F, di età giovanile e collocato nell’area centrale di fronte all’accesso; gli elementi del corredo questa volta sono 3 punte in osso a taglio obliquo. A questo livello è pertinente anche la deposizione del cane, rinvenuto a ridosso della parete N, fortemente dislocato al punto da non poterne ricostruire la posizione primaria. In relazione alla sua attribuzione, l’analisi spaziale ha permesso di verificare che la deposizione dell’individuo F è avvenuta quando i resti del cane erano già parzialmente sconnessi, consentendo di ipotizzare, a questo livello di analisi, una sua attribuzione all’individuo A. [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.127] 50 Questo livello di deposizione è sigillato da un livello di riempimento, che copriva interamente l’individuo F, il cane e la parte anteriore di A. Su questo strato si imposta il secondo livello di deposizioni, costituito dagli individui B,G,C,D,E. La terza deposizione è costituita dall’individuo B, collocato anch’esso in prossimità della parte di fondo, in gran parte sovrapposta all’individuo A, con alcuni elementi di corredo, quali un dente di cinghiale e due punte di frecce in selce. Le successive deposizioni sono costituite dagli individui G, C e D, tutti di età infantile e si presentano fortemente dislocati a causa di uno spostamento verso il fondo della camera; prevalgono soprattutto elementi di corredo in ceramica. Gli archeozoologi, esaminando i resti di fauna molto abbondante, hanno fornito una prima ricostruzione dei modi di sussistenza, che appare basata, soprattutto nel Neolitico su un’economia di allevamento delle specie tradizionali (con una particolare enfasi sull’allevamento dei bovini), solo in parte integrato dalla caccia al cervo e al cinghiale. Mentre i paleobotanici, tramite lo studio dei reperti carpologici, hanno evidenziato nelle strutture neolitiche (fosse, silos, focolari), la presenza di cereali, graminacee, leguminose. Sicuramente il quadro paleo-ambientale del sito al momento dell’occupazione ha favorito quello che era lo stanziamento di queste popolazioni, dato che vi era una consistente copertura vegetale a querceto misto, presenza di carpino, leccio, olmo, frassino; senza dubbio l'assetto morfologico, la presenza di un corso d'acqua principale e di un reticolato idrografico ben sviluppato, la vicinanza di acque sorgive, l'abbondanza e la prossimità di fonti di materie prime, hanno avuto un'influenza determinante sulle scelte insediamentali. Il sito neolitico di Casale del Dolce, si segnala, quindi, per la vastità dell’area dell’abitato indagata e per la molteplicità delle fasi di frequentazione e di resti strutturali individuati. 51 Un ambiente di questo genere, tipico di zone collinari e pedemontane di non alta quota, ben sopporta un’economia di sussistenza mista, caratterizzata da agricoltura, allevamento, caccia, probabilmente integrata da raccolta. È stato rivelato anche il collegamento funzionale e spaziale tra le strutture di stoccaggio in fossa e le strutture abitative. Struttura 1 Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare absidata Fossati: Assenti Intonaco: Assenti Localizzazione geografica: Provincia di Frosinone Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Forni Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura Struttura 2 Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare absidata Fossati: Assenti Intonaco: Assenti Localizzazione geografica: Provincia di Frosinone Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Forni Strutture lavorative: Assenti Superficie: 80m2 52 53 3.1.4 PIENZA Pienza è un comune della provincia di Siena, dove tra il 1968 e il 1976 la Soprintendenza alle antichità dell’Etruria di Firenze, sotto la direzione del professor F. Rittatore Vonwiller e la dottoressa G. Calvi Rezia, hanno messo in luce un abitato neolitico. In letteratura i dati scaturiti da queste ricerche sono molto scarsi, ma gli autori apportano numerose ipotesi. Nell’agosto-settembre 1968, sono stati presi in esame parte degli avanzi d’insediamento preistorico in località Romintorio. [CALVI REZIA, 1970, pp.410] Tali ricerche si sono svolte in prevalenza sul pendio nord; su questo pendio fu aperta una trincea che mise inizialmente allo scoperto un’area di 220m2. Gli strati apparvero caratterizzati da pietre di forma irregolare, dimensioni medie, fittamente accostate ed inferiormente poggianti sul banco d’arenaria. In alcune porzioni, queste pietre sono a brevi circoli sovrapposti e cementate con terra argillosa pressata, come se fossero state impiegate a sostegno di pali. Quest’uso sembrò trovare conferma nella terra compresa nei circoli stessi, che apparve incoerente, sciolta e mescolata a pietrisco. [CALVI REZIA, 1969, pp.368] Gli scavatori ipotizzarono che la trincea di scavo mostrasse due fasi dell’insediamento a ceramica impressa; le buche risultarono logicamente collegate alla fase più tarda. La trincea stessa venne ampliata verso Ovest, verso Est ed infine verso Sud; quest’ultima porzione di terreno, apparve in parte sconvolta dall’azione della pala meccanica. Anche in tale area, si rilevarono tracce di probabili buche di palo disposte in allineamenti 54 ed il maggiore di essi si presentava a circolo, con buche all’incirca equidistanti. Nel settembre nel 1970, sempre sotto la direzione della dottoressa G. Calvi Rezia, si è potuto identificare la probabile continuazione dell’abitato nel cosiddetto podere Porciano. I risultati segnalano lo sviluppo lungo il versante Nord della vallata dell’Orcia dell’abitato pientino. [CALVI REZIA, 1971, pp.419-420] Si trattava di un grande allineamento di buche di palo, con probabile andamento a C, aperto in direzione Sud; esso comprendeva allineamenti minori di buche, pure curvilinei ed aperti a Mezzogiorno. L’autrice ha constatato che nessuna delle buche raggiungeva il banco di arenaria di base, pertanto queste strutture erano state, con molta probabilità, riferite ad una seconda fase dell’abitato. L’area di scavo del ’69 venne ampliata nel ’70, in direzione Est; tale ampliamento sembra aver permesso di rintracciare i resti della prima fase dell’abitato stesso. Il primo insediamento, a diretto contatto con il banco di arenaria di base, in quest’area a configurazione pianeggiante, con tendenza a leggera depressione al centro, sembra sfruttasse una situazione naturale del banco stesso. [CALVI REZIA, 1971, pp.420] Sono presenti allineamenti curvilinei di buche, anch’esse aperte a C verso Mezzogiorno; tali buche risultano di dimensioni in genere inferiori (diametro cm10, profondità cm10-15), rispetto a quelle delle buche del secondo abitato (diametro cm15-30, profondità cm10-35). Questi resti del primo insediamento sembrerebbero inclusi in un grande allineamento di buche di palo, analogo al grande allineamento scoperto nel ’69 e con esso intersecante. [CALVI 1971, pp.420] 55 REZIA, Frammenti dell’intonaco di capanna, con impronte di rami si sono mostrati con frequenza in entrambe le fasi, ma soprattutto in corrispondenza della seconda. In letteratura si interpretano i resti dell’insediamento pientino, come grandi recinti, comprendenti varie capanne. Scheda generale Capanna: Non specificato il numero in letteratura Compound: Uno forse nelle prime fasi d’insediamento Forma: Concoide Fossati: Un fossato nelle prime due fasi, scompare nella terza Intonaco: Assente Localizzazione geografica: Provincia di Siena Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Cinque piccoli ambienti concoidi comunicanti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 56 Figura 3 ‐ Catignano. Capanna 2: 2 frammenti di cranio di cane (mandibola e ulna). 57 Figura4 ‐ a) Catignano, successione capanne absidate; b) Casale del Dolce, capanna E 58 ITALIA MERIDIONALE 4.1 SITI MAGGIORI 4.1.1 PASSO DI CORVO Il villaggio di Passo di Corvo è situato nel terrazzo che costituisce l’estremità occidentale dell’altopiano di Amendola, nel Tavoliere foggiano. Tale terrazzo si estende per circa 200 ettari, su un terreno delimitato a nord-ovest dal fiume Celone e a sud dalla valle del “vecchio Farano”. Su di esso è possibile localizzare almeno tre insediamenti: quello di Capo dei Fiori, quello di Podere Fredella 8 ed il vero e proprio villaggio di Passo di Corvo. [TINÈ, 1983, pp.11] Il perimetro dei fossati che circonda il vero e proprio villaggio di Passo di Corvo, delimita un’area di circa 40 ettari entro cui si contano un centinaio di fossati a “C” (Compounds). L’area è quella compresa entro l’ovale formato da due fossati a nord e ad ovest, tre fossati a sud ed un fossato ad est. Quest’ultimo tratto di fossato unico, continua fino a cingere parzialmente un’ampia area (circa 90 ettari), pertanto utilizzata per l’attività agricola e per il pascolo degli animali allevati. Complessivamente il sistema di fossati veniva a rendere praticabili, a scopo abitativo e agricolo, circa 130 ettari. Nel 1946, Bradford segnalava alcuni dei principali siti archeologici del Tavoliere identificati con le foto aeree eseguite dal R.A.F. nel 1943. Soltanto dell’autunno del 1949 riuscì però ad organizzare una vera e propria campagna di identificazione e di scavi e Passo di Corvo venne indagato come un saggio aperto in uno dei fossati “C” situato 59 nell’estremità sud-ovest del villaggio 1. In quella occasione vennero raccolti i dati circa l’ampiezza e la profondità del fossato a “C”, l’area racchiusa da esso e l’esistenza di un muretto lungo il bordo interno dello stesso; purtroppo però non venne identificata nessuna traccia di capanna. Dopo l’attento studio delle classi ceramiche, Bradford arrivò alla conclusione che “sono presenti tutte le caratteristiche di una civiltà agricola a Passo di Corvo che, oltre ad essere il più esteso villaggio d’Europa, rappresenta anche il massimo che la società di quel tempo poteva generare”. [TINÈ, 1983, pp.43] A causa di una malattia Braford non potè continuare gli studi, quindi la direzione dello scavo venne affidata a Trump che, nel 1963, organizzò una campagna di scavo in cui vennero aperte trincee nel villaggio di Passo di Corvo. Dopo questa esperienza diretta, il Trump fu in grado di consegnare il manoscritto Bradford per la pubblicazione, ma per varie ragioni nel 1982 non era stato pubblicato. Pertanto quando Tinè iniziò gli scavi nel 1965, disponeva solo di alcune comunicazioni orali del Trump relative alle sue esperienze. [TINÈ, 1983, pp.50] Dal 1966 fino al 1982 è stata scavata una superficie di circa 2300m2, suddivisa in aree α, , entro le quali sono stati messi in luce tre corrispondenti fossati a “C”: Scavo dell’area α (1966-1969), campagne I-IV. Scavo dell’area (1970-1973), campagne V-VIII. Scavo dell’area (1979–1980), campagne IX–X. Una stratigrafia con tracce di frequentazione più antica e più recente è presente all’interno del villaggio: -Silos a campana: di 1,40x3,50 m, con un diametro fondo 0,90m. L’interno in esso contenuto ha restituito un gruppo di frammenti 60 attribuibili alla fase di Masseria La Quercia 5700-5400 a.C. (68006500 BP) Tale pozzetto è in relazione con la struttura denominata “fondo di capanna” -Fondo di capanna il cui contenuto è caratterizzato da ceramiche dello stile Masseria La Quercia mentre sopra si stendeva lo strato con ceramiche della fase IV a1 e IV a2 formatosi con la frequentazione delle vicine strutture dell’area α e . -Reticolo di buche rettangolari: si tratta di un sistema di buche rettangolari di un’ampiezza media di 90x45 cm intagliate nel banco compatto di crusta per 25cm, e distanziate l’una dall’altra di circa 6m, l’insieme di esse forma un ampio reticolo a maglie quadrate, che occupa interamente l’area scavata e certamente si estende fuori di essa fino ad occupare un’area di almeno 7500m2. I fossati a “C” del villaggio di Passo di Corvo, hanno diverse fasi: Fase IVb – IVc caratterizzate da ceramiche della fase Scaloria Bassa (6400-6100 BP). Il fossato dell’area 2 è localizzato lungo il ciglio esterno di muretto a secco atto a contenere la spinta del terreno ed impedire il suo facile scivolamento all’interno, che ha in gran parte utilizzato il tracciato del primo fossato della fase IV a1. Fase IV a2 caratterizzata da ceramiche figuline a bande rosse (detta Passo di Corvo tipico 6600-6200 BP). Il Fossato dell’area α si sviluppa per circa ¾ di un cerchio fortemente irregolare, dal diametro di 15m, il suo profilo presenta un’ imboccatura di 1m e pareti quasi dritte che terminano sul fondo largo 1,20m, il fondo ha un andamento irregolare dovuto a buche il cui diametro fa pensare a pali atti a reggere una passerella. Fase IV a1 caratterizzata da ceramiche figuline con decorazione in bianco (Passo di Corvo arcaico). Il fossato dell’area 1 è di modeste dimensioni, con diametro 16m, descrive una curva abbastanza 61 regolare e pareti verticali con profondità max. di 2 m. Ed il fossato dell’area interessato solo per 50cm del suo interro e una breve porzione del suo tracciato. Si trovano, in letteratura, delle strutture ausiliarie ai fossati a “C”: -Canaletti superficiali:sono stati individuati con certezza solo nell’area α. In rapporto con il fossato a “C”, sono due canaletti che corrono paralleli ed esternamente ai due bracci di esso, di circa mediamente 1x0,90m, potrebbero costituire degli sbarramenti atti ad evitare che il terreno circostante, sotto la pressione delle acque, slittasse dentro il fossato, interrandone il fondo e quindi ritardando la sua funzione drenante. -Silos: 2 probabili nell’area α. Una grotticella artificiale di forma ovaleggiante ampia 5x3m ed alta 45cm; un’altra grotticella della stessa natura, si accede attraverso due imbocchi circolari, è lunga 3m, larghezza massima di 1,50m ed alta 1,10m. La loro posizione, ne avvalora l’interpretazione come magazzini per conservare le derrate, principalmente i cereali necessari per le future semine e per l’alimentazione. -Vasche circolari: una vasca con imbocco circolare del diametro di 1m, lievemente scampanata e profonda 1,55m è stata individuata nell’area α, dal suo perimetro fuoriesce un canaletto che si prolunga in direzione N-O per 60cm, una vasca per la decantazione dell’argilla. Un’altra vasca localizzata nell’area , profonda 1,35m con un imbocco di 1m. -Pozzi: un pozzo nell’area α, si apre con un imbocco circolare di 1,20m e una profondità di 6,50m a pelo d’acqua della falda freatica. All’interno tra le varie cose sono stati trovati chicchi carbonizzati di grano che sono stati datati al 4190±120 a.C.. Un altro pozzo individuato nell’area , si scavò fino ai 4,70m fino a quando venne 62 trovato uno scheletro, in posizione prona, atipico per il Neolitico, forse una morte accidentale. -Capanna: si conserva gran parte del muretto perimetrale S-O, formato da un unico filare di lastre di crusta adagiate, ed una porzione dell’abside che la delimita a N-O. Da essa si ricava una superficie abitabile di 40m2 dei quali 4m2 di ambiente absidato, questa capanna è da riferire al vicino fossato 2. -Fossati esterni e Fossati interni: nel caso dei fossati esterni di Passo di Corvo, analisi geomorfologiche di dettaglio hanno contribuito a chiarire la relazione con l’assetto paleoambientale dell’epoca, condizionato dalle esondazioni dell’allora prossimo corso del fiume Celone e dalla tendenza all’impaludamento, quindi un’ipotesi funzionale come struttura drenante. La funzione dei cosiddetti fossati a “C”, che articolano lo spazio interno, suggerisce un utilizzo come delimitazioni dello spazio produttivo di singole unità familiari, secondo una struttura modulare a compounds, che raggruppa la struttura abitativa e quelle accessorie: pozzi, silos, granai, aree di combustione e di lavorazione. [TINÈ, 1983, pp.80-81] Le opere più imponenti a livello comunitario sono certamente quelle dei fossati esterni al villaggio larghi fino a 5m, profondi almeno 4m e sviluppati per circa 5km, attorno all’abitato e alle superfici da impiegare per l’agricoltura, hanno comportato un imponente lavoro di scavo e spostamento di oltre un centinaio di migliaia di m2 di materiale con un impiego notevole di forza lavoro e con soluzioni di problemi organizzativi. I muretti ad unico paramento delimitavano rispettivamente il bordo esterno del fossato a “C” dell’area dell’area e il bordo interno di quello con la funzione di contenere la spinta del terreno. 63 Mentre muretti a doppio paramento dovevano essere impiegati per la costruzione delle capanne di cui limitavano il perimetro. Numerose, inoltre, dovevano essere le tettoie e le staccionate destinate a delimitare spazi, all’interno e all’esterno dei compounds, per proteggervi provviste di vario genere o per racchiudervi il bestiame. Purtroppo di tali strutture non è rimasta alcuna traccia che lo scavo potesse mettere in evidenza. Abitudine della popolazione di Passo di Corvo è quella di seppellire i propri defunti nell’area stessa dell’abitato e forse anche in prossimità della capanna in cui si continuava a vivere con un assoluta mancanza di qualsiasi tipo di corredo funebre. Nell’area α le tombe ritrovate sono 7, considerando come tali solo quelle che presentavano uno scheletro pressoché completo o almeno un certo numero di ossa ancora disposte in posizione anatomica, tanto da far pensare che quello era il sito dell’originario seppellimento. Solo nel caso della Tomba 5 si è potuto identificare l’architettura tombale, in fossa ovaleggiante senza corredo, con l’inumato posto sul fianco sinistro con gambe fortemente contratte e braccia incrociate sul petto, si tratta di un individuo adulto giovane maschio. Nell’area sono state identificate 4 tombe. Caso a parte sembra la Tomba 11 ritrovata a circa 4m di profondità nell’interno del pozzo, può non essere considerata una vera tomba ma forse un morto per causa accidentale, la posizione geno-pettorale dello scheletro perfettamente conservata fa pensare che sia stata assunta da un individuo che da vivo è precipitato accidentalmente nel pozzo, restando immerso nella fanghiglia. Un individuo adulto ma età giovanile (18-23 anni) di sesso femminile. [TINÈ, 1983, pp.101] 64 Agricoltura e Allevamento, costituiscono in egual misura, la base economica per le popolazioni del Tavoliere, le attività principali da cui traevano la quasi totalità del sostentamento. Anche la caccia doveva essere praticata ma in misura forse irrilevante o accidentale, infatti specie come (cervus, lepus e vulpes) presenti in numero insignificante nella fase IV a2, scompaiono nella fase IV b. La presenza di un amo in osso sembra indicare che la pesca venne praticata nella vicina ansa del fiume Celone. L’attività commerciale poté forse incidere nell’economia di questa gente in maniera più sensibile di quanto non faccia supporre la semplice presenza di materiali esotici in particolare l’ossidiana (Lipari). I siti delle fasi più antiche sono più piccoli (1-2 ha) e delimitati di solito da uno o due semplici fossati circolari, al cui interno si nota un solo fossato a “C”, che è collegato a singole unità abitative o produttive (Campo dei Fiori). Nelle fasi iniziali del Neolitico medio, i valori dimensionali e di sviluppo lineare dei fossati del Tavoliere aumentano drasticamente, parallelamente all’evolversi del modello di insediamento, da fattorie mono-familiari ad estese comunità di villaggio. A partire dalla fase Serra d’Alto nel tardo Neolitico medio e poi nel Neolitico recente, i villaggi subiscono una netta contrazione numerica in conseguenza di una probabile crisi ambientale e demografica, a cui corrisponde l’abbandono della consuetudine dei fossati, ora diversamente interrati e utilizzati solo per sepolture. Tenendo conto dell’estensione stimata di questi villaggi e delle loro articolazioni interne (spaziali e stratigrafiche), sono state proposte stime demografiche, basate su parametri diversi. A Passo di Corvo, il numero delle sepolture e delle fasi documentate dei diversi fossati a 65 “C” ha fatto ipotizzare la fruizione simultanea di circa 30 compounds, corrispondenti ad una popolazione complessiva di circa 180 persone. La descritta struttura architettonica attribuita al lavoro comunitario, cioè i fossati esterni al villaggio, sembrerebbe presupporre un qualche tipo di patto sociale, il cui rispetto era imposto da qualche autorità, in grado di permettere la progettazione, la realizzazione e la manutenzione di tale opera. Tinè ipotizza che a Passo di Corvo sia molto esplicita, da una parte la tendenza privatistica della popolazione che continua a manifestarsi nel perdurare di una struttura unifamiliare, concretizzata nella immutata unità abitativa del compound, dall’altra la tendenza comunitaria che impone di provvedere in maniera collettiva ad alcune esigenze basilari, prima fra tutte quella del drenaggio dei terreni da abitare e coltivare. [TINÈ, 1983, pp.113] Da quanto è stato possibile documentare circa il grado di aggregazione socio-economica raggiunto dalle popolazioni del Tavoliere nel Neolitico, si deduce un tipo di società che riuscì a sviluppare qualche aspetto sia pure solo ad uno stadio embrionale, del processo di inurbamento. Se pertanto sarebbe improprio definire proto-urbane le popolazioni neolitiche del Tavoliere, occorre tener presente che esse, in quella direzione di sviluppo civile, raggiunsero quanto di meglio poté la società neolitica dell’Europa occidentale. Scheda generale Neolitico antico e medio Buche di palo: Assenti Compound: 100ca. Forma: Absidata Fossati: Tre fossati paralleli nell’area di abitato, un fossato esterno e 10 più piccoli nell’abitato Intonaco: Presente 66 Localizzazione geografica: Provincia di Foggia Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Assenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: 40m2 67 4.1.2 RENDINA Il villaggio di Rendina (Potenza) fa parte di un insieme numeroso di insediamenti neolitici che sono sulle alture che costeggiano il corso medio e inferiore dell’Ofanto fino alla foce; il sito di Rendina è situato sulla riva sinistra dell’Ofanto dal quale dista 4,5km, la cui sommità della collina è di 60m sull’alveo del fiume, e a causa dell’erosione del fiume, con la sovrapposizione di molte strutture che si tagliano a vicenda. Primi saggi di scavo condotti da S. Tinè, (1970-71) erano volti ad accertare la natura e l’entità dei depositi (le strutture dell’abitato si erano in buona parte conservate). Nel 1972 si ha l’intensificazione delle indagini (a causa della costruzione della superstrada) e si svolsero campagne di 3-4 mesi all’anno. Nel 1975, otto mesi furono dedicati al completamento dell’intera area campione. Nel 1976 aumentano le campionature e l’area viene momentaneamente coperta; nel 1977 lo scavo riprese ma non fu completato. Le indagini archeologiche effettuate per questo sito sono state abbastanza approfondite, con scavi sistematici e compilazione di una buona documentazione, compresa la creazione di piante, stratigrafie, sezioni ecc. Il contesto non è del tutto ben conservato, sono presenti arature profonde su 2/3 della superficie dell’abitato. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.138] Lo sviluppo dell’abitato presenta tre tappe fondamentali: PERIODO I (VI millennio – 5160 a.C.): presenza di un fossato semicircolare (A) scavato nella formazione calcarea, che cinge un’area ad Est più vasta di quella occupata dalle capanne, è lungo 350m, largo 3m all’apice fino a raggiungere i 0.90m, e profondo in media circa 1.70m. 68 Le abitazioni relative al periodo sono capanne di 50m2, con il fondo a volte incassato nella formazione sabbioso-argillosa, il cui profilo è dato dai buchi di palo che mostrano una struttura di forma rettangolare, senza suddivisioni interne. Fa eccezione la capanna H11, suddivisa in due ambienti con apertura sul lato est, con intelaiatura portante formata da grandi pali riuniti con un intreccio di rami, pareti intonacate, e sul lato sud all’esterno vi era uno zoccolo di argilla e paglia, fatto forse per isolare l’interno e proteggere soprattutto i pali delle pareti esterne. Nell’ambiente nord è conservato il pavimento in terra battuta e tracce del focolare circolare di circa 1m di diametro (e una statuina fittile femminile frammentaria), di fronte all’entrata. Nello stesso pavimento erano ricavati una vasca circolare e un pozzetto presso la parete di fondo. Vi è poi un piccolo ambiente lastricato, detto I14 destinato alla macinatura del grano (ci sono numerose macine e macinelle), riferito alla fase finale del primo periodo. Si è rilevato un impianto di piccoli fossati che formano due semicerchi concentrici, collegati da canalette superficiali, che creano confluenze in buche e pozzetti di piccole dimensioni, che l’autrice interpreta come bacini di decantazione, anche se il terreno in cui si trovano i pozzetti è rapidamente permeabile. Questo complesso è in correlazione stratigrafica e topografica con la capanna divisa in due ambienti. PERIODO II (5160 a.C. - 4490 a.C.): la superficie dell’abitato è più ridotta. Il fossato A perde la sua funzione, ma vi è un fossato semicircolare, chiamato B, di dimensioni minori, misura 100m di lunghezza, 2m di larghezza all’apice fino a raggiungere i 0,60m al fondo, profondo circa 1,60m. Il suo pieno utilizzo è fissato fino al 4500 a. C.. 69 Un fondo di capanna è rinvenuto sul riempimento del fossato, in cui le buche di pali perimetrali sono evidenti fuori dall’area del fossato, mentre altri cadevano sul riempimento dei fossati; alcuni pali sono stati aggiunti per motivi di staticità come rinforzo ai pali sul fossato. All’interno dell’ambiente vi è il bordo circolare di una vaschetta intonacata profonda 10cm, incassata nel pavimento. La maggior parte delle altre aree di capanne sono state distrutte da successivi impianti del III periodo; la loro forma è uniforme con quelle del periodo precedente e differiscono solo per le dimensioni minori (6-8m di lunghezza e 4m circa di larghezza). Fra le novità si riscontrano le fondazioni in pietra per i muri. PERIODO III (4490 a.C. – fine V millennio): in questo periodo si ha l’assenza di fossati, quello aperto nel II periodo è obliterato. Le capanne sono generalmente ovali, di 3m di larghezza e 6m di lunghezza, le pareti avevano rivestimento di intonaco e una pavimentazione a blocchi di argilla cotta. Tra le capanne si sono rinvenute molte strutture funzionali quali forni, focolari, buche con resti di fauna, e buche di significato incerto come quella a piccola ellissi formata da macine capovolte sormontate da un impasto di terra e farina fossile impiegato come malta per fissare un piano di lastine. Alla macinatura e alla battitura erano dedicate delle aree specifiche nell’insediamento, a volte veri e propri ambienti. Macine e macinelli erano usati anche per polverizzare sostanze coloranti, ocra rossa e gialla (usata nelle sepolture e per la pittura dei vasi). La tessitura è documentata nel III periodo dalla presenza di dischi forati di terracotta, interpretabili come elementi di base del fuso. Allo stesso periodo è testimoniata anche la lavorazione del latte dalla presenza dei colatoi. 70 La comunità di Rendina nel I e II periodo praticava la coltivazione di due tipi di cereali, l’orzo e il frumento, mentre non è documentata la raccolta di specie selvatiche, per cui probabilmente si praticava un’agricoltura mobile di tipo semplice. Nel III periodo due leguminose, fave e lenticchie, rappresentano i primi rinvenimenti di coltivazioni alternative, e rappresentano anche l’indizio di una possibile rotazione delle coltivazioni e quindi la comunità praticava agricoltura sedentaria. Il quadro faunistico mostra soprattutto uso di animali domestici, in cui sono presenti bue, maiale, pecora, capra e cane. Nel V millennio gruppi culturalmente differenziati abitavano in questo ambiente, e non sembrano avere una configurazione territoriale precisa: le ragioni di queste differenze sono dovute forse nel modo d’uso del territorio nell’ambito di una agricoltura mobile. Questa situazione sembra essersi modificata nella seconda metà del IV millennio, in cui si configura un assetto anche territoriale delle diverse comunità, e questo è dovuto probabilmente perché si afferma un’agricoltura stanziale. Il numero dei villaggi si accresce, ma al di là dell’aumento demografico che si può essere operato, è probabile che il diverso modello di occupazione rispecchi una diversa organizzazione sociale stabilita; il moltiplicarsi di nuclei abitati, più numerosi ma di dimensioni più ridotte si potrebbe spiegare come l’autoregolazione e il diverso sfruttamento del territorio. Materie prime utilizzate principalmente all’interno di questo sito sono: • • • Ceramica (statuina “dea seduta”) Litica (scarsa: selce, quarzo, diaspro rosso e verde) Ossidiana (secondo Bernabò Brea proviene dal centro Europa, forse Carpazi) 71 • • Oggetti in osso (punteruoli, pettini di decorazione, piastrine pendenti) Conchiglie (cardium per parure) La maggior parte dei materiali utilizzati si trovava in abbondanza nel territorio, caso a parte sono le ossidiane. All’incirca al centro dell’abitato si sono rinvenute 5 sepolture. Due deposizioni appartengono al I periodo e altre due (infantili) al III; la deposizione n.2 non è stata attribuita perché sconvolta dalle arature. Particolarità delle sepolture di Rendina sono l’orientamento e l’uso di ocra. Queste sepolture entro l’abitato appaiono una prassi eccezionale, e forse queste sono sepolture di carattere speciale. La Sepoltura n.3 è di I periodo, ma la fossa non è certo che sia stata scavata proprio per la sepoltura o fosse già esistente in precedenza. La tomba comprendeva due individui: una donna adulta deposta con forte rannicchiamento sul fianco sinistro e orientamento E-O con il viso rivolto a S, che però è stata manomessa; l’altra era la deposizione di un bambino di 8-9 anni. Deposizioni plurime (femminili con bambini) sono frequenti nel Neolitico antico egeo. La Sepoltura n. 5 meglio conservata, attribuita al I periodo e nel III vi si impiantarono sopra delle abitazioni. Situata al centro del villaggio è costituita da due fosse adiacenti e comunicanti, una ovale nella quale era la deposizione di un uomo adulto ben conservato, ed una circolare; è a poca profondità (10-20cm) e non sono state rinvenute pietre sopra o intorno alla sepoltura. Nelle due fosse di sepoltura non è stato rinvenuto alcun materiale ma solo tracce di ocra e frammenti di battuto di focolare. La deposizione era collocata sul fianco sinistro in posizione rannicchiata con busto supino, in direzione E-O, col viso rivolto a S, intorno al capo e alle spalle era sparsa dell’ocra. La sepoltura n.2 è datata al III periodo, di un bambino di 4-5 anni, si trova all’interno di una capanna circolare; la buca in cui è alloggiata è 72 molto piccola, lo scheletro è molto deteriorato a causa anche della forte compressione che aveva subito. La deposizione era rannicchiata sul fianco sinistro con orientamento E-O e ci sono tracce di ocra sul cranio. Databile al III periodo, appartiene ad un bambino ed era anch’essa incompleta e danneggiata, deposizione analoga alla sepoltura n.1 D. Sicuramente la caratteristica principale di questo villaggio, è la trasformazione della foggia che le strutture di abitato hanno avuto nel corso dei tre periodi sopra citati; nella prima fase presentano una forma, definita in letteratura, rettangolare, senza suddivisioni interne, che si evolverà nei periodi successivi, fino ad avere una pianta semicircolare. Nel panorama italiano ciò si presenta come un unicum. Scheda riassuntiva Neolitico antico-medio-tardo Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: I capanna: rettangolare; II capanna: ovale Fossati: 2 Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Potenza Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Presenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Presenti Superficie: ca. 50m2 73 4.1.3 SCAMUSO Il sito è ubicato lungo la piattaforma costiera a sud-est di Bari, posta sul litorale adriatico a 3 km da Torre a Mare. Nel 1983 si eseguirono due trincee di scavo definite AI e AIII. Con la ripresa delle indagini nel 1985 si esplorò un’area di 77 m2 e divise in due trincee definite AIV e AV. Nel 1986-1988 si eseguirono altre campagne di scavo, a cura dell’Università di Tor Vergata, con lo scopo di raggiungere gli strati più profondi e salvaguardare i resti strutturali significativi, si è reso necessario restringere l’area di scavo. [BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp.164] Oltre allo scavo archeologico per questo sito si è effettuata la compilazione della documentazione con analisi archeometrica dei materiali ceramici, analisi sulle materie prime rinvenute, su elementi botanici e faunistici, compresa la creazione di piante, stratigrafie, sezioni ecc. L’abitato del Neolitico antico nello strato III di Scamuso si caratterizza per la sua grande estensione. I dati sulle strutture abitative sono lacunosi ma le parti esplorate delle probabili capanne mostrano ritrovamento abbondante di intonaco di capanna, mostrando così una ripartizione netta tra l’interno e l’esterno, anche se non sono state identificate buche di palo. Le aree di abitazione si caratterizzano anche per la presenza di acciottolati, a volte contenenti focolari marginati da circoli di pietre. Ad esempio si evidenzia un acciottolato regolare di forma ellissoidale contenente i residui carboniosi di un’area di combustione, da cui affiorano numerosi frammenti ceramici di grandi dimensioni con intonaco di capanna riferibile ad una struttura definita “capanna inferiore”, nella quale si isola un’area di lavorazione di manufatti ceramici. La sezione nord mostra un impianto originario delle prime strutture sul banco 74 argilloso rossastro, mentre nelle aree interne questo banco argilloso è stato asportato e le strutture sono impostate direttamente sul piano calcarenitico. Si rintraccia anche un focolare poggiante su una grande lastra sagomata. Lo strato è datato al 5345–4339 a.C.. [BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp177] Per lo strato II si considera importante la distinzione operata nelle aree settentrionali e meridionali: nell’area meridionale affiora un piano archeologico caratterizzato da acciottolati, si distingue poi il residuo di muro con accanto un piano lastricato sul quale si imposta l’area di combustione. Al di sotto del piano lastricato si sono rinvenuti altri materiali archeologici poggianti su un precedente lastricato, che per buona parte si sviluppa nell’area settentrionale. In questa area settentrionale era una struttura detta “capanna infossata”, (struttura 1) che testimonia una diversa esecuzione di costruzione per le strutture abitative. Lo strato è datato al 4339–3820 a.C.. Il complesso dei resti rinvenuti nello strato I ha come elemento determinante il grande ambiente cintato definito “capanna superiore” (struttura 2) di forma ellittica. All’interno dell’ambiente vi sono resti di lastricato, con gruppi di pietre grigie o arrossate dal fuoco. All’esterno della capanne si trova un piano di calpestio ad essa collegato, in cui si aprono in allineamento 3 buche ed un “circolo di pietre” in cui ci sono dei frammenti di macina inseriti intenzionalmente nel terreno. Mentre le buche n. 1 e 2 sono veri e propri pozzetti usati come delle aree di scarico dei rifiuti, la buca n. 3 sembrerebbe una fossa di rimaneggiamento fatta nell’ambito dell’utilizzazione di un piano di calpestio. L’impianto della capanna superiore incorporava probabilmente l’area di lavoro della triturazione dei cereali chiamata A IV. Questo strato è datato al 3820–3200 a.C. [BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp.200] 75 Si potrebbe evidenziare una corrispondenza di scambi tra il sito di Scamuso e un sito vicino, S. Maria delle Grazie alla periferia di Rutigliano; questo sito è un insediamento Neolitico di cerealicoltori molto importante nella zona, e Scamuso che non aveva molti terreni coltivabili, aveva bisogno di importare da qui i cereali contraccambiando con prodotti della pesca. In questo legame si può riconoscere il “principio della simmetria” (Polanyi), cioè un collegamento soprattutto di natura economica tra vari centri. In queste società, la reciprocità, redistribuzione e scambio sono definiti anche “modi di transizione” che riguardano il lavoro, il prodotto e i servizi, ma anche il commercio basato sulla donazione (economia del dono); l’economia di una organizzazione comunitaria quindi, ha le sue radici nei rapporti sociali. La reciprocità agisce in rapporto all’organizzazione della famiglia e della parentela nella società. La mancanza di una plastica fittile attribuibile alla sfera culturale potrebbe documentare su una precisa ripartizione tra gli spazi dedicati alle attività del quotidiano (con la sua cultura materiale) e le aree dedicate alle pratiche rituali. A Scamuso vi era comunque un clan totemico esogamico che effettuava dei riti, documentati anche presso genti extraeuropee: ciò è deducibile da scarsi resti umani rinvenuti da cui si può dedurre che nel clan si svolgevano dei riti di passaggio, in questo caso di iniziazione, grazie ai quali l’individuo, dai 10 ai 30 anni, si aggregava al clan. Per quanto riguarda un frammento osseo più grande, si riporta il pensiero di Marcel Mauss, che riteneva che tale procedura avveniva tramite uno stregone, in cui lo stregone stesso era trasportato in un mondo particolare che lo metteva in contatto con gli spiriti. Il mago si è posto al di fuori e al di sopra dei suoi simili e nel contempo essi stessi lo hanno reputato al di sopra di loro. È 76 probabile che queste cerimonie di iniziazione o di passaggio dall’adolescenza all’età adulta volevano significare che il giovane, rafforzatosi attraverso la perdita voluta di parti del corpo, si avviava all’attività economica più redditizia per il clan. Le materie prime utilizzate nel sito, sono principalmente: • • Ceramica (terra rossa); • Falcetti; • Oggetti in osso (punteruoli, ami); • Litica (numerosi elementi: selce, ossidiana); • Macina e Macinelli; • Oggetti fittili (“orecchiette” magico rituali? ludici?); Conchiglie (per collane e anelli). I materiali son elusivamente estrazione locale. I resti di mammiferi domestici sono maggiori rispetto a quelli selvatici e agli uccelli, i resti degli ovicaprini sono più numerosi seguiti da quelli di maiale e bue, e rappresentano la base economica del villaggio. Risulta sempre presente il cane e le specie selvatiche sono poco presenti, mentre mancano del tutto resti di cervidi. Il bue è tra le specie meno rappresentate, ma è da tener conto che hanno una maggior resa di carne. L’analisi dell’età dei bovini mostra l’assenza di giovanissimi e di età inferiore ai 30 mesi (tranne un esemplare), e venivano uccisi in età subadulta e adulta. [BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp.152] Gli ovicaprini sono i più rappresentati soprattutto negli strati più recenti, è presente tutto lo scheletro rivelando il consumo dell’intero animale; la maggior parte dei resti vengono attribuiti alle pecore, confermando che la pastorizia era basata principalmente sul loro allevamento. Si nota complessivamente una prevalenza di uccisioni di animali giovani e giovani-adulti (circa 2 anni di età) e sono ben rappresentati anche gli agnelli. 77 Le ossa di maiale sono sempre ben rappresentate con valori quasi costanti durante l’occupazione del sito. Ossa dell’intero scheletro sono variamente rappresentate, evidenziando una macellazione in loco; per quanto riguarda il tasso di mortalità, si evidenzia che in tutte le fasi gli animali sono uccisi soprattutto sotto i 24 mesi (tutti i tipi di giovani) e numerosi sono anche quelli uccisi sotto 1 anno. Solo pochi individui erano tenuti in vita oltre 3-4 anni a scopo riproduttivo. I resti di cane sono comuni soprattutto nei livelli più recenti, forse per l’incremento avuto nella pastorizia; non ci sono indizi che possano far pensare ad un consumo alimentare dell’animale. Per quanto riguarda la categoria dei mammiferi selvatici, i tipi più presenti sono il cinghiale, la volpe, mustelide (puzzola), lepre, uccelli, resti di micro mammiferi, di cui forse l’unico animale usato a scopo alimentare era il riccio. Presenza anche di anfibi (rospo), rettili (testuggine) e molluschi. I principali cereali coltivati erano i frumenti vestiti, dicoccum e monococcum, e l’orzo a sei file, ma la presenza di cariossidi di frumenti nudi lascia intravedere una elevata potenzialità di sviluppo e sfruttamento delle specie più redditizie. Per quanto riguarda i legumi, la documentazione è molto modesta, la presenza di fave, lenticchie e piselli indica però l’esistenza di una certa diversificazione della produzione agricola e i legumi erano una valida integrazione alla dieta. In questo panorama agricolo non sembra trovare spazio la raccolta dei frutti selvatici, anche se non si può escludere la possibilità di uno sfruttamento delle bacche selvatiche per scopi alimentari. Struttura 1 Neolitico medio Buche di palo: Assenti 78 Compound: Assenti Forma: Non presente in letteratura Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Bari Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Presenti Superficie: Non presente in letteratura Struttura 2 Neolitico recente Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Ellittica Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Bari Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Presenti Superficie: Non presente in letteratura 79 4.1.4 FAVELLA DELLA CORTE Si trova al centro della piana di Sibari, presso la frazione Cantinella di Corigliano Calabro, a circa 6km dalla linea di costa, 1,5km dal fiume Crati e a 3,5km dalla confluenza del Coscile nel Crati. L’insediamento neolitico occupa il bordo di un terrazzamento fluviale di formazione pleistocenica, con estensione di circa 10ha, raccordato da rilievi collinari ad ovest e nel resto limitato da scarpate. Sito rinvenuto nel 1954 da Donald Brown ed Ermanno Candido, indagato in brevi campagne nel 1962 e 1964, mentre ricerche sistematiche vengono condotte dal 1990 e il 1998, e successivamente nel 2001-2002. [TINÈ, 2006, pp.78] Le arature meccaniche condotte negli ultimi decenni a notevole profondità sono le principali cause della mancata conservazione del sito. Inoltre l’attuale assetto geomorfologico risente degli interventi antropici con canalizzazioni e opere di bonifica. Si sono anche individuati profondi sconvolgimenti nell’assetto geologico e geomorfologico della piana di Sibari da ricondurre a complessi sistemi tettonici regionali (movimento di sollevamento, abbassamento ed erosione marina). Le indagini archeologiche effettuate per questo sito sono state molto approfondite, con scavi sistematici e compilazione di una buona documentazione, tra cui analisi archeometrica dei materiali ceramici, analisi sulle materie prime rinvenute, su elementi botanici e faunistici, compresa la creazione di piante, stratigrafie, sezioni nel 1996 da Giovanni Boschian del Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa. Il villaggio sfrutta una posizione isolata e rilevata a nord e sud da due depressioni parallele. È collocato in un’area sopraelevata e limitata da dislivelli, in stretta contiguità con un ambiente lagunare verso est 80 e a breve distanza dal mare e da un corso fluviale. I vari ambienti a cui il sito accede comportano una elevata gamma di risorse alimentari. Sono state rilevate 40 strutture a fossa con riempimento di intonaci. Si ipotizza una vita media delle capanne fosse di 25-30 anni e si potrebbe dedurre da una frequenza di 9-12 capanne per ciascun ciclo. Si tratta di considerazioni puramente indicative, dato che presuppongono un modello demografico di assoluta stabilità che non ha riscontro con la realtà dinamica di una popolazione reale, ma che possono rappresentare un indicatore significativo della scala di grandezza del sito in una ipotetica fase-standard. [TINÈ, 2006, pp.201] In base alla quantità di intonaco si ritiene che la superficie abitativa di ciascuna capanna fosse di 30m2, riferibile a famiglie nucleari composte da 4-6 persone. Il sito di Favella si inserisce nella categoria dei siti di “taglia media” tipici del Neolitico Antico peninsulare, quindi la cronologia stabilita è tra il 5000 e 4800 a.C.. Si colloca nel settore centrale del terrazzo dove è collocato l’insediamento neolitico. Sono state identificate alcune strutture in questa area: -STRUTTURA ABITATIVA A (struttura 1): individuata inizialmente come dispersione unitaria di intonaci estesa su un’area di circa 35m2. Questa struttura comprende anche tre fosse contigue denominate X (di forma sub-ellittica), Y (di forma sub-circolare) e Z (di forma subcircolare). Tutte le fosse hanno un riempimento uniforme con notevole quantità di intonaco nello strato superiore, uno strato intermedio semi-sterile ed uno strato inferiore con molti rifiuti antropici; infine lo strato sul fondo sterile. 81 -STRUTTURA ABITATIVA B (struttura 2): ne fanno parte almeno tre fosse denominate W (di forma sub-circolare) che si sovrappone parzialmente alla fossa Y della struttura A, unico caso nel sito di sovrapposizione tra fosse appartenenti a sistemi strutturali distinti, K (di forma sub-circolare) e J (di forma sub-ellittica). In tutte e tre le fosse si ha un significativo contenuto antropico a carattere di discarica quotidiana, con elementi di intonaco nello strato superiore. -STRUTTURA ABITATIVA D (struttura 3): comprende un insieme di tre fosse denominate X (di forma sub-ellittica irregolare), Y (di forma sub-circolare con morfologia a pozzetto) e Z (di forma sub-ellittica allungata). La fossa X non ha intonaci al suo interno e si definisce piuttosto come una leggera depressione nel banco sabbioso riempita con terreno sterile, quindi la sua relazione funzionale con le altre forse è incerta. Le altre due fosse hanno strati contenenti elementi antropici quindi utilizzate come discarica quotidiana, ed elementi di intonaco. L’area B si colloca nel settore nord-occidentale del sito per un’area complessiva di 210m2. Sono state identificate alcune strutture in questa area: -la struttura abitativa E: comprende tre fosse denominate US 10 (di forma sub-circolare), US 20 (di forma sub-circolare) e US 30 (di forma sub-ellittica). Tutte e tre le fosse hanno un riempimento con discreto contenuto antropico con carattere di discarica quotidiana, e molti elementi di intonaco. -la struttura abitativa G: con un’unica grande fossa nominata US 10 (di forma sub-circolare), con uno strato superiore formato da ciottoli di fiume collocati a tetto sugli altri strati, che hanno abbondante intonaco e resti antropici tra cui il frammento di piastra-fornello e un alare fittile. Non sono state individuate buche di palo o canalette, ma in una zona verso nord sono stati rinvenuti molti frammenti di 82 intonaco diffusi in maniera coprente e concentrati su un’area subellittica di circa 8m2, interpretabile forse come il residuo di una capanna, di cui altri resti sono stati traslati dopo l’incendio nella fossa. Tutti i contesti di intonaci sembrano suggerire che la struttura lignea delle pareti e le modalità di rivestimento fossero le stesse in tutte le strutture. Le fosse sarebbero collegate all’abitazione in quanto da qui ha origine la materia prima necessaria per il rivestimento delle pareti (funzione primaria) ed è il luogo di raccolta dei residui rivestimento (funzione secondaria) provenienti dalla del capanna defunzionalizzata da un incendio. [TINÈ, 2006, pp.220] Sono presenti pertanto: - pozzetti-silos, cavità di forma e dimensioni regolari, circolari, a fondo piano e destinate allo stoccaggio di sementi, - fosse-cava, cavità di forma e dimensioni irregolari destinate a svolgere la funzione di cave per l’approvvigionamento di materiali (ad es. per le produzioni artigianali). Siccome non sono state rinvenute tracce di canalette o di buche di palo, è possibile che le cortine lignee delle capanne fossero poggiate sul suolo e ancorate tra loro in un sistema autoportante, o poggiate su una sorte di zoccolo composto da ciottoli che si rinvengono nel riempimento delle fosse. Gli scavatori hanno poi ipotizzato che le strutture avessero adottato una planimetria sub-rettangolare per le capanne e che fossero orientate a NE-SO. Il tetto forse poggiava sulle pareti perimetrali o su pilastri interni anch’essi poggiati sul suolo o lastre litiche. I pavimenti erano probabilmente formati da terra battuta. La struttura F è formata da tre zone collegate tra loro e dislocate su un’area quadrangolare di 1,70m2, che potrebbe essere interpretata 83 come residuo superficiale di un forno semicircolare con piastra di combustione. Da alcuni resti si può supporre che sia stata presente una copertura a calotta realizzata con terra locale su armatura vegetale, cotta dalla combustione prodotta all’interno. Tutti i forni domestici di questo sito sono stati costruiti all’interno delle abitazioni; all’esterno sono stati rinvenuti solo i forni dediti alla produzione della ceramica. Il forno n° 12, oltre ad essere unico per la forma, presenta nelle sue vicinanze vari livelli di lenti carboniose di spessore modesto. La scarsa temperatura di cottura dell’argilla del forno esclude la destinazione. [TINÈ, 2006, pp.164] È evidente dal rinvenimento di molti resti di intonaci bruciati nelle fosse, come ci sia una ripetitività nella dinamica tramite un processo deliberato di combustione delle strutture. È quindi un atto sociale deliberato, funzionale a rimarcare la fine di una casa. Nelle aree A e B sono stati rinvenuti frammenti di statuine femminili: gli autori ipotizzano che una potrebbe rappresentare la figura di una partoriente mentre le altre sono in posizione stante. Tutte le statuine condividono volumetrie morbide e naturalistiche nell’area centrale della figura, ha glutei, fianchi e zona genitale accentuati, a cui si contrappone una resa più schematica di torso e arti inferiori. Si ha un rimando alla fertilità femminile riconducibile anche alla fertilità dei campi in una visione agraria dei “ventri seminati”. Tutte le statuine di Favella sono state rinvenute negli strati di riempimento delle fosse con intonaci, per cui si potrebbe pensare ad una associazione ricorrente e intenzionale di un atto sociale che evidenzia la fine dell’uso della struttura; anche la frantumazione stessa della statuina potrebbe non essere casuale ma seguire la sorte della struttura abitativa, con un procedimento anche in questo caso di defunzionalizzazione. 84 La statuina è una sorta di effige domestica del gruppo familiare, legata alla casa e alla sua sorte, tanto da accompagnarne i resti. 4.1.4.1 IAN HODDER: The domestication of Europe, 1990 Definisce il concetto di “domus” come metafora della domesticazione della società e della creazione di più larghe unità sociali. È il luogo principale di produzione e riproduzione delle relazioni sociali, comprende le diverse attività pratiche connesse alla preparazione del cibo e al sostentamento vitale, ma la casa è anche il centro di elaborazioni simboliche di strategie socio-economiche e di relazioni di potere. La casa è il punto di riferimento di unità sociali stabili, aggregate e di lunga durata, attraverso cui realizzare la domesticazione del territorio circostante. Le varie abitazioni sono legate tra loro tramite meccanismi di scambio di lavoro o di cibo tra vicini, si stabilizzano alleanze matrimoniali che si rinforzano tramite scambio di doni anche tra gruppi familiari distanti. Le materie prime utilizzate a Favella, sono: • Ceramica (vasetto miniaturistico, elemento quadrangolare, • statuine); • Ossidiana (da Lipari); • Litica (selce, calcedonio, diaspro, quarzo); • Asce; • Scalpello; • • Accette e Accettine; Macine e Macinelli; Oggetti in osso (punteruoli). Ornamenti: vaghi di collana in pietra e terracotta (mancano in ossa di animali). 85 I materiali usati sono tutti di estrazione locale, a parte l’ossidiana che proviene da Lipari. Nel sito si hanno resti di cereali e leguminose (soprattutto lenticchie). La presenza anche del leccio fornisce indicazioni sulla posizione dell’insediamento di Favella all’interno o al limite di una fascia di vegetazione di foresta. Prevale la fauna domestica e si evidenzia quindi un’economia di allevamento ben caratterizzata, la caccia è indirizzata verso ungulati (cinghiale e cervo). Nell’allevamento sono prevalenti gli ovicaprini, seguono il bue e il maiale. Lo sfruttamento di questi mammiferi rappresenta un compromesso tra scelte economiche e adattamento all’ambiente. Non si è ancora di fronte ad un sistema di sussistenza specializzato nella pastorizia ovicaprina, ma è un sistema vantaggioso in caso di crisi ambientali, essendo diversificata la fonte di sussistenza. Struttura 1 Neolitico antico Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Cosenza Orientamento: NE-SO Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Forno Strutture lavorative: Assenti Superficie: 30m2 86 Struttura 2 Neolitico antico Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Cosenza Orientamento: NE-SO Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Forno Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura Struttura 3 Neolitico antico Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Non presente in letteratura Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Cosenza Orientamento: NE-SO Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Forno Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 87 4.1.5 SERRA D’ALTO La collina di Serra d’Alto, è posizionata a circa 3km a NW di Matera. Essa è costituita da un ampio pianoro irregolare di 1500 metri di lunghezza ed ad oltre 400mt di quota. Furono oggetto di scavo solo gli speroni occidentale e quello meridionale, rivelando stanziamenti umani di varie fasi neolitiche. Le prime esplorazioni prettamente casuali e conseguenti ai lavori di scasso dei terreni, avvennero nei primi decenni del 1900 da parte di Domenico Ridola. Scavi sistematici invece, furono condotti da Ugo Rellini tra il 1919 ed il 1925. Saggi di scavo furono portati avanti solamente nel 1942, dall’allora direttrice del Museo di Matera, Eleonora Bracco; altri ancora da parte di Maria Bernabò Brea nel 1975 nella parte occidentale della collina. [LO PORTO, 1989, pp.25] Tutte queste ricerche hanno messo in evidenza la presenza a Serra d’Alto di più villaggi preistorici cinti da fossati difensivi (le trincee del Ridola) ed occupanti la sommità della collina. Quindi si è dedotto che vi sia la presenza di tre villaggi autonomi denominati A, B e C. Il “villaggio A” è sicuramente il più vasto e facente parte della fase avanzata del Neolitico inferiore dell’Italia meridionale, sorgente sullo sperone occidentale; mentre il “villaggio B” e “villaggio C” sembrano appartenere al Neolitico medio, con sviluppi nel Neolitico tardo e finale; sono contigui e situati sullo sperone meridionale, che il Rellini denomina orientale. In letteratura viene denominato “villaggio A” il vasto stanziamento umano, occupante lo sperone occidentale del colle Serra d’Alto, comprende gli attuali terreni di proprietà Marcosano, Vizziello, Chico e Lacopeta, tutti interessati dai resti del fossato, da cospicui ritrovamenti di abitazioni e sepolture neolitiche. 88 Il fossato si trova nel fondo Marcosano, cingeva il villaggio; scavato nel sabbione pliocenico, sembra disporsi in curva in relazione al notevole dislivello del terreno, con l’orlo di ben m4,10 di larghezza e avente le pareti inclinate fino al fondo a m1,80 di profondità (funzione = reggere la spinta del terreno geologicamente poco compatto). Il taglio di m1,10 di larghezza sul lato interno del fossato stesso, segnava la presenza di una stradicciola di accesso trasversalmente alla trincea e largo m1. [LO PORTO, 1989, pp.31] La canaletta incavata sul lato interno, lunga m1,80 e profonda ca. m0,30 disposta di traverso sulla stradetta e doveva servire, secondo Rellini, per farvi scorrere un graticcio o porta mobile destinata a chiudere l’ingresso e “impedire l’uscita del bestiame ricoverato nell’interno della stazione specialmente di notte”. [LO PORTO, 1989, pp.32] La capanna 7 prossima alla porta del lato interno del villaggio, sembra essere destinata a coloro che erano incaricati di vigilare l’ingresso. L’altra capanna, la 8, sita sul lato esterno, doveva servire di guardia a quel tratto curvilineo del fossato meno profondo e con le pareti logorate per discendere e risalire nella trincea forse in fase più avanzata del villaggio. Riprese le ricerche nel settembre del 1920, il Rellini seguì l’andamento del fossato solo nei terreni Vizziello e Marcosano, rilevando le dimensioni massime: larghezza all’orlo m4,20 e sul fondo m2,50; profondità m3. Ciò indica una non costante ampiezza e profondità. Il numeroso pietrame accumulato nella trincea farebbe pensare ad un muro crollato dal lato interno. Il materiale raccolto nel fondo Marcosano può considerarsi abbondante e comprendente 500 frammenti di vasi ad impasto, in 89 gran parte inornati ed impressi, facente parte della fase antica del Neolitico. Materiale analogo si trova nel fondo Vizziello. Nei terreni Marcosano e Vizziello, nella trincea, sono stati rinvenuti resti di capanne e focolai. Il Rodola aveva scoperto 5 capanne circolari interrate nel sabbione locale, un’altra analoga fu scavata più tardi. Il materiale rinvenuto nelle capanne è pressoché simile a quello raccolto nel fossato ed attesta quindi la contemporaneità delle prime abitazioni con le funzioni di difesa del villaggio e di custodia delle greggi della trincea. I materiali delle capanne 1-5 comprendono lame in selce, punteruolo d’osso, frammenti di ceramica d’impasto con decorazione impressa e frammenti di vasi ingubbiati e con decorazione impressa a secco. Nel podere Marcosano sono stati rinvenuti 2 focolai con forma concoide, rispettivamente di cm30 e 50 di profondità, fondo concotto e resti di ceneri e carboni. Nel terreno Vizziello vi è la presenza di un pozzo di ca. m1,50 di diametro alla bocca e si allargava a campana verso il fondo, ove sono stati rinvenute ossa di animali domestici e frammenti ceramici, fra cui quelli di una coppa dipinta decorata di rade e strette fasce dipinte in rosso e uno degli esemplari più antichi di ceramica figulina. Dalle testimonianze raccolte dal Rellini nel fondo Chico, le capanne distrutte e manomesse sarebbero più di venti; lo studioso riuscì a localizzare solo quelle in cui furono impiantati alberi; non è certo che si tratti solo di fondi di capanne. Secondo il Ridola alcune cavità profonde 2-3 metri, più che abitazioni erano “magazzini” o più probabilmente pozzi; altre più piccole e profonde erano semplici focolari o buche–ripostiglio. Notevole è la presenza di una capanna duplice, a due cavità tangenti. Per l’industria litica, raccolta in quantità abbondante, gli autori non determinano una cronologia relativa. 90 Una gran quantità di ossa frantumate di animali domestici e selvatici tra cui bue, capra, pecora, cane, cervo e volpe, completano il quadro economico culturale a regime misto agricolo-pastorale. Nel fondo Lacopeta, ubicato fra i poderi Vizziello, Marcosano e Chico vi è la presenza di una grande capanna, la 13, interrata e di forma cilindrica, con diametro di m 2,80 e la profondità di m 1,10 al disotto della coltre di humus di circa m 0,80 di spessore. Il riempimento è formato da terriccio, pietrame e relitti vari, fra cui ossa frantumate e bruciacchiate di ovini e bovini. Al centro della capanna un focolare (F2), mentre nei livelli inferiori e presso una parete giacevano i resti di un altro focolare (F1), più antico, sotto un cumulo di detriti che attestavano un lungo periodo di abbandono della capanna e la rioccupazione della stessa in età più recente. Poco fuori i confini del fondo Lacopeta, nel settembre 1921 il Rellini esplorava un’area ovaleggiante dal contorno irregolare lunga m4,50 e larga m2,50 in cui si affondavano per pochi centimetri quattro cavità concoidi, delle quali le maggiori di circa m1,40 e le minori di poco meno di m0,80 di diametro. Rellini denominò quest’area “irregolare”. Nel terreno Lacopeta, il Rellini nel 1921 scopriva la presenza di una capanna, la 15, a pianta ellissoidale. Dagli scritti del Rellini apprendiamo che questa capanna ovale (rarità a Serra d’Alto) era lunga m9,10 e larga nella parte centrale m1,80, con un sensibile restringimento a fuso verso gli estremi, con lieve inclinazione del terreno fino alla profondità massima di m1,80. Probabilmente non si tratta di un’abitazione, ma semplicemente di un ampio vano legato in qualche modo all’attività agricola e pastorale. Numerose sono le ossa frantumate di ovini e bovini. [LO PORTO, 1989, pp.54] Il Ridola mise in luce una duplice sepoltura con caratteristiche strutturali non ancora chiare. Grazie ad alcuni schizzi si è potuta ricostruire la sepoltura, costituita da due cavità o pozzetti contigui di 91 forma cilindrica, di dimensioni diverse ed intercomunicanti. Il pozzetto minore profondo m1,30 ca., con un diametro massimo di m1,20; il pozzetto maggiore ha profondità di m1,80 e diametro di m1,70. Due fori di ca. m0,40 di altezza mettevano in comunicazione le due cavità, ognuna delle quali ospitava uno scheletro “accoccolato” al disotto di due strati di pietre (celle?). Nelle sepoltura vi è la presenza di corredo. Con il termine villaggio B, si indica il più piccolo dei due abitati neolitici dello sperone meridionale, inserito nei terreni di proprietà Martulli e Tataranni, attribuibile allo stadio iniziale del Neolitico II. Nel settembre 1924, il Rellini individuò un tratto del fossato che cingeva il villaggio B: presenta un percorso curvilineo, con pareti inclinate e diverse dimensioni, con una larghezza in alto da m1,70 a m2, nel fondo da m0,45 a m1,10, con una profondità da m1,10 a m1,40 al disotto dello strato di humus di circa m0,50; a metà altezza nel riempimento constatò la presenza di un grosso pietrame proveniente certamente dal crollo del muro ad aggere che cingeva il lato interno della trincea. Nel settembre 1922, il Rellini scopriva nel fondo Martulli un gruppo di tre capanne cilindroidi seminterrate. La capanna 1 fu rinvenuta al disotto di uno strato di humus di m0,25 con forma perfettamente cilindrica, con diametro di m2,10 e la profondità di m0,95. Sul fondo della parete nord-ovest, vi è un focolare costituito di pietre piatte giustapposte coperte di ceneri e carboni. Nel riempimento pietrame appartenente al muretto circolare che costituiva la parte emergente dell’abitazione crollata nell’interno dopo il suo definitivo abbandono. La capanna 2 aveva le pareti rientranti con il diametro massimo di m2,30 e la profondità di m0.65. 92 La capanna 3 aveva una forma quasi tronco-conica, con diametro alla bocca di m2,20, sul fondo di m3,20 ca. e profondità di m1,60. Era ricolma fino all’orlo di grosse pietre appartenenti al muro delle pareti superiori dell’interno dell’abitazione. Altre tre capanne venivano scoperte dal Rellini nel fondo Tataranni. La capanna 1 aveva una forma cilindroide, con pareti incavate, pianta ellissoidale, con i diametri all’orlo di m2,40 e di m3 rispettivamente e la profondità di m1,80. Sul fondo piano tracce di focolari su cui si accumulavano le pietre derivanti dal crollo delle pareti emergenti. Vi era la presenza di ossa di bovini, alcune ancora in connessione anatomica, un cranio di cane e la mandibola di un altro. La capanna 2, cilindrica, di m2,50 di diametro e di m1 di profondità, aveva il fondo parzialmente rivestito di rozze lastre su cui era disteso uno strato di cenere che il Rellini postulò come “l’avanzo di una specie di letto di fieno”; anche qui presenza di una mandibola di cane. [LO PORTO, 1989, pp.45] Infine la capanna 3 di notevoli dimensioni, con pianta ellittica di m 3,10x2,50 e profonda di m0,80 e la larghezza di m0,60 contenente uno scheletro umano, rannicchiato sul fianco sinistro e volto verso est. Accanto al cranio dell’inumato vi era una rozza pietra piatta triangolare che sembra connettersi con l’insistente presenza a Serra d’Alto di lastre con simbolo triangolare inciso, forse riproducente la stilizzazione estrema della figura umana. Una fila di rozze pietre separava la sepoltura dal vano della capanna. Presenza di ossa frantumate di animali domestici come bos, capra, pecora e cane. Queste tre capanne del fondo Tataranni appartengono al Neolitico superiore. Il villaggio C occupa la parte terminale sud dello sperone centrale, in cui si allineano i terreni di proprietà Di Marzio, Gravela, Giacoia, Del 93 Giudice e Padula. Nel fondo Di Marzio è presente un tratto della trincea di circa m16, definito anche “lungo fosso presso la lamia Braia”. Nel fondo Gavela la trincea subiva un‘interruzione creando una vera porta d’accesso al villaggio. Nel fondo Del Giudice si rinveniva una cavità concoide con il diametro massimo di m1,40, di profondità di m0,50, le pareti ed il fondo arrossate dal fuoco e recante resti di carboni e ceneri. La presenza di pani di impasto argilloso induce a pensare che si tratti di una fornace primitiva a fuoco libero, con cavità ovoidale di m1,10 di diametro massimo e m1,80 di profondità con pareti cotte dal fuoco ed il fondo ricolmo di ceneri e carbone. Un’altra cavità analoga era tangente con la prima ed con essa intercomunicante, piena di terra, pietre e frammenti di ceramica. Secondo il Rellini i vasi da sottoporre a cottura si ponevano nella cavità minore mentre quella maggiore fungeva da camera di combustione, attestata dalle evidenti tracce lasciate dal fuoco. Pietre sovrapposte a ponte chiudevano probabilmente il vano che metteva in comunicazione le due cavità e permetteva il tiraggio. Se questa interpretazione fosse giusta, si avrebbe la prova delle’esistenza a Serra d’Alto di perfezionate fornaci per la produzione in loco di ceramica tecnicamente raffinata fin dal Neolitico II. Nel terreno di proprietà Del Giudice, al di sotto di un manto di humus di 0,30cm, vi è la presenza di un tratto del fossato del villaggio C. Nel riempimento era possibile distinguere due strati principali di eguale spessore (0,70cm): più chiaro quello superiore, più scuro quello inferiore e contenente maggior quantità di oggetti. Al di sotto dello strato superiore si estendeva per un tratto una sorta di lastricato a rozze pietre appiattite, adagiato su un sottofondo di sabbia sterile di cm8, a sua volta poggiante sullo strato di terriccio nero ricco di cocciame che inglobava uno scheletro umano deposto in posizione 94 rannicchiata sul fianco sinistro nel fondo piano della trincea. Di conseguenza lo strato di pietre costituiva la copertura della tomba il cui inserimento nel deposito della trincea aveva naturalmente determinato la commistione dei materiali più antichi con quelli di età più tarda coevi alla sepoltura. Un altro scheletro recante tracce di ocra rossa sul cranio e rannicchiato sul fianco destro, così da essere rivolto verso il precedente, era deposto allo stesso livello in una nicchia aperta nella parete della trincea con il solo corredo di una pietra triangolare giacente ai piedi. Sul lato opposto, si apriva nella parete del fossato una cavità semicilindrica di circa m1,80 di diametro massimo e m1 di profondità, con un dislivello di cm40 rispetto al fondo della trincea. Data la presenza di resti di un focolare a cm70 di profondità, corrispondenti allo strato del lastricato, e di resti di avanzi di un pasto e cocciame, induce a pensare che si possa trattare di un’abitazione (capanna C) con accesso diretto dal fossato. Sull’altro lato, un taglio nella parete della trincea era ostruito da un muretto e comunicava con una vasta cavità, quasi cilindrica, di circa m2 di diametro e m1,30 di profondità; si tratta anche qui di un’abitazione (capanna D), situata ai margini del fossato e nel cui riempimento di carboni, ceneri e relitti giaceva a m0,70 di profondità uno scheletro umano in posizione rannicchiata sul fianco sinistro, al disotto del quale quasi cm40 più in basso era un altro seppellimento umano risultato sconvolto. Il fondo della capanna era rivestito di uno strato di pietre di circa cm20 di spessore, su cui erano sparsi avanzi di focolari. Nella capanna C, fra le ceneri del focolare adagiato su di un deposito precedente, a m0,60 di profondità e quindi a livello del lastricato della 95 trincea, sono presenti avanzi di pasto costituiti da ossa di bue, pecora e cervo ed una macina in pietra calcarea. Nella proprietà Del Giudice, è stata rinvenuta una cavità a pianta ellissoidale di m 1,12x0,80 di profondità: probabilmente si tratta di un ripostiglio più che un’abitazione. In un altro terreno, di non sicura attribuzione (Padula o Del Giudice), fu rinvenuta una capanna, anch’essa interrata e a pianta circolare di m1,60 di diametro all’orlo, con le pareti e il fondo fortemente incavati e la profondità di m1,75. Il riempimento era costituito da terriccio e cocciame per un metro di profondità, cui seguiva a m0,30 di spessore, uno strato di terra sterile indurita dal fuoco al di sotto del quale una rozza pietra al centro della capanna, faceva da copertura solo al cranio di uno scheletro umano deposto rannicchiato sul fianco destro con i piedi aderenti alla parete. Nel podere contiguo con quello di Padula e di proprietà Di Marzio, è stata esplorata una capanna cilindrica incavata nel terreno per m0,75 di profondità e con un diametro di m1,60. In letteratura si enfatizza questo dato, tanto che viene definita capanna una struttura che per le sue dimensioni potrebbe essere ricondotta ad una fossa o silos. Nel fondo Giacoia, confinante con quello Del Giudice, è stato scoperto un vano cilindro-ovoide del diametro massimo di m1,75 e con bocca larga m0,75 incavato nel sabbione locale per la profondità di m2,30 e che, altro non era che un pozzo, ricolmo di terra e pietrame vario. Nel deposito inferiore di circa m 0,80 di spessore, denominato anche “livelli inferiori del pozzo”, comprendeva terriccio argilloso fine in cui fu raccolto un buon numero di frammenti di ceramica. Uno strato di terra nerastra e pietrame di circa m0,50 di spessore poggiava sul deposito inferiore 96 suggellandolo e attestando l’abbandono del pozzo forse in concomitanza con il rallentarsi o il cessare del ritmo di vita nel villaggio sul finire del Neolitico II ed il sovrapporsi di una nuova facies culturale, abbondantemente rappresentata nel pozzo dai materiali giacenti nei “livelli medi e superiori” del suo denso riempimento. Il Rellini esplorò nel fondo Giacoia una cavità di forma concoide di m1,80 di diametro massimo e un metro di profondità; sulla parete ovest si apriva una grande nicchia di m1,90 di lunghezza, m0,60 di altezza e m0,70 di larghezza. Dal fondo rivestito di pietre si ergeva al centro una sorta di stele tufacea a prisma irregolare con la sommità appuntita e di m1,23 di altezza. Uno scheletro umano contratto sul fianco destro giaceva nella nicchia col cranio rivolto verso la stele. L’assenza di tracce di vita nella cavità, fa pensare ad una tomba costruita per il capo del villaggio. Unico corredo della sepoltura erano due rozze pietre foggiate a triangolo, forse simboli magici legati alla stilizzazione della figura umana. Estendendo gli scavi nel contiguo terreno di proprietà Gravela, si mise in luce una capanna incavata a forma di tronco di cono con i diametri di m1,80 e m2,20 e la profondità di m1,40. Data la ricchezza di materiale trovato in questa capanna, ha fatto pensare che si trattasse di un vero e proprio ripostiglio e non di un’abitazione, come si era pensato in un primo momento. Scheda generale Neolitico antico e medio Buche di palo: Presenti Capanna: 7 Compound: Assenti Forma: Cilindrica; ellissoidale; troncoconica; cilindroide; ellittica Fossati: Presenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Matera 97 Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 98 SITI MINORI 4.2 4.2.1 MURGIA TIMONE L’insediamento di Murgia Timone si estende su un ampio altopiano di circa m420 s.l.m. a sinistra della Gravina e a cui si accede a poco più di 4km dall’abitato di Matera. La scoperta alla fine del secolo scorso di due ipogei dell’età del Bronzo, sottostanti a grandiosi circoli di pietre, consentì al Ridola di mettere in luce, per la prima volta nel Materano, parte del fossato che cingeva il villaggio neolitico di Murgia Timone. Nel maggio del 1897 il Patroni su richiesta del Ridola eseguì una trincea di oltre m160 di lughezza, partendo dai muretti che tagliavano trasversalmente il fossato che, interpretò come una inverosimile “corsia di scarico” o “strada incavata nella roccia”, designando come “fondi di capanne” alcune tombe a tumulo dell’età del Ferro. [LO PORTO, 1998, pp.19] L’anno successivo il Ridola decise di chiarire i molti problemi sorti dalle sue ricerche. Rilevando sulla superficie della piana di Murgia Timone una lunga fascia di erba, in continuità del tratto già esplorato, vedeva finalmente “spiegato l’enigma e risoluto il problema della trincea” quando era ancora lontano l’uso della fotografia aerea. Infatti si trattava del fossato di recinzione di un villaggio preistorico, a conferma del quale dovevano venire da lì a poco le analoghe scoperte di Murgecchia, Tirlecchia e Serra d’Alto. Solamente negli anni successivi, il Ridola praticò saltuari ma efficienti saggi di scavo, alla luce dei quali cominciò a prendere corpo il tracciato del fossato del villaggio neolitico di Murgia Timone, in un 99 primo tempo creato per racchiudere un’area sub circolare e più tardi, innestandosi alla trincea precedente, concepito per cingere un più ampio spazio verso ovest a forma di grande ellisse. Di circa m4 è l’interruzione del fossato all’estremità occidentale, che segna la via d’accesso a questa parte del villaggio; mentre sul lato orientale l’analoga interruzione del fossato, di circa m3, è munita di un avancorpo semicircolare, la cosiddetta “lunetta” del Ridola, tracciato in continuità dello stesso fossato. [LO PORTO, 1998, pp.26] Alla parziale esplorazione della lunetta, nel 1912 il Ridola faceva seguire una serie di saggi di scavo lungo il tracciato dei due fossati, le cui pareti verticali risultavano in media profonde m1,80 e tra loro distanti circa m2. Successivamente il Ridola eseguì un saggio in profondità nel fossato circolare, quasi all’intersezione con l’asse che univa le due porte, forse alla ricerca di una probabile via di transito tra i due settori del villaggio. Nel corso delle sue ricerche, il Ridola non mancò di estenderle all’area abitativa, rinvenendo quasi al centro del settore circolare un sistema di pozzi intercomunicanti, ritenuti come strutture per la decantazione delle argille figuline. In precedenza lo studioso già aveva messo in evidenza la presenza in quell’area di un pozzo ovoide di m 0,96x0,82x0,54 di profondità, in origine forse un silos, in cui trovò tracce di una sepoltura umana. Per completare le sue ricerche il Ridola diede le dimensioni al villaggio, misure non corrette data la scarsità degli strumenti a sua disposizione. Per quanto riguarda la lunghezza del villaggio, dalla porta ovest a quella est, egli dà la misura di m166. [RIDOLA, 1924-26, pp.21]. Il Rellini dà la lunghezza di m167,50. [RELLINI, 1929, pp.129; BIANCO, 1976, pp.48] Recenti misurazioni eseguite con mezzi tecnici validi, hanno invece riportato la distanza effettiva tra le due porte che è di m268. Le 100 nuove misurazioni danno lo sviluppo perimetrale esterno del villaggio di circa m684 con la superficie totale di circa due ettari. Nel settembre del 1925 il Rellini tornava a Murgia Timone per riprendere i suoi saggi di scavo nel fossato circolare, per un tratto di una ventina di metri “dal lato del Parco Rodogna” e per un tratto di circa dodici metri “in vicinanza della cosidetta lunetta”. [RELLINI, 1929, pp.130] Nel corso di quest’ultima campagna di scavi, il Rellini individuò nel settore occidentale del villaggio, una ventina di cavità scavate nella roccia calcarenitica del luogo, che interpretò erroneamente come capanne, anche se riconobbe che alcune di esse, per le ridotte dimensioni di non più di m0,90 di diametro, dovettero essere impiegate come “depositi o magazzini”. [RELLINI, 1929, pp.134] Inoltre rinvenne altre cavità cilindroidi del tutto simili a quelle scoperte dal Ridola e “destinate a decantare l’argilla figulina” [RELLINI, 1929, pp.134; BIANCO 1976, pp.48] Il materiale litico ed osseo raccolto dal Ridola nel corso dei suoi saggi nel fossato circolare sembrerebbero non destare alcun interesse; relativamente più cospicui, appaiono al riguardo i ritrovamenti del Rellini durante la campagna di scavo del 1925. Per quanto riguarda l’industria in ossidiana, di sicura provenienza liparota, è rappresentata nello scavo del Rellini nel fossato circolare da strumenti in gran parte laminari. I nuovi scavi a Murgia Timone sono stati eseguiti nei mesi di giugno e luglio del 1967 sotto la direzione di Felice Gino Lo Porto per conto della Soprintendenza Archeologica della Basilicata, iniziando dall’esplorazione della porta orientale, la più antica del villaggio neolitico, la cosiddetta “lunetta” del Ridola da lui parzialmente scavata nel 1912. 101 Questa struttura è quell’avancorpo ad arco irregolare che si innesta, sul lato orientale, ai due tronconi volutamente non allineati del fossato circolare, là dove si interrompe per circa m3 di larghezza. Non è certo, ma è molto probabile, che la lunetta sia stata messa in opera contemporaneamente all’apertura della trincea principale, con funzione di fortificare questa parte vulnerabile del primo insediamento neolitico. Accurate misurazioni e rilevamenti, hanno chiarito le caratteristiche strutturali di detto avancorpo irregolare semicircolare di m12 circa di diametro massimo e con la sporgenza di m5,50 e m6 rispettivamente dall’innesto ai tronco coni sud e nord del fossato: l’uno di m2 e l’altro di m1,50 circa di larghezza, entrambi di m1,80 circa di profondità. Il fossato della lunetta è formalmente simile a quello della trincea circolare cui appartiene, con le pareti scavate verticali nella roccia per non oltre m2 di profondità e la larghezza variabile da m1,50 a m2,10 circa. Si pensa che anche lungo il margine interno del fossato della lunetta corresse un muro di cinta attestato dal pietrame di crollo giacente in fondo alla trincea, e che dovesse funzionare come una sorta di mastio munito di un varco quale passaggio obbligato per gli uomini e le mandrie; il che, attraverso il fossato esterno, non poteva evidentemente avvenire che a mezzo di passerelle mobili o rudimentali ponti levatoi. [LO PORTO, 1998, pp.77] Gli scavi hanno chiarito che in una fase avanzata del Neolitico medio, intorno alla metà del IV millennio a.C., forse in relazione all’avvento di un clima più pacifico o forse anche in dipendenza del rarefarsi degli animali da preda che dovevano aver minacciato da tempo le greggi, determinando principalmente la creazione della trincea, l’ingresso al primo villaggio era ormai facilitato da una 102 colmata di pietre e terriccio, tenuta lateralmente da una doppia struttura muraria a secco inserita di traverso nel fossato della lunetta. Estendendo lo scavo della lunetta verso l’interno del villaggio, si è notata una sorta di strada incavata dovuta al diuturno calpestio degli uomini e degli armamenti e sfociante in una vasta area costellata di buche per pali e di incavi rettilinei o curvilinei, evidentemente destinati alle strutture lignee delle abitazioni. Queste hanno pianta circolare, ellissoidale, rettangolare ed absidata, spesse volte sovrapponendosi e quindi riferibili a fasi successive dell’età neolitica. Adiacenti alle capanne, e talvolta anche nell’interni di esse, numerosi sono i pozzi al limite dei canali di scolo, le buche ripostiglio spesso contenenti avanzi ceramici e strumenti litici, le ampie cavità troncoconiche campaniformi verosimilmente destinate alla conserva di derrate alimentari (silos). Lunghe palizzate, sembrano cingere gruppi di abitazioni forse appartenenti a clan familiari. [LO PORTO, 1998, p.80] Il complesso delle abitazioni neolitiche rilevate quindi dai nuovi scavi di Murgia Timone del 1967 da Felice Gino lo Porto, si estendevano direttamente sulla spianata della collina e ne sono state rinvenute nuove. La cosiddetta “Capanna A” (struttura 1), è a pianta più che semicircolare di circa 6m2. Si ricostruisce grazie all’allineamento di otto buche di palo di circa m0,20 di diametro m0,25 di profondità massima, scavate nella roccia calcarenitica che costituisce il piano nudo dell’abitazione. Sull’asse dell’ampia porta, si allineano nell’interno due buche analoghe, evidentemente riferibili ai pali di sostegno del tetto della capanna. Anche la “Capanna B” (struttura 2), ha una pianta più che semicircolare, di 8m2 circa, ricostruibile sull’allineamento di undici buche di palo di diametro variante tra i m0,15 e i m0,20 e la 103 profondità di circa m0,20 di cui quattro appartenenti in linea retta all’ingresso. Sull’asse della capanna due buche interne di m0,20 e m0,35 di diametro dovevano appartenere ai pali portanti del tetto, mentre le cavità concoidi dovevano costituire due ripostigli. Numerose altre buche di palo, riscontrate all’interno e all’esterno, sembra dovessero appartenere al pozzo n. 2. A differenza delle prime due, la “Capanna C” (struttura 3) ha una pianta sub circolare di 4,50m di diametro massimo ed per alcuni aspetti è molto simile alla Capanna B, con cui interferisce per una delle sue pareti periferiche orientali, rivelandosi pertanto, di età posteriore alla distruzione di essa, pur nell’ambito dell’età neolitica, a cui si fa risalire il primo stanziamento umano di Murgia Timone. L’abitazione si ricostruisce sull’allineamento di ben sedici buche di palo di diametro costante di circa m0,15 e profondità varia da m0,10 a m0,20 e ampio ingresso di m2,50 orientato nord-est; di difficile ricostruzione sono le buche pertinenti ai pali di sostegno del tetto della capanna. La “Capanna D” (struttura 4) è a pianta quadrangolare, facilmente rilevabile da vistosi solchi rettilinei tracciati dalla roccia e in allineamento con buche di palo, spesso confuse o coincidenti con quelle pertinenti alla capanna C, sulla quale sembra essersi sovrapposta dopo l’abbandono e sua conseguente distruzione. È orientata pressoché est-ovest e misura 5m2. È probabile che la capanna avesse una sorta di impiantito di tronchi e che nel suo fondo est, dove a circa m0,50 di distanza si allinea parallelo altro solco con buche di rincalzo, si elevasse dal suolo con una banchina destinata a reggere suppellettili o fungere da giaciglio. Singolare appare all’esterno della parete est dell’abitazione, la presenza di un piccolo ambiente semicircolare, quasi un’abside incompleta, segnata dalla sequenza iniziale di quattro buche di palo molto ravvicinate e con 104 evidenti resti di inzeppature a piccole pietre. Il materiale del Neolitico finale raccolto nel pozzo n. 3 a sud, a circa un metro di distanza dalla capanna, può essere ad essa pertinente ed offrire un elemento utile di datazione. Come le prime due, anche la “Capanna E” (struttura 5) ha una pianta semicircolare di m4 di diametro ed è ricostruibile grazie all’allineamento di una quindicina di buche di palo di m0,15 di diametro e profondità varia. Davanti all’ingresso, orientato a nord, sul lato sinistro, il pozzo n. 10 contenente ceramiche del Neolitico finale e della fase successiva dell’Eneolitico locale, offre un elemento utile di datazione. Per quanto riguarda invece la “Capanna F” (struttura 6), non si è certi che si tratti di una grande abitazione a pianta rettangolare con probabili divisioni interne, segnate da file di buche per pali, o di un recinto di m 6,50x4,50 circa, con orientamento grosso modo nordsud e ricostruibile sull’allineamento periferico di una ventina di buche di diametro variante da m0,20 a m0,15. È anche incerta l’appartenenza a questa struttura del pozzo n. 5 alla distanza di oltre m1,50 sul lato ovest, in cui sono stati raccolti numerosi frammenti di intonaco arrossato dal fuoco per incendio e con impronte di grosse canne che ne costruivano l’intelaiatura delle pareti. La ceramica, in gran parte sub neolitica, attesterebbe la pertinenza della presunta abitazione agli ultimi anni di vita del villaggio. Perfettamente ellissoidale è la pianta della “Capanna G” (struttura 6), di 24m2 con l’estremità nord tronca e larga m2,20 con la funzione di ampio ingresso all’abitazione. Si ricostruisce sull’allineamento di quattordici buche di palo di diametro da m0,25 a m0,15 e profondità varia. Altre quattro scavate nella parte centrale delle strutture del tetto fungevano da sostegno delle strutture del tetto. La capanna risulta fiancheggiata sul lato est, da un filare di dodici buche 105 destinate ad una palizzata di funzione dubbia. Il materiale raccolto nel pozzo n. 1, ad essa pertinente, comprende ceramica del Neolitico superiore la quale offre un utile elemento di datazione dell’abitazione. L’unica perfettamente rettangolare è la “Capanna H” (capanna 7), con pronunciata abside di m2 di raggio, lunghezza massima di 10m2. Si ricostruisce grazie all’allineamento di profondi solchi praticati nella roccia per una lunghezza massima di m0,25 e la profondità varia fino a m0,20 evidentemente destinati all’inserimento di una fitta incannucciata con rinforzi interni ed esterni di pali fissati in buche dai m0,15 a m0,20 di diametro, non sempre in regolare sequenza. È orientata con l’ingresso ad ovest, la cui ampiezza di ben m4 era regolata e ristretta da opportuni sbarramenti, attestati dalla presenza di quattro buche per pali. Altre buche si allineano sull’asse dell’abitazione con l’evidente funzione di reggere i tronchi di sostegno del tetto. Un canalicolo rettilineo di drenaggio per la lunghezza di oltre 7 metri univa la parte centrale della capanna con l’ampia conca 20, dove convogliava l’acqua piovana invadente la superficie dell’abitazione. La ceramica raccolta nel contiguo pozzo n. 9, fa datare la capanna al Neolitico finale. Denominata “Casa della filatrice” (capanna 8), per il gran numero di pesi fittili da telaio raccolti nel pozzo n. 15 esterno all’abitazione, è la “Capanna I”. Rinvenuta ai margini sud-est dello scavo, la capanna è a pianta rettangolare con perfetto orientamento nord-sud e si ricostruisce parzialmente sull’allineamento angolare di cinque buche da palo di m0,25 circa di diametro con altra sul lato opposto, da cui è possibile ricavare solo la larghezza di m4. Ipotizzabile è l’appartenenza all’abitazione di una sorta di vestibolo di m4x1,40, ricostruito sul lato nord sulla presenza di due buche allineate nell’estremità nord-est della struttura. Inoltre sono stati rinvenuti dei pesi da telaio (11,5x2,7;9,5x3), e numerosi grossi frammenti di 106 intonaco appartenenti alle pareti della capanna; i pozzi nn. 15,16,17 ad essa pertinenti contenevano frammenti di ceramica tardo-neolitica e sub neolitica che la datano agl’inizi della seconda metà del III millennio a.C.. Caratteristica comune di tutte queste capanne neolitiche venute alla luce a Murgia Timone, è la presenza, sia nel loro interno sia nelle immediate vicinanze, di cavità con probabili funzioni di ripostiglio o destinate alla conserva di derrate alimentari (silos), pozzi e pozzetti al limite di canali scavati nella roccia per il drenaggio delle abitazioni. Scheda generale Neolitico antico Buche di palo: Presenti Compound: Assenti Forma: Semicircolare, subcircolare, quadrangolare Fossati: Presenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Matera Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Assenti Silos/Fosse: Presenti Strutture interne: Forno Strutture lavorative: Casa della filatrice Superficie: Non presente in letteratura 107 BALSIGNANO 4.2.2 Lo studio, al quale contribuiscono archeologi e specialisti di diverse discipline afferenti la ricerca preistorica, presenta per la prima volta analiticamente i risultati delle pluriennali ricerche (svolte dal 1993 al 2002) della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia nel sito di Balsignano, sede di un insediamento neolitico il cui sviluppo si inquadra principalmente nelle fasi antiche e, in misura più ridotta, medie del periodo. L’insediamento, individuato nel 1990 nell’ambito di un programma di prospezioni di superficie nell’area dell’immediato entroterra barese, ricade nel versante costiero centro-settentrionale dell’altopiano delle Murge, a sud ovest di Bari, a circa 8km dalla costa adriatica, in comune di Modugno. Localizzato a 82m s.l.m., si estende su un’area di ca. 2 ettari, su un ampio pianoro calcareo prospiciente l’antico corso della Lama Lamasinata. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.139]. L’insediamento è ben caratterizzabile ormai nei suoi aspetti complessivi, grazie al discreto stato di conservazione, agli investimenti di risorse a livelli diversi che hanno consentito la ricerca estensiva sul campo (su una vasta paleosuperficie di ca. 350 m2), agli approfondimenti scientifici e agli apporti in generale alla ricerca che hanno visto coinvolti istituti di ricerca ed enti diversi (tra cui il Comune di Modugno che ha contribuito finanziariamente alla ricerca archeologica). Dopo un primo inquadramento del contesto ambientale delle Murge e dei temi inerenti il quadro più generale della regione durante la neolitizzazione alla luce dei più recenti dati, vengono presentati e discussi i risultati delle ricerche a Balsignano attraverso la presentazione dei contesti e degli elementi caratterizzanti gli aspetti insediativi e funerari. Nel sito, infatti, sono state messe in luce due capanne a pianta rettangolare (struttura 1 e struttura 2) (di cui la n. 1 misura 28m2) caratterizzate da piani 108 pavimentali in pietrame o lastrine e definite da fondazioni di murature a doppia fila di blocchi calcarei, parzialmente coperte da livelli di intonaco in crollo. Esternamente ad esse sono stati esplorati i piani di frequentazione caratterizzati (in particolare per la capanna n. 2) dalla presenza di una serie di strutture accessorie, quali un focolare ovoidale a lastrine calcaree, un fornello in argilla e piani di concotto. La struttura del Neolitico medio (struttura n. 3) si distingue invece da un punto di vista strutturale, in quanto costituita da un battuto argilloso di forma subcircolare, di m5 di diametro, delimitato da un vespaio di pietrame fittamente addensato, esteso per circa 7m in direzione E-O con, anch’esso, un focolare costituito da un livello di lastrine calcaree. La documentazione funeraria, in stretta connessione con gli spazi di vita, è costituita da due sepolture del Neolitico antico (T1 e T3) e da una (T2) del Neolitico medio. La prima (T1), sui margini della capanna 1, è costituita da frammenti di un cranio, in particolare del parietale e del mascellare di destra, e della mandibola, di un soggetto adulto (21-40 anni) di sesso maschile, con tracce di alterazione dovute ad esposizione ad una fonte ravvicinata di calore. La seconda (T3), più isolata spazialmente, è invece pertinente ad un individuo di sesso femminile, con età alla morte di 50 anni, deposto in una semplice fossa con gli arti inferiori fortemente flessi. Ad un paio di metri della capanna 2, invece, è stata rinvenuta la sepoltura in fossa rettangolare del Neolitico medio (T2), delimitata da blocchi di pietra calcarea piuttosto regolari e di carattere monumentale, pertinente ad un individuo di sesso maschile, con età alla morte di 35-40 anni. Vengono quindi illustrate le produzioni delle classi di materiali in relazione ai differenti contesti evidenziati (ceramica, industria litica scheggiata e su pietra pesante, intonaci di capanna), con relativo catalogo e conseguenti considerazioni critiche, anche confrontandole con le produzioni che 109 caratterizzano la regione nelle fasi antiche e medie del Neolitico. Particolare risalto viene dato allo studio dei caratteri tecnologici e funzionali delle produzioni ceramiche e litiche, alla provenienza delle materie prime (ceramica ed ossidiana), allo studio puntuale degli intonaci di capanna per una serie di ipotesi sulle dinamiche di crollo e conseguentemente sulla struttura degli elevati. Lo studio si sofferma quindi sull’esame dei dati paleoeconomici, con contributi specifici di carattere paletnobotanico e archeozoologico, che permettono di delineare più compiutamente la fisionomia economica e culturale della comunità di Balsignano, e sull’analisi antropologica, paleopatologica antropologici. Datazioni e paleonutrizionale radiocarboniche su resti dei resti ossei e archeomagnetiche sulle strutture di combustione hanno permesso di inquadrare le diverse fasi di vita dell’abitato collocabili dalla metà del VI alla metà del V millennio in cronologia calibrata. [PESSINA, 2009, pp.140] Struttura 1 Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Rettangolare Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Bari Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: 28 m2 110 TINÈ, Struttura 2 Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Non presente in letteratura Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Bari Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura Struttura 3 Buche di palo: Assenti Compound: Assenti Forma: Subcircolare Fossati: Assenti Intonaco: Presente Localizzazione geografica: Provincia di Bari Orientamento: Non presente in letteratura Ripartizioni interne: Assenti Sepolture: Presenti Silos/Fosse: Assenti Strutture interne: Presenti Strutture lavorative: Assenti Superficie: Non presente in letteratura 111 Figura 5 ‐ Passo di corvo: sequenza dei fossati a "C". Figura 6 ‐ Scamuso: area settentrionale,il taglio 13 con i resti della capanna inferiore. 112 Figura 7 ‐ Scamuso: taglio 16 nel versante occidentale dello scavo. 113 Figura 8 ‐ Favella dellla Corte: plaanimetria dell'abitato. 114 5 CONCLUSIONI Nel percorso sviluppato nei precedenti capitoli si è cercato di spiegare, dal punto di vista archeologico, la formazione delle strutture di abitato in età neolitica in Italia. Da tempo l’interesse degli studiosi viene orientato alla ricostruzione globale del contesto abitativo dei siti neolitici, prendendo in considerazione le tecniche di costruzione, le relazioni intrasite e le caratteristiche funzionali delle diverse tipologie di strutture. Dagli anni ’90 si è cominciato a cercare di analizzare anche il quadro sociale delle case nel Neolitico, la loro percezione simbolica da parte degli abitanti e il ruolo nel sistema normativo della strutturazione sociale delle comunità di villaggio. La casa è stata ricostruita come il teatro principale del caratteristico “modo di produzione domestico” dell’economia neolitica, che secondo Ian Hodder può essere riconosciuta come una vera e propria domus ideology. La casa avrebbe assunto un ruolo centrale nell’elaborazione simbolica neolitica come metafora di strategie socioeconomiche e di relazioni di potere basate sulla gestione, il controllo e la domesticazione del selvatico. Le varie abitazioni sono anche legate tra loro tramite meccanismi di scambio di lavoro o di cibo tra vicini, si stabilizzano alleanze matrimoniali che si rinforzano tramite scambio di doni anche tra gruppi familiari tra loro distanti. All’interno o direttamente collegabili con l’abitazione si sono evidenziate diverse tipologie di strutture con differente funzione: -Strutture di estrazione/captazione, conservazione; -Strutture di combustione; -Strutture di delimitazione, drenaggio e terrazzamento; -Strutture funerarie. 115 Queste evidenze possono avere delle similitudini o delle differenze a seconda della loro distribuzione geografica nel territorio italiano. [PESSINA, TINÈ, 2008, pp.138] Il principale elemento di evidenza secondaria per le strutture di abitazione è rappresentato dai residui dell’intonaco a terra; questi intonaci si rinvengono associati alle strutture negative o positive di fondazione, ma spesso isolati e restituiscono preziose indicazioni sulle tecnologie costruttive grazie alle impronte di pali, assi, rami e canne della struttura portante. Partendo da un’analisi delle strutture di abitazione dell’Italia settentrionale, si può evidenziare come si presentino con dimensioni piuttosto estese, dai 70m2 di Lugo di Romagna, fino ai 90m2 di Alba Corso Langhe del Neolitico recente, e una struttura planimetrica praticamente identica, cioè rettangolare, ma non absidata. Dalle misure di queste capanne, si può affermare che siamo in presenza alle cosiddette long houses centro europee, letteralmente “case lunghe”, prive di solito di partizioni interne. Anche l’orientamento di queste capanne è il medesimo, NO-SE, con la sola eccezione di Lugo di Grezzana che è orientata NE-SO. In letteratura non c’è una particolare spiegazione per questo fenomeno e non si avanzano neanche delle ipotesi. [PESSINA, TINÈ, 2008, pp.140] l'Italia settentrionale presenta un'unica eccezione nel villaggio di Alba Corso Langhe; vi è una differenza sostanziale delle due fasi dell’abitato: nella fase del Neolitico antico c’è l’assenza totale di buche di palo, mentre nella fase successiva, del Neolitico recente, vi sono buche, ma queste si trovano solo in canaletta. Quindi l’assenza totale di buche di palo per il sostegno di una trave di colmo fa presupporre una copertura autoportante, tipica di contesti precedenti. [VENTURINO GAMBARI, GAJ, DELCARO, GIARETTI, 2001, pp.427] 116 In Italia centrale nei grandi siti di Catignano e di Casale del Dolce, si riscontra la presenza di strutture abitative con un’estensione che varia dai 50m2 agli 80m2, con una struttura planimetrica rettangolare, ma a differenza dei siti precedentemente presi in esame, qui sono tutte absidate. Si può parlare di long house, solamente per Catignano; qui è presente una grande struttura abitativa con una superficie di 80m2, molto simile a quelle rinvenute nell’Italia settentrionale per grandezza, ma dissimile per la sua planimetria rettangolare ed absidata. Si è ipotizzato che le buche di palo dividessero l'ambiente absidato dal resto della casa, creando così una zona destinata alla raccolta di grano e cereali, quindi un vero e proprio magazzino. Ciò farebbe pensare ad un utilizzo comunitario di immagazzinamento delle risorse simile a quanto avveniva con le popolazioni del Danubiano. Se la capanna era anche abitata da una famiglia, si potrebbe pensare che questa avesse funzioni di gestione nella redistribuzione dei prodotti che venivano stoccati nei soppalchi, e non di “accumulazione” di ricchezza; inoltre le risorse immagazzinate dovevano essere visibili e accessibili a tutti, perché l’unità domestica che ha in carico il magazzino deve renderne conto agli altri. In Italia meridionale la situazione cambia totalmente. Le strutture presenti hanno tutte dimensioni ridotte che variano dai 30m2 ai 40m2, con buche di palo presenti solo in alcuni casi e in canaletta. Sicuramente da sottolineare è l’unicità di Passo di Corvo; qui sono presenti circa 100 compounds, cioè strutture di grandi dimensioni con sviluppo semicircolare, che recingono o delimitano aree per nuclei familiari che hanno possibili funzioni difensive, drenaggio o adduzione idrica. Per Passo di Corvo gli autori ipotizzano una funzione principalmente condizionata dalle esondazioni del fiume vicino e alla tendenza dall’impaludamento del sito. 117 A Passo di Corvo un lungo fossato esterno (che misura 6km) delimita, con un andamento ad uncino, un’area di circa 130 ettari destinata alla produzione agraria, mentre l’area dell’abitato è definita da un sistema di tre fossati paralleli. L’area dell’abitato era anche occupata da una decina di fossati più piccoli a “C”, il cui scavo ha suggerito il loro utilizzo come delimitazioni dello spazio produttivo di singole unità familiari, secondo la struttura dei compounds. Diversamente Rendina vede l’utilizzo di un fossato più piccolo, forse un compound, per le prime due fasi di insediamento del sito, mentre nella terza fase il fossato viene re-interrato. Altro fossato è quello rinvenuto nel sito di Murgia Timone che ha come caratteristica la presenza di una “lunetta”, cioè un piccolo avancorpo innestato su i due tronconi non allineati del lato orientale del fossato, che costituisce una sorta di “porta scea”. Altro sistema molto importante di recinzione sembrano essere le palizzate. A Lugo di Romagna e Lugo di Grezzana sono dei veri e propri elementi lignei infissi in una canaletta di fondazione. Solo a Lugo di Romagna, l’importanza attribuita a questa struttura, è stata messa in evidenza nello scavo con il rinvenimento di una tazza capovolta su una zampa di cane posta nella canaletta, interpretabile come un rito di fondazione. Un canale-fossato non molto profondo correva poco al di fuori della palizzata e la terra di risulta è stata utilizzata per realizzare un piccolo argine sostenuto da piccole palizzate di pali. Palizzate che cingevano gruppi di abitazioni sono presenti anche a Murgia Timone e a Passo di Corvo. Gli autori ipotizzano che queste abitazioni potessero appartenere a clan familiari. Per le strutture funerarie, va senz’altro ricordato il caso di Rendina; all’incirca al centro dell’abitato, sono state rinvenute 5 sepolture. Particolarità delle sepolture di Rendina sono l’orientamento e l’uso di 118 ocra. Queste sepolture entro l’abitato appaiono una prassi eccezionale, e forse queste sono sepolture di carattere speciale. Le deposizioni hanno tutte un forte rannicchiamento sul fianco sinistro e orientamento E-O, alcune hanno delle tracce di ocra (sepoltura n.5 e n.1); le più importanti sono probabilmente la sepoltura n.5, di un adulto maschio, posizionata al centro dell’abitato costituita da due fosse adiacenti senza corredo, e la n.1, di un bambino sotto il piano di una capanna circolare, entrambe a poca profondità dal piano di calpestio. Per quanto riguarda le strutture interrate, va senz’altro menzionato il caso di Favella della Corte dov’è presente una defunzionalizzazione delle strutture stesse. Ciò è evidente dal rinvenimento di molti resti di intonaci bruciati nelle fosse, che sono spie di una ripetitività nella dinamica tramite un processo deliberato di combustione delle strutture. È quindi un atto sociale deliberato, funzionale a rimarcare la fine di una casa. Nelle aree A e B sono stati rinvenuti frammenti di statuine femminili: una potrebbe rappresentare la figura di una partoriente mentre le altre sono in posizione stante. Da segnalare che tutte le statuine di Favella sono state rinvenute negli strati di riempimento delle fosse con intonaci, per cui si potrebbe pensare ad una associazione ricorrente e intenzionale di un atto sociale che evidenzia la fine dell’uso della struttura; anche la frantumazione stessa della statuina potrebbe non essere casuale ma seguire la sorte della struttura abitativa, con un procedimento anche in questo caso di defunzionalizzazione. La statuina potrebbe essere una sorta di effige domestica del gruppo familiare, legata alla casa e alla sua sorte, tanto da accompagnarne i resti. Altre ipotesi sono state fatte da Ruth Tringham (TRINGHAM, 2000, pp.115-143) soprattutto in base allo studio del sito di Opovo in Serbia, per cui interpreta gli incendi delle strutture come singoli 119 episodi: misure per bonificare gli spazi abitativi da malattie o parassiti, ma anche ritualità legata alla morte del capofamiglia e alla chiusura simbolica del ciclo familiare con l’uccisione rituale anche della casa, ipotizzando una completa identificazione tra la casa e gli abitanti. Ma si potrebbe anche supporre che la pratica voglia “cristallizzare” tramite il fuoco il ricordo della struttura. A Scamuso invece, gli autori parlano di riti di passaggio. Nel sito vi era un clan totemico esogamico che effettuava dei riti, documentati da scarsi resti umani rinvenuti nell’abitato. Quelli che si svolgevano erano dei riti di passaggio, in questo caso di iniziazione, grazie ai quali l’individuo, dai 10 ai 30 anni, si aggregava al clan, dopo aver subito l’amputazione di una falange della mano. È probabile che queste cerimonie di iniziazione o di passaggio dall’adolescenza all’età adulta volevano significare che il giovane, rafforzatosi attraverso la perdita voluta di parti del corpo, si avviava verso un’attività economica redditizia per il clan. Un altro esempio, forse più particolare, riguarda la differenza sociale che risulta presente nel sito di Scamuso, con la presenza di personaggi definiti “sciamani”, cioè stregoni che prendono parte ai riti di passaggio degli uomini nel ruolo di celebranti del rito, entrando in questo modo in contatto con gli spiriti di un mondo ultraterreno: essendo i soli “adatti” all’accesso in questo universo, il mago si è posto al di fuori e al di sopra dei suoi simili e nel contempo essi stessi lo hanno reputato al di sopra di loro. Casi in cui le ripartizioni dei lavori risultano più evidenti sono in quei siti in cui sono state identificate delle strutture adibite alla lavorazione probabilmente dei cereali o della ceramica. Ne è un esempio la “Casa della filatrice”, di Murgia Timone, definita tale per la presenza di molti pesi da telaio, per cui è ipotizzabile la funzione di una struttura forse privata ma in cui gli abitanti (o solo una abitante) 120 producessero dei vestiti per la sola comunità (senza entrare in merito a possibili illazioni su probabili scambi di questo tipo di merce con altri villaggi limitrofi). È il caso anche di tutti i forni rinvenuti, che possono essere esterni alle abitazioni e quindi posti in luoghi, anche all’aperto, in cui tutti gli abitanti potevano accedere per il loro utilizzo, ma anche di quelli interni ad un’abitazione, come nel caso di Lugo di Romagna, in cui erano presenti anche grandi quantità di derrate alimentari per la preparazione del pane, oppure nella struttura H11 del sito di Rendina che era adibita forse a più attività in base alla presenza di un forno e vaschette circolari, oltre alla suddivisione interna in due vani. La diversità strutturale delle abitazioni neolitiche italiane sembra corrispondere alle differenziazioni strutturali e culturali del neolitico balcanico. Kenneth Ames, trattando della Northwest Coast americana, sottolinea come qui si sviluppino long-houses che preludono alle culture danubiane, mentre nell’area centrale e meridionale danubiana si sviluppino realtà legate a strutture su abitazioni monocellulari (che formano i tells pluristratificati). [AMES, 2006, pp 16-36] Nel sud est europeo non si tratta necessariamente di una occupazione continua di un’area ristretta ma può trattarsi piuttosto di una sovrapposizione di abitazioni successive, realizzate attraverso l’accumulo di detriti. Nel caso in cui i detriti siano bruciati l’accumulo aumenta per via della compattezza del materiale combusto. In letteratura è spesso riportata la sequenza stratigrafica relativa alla sovrapposizione di più abitazioni che sfruttano sequenzialmente le fondazioni delle preesistenze abitative. La superimposition è riscontrabile nei siti preistorici europei in generale, in specifico italiani e ne è un esempio il sito neolitico di Alba Corso Laghe dove è stato possibile rintracciare l’evidente 121 pluristratificazione legata alla sovrapposizione di diverse strutture abitative di Neolitico antico e recente. Nel caso di Opovo, inoltre, la presunta distruzione rituale della struttura era seguita, secondo l’interpretazione della Tringham, dalla creazione di fosse di scarico, in cui veniva seppellito l’intonaco residuo, analogamente a quanto è stato ipotizzato per Favella della Corte da Tiné. Dall’analisi e dai confronti con il resto dell’Europa, si possono evidenziare in Italia due trend completamente opposti: in Italia settentrionale vi sono strutture abitative con planimetrie di 80m2, influenzate dalle long houses balcaniche/danubiane di 100m2; al contrario in Italia centrale e meridionale le strutture hanno dimensioni ridotte (con un’unica eccezione a Catignano) che variano dai 3050m2 influenzate dalle correnti centro balcaniche. 122 BIBLIOGRAFIA • ANGLE, 2009: M. Angle, Sezione di protostoria, in M. Angle, A. Germano, U. Nicosia (a cura di), Museo e Territorio VI, Roma, 2009, pp. 177-188 • BAGNONE, TOZZI, 1992: D. Bagnone, C.Tozzi, Catignano, in Archivio di Tipologia Analitica, Milano, 1992, p. 77-90 • BAGOLINI, 1980: B. Bagolini, Introduzione al Neolitico dell’Italia Settentrionale, Pordenone, 1980, p.22-34 • BAGOLINI, CREMONESI, 1987: B. Bagolini, G. 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