INDICE
1. INTRODUZIONE
2. ITALIA SETTENTRIONALE
2.1
SITI MAGGIORI
2.1.1 Alba Corso Langhe
2.1.2 Bagnolo San Vito
2.1.3 Lugo di Romagna
2.1.4 Sammardenchia
2.1.5 Sant’Andrea di Travo
2.2
SITI MINORI
2.2.1 La Vela del Trento
2.2.2 Lugo di Grezzana
2.2.3 Fimon-Molino Casarotto
3. ITALIA CENTRALE
3.1
SITI MAGGIORI
3.1.1 Catignano
3.1.2 La Marmotta
3.1.3 Casale del Dolce
3.1.4 Pienza
4. ITALIA MERIDIONALE
4.1
SITI MAGGIORI
4.1.1 Passo di Corvo
4.1.2 Rendina
1
4.1.3 Scamuso
4.1.4 Favella della Corte
4.1.4.1
Ian Hodder: The domestication of Europe
1990
4.1.5 Serra d’Alto
4.2
SITI MINORI
4.2.1 Murgia Timone
4.2.2 Balsignano
5. CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
2
1
INTRODUZIONE
“La casa omerica è un oggetto simbolico… Nel paesaggio si
manifesta per il suo alto tetto che ha una trave maestra (il significato
primitivo, si dice, del termine óikos). Questo alto tetto copre
l’eschára, il focolare centrale. Circolare e matriciale (anche il sesso
femminile si dice eschára), ogni mattina il focolare si apre per dar vita
al fuoco nascosto sotto le ceneri … Il padre che porta lo stesso nome
della casa, è come essa un "tutto" e mantiene insieme gli elementi
del gruppo di riproduzione. La madre, nel giorno del matrimonio,
viene ad accovacciarsi tra le ceneri del focolare. Il figlio legittimo è
colui che nasce una seconda volta vicino al fuoco. Cinque giorni
dopo il parto, il padre solleva il neonato deposto tra le ceneri del
focolare e, mettendolo nella posizione verticale dell'uomo e della
fiamma, pronuncia (?) per la prima volta, il nome che gli conferisce il
suo posto nella discendenza e nella fratria. Avere un nome significa,
quindi, essere stato riconosciuto dal padre e dalla casa... Se la casa
è il segno dell'appartenenza al gruppo residenziale, la terra permette
la costruzione della sua gerarchia. Lo status delle case è legato al
loro accesso alla terra... La casa e la terra sono ricchezze che
determinano lo status... Alla continuità delle generazioni corrisponde
la continua trasmissione dei "segni concreti" del loro status. Casa e
terra sono beni indefettibili, di cui i loro titolari non possono disporre.”
[LEDUC, 1990, pp.251-253]
3
2
ITALIA SETTENTRIONALE
2.1
SITI MAGGIORI
2.1.1
ALBA CORSO LANGHE
Le Langhe sono una regione storica del Piemonte situata a cavallo
delle province di Cuneo e di Asti, confinante con altre regioni storiche
del Piemonte, ossia il Monferrato e il Roero e costituita da un esteso
sistema collinare definito dal corso dei fiumi Tanaro, Belbo, Bormida
di Millesimo e Bormida di Spigno.
Tra il 1988 e il 1996 la Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Piemonte ha indagato alla periferia meridionale di Alba due diversi
contesti insediativi, riferibili l’uno al Neolitico antico e l’altro al
Neolitico recente, collocati ad alcune centinaia di metri di distanza
sullo stesso terrazzo fluviale. [VENTURINO GAMBARI,
GIARETTI,
GAJ, DELCARO,
2001, pp.427]
Il primo contesto insediativo riferibile al Neolitico antico (inizi V
millennio a.C.) si può individuare nella zona detta Cooperativa dei
Lavoratori. Qui si è rinvenuta una struttura (capanna 1) di forma
ellissoidale irregolare, ma l’assenza di buche di palo all’interno e
all’esterno del perimetro della fossa, fa ipotizzare agli studiosi che si
tratti di una struttura autoportante costituita da un insieme di tronchi
impostati sul perimetro direttamente sulla terra e convergenti al
colmo, intrecciati orizzontalmente: la struttura è a forma di cesto
rovesciato per cui non necessita di pali o di travi di colmo, e la
capanna è intonacata. Per la copertura si ipotizza fossero utilizzate
fascine di cannette disposte a strati sovrapposti e fissate con
4
legature in salice, mentre una piccola apertura vicina al colmo
assicura l’uscita del fumo di combustione del focolare. Questa è solo
un’ipotesi di ricostruzione avanzata dagli autori, senza un riscontro
archeologico.
Il focolare consta di una struttura di combustione interna incassata
nel piano pavimentale lungo il lato settentrionale. [VENTURINO
GAMBARI, GAJ, DELCARO, GIARETTI, 2001, pp.428-429]
Il secondo contesto insediativo (capanna 2) riferibile al Neolitico
recente è individuabile nella zona definita Alba Corso Langhe 43. Qui
è stata rinvenuta una struttura di forma rettangolare datata al
5330±40 BP (Neolitico recente). Questo edificio è lungo 15m e largo
6, marginato da una canaletta perimetrale continua su tre lati
profonda 40cm, è orientato in senso NO-SE con l’ingresso rivolto a
SE. Una trincea di fondazione per l’alloggio di una serie di pali ed
altre buche di palo, sono individuabili anche all’interno dello spazio
abitativo. La collocazione di pali all’interno di una trincea continua
permette una maggiore rapidità nella loro sistemazione, rispetto
all’inserimento all’interno di singole buche; l’inclinazione di alcune
buche verso la parete di fondo suggerisce interventi di puntellamento
successivi per contrastare sbandamenti dell’assetto della capanna.
L’analisi della struttura ha portato ad identificare varie ipotesi
costruttive:
1) Era una struttura con caratteristiche miste, composta da due
elementi integrati, un vano (di destinazione abitativa) è costituito da
una palizzata perimetrale e da travi che supportano un soppalco ma
anche che bloccano l’estremità superiore dei pali delle pareti
perimetrali. La copertura era forse di tipo leggero, poggiante a terra e
addossata sulle pareti. La realizzazione di una abitazione con tali
caratteristiche risulta essere molto costosa in termini di tempo ed
energie.
5
2) La seconda ipotesi sostiene che per evitare che le pareti
potessero cedere ed aprirsi, ci fossero una serie di travi di
collegamento trasversali fra le due pareti.
3) La terza ipotesi considera che i pali posti in terra siano più
facilmente deteriorabili, per questo siano stati inseriti dei puntoni
all’interno della struttura perimetrale. [VENTURINO
GAMBARI, CERRATO,
FULCHERI, GIARETTI, GIOMI, MICHELETTI CREMASCO, OTTOMANO, PEROTTO,
TRAVERSONE,
1999, pp.427]
Gli studiosi hanno ipotizzato, in base ad un’analisi sui tempi
costruttivi ricavati in base a confronti etnografici che per la struttura 1
si richieda un impiego di tempo di circa 250 ore/uomo, la sua durata
è stimata per 5-8 anni se sono effettuati sufficienti interventi di
manutenzione (soprattutto per il tetto). Questa capanna esprime un
concetto di precarietà e temporaneità, anche se iniziano ad
emergere le esigenze proprie delle abitazioni a carattere più stabile e
duraturo, con maggior robustezza e la necessità di disporre di uno
spazio più ampio. Questo modo si adatta alle caratteristiche di una
fase
iniziale
di
neolitizzazione
che
si
attua
attraverso
la
colonizzazione itinerante di piccoli spazi aperti nella copertura
forestale per il pascolo e la coltivazione di cereali.
Per la seconda si richiede un impegno di tempo maggiore, di circa
1700-2000 ore/uomo e molti più materiali, con durata di 12-16 anni e
con sempre molti interventi di manutenzione. Queste capanne
esprimono il concetto di una struttura che deve perdurare nel tempo,
in un periodo in cui ormai si affermano strutture di villaggio e
l’economia agricola è diffusa su ampie estensioni ed è diversificata
nel numero e nei tipi di cereali e leguminose coltivate. [VENTURINO
GAMBARI, GAJ, DELCARO, GIARETTI, 2001, pp.431]
Nell’area archeologica sono state rinvenute strutture funerarie
protostoriche,
segno
che
la
superficie
6
ha
conosciuto
una
frequentazione durata più fasi archeologiche. All’esterno dell’abitato
è stata scavata una struttura funeraria collettiva datata al 3600-3100
BP., denominata “Papillon”. I resti ossei sono riferibili a 4 individui
adulti e 6 in età evolutiva, le ossa erano concentrate lungo il lato
orientale della sepoltura, mentre molti denti, soprattutto di bambini,
sono stati recuperati nel sedimento tra le lastre del pavimento.
Tutti i resti rinvenuti sono in deposizione secondaria e le ossa non
sono pertinenti a scheletri completi ma sono anche mescolate tra
loro. I diversi distretti scheletrici non sono rappresentati in modo
uniforme, mancano molte ossa lunghe.
L’arco cronologico in cui è usata la struttura funeraria è molto ampio,
si è ipotizzato che questo complesso funerario possa aver svolto
anche funzioni di santuario in cui erano venerate le spoglie mortali
degli antenati, per cui varie ossa sono state oggetto di manipolazione
a scopo culturale. Alternativamente si può ipotizzare che solo una
parte delle ossa prelevate dalla sepoltura originaria sono state
deposte in questa nuova struttura-ossario: la stessa monumentalità
della struttura di Alba potrebbe costituire una conferma di questa
ipotesi. [VENTURINO GAMBARI, 1995, pp.124]
Struttura 1 Neolitico antico
Buche di palo: No
Capanna: 1
Compound: Assente
Forma: Ellissoidale irregolare
Fossato: Assente
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: a cavallo tra la provincia di Cuneo e Asti
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: No
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Si?
7
Strutture interne: Forno
Strutture lavorative: No
Superficie: Non presente in letteratura
Struttura 2 Neolitico recente
Buche di palo: Si, in canaletta
Capanna: 1
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Assente
Intonaco: Assente
Localizzazione geografica: a cavallo tra la provincia di Cuneo e Asti
Orientamento: NO-SE, ingresso SE
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti (esterne all’abitato)
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 90 m2
8
BAGNOLO SAN VITO
2.1.2
Bagnolo San Vito è un comune italiano della provincia di Mantova in
Lombardia; il territorio è delimitato dal fiume Po a sud e dal Mincio a
nord. Il paesaggio risulta caratterizzato da molte opere idrauliche,
specialmente gli argini maestri del Po e del Mincio.
In località Ca’ Rossina, gli scavi della Soprintendenza hanno portato
alla luce tracce insediative riferibili all’età neolitica, indagate su una
superficie di circa 5000m2. È stata documentata una capanna di
forma
rettangolare
con
strutture
annesse
(struttura
1),
profondamente decapitate dai lavori agricoli, da collocare nella prima
metà del VI millennio a.C. [MENOTTI, PESSINA, 2001, pp.527]
La capanna è di forma rettangolare, lunga 13,40m e larga 6m,
orientata a NO-SE e delimitata da una serie di 52 buche di palo;
all’angolo NO della casa vi era un ingresso di 2m di ampiezza,
mentre altre buche di palo all’interno della capanna potrebbero
riferirsi a partizioni interne dello spazio abitativo e quelle esterne al
perimetro potrebbero essere dei sistemi di rinforzo delle pareti.
Lungo il lato corto frontale ci sono buche che farebbero supporre ad
una tettoia, mentre il tetto era probabilmente sostenuto da pali
portanti posti lungo le pareti. Sia all’interno che nelle vicinanze della
capanna sono state messe in luce alcune buche di scarico da cui
provengono frammenti ceramici neolitici, poca industria in selce e rari
resti faunistici.
Struttura 1 Neolitico antico
Buche di palo: 52
Capanna: 1
Compound: Assenti
9
Forma: Rettangolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Assente
Localizzazione geografica: Provincia di Mantova
Orientamento: NO-SE, ingresso NO
Ripartizioni interne: Presenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Focolare
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 80 m2
10
LUGO DI ROMAGNA
2.1.3
L’insediamento di Lugo di Romagna, si trova nell’odierna Emilia
Romagna; i resti archeologici sono sepolti al di sotto di una coltre
alluvionale e sono stati messi in luce dai lavori di estrazione di argilla
della Fornace Gattelli.
Le
ricerche
sistematiche,
intraprese
dalla
Soprintendenza
Archeologica dell’Emilia Romagna nel 1983 sotto la direzione di
Giuliana Steffè e Patrizia von Eles, consentono di delineare anche
aspetti finora poco noti relativi alla topografia, organizzazione degli
spazi, distribuzione e relazione reciproca tra i vari tipi di strutture in
un villaggio del primo Neolitico. [DEGASPERI,
FERRARI, STEFFÈ,
1997,
pp.117]
L’insediamento è datato alla metà del VI millennio a.C. e i livelli
archeologici sono riferibili alla Cultura di Fiorano; sorgeva nei pressi
di un corso d’acqua a circa 12km dall’allora linea di costa.
Per quanto riguarda l’ambiente circostante, i dati che sono stati forniti
dai dati paletnobotanici e archeozoologici testimoniano aree
caratterizzate da boschi aperti, dov’erano cacciati capriolo, cinghiale,
cervo, martora e gatto selvatico. [BOSCATO, DEGASPERI, STEFFÈ, 1997,
pp.117]
Il complesso perimetrale ha un asse orientato in senso EO, è
costituito da un piccolo fossato che garantiva un debole drenaggio
dell’area, quindi per scongiurare il rischio di esondazione del fiume si
aveva un argine in argilla largo 30 cm e alto circa 1 m, che costituiva
un’altra protezione, contenuto questo da un doppio ordine di assi
lignee sorrette da pali; più all’interno vi era una palizzata i cui
elementi lignei erano posti in una canaletta di fondazione. Durante lo
scavo della trincea di posa della palizzata è stato rinvenuto in
prossimità del fondo un bicchiere in terracotta rovesciato sopra alla
11
zampa anteriore di un cane, e sulla base di altri confronti gli autori
interpretano questa deposizione come un “rito di fondazione”.
La capanna (struttura 1) è a pianta rettangolare orientata NO-SE,
misura 70m2 circa ed è stata distrutta da un violento incendio quando
era ancora in uso. È costituita da due ambienti separati da una
depressione oblunga che doveva alloggiare elementi di alzato; le
pareti perimetrali avevano una trama a graticcio di canne ed erano
intonacate. Robusti pali in doppia fila lungo l’asse maggiore
sorreggevano al culmine del tetto, che doveva essere a doppio
spiovente, mentre la copertura doveva essere composta da fascine
vegetali. Probabilmente nella capanna erano presenti soppalchi
interni. L’ingresso della capanna era situato all’angolo SE.
L’ambiente principale, situato a nord, conserva il piano di un focolare
di forma circolare, nonché i resti conservati di un forno dotato di
copertura a botte situato a ridosso della parete settentrionale in
posizione centrale. Il vano a sud, più piccolo e di forma rettangolare,
ha restituito una grande quantità di reperti (8 vasi ricostruibili),
frammenti di macine, industria litica e accumuli di cariossidi di cereali
che forse erano stoccati in contenitori appesi; questo vano era quindi
destinato alla conservazione di derrate alimentari e alla preparazione
del cibo.
Particolari addensamenti di reperti all’esterno della capanna possono
indicare aree di lavoro all’aperto. All’esterno SE di questa, si trova un
pozzetto di forma cilindrica colmato da rifiuti organici e manufatti
frantumati. Insieme a questo, la fossa “rifiutaia” a 10m più ad est e le
grandi buche analoghe all’esterno delle strutture del villaggio,
documentano varie tipologie di strutture definite pozzetti-silos per la
conservazione di derrate alimentari, cave di argilla per opere in terra
e per la produzione fittile, fosse di decantazione per depurare gli
12
impasti ceramici, buche per lo scarico dei rifiuti. [DEGASPERI, FERRARI,
STEFFÈ, 1997,
pp.122]
Lugo di Romagna rappresenta l’insediamento più orientale della
cultura di Fiorano, ubicato in un’area di cerniera fra il mondo padano
e quello peninsulare e mostra di risentire in maniera significativa
della sua posizione geografica e cronologico-culturale. Costituisce
l’esempio di diffusione da occidente verso oriente di genti portatrici di
questa cultura.
Struttura 1 Neolitico antico
Buche di palo: Presenti
Capanna: 1
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Presenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Ravenna
Orientamento: NO-SE, ingresso SE
Ripartizioni interne: Presenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: forno, focolare
Strutture lavorative: Presenti
Superficie: 70m2
13
2.1.4
SAMMARDENCHIA
Il sito di Sammardenchia è ubicato nell’alta pianura friulana; è una
delle frazioni del capoluogo Pozzuolo del Friuli.
Scoperto da A. Candussio, A. Nazzi e R. Tosone negli anni Ottanta
dello scorso secolo e scavato stratigraficamente a partire dal 1985
dal Museo Friulano di Storia Naturale con la collaborazione di altri
enti di ricerca. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.147]
Nell’insediamento di Sammardenchia, di notevole estensione, sono
state messe in luce varie strutture tra cui pozzetti di 120-150cm di
diametro, due dei quali con rivestimento in argilla utilizzati
probabilmente come silos per granaglie. Attività agricola è stata
ricostruita attraverso il ritrovamento di un gran numero di macine e
macinelli.
Le strutture in fossa sono state oggetto di scavi particolarmente
estensivi e mirati sia a Sammardenchia che nel sito di Fagnigola
(sempre in Friuli) che hanno permesso di inquadrare come pozzettisilos alcune delle numerose fosse scavate. [PESSINA,
TINÈ,
2009,
pp.148]
Questi pozzetti presentano, infatti, una morfologia cilindrica o a
campana e un rivestimento delle pareti con argilla impermealizzante;
in un caso è stato rinvenuto nel riempimento anche un manufatto
circolare in concotto, interpretato come residuo della copertura
sigillante. Altre cavità di questi siti sono caratterizzate, però, da
morfologie irregolari e dimensioni più ampie e potrebbero essere
state utilizzate come luogo di prelievo di inerti con finalità costruttive.
Il sito friulano di Sammardenchia rappresenta un caso-studio del
tutto particolare di ricostruzione paleo ambientale, che non rientra
nella modellistica delineata a livello sub regionale. Diversamente
14
dagli altri siti friulani, il complesso insediativo di Sammardenchia non
è collocato, infatti, in allineamento fluviale e la sua principale
caratteristica morfologica è rappresentata dalla posizione isolata ed
elevata, che gli conferisce una visibilità del tutto particolare,
determinando il ruolo di central place che questo sito sembra aver
svolto nel sistema socioeconomico neolitico della Pianura friulana. La
maggior
parte
delle
diffusissime
strutture
antropiche,
che
rappresentano il cosiddetto “villaggio di Sammardenchia”, si
concentrano sull’altura di Cûeis. La diversa fertilità naturale doveva
essere particolarmente evidente in antico, dando luogo a coperture
boschive sui rilievi di Cûeis e a prateria magra nelle zone di piana. Le
analisi condotte a Sammardenchia hanno confermato l’ipotesi di un
modello insediativo diffuso, a carattere puntiforme, formulato su base
archeologica
per
la
straordinaria
estensione
delle
presenze
neolitiche. Alla fase di occupazione, avrebbe fatto seguito il
sistematico abbandono, con la ripresa rapida del bosco e la
ricostituzione del suolo. Due cicli di queste fasi di occupazione e
abbandono, intervallate da un più lungo periodo di stasi, sono state
riconosciute dall’analisi delle sezioni sottili dei sedimenti in situ nei
pozzetti di Sammardenchia, evidenziando un modello insediamentale
piuttosto mobile sul medio periodo, collegato a modi di produzione di
tipo shifting agricolture. [PESSINA, TINÈ, 2009, pp.181]
È emersa nei vari siti friulani, una varietà di situazioni insediative in
aree più o meno interessate da terreni fertili nelle fasce
pedemontana, collinare, di alta e media pianura, con insediamenti,
come Sammardenchia, molto estesi sui territori di buona fertilità, fino
a siti documentati con scarse testimonianze in aree più idonee ad
attività tradizionali.
15
Scheda riassuntiva dei fondi di capanna Neolitico antico
Buche di palo: Assenti
Capanna: presenti fondi di capanna
Compound: Assenti
Forma: Non presente in letteratura
Fossati: Assenti
Intonaco: Assenti
Localizzazione geografica: Provincia di Udine
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Non presente in letteratura
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
16
2.1.5
S. ANDREA DI TRAVO
Nella media Val Trebbia, in località S. Andrea, in provincia di Pavia, è
stato scavato a più riprese, un abitato con strutture assai complesse
datato al Neolitico antico. Negli anni ’80 era stata messa in luce dalla
Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna (M. Bernabò
Brea), una grande capanna rettangolare, che appariva eccezionale
nel panorama Neolitico dell’Italia settentrionale per dimensioni e
caratteristiche strutturali. [BERNABÒ
BREA, CASTAGNA, OCCHI,
1999,
pp.7]
Nel 1995 sono riprese le ricerche in un’area ubicata circa cinquanta
metri a nord della zona precedentemente indagata, mettendo in luce
una rete di strutture facenti parti il medesimo insediamento.
Con le successive campagne di scavo del 1998-99, l’indagine ha
raggiunto un’estensione di 1024m2.
L’insediamento si trova su un terrazzo fluviale sulla riva sinistra del
Trebbia. Proprio questa posizione morfologica risulta preferenziale
per i numerosi insediamenti neolitici italiani, che occupano quasi
sistematicamente terrazzi della media valle.
Le strutture abitative messe in luce a S. Andrea sono alcune
capanne, o meglio alcuni edifici costruiti solidamente, che occupano
la parte del terrazzo più vicina al fiume e sono grosso modo orientati
tutti in maniera simile (NO-SE); due di essi sono stati interamente
scavati, mentre di altri si posseggono solo degli indizi della loro
presenza. Tra le strutture interamente scavate, una è molto simile,
anche se più piccola, alla grande casa venuta alla luce negli anni ’80,
mentre l’altra appartiene ad una tipologia diversa. Nell’area di queste
due capanne sono state rinvenute numerosissime buche di palo,
alcune probabilmente riconducibili a palizzate, altre a strutture non
ricostruibili. [BERNABÒ BREA, CASTAGNA, OCCHI, 1999, pp.8-9]
17
L’edificio “II”, è di pianta rettangolare, orientato NO-SE ed ampio
66m2. È ubicato nell’attuale margine sud-orientale del terrazzo di S.
Andrea, dove l’erosione fluviale e le arature moderne hanno
asportato parte dell’evidenza archeologica.
Sui tre lati il perimetro è costituito da una canaletta continua, con
pareti sub-verticali piuttosto regolari, analoga a quella interpretata
come cavo di fondazione nell’edificio I degli scavi degli anni ’80. Il
fronte dell’edificio è formato da quattro grosse buche di palo,
apparentemente differente rispetto al resto della struttura e all’edificio
“I”. Rispetto a quest’ultimo restano comunque marcatamente simili la
struttura perimetrale nel suo insieme, l’orientamento, la posizione del
lato frontale verso il fiume e le proporzioni complessive: è simile
infatti, il rapporto lunghezza/larghezza.
L’edificio
“II”
ha
subito
un
rifacimento,
testimoniato
dalla
ristrutturazione dell’elemento portante posto al centro del lato corto
posteriore, che documenta una sua durata nel tempo. Le strutture
portanti di maggiore evidenza sono costituite da un tratto di muretto a
secco e da grandi buche di palo sui lati corti; sui lati lunghi il fondo
delle canalette, forse trincee di fondazione, è piano e sembra aver
ospitato travature orizzontali, sulle quali potevano essere infissi o
messe ad incastro altri elementi verticali.
Un unico elemento portante è presente all’interno dell’edificio: una
grande buca posta sull’asse centrale.
Analizzando in dettaglio le evidenze riguardanti l’edificio, si può
constatare che la canaletta sul lato NE è conservata per circa 10,5m,
ed il fondo è piuttosto regolare e ciò permette di ipotizzare la
presenza di una travatura lignea orizzontale. Il riempimento è
costituito da tre distinte unità ad andamento orizzontale: quella
basale è argillosa, di colore grigio scuro, coperta da uno strato
ghiaioso di matrice limosa, di colore giallastro molto compatto; infine
18
la canaletta è colmata al tetto da un sedimento argillo-limoso bruno
grigiastro.
Il riempimento basale fa ipotizzare la presenza di una travatura
lignea orizzontale compatta dal riporto ghiaioso soprastante,
volutamente disposto con funzione di inzeppatura per l’alzato ligneo;
l’ultimo riempimento sembra riferirsi alle fasi d’uso o d’abbandono
dell’edificio.
Il tratto di canaletta posto a NO, lungo circa 6m, costituisce il lato
corto a monte della struttura. Questo lato è la testimonianza di una
ristrutturazione subita dall’edificio; al centro, infatti, si apriva
originariamente una buca di palo, grande e profonda (diametro
35cm; profondità 45cm), con pareti verticali e fondo piano. In epoca
successiva la buca è stata interamente colmata con grossi ciottoli
sovrapposti ed incastrati con cura; verso la sommità sono state
utilizzate soprattutto pietre di forma squadrata, disposte in modo da
formare una sorta di muretto a secco. Tale struttura risulta costruita
sulla colmatura intenzionale di una precedente buca di palo portante
ubicata sull’asse mediano dell’edificio ed è anch’essa adatta a fare
da appoggio ad una travatura verticale portante.
La canaletta perimetrale del lato lungo SO è conservata per 7m. Il
riempimento è costituito principalmente da contenuto organico, di
colore bruno-grigio scuro.
Il fronte dell’edificio, sul lato corto SE, è formato da quattro buche di
palo grandi e profonde, allineate tra loro e parallele al lato NO,
circolari e a fondo piano che presentano tutte il medesimo
riempimento.
Prendendo in considerazione l’edificio “II” nel suo complesso ed in
relazione con la struttura dell’edificio “I” non si può escludere che le
quattro buche di palo fossero originariamente comprese all’interno di
19
un unico cavo di fondazione che completasse il perimetro
dell’edificio; di tale elemento non resta traccia.
All’interno dell’edificio il piano d’uso non è conservato e lo strato è
apparso del tutto simile a quello esterno, senza particolari
concentrazioni di materiali. Nell’area interna dell’edificio “II” vi sono
inoltre alcuni elementi (buche di palo di piccole dimensioni ed una
canaletta già citata) che documentano una parziale sovrapposizione
di altre strutture.
L’edificio “III” è di un ambiente rettangolare di 35m2, posto a monte
dell’edificio II, a tre metri di distanza dalla sua parete di fondo ed
orientamento ONO-ESE, quindi non esattamente allineato, bensì
leggermente ruotato rispetto a quella struttura. [BERNABÒ
CASTAGNA, OCCHI,
BREA,
1999, pp.10]
Il perimetro è costituito parzialmente da una canaletta non continua,
lunga
7m
e
relativamente
profonda
rispetto
al
piano
di
individuazione. In essa sono state trovate una quindicina di buche di
palo
piuttosto
piccole,
generalmente
cilindriche,
che
si
approfondiscono 10-20cm oltre la base della canaletta in cui sono
alloggiate. Il riempimento sia della canaletta che delle buche, sembra
poco antropizzato.
Sul resto del perimetro, la struttura è caratterizzata da una serie di
buche di palo con diametri considerevoli, di 30 e 50cm, e con
riempimenti molto antropizzati, alcune delle quali appaiono incluse
entro brevi tratti di canalette.
Il lato NE è formato da un allineamento di buche piuttosto grandi e
profonde, alcune delle quali interferiscono con un allineamento
diversamente orientato (SO-NE) che probabilmente costituisce un
lato di un altro edificio (edificio “IV”).
20
All’interno dell’ambiente così delimitato si trovano diverse buche di
palo, che tuttavia sembrano appartenere ad altre strutture, e
soprattutto all’edificio “IV”.
Nemmeno per questo ambiente è stato individuato il piano d’uso;
entro il suo perimetro, nell’angolo orientale, ricade un focolare
complesso, formato da più piani di terra scottata e da un sottofondo
di ciottoli, che non sembra appartenere all’edificio.
Il cosiddetto edificio “III” si differenzia dagli edifici “I” e “II” per una
serie di aspetti: le dimensioni e le proporzioni dell’ambiente,
l’assenza di un riconoscibile lato frontale, l’assenza di elementi
portanti privilegiati. Tuttavia la parte meridionale della struttura
sembra costruita con pali piuttosto piccoli e poco profondi, ma questo
dato potrebbe essere ingannevole se, come è possibile, il piano di
impianto
della
struttura
fosse
stato
più
alto
del
piano
di
individuazione delle canalette e dei pali.
L’edificio “III” occupa la zona che ha restituito le maggiori evidenze
stratigrafiche, grazie alle quali è possibile avanzare ipotesi sulla sua
posizione stratigrafica e cronologica nell’ambito del sito. Il suo lato
NE, si incrocia con un lato dell’edificio “IV”, che sembra essere più
antico, come l’angolo O è coperto dal focolare US 91. [BERNABÒ
BREA, CASTAGNA, OCCHI,
1999, pp.11]
L’edificio “IIIB” si trova ad oriente dell’edificio “III” e in parziale
sovrapposizione con l’edificio “II”, con alcuni elementi che sembrano
delineare un piccolo ambiente, forse appoggiante all’edificio “III”, che
risulterebbe allungato fino ad assumere la lunghezza totale di
m12,80 conservando la larghezza di m5,60.
L’elemento più significativo sembra essere la canaletta US 16/271,
che incrocia un lato dell’edificio “II” ed orientata SO-NE. Al suo
interno sono alloggiate in modo simmetrico 4 buche di palo, di cui
due all’estremità.
21
Il lato meridionale sembrerebbe formato dalle buche di palo UUSS
12, 14 e da una serie di buche di dimensioni omogenee, ma formanti
un allineamento disassato e per un tratto doppio. Il lato opposto,
verso nord, potrebbe esser formato da una serie di buche disposte a
distanza non ravvicinata, ma regolare.
Infine il quarto lato sarebbe costituito dal lato orientale della casa
“III”, che in questa ipotesi sarebbe diventato una sorta di tramezzo, a
seguito dell’ampliamento dell’edificio.
L’edificio “IV” è una struttura che per il momento è solo
ipoteticamente indiziata, essendo stata individuata solo sul lato sudorientale, dove si trova un allineamento di buche particolarmente
grandi e profonde, orientate SO-NE profonde tra 50 e 65cm dal piano
di individuazione, di forma allungata, alcune delle quali hanno
alloggiato due pali. Tale allineamento incrocia il lato NE dell’edificio
“III”, che probabilmente gli si sovrappone.
Il resto dell’edificio “IV” deve essere meglio indagato, poiché
l’incompletezza dello scavo in quest’area rende azzardata qualsiasi
ipotesi ricostruttiva.
Sono state inoltre utilizzati quali buche di palo anche alcuni pozzetti,
ponendo sul fondo grossi ciottoli come inzeppature:
-US 308: pozzetto circolare contenente, alla base, una consistente
inzeppatura in ciottoli a formare un alloggiamento per pali dal
diametro di 30 cm.
-US 353: pozzetto circolare dal diametro di circa un metro e profondo
77 cm. Alla base conteneva un’inzeppatura in ciottoli a formare un
alloggiamento per pali, dal diametro di circa 25 cm.
-US 422: pozzetto circolare che mostra evidenza di più fasi di
utilizzo. Alla base grossi ciottoli fluviali formano un’inzeppatura per
alloggiare il palo. [BERNABÒ BREA, CASTAGNA, OCCHI, 1999, pp.12]
22
In prossimità dell’angolo orientale dell’area di scavo è venuto in luce
un tratto di canaletta con andamento NO-SE, della larghezza media
di 30-40 cm e caratterizzata da un riempimento di colore bruno scuro
ricco di manufatti. La canaletta per le sue caratteristiche costituisce
un elemento strutturale pertinente ad un altro edificio che sembra
essere parallelo all’edificio “II” e, come quello, costruito in prossimità
della riva del fiume.
Nell’area in corso di scavo, sono venuti alla luce dieci fosse
interpretabili come pozzetti-ripostiglio sulla base della forma regolare.
Tre concentrati nell’area dell’edificio “IV”, sono stati modificati
inserendovi grossi ciottoli per alloggiare una buca di palo; degli altri,
uno sembra usato come fossa di scarico, altri non appaiono
riutilizzati, ma intenzionalmente riempiti o abbandonati e lasciati
colmare naturalmente.
Solo alcuni pozzetti appaiono isolati in punti diversi dell’area di
scavo, mentre la maggior parte è concentrata nei pressi dell’edificio
“IV”.
Per quanto riguarda la topografia del villaggio di S. Andrea, nell’area
finora indagata, si notano zone funzionalmente differenziate,
ciascuna delle quali presenta caratteristiche e problematiche
particolari.
In quella più orientale, sono ubicate le strutture abitative, che fino al
tempo della casa “II” si affacciavano sulla riva del fiume senza difese
e delimitazioni. In seguito il villaggio si è dotato di una recinzione,
forse costituita da un doppio ordine di palizzate, che chiudeva
l’accesso dalla parte del Trebbia; l’esistenza di strutture di questo
tipo è del resto ben documentata dalla complessa e ben conservata
difesa
sperimentale
dell’insediamento
di
Lugo
[DEGASPERI, FERRARI, STEFFÈ, 1999, pp.117-118]
23
di
Romagna.
Le case, che sono indiziate da buche di palo e canalette di
fondazione, sembrano aver avuto una durata non irrilevante.
Troviamo infatti edifici grandi e robusti, costruiti solidamente con
grossi pali e in qualche caso sottoposti a radicali ristrutturazioni.
Non siamo in grado di sapere quali costruzioni siano coesistite e
certamente la fitta rete di strutture visibili del substrato è la risultante
di vari interventi successivi.
Edificio “II” Neolitico Antico
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolari
Fossati: Assenti
Intonaco: Assenti
Localizzazione geografica: Provincia di Pavia
Orientamento: NO-SE; edificio “III”: ONO-ESE; edificio “IV”: SO-NE
Ripartizioni interne: Non presente in letteratura
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Edificio “II”: 66m2; edficio “III”: 7x5m
Edificio “III” Neolitico Antico
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Assente
Localizzazione geografica: Provincia di Pavia
Orientamento: ONO-ESE;
Ripartizioni interne: Non presente in letteratura
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: edificio “III”: 35m2
24
2.2
2.2.1
SITI MINORI
LA VELA DEL TRENTO
Il sito neolitico de «La Vela» è situato a nord-ovest di Trento
sull'ampio conoide del torrente omonimo in prossimità della sua
confluenza nel fiume Adige. L'importanza paletnologica di questa
località è nota a partire dagli anni sessanta, momento in cui
quest'area, in seguito al processo di espansione della città di Trento,
veniva lottizzata a scopi di edilizia privata. Da allora sono state
costruite otto palazzine. Nelle trincee di fondazione è sempre stato
possibile rilevare tracce di un abitato Neolitico antico con la relativa
necropoli. Si è naturalmente, di volta in volta, immediatamente
proceduto al recupero di tali importanti testimonianze. L'area
attualmente indagata ricopre una superficie di circa 800m2 ed è stata
suddivisa in sette settori (Vela I-VII). Il sito de «La Vela» rappresenta
l'abitato con necropoli della cultura dei vasi a bocca quadrata più
vasto attualmente noto nel Trentino Alto Adige.
Il 5 giugno del 1960 F. Zorzi segnalava, in occasione della V
Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria
tenuta a Firenze, la scoperta di questo importante sito. [ZORZI, 1960,
pp. 23]
Nella primavera dello stesso anno gli scavi di fondazione di una
villetta (Vela I) avevano infatti portato alla luce un livello neolitico ed
alcune inumazioni. Gli strati contenenti i materiali neolitici vennero
sconvolti dall'opera di una scavatrice meccanica; mancano quindi
dati stratigrafici sicuri sulla posizione originaria dei reperti. I materiali
25
recuperati a cura del Museo Tridentino di Scienze Naturali sono stati
oggetto di uno studio da parte di Barfield (1970).
Delle successive campagne di scavo (Vela II-VI) promosse
dall'Ufficio Beni Archeologici in collaborazione con il Museo
Tridentino di Scienze Naturali esistono solo relazioni preliminari.
[BAGOLINI, 1975, pp.221]. Esse pongono soprattutto l'accento sulle
modalità delle scoperte e la descrizione stratigrafica, soffermandosi
in alcuni casi sull'analisi dei complessi tombali.
Per il momento in letteratura è presente un'unica data al 14C
effettuata su un campione prelevato dal livello della cultura dei vasi a
bocca quadrata del settore Vela II corrispondente in datazione non
calibrata 3420±180 a.C. [PEDROTTI, 1986, pp.219]
I dati della fauna a disposizione riguardano attualmente il materiale
proveniente dalla campagna di scavo del 1975 a cura di Benedetto
Sala (Vela II). Nel II livello antropico, quello attribuibile al Neolitico
inferiore, le specie domestiche sono scarsamente documentate; vi è
un'assoluta prevalenza del cervo. In quest'epoca quindi la caccia era
dominante sull'allevamento, dato questo rilevato anche in altri
giacimenti trentini del Neolitico inferiore.
Il livello attribuibile alla cultura dei vasi a bocca quadrata contiene
invece una fauna con dominanza assoluta di animali domestici, in
particolare capra o pecora, indicante rispetto al livello precedente, un
notevole cambiamento dell'indirizzo economico.
Lo studio è stato condotto da Castelletti sui resti vegetali carbonizzati
del livello della cultura dei vasi a bocca quadrata messo in luce dagli
scavi del 1975 (Vela II). Accanto a numerosi frammenti di legno
carbonizzato, residuo del combustibile del focolare è stata
riconosciuta la presenza di una piccolissima quantità di cariossidi
vegetali in cattivo stato di conservazione.
26
Scheda sito Neolitico Antico
Buche di palo: Assenti
Capanna: Presenti ma non specificato il numero
Compound: Assenti
Forma: Non presente in letteratura
Fossati: Assenti
Intonaco: Assenti
Localizzazione geografica: Provincia di Trento
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: No
Strutture lavorative: No
Superficie: Non presente in letteratura
27
2.2.2
LUGO DI GREZZANA
La frazione di Lugo di Grezzana appartiene al comune di Grezzana,
in provincia di Verona.
L’area a sud del piccolo abitato, denominata località Campagne,
adibita oggi a zona industriale, è oggetto a partire dai primi anni
novanta di ricerche sistematiche intraprese dalla Soprintendenza ai
Beni Archeologici del Veneto, coadiuvata in un secondo tempo
(1996) dal Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche dell’
Università degli Studi di Trento. Tali indagini hanno portato alla luce
un
vasto
insediamento
riferibile
alla
cultura
di
Fiorano
particolarmente importante per le numerose strutture insediative
finora messe in luce. [PEDROTTI, CAVULLI, MIORELLI, 2000, pp.111].
I settori di scavo vennero denominati in base alla successione degli
interventi (I-IX); nel 1998 venne aperto il settore X di ca. 800m2 .
Di particolare importanza è stata la scoperta di una trincea di
fondazione per la posa di una palizzata indagata attualmente per
circa m10. La fossa presenta un tratto risparmiato corrispondente
probabilmente al punto di ingresso al villaggio, è profonda circa un
metro e taglia uno strato ghiaioso in cui sono ben visibili le impronte
di buche di palo. La palizzata è stata realizzata con 5 grossi pali di
testa affiancati e da una serie di pali di minor diametro disposti
alternati in doppia fila. Alla base è stata ritrovata una falange, forse di
caprovino, che gli autori ipotizzano possa avere implicazioni con il
rito di fondazione della struttura. [PEDROTTI,
CAVULLI, MIORELLI,
2000,
pp.111].
Nel corso delle campagne di scavo del 1996, 1997 e 1998 è stato
indagato il settore IX dove sono state messe in luce tre strutture
principali: un focolare in parte sovrastante un pozzetto di forma
circolare abbastanza regolare, con diametro massimo di m1.15 e
28
profondità m0.5 e una grande struttura di cui la parte conservata è
molto limitata a causa dei danneggiamenti apportati dagli scavi
abusivi.
È stata messa in luce durante gli scavi una struttura, di cui in
letteratura non si trova un’interpretazione adeguata. Tale struttura è
profonda m1, ha pareti subverticali e tre lati che si incontrano ad
angolo retto; solo di uno è possibile ricavare le misure complete
(m2.8) mentre gli altri due sono preservati per m2.1 e m0.5. Il
riempimento è rappresentato da un livello molto carbonioso con
cumuli di concotto e la presenza sul fondo di un livello con pedorelitti
che suggerisce che la buca sia stata lasciata aperta per un certo
lasso di tempo; probabilmente fungeva da base di un alzato ligneo
con rivestimento argilloso distrutto da un incendio. Tale evento è
suggerito dalla stratificazione alternata di livelli carboniosi e di
concotto inclinati dalle pareti verso il centro. La struttura (struttura 1)
doveva essere orientata nord-est sud-ovest. Sulla base di analoghe
evidenze rilevate nei settori IV e V gli autori suppongono avesse una
pianta rettangolare allungata e fondo leggermente convesso.
[PEDROTTI, CAVULLI, MIORELLI, 2000, pp.112].
A queste strutture potrebbero essere associate due buche di palo a
sezione conica.
In letteratura non sono presenti analisi al 14C che permettano di
datare l’intera struttura abitativa, riferibile alla cultura di Fiorano,
quindi al Neolitico medio.
Struttura 1 Neolitico medio
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare allungata a fondo convesso
Fossati: Presenti
Intonaco: Assente
29
Localizzazione geografica: Provincia di Verona
Orientamento: NE-SO
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: focolare, pozzetto
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
30
2.2.3
FIMON MOLINO CASAROTTO
Il Sito di Fimon Molino Casarotto, si trova in provincia di Vicenza, ai
piedi dei Colli Berici.
Nel corso del ‘900 le ricerche di Gastone Trevisiol nell’area di Molino
Casarotto
(località
“Persegaro”)
permisero
di
rinvenire
un
insediamento neolitico, scavato e studiato negli anni ’70 dai
professori Broglio, Barfield e Bagolini. Sono state identificate 3
distinte aree abitative, con tracce di capanne, strutture di focolari,
accumuli di resti di pasto, attestanti un’economia basata sulla
raccolta di vegetali, sulla pesca e sulla caccia, strumenti di pietra e
manufatti ceramici attribuibili alla cultura dei vasi a bocca quadrata.
Le datazioni radiometriche attribuiscono all’insediamento un’età
compresa tra i 5750 e i 5200 BP.
Questo sito ha restituito un’esauriente testimonianza delle strutture
messe in opera in ambiente umido. Si tratta di capanne con
impalcato di base costituito da pali orizzontali disposti regolarmente,
attorno ai quali erano infissi in profondità pali verticali allo scopo di
contenere le strutture orizzontali e disidratarne i limi lacustri su cui
esse poggiavano; l’insediamento doveva infatti essere ubicato sulle
sponde di un antico bacino lacustre oggi estinto. Ciascuna capanna
presentava al centro dell’impalcato un focolare che, invece di essere
svuotato, veniva rigenerato sopraelevandosi fino anche a più di un
metro sul pavimento, probabilmente per ottenere un miglior tiraggio
attraverso il foro centrale del tetto.
31
Scheda generale delle 3 aree abitative Neolitico antico
Buche di palo: Presenti
Compound: 3
Forma: Non presente in letteratura
Fossati: Assenti
Intonaco: Assente
Localizzazione geografica: Provincia di Vicenza
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Ciascuna capanna presenta al centro dell’impalcato
un focolare
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
32
Figura 1 ‐ Alba, Cooperativa dei Lavoratori
Figura 2‐ Lugo di Romagna. Planimetria generale delle strutture
finora indagate. In nero: elementi lignei della palizzata caduti a
terra; in rosso: canaletta di fondazione della palizzata; in giallo:
"argine" prodotto dal collassamento di un muretto in terra e
paramento ligneo; in azzurro: fossato; in grigio: grandi buche e
pozzetti; in arancio: la capanna.
33
3
3.1
3.1.1
ITALIA CENTRALE
SITI MAGGIORI
CATIGNANO
L’insediamento si trova in località di Ponte Rosso nel comune di
Catignano, Pescara.
Il villaggio è situato all’estremità di un lembo, alla convergenza tra la
valle del fiume Nora e il Fosso dei Cappuccini; il territorio è in
prevalenza pianeggiante.
L’insediamento è stato scoperto nel 1970 dal Dott. Claudio De
Pompeis, il quale raccolse, in seguito ad arature, frammenti di
intonaco di capanne, industria litica e numerosi frammenti di
ceramica figulina.
Gli scavi iniziarono l’anno successivo ad opera dell’università di Pisa
e proseguirono fino al 1980. [TOZZI, ZAMAGLI, 1981, pp.12-13]
Inizialmente vennero utilizzate le tecniche di scavo allora in uso,
scavando due trincee perpendicolari tra loro nei punti ove c’era più
concentrazione archeologica. Successivamente veniva asportato il
terreno di copertura agricolo-vegetale.
Ben presto questo sistema si rivelò inadeguato, dato che le strutture
di dimensioni più piccole, come le buche, le fossette e i focolai
sfuggivano all’indagine archeologica.
In seguito venne asportato completamente il terreno agricolo su tutta
la superficie di scavo.
In un secondo momento avvenne la ripulitura del terreno per
evidenziare i solchi lasciati dall’aratro; la superficie veniva pulita
34
ulteriormente con un’accurata raschiatura per rendere visibili i
cambiamenti di terreno. Con questo metodo risaltavano le strutture di
dimensioni maggiori con riempimento di colore più evidente, mentre
per fossette e per buche di palo, la loro individuazione richiedeva
determinate condizioni di luce che avvenivano nel mattino o nel tardo
pomeriggio. [BAGNONE, TOZZI, 1992, pp.77-79]
Le strutture fotografate, venivano messe in pianta, e a questo punto
iniziava lo scavo vero e proprio.
Ciò che è visibile del villaggio sono le fosse e le buche.
Le arature del 1971 avevano già asportato il livello di calpestio
dell’abitato neolitico, che era parzialmente conservato solo sul bordo
del terrazzo.
Le strutture neolitiche messe in luce nel villaggio si possono
classificare secondo quattro tipologie distinte in base alla forma e alle
caratteristiche del riempimento:
•
•
Capanne absidate;
•
hanno traccia di cottura delle pareti;
•
Grandi cavità a contorno curvilineo, rotondeggiante che non
Pozzetti cilindrici, forse silos;
Strutture di combustione.
In alcune buche si è notato nella parte centrale un addensamento di
frammenti di carbone e la presenza di un terreno che diveniva più
visibile dopo una pioggia leggera, che metteva in evidenza un alone
centrale di maggiore umidità che contrassegnava la posizione delle
buche di palo.
Le capanne sono state contrassegnate raggruppando le buche e le
fossette che apparivano più o meno in connessione tra loro. [TOZZI,
ZAMAGLI,
1981, pp.27]
Le capanne meglio conservate si trovano sull’estremità est-ovest
dell’area, mentre nella parte centrale si trovano gruppi di fossette e di
35
buche mal conservate e con distribuzione irregolare, che non
consentono di individuare le capanne originarie; ciò è dovuto alla
maggiore profondità dell’aratura recente.
È quindi probabile che le strutture peggio conservate appartenessero
agli edifici abbandonati per far posto ai nuovi e che una parte di
queste strutture sia sfuggita all’individuazione durante lo scavo o che
sia andata completamente distrutta in seguito ad interventi
successivi.
L’insieme delle fossette e delle buche di palo indicano una chiara
funzione
abitativa.
Al
momento
della
loro
scoperta
esse
rappresentavano una novità nel panorama abitativo Neolitico
dell’Italia centro-settentrionale.
Un altro tipo di struttura che poteva rappresentare una novità, erano
le fosse di combustione con riempimento ad acciottolato.
La grande cavità intorno al villaggio di Catignano, presenta caratteri
strutturali particolari non segnalati in altri luoghi. Il terreno argilloso
applicato alla parete con andamento aggettante verso l’interno, in
origine si innalzava sopra il piano della campagna, formando una
sorta
di
bassa
parete
intorno
alle
fosse.
Nel
momento
dell’abbandono, parte di questo terreno si ripiegava verso l’interno
senza distaccarsi dalla parete.
Per quanto riguarda le buche di palo, ne sono state evidenziate 114.
Per risalire al modello d’abitato, si sono prese in considerazione
alcune caratteristiche di queste buche, come
il diametro e la
gerarchia del palo stesso (portante o di rinforzo).
Lungo la parete orientale della struttura è stato rinvenuto un individuo
inumato. La deposizione è stata considerata contemporanea al
riempimento della cavità poiché non si sono rinvenute tracce di
scavo di una fossa sepolcrale.
36
Lo scheletro era sul fianco sinistro in posizione rannicchiata, con gli
arti inferiori flessi, il volto era rivolto verso est, il braccio sinistro era
disteso sotto il corpo mentre quello destro era piegato su un fianco.
Il cranio presentava lesioni traumatiche e due ipotetiche trapanazioni.
Le analisi in laboratorio hanno permesso di valutare che si trattava di
un individuo di sesso femminile di età compresa tra i 40-50 anni. Non
è rinvenuto il corredo, ma non si esclude che l’abbondanza della
ceramica rinvenuta nella cavità possa essere correlata alla sepoltura.
Il dato che senz’altro ha suscitato interesse sono le trapanazioni del
cranio, dovute ad una serie di interventi curativi dovuti a precedenti
fratture. Tali lesioni sono ricollegabili alle attività svolte in vita
dall’individuo. Analisi sulle ossa hanno messo in rilievo come la
donna probabilmente macinava cereali, portava pesi e quindi
svolgeva lavori pesanti, quindi con la possibilità di riportare traumi
violenti.
I denti presentano usure dovute alla masticazione di cibi duri o
confezionati con farine non setacciate.
In una buca è stato ritrovato la deposizione di un bambino di età
compresa tra i 3-5 anni. Il corredo si componeva di un ciotoletta in
ceramica grossolana di colore grigio, con pareti dritte, collocata in
prossimità della testa. Il bambino (Catignano 2), giaceva in posizione
rannicchiata. [TOZZI, ZAMAGLI, 1981, pp.35]
In una stessa cavità sono stati ritrovati ben due resti di bambini
mescolati tra loro. Il primo, è un bambino di età compresa tra 1-3
anni; ne rimangono il cranio e otto ossa lunghe frammentarie; il
secondo è un neonato o un bambino di 0-1 anno, rappresentato dalla
diafisi del femore sinistro. Si sono rinvenuti anche resti animali.
Le modalità sepolcrali dei due inumati, sono ricorrenti della corrente
culturale della ceramica dipinta a bande rosse. In particolare la
posizione rannicchiata è un elemento che si ripropone spesso.
37
All’interno della buca situata nella capanna 2, le analisi hanno
individuato vari frammenti di cranio di cane, completo di mandibola,
oltre che dell’ulna.
La relativa abbondanza di tali resti, può far ipotizzare un uso rituale
della buca e non di semplice buca di palo.
Di difficile interpretazione sicuramente è il rinvenimento nella fossa di
combustione n.3, di due mandibole di cane in connessione
anatomica, che non sono pertinenti all’uso primario della struttura
poiché non sono bruciate.
Quindi non si intravede nessun significato culturale, ma al contempo
sorge il quesito di riuscire a capire cosa è da considerare come
“sacro” e cosa è invece semplice materiale di rifiuto.
La presenza nella buca (buca 146) di resti di due cani, potrebbe
ricondursi a riti di fondazione o di altra natura.
Un’osservazione attenta, può far notare come la buca 146 formi con
la buca 159 e la 159a, una sorta di vestibolo; in conclusione si può
supporre che tali deposizioni venissero fatte in punti topici delle
strutture, considerati i più deboli della costruzione, come gli ingressi.
Nel corso degli scavi del sito, sono stati prelevati carboni da diverse
strutture.
Le analisi hanno portato alla conoscenza di 14 taxa (specie) di
carboni; non è sempre possibile riconoscere con precisione il tipo di
albero o arbusto. In questo senso si possono trarre dall’ecologia
delle diverse specie e dalle caratteristiche tecnologiche del legno.
Alle consuetudini difficoltà di determinazione, si sono aggiunti i
problemi riguardanti la frammentarietà dei reperti di modeste
dimensioni e gli aspetti conservativi.
Oltre il 75% dei carboni analizzati appartengono alla quercia;
seguono gli aceri, frassini e faggio.
38
Le dimensioni dei carboni sono mediamente piccole; la strategia di
campionatura ha consentito il recupero di gran parte dei resti
botanici, ma per gli elementi di maggiori dimensioni, non è più
possibile risalire alla forma originaria.
Le piccole dimensioni dei carboni rappresentano una forte limitazione
anche per quanto concerne il rilevamento delle superfici lavorate o di
taglio.
Poche sono le evidenze di attacchi del legno da parte di organismi
lignivori; un forte attacco di ife può alterare il potere di combustione
della legna, anche se non necessariamente in senso negativo.
La raccolta dei resti vegetali, ha portato alla suddivisione dei semi in
tre gruppi principali:
•
•
Erbe
infestanti:
sono
rappresentate
da
pochi
semi
carbonizzati.
Graminacee: appartengono ai tre generi più diffusi nel
Neolitico in Italia, il grano, l’orzo e l’avena; il frumento è
•
rappresentato principalmente dal farro.
Leguminose: possono essere suddivise in due gruppi
principali: quello legato ai gruppi delle erbe infestanti delle
coltivazioni principali, e quello comprendente la lenticchia e la
fava, che sono più tipicamente coltivate e di interesse
alimentare.
In conclusione il gruppo di Catignano possedeva un’economia
tipicamente agricola. La raccolta di piante selvatiche e di semi di
erbe infestanti utilizzabili per l’alimentazione, è molto limitata se non
accidentale.
La presenza di tre tipi di grano, tre tipi di orzo e di due leguminose
coltivate, indica un’agricoltura evoluta con specializzazione verso la
produzione del farro. Inoltre la rarità di erbe infestanti fa pensare ad
un’evoluta capacità di utilizzazione di tecniche agricole.
39
Tra la fauna domestica prevalgono gli ovicaprini sia come numero di
frammenti che come numero minimo di individui. Se si considera
invece la percentuale di carne commerciata, sono molto inferiori ai
bovini, e superano di poco la percentuale di carne di maiale.
Nel villaggio di Catignano si trovano alcune materie prime, non
sempre reperibili nelle immediate vicinanze del sito. In alcuni casi si
tratta di materiali presenti nell’area geografica occupata dalla cultura
di Catignano, per cui possiamo supporre che l’approvvigionamento
fosse diretto o tramite altri gruppi della stessa cultura, in altri casi, tali
presenze presuppongono l’esistenza di rapporti con culture diverse,
tramite un’attività di ordine commerciale.
Non si esclude quindi che questi oggetti arrivassero nel villaggio
sottoforma di doni.
L’insieme della documentazione raccolta consente di delineare
l’esistenza di un aspetto culturale ben definito nelle sue componenti.
L’insediamento si presenta particolarmente esteso e complesso e
l’area indagata, per quanto di notevole estensione, non è sufficiente
per la comprensione completa della sua articolazione spaziale e
temporale.
Probabilmente intorno alle capanne si svolgevano le attività
artigianali ed vi erano ubicate anche le strutture destinate
all’immagazzinamento delle derrate; lontano dalle abitazioni, si
svolgevano le attività connesse con le fosse di combustione. Le
ipotesi circa queste strutture sono molteplici, ma nessuna si basa su
prove convincenti. Ugualmente incerta è l’utilizzazione delle cavità a
contorno curvilineo.
Scheda delle 5 capanne Neolitico antico
Buche di palo: Presenti
40
Compound: Presenti
Forma: Tutte rettangolari absidate
Fossati: Presenti
Intonaco: Assenti
Localizzazione geografica: Provincia di Pescara
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Focolari
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 70-80m2
41
LA MARMOTTA
3.1.2
Il villaggio preistorico de “La Marmotta” risulta essere il più antico
insediamento
Neolitico
perilacustre
dell’Europa
occidentale;
anticamente ubicato sulla sponda sudorientale del lago di Bracciano,
prende il nome dalla località in cui esso fu rinvenuto nel comune di
Anguillara Sabazia (Rm).
La porzione di terreno occupata dal villaggio preistorico è delimitata
verso sud dalla sponda di un corso d’acqua perenne, il fiume Arrone,
mentre a nord-ovest da una delle antiche linee di riva del lago.
Nel marzo del 1989, in seguito ad alcune richieste per una trincea
subacquea per la posa delle condotte del nuovo acquedotto,
iniziarono
nel
lago
di
Bracciano
perlustrazioni
del
fondale
perilacustre. Dato che le prime analisi diedero esito negativo, si
iniziarono i lavori per la trincea.
Ma appena dopo un mese, si incappò in un deposito archeologico.
Immediatamente gli scavi dell’acquedotto furono sospesi anche nella
zona circostante. Si iniziò una campagna di recupero dei materiali ad
opera degli archeologi M. A Fugazzola Delpino, G. d’Eugenio e A.
Pessina e tutta l’area fu divisa in 3 grandi settori lunghi
complessivamente 80 metri: quello centrale (B) largo circa 9 metri e
quelli laterali (A, verso sud, e C, verso nord), intatti e ricoperti dal
terreno archeologico sconvolto, larghi 10,5 metri. A loro volta, i tre
grandi settori, furono suddivisi trasversalmente in sei fasce larghe 10
metri ognuna e contraddistinte da numerazione romana (dall’I
all’VIII), quindi progressivamente dalla riva verso il centro del lago.
[FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp182]
Terminate le operazioni di recupero del materiale rimosso, iniziarono
le operazioni di scavo.
42
Vennero alla luce strutture lignee fisse e mobili, resti fittili, litici stanti
o inglobati nello strato archeologico.
I pali, infissi nel terreno, sporgevano dalla superficie dello strato per
circa 15-20 centimetri.
Gli elementi lignei mobili consistevano soprattutto in resti di tavole;
altri reperti archeologici si trovavano al di sopra di queste tavole e
molte di queste mostravano la faccia superiore carbonizzata e quella
inferiore intatta, a contatto con la superficie argillosa sottostante.
In letteratura si ipotizza che alla base del ritrovamento di un gran
numero di carboncini sullo strato archeologico, vi sia un incendio.
Nel quadrato B26 si notò una particolare concentrazione di materiali,
soprattutto intorno al palo 36; infatti sullo strato 1 giacevano capovolti
una tazza ed un fondo convesso di vaso, mentre tutti gli altri
frammenti fittili, si trovavano con la parte interna rivolta verso l’alto.
Il settore B, nella fascia VI, sembra essere un’area particolarmente
ricca di reperti e strutture lignee: si riconoscono in particolare delle
tavole, larghe e spesse, lunghe anche più di 2 metri, sovrapposte le
une alle altre.
Tutti i dati (frammenti di assi, assicelle, tavole, frammenti di argilla
con impronta del cannucciato, vasi schiacciati in situ) portano gli
autori ad affermare che con molta probabilità, ci si trovava di fronte al
crollo di una capanna; l’intera zona fu definita “Capanna 1”.
Le prime datazioni di una cronologia assoluta al 14C effettuate nei
quadrati B1-B40, nel settore BVII-VIII, risultano essere: 5280-52705260 a.C. Nel quadrato B8 il palo 16 è stato datato al 6350±75 BP
come età convenzionale, mentre come età calibrata al 5270 a.C.
[FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp.284]
43
SITO
DATAZIONE
DATA
(a.C cal.)
(a.C. cal.)
La Marmotta
5428-5232
5280
La Marmotta
5371-5231
5270
La Marmotta
5310-5147
5260
CENTRALE
Rispetto alla ceramica dipinta abruzzese “tipo Catignano” si può
notare la contemporaneità delle date della Marmotta soltanto con
quelle al 5270 a.C (6330 BP) della struttura 3 di Catignano, ma
anche la recenziorità di tutte le altre date del villaggio di Catignano.
[FUGAZZOLA DELPINO, D’EUGENIO, PESSINA, 1995, pp.286]
SITO
DATAZIONE
DATA
CENTRALE
(a.C. cal.)
(a.C. cal.)
Catignano
5320-5225
5270
Catignano
5204-4940
5050
Catignano
5064-4908
4950
Catignano
5042-4810
4930
Catignano
4946-4799
4900,4870,4860
Catignano
4911-4789
4983,4886,4840
Rispetto all’Italia meridionale, le date che più si avvicinano a quelle
della Marmotta per la ceramica impressa sono quella più recente del
Fossato n.14 di Rendina al 5440 a.C (6530 BP). [FUGAZZOLA DELPINO,
D’EUGENIO, PESSINA,
SITO
Rendina, fossato 14
1995, pp.286]
DATAZIONE
DATA
(a.C. cal.)
(a.c. cal.)
5577-5288
5440
44
CENTRALE
La documentazione archeologica sembra indicare che l’abitato venne
costruito ai margini dello specchio lacustre di Bracciano, in un’area
asciutta che venne ricoperta, immediatamente dopo l’abbandono da
parte delle genti neolitiche, dalle acque del lago. [FUGAZZOLA DELPINO,
D’EUGENIO, PESSINA,
1995, pp.289]
I pali infissi verticalmente, dovevano servire per la stabilizzazione del
terreno oppure erano semplicemente elementi portanti di strutture
lignee in alzato, tracce delle quali si avrebbero dagli elementi di crollo
individuati. L’unica testimonianza a noi nota degli abitanti del
villaggio, è un dente deciduo di un bambino.
Il villaggio era inserito in un ambiente che vedeva boschi affacciarsi
sul lago, quindi con la possibilità per gli abitanti di attività di
coltivazione, pascolo di bestiame e di sfruttamento del legname.
Probabilmente data la presenza nel villaggio di materie prime, come
l’ossidiana, si è pensato a scambi con altre comunità neolitiche
provenienti dall’Italia meridionale.
Scheda generale Neolitico antico
Buche di palo: Presenti
Capanne: Numero non definito in letteratura
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Roma
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 70m2
45
CASALE DEL DOLCE
3.1.3
L’area di Casale del Dolce fa parte della provincia di Frosinone (nel
Lazio, Italia centrale), e in particolare nei comuni di Anagni e
Sgurgola. Il sito archeologico è compreso tra il corso del Rio S. Maria
a NO e quello del fiume Sacco a S e SE, occupando un settore
pianeggiante e un altro di debole pendenza, separati da una netta
discontinuità morfologica che va così a formare un terrazzo di
formazione calcarea.
Le indagini archeologiche hanno avuto inizio il 27 novembre del
1995, durante i lavori per la realizzazione della linea ad Alta Velocità
Roma–Napoli, e si sono concluse il 13 febbraio 1997. È stata
indagata un’area di circa 2 ettari e la zona di intervento fu divisa in 5
aree (A-B-C-D-E). [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.35-36]
Gli autori individuano due fattori principali che hanno alterato il grado
di conservazione del sito:
1) La presenza di una cava di travertino che ha provocato la
distruzione della parte prospiciente il fiume Sacco; infatti sono
state individuate nel terreno tracce di una cavatura meccanica
anche nella parte più alta e meridionale del terrazzo (Area D),
dove non a caso appare molto scarsa la concentrazione di
strutture archeologiche.
2) La lavorazione agricola che ha determinato nel corso del
tempo
un’alterazione
e
asportazione
della
stratigrafia,
comportando difficoltà della lettura dell’insediamento.
L’insediamento neolitico si estende nella stessa area che sarà poi
occupata dalla necropoli eneolitica. Si registra in effetti una lunga
frequentazione che va dal V al IV millennio a.C., che in letteratura
viene suddivisa in 3 fasi principali:
46
-la fase antica di frequentazione, caratterizzata dalla presenza di
ceramica di tipo Sasso con decorazione a linee incise, comprendente
un periodo che va dal 5300 al 4700 a.C. (6400–5800 BP).
-la fase media di frequentazione, caratterizzata dalla presenza di
ceramica di tipo Ripoli, con datazione che parte dal 4400 fino al 4300
a.C. (5500-5400 BP) .
-l’ultima fase di frequentazione, caratterizzata dalla necropoli che
permette l’inquadramento nell’ambito delle facies funerarie dell’Italia
tirrenica del Gaudo e di Rinaldone. [ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.40]
Per quanto concerne le strutture abitative, ne sono state individuate
due: una facente parte dell’area A, (struttura 1) ed un’altra nell’area B
(struttura 2).
L’area A si colloca nel settore centro meridionale dell’area di scavo;
al suo interno è stata individuata un’unica struttura (A) con funzioni
abitative. Essa risulta definita da tre segmenti distinti del Cavo di
Fondazione e da un totale di 9 buchi di palo a essa associabili.
Questi buchi di palo presentavano un riempimento di terreno
compatto, di colore scuro rispetto al taglio, con una quantità piuttosto
ridotta di materiali ceramici e litici, mediamente di piccole dimensioni;
mentre era del tutto assente l’intonaco di capanna. La struttura
presenta un’estensione di circa 45m2, a pianta rettangolare con i lati
corti leggermente arrotondati, orientata in direzione SO-NE. Gli autori
ipotizzano che l’accesso alla struttura fosse realizzato sul lato corto
meridionale, senza escludere la possibilità che potesse essere
localizzato sul lato settentrionale.
Inoltre, sono state individuate due strutture piuttosto articolate
(Strutture B e C) con probabili funzioni produttive, legate alla
trasformazione delle materie prime.
La struttura B è costituita da un ampio taglio di forma irregolare,
praticato nel substrato argilloso; è stata riscontrata la presenza di
47
componenti organiche e artificiali (frammenti di piccole dimensioni di
carbone e ceramica), che ne hanno fatto ipotizzare la natura
artificiale. Su questa struttura è stato rinvenuto un livello carbonioso,
composto principalmente da carboni di piccole e medie dimensioni.
[ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.71]
Associate a questa grande struttura, sono tre fosse disposte attorno
ad essa: la più grande con forma circolare, mentre la seconda con
dimensioni ridotte, di forma ovale, caratterizzate entrambe da un
riempimento ricco di granuli di concotto, posto al di sopra di un livello
molto compatto formato anch’esso da concotto.
Infine la terza struttura associabile, potrebbe essere un forno che si
trova esternamente al taglio 279.
Gli autori desumono da questi dati una bipartizione funzionale
all’interno della struttura: “un’area destinata probabilmente alla
combustione in cui era maggiore la produzione di calore, con la
formazione di un’atmosfera riducente, e una destinata alla
manipolazione del combustibile e probabilmente anche degli oggetti
destinati
alla
cottura,
al
contrario
maggiormente
ossidante.”
[ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.76]
Nelle immediate vicinanze non sono state rinvenute tracce e scarti di
lavorazione da mettere in relazione con l’utilizzo primario del forno.
La struttura C è costituita da un taglio articolato, da una lunga
canaletta e da un sistema di fosse di forma circolare. Associabili a
questo sistema di fosse, ma non direttamente correlati fisicamente, si
trovano un forno con ricca presenza di granuli di concotto e di
frammenti di carbone e una fossetta subcircolare.
L’area B si colloca nel settore centrale dell’area di scavo, per
un’estensione complessiva di 0,40 ettari; è delimitata a S da una
cresta di travertino parzialmente rasata dai lavori agricoli, a N da
un’ampia fascia di travertino poco rilevata priva di emergenze
48
archeologiche e il margine O è prospiciente il fiume Sacco.
[ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.93]
Nel corso dell’indagine è stata recuperata in situ un’olla ovoide di
grandi dimensioni, posizionata all’interno di un pozzetto (P3) di
diametro di 44cm.
L’unica struttura abitativa presente viene chiamata dagli scavatori E
(struttura 2); presenta una pianta rettangolare, perfettamente
conservata, orientata in senso NE-SO, con il lato curvo NE
semicircolare e quello SO rettilineo, con un’interruzione nella parte
mediana. È stato individuato un cavo di fondazione continuo di 31m
che presenta una larghezza piuttosto costante, in media di 40cm nel
tratto
semicircolare,
mentre
nei
due
tratti
rettilinei
varia
maggiormente. Il cavo era conservato per una profondità variabile, in
media di 25cm. La sezione è a pareti verticali, leggermente
convergenti verso l’interno e il fondo concavo: qui sono stati
individuati gli alloggiamenti per i pali. I 125 buchi di palo individuati
all’interno del cavo di fondazione hanno dimensioni variabili; la loro
distribuzione non è affatto casuale, ma si è pensato a precise
esigenze strutturali: nel tratto curvilineo si riscontra una maggiore
presenza di buchi di diametro più grande, mentre nei tratti rettilinei vi
è una quasi esclusiva concentrazione di quelli di minori dimensioni.
[ZARATTINI, PETRASSI, 1997, pp.95]
All’interno dell’area delimitata dal cavo di fondo, sono stati rinvenuti 8
buchi di palo, alcuni dei quali sicuramente in relazione con l’impianto
strutturale della capanna.
La struttura così definita presenta un estensione planimetrica di circa
84m2, orientata in senso NE-SO. All’esterno della struttura E,
totalmente isolato, è stato rinvenuto un pozzetto a pianta circolare,
del diametro di circa 50cm. Il riempimento si caratterizza per il
ritrovamento di 11 pesi discoidali in argilla,di diametro medio di 9cm.
49
Le pareti della fossa non presentavano tracce di esposizione al
fuoco, escludendo così, secondo gli scavatori, la possibilità di una
cottura in situ. Sempre all’esterno sono stati individuati 6 buchi di
palo, il cui grado di conservazione risulta essere pessimo, con
riempimenti privi di materiali archeologici significativi.
Nelle restanti aree, C-D-E, vennero alla luce strutture produttive
legate
alla
trasformazione
di
materie
prime
e
strutture
di
immagazzinamento. Numerose sono infatti le strutture funzionali:
forni, pozzetti, silos contenenti semi carbonizzati, resti di cultura
materiale e fauna.
Nel quadrato AD/IV, in una fossa a botte, sono stati individuati i resti
di sette individui (A-G) e una deposizione di un cane, su due livelli di
deposizioni all’interno dei quali è stato possibile riconoscere la
sequenza delle sepolture.
La deposizione più antica sembra essere l’individuo A, di età adulta e
deposto sul fondo della camera in prossimità della parete opposta
all’accesso; il corredo si compone di un unico elemento, una punta in
osso a taglio obliquo.
La successiva deposizione è costituita dall’individuo F, di età
giovanile e collocato nell’area centrale di fronte all’accesso; gli
elementi del corredo questa volta sono 3 punte in osso a taglio
obliquo. A questo livello è pertinente anche la deposizione del cane,
rinvenuto a ridosso della parete N, fortemente dislocato al punto da
non poterne ricostruire la posizione primaria. In relazione alla sua
attribuzione, l’analisi spaziale ha permesso di verificare che la
deposizione dell’individuo F è avvenuta quando i resti del cane erano
già parzialmente sconnessi, consentendo di ipotizzare, a questo
livello di analisi, una sua attribuzione all’individuo A. [ZARATTINI,
PETRASSI,
1997, pp.127]
50
Questo livello di deposizione è sigillato da un livello di riempimento,
che copriva interamente l’individuo F, il cane e la parte anteriore di A.
Su questo strato si imposta il secondo livello di deposizioni, costituito
dagli individui B,G,C,D,E. La terza deposizione è costituita
dall’individuo B, collocato anch’esso in prossimità della parte di
fondo, in gran parte sovrapposta all’individuo A, con alcuni elementi
di corredo, quali un dente di cinghiale e due punte di frecce in selce.
Le successive deposizioni sono costituite dagli individui G, C e D,
tutti di età infantile e si presentano fortemente dislocati a causa di
uno spostamento verso il fondo della camera; prevalgono soprattutto
elementi di corredo in ceramica.
Gli archeozoologi, esaminando i resti di fauna molto abbondante,
hanno fornito una prima ricostruzione dei modi di sussistenza, che
appare basata, soprattutto nel Neolitico su un’economia di
allevamento delle specie tradizionali (con una particolare enfasi
sull’allevamento dei bovini), solo in parte integrato dalla caccia al
cervo e al cinghiale. Mentre i paleobotanici, tramite lo studio dei
reperti carpologici, hanno evidenziato nelle strutture neolitiche (fosse,
silos, focolari), la presenza di cereali, graminacee, leguminose.
Sicuramente il quadro paleo-ambientale del sito al momento
dell’occupazione ha favorito quello che era lo stanziamento di queste
popolazioni, dato che vi era una consistente copertura vegetale a
querceto misto, presenza di carpino, leccio, olmo, frassino; senza
dubbio l'assetto morfologico, la presenza di un corso d'acqua
principale e di un reticolato idrografico ben sviluppato, la vicinanza di
acque sorgive, l'abbondanza e la prossimità di fonti di materie prime,
hanno avuto un'influenza determinante sulle scelte insediamentali.
Il sito neolitico di Casale del Dolce, si segnala, quindi, per la vastità
dell’area dell’abitato indagata e per la molteplicità delle fasi di
frequentazione e di resti strutturali individuati.
51
Un ambiente di questo genere, tipico di zone collinari e pedemontane
di non alta quota, ben sopporta un’economia di sussistenza mista,
caratterizzata da agricoltura, allevamento, caccia, probabilmente
integrata da raccolta.
È stato rivelato anche il collegamento funzionale e spaziale tra le
strutture di stoccaggio in fossa e le strutture abitative.
Struttura 1
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare absidata
Fossati: Assenti
Intonaco: Assenti
Localizzazione geografica: Provincia di Frosinone
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Forni
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
Struttura 2
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare absidata
Fossati: Assenti
Intonaco: Assenti
Localizzazione geografica: Provincia di Frosinone
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Forni
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 80m2
52
53
3.1.4
PIENZA
Pienza è un comune della provincia di Siena, dove tra il 1968 e il
1976 la Soprintendenza alle antichità dell’Etruria di Firenze, sotto la
direzione del professor F. Rittatore Vonwiller e la dottoressa G. Calvi
Rezia, hanno messo in luce un abitato neolitico.
In letteratura i dati scaturiti da queste ricerche sono molto scarsi, ma
gli autori apportano numerose ipotesi.
Nell’agosto-settembre 1968, sono stati presi in esame parte degli
avanzi d’insediamento preistorico in località Romintorio. [CALVI REZIA,
1970, pp.410]
Tali ricerche si sono svolte in prevalenza sul pendio nord; su questo
pendio fu aperta una trincea che mise inizialmente allo scoperto
un’area di 220m2.
Gli strati apparvero caratterizzati da pietre di forma irregolare,
dimensioni medie, fittamente accostate ed inferiormente poggianti sul
banco d’arenaria. In alcune porzioni, queste pietre sono a brevi
circoli sovrapposti e cementate con terra argillosa pressata, come se
fossero state impiegate a sostegno di pali. Quest’uso sembrò trovare
conferma nella terra compresa nei circoli stessi, che apparve
incoerente, sciolta e mescolata a pietrisco. [CALVI
REZIA,
1969,
pp.368]
Gli scavatori ipotizzarono che la trincea di scavo mostrasse due fasi
dell’insediamento a ceramica impressa; le buche risultarono
logicamente collegate alla fase più tarda.
La trincea stessa venne ampliata verso Ovest, verso Est ed infine
verso Sud; quest’ultima porzione di terreno, apparve in parte
sconvolta dall’azione della pala meccanica. Anche in tale area, si
rilevarono tracce di probabili buche di palo disposte in allineamenti
54
ed il maggiore di essi si presentava a circolo, con buche all’incirca
equidistanti.
Nel settembre nel 1970, sempre sotto la direzione della dottoressa
G. Calvi Rezia, si è potuto identificare la probabile continuazione
dell’abitato nel cosiddetto podere Porciano. I risultati segnalano lo
sviluppo lungo il versante Nord della vallata dell’Orcia dell’abitato
pientino. [CALVI REZIA, 1971, pp.419-420]
Si trattava di un grande allineamento di buche di palo, con probabile
andamento a C, aperto in direzione Sud; esso comprendeva
allineamenti minori di buche, pure curvilinei ed aperti a Mezzogiorno.
L’autrice ha constatato che nessuna delle buche raggiungeva il
banco di arenaria di base, pertanto queste strutture erano state, con
molta probabilità, riferite ad una seconda fase dell’abitato.
L’area di scavo del ’69 venne ampliata nel ’70, in direzione Est; tale
ampliamento sembra aver permesso di rintracciare i resti della prima
fase dell’abitato stesso.
Il primo insediamento, a diretto contatto con il banco di arenaria di
base, in quest’area a configurazione pianeggiante, con tendenza a
leggera depressione al centro, sembra sfruttasse una situazione
naturale del banco stesso. [CALVI REZIA, 1971, pp.420]
Sono presenti allineamenti curvilinei di buche, anch’esse aperte a C
verso Mezzogiorno; tali buche risultano di dimensioni in genere
inferiori (diametro cm10, profondità cm10-15), rispetto a quelle delle
buche del secondo abitato (diametro cm15-30, profondità cm10-35).
Questi resti del primo insediamento sembrerebbero inclusi in un
grande
allineamento
di
buche
di
palo,
analogo
al
grande
allineamento scoperto nel ’69 e con esso intersecante. [CALVI
1971, pp.420]
55
REZIA,
Frammenti dell’intonaco di capanna, con impronte di rami si sono
mostrati con frequenza in entrambe le fasi, ma soprattutto in
corrispondenza della seconda.
In letteratura si interpretano i resti dell’insediamento pientino, come
grandi recinti, comprendenti varie capanne.
Scheda generale
Capanna: Non specificato il numero in letteratura
Compound: Uno forse nelle prime fasi d’insediamento
Forma: Concoide
Fossati: Un fossato nelle prime due fasi, scompare nella terza
Intonaco: Assente
Localizzazione geografica: Provincia di Siena
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Cinque piccoli ambienti concoidi comunicanti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
56
Figura 3 ‐ Catignano. Capanna 2:
2 frammenti di cranio di cane (mandibola
e ulna).
57
Figura4 ‐ a) Catignano, successione capanne absidate; b) Casale del
Dolce, capanna E
58
ITALIA MERIDIONALE
4.1
SITI MAGGIORI
4.1.1
PASSO DI CORVO
Il villaggio di Passo di Corvo è situato nel terrazzo che costituisce
l’estremità occidentale dell’altopiano di Amendola, nel Tavoliere
foggiano. Tale terrazzo si estende per circa 200 ettari, su un terreno
delimitato a nord-ovest dal fiume Celone e a sud dalla valle del
“vecchio Farano”. Su di esso è possibile localizzare almeno tre
insediamenti: quello di Capo dei Fiori, quello di Podere Fredella 8 ed
il vero e proprio villaggio di Passo di Corvo. [TINÈ, 1983, pp.11]
Il perimetro dei fossati che circonda il vero e proprio villaggio di
Passo di Corvo, delimita un’area di circa 40 ettari entro cui si contano
un centinaio di fossati a “C” (Compounds). L’area è quella compresa
entro l’ovale formato da due fossati a nord e ad ovest, tre fossati a
sud ed un fossato ad est.
Quest’ultimo tratto di fossato unico, continua fino a cingere
parzialmente un’ampia area (circa 90 ettari), pertanto utilizzata per
l’attività agricola e per il pascolo degli animali allevati.
Complessivamente il sistema di fossati veniva a rendere praticabili, a
scopo abitativo e agricolo, circa 130 ettari.
Nel 1946, Bradford segnalava alcuni dei principali siti archeologici del
Tavoliere identificati con le foto aeree eseguite dal R.A.F. nel 1943.
Soltanto dell’autunno del 1949 riuscì però ad organizzare una vera e
propria campagna di identificazione e di scavi e Passo di Corvo
venne indagato come un saggio aperto in uno dei fossati “C” situato
59
nell’estremità sud-ovest del villaggio 1. In quella occasione vennero
raccolti i dati circa l’ampiezza e la profondità del fossato a “C”, l’area
racchiusa da esso e l’esistenza di un muretto lungo il bordo interno
dello stesso; purtroppo però non venne identificata nessuna traccia
di capanna.
Dopo l’attento studio delle classi ceramiche, Bradford arrivò alla
conclusione che “sono presenti tutte le caratteristiche di una civiltà
agricola a Passo di Corvo che, oltre ad essere il più esteso villaggio
d’Europa, rappresenta anche il massimo che la società di quel tempo
poteva generare”. [TINÈ, 1983, pp.43]
A causa di una malattia Braford non potè continuare gli studi, quindi
la direzione dello scavo venne affidata a Trump che, nel 1963,
organizzò una campagna di scavo in cui vennero aperte trincee nel
villaggio di Passo di Corvo. Dopo questa esperienza diretta, il Trump
fu in grado di consegnare il manoscritto Bradford per la
pubblicazione, ma per varie ragioni nel 1982 non era stato
pubblicato.
Pertanto quando Tinè iniziò gli scavi nel 1965, disponeva solo di
alcune comunicazioni orali del Trump relative alle sue esperienze.
[TINÈ, 1983, pp.50]
Dal 1966 fino al 1982 è stata scavata una superficie di circa 2300m2,
suddivisa in aree α, ,
entro le quali sono stati messi in luce tre
corrispondenti fossati a “C”:
Scavo dell’area α (1966-1969), campagne I-IV.
Scavo dell’area
(1970-1973), campagne V-VIII.
Scavo dell’area
(1979–1980), campagne IX–X.
Una stratigrafia con tracce di frequentazione più antica e più recente
è presente all’interno del villaggio:
-Silos a campana: di 1,40x3,50 m, con un diametro fondo 0,90m.
L’interno in esso contenuto ha restituito un gruppo di frammenti
60
attribuibili alla fase di Masseria La Quercia 5700-5400 a.C. (68006500 BP)
Tale pozzetto è in relazione con la struttura denominata “fondo di
capanna”
-Fondo di capanna il cui contenuto è caratterizzato da ceramiche
dello stile Masseria La Quercia mentre sopra si stendeva lo strato
con ceramiche della fase IV a1 e IV a2 formatosi con la
frequentazione delle vicine strutture dell’area α e .
-Reticolo di buche rettangolari: si tratta di un sistema di buche
rettangolari di un’ampiezza media di 90x45 cm intagliate nel banco
compatto di crusta per 25cm, e distanziate l’una dall’altra di circa 6m,
l’insieme di esse forma un ampio reticolo a maglie quadrate, che
occupa interamente l’area scavata e certamente si estende fuori di
essa fino ad occupare un’area di almeno 7500m2.
I fossati a “C” del villaggio di Passo di Corvo, hanno diverse fasi:
Fase IVb – IVc caratterizzate da ceramiche della fase Scaloria Bassa
(6400-6100 BP). Il fossato dell’area
2 è localizzato lungo il ciglio
esterno di muretto a secco atto a contenere la spinta del terreno ed
impedire il suo facile scivolamento all’interno, che ha in gran parte
utilizzato il tracciato del primo fossato della fase IV a1.
Fase IV a2 caratterizzata da ceramiche figuline a bande rosse (detta
Passo di Corvo tipico 6600-6200 BP). Il Fossato dell’area α si
sviluppa per circa ¾ di un cerchio fortemente irregolare, dal diametro
di 15m, il suo profilo presenta un’ imboccatura di 1m e pareti quasi
dritte che terminano sul fondo largo 1,20m, il fondo ha un andamento
irregolare dovuto a buche il cui diametro fa pensare a pali atti a
reggere una passerella.
Fase IV a1 caratterizzata da ceramiche figuline con decorazione in
bianco (Passo di Corvo arcaico). Il fossato dell’area 1 è di modeste
dimensioni, con diametro 16m, descrive una curva abbastanza
61
regolare e pareti verticali con profondità max. di 2 m. Ed il fossato
dell’area
interessato solo per 50cm del suo interro e una breve
porzione del suo tracciato.
Si trovano, in letteratura, delle strutture ausiliarie ai fossati a “C”:
-Canaletti superficiali:sono stati individuati con certezza solo nell’area
α. In rapporto con il fossato a “C”, sono due canaletti che corrono
paralleli ed esternamente ai due bracci di esso, di circa mediamente
1x0,90m, potrebbero costituire degli sbarramenti atti ad evitare che il
terreno circostante, sotto la pressione delle acque, slittasse dentro il
fossato, interrandone il fondo e quindi ritardando la sua funzione
drenante.
-Silos: 2 probabili nell’area α. Una grotticella artificiale di forma
ovaleggiante ampia 5x3m ed alta 45cm; un’altra grotticella della
stessa natura, si accede attraverso due imbocchi circolari, è lunga
3m, larghezza massima di 1,50m ed alta 1,10m. La loro posizione,
ne avvalora l’interpretazione come magazzini per conservare le
derrate, principalmente i cereali necessari per le future semine e per
l’alimentazione.
-Vasche circolari: una vasca con imbocco circolare del diametro di
1m, lievemente scampanata e profonda 1,55m è stata individuata
nell’area α, dal suo perimetro fuoriesce un canaletto che si prolunga
in direzione N-O per 60cm, una vasca per la decantazione
dell’argilla. Un’altra vasca localizzata nell’area , profonda 1,35m con
un imbocco di 1m.
-Pozzi: un pozzo nell’area α, si apre con un imbocco circolare di
1,20m e una profondità di 6,50m a pelo d’acqua della falda freatica.
All’interno tra le varie cose sono stati trovati chicchi carbonizzati di
grano che sono stati datati al 4190±120 a.C.. Un altro pozzo
individuato nell’area , si scavò fino ai 4,70m fino a quando venne
62
trovato uno scheletro, in posizione prona, atipico per il Neolitico,
forse una morte accidentale.
-Capanna: si conserva gran parte del muretto perimetrale S-O,
formato da un unico filare di lastre di crusta adagiate, ed una
porzione dell’abside che la delimita a N-O. Da essa si ricava una
superficie abitabile di 40m2 dei quali 4m2 di ambiente absidato,
questa capanna è da riferire al vicino fossato 2.
-Fossati esterni e Fossati interni: nel caso dei fossati esterni di Passo
di Corvo, analisi geomorfologiche di dettaglio hanno contribuito a
chiarire la relazione con l’assetto paleoambientale dell’epoca,
condizionato dalle esondazioni dell’allora prossimo corso del fiume
Celone e dalla tendenza all’impaludamento, quindi un’ipotesi
funzionale come struttura drenante.
La funzione dei cosiddetti fossati a “C”, che articolano lo spazio
interno, suggerisce un utilizzo come delimitazioni dello spazio
produttivo di singole unità familiari, secondo una struttura modulare a
compounds, che raggruppa la struttura abitativa e quelle accessorie:
pozzi, silos, granai, aree di combustione e di lavorazione. [TINÈ,
1983, pp.80-81]
Le opere più imponenti a livello comunitario sono certamente quelle
dei fossati esterni al villaggio larghi fino a 5m, profondi almeno 4m e
sviluppati per circa 5km, attorno all’abitato e alle superfici da
impiegare per l’agricoltura, hanno comportato un imponente lavoro di
scavo e spostamento di oltre un centinaio di migliaia di m2 di
materiale con un impiego notevole di forza lavoro e con soluzioni di
problemi organizzativi.
I muretti ad unico paramento delimitavano rispettivamente il bordo
esterno del fossato a “C” dell’area
dell’area
e il bordo interno di quello
con la funzione di contenere la spinta del terreno.
63
Mentre muretti a doppio paramento dovevano essere impiegati per la
costruzione delle capanne di cui limitavano il perimetro.
Numerose, inoltre, dovevano essere le tettoie e le staccionate
destinate a delimitare spazi, all’interno e all’esterno dei compounds,
per proteggervi provviste di vario genere o per racchiudervi il
bestiame.
Purtroppo di tali strutture non è rimasta alcuna traccia che lo scavo
potesse mettere in evidenza.
Abitudine della popolazione di Passo di Corvo è quella di seppellire i
propri defunti nell’area stessa dell’abitato e forse anche in prossimità
della capanna in cui si continuava a vivere con un assoluta
mancanza di qualsiasi tipo di corredo funebre.
Nell’area α le tombe ritrovate sono 7, considerando come tali solo
quelle che presentavano uno scheletro pressoché completo o
almeno un certo numero di ossa ancora disposte in posizione
anatomica, tanto da far pensare che quello era il sito dell’originario
seppellimento.
Solo nel caso della Tomba 5 si è potuto identificare l’architettura
tombale, in fossa ovaleggiante senza corredo, con l’inumato posto
sul fianco sinistro con gambe fortemente contratte e braccia
incrociate sul petto, si tratta di un individuo adulto giovane maschio.
Nell’area
sono state identificate 4 tombe.
Caso a parte sembra la Tomba 11 ritrovata a circa 4m di profondità
nell’interno del pozzo, può non essere considerata una vera tomba
ma forse un morto per causa accidentale, la posizione geno-pettorale
dello scheletro perfettamente conservata fa pensare che sia stata
assunta da un individuo che da vivo è precipitato accidentalmente
nel pozzo, restando immerso nella fanghiglia. Un individuo adulto ma
età giovanile (18-23 anni) di sesso femminile. [TINÈ, 1983, pp.101]
64
Agricoltura e Allevamento, costituiscono in egual misura, la base
economica per le popolazioni del Tavoliere, le attività principali da cui
traevano la quasi totalità del sostentamento.
Anche la caccia doveva essere praticata ma in misura forse
irrilevante o accidentale, infatti specie come (cervus, lepus e vulpes)
presenti in numero insignificante nella fase IV a2, scompaiono nella
fase IV b.
La presenza di un amo in osso sembra indicare che la pesca venne
praticata nella vicina ansa del fiume Celone.
L’attività commerciale poté forse incidere nell’economia di questa
gente in maniera più sensibile di quanto non faccia supporre la
semplice presenza di materiali esotici in particolare l’ossidiana
(Lipari).
I siti delle fasi più antiche sono più piccoli (1-2 ha) e delimitati di
solito da uno o due semplici fossati circolari, al cui interno si nota un
solo fossato a “C”, che è collegato a singole unità abitative o
produttive (Campo dei Fiori).
Nelle fasi iniziali del Neolitico medio, i valori dimensionali e di
sviluppo lineare dei fossati del Tavoliere aumentano drasticamente,
parallelamente all’evolversi del modello di insediamento, da fattorie
mono-familiari ad estese comunità di villaggio.
A partire dalla fase Serra d’Alto nel tardo Neolitico medio e poi nel
Neolitico recente, i villaggi subiscono una netta contrazione numerica
in conseguenza di una probabile crisi ambientale e demografica, a
cui corrisponde l’abbandono della consuetudine dei fossati, ora
diversamente interrati e utilizzati solo per sepolture.
Tenendo conto dell’estensione stimata di questi villaggi e delle loro
articolazioni interne (spaziali e stratigrafiche), sono state proposte
stime demografiche, basate su parametri diversi. A Passo di Corvo, il
numero delle sepolture e delle fasi documentate dei diversi fossati a
65
“C” ha fatto ipotizzare la fruizione simultanea di circa 30 compounds,
corrispondenti ad una popolazione complessiva di circa 180 persone.
La descritta struttura architettonica attribuita al lavoro comunitario,
cioè i fossati esterni al villaggio, sembrerebbe presupporre un
qualche tipo di patto sociale, il cui rispetto era imposto da qualche
autorità, in grado di permettere la progettazione, la realizzazione e la
manutenzione di tale opera.
Tinè ipotizza che a Passo di Corvo sia molto esplicita, da una parte
la tendenza privatistica della popolazione che continua a manifestarsi
nel perdurare di una struttura unifamiliare, concretizzata nella
immutata unità abitativa del compound, dall’altra la tendenza
comunitaria che impone di provvedere in maniera collettiva ad alcune
esigenze basilari, prima fra tutte quella del drenaggio dei terreni da
abitare e coltivare. [TINÈ, 1983, pp.113]
Da quanto è stato possibile documentare circa il grado di
aggregazione socio-economica raggiunto dalle popolazioni del
Tavoliere nel Neolitico, si deduce un tipo di società che riuscì a
sviluppare qualche aspetto sia pure solo ad uno stadio embrionale,
del processo di inurbamento.
Se pertanto sarebbe improprio definire proto-urbane le popolazioni
neolitiche del Tavoliere, occorre tener presente che esse, in quella
direzione di sviluppo civile, raggiunsero quanto di meglio poté la
società neolitica dell’Europa occidentale.
Scheda generale Neolitico antico e medio
Buche di palo: Assenti
Compound: 100ca.
Forma: Absidata
Fossati: Tre fossati paralleli nell’area di abitato, un fossato esterno e
10 più piccoli nell’abitato
Intonaco: Presente
66
Localizzazione geografica: Provincia di Foggia
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Assenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 40m2
67
4.1.2
RENDINA
Il villaggio di Rendina (Potenza) fa parte di un insieme numeroso di
insediamenti neolitici che sono sulle alture che costeggiano il corso
medio e inferiore dell’Ofanto fino alla foce; il sito di Rendina è situato
sulla riva sinistra dell’Ofanto dal quale dista 4,5km, la cui sommità
della collina è di 60m sull’alveo del fiume, e a causa dell’erosione del
fiume, con la sovrapposizione di molte strutture che si tagliano a
vicenda.
Primi saggi di scavo condotti da S. Tinè, (1970-71) erano volti ad
accertare la natura e l’entità dei depositi (le strutture dell’abitato si
erano in buona parte conservate). Nel 1972 si ha l’intensificazione
delle indagini (a causa della costruzione della superstrada) e si
svolsero campagne di 3-4 mesi all’anno. Nel 1975, otto mesi furono
dedicati al completamento dell’intera area campione. Nel 1976
aumentano le campionature e l’area viene momentaneamente
coperta; nel 1977 lo scavo riprese ma non fu completato.
Le indagini archeologiche effettuate per questo sito sono state
abbastanza approfondite, con scavi sistematici e compilazione di una
buona documentazione, compresa la creazione di piante, stratigrafie,
sezioni ecc. Il contesto non è del tutto ben conservato, sono presenti
arature profonde su 2/3 della superficie dell’abitato. [PESSINA,
TINÈ,
2009, pp.138]
Lo sviluppo dell’abitato presenta tre tappe fondamentali:
PERIODO I (VI millennio – 5160 a.C.): presenza di un fossato
semicircolare (A) scavato nella formazione calcarea, che cinge
un’area ad Est più vasta di quella occupata dalle capanne, è lungo
350m, largo 3m all’apice fino a raggiungere i 0.90m, e profondo in
media circa 1.70m.
68
Le abitazioni relative al periodo sono capanne di 50m2, con il fondo a
volte incassato nella formazione sabbioso-argillosa, il cui profilo è
dato dai buchi di palo che mostrano una struttura di forma
rettangolare, senza suddivisioni interne.
Fa eccezione la capanna H11, suddivisa in due ambienti con
apertura sul lato est, con intelaiatura portante formata da grandi pali
riuniti con un intreccio di rami, pareti intonacate, e sul lato sud
all’esterno vi era uno zoccolo di argilla e paglia, fatto forse per isolare
l’interno e proteggere soprattutto i pali delle pareti esterne.
Nell’ambiente nord è conservato il pavimento in terra battuta e tracce
del focolare circolare di circa 1m di diametro (e una statuina fittile
femminile frammentaria), di fronte all’entrata. Nello stesso pavimento
erano ricavati una vasca circolare e un pozzetto presso la parete di
fondo.
Vi è poi un piccolo ambiente lastricato, detto I14 destinato alla
macinatura del grano (ci sono numerose macine e macinelle), riferito
alla fase finale del primo periodo.
Si è rilevato un impianto di piccoli fossati che formano due
semicerchi concentrici, collegati da canalette superficiali, che creano
confluenze in buche e pozzetti di piccole dimensioni, che l’autrice
interpreta come bacini di decantazione, anche se il terreno in cui si
trovano i pozzetti è rapidamente permeabile. Questo complesso è in
correlazione stratigrafica e topografica con la capanna divisa in due
ambienti.
PERIODO II (5160 a.C. - 4490 a.C.): la superficie dell’abitato è più
ridotta. Il fossato A perde la sua funzione, ma vi è un fossato
semicircolare, chiamato B, di dimensioni minori, misura 100m di
lunghezza, 2m di larghezza all’apice fino a raggiungere i 0,60m al
fondo, profondo circa 1,60m. Il suo pieno utilizzo è fissato fino al
4500 a. C..
69
Un fondo di capanna è rinvenuto sul riempimento del fossato, in cui
le buche di pali perimetrali sono evidenti fuori dall’area del fossato,
mentre altri cadevano sul riempimento dei fossati; alcuni pali sono
stati aggiunti per motivi di staticità come rinforzo ai pali sul fossato.
All’interno dell’ambiente vi è il bordo circolare di una vaschetta
intonacata profonda 10cm, incassata nel pavimento.
La maggior parte delle altre aree di capanne sono state distrutte da
successivi impianti del III periodo; la loro forma è uniforme con quelle
del periodo precedente e differiscono solo per le dimensioni minori
(6-8m di lunghezza e 4m circa di larghezza). Fra le novità si
riscontrano le fondazioni in pietra per i muri.
PERIODO III (4490 a.C. – fine V millennio): in questo periodo si ha
l’assenza di fossati, quello aperto nel II periodo è obliterato. Le
capanne sono generalmente ovali, di 3m di larghezza e 6m di
lunghezza, le pareti avevano rivestimento di intonaco e una
pavimentazione a blocchi di argilla cotta. Tra le capanne si sono
rinvenute molte strutture funzionali quali forni, focolari, buche con
resti di fauna, e buche di significato incerto come quella a piccola
ellissi formata da macine capovolte sormontate da un impasto di
terra e farina fossile impiegato come malta per fissare un piano di
lastine.
Alla macinatura e alla battitura erano dedicate delle aree specifiche
nell’insediamento, a volte veri e propri ambienti. Macine e macinelli
erano usati anche per polverizzare sostanze coloranti, ocra rossa e
gialla (usata nelle sepolture e per la pittura dei vasi).
La tessitura è documentata nel III periodo dalla presenza di dischi
forati di terracotta, interpretabili come elementi di base del fuso. Allo
stesso periodo è testimoniata anche la lavorazione del latte dalla
presenza dei colatoi.
70
La comunità di Rendina nel I e II periodo praticava la coltivazione di
due tipi di cereali, l’orzo e il frumento, mentre non è documentata la
raccolta di specie selvatiche, per cui probabilmente si praticava
un’agricoltura mobile di tipo semplice.
Nel III periodo due leguminose, fave e lenticchie, rappresentano i
primi rinvenimenti di coltivazioni alternative, e rappresentano anche
l’indizio di una possibile rotazione delle coltivazioni e quindi la
comunità praticava agricoltura sedentaria.
Il quadro faunistico mostra soprattutto uso di animali domestici, in cui
sono presenti bue, maiale, pecora, capra e cane.
Nel V millennio gruppi culturalmente differenziati abitavano in questo
ambiente, e non sembrano avere una configurazione territoriale
precisa: le ragioni di queste differenze sono dovute forse nel modo
d’uso del territorio nell’ambito di una agricoltura mobile.
Questa situazione sembra essersi modificata nella seconda metà del
IV millennio, in cui si configura un assetto anche territoriale delle
diverse comunità, e questo è dovuto probabilmente perché si afferma
un’agricoltura stanziale.
Il numero dei villaggi si accresce, ma al di là dell’aumento
demografico che si può essere operato, è probabile che il diverso
modello di occupazione rispecchi una diversa organizzazione sociale
stabilita; il moltiplicarsi di nuclei abitati, più numerosi ma di
dimensioni più ridotte si potrebbe spiegare come l’autoregolazione e
il diverso sfruttamento del territorio.
Materie prime utilizzate principalmente all’interno di questo sito sono:
•
•
•
Ceramica (statuina “dea seduta”)
Litica (scarsa: selce, quarzo, diaspro rosso e verde)
Ossidiana (secondo Bernabò Brea proviene dal centro
Europa, forse Carpazi)
71
•
•
Oggetti in osso (punteruoli, pettini di decorazione, piastrine
pendenti)
Conchiglie (cardium per parure)
La maggior parte dei materiali utilizzati si trovava in abbondanza nel
territorio, caso a parte sono le ossidiane.
All’incirca al centro dell’abitato si sono rinvenute 5 sepolture. Due
deposizioni appartengono al I periodo e altre due (infantili) al III; la
deposizione n.2 non è stata attribuita perché sconvolta dalle arature.
Particolarità delle sepolture di Rendina sono l’orientamento e l’uso di
ocra. Queste sepolture entro l’abitato appaiono una prassi
eccezionale, e forse queste sono sepolture di carattere speciale.
La Sepoltura n.3 è di I periodo, ma la fossa non è certo che sia stata
scavata proprio per la sepoltura o fosse già esistente in precedenza.
La tomba comprendeva due individui: una donna adulta deposta con
forte rannicchiamento sul fianco sinistro e orientamento E-O con il
viso rivolto a S, che però è stata manomessa; l’altra era la
deposizione di un bambino di 8-9 anni. Deposizioni plurime (femminili
con bambini) sono frequenti nel Neolitico antico egeo.
La Sepoltura n. 5 meglio conservata, attribuita al I periodo e nel III vi
si impiantarono sopra delle abitazioni. Situata al centro del villaggio è
costituita da due fosse adiacenti e comunicanti, una ovale nella quale
era la deposizione di un uomo adulto ben conservato, ed una
circolare; è a poca profondità (10-20cm) e non sono state rinvenute
pietre sopra o intorno alla sepoltura. Nelle due fosse di sepoltura non
è stato rinvenuto alcun materiale ma solo tracce di ocra e frammenti
di battuto di focolare. La deposizione era collocata sul fianco sinistro
in posizione rannicchiata con busto supino, in direzione E-O, col viso
rivolto a S, intorno al capo e alle spalle era sparsa dell’ocra.
La sepoltura n.2 è datata al III periodo, di un bambino di 4-5 anni, si
trova all’interno di una capanna circolare; la buca in cui è alloggiata è
72
molto piccola, lo scheletro è molto deteriorato a causa anche della
forte
compressione
che
aveva
subito.
La
deposizione
era
rannicchiata sul fianco sinistro con orientamento E-O e ci sono tracce
di ocra sul cranio.
Databile al III periodo, appartiene ad un bambino ed era anch’essa
incompleta e danneggiata, deposizione analoga alla sepoltura n.1 D.
Sicuramente la caratteristica principale di questo villaggio, è la
trasformazione della foggia che le strutture di abitato hanno avuto nel
corso dei tre periodi sopra citati; nella prima fase presentano una
forma, definita in letteratura, rettangolare, senza suddivisioni interne,
che si evolverà nei periodi successivi, fino ad avere una pianta
semicircolare. Nel panorama italiano ciò si presenta come un
unicum.
Scheda riassuntiva Neolitico antico-medio-tardo
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: I capanna: rettangolare; II capanna: ovale
Fossati: 2
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Potenza
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Presenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Presenti
Superficie: ca. 50m2
73
4.1.3
SCAMUSO
Il sito è ubicato lungo la piattaforma costiera a sud-est di Bari, posta
sul litorale adriatico a 3 km da Torre a Mare.
Nel 1983 si eseguirono due trincee di scavo definite AI e AIII. Con la
ripresa delle indagini nel 1985 si esplorò un’area di 77 m2 e divise in
due trincee definite AIV e AV. Nel 1986-1988 si eseguirono altre
campagne di scavo, a cura dell’Università di Tor Vergata, con lo
scopo di raggiungere gli strati più profondi e salvaguardare i resti
strutturali significativi, si è reso necessario restringere l’area di scavo.
[BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp.164]
Oltre allo scavo archeologico per questo sito si è effettuata la
compilazione della documentazione con analisi archeometrica dei
materiali ceramici, analisi sulle materie prime rinvenute, su elementi
botanici e faunistici, compresa la creazione di piante, stratigrafie,
sezioni ecc.
L’abitato del Neolitico antico nello strato III di Scamuso si caratterizza
per la sua grande estensione. I dati sulle strutture abitative sono
lacunosi ma le parti esplorate delle probabili capanne mostrano
ritrovamento abbondante di intonaco di capanna, mostrando così
una ripartizione netta tra l’interno e l’esterno, anche se non sono
state identificate buche di palo. Le aree di abitazione si
caratterizzano anche per la presenza di acciottolati, a volte
contenenti focolari marginati da circoli di pietre. Ad esempio si
evidenzia un acciottolato regolare di forma ellissoidale contenente i
residui carboniosi di un’area di combustione, da cui affiorano
numerosi frammenti ceramici di grandi dimensioni con intonaco di
capanna riferibile ad una struttura definita “capanna inferiore”, nella
quale si isola un’area di lavorazione di manufatti ceramici. La sezione
nord mostra un impianto originario delle prime strutture sul banco
74
argilloso rossastro, mentre nelle aree interne questo banco argilloso
è stato asportato e le strutture sono impostate direttamente sul piano
calcarenitico. Si rintraccia anche un focolare poggiante su una
grande lastra sagomata. Lo strato è datato al 5345–4339 a.C..
[BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp177]
Per lo strato II si considera importante la distinzione operata nelle
aree settentrionali e meridionali: nell’area meridionale affiora un
piano archeologico caratterizzato da acciottolati, si distingue poi il
residuo di muro con accanto un piano lastricato sul quale si imposta
l’area di combustione. Al di sotto del piano lastricato si sono rinvenuti
altri materiali archeologici poggianti su un precedente lastricato, che
per buona parte si sviluppa nell’area settentrionale. In questa area
settentrionale era una struttura detta “capanna infossata”, (struttura
1) che testimonia una diversa esecuzione di costruzione per le
strutture abitative. Lo strato è datato al 4339–3820 a.C..
Il complesso dei resti rinvenuti nello strato I ha come elemento
determinante il grande ambiente cintato definito “capanna superiore”
(struttura 2) di forma ellittica. All’interno dell’ambiente vi sono resti di
lastricato, con gruppi di pietre grigie o arrossate dal fuoco. All’esterno
della capanne si trova un piano di calpestio ad essa collegato, in cui
si aprono in allineamento 3 buche ed un “circolo di pietre” in cui ci
sono dei frammenti di macina inseriti intenzionalmente nel terreno.
Mentre le buche n. 1 e 2 sono veri e propri pozzetti usati come delle
aree di scarico dei rifiuti, la buca n. 3 sembrerebbe una fossa di
rimaneggiamento fatta nell’ambito dell’utilizzazione di un piano di
calpestio.
L’impianto
della
capanna
superiore
incorporava
probabilmente l’area di lavoro della triturazione dei cereali chiamata
A IV. Questo strato è datato al 3820–3200 a.C. [BIANCOFIORE,
COPPOLA,
1997, pp.200]
75
Si potrebbe evidenziare una corrispondenza di scambi tra il sito di
Scamuso e un sito vicino, S. Maria delle Grazie alla periferia di
Rutigliano; questo sito è un insediamento Neolitico di cerealicoltori
molto importante nella zona, e Scamuso che non aveva molti terreni
coltivabili,
aveva
bisogno
di
importare
da
qui
i
cereali
contraccambiando con prodotti della pesca. In questo legame si può
riconoscere
il
“principio
della
simmetria”
(Polanyi),
cioè
un
collegamento soprattutto di natura economica tra vari centri. In
queste società, la reciprocità, redistribuzione e scambio sono definiti
anche “modi di transizione” che riguardano il lavoro, il prodotto e i
servizi, ma anche il commercio basato sulla donazione (economia
del dono); l’economia di una organizzazione comunitaria quindi, ha le
sue radici nei rapporti sociali.
La reciprocità agisce in rapporto all’organizzazione della famiglia e
della parentela nella società.
La mancanza di una plastica fittile attribuibile alla sfera culturale
potrebbe documentare su una precisa ripartizione tra gli spazi
dedicati alle attività del quotidiano (con la sua cultura materiale) e le
aree dedicate alle pratiche rituali.
A Scamuso vi era comunque un clan totemico esogamico che
effettuava dei riti, documentati anche presso genti extraeuropee: ciò
è deducibile da scarsi resti umani rinvenuti da cui si può dedurre che
nel clan si svolgevano dei riti di passaggio, in questo caso di
iniziazione, grazie ai quali l’individuo, dai 10 ai 30 anni, si aggregava
al clan. Per quanto riguarda un frammento osseo più grande, si
riporta il pensiero di Marcel Mauss, che riteneva che tale procedura
avveniva tramite uno stregone, in cui lo stregone stesso era
trasportato in un mondo particolare che lo metteva in contatto con gli
spiriti. Il mago si è posto al di fuori e al di sopra dei suoi simili e nel
contempo essi stessi lo hanno reputato al di sopra di loro. È
76
probabile che queste cerimonie di iniziazione o di passaggio
dall’adolescenza all’età adulta volevano significare che il giovane,
rafforzatosi attraverso la perdita voluta di parti del corpo, si avviava
all’attività economica più redditizia per il clan.
Le materie prime utilizzate nel sito, sono principalmente:
•
•
Ceramica (terra rossa);
•
Falcetti;
•
Oggetti in osso (punteruoli, ami);
•
Litica (numerosi elementi: selce, ossidiana);
•
Macina e Macinelli;
•
Oggetti fittili (“orecchiette” magico rituali? ludici?);
Conchiglie (per collane e anelli).
I materiali son elusivamente estrazione locale.
I resti di mammiferi domestici sono maggiori rispetto a quelli selvatici
e agli uccelli, i resti degli ovicaprini sono più numerosi seguiti da
quelli di maiale e bue, e rappresentano la base economica del
villaggio. Risulta sempre presente il cane e le specie selvatiche sono
poco presenti, mentre mancano del tutto resti di cervidi.
Il bue è tra le specie meno rappresentate, ma è da tener conto che
hanno una maggior resa di carne. L’analisi dell’età dei bovini mostra
l’assenza di giovanissimi e di età inferiore ai 30 mesi (tranne un
esemplare),
e
venivano
uccisi
in
età
subadulta
e
adulta.
[BIANCOFIORE, COPPOLA, 1997, pp.152]
Gli ovicaprini sono i più rappresentati soprattutto negli strati più
recenti, è presente tutto lo scheletro rivelando il consumo dell’intero
animale; la maggior parte dei resti vengono attribuiti alle pecore,
confermando che la pastorizia era basata principalmente sul loro
allevamento. Si nota complessivamente una prevalenza di uccisioni
di animali giovani e giovani-adulti (circa 2 anni di età) e sono ben
rappresentati anche gli agnelli.
77
Le ossa di maiale sono sempre ben rappresentate con valori quasi
costanti durante l’occupazione del sito. Ossa dell’intero scheletro
sono variamente rappresentate, evidenziando una macellazione in
loco; per quanto riguarda il tasso di mortalità, si evidenzia che in tutte
le fasi gli animali sono uccisi soprattutto sotto i 24 mesi (tutti i tipi di
giovani) e numerosi sono anche quelli uccisi sotto 1 anno. Solo pochi
individui erano tenuti in vita oltre 3-4 anni a scopo riproduttivo.
I resti di cane sono comuni soprattutto nei livelli più recenti, forse per
l’incremento avuto nella pastorizia; non ci sono indizi che possano far
pensare ad un consumo alimentare dell’animale.
Per quanto riguarda la categoria dei mammiferi selvatici, i tipi più
presenti sono il cinghiale, la volpe, mustelide (puzzola), lepre, uccelli,
resti di micro mammiferi, di cui forse l’unico animale usato a scopo
alimentare era il riccio.
Presenza anche di anfibi (rospo), rettili (testuggine) e molluschi.
I principali cereali coltivati erano i frumenti vestiti, dicoccum e
monococcum, e l’orzo a sei file, ma la presenza di cariossidi di
frumenti nudi lascia intravedere una elevata potenzialità di sviluppo e
sfruttamento delle specie più redditizie.
Per quanto riguarda i legumi, la documentazione è molto modesta, la
presenza di fave, lenticchie e piselli indica però l’esistenza di una
certa diversificazione della produzione agricola e i legumi erano una
valida integrazione alla dieta.
In questo panorama agricolo non sembra trovare spazio la raccolta
dei frutti selvatici, anche se non si può escludere la possibilità di uno
sfruttamento delle bacche selvatiche per scopi alimentari.
Struttura 1 Neolitico medio
Buche di palo: Assenti
78
Compound: Assenti
Forma: Non presente in letteratura
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Bari
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Presenti
Superficie: Non presente in letteratura
Struttura 2 Neolitico recente
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Ellittica
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Bari
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Presenti
Superficie: Non presente in letteratura
79
4.1.4
FAVELLA DELLA CORTE
Si trova al centro della piana di Sibari, presso la frazione Cantinella
di Corigliano Calabro, a circa 6km dalla linea di costa, 1,5km dal
fiume Crati e a 3,5km dalla confluenza del Coscile nel Crati.
L’insediamento neolitico occupa il bordo di un terrazzamento fluviale
di formazione pleistocenica, con estensione di circa 10ha, raccordato
da rilievi collinari ad ovest e nel resto limitato da scarpate.
Sito rinvenuto nel 1954 da Donald Brown ed Ermanno Candido,
indagato in brevi campagne nel 1962 e 1964, mentre ricerche
sistematiche
vengono
condotte
dal
1990
e
il
1998,
e
successivamente nel 2001-2002. [TINÈ, 2006, pp.78]
Le arature meccaniche condotte negli ultimi decenni a notevole
profondità sono le principali cause della mancata conservazione del
sito. Inoltre l’attuale assetto geomorfologico risente degli interventi
antropici con canalizzazioni e opere di bonifica.
Si sono anche individuati profondi sconvolgimenti nell’assetto
geologico e geomorfologico della piana di Sibari da ricondurre a
complessi sistemi tettonici regionali (movimento di sollevamento,
abbassamento ed erosione marina).
Le indagini archeologiche effettuate per questo sito sono state molto
approfondite, con scavi sistematici e compilazione di una buona
documentazione, tra cui analisi archeometrica dei materiali ceramici,
analisi sulle materie prime rinvenute, su elementi botanici e faunistici,
compresa la creazione di piante, stratigrafie, sezioni nel 1996 da
Giovanni Boschian del Dipartimento di Scienze Archeologiche
dell’Università di Pisa.
Il villaggio sfrutta una posizione isolata e rilevata a nord e sud da due
depressioni parallele. È collocato in un’area sopraelevata e limitata
da dislivelli, in stretta contiguità con un ambiente lagunare verso est
80
e a breve distanza dal mare e da un corso fluviale. I vari ambienti a
cui il sito accede comportano una elevata gamma di risorse
alimentari.
Sono state rilevate 40 strutture a fossa con riempimento di intonaci.
Si ipotizza una vita media delle capanne fosse di 25-30 anni e si
potrebbe dedurre da una frequenza di 9-12 capanne per ciascun
ciclo. Si tratta di considerazioni puramente indicative, dato che
presuppongono un modello demografico di assoluta stabilità che non
ha riscontro con la realtà dinamica di una popolazione reale, ma che
possono rappresentare un indicatore significativo della scala di
grandezza del sito in una ipotetica fase-standard. [TINÈ, 2006,
pp.201]
In base alla quantità di intonaco si ritiene che la superficie abitativa di
ciascuna capanna fosse di 30m2, riferibile a famiglie nucleari
composte da 4-6 persone.
Il sito di Favella si inserisce nella categoria dei siti di “taglia media”
tipici del Neolitico Antico peninsulare, quindi la cronologia stabilita è
tra il 5000 e 4800 a.C..
Si colloca nel settore centrale del terrazzo dove è collocato
l’insediamento neolitico.
Sono state identificate alcune strutture in questa area:
-STRUTTURA ABITATIVA A (struttura 1): individuata inizialmente
come dispersione unitaria di intonaci estesa su un’area di circa 35m2.
Questa struttura comprende anche tre fosse contigue denominate X
(di forma sub-ellittica), Y (di forma sub-circolare) e Z (di forma subcircolare). Tutte le fosse hanno un riempimento uniforme con
notevole quantità di intonaco nello strato superiore, uno strato
intermedio semi-sterile ed uno strato inferiore con molti rifiuti
antropici; infine lo strato sul fondo sterile.
81
-STRUTTURA ABITATIVA B (struttura 2): ne fanno parte almeno tre
fosse denominate W (di forma sub-circolare) che si sovrappone
parzialmente alla fossa Y della struttura A, unico caso nel sito di
sovrapposizione tra fosse appartenenti a sistemi strutturali distinti, K
(di forma sub-circolare) e J (di forma sub-ellittica). In tutte e tre le
fosse si ha un significativo contenuto antropico a carattere di
discarica quotidiana, con elementi di intonaco nello strato superiore.
-STRUTTURA ABITATIVA D (struttura 3): comprende un insieme di
tre fosse denominate X (di forma sub-ellittica irregolare), Y (di forma
sub-circolare con morfologia a pozzetto) e Z (di forma sub-ellittica
allungata). La fossa X non ha intonaci al suo interno e si definisce
piuttosto come una leggera depressione nel banco sabbioso riempita
con terreno sterile, quindi la sua relazione funzionale con le altre
forse è incerta. Le altre due fosse hanno strati contenenti elementi
antropici quindi utilizzate come discarica quotidiana, ed elementi di
intonaco.
L’area B si colloca nel settore nord-occidentale del sito per un’area
complessiva di 210m2. Sono state identificate alcune strutture in
questa area:
-la struttura abitativa E: comprende tre fosse denominate US 10 (di
forma sub-circolare), US 20 (di forma sub-circolare) e US 30 (di
forma sub-ellittica). Tutte e tre le fosse hanno un riempimento con
discreto contenuto antropico con carattere di discarica quotidiana, e
molti elementi di intonaco.
-la struttura abitativa G: con un’unica grande fossa nominata US 10
(di forma sub-circolare), con uno strato superiore formato da ciottoli
di fiume collocati a tetto sugli altri strati, che hanno abbondante
intonaco e resti antropici tra cui il frammento di piastra-fornello e un
alare fittile. Non sono state individuate buche di palo o canalette, ma
in una zona verso nord sono stati rinvenuti molti frammenti di
82
intonaco diffusi in maniera coprente e concentrati su un’area subellittica di circa 8m2, interpretabile forse come il residuo di una
capanna, di cui altri resti sono stati traslati dopo l’incendio nella
fossa.
Tutti i contesti di intonaci sembrano suggerire che la struttura lignea
delle pareti e le modalità di rivestimento fossero le stesse in tutte le
strutture.
Le fosse sarebbero collegate all’abitazione in quanto da qui ha
origine la materia prima necessaria per il rivestimento delle pareti
(funzione primaria) ed è il luogo di raccolta dei residui
rivestimento
(funzione
secondaria)
provenienti
dalla
del
capanna
defunzionalizzata da un incendio. [TINÈ, 2006, pp.220]
Sono presenti pertanto:
- pozzetti-silos, cavità di forma e dimensioni regolari, circolari, a
fondo piano e destinate allo stoccaggio di sementi,
- fosse-cava, cavità di forma e dimensioni irregolari destinate a
svolgere la funzione di cave per l’approvvigionamento di materiali (ad
es. per le produzioni artigianali).
Siccome non sono state rinvenute tracce di canalette o di buche di
palo, è possibile che le cortine lignee delle capanne fossero poggiate
sul suolo e ancorate tra loro in un sistema autoportante, o poggiate
su una sorte di zoccolo composto da ciottoli che si rinvengono nel
riempimento delle fosse. Gli scavatori hanno poi ipotizzato che le
strutture avessero adottato una planimetria sub-rettangolare per le
capanne e che fossero orientate a NE-SO.
Il tetto forse poggiava sulle pareti perimetrali o su pilastri interni
anch’essi poggiati sul suolo o lastre litiche. I pavimenti erano
probabilmente formati da terra battuta.
La struttura F è formata da tre zone collegate tra loro e dislocate su
un’area quadrangolare di 1,70m2, che potrebbe essere interpretata
83
come residuo superficiale di un forno semicircolare con piastra di
combustione. Da alcuni resti si può supporre che sia stata presente
una copertura a calotta realizzata con terra locale su armatura
vegetale, cotta dalla combustione prodotta all’interno.
Tutti i forni domestici di questo sito sono stati costruiti all’interno delle
abitazioni; all’esterno sono stati rinvenuti solo i forni dediti alla
produzione della ceramica. Il forno n° 12, oltre ad essere unico per la
forma, presenta nelle sue vicinanze vari livelli di lenti carboniose di
spessore modesto. La scarsa temperatura di cottura dell’argilla del
forno esclude la destinazione. [TINÈ, 2006, pp.164]
È evidente dal rinvenimento di molti resti di intonaci bruciati nelle
fosse, come ci sia una ripetitività nella dinamica tramite un processo
deliberato di combustione delle strutture. È quindi un atto sociale
deliberato, funzionale a rimarcare la fine di una casa.
Nelle aree A e B sono stati rinvenuti frammenti di statuine femminili:
gli autori ipotizzano che una potrebbe rappresentare la figura di una
partoriente mentre le altre sono in posizione stante.
Tutte le statuine condividono volumetrie morbide e naturalistiche
nell’area centrale della figura, ha glutei, fianchi e zona genitale
accentuati, a cui si contrappone una resa più schematica di torso e
arti inferiori. Si ha un rimando alla fertilità femminile riconducibile
anche alla fertilità dei campi in una visione agraria dei “ventri
seminati”.
Tutte le statuine di Favella sono state rinvenute negli strati di
riempimento delle fosse con intonaci, per cui si potrebbe pensare ad
una associazione ricorrente e intenzionale di un atto sociale che
evidenzia la fine dell’uso della struttura; anche la frantumazione
stessa della statuina potrebbe non essere casuale ma seguire la
sorte della struttura abitativa, con un procedimento anche in questo
caso di defunzionalizzazione.
84
La statuina è una sorta di effige domestica del gruppo familiare,
legata alla casa e alla sua sorte, tanto da accompagnarne i resti.
4.1.4.1
IAN HODDER: The domestication of Europe, 1990
Definisce il concetto di “domus” come metafora della domesticazione
della società e della creazione di più larghe unità sociali. È il luogo
principale di produzione e riproduzione delle relazioni sociali,
comprende le diverse attività pratiche connesse alla preparazione del
cibo e al sostentamento vitale, ma la casa è anche il centro di
elaborazioni simboliche di strategie socio-economiche e di relazioni
di potere.
La casa è il punto di riferimento di unità sociali stabili, aggregate e di
lunga durata, attraverso cui realizzare la domesticazione del territorio
circostante.
Le varie abitazioni sono legate tra loro tramite meccanismi di
scambio di lavoro o di cibo tra vicini, si stabilizzano alleanze
matrimoniali che si rinforzano tramite scambio di doni anche tra
gruppi familiari distanti.
Le materie prime utilizzate a Favella, sono:
•
Ceramica (vasetto miniaturistico, elemento quadrangolare,
•
statuine);
•
Ossidiana (da Lipari);
•
Litica (selce, calcedonio, diaspro, quarzo);
•
Asce;
•
Scalpello;
•
•
Accette e Accettine;
Macine e Macinelli;
Oggetti in osso (punteruoli).
Ornamenti: vaghi di collana in pietra e terracotta (mancano in ossa di
animali).
85
I materiali usati sono tutti di estrazione locale, a parte l’ossidiana che
proviene da Lipari.
Nel sito si hanno resti di cereali e leguminose (soprattutto lenticchie).
La presenza anche del leccio fornisce indicazioni sulla posizione
dell’insediamento di Favella all’interno o al limite di una fascia di
vegetazione di foresta.
Prevale la fauna domestica e si evidenzia quindi un’economia di
allevamento ben caratterizzata, la caccia è indirizzata verso ungulati
(cinghiale e cervo).
Nell’allevamento sono prevalenti gli ovicaprini, seguono il bue e il
maiale.
Lo sfruttamento di questi mammiferi rappresenta un compromesso
tra scelte economiche e adattamento all’ambiente. Non si è ancora di
fronte ad un sistema di sussistenza specializzato nella pastorizia
ovicaprina, ma è un sistema vantaggioso in caso di crisi ambientali,
essendo diversificata la fonte di sussistenza.
Struttura 1 Neolitico antico
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Cosenza
Orientamento: NE-SO
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Forno
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 30m2
86
Struttura 2 Neolitico antico
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Cosenza
Orientamento: NE-SO
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Forno
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
Struttura 3 Neolitico antico
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Non presente in letteratura
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Cosenza
Orientamento: NE-SO
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Forno
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
87
4.1.5
SERRA D’ALTO
La collina di Serra d’Alto, è posizionata a circa 3km a NW di Matera.
Essa è costituita da un ampio pianoro irregolare di 1500 metri di
lunghezza ed ad oltre 400mt di quota. Furono oggetto di scavo solo
gli speroni occidentale e quello meridionale, rivelando stanziamenti
umani di varie fasi neolitiche.
Le prime esplorazioni prettamente casuali e conseguenti ai lavori di
scasso dei terreni, avvennero nei primi decenni del 1900 da parte di
Domenico Ridola. Scavi sistematici invece, furono condotti da Ugo
Rellini tra il 1919 ed il 1925. Saggi di scavo furono portati avanti
solamente nel 1942, dall’allora direttrice del Museo di Matera,
Eleonora Bracco; altri ancora da parte di Maria Bernabò Brea nel
1975 nella parte occidentale della collina. [LO PORTO, 1989, pp.25]
Tutte queste ricerche hanno messo in evidenza la presenza a Serra
d’Alto di più villaggi preistorici cinti da fossati difensivi (le trincee del
Ridola) ed occupanti la sommità della collina. Quindi si è dedotto che
vi sia la presenza di tre villaggi autonomi denominati A, B e C.
Il “villaggio A” è sicuramente il più vasto e facente parte della fase
avanzata del Neolitico inferiore dell’Italia meridionale, sorgente sullo
sperone occidentale; mentre il “villaggio B” e “villaggio C” sembrano
appartenere al Neolitico medio, con sviluppi nel Neolitico tardo e
finale; sono contigui e situati sullo sperone meridionale, che il Rellini
denomina orientale.
In letteratura viene denominato “villaggio A” il vasto stanziamento
umano, occupante lo sperone occidentale del colle Serra d’Alto,
comprende gli attuali terreni di proprietà Marcosano, Vizziello, Chico
e Lacopeta, tutti interessati dai resti del fossato, da cospicui
ritrovamenti di abitazioni e sepolture neolitiche.
88
Il fossato si trova nel fondo Marcosano, cingeva il villaggio; scavato
nel sabbione pliocenico, sembra disporsi in curva in relazione al
notevole dislivello del terreno, con l’orlo di ben m4,10 di larghezza e
avente le pareti inclinate fino al fondo a m1,80 di profondità (funzione
= reggere la spinta del terreno geologicamente poco compatto). Il
taglio di m1,10 di larghezza sul lato interno del fossato stesso,
segnava la presenza di una stradicciola di accesso trasversalmente
alla trincea e largo m1. [LO PORTO, 1989, pp.31]
La canaletta incavata sul lato interno, lunga m1,80 e profonda ca.
m0,30 disposta di traverso sulla stradetta e doveva servire, secondo
Rellini, per farvi scorrere un graticcio o porta mobile destinata a
chiudere l’ingresso e “impedire l’uscita del bestiame ricoverato
nell’interno della stazione specialmente di notte”. [LO
PORTO,
1989,
pp.32]
La capanna 7 prossima alla porta del lato interno del villaggio,
sembra essere destinata a coloro che erano incaricati di vigilare
l’ingresso.
L’altra capanna, la 8, sita sul lato esterno, doveva servire di guardia
a quel tratto curvilineo del fossato meno profondo e con le pareti
logorate per discendere e risalire nella trincea forse in fase più
avanzata del villaggio.
Riprese le ricerche nel settembre del 1920, il Rellini seguì
l’andamento del fossato solo nei terreni Vizziello e Marcosano,
rilevando le dimensioni massime: larghezza all’orlo m4,20 e sul
fondo m2,50; profondità m3. Ciò indica una non costante ampiezza e
profondità. Il numeroso pietrame accumulato nella trincea farebbe
pensare ad un muro crollato dal lato interno.
Il materiale raccolto nel fondo Marcosano può considerarsi
abbondante e comprendente 500 frammenti di vasi ad impasto, in
89
gran parte inornati ed impressi, facente parte della fase antica del
Neolitico. Materiale analogo si trova nel fondo Vizziello.
Nei terreni Marcosano e Vizziello, nella trincea, sono stati rinvenuti
resti di capanne e focolai. Il Rodola aveva scoperto 5 capanne
circolari interrate nel sabbione locale, un’altra analoga fu scavata più
tardi. Il materiale rinvenuto nelle capanne è pressoché simile a quello
raccolto nel fossato ed attesta quindi la contemporaneità delle prime
abitazioni con le funzioni di difesa del villaggio e di custodia delle
greggi della trincea. I materiali delle capanne 1-5 comprendono lame
in selce, punteruolo d’osso, frammenti di ceramica d’impasto con
decorazione impressa e frammenti di vasi ingubbiati e con
decorazione impressa a secco.
Nel podere Marcosano sono stati rinvenuti 2 focolai con forma
concoide, rispettivamente di cm30 e 50 di profondità, fondo concotto
e resti di ceneri e carboni.
Nel terreno Vizziello vi è la presenza di un pozzo di ca. m1,50 di
diametro alla bocca e si allargava a campana verso il fondo, ove
sono stati rinvenute ossa di animali domestici e frammenti ceramici,
fra cui quelli di una coppa dipinta decorata di rade e strette fasce
dipinte in rosso e uno degli esemplari più antichi di ceramica figulina.
Dalle testimonianze raccolte dal Rellini nel fondo Chico, le capanne
distrutte e manomesse sarebbero più di venti; lo studioso riuscì a
localizzare solo quelle in cui furono impiantati alberi; non è certo che
si tratti solo di fondi di capanne.
Secondo il Ridola alcune cavità profonde 2-3 metri, più che abitazioni
erano “magazzini” o più probabilmente pozzi; altre più piccole e
profonde erano semplici focolari o buche–ripostiglio. Notevole è la
presenza di una capanna duplice, a due cavità tangenti.
Per l’industria litica, raccolta in quantità abbondante, gli autori non
determinano una cronologia relativa.
90
Una gran quantità di ossa frantumate di animali domestici e selvatici
tra cui bue, capra, pecora, cane, cervo e volpe, completano il quadro
economico culturale a regime misto agricolo-pastorale.
Nel fondo Lacopeta, ubicato fra i poderi Vizziello, Marcosano e Chico
vi è la presenza di una grande capanna, la 13, interrata e di forma
cilindrica, con diametro di m 2,80 e la profondità di m 1,10 al disotto
della coltre di humus di circa m 0,80 di spessore. Il riempimento è
formato da terriccio, pietrame e relitti vari, fra cui ossa frantumate e
bruciacchiate di ovini e bovini. Al centro della capanna un focolare
(F2), mentre nei livelli inferiori e presso una parete giacevano i resti
di un altro focolare (F1), più antico, sotto un cumulo di detriti che
attestavano un lungo periodo di abbandono della capanna e la
rioccupazione della stessa in età più recente.
Poco fuori i confini del fondo Lacopeta, nel settembre 1921 il Rellini
esplorava un’area ovaleggiante dal contorno irregolare lunga m4,50
e larga m2,50 in cui si affondavano per pochi centimetri quattro
cavità concoidi, delle quali le maggiori di circa m1,40 e le minori di
poco meno di m0,80 di diametro. Rellini denominò quest’area
“irregolare”. Nel terreno Lacopeta, il Rellini nel 1921 scopriva la
presenza di una capanna, la 15, a pianta ellissoidale. Dagli scritti del
Rellini apprendiamo che questa capanna ovale (rarità a Serra d’Alto)
era lunga m9,10 e larga nella parte centrale m1,80, con un sensibile
restringimento a fuso verso gli estremi, con lieve inclinazione del
terreno fino alla profondità massima di m1,80. Probabilmente non si
tratta di un’abitazione, ma semplicemente di un ampio vano legato in
qualche modo all’attività agricola e pastorale. Numerose sono le
ossa frantumate di ovini e bovini. [LO PORTO, 1989, pp.54]
Il Ridola mise in luce una duplice sepoltura con caratteristiche
strutturali non ancora chiare. Grazie ad alcuni schizzi si è potuta
ricostruire la sepoltura, costituita da due cavità o pozzetti contigui di
91
forma cilindrica, di dimensioni diverse ed intercomunicanti. Il pozzetto
minore profondo m1,30 ca., con un diametro massimo di m1,20; il
pozzetto maggiore ha profondità di m1,80 e diametro di m1,70. Due
fori di ca. m0,40 di altezza mettevano in comunicazione le due
cavità, ognuna delle quali ospitava uno scheletro “accoccolato” al
disotto di due strati di pietre (celle?). Nelle sepoltura vi è la presenza
di corredo.
Con il termine villaggio B, si indica il più piccolo dei due abitati
neolitici dello sperone meridionale, inserito nei terreni di proprietà
Martulli e Tataranni, attribuibile allo stadio iniziale del Neolitico II.
Nel settembre 1924, il Rellini individuò un tratto del fossato che
cingeva il villaggio B: presenta un percorso curvilineo, con pareti
inclinate e diverse dimensioni, con una larghezza in alto da m1,70 a
m2, nel fondo da m0,45 a m1,10, con una profondità da m1,10 a
m1,40 al disotto dello strato di humus di circa m0,50; a metà altezza
nel riempimento constatò la presenza di un grosso pietrame
proveniente certamente dal crollo del muro ad aggere che cingeva il
lato interno della trincea.
Nel settembre 1922, il Rellini scopriva nel fondo Martulli un gruppo di
tre capanne cilindroidi seminterrate.
La capanna 1 fu rinvenuta al disotto di uno strato di humus di m0,25
con forma perfettamente cilindrica, con diametro di m2,10 e la
profondità di m0,95. Sul fondo della parete nord-ovest, vi è un
focolare costituito di pietre piatte giustapposte coperte di ceneri e
carboni. Nel riempimento pietrame appartenente al muretto circolare
che costituiva la parte emergente dell’abitazione crollata nell’interno
dopo il suo definitivo abbandono.
La capanna 2 aveva le pareti rientranti con il diametro massimo di
m2,30 e la profondità di m0.65.
92
La capanna 3 aveva una forma quasi tronco-conica, con diametro
alla bocca di m2,20, sul fondo di m3,20 ca. e profondità di m1,60.
Era ricolma fino all’orlo di grosse pietre appartenenti al muro delle
pareti superiori dell’interno dell’abitazione.
Altre tre capanne venivano scoperte dal Rellini nel fondo Tataranni.
La capanna 1 aveva una forma cilindroide, con pareti incavate,
pianta ellissoidale, con i diametri all’orlo di m2,40 e di m3
rispettivamente e la profondità di m1,80. Sul fondo piano tracce di
focolari su cui si accumulavano le pietre derivanti dal crollo delle
pareti emergenti.
Vi era la presenza di ossa di bovini, alcune ancora in connessione
anatomica, un cranio di cane e la mandibola di un altro.
La capanna 2, cilindrica, di m2,50 di diametro e di m1 di profondità,
aveva il fondo parzialmente rivestito di rozze lastre su cui era disteso
uno strato di cenere che il Rellini postulò come “l’avanzo di una
specie di letto di fieno”; anche qui presenza di una mandibola di
cane. [LO PORTO, 1989, pp.45]
Infine la capanna 3 di notevoli dimensioni, con pianta ellittica di m
3,10x2,50 e profonda di m0,80 e la larghezza di m0,60 contenente
uno scheletro umano, rannicchiato sul fianco sinistro e volto verso
est. Accanto al cranio dell’inumato vi era una rozza pietra piatta
triangolare che sembra connettersi con l’insistente presenza a Serra
d’Alto di lastre con simbolo triangolare inciso, forse riproducente la
stilizzazione estrema della figura umana. Una fila di rozze pietre
separava la sepoltura dal vano della capanna. Presenza di ossa
frantumate di animali domestici come bos, capra, pecora e cane.
Queste tre capanne del fondo Tataranni appartengono al Neolitico
superiore.
Il villaggio C occupa la parte terminale sud dello sperone centrale, in
cui si allineano i terreni di proprietà Di Marzio, Gravela, Giacoia, Del
93
Giudice e Padula. Nel fondo Di Marzio è presente un tratto della
trincea di circa m16, definito anche “lungo fosso presso la lamia
Braia”. Nel fondo Gavela la trincea subiva un‘interruzione creando
una vera porta d’accesso al villaggio. Nel fondo Del Giudice si
rinveniva una cavità concoide con il diametro massimo di m1,40, di
profondità di m0,50, le pareti ed il fondo arrossate dal fuoco e
recante resti di carboni e ceneri. La presenza di pani di impasto
argilloso induce a pensare che si tratti di una fornace primitiva a
fuoco libero, con cavità ovoidale di m1,10 di diametro massimo e
m1,80 di profondità con pareti cotte dal fuoco ed il fondo ricolmo di
ceneri e carbone. Un’altra cavità analoga era tangente con la prima
ed con essa intercomunicante, piena di terra, pietre e frammenti di
ceramica. Secondo il Rellini i vasi da sottoporre a cottura si
ponevano nella cavità minore mentre quella maggiore fungeva da
camera di combustione, attestata dalle evidenti tracce lasciate dal
fuoco. Pietre sovrapposte a ponte chiudevano probabilmente il vano
che metteva in comunicazione le due cavità e permetteva il tiraggio.
Se questa interpretazione fosse giusta, si avrebbe la prova
delle’esistenza a Serra d’Alto di perfezionate fornaci per la
produzione in loco di ceramica tecnicamente raffinata fin dal Neolitico
II.
Nel terreno di proprietà Del Giudice, al di sotto di un manto di humus
di 0,30cm, vi è la presenza di un tratto del fossato del villaggio C. Nel
riempimento era possibile distinguere due strati principali di eguale
spessore (0,70cm): più chiaro quello superiore, più scuro quello
inferiore e contenente maggior quantità di oggetti. Al di sotto dello
strato superiore si estendeva per un tratto una sorta di lastricato a
rozze pietre appiattite, adagiato su un sottofondo di sabbia sterile di
cm8, a sua volta poggiante sullo strato di terriccio nero ricco di
cocciame che inglobava uno scheletro umano deposto in posizione
94
rannicchiata sul fianco sinistro nel fondo piano della trincea. Di
conseguenza lo strato di pietre costituiva la copertura della tomba il
cui inserimento nel deposito della trincea aveva naturalmente
determinato la commistione dei materiali più antichi con quelli di età
più tarda coevi alla sepoltura.
Un altro scheletro recante tracce di ocra rossa sul cranio e
rannicchiato sul fianco destro, così da essere rivolto verso il
precedente, era deposto allo stesso livello in una nicchia aperta nella
parete della trincea con il solo corredo di una pietra triangolare
giacente ai piedi.
Sul lato opposto, si apriva nella parete del fossato una cavità
semicilindrica di circa m1,80 di diametro massimo e m1 di profondità,
con un dislivello di cm40 rispetto al fondo della trincea.
Data la presenza di resti di un focolare a cm70 di profondità,
corrispondenti allo strato del lastricato, e di resti di avanzi di un pasto
e cocciame, induce a pensare che si possa trattare di un’abitazione
(capanna C) con accesso diretto dal fossato.
Sull’altro lato, un taglio nella parete della trincea era ostruito da un
muretto e comunicava con una vasta cavità, quasi cilindrica, di circa
m2 di diametro e m1,30 di profondità; si tratta anche qui di
un’abitazione (capanna D), situata ai margini del fossato e nel cui
riempimento di carboni, ceneri e relitti giaceva a m0,70 di profondità
uno scheletro umano in posizione rannicchiata sul fianco sinistro, al
disotto del quale quasi cm40 più in basso era un altro seppellimento
umano risultato sconvolto. Il fondo della capanna era rivestito di uno
strato di pietre di circa cm20 di spessore, su cui erano sparsi avanzi
di focolari.
Nella capanna C, fra le ceneri del focolare adagiato su di un deposito
precedente, a m0,60 di profondità e quindi a livello del lastricato della
95
trincea, sono presenti avanzi di pasto costituiti da ossa di bue,
pecora e cervo ed una macina in pietra calcarea.
Nella proprietà Del Giudice, è stata rinvenuta una cavità a pianta
ellissoidale di m 1,12x0,80 di profondità: probabilmente si tratta di un
ripostiglio più che un’abitazione.
In un altro terreno, di non sicura attribuzione (Padula o Del Giudice),
fu rinvenuta una capanna, anch’essa interrata e a pianta circolare di
m1,60 di diametro all’orlo, con le pareti e il fondo fortemente incavati
e la profondità di m1,75. Il riempimento era costituito da terriccio e
cocciame per un metro di profondità, cui seguiva a m0,30 di
spessore, uno strato di terra sterile indurita dal fuoco al di sotto del
quale una rozza pietra al centro della capanna, faceva da copertura
solo al cranio di uno scheletro umano deposto rannicchiato sul fianco
destro con i piedi aderenti alla parete.
Nel podere contiguo con quello di Padula e di proprietà Di Marzio, è
stata esplorata una capanna cilindrica incavata nel terreno per m0,75
di profondità e con un diametro di m1,60.
In letteratura si enfatizza questo dato, tanto che viene definita
capanna una struttura che per le sue dimensioni potrebbe essere
ricondotta ad una fossa o silos.
Nel fondo Giacoia, confinante con quello Del Giudice, è stato
scoperto un vano cilindro-ovoide del diametro massimo di m1,75 e
con bocca larga m0,75 incavato nel sabbione locale per la profondità
di m2,30 e che, altro non era che un pozzo, ricolmo di terra e
pietrame vario. Nel deposito inferiore di circa m 0,80 di spessore,
denominato anche “livelli inferiori del pozzo”, comprendeva terriccio
argilloso fine in cui fu raccolto un buon numero di frammenti di
ceramica.
Uno strato di terra nerastra e pietrame di circa m0,50 di spessore
poggiava
sul
deposito
inferiore
96
suggellandolo
e
attestando
l’abbandono del pozzo forse in concomitanza con il rallentarsi o il
cessare del ritmo di vita nel villaggio sul finire del Neolitico II ed il
sovrapporsi di una nuova facies culturale, abbondantemente
rappresentata nel pozzo dai materiali giacenti nei “livelli medi e
superiori” del suo denso riempimento.
Il Rellini esplorò nel fondo Giacoia una cavità di forma concoide di
m1,80 di diametro massimo e un metro di profondità; sulla parete
ovest si apriva una grande nicchia di m1,90 di lunghezza, m0,60 di
altezza e m0,70 di larghezza. Dal fondo rivestito di pietre si ergeva al
centro una sorta di stele tufacea a prisma irregolare con la sommità
appuntita e di m1,23 di altezza. Uno scheletro umano contratto sul
fianco destro giaceva nella nicchia col cranio rivolto verso la stele.
L’assenza di tracce di vita nella cavità, fa pensare ad una tomba
costruita per il capo del villaggio. Unico corredo della sepoltura erano
due rozze pietre foggiate a triangolo, forse simboli magici legati alla
stilizzazione della figura umana. Estendendo gli scavi nel contiguo
terreno di proprietà Gravela, si mise in luce una capanna incavata a
forma di tronco di cono con i diametri di m1,80 e m2,20 e la
profondità di m1,40. Data la ricchezza di materiale trovato in questa
capanna, ha fatto pensare che si trattasse di un vero e proprio
ripostiglio e non di un’abitazione, come si era pensato in un primo
momento.
Scheda generale Neolitico antico e medio
Buche di palo: Presenti
Capanna: 7
Compound: Assenti
Forma: Cilindrica; ellissoidale; troncoconica; cilindroide; ellittica
Fossati: Presenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Matera
97
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
98
SITI MINORI
4.2
4.2.1
MURGIA TIMONE
L’insediamento di Murgia Timone si estende su un ampio altopiano di
circa m420 s.l.m. a sinistra della Gravina e a cui si accede a poco più
di 4km dall’abitato di Matera.
La scoperta alla fine del secolo scorso di due ipogei dell’età del
Bronzo, sottostanti a grandiosi circoli di pietre, consentì al Ridola di
mettere in luce, per la prima volta nel Materano, parte del fossato
che cingeva il villaggio neolitico di Murgia Timone.
Nel maggio del 1897 il Patroni su richiesta del Ridola eseguì una
trincea di oltre m160 di lughezza, partendo dai muretti che tagliavano
trasversalmente il fossato che, interpretò come una inverosimile
“corsia di scarico” o “strada incavata nella roccia”, designando come
“fondi di capanne” alcune tombe a tumulo dell’età del Ferro. [LO
PORTO,
1998, pp.19]
L’anno successivo il Ridola decise di chiarire i molti problemi sorti
dalle sue ricerche. Rilevando sulla superficie della piana di Murgia
Timone una lunga fascia di erba, in continuità del tratto già esplorato,
vedeva finalmente “spiegato l’enigma e risoluto il problema della
trincea” quando era ancora lontano l’uso della fotografia aerea. Infatti
si trattava del fossato di recinzione di un villaggio preistorico, a
conferma del quale dovevano venire da lì a poco le analoghe
scoperte di Murgecchia, Tirlecchia e Serra d’Alto.
Solamente negli anni successivi, il Ridola praticò saltuari ma efficienti
saggi di scavo, alla luce dei quali cominciò a prendere corpo il
tracciato del fossato del villaggio neolitico di Murgia Timone, in un
99
primo tempo creato per racchiudere un’area sub circolare e più tardi,
innestandosi alla trincea precedente, concepito per cingere un più
ampio spazio verso ovest a forma di grande ellisse. Di circa m4 è
l’interruzione del fossato all’estremità occidentale, che segna la via
d’accesso a questa parte del villaggio; mentre sul lato orientale
l’analoga interruzione del fossato, di circa m3, è munita di un
avancorpo semicircolare, la cosiddetta “lunetta” del Ridola, tracciato
in continuità dello stesso fossato. [LO PORTO, 1998, pp.26]
Alla parziale esplorazione della lunetta, nel 1912 il Ridola faceva
seguire una serie di saggi di scavo lungo il tracciato dei due fossati,
le cui pareti verticali risultavano in media profonde m1,80 e tra loro
distanti circa m2. Successivamente il Ridola eseguì un saggio in
profondità nel fossato circolare, quasi all’intersezione con l’asse che
univa le due porte, forse alla ricerca di una probabile via di transito
tra i due settori del villaggio. Nel corso delle sue ricerche, il Ridola
non mancò di estenderle all’area abitativa, rinvenendo quasi al
centro del settore circolare un sistema di pozzi intercomunicanti,
ritenuti come strutture per la decantazione delle argille figuline. In
precedenza lo studioso già aveva messo in evidenza la presenza in
quell’area di un pozzo ovoide di m 0,96x0,82x0,54 di profondità, in
origine forse un silos, in cui trovò tracce di una sepoltura umana.
Per completare le sue ricerche il Ridola diede le dimensioni al
villaggio, misure non corrette data la scarsità degli strumenti a sua
disposizione. Per quanto riguarda la lunghezza del villaggio, dalla
porta ovest a quella est, egli dà la misura di m166. [RIDOLA, 1924-26,
pp.21]. Il Rellini dà la lunghezza di m167,50. [RELLINI, 1929, pp.129;
BIANCO,
1976, pp.48]
Recenti misurazioni eseguite con mezzi tecnici validi, hanno invece
riportato la distanza effettiva tra le due porte che è di m268. Le
100
nuove misurazioni danno lo sviluppo perimetrale esterno del villaggio
di circa m684 con la superficie totale di circa due ettari.
Nel settembre del 1925 il Rellini tornava a Murgia Timone per
riprendere i suoi saggi di scavo nel fossato circolare, per un tratto di
una ventina di metri “dal lato del Parco Rodogna” e per un tratto di
circa dodici metri “in vicinanza della cosidetta lunetta”. [RELLINI, 1929,
pp.130]
Nel corso di quest’ultima campagna di scavi, il Rellini individuò nel
settore occidentale del villaggio, una ventina di cavità scavate nella
roccia calcarenitica del luogo, che interpretò erroneamente come
capanne, anche se riconobbe che alcune di esse, per le ridotte
dimensioni di non più di m0,90 di diametro, dovettero essere
impiegate come “depositi o magazzini”. [RELLINI, 1929, pp.134]
Inoltre rinvenne altre cavità cilindroidi del tutto simili a quelle scoperte
dal Ridola e “destinate a decantare l’argilla figulina” [RELLINI, 1929,
pp.134; BIANCO 1976, pp.48]
Il materiale litico ed osseo raccolto dal Ridola nel corso dei suoi
saggi nel fossato circolare sembrerebbero non destare alcun
interesse; relativamente più cospicui, appaiono al riguardo i
ritrovamenti del Rellini durante la campagna di scavo del 1925.
Per quanto riguarda l’industria in ossidiana, di sicura provenienza
liparota, è rappresentata nello scavo del Rellini nel fossato circolare
da strumenti in gran parte laminari.
I nuovi scavi a Murgia Timone sono stati eseguiti nei mesi di giugno
e luglio del 1967 sotto la direzione di Felice Gino Lo Porto per conto
della
Soprintendenza
Archeologica
della
Basilicata,
iniziando
dall’esplorazione della porta orientale, la più antica del villaggio
neolitico, la cosiddetta “lunetta” del Ridola da lui parzialmente
scavata nel 1912.
101
Questa struttura è quell’avancorpo ad arco irregolare che si innesta,
sul lato orientale, ai due tronconi volutamente non allineati del
fossato circolare, là dove si interrompe per circa m3 di larghezza.
Non è certo, ma è molto probabile, che la lunetta sia stata messa in
opera contemporaneamente all’apertura della trincea principale, con
funzione
di
fortificare
questa
parte
vulnerabile
del
primo
insediamento neolitico.
Accurate misurazioni e rilevamenti, hanno chiarito le caratteristiche
strutturali di detto avancorpo irregolare semicircolare di m12 circa di
diametro massimo e con la sporgenza di m5,50 e m6 rispettivamente
dall’innesto ai tronco coni sud e nord del fossato: l’uno di m2 e l’altro
di m1,50 circa di larghezza, entrambi di m1,80 circa di profondità.
Il fossato della lunetta è formalmente simile a quello della trincea
circolare cui appartiene, con le pareti scavate verticali nella roccia
per non oltre m2 di profondità e la larghezza variabile da m1,50 a
m2,10 circa.
Si pensa che anche lungo il margine interno del fossato della lunetta
corresse un muro di cinta attestato dal pietrame di crollo giacente in
fondo alla trincea, e che dovesse funzionare come una sorta di
mastio munito di un varco quale passaggio obbligato per gli uomini e
le mandrie; il che, attraverso il fossato esterno, non poteva
evidentemente avvenire che a mezzo di passerelle mobili o
rudimentali ponti levatoi. [LO PORTO, 1998, pp.77]
Gli scavi hanno chiarito che in una fase avanzata del Neolitico
medio, intorno alla metà del IV millennio a.C., forse in relazione
all’avvento di un clima più pacifico o forse anche in dipendenza del
rarefarsi degli animali da preda che dovevano aver minacciato da
tempo le greggi, determinando principalmente la creazione della
trincea, l’ingresso al primo villaggio era ormai facilitato da una
102
colmata di pietre e terriccio, tenuta lateralmente da una doppia
struttura muraria a secco inserita di traverso nel fossato della lunetta.
Estendendo lo scavo della lunetta verso l’interno del villaggio, si è
notata una sorta di strada incavata dovuta al diuturno calpestio degli
uomini e degli armamenti e sfociante in una vasta area costellata di
buche per pali e di incavi rettilinei o curvilinei, evidentemente
destinati alle strutture lignee delle abitazioni. Queste hanno pianta
circolare, ellissoidale, rettangolare ed absidata, spesse volte
sovrapponendosi e quindi riferibili a fasi successive dell’età neolitica.
Adiacenti alle capanne, e talvolta anche nell’interni di esse, numerosi
sono i pozzi al limite dei canali di scolo, le buche ripostiglio spesso
contenenti avanzi ceramici e strumenti litici, le ampie cavità
troncoconiche campaniformi verosimilmente destinate alla conserva
di derrate alimentari (silos). Lunghe palizzate, sembrano cingere
gruppi di abitazioni forse appartenenti a clan familiari. [LO
PORTO,
1998, p.80]
Il complesso delle abitazioni neolitiche rilevate quindi dai nuovi scavi
di Murgia Timone del 1967 da Felice Gino lo Porto, si estendevano
direttamente sulla spianata della collina e ne sono state rinvenute
nuove.
La cosiddetta “Capanna A” (struttura 1), è a pianta più che
semicircolare di circa 6m2. Si ricostruisce grazie all’allineamento di
otto buche di palo di circa m0,20 di diametro m0,25 di profondità
massima, scavate nella roccia calcarenitica che costituisce il piano
nudo
dell’abitazione.
Sull’asse
dell’ampia
porta,
si
allineano
nell’interno due buche analoghe, evidentemente riferibili ai pali di
sostegno del tetto della capanna.
Anche la “Capanna B” (struttura 2), ha una pianta più che
semicircolare, di 8m2 circa, ricostruibile sull’allineamento di undici
buche di palo di diametro variante tra i m0,15 e i m0,20 e la
103
profondità di circa m0,20 di cui quattro appartenenti in linea retta
all’ingresso. Sull’asse della capanna due buche interne di m0,20 e
m0,35 di diametro dovevano appartenere ai pali portanti del tetto,
mentre le cavità concoidi dovevano costituire due ripostigli.
Numerose altre buche di palo, riscontrate all’interno e all’esterno,
sembra dovessero appartenere al pozzo n. 2.
A differenza delle prime due, la “Capanna C” (struttura 3) ha una
pianta sub circolare di 4,50m di diametro massimo ed per alcuni
aspetti è molto simile alla Capanna B, con cui interferisce per una
delle sue pareti periferiche orientali, rivelandosi pertanto, di età
posteriore alla distruzione di essa, pur nell’ambito dell’età neolitica, a
cui si fa risalire il primo stanziamento umano di Murgia Timone.
L’abitazione si ricostruisce sull’allineamento di ben sedici buche di
palo di diametro costante di circa m0,15 e profondità varia da m0,10
a m0,20 e ampio ingresso di m2,50 orientato nord-est; di difficile
ricostruzione sono le buche pertinenti ai pali di sostegno del tetto
della capanna.
La “Capanna D” (struttura 4) è a pianta quadrangolare, facilmente
rilevabile da vistosi solchi rettilinei tracciati dalla roccia e in
allineamento con buche di palo, spesso confuse o coincidenti con
quelle pertinenti alla capanna C, sulla quale sembra essersi
sovrapposta dopo l’abbandono e sua conseguente distruzione. È
orientata pressoché est-ovest e misura 5m2. È probabile che la
capanna avesse una sorta di impiantito di tronchi e che nel suo fondo
est, dove a circa m0,50 di distanza si allinea parallelo altro solco con
buche di rincalzo, si elevasse dal suolo con una banchina destinata a
reggere suppellettili o fungere da giaciglio. Singolare appare
all’esterno della parete est dell’abitazione, la presenza di un piccolo
ambiente semicircolare, quasi un’abside incompleta, segnata dalla
sequenza iniziale di quattro buche di palo molto ravvicinate e con
104
evidenti resti di inzeppature a piccole pietre. Il materiale del Neolitico
finale raccolto nel pozzo n. 3 a sud, a circa un metro di distanza dalla
capanna, può essere ad essa pertinente ed offrire un elemento utile
di datazione.
Come le prime due, anche la “Capanna E” (struttura 5) ha una pianta
semicircolare
di
m4
di
diametro
ed
è
ricostruibile
grazie
all’allineamento di una quindicina di buche di palo di m0,15 di
diametro e profondità varia. Davanti all’ingresso, orientato a nord, sul
lato sinistro, il pozzo n. 10 contenente ceramiche del Neolitico finale
e della fase successiva dell’Eneolitico locale, offre un elemento utile
di datazione.
Per quanto riguarda invece la “Capanna F” (struttura 6), non si è certi
che si tratti di una grande abitazione a pianta rettangolare con
probabili divisioni interne, segnate da file di buche per pali, o di un
recinto di m 6,50x4,50 circa, con orientamento grosso modo nordsud e ricostruibile sull’allineamento periferico di una ventina di buche
di diametro variante da m0,20 a m0,15. È anche incerta
l’appartenenza a questa struttura del pozzo n. 5 alla distanza di oltre
m1,50 sul lato ovest, in cui sono stati raccolti numerosi frammenti di
intonaco arrossato dal fuoco per incendio e con impronte di grosse
canne che ne costruivano l’intelaiatura delle pareti. La ceramica, in
gran parte sub neolitica, attesterebbe la pertinenza della presunta
abitazione agli ultimi anni di vita del villaggio.
Perfettamente ellissoidale è la pianta della “Capanna G” (struttura 6),
di 24m2 con l’estremità nord tronca e larga m2,20 con la funzione di
ampio ingresso all’abitazione. Si ricostruisce sull’allineamento di
quattordici buche di palo di diametro da m0,25 a m0,15 e profondità
varia. Altre quattro scavate nella parte centrale delle strutture del
tetto fungevano da sostegno delle strutture del tetto. La capanna
risulta fiancheggiata sul lato est, da un filare di dodici buche
105
destinate ad una palizzata di funzione dubbia. Il materiale raccolto
nel pozzo n. 1, ad essa pertinente, comprende ceramica del Neolitico
superiore la quale offre un utile elemento di datazione dell’abitazione.
L’unica perfettamente rettangolare è la “Capanna H” (capanna 7),
con pronunciata abside di m2 di raggio, lunghezza massima di 10m2.
Si ricostruisce grazie all’allineamento di profondi solchi praticati nella
roccia per una lunghezza massima di m0,25 e la profondità varia fino
a m0,20 evidentemente destinati all’inserimento di una fitta
incannucciata con rinforzi interni ed esterni di pali fissati in buche dai
m0,15 a m0,20 di diametro, non sempre in regolare sequenza. È
orientata con l’ingresso ad ovest, la cui ampiezza di ben m4 era
regolata e ristretta da opportuni sbarramenti, attestati dalla presenza
di quattro buche per pali. Altre buche si allineano sull’asse
dell’abitazione con l’evidente funzione di reggere i tronchi di
sostegno del tetto. Un canalicolo rettilineo di drenaggio per la
lunghezza di oltre 7 metri univa la parte centrale della capanna con
l’ampia conca 20, dove convogliava l’acqua piovana invadente la
superficie dell’abitazione. La ceramica raccolta nel contiguo pozzo n.
9, fa datare la capanna al Neolitico finale.
Denominata “Casa della filatrice” (capanna 8), per il gran numero di
pesi fittili da telaio raccolti nel pozzo n. 15 esterno all’abitazione, è la
“Capanna I”. Rinvenuta ai margini sud-est dello scavo, la capanna è
a pianta rettangolare con perfetto orientamento nord-sud e si
ricostruisce parzialmente sull’allineamento angolare di cinque buche
da palo di m0,25 circa di diametro con altra sul lato opposto, da cui è
possibile
ricavare
solo
la
larghezza
di
m4.
Ipotizzabile
è
l’appartenenza all’abitazione di una sorta di vestibolo di m4x1,40,
ricostruito sul lato nord sulla presenza di due buche allineate
nell’estremità nord-est della struttura. Inoltre sono stati rinvenuti dei
pesi da telaio (11,5x2,7;9,5x3), e numerosi grossi frammenti di
106
intonaco appartenenti alle pareti della capanna; i pozzi nn. 15,16,17
ad essa pertinenti contenevano frammenti di ceramica tardo-neolitica
e sub neolitica che la datano agl’inizi della seconda metà del III
millennio a.C..
Caratteristica comune di tutte queste capanne neolitiche venute alla
luce a Murgia Timone, è la presenza, sia nel loro interno sia nelle
immediate vicinanze, di cavità con probabili funzioni di ripostiglio o
destinate alla conserva di derrate alimentari (silos), pozzi e pozzetti
al limite di canali scavati nella roccia per il drenaggio delle abitazioni.
Scheda generale Neolitico antico
Buche di palo: Presenti
Compound: Assenti
Forma: Semicircolare, subcircolare, quadrangolare
Fossati: Presenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Matera
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Assenti
Silos/Fosse: Presenti
Strutture interne: Forno
Strutture lavorative: Casa della filatrice
Superficie: Non presente in letteratura
107
BALSIGNANO
4.2.2
Lo studio, al quale contribuiscono archeologi e specialisti di diverse
discipline afferenti la ricerca preistorica, presenta per la prima volta
analiticamente i risultati delle pluriennali ricerche (svolte dal 1993 al
2002) della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia nel
sito di Balsignano, sede di un insediamento neolitico il cui sviluppo si
inquadra principalmente nelle fasi antiche e, in misura più ridotta,
medie del periodo. L’insediamento, individuato nel 1990 nell’ambito
di un programma di prospezioni di superficie nell’area dell’immediato
entroterra barese, ricade nel versante costiero centro-settentrionale
dell’altopiano delle Murge, a sud ovest di Bari, a circa 8km dalla
costa adriatica, in comune di Modugno. Localizzato a 82m s.l.m., si
estende su un’area di ca. 2 ettari, su un ampio pianoro calcareo
prospiciente l’antico corso della Lama Lamasinata. [PESSINA,
TINÈ,
2009, pp.139]. L’insediamento è ben caratterizzabile ormai nei suoi
aspetti complessivi, grazie al discreto stato di conservazione, agli
investimenti di risorse a livelli diversi che hanno consentito la ricerca
estensiva sul campo (su una vasta paleosuperficie di ca. 350 m2),
agli approfondimenti scientifici e agli apporti in generale alla ricerca
che hanno visto coinvolti istituti di ricerca ed enti diversi (tra cui il
Comune di Modugno che ha contribuito finanziariamente alla ricerca
archeologica).
Dopo
un
primo
inquadramento
del
contesto
ambientale delle Murge e dei temi inerenti il quadro più generale
della regione durante la neolitizzazione alla luce dei più recenti dati,
vengono presentati e discussi i risultati delle ricerche a Balsignano
attraverso
la
presentazione
dei
contesti
e
degli
elementi
caratterizzanti gli aspetti insediativi e funerari. Nel sito, infatti, sono
state messe in luce due capanne a pianta rettangolare (struttura 1 e
struttura 2) (di cui la n. 1 misura 28m2) caratterizzate da piani
108
pavimentali in pietrame o lastrine e definite da fondazioni di murature
a doppia fila di blocchi calcarei, parzialmente coperte da livelli di
intonaco in crollo. Esternamente ad esse sono stati esplorati i piani di
frequentazione caratterizzati (in particolare per la capanna n. 2) dalla
presenza di una serie di strutture accessorie, quali un focolare
ovoidale a lastrine calcaree, un fornello in argilla e piani di concotto.
La struttura del Neolitico medio (struttura n. 3) si distingue invece da
un punto di vista strutturale, in quanto costituita da un battuto
argilloso di forma subcircolare, di m5 di diametro, delimitato da un
vespaio di pietrame fittamente addensato, esteso per circa 7m in
direzione E-O con, anch’esso, un focolare costituito da un livello di
lastrine
calcaree.
La
documentazione
funeraria,
in
stretta
connessione con gli spazi di vita, è costituita da due sepolture del
Neolitico antico (T1 e T3) e da una (T2) del Neolitico medio. La prima
(T1), sui margini della capanna 1, è costituita da frammenti di un
cranio, in particolare del parietale e del mascellare di destra, e della
mandibola, di un soggetto adulto (21-40 anni) di sesso maschile, con
tracce di alterazione dovute ad esposizione ad una fonte ravvicinata
di calore. La seconda (T3), più isolata spazialmente, è invece
pertinente ad un individuo di sesso femminile, con età alla morte di
50 anni, deposto in una semplice fossa con gli arti inferiori
fortemente flessi. Ad un paio di metri della capanna 2, invece, è stata
rinvenuta la sepoltura in fossa rettangolare del Neolitico medio (T2),
delimitata da blocchi di pietra calcarea piuttosto regolari e di
carattere monumentale, pertinente ad un individuo di sesso
maschile, con età alla morte di 35-40 anni. Vengono quindi illustrate
le produzioni delle classi di materiali in relazione ai differenti contesti
evidenziati (ceramica, industria litica scheggiata e su pietra pesante,
intonaci
di
capanna),
con
relativo
catalogo
e
conseguenti
considerazioni critiche, anche confrontandole con le produzioni che
109
caratterizzano la regione nelle fasi antiche e medie del Neolitico.
Particolare risalto viene dato allo studio dei caratteri tecnologici e
funzionali delle produzioni ceramiche e litiche, alla provenienza delle
materie prime (ceramica ed ossidiana), allo studio puntuale degli
intonaci di capanna per una serie di ipotesi sulle dinamiche di crollo e
conseguentemente sulla struttura degli elevati.
Lo studio si sofferma quindi sull’esame dei dati paleoeconomici, con
contributi specifici di carattere paletnobotanico e archeozoologico,
che permettono di delineare più compiutamente la fisionomia
economica e culturale della comunità di Balsignano, e sull’analisi
antropologica,
paleopatologica
antropologici.
Datazioni
e
paleonutrizionale
radiocarboniche
su
resti
dei
resti
ossei
e
archeomagnetiche sulle strutture di combustione hanno permesso di
inquadrare le diverse fasi di vita dell’abitato collocabili dalla metà del
VI alla metà del V millennio in cronologia calibrata. [PESSINA,
2009, pp.140]
Struttura 1
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Rettangolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Bari
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: 28 m2
110
TINÈ,
Struttura 2
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Non presente in letteratura
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Bari
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
Struttura 3
Buche di palo: Assenti
Compound: Assenti
Forma: Subcircolare
Fossati: Assenti
Intonaco: Presente
Localizzazione geografica: Provincia di Bari
Orientamento: Non presente in letteratura
Ripartizioni interne: Assenti
Sepolture: Presenti
Silos/Fosse: Assenti
Strutture interne: Presenti
Strutture lavorative: Assenti
Superficie: Non presente in letteratura
111
Figura 5 ‐ Passo di corvo: sequenza dei fossati a "C".
Figura 6 ‐ Scamuso: area settentrionale,il taglio 13 con i
resti della capanna inferiore.
112
Figura 7 ‐ Scamuso: taglio 16 nel versante occidentale dello scavo.
113
Figura 8 ‐ Favella dellla Corte: plaanimetria dell'abitato.
114
5
CONCLUSIONI
Nel percorso sviluppato nei precedenti capitoli si è cercato di
spiegare, dal punto di vista archeologico, la formazione delle
strutture di abitato in età neolitica in Italia.
Da tempo l’interesse degli studiosi viene orientato alla ricostruzione
globale del contesto abitativo dei siti neolitici, prendendo in
considerazione le tecniche di costruzione, le relazioni intrasite e le
caratteristiche funzionali delle diverse tipologie di strutture. Dagli anni
’90 si è cominciato a cercare di analizzare anche il quadro sociale
delle case nel Neolitico, la loro percezione simbolica da parte degli
abitanti e il ruolo nel sistema normativo della strutturazione sociale
delle comunità di villaggio.
La casa è stata ricostruita come il teatro principale del caratteristico
“modo di produzione domestico” dell’economia neolitica, che
secondo Ian Hodder può essere riconosciuta come una vera e
propria domus ideology. La casa avrebbe assunto un ruolo centrale
nell’elaborazione simbolica neolitica come metafora di strategie
socioeconomiche e di relazioni di potere basate sulla gestione, il
controllo e la domesticazione del selvatico. Le varie abitazioni sono
anche legate tra loro tramite meccanismi di scambio di lavoro o di
cibo tra vicini, si stabilizzano alleanze matrimoniali che si rinforzano
tramite scambio di doni anche tra gruppi familiari tra loro distanti.
All’interno o direttamente collegabili con l’abitazione si sono
evidenziate diverse tipologie di strutture con differente funzione:
-Strutture di estrazione/captazione, conservazione;
-Strutture di combustione;
-Strutture di delimitazione, drenaggio e terrazzamento;
-Strutture funerarie.
115
Queste evidenze possono avere delle similitudini o delle differenze a
seconda della loro distribuzione geografica nel territorio italiano.
[PESSINA, TINÈ, 2008, pp.138]
Il principale elemento di evidenza secondaria per le strutture di
abitazione è rappresentato dai residui dell’intonaco a terra; questi
intonaci si rinvengono associati alle strutture negative o positive di
fondazione, ma spesso isolati e restituiscono preziose indicazioni
sulle tecnologie costruttive grazie alle impronte di pali, assi, rami e
canne della struttura portante.
Partendo da un’analisi delle strutture di abitazione dell’Italia
settentrionale, si può evidenziare come si presentino con dimensioni
piuttosto estese, dai 70m2 di Lugo di Romagna, fino ai 90m2 di Alba
Corso Langhe del Neolitico recente, e una struttura planimetrica
praticamente identica, cioè rettangolare, ma non absidata.
Dalle misure di queste capanne, si può affermare che siamo in
presenza alle cosiddette long houses centro europee, letteralmente
“case lunghe”, prive di solito di partizioni interne.
Anche l’orientamento di queste capanne è il medesimo, NO-SE, con
la sola eccezione di Lugo di Grezzana che è orientata NE-SO. In
letteratura non c’è una particolare spiegazione per questo fenomeno
e non si avanzano neanche delle ipotesi. [PESSINA, TINÈ, 2008, pp.140]
l'Italia settentrionale presenta un'unica eccezione nel villaggio di Alba
Corso Langhe; vi è una differenza sostanziale delle due fasi
dell’abitato: nella fase del Neolitico antico c’è l’assenza totale di
buche di palo, mentre nella fase successiva, del Neolitico recente, vi
sono buche, ma queste si trovano solo in canaletta. Quindi l’assenza
totale di buche di palo per il sostegno di una trave di colmo fa
presupporre una copertura autoportante, tipica di contesti precedenti.
[VENTURINO GAMBARI, GAJ, DELCARO, GIARETTI, 2001, pp.427]
116
In Italia centrale nei grandi siti di Catignano e di Casale del Dolce, si
riscontra la presenza di strutture abitative con un’estensione che
varia dai 50m2 agli 80m2, con una struttura planimetrica rettangolare,
ma a differenza dei siti precedentemente presi in esame, qui sono
tutte absidate. Si può parlare di long house, solamente per
Catignano; qui è presente una grande struttura abitativa con una
superficie di 80m2, molto simile a quelle rinvenute nell’Italia
settentrionale per grandezza, ma dissimile per la sua planimetria
rettangolare ed absidata.
Si è ipotizzato che le buche di palo dividessero l'ambiente absidato
dal resto della casa, creando così una zona destinata alla raccolta di
grano e cereali, quindi un vero e proprio magazzino. Ciò farebbe
pensare ad un utilizzo comunitario di immagazzinamento delle
risorse simile a quanto avveniva con le popolazioni del Danubiano.
Se la capanna era anche abitata da una famiglia, si potrebbe
pensare che questa avesse funzioni di gestione nella redistribuzione
dei prodotti che venivano stoccati nei soppalchi, e non di
“accumulazione” di ricchezza; inoltre le risorse immagazzinate
dovevano essere visibili e accessibili a tutti, perché l’unità domestica
che ha in carico il magazzino deve renderne conto agli altri.
In Italia meridionale la situazione cambia totalmente. Le strutture
presenti hanno tutte dimensioni ridotte che variano dai 30m2 ai 40m2,
con buche di palo presenti solo in alcuni casi e in canaletta.
Sicuramente da sottolineare è l’unicità di Passo di Corvo; qui sono
presenti circa 100 compounds, cioè strutture di grandi dimensioni
con sviluppo semicircolare, che recingono o delimitano aree per
nuclei familiari che hanno possibili funzioni difensive, drenaggio o
adduzione idrica. Per Passo di Corvo gli autori ipotizzano una
funzione principalmente condizionata dalle esondazioni del fiume
vicino e alla tendenza dall’impaludamento del sito.
117
A Passo di Corvo un lungo fossato esterno (che misura 6km)
delimita, con un andamento ad uncino, un’area di circa 130 ettari
destinata alla produzione agraria, mentre l’area dell’abitato è definita
da un sistema di tre fossati paralleli. L’area dell’abitato era anche
occupata da una decina di fossati più piccoli a “C”, il cui scavo ha
suggerito il loro utilizzo come delimitazioni dello spazio produttivo di
singole unità familiari, secondo la struttura dei compounds.
Diversamente Rendina vede l’utilizzo di un fossato più piccolo, forse
un compound, per le prime due fasi di insediamento del sito, mentre
nella terza fase il fossato viene re-interrato.
Altro fossato è quello rinvenuto nel sito di Murgia Timone che ha
come caratteristica la presenza di una “lunetta”, cioè un piccolo
avancorpo innestato su i due tronconi non allineati del lato orientale
del fossato, che costituisce una sorta di “porta scea”.
Altro sistema molto importante di recinzione sembrano essere le
palizzate. A Lugo di Romagna e Lugo di Grezzana sono dei veri e
propri elementi lignei infissi in una canaletta di fondazione. Solo a
Lugo di Romagna, l’importanza attribuita a questa struttura, è stata
messa in evidenza nello scavo con il rinvenimento di una tazza
capovolta su una zampa di cane posta nella canaletta, interpretabile
come un rito di fondazione. Un canale-fossato non molto profondo
correva poco al di fuori della palizzata e la terra di risulta è stata
utilizzata per realizzare un piccolo argine sostenuto da piccole
palizzate di pali.
Palizzate che cingevano gruppi di abitazioni sono presenti anche a
Murgia Timone e a Passo di Corvo. Gli autori ipotizzano che queste
abitazioni potessero appartenere a clan familiari.
Per le strutture funerarie, va senz’altro ricordato il caso di Rendina;
all’incirca al centro dell’abitato, sono state rinvenute 5 sepolture.
Particolarità delle sepolture di Rendina sono l’orientamento e l’uso di
118
ocra. Queste sepolture entro l’abitato appaiono una prassi
eccezionale, e forse queste sono sepolture di carattere speciale. Le
deposizioni hanno tutte un forte rannicchiamento sul fianco sinistro e
orientamento E-O, alcune hanno delle tracce di ocra (sepoltura n.5 e
n.1); le più importanti sono probabilmente la sepoltura n.5, di un
adulto maschio, posizionata al centro dell’abitato costituita da due
fosse adiacenti senza corredo, e la n.1, di un bambino sotto il piano
di una capanna circolare, entrambe a poca profondità dal piano di
calpestio.
Per quanto riguarda le strutture interrate, va senz’altro menzionato il
caso di Favella della Corte dov’è presente una defunzionalizzazione
delle strutture stesse. Ciò è evidente dal rinvenimento di molti resti di
intonaci bruciati nelle fosse, che sono spie di una ripetitività nella
dinamica tramite un processo deliberato di combustione delle
strutture. È quindi un atto sociale deliberato, funzionale a rimarcare
la fine di una casa. Nelle aree A e B sono stati rinvenuti frammenti di
statuine femminili: una potrebbe rappresentare la figura di una
partoriente mentre le altre sono in posizione stante.
Da segnalare che tutte le statuine di Favella sono state rinvenute
negli strati di riempimento delle fosse con intonaci, per cui si
potrebbe pensare ad una associazione ricorrente e intenzionale di un
atto sociale che evidenzia la fine dell’uso della struttura; anche la
frantumazione stessa della statuina potrebbe non essere casuale ma
seguire la sorte della struttura abitativa, con un procedimento anche
in questo caso di defunzionalizzazione. La statuina potrebbe essere
una sorta di effige domestica del gruppo familiare, legata alla casa e
alla sua sorte, tanto da accompagnarne i resti.
Altre ipotesi sono state fatte da Ruth Tringham (TRINGHAM, 2000,
pp.115-143) soprattutto in base allo studio del sito di Opovo in
Serbia, per cui interpreta gli incendi delle strutture come singoli
119
episodi: misure per bonificare gli spazi abitativi da malattie o
parassiti, ma anche ritualità legata alla morte del capofamiglia e alla
chiusura simbolica del ciclo familiare con l’uccisione rituale anche
della casa, ipotizzando una completa identificazione tra la casa e gli
abitanti. Ma si potrebbe anche supporre che la pratica voglia
“cristallizzare” tramite il fuoco il ricordo della struttura.
A Scamuso invece, gli autori parlano di riti di passaggio. Nel sito vi
era un clan totemico esogamico che effettuava dei riti, documentati
da scarsi resti umani rinvenuti nell’abitato. Quelli che si svolgevano
erano dei riti di passaggio, in questo caso di iniziazione, grazie ai
quali l’individuo, dai 10 ai 30 anni, si aggregava al clan, dopo aver
subito l’amputazione di una falange della mano. È probabile che
queste cerimonie di iniziazione o di passaggio dall’adolescenza
all’età adulta volevano significare che il giovane, rafforzatosi
attraverso la perdita voluta di parti del corpo, si avviava verso
un’attività economica redditizia per il clan.
Un altro esempio, forse più particolare, riguarda la differenza sociale
che risulta presente nel sito di Scamuso, con la presenza di
personaggi definiti “sciamani”, cioè stregoni che prendono parte ai riti
di passaggio degli uomini nel ruolo di celebranti del rito, entrando in
questo modo in contatto con gli spiriti di un mondo ultraterreno:
essendo i soli “adatti” all’accesso in questo universo, il mago si è
posto al di fuori e al di sopra dei suoi simili e nel contempo essi
stessi lo hanno reputato al di sopra di loro.
Casi in cui le ripartizioni dei lavori risultano più evidenti sono in quei
siti in cui sono state identificate delle strutture adibite alla lavorazione
probabilmente dei cereali o della ceramica. Ne è un esempio la
“Casa della filatrice”, di Murgia Timone, definita tale per la presenza
di molti pesi da telaio, per cui è ipotizzabile la funzione di una
struttura forse privata ma in cui gli abitanti (o solo una abitante)
120
producessero dei vestiti per la sola comunità (senza entrare in merito
a possibili illazioni su probabili scambi di questo tipo di merce con
altri villaggi limitrofi). È il caso anche di tutti i forni rinvenuti, che
possono essere esterni alle abitazioni e quindi posti in luoghi, anche
all’aperto, in cui tutti gli abitanti potevano accedere per il loro utilizzo,
ma anche di quelli interni ad un’abitazione, come nel caso di Lugo di
Romagna, in cui erano presenti anche grandi quantità di derrate
alimentari per la preparazione del pane, oppure nella struttura H11
del sito di Rendina che era adibita forse a più attività in base alla
presenza di un forno e vaschette circolari, oltre alla suddivisione
interna in due vani.
La diversità strutturale delle abitazioni neolitiche italiane sembra
corrispondere alle differenziazioni strutturali e culturali del neolitico
balcanico.
Kenneth
Ames,
trattando
della
Northwest
Coast
americana, sottolinea come qui si sviluppino long-houses che
preludono alle culture danubiane, mentre nell’area centrale e
meridionale danubiana si sviluppino realtà legate a strutture su
abitazioni monocellulari (che formano i tells pluristratificati). [AMES,
2006, pp 16-36]
Nel sud est europeo non si tratta necessariamente di una
occupazione continua di un’area ristretta ma può trattarsi piuttosto di
una sovrapposizione di abitazioni successive, realizzate attraverso
l’accumulo di detriti. Nel caso in cui i detriti siano bruciati l’accumulo
aumenta per via della compattezza del materiale combusto. In
letteratura è spesso riportata la sequenza stratigrafica relativa alla
sovrapposizione di più abitazioni che sfruttano sequenzialmente le
fondazioni delle preesistenze abitative. La superimposition è
riscontrabile nei siti preistorici europei in generale, in specifico italiani
e ne è un esempio il sito neolitico di Alba Corso Laghe dove è stato
possibile
rintracciare
l’evidente
121
pluristratificazione
legata
alla
sovrapposizione di diverse strutture abitative di Neolitico antico e
recente.
Nel caso di Opovo, inoltre, la presunta distruzione rituale della
struttura era seguita, secondo l’interpretazione della Tringham, dalla
creazione di fosse di scarico, in cui veniva seppellito l’intonaco
residuo, analogamente a quanto è stato ipotizzato per Favella della
Corte da Tiné.
Dall’analisi e dai confronti con il resto dell’Europa, si possono
evidenziare in Italia due trend completamente opposti: in Italia
settentrionale vi sono strutture abitative con planimetrie di 80m2,
influenzate dalle long houses balcaniche/danubiane di 100m2; al
contrario in Italia centrale e meridionale le strutture hanno dimensioni
ridotte (con un’unica eccezione a Catignano) che variano dai 3050m2 influenzate dalle correnti centro balcaniche.
122
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