Tra spirito ed essenza:
Ivan Aleksandrovič Il’in
La Russia ci ha fatto dono di distese sconfinate, di pianure
estese a perdita d’occhio, percorse senza ostacoli dal vento e
infinite allo sguardo, invitandoci a un propizio e lontano
cammino. E queste distese hanno dilatato le nostre anime
dotandole di ampiezza, libertà e levità […] Lo spirito russo si
distingue per la sua libertà spirituale, la vastità interiore, la
percezione di possibilità sconosciute e straordinarie. Noi
veniamo alla luce in questa libertà interiore…
I. A. Il’in, Sulla Russia (Tre discorsi)
2
Indice
Introduzione
4
Vita e opere di Ivan Aleksandrovič Il’in
6
Sezione I - La prospettiva storica
14
1. Alle origini della rivoluzione
14
2. Slavofilismo e panslavismo
17
3. Sofia e rinascita filosofica religiosa
23
4. Il marxismo in Russia
27
5. Bolscevismo
32
6. La domenica di sangue
37
7. Ottobre
41
8. Guerra civile
45
9. Oberbürgermeister Haken
48
Sezione II - Il pensiero
53
1. Sette settimane con il Dottor Freud
53
2. Hegel
59
3. L’idea bianca
67
4. Nazionalismo e Stato
72
5. Fascismi
77
6. Stato di diritto e coscienza giuridica
81
7. Platonismo
85
8. Alcune considerazioni
88
Conclusione
90
Appendice
94
Ivan Il’in: monarchismo militante di Aleksanr Dugin
94
Conversazione con Aleksandr Dugin
99
Bibliografia
106
Sitografia
105
3
Introduzione
La diffusione in Italia del pensiero russo è stata a lungo ostacolata dal duro e
influente giudizio di Benedetto Croce, secondo il quale1
“Tutta questa gente, i cui nomi male si pronunziano, non ha fatto altro che ripetere la
filosofia tedesca, nutriti di pensiero inglese e francese, rifriggere nuove varietà verbali di
certe dottrine filosofiche. […] Nessuna traccia di originalità, tutta questa gente non vale la
pena di essere letta e dovrebbe cominciare a studiare l’abc della scienza, la logica formale
e tante altre cose che gli europei hanno nel sangue per millenaria educazione”.2
Il pensiero russo, storicamente legato alla politica, alla religione e alla letteratura,
con fatica riesce a confrontarsi con le grandi costruzioni teoriche del pensiero
Occidentale e con quella cultura millenaria a cui allude Croce; tuttavia, se una
distanza di fondo esiste, sino a sconfinare in una opposizione irriducibile, bisogna
fare dei distinguo; interessante la valutazione di alcuni studiosi russi i quali
esprimono un giudizio che lascia spazio a una diversa interpretazione:
“…l’idea d’Europa non è considerata come aliena e antagonista rispetto all’idea russa.
L’idea russa, invece, è antagonista del concetto di Occidente. L’idea d’Europa è identificata
con la cultura alta, con il genio dell’illuminismo e con un modello umanistico e
democratico di sviluppo che è compatibile con l’idea russa. L’idea russa, invece si
contrappone alla cultura di massa americana edonista e consumista”3.
Esiste quindi una Russia che afferma una propria civiltà e che dal confronto storico
con l’Europa trae la sua originalità e la coscienza del proprio percorso storico. In
questa prospettiva, la contrapposizione tra Occidente e Russia, che si è acuita
nell’ultimo scorcio del XX secolo, corre il rischio di essere una condizione
permanente anche nel futuro; è lecito chiedersi, dunque, quale sia il futuro delle
relazioni tra la Russia e l’Occidente, anche alla luce della crisi del paradigma
geopolitico unipolare, e se sia possibile escludere la Russia dall’Europa. Proprio
per queste ragioni, e soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti geopolitici,
sarebbe opportuno uno studio più attento dei movimenti russi, con particolare
FERRARI A., Ivan Il’in e il discorso politico di Putin, in IL’IN I.A., Sulla Russia, a cura di Strada
O., p.VI, Aspis Edizioni, Milano, 2023.
2
CROCE B., Il pensiero russo secondo due libri recenti, in “Giornale d’Italia”, 4 settembre 1918,
citato da FERRARI A., Ivan Il’in e il discorso politico di Putin, in IL’IN I.A., Sulla Russia, a cura
di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 84.
3
VALLE R., L’idea russa e le idee d’Europa, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2021, p. 32.
1
4
riferimento ai filosofi euroasiatisti e nazionalisti come Lev Gumilëv e Aleksandr
Dugin tra gli altri. Allo stesso modo varrebbe la pena non dimenticare pensatori
slavofili e religiosi, come Vladimir Solov'ëv, che hanno incarnato più di altri
l’essenza della “russità”; questi ultimi hanno cercato di elaborare un pensiero
originale che facesse riferimento più specificatamente ai temi della teoresi della
tradizione russa e fosse libero da ogni condizione di sudditanza nei confronti del
pensiero occidentale. Senso di appartenenza alla terra, tradizione, religione e lingua:
questi gli elementi che definiscono filosoficamente la diversità ontologica,
antropologica e metafisica dall’Occidente; come diceva Berdjaev “i russi subiscono
e ignorano la mistica della razza e del sangue, ma sentono profondamente la mistica
della terra”4.
Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire un modesto contributo, che possa
aiutare a far conoscere l’idea russa ripercorrendo il cammino storico e filosofico
della Russia e dell’Unione Sovietica tra il XIX e il XX secolo, attraverso la figura
di Ivan A. Il’in, il cui pensiero è una delle testimonianze di quel periodo storico. La
prima parte della ricerca ripercorre retrospettivamente la storia del pensiero
filosofico e le specificità culturali che sono state alla base della rivoluzione
bolscevica. La seconda parte si concentra sul pensiero di Il’in, entrato a far parte
della filosofia dello Stato di Putin; i suoi concetti di idea russa e di patria hanno
avuto notevole credito presso molti intellettuali, tra cui Aleksandr Solženicyn e
Nikita Mikhalkov ed ha oggi notevole influenza sulla società russa.
È doveroso precisare che questa ricerca è dettata da interesse esclusivamente storico
e filosofico e non contiene alcun intento di carattere revisionista o di accreditare
posizioni politiche; allo stesso modo non vi è alcuna concessione agiografica. Si è
cercato, per quanto possibile, di chiarire gli aspetti controversi che riguardano la
figura di Ivan Il’in.
4
VALLE R., L’idea russa e le idee d’Europa, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2021, p. 26.
5
Vita e opere di Ivan Aleksandrovič Il’in
Il nome del filosofo Ivan Aleksandrovič Il’in, tenuto in grande considerazione in
Russia, ma poco conosciuto in Occidente, non era stato oggetto di particolare
interesse fino all’autunno del 2015, quando la rivista statunitense di relazioni
internazionali, Foreign Affairs ha pubblicato un articolo su Ivan Ilyin, dal titolo
“Putin’s Philosopher, Ivan Il’in and the Ideology of Moscow’s Rule”, firmato da
Anton Barbashin e Hannah Thoburn, che riprendevano alcuni temi apparsi l’anno
prima sul New York Times5 e sul Washington Post6. La situazione di tensione
geopolitica che tuttora caratterizza l’attualità ha indotto Marlène Laruelle7 e
Timothy Snyder8, analisti politici, a rivolgere con maggiore attenzione il loro
interesse alla figura di Ivan Il’in, soprattutto in relazione alla pretesa ipotesi che il
pensiero di Ilyin sia il substrato ideologico dell’attuale leadership politica russa.
In Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, il pensiero di Ivan Il’in viene così
identificato ed etichettato all’interno di un’area politica ben definita, con giudizi dal
forte accento negativo, la maggior parte dei quali frutto di superficialità o di
evidente propaganda tesa a voler assegnare a tutti i costi una collocazione del
pensiero del filosofo alla luce di un approccio storicista. Teorico del fascismo russo,
simpatizzante di Mussolini, anticomunista, e allo stesso tempo antioccidentale,
monarchico nazionalista, neo imperialista, eurasiatista: questo il profilo intellettuale
che viene abitualmente presentato al poco attento pubblico occidentale. Va
comunque sottolineato, come oggettivamente fa notare Marlène Laruelle, che il
pensiero di Ivan Ilyin non può essere considerato il solo ispiratore della linea
politica dell’attuale governo autocratico; tale linea politica va ascritta alla tradizione
della filosofia russa che si oppose al movimento bolscevico e la cui riscoperta, in
una prospettiva filosofico-politica, rappresenta sicuramente una giustificazione
teorica determinante.
Questa impostazione di fondo è confermata dal fatto che già dal 2014 “I nostri
compiti” di Ivan Il’in, la “Filosofia della diseguaglianza” di Nicolaj Berdjaev e la
BROOKS D., Putin Can’t Stop, The New York Times, marzo 2014.
SNEGOVAYA M., How Putin’s worldview may be shaping his response in Crimea, The
Washington Post, marzo 2014
7
LARUELLE M., In search of Putin’s philosopher, Why Ivan Il’in is not Putin’s Ideological
Guru, in Riddel (https://ridl.io/),2018
8
SNYDER T., Ivan Il’in il filosofo del neozarismo di Putin, a cura di LOMBARDI A., in ITALIA
Storica, 2022.
5
6
6
“Giustificazione del Bene” di Vladimir Solove’v sono letture raccomandate dai
vertici del governo russo agli esponenti delle amministrazioni regionali e sono
spesso citate nelle occasioni politiche pubbliche9.
In ambito accademico, senza enfasi, ma con interesse crescente e sempre più in
profondità, Ivan Il’in è oggetto di studio in relazione al movimento sofianico di
Solove’v10 e al rapporto del filosofo con Florenskij11 e Berdjaev12, che hanno
condiviso e subìto con Ilyin la repressione messa in atto dal Partito Comunista, il
primo vittima delle purghe staliniane degli anni ’30, il secondo con l’esilio, insieme
allo stesso Il’in, a bordo della “nave dei filosofi”. Lo scorso anno, a testimonianza
di quanto quest’ultimo evento sia elemento sensibile nella storia recente della
Russia, in occasione del centenario dell’esilio degli intellettuali controrivoluzionari,
la vicenda della “nave dei filosofi” è stata ricordata e commentata dalla stampa
russa attraverso le riviste storico-politiche Rodina (l’editore è governativo) e
Novaya Gazeta (indipendente, il cui direttore Dmitrij Muratov è stato insignito nel
2021 del Premio Nobel per la Pace).
Il pensiero di Il’in, che in un primo momento è stato in qualche modo ritenuto, a
torto, marginale, è in realtà assolutamente rilevante, soprattutto in relazione ai suoi
studi su Hegel; Lenin stesso manifestò un grande apprezzamento circa il lavoro
filosofico di Il’in con il quale, dal punto di vista teoretico, esistevano molti punti di
contatto circa l’interpretazione del pensiero hegeliano. Tali studi, tuttavia, vanno
inseriti all’interno del complesso contesto filosofico dei primi anni del XX secolo
ed evidenziano come l’analisi di Il’in del pensiero di Hegel apra a una riflessione
filosofica e religiosa sulla tradizione russa e diventi uno studio sistematico della
9
SNEGOVAYA M., op. cit.
Solov’ev V. S., filosofo e teologo, è considerato uno dei più grandi pensatori russi. Precursore del
simbolismo, il suo pensiero è pervaso da una visione messianica e da una cristologia cosmica. Nel
suo sistema filosofico sono presenti tutte le idee che saranno all’origine della rinascita spirituale
russa dei primi anni del Novecento.
11
Florenskij P. A., 1882 – 1937, filosofo, matematico e teologo. È il pioniere di un nuovo
orientamento di pensiero in campo teologico e scientifico, capace di contrastare l’avanzata del
pensiero nichilista. Pubblica quello che oggi viene definita "summa del pensiero teologico
ortodosso", capolavoro del pensiero filosofico-teologico contemporaneo: “La colonna e il
fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere”.
12
Berdjaev N. A., 1874 – 1948, "il filosofo della libertà", fu uno dei maggiori esponenti
dell'esistenzialismo e dell'anarchismo cristiano. È autore di una delle più importanti analisi
filosofiche del pensiero di Fëdor Michajlovič Dostoevskij: “La concezione del mondo di
Dostoevskij”.
10
7
filosofia del diritto, della filosofia morale e religiosa, dell’analisi storica della
Russia e della cultura, nel suo insieme, del popolo russo.
Il’in nasce a Mosca nel 1883; il padre, discendente di una delle più antiche famiglie
dell’aristocrazia russa, ha un ruolo nell’avvocatura dello Stato; la madre, tedesca
luterana,
convertita
all’ortodossia,
impartisce
al
figlio
un’educazione
contraddistinta da una forte spiritualità religiosa. Il giovane Il’in studia con grande
profitto e, terminato il ginnasio, chiede e ottiene, nel 1901, l’iscrizione alla Facoltà
di giurisprudenza dell’Università di Mosca. Comincia a sviluppare un profondo
interesse per la filosofia. Oltre alle lingue dell’antichità classica, conosce il francese
ed il tedesco (lingua trasmessagli dalla madre). Scrive sullo Stato ideale di Platone
e sulla dottrina di Kant della "cosa in sé" nella teoria della conoscenza; scrive inoltre
alcuni saggi che presenta nel periodo 1906-1909, tra cui, "Insegnamenti di Schelling
sull'assoluto", "L'idea del concreto e astratto nella teoria della conoscenza di
Hegel", “Il problema del metodo nella giurisprudenza moderna".
Dopo la laurea, nel settembre del 1906, su proposta di Evgenii N. Trubetskoy13
ottiene un dottorato di ricerca; nello stesso anno si sposa con Natalia Nikolaevna
Vokach, intellettualmente ed elettivamente a lui molto vicina (studiosa di filosofia,
storia dell'arte, storia), con cui condividerà tutta la vita. Negli ambienti culturali
moscoviti che Il’in frequenta, si fa notare, oltre che per la sua intelligenza, anche
per il carattere spigoloso e nevrile. Scrive Belyj, poeta simbolista che frequentava
il salotto di Evgenija Gercych, cugina della moglie: “il giovane Ilyin, ossesso, di un
pallore cadaverico […] hegeliano […] mi prese subito in antipatia senza nessun
motivo […] questo filosofo di talento aveva un che di morboso […] il posto giusto
per lui sarebbe stata una clinica psichiatrica”14.
In quel periodo Il’in è su posizioni politiche completamente diverse da quelle che
assumerà nel corso degli anni a venire; gli eventi drammatici del 1905 e quella che
sarebbe stata definita “la domenica di sangue” lo vedono anarchico tra le fila dei
socialisti rivoluzionari15. Nel 1909, Il’in diventa assistente presso il Dipartimento
Trubetskoy E. N., filosofo, esponente del liberalismo, studioso e critico di Solov’ev nel processo
di analisi del progetto di Solov’ev di una "teocrazia libera" e studiando il contesto storico in cui
l'idea teocratica era stata formata nella tradizione occidentale, Trubetskoy formula le sue opinioni
di principio sul rapporto tra la chiesa e lo stato e giustifica la necessità della loro separazione.
14
IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O. Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. VII.
15
Ivi, p. VI.
13
8
dell'Enciclopedia di diritto e quello di Storia della filosofia del diritto all'Università
di Mosca. Nel 1910 pubblica il saggio "Concetti di diritto e potere"16 nella rivista
Voprosy filosofii i psichologii (Questioni di filosofia e psicologia) e diventa
membro della Società Psicologica di Mosca; di particolare rilievo il fatto che, nel
1921, ne diventerà presidente. L’importante istituzione verrà purtroppo
definitivamente chiusa l’anno successivo. Alla fine del 1910 Il’in parte per una
missione scientifica e trascorre due anni in Germania, Italia e Francia. Lavora nelle
università di Gottinga, Parigi, Heidelberg e Friburgo, dove ha occasione di seguire
i seminari di Husserl; si sposta a Berlino e comincia a preparare la sua tesi di
dottorato su Hegel.
In questo periodo si reca anche a Vienna dove può dedicarsi ad un percorso
didattico-terapeutico con Freud che lo segnerà in modo profondo 17. Di ritorno a
Mosca, Il’in continua il suo lavoro all'università. Pubblica diversi scritti filosofici,
fra gli altri: “L'idea di personalità negli insegnamenti di Stirner18” (1911), “Per
gentile concessione. Esperienza socio-psicologica" (1912), "Sulla rinascita
dell'hegelismo" (1912) "La principale contraddizione morale della guerra" (1914),
"Il significato spirituale della guerra" (1915), "La filosofia come opera spirituale"
(1915), "Fondamenti di diritto. Dottrina generale della legge e dello stato”
(1915)19. In quegli anni traduce in russo alcune opere filosofiche di pensatori
occidentali, tra cui “Anarchism” di Paul Eltzbacher20.
Vengono anche pubblicati sei grandi articoli sulla filosofia di Hegel, che in seguito
entreranno a far parte della famosa monografia in due volumi, pubblicata nel 1918,
"La filosofia di Hegel come dottrina della concretezza di Dio e dell'uomo": la sua
tesi di dottorato. In quegli stessi anni, a testimonianza del suo eclettismo culturale,
si interessa anche di teatro e chiede con insistenza a Konstantin Sergeevič
16
https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/
IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O, Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. VIII.
18
Stirner M., Pseudonimo del filosofo tedesco Johann Caspar Schmidt 1806 - 1856. Esponente della
sinistra hegeliana, combatté qualsiasi entità reale o astratta che pretendesse di collocarsi al di sopra
dell'individuo, unica vera realtà, sovrano del proprio mondo e creatore dei propri valori. Precursore
dell’anarchismo.
19
https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/
20
Eltzbacher P., 1868-1928, professore di diritto tedesco è noto oggi per i suoi scritti sul tema
dell'anarchismo. Dopo la prima guerra mondiale, aderì al bolscevismo. Suggerì nel suo lavoro “Der
Bolschewismus und die deutsche Zukunft”, 1919, che gli interessi della Germania sarebbero stati
meglio serviti adottando un regime bolscevico.
17
9
Stanislavskij21 di poter diventare suo assistente. La sua richiesta è respinta con
decisione.22
L’avvento della Prima guerra mondiale, ma soprattutto la Rivoluzione di Febbraio
e quella d’Ottobre 1917, lo vedono ancora pervaso da una idealità rivoluzionaria
che si protrarrà per qualche anno. Scrive infatti:
"Ogni ordine di vita presenta alcune carenze e, come regola generale, l'eliminazione di tali
carenze si ottiene attraverso l'abolizione di norme giuridiche insoddisfacenti e l'istituzione
di altre migliori. Ogni sistema legale deve certamente offrire alle persone questa
opportunità: migliorare le leggi in base alla legge, Il sistema legale, che chiude questa
opportunità per tutti… privandoli dell'accesso alla legislazione, si sta preparando per sé
l'inevitabile rivoluzione”23.
Tuttavia, gli eventi che segnarono la società russa, il capovolgimento sociale e
soprattutto la percezione di un sovvertimento irreversibile delle istituzioni, riflesso
di una “debole coscienza giuridica del popolo russo insieme alla mancanza di
rispetto per le istituzioni…”24 e la coscienza di una complessiva degenerazione
valoriale, che caratterizza la società russa in quegli anni, inducono un ripensamento
radicale dei propri ideali e un approccio speculativo completamente nuovo. Si fa
strada un’analisi filosofica che pone lo spirito come centrale nell’esperienza
dell’uomo, ovvero la manifestazione della propria autocoscienza può avvenire solo
attraverso il riconoscimento della propria essenza.
Dopo la Rivoluzione di Ottobre, Il’in tiene lezioni presso la facoltà di
giurisprudenza dell'Università di Mosca. Esprime forte dissenso nei confronti della
politica ufficiale e difende i principi della libertà accademica. La sua posizione di
oppositore al potere bolscevico si fa chiara; lavora in condizioni di difficoltà
oggettive, ma riesce a portare a termine "Sull’essenza della coscienza giuridica”.
Tra il 1918 ed il 1922 viene arrestato sei volte e subisce due processi: il 30
novembre 1918 al Presidio del Collegio della divisione controrivoluzione e il 28
21
Stanislavskij K. S., 1863-1938, è stato attore regista e soprattutto teorico del teatro. Getta le basi
per una sostanziale riforma del teatro russo del ‘900. Il metodo Stanislavskij, approccio sistematico
alla recitazione teatrale, è tutt’oggi considerato momento fondamentale del teatro moderno.
22
IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O, Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. VIII.
23
Consultabile nel sito https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskiiput-i-a-ilina/
24
EVLAMPIEV I.I., Ivan Il’in, p. 56 citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis
Edizioni, Milano, 2023, p. IX.
10
dicembre 1918 al Tribunale rivoluzionario di Mosca25; in entrambi i casi viene
assolto per insufficienza di prove e viene rilasciato. L'ultima volta viene arrestato il
4 settembre 1922 e accusato del fatto che "dal momento del colpo di stato di ottobre
ad oggi, non solo non si è riconciliato con gli operai e i contadini esistenti in Russia,
ma non ha fermato le sue attività anti-sovietiche per un solo momento"26. Il 29
settembre viene imbarcato sul “piroscafo dei filosofi”. Inizia un nuovo periodo della
sua vita: si stabilisce a Berlino, dove vivrà nei successivi 16 anni. Ottiene la docenza
presso l’Istituto scientifico russo, creato dagli emigrati russi nel 1923.
Nel 1925 Il’in scrive “Sulla resistenza al male con la forza”; il saggio apriva una
riflessione sulla necessità di fondare una dottrina coerente, sia dal punto vista
filosofico sia spirituale, in grado di dimostrare la necessità di un’opposizione attiva
al male. Di fatto Ilyin si poneva in antitesi rispetto alla soluzione proposta da
Tolstoj, il quale aveva già sollevato la questione morale circa il male, trovando però
risposte che risolvevano in una resistenza non violenta. In difesa della sua posizione
Ilyin notava: “… che cosa significherebbe la non violenza nel senso di assenza di
qualsiasi opposizione? Significherebbe accettare il male: accoglierlo in noi e dargli
libertà, spazio e potere”27. Seguì una rovente polemica con Berdjaev, il quale, in
completo dissenso, considerava il bene così concepito come “demoniaco” tanto da
scrivere: “[…] Il bene del quale parla Il’in è molto relativo, appesantito, deformato
dalle passioni della nostra epoca […] la Čekà in nome di Dio è più rivoltante della
Čekà nel nome del demonio”28.
In quegli anni inizia un nuovo percorso politico che lo indurrà a sostenere posizioni
monarchiche e ad appoggiare la causa del generale bianco Pëtr Vrangel29; la nuova
posizione, frutto di un’ampia riflessione teorica, si sostanzierà, dal punto di vista
filosofico, nel concetto di “Idea Bianca”30. Negli anni che vanno dal 1927 al 1930
25
https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/ Archivio
centrale del KGB dell'URSS, caso n. 1315. Archivio R-22082, l. 7; Caso n. 193. Archivio N-191, l.
314-320.
26
Ibidem, dall’ Archivio centrale del KGB dell'URSS, fascicolo n. 15778, archivio N-1554, l. 15
27
IL’IN I.A., Aksiomy religioznogo opyta, (Gli assiomi dell’esperienza religiosa), vol. 5, p. 35,
citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. XI
28
BERDJAEV N. A., Košmar zlogo dobra. O knige I. Il’ina “O soprotivlenii zlu siloju” L’orrore
di un bene malvagio. Sul libro di I. Il’in Sulla resistenza al male con la forza, in Put, n.4, 1926,
citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. XII
29
Vrangel P., Ufficiale dell’esercito zarista. Prese parte alla lotta contro i bolscevichi. Fu
comandante dell’Armata Bianca.
30
Belaja Ideja, (L’idea bianca) saggio pubblicato a Parigi nel 1926
11
è fondatore ed editore del periodico Russkij Kolokol (La Campana Russa) di cui
usciranno 9 numeri prima di essere costretto a interromperne la pubblicazione.
Nella rivista appaiono alcuni commenti positivi sul fascismo e su Mussolini e viene
introdotto il concetto di “fascismo russo” (O Russkom fašizme) in relazione alla
lotta contro il bolscevismo, lotta che, nella prospettiva di Il’in avrebbe dovuto
essere condotta da una formazione politica di destra il cui indirizzo teorico si
sarebbe dovuto declinare nella reificazione dell’”idea bianca”. Tuttavia Ivan
Aleksandrovič attua un distinguo rilevante tra il movimento bianco e il fascismo
con il suo apparato (inteso come regime); precisa infatti che: “il primo è più ampio
del fascismo e per sua natura più profondo di esso, nel fascismo non si manifesta
affatto oppure non è sufficientemente presente il profondissimo motivo religioso
del movimento bianco”31. Nel 1928 diventa partigiano dell’”Unione generale dei
combattenti russi” (ROVS), con la segreta speranza di una rinascita che avrebbe
dovuto concretizzarsi da lì a poco in Russia, ma la morte del generale Vrangel segnò
definitivamente la fine di qualsiasi illusione. Continua a scrivere di morale, politica
e religione; sono di questo periodo: "Il veleno del bolscevismo" (1931), "Sulla
Russia. Tre discorsi "(1934)," Idea creativa del nostro futuro "(1937)," Fondamenti
della cultura cristiana "(1937)," Fondamenti della lotta per la Russia nazionale
"(1938).
Il 1934 vede Il’in accogliere l’avvento del nazismo, da lui inizialmente considerato
positivamente quale reale antagonista del bolscevismo. Tuttavia, la vera natura del
nazismo non tarderà a mostrarsi e ad apparire per quello che in realtà era: una
farneticante ideologia della morte. Il’in si rifiuta di insegnare in conformità al
programma del partito nazionalsocialista e di sottoscrivere le disposizioni sulla
razza: è immediatamente rimosso dall’Istituto scientifico russo. Nel 1938, la
Gestapo sequestra tutte le sue opere e gli proibisce di parlare pubblicamente32. Il’in
temendo per la sua vita, decide di lasciare la Germania, nonostante ciò gli fosse
impedito e, grazie a qualche aiuto, non ultimo quello di Sergej Vasil’evič
Rachmaninov, riesce ad ottenere un visto di uscita per sé e la moglie; ripara in
Svizzera e si stabilisce in un sobborgo di Zurigo.
IL’IN I. A., O russkom fažisme, in Russkij Kolokol, n.3, 1928, citato in IL’IN I. A., Sulla Russia,
a cura di Strada O., p. XIV, Aspis Edizioni, Milano, 2023.
32
Consultabile nel sito https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskiiput-i-a-ilina/
31
12
Si apre l’ultimo capitolo della sua vita che si concluderà nel 1954. Porta a termine
“Gli assiomi dell’esperienza religiosa”; dal 1948 produce un numero notevole di
saggi brevi che ammonteranno a oltre 400 e che saranno pubblicati nella raccolta
“I nostri compiti” (Naši zadači); a tutt’oggi questa è l’opera di Il’in oggetto di
maggior attenzione e interesse dal punto di vista filosofico e politico. Alla sua
scomparsa vene seppellito a Zollichon nei pressi di Zurigo. Nel 2005 le spoglie del
filosofo vengono trasferite nel cimitero del monastero di Donskoy di Mosca.
“Sto riassumendo e scrivendo un libro dopo l’altro. Ne ho pubblicati alcuni in tedesco ma
per tradurre ciò che era scritto in russo… E la mia unica consolazione è questa, se la Russia
ha bisogno dei miei libri allora il Signore li proteggerà dalla morte, e se né Dio né la Russia
hanno bisogno di loro, non ne ho bisogno nemmeno io, perché io vivo solo per la Russia”33.
33
https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/
13
Sezione I
La prospettiva storica
Capitolo 1. Alle origini della rivoluzione
La Rivoluzione russa è finita? Sembrerebbe una domanda capziosa, dato che il
regime a cui la Rivoluzione stessa ha dato vita si è dissolto da più di trent’anni. Gli
eventi che hanno influito su pensiero e politica, segnato un’epoca, forse mai
conclusa, mai definitivamente morta, ancora trascinano brandelli di quella storia
davanti al nostro convulso presente, suscitando passioni, dal profondo significato
metafisico, ancora vive nel nostro ricordo collettivo e individuale. Se dovessimo
affermare che la rivoluzione di Ottobre è stata una sfida al capitalismo, cioè una
minaccia ad un modello sociale ed economico che ha contraddistinto il mondo delle
democrazie liberali, allora potremmo anche affermare, alla luce della cruda
attualità, che, a distanza di cento anni, quella sfida, quel confronto, non è mai
cessato. L’attuale crisi geopolitica, che coinvolge l’Occidente e la Russia, è la
rappresentazione di una contrapposizione dai caratteri permanenti, che non ha mai
avuto, in un periodo lungo un secolo, alcuna interruzione; ciò impone una
riflessione non più solo di carattere politico, ma soprattutto filosofico.
Una visione che teorizza due egemonie, che si contendono in maniera simmetrica,
in Europa e nel mondo, le rispettive sfere di influenza, appare lo stereotipo di un
vecchio armamentario politico: quello legato alle ideologie, che hanno prodotto, da
una parte e dall’altra, la giustificazione all’autodifesa e contemporaneamente alla
manifestazione della propria supremazia. Una volta eliminato il presupposto
ideologico che dimostrava l’inevitabilità di una dimensione antitetica all’interno del
sistema politico internazionale, di due blocchi (per usare un’espressione tipica degli
anni ’60 e ’70 del secolo scorso) separati da prospettive storiche divergenti, la
contrapposizione si è spostata su di un altro piano. Il contrasto di fondo abbraccia
un nuovo ordine di elementi che non riguardano solo le rispettive strutture e i loro
apparati, i modelli socio-politici ed economici, ma si configurano come un
confronto culturale tra l’Occidente, materialista, razionalista e decadente, e la
14
Russia, tradizionalista, ortodossa e trascendente, investita di un compito
messianico. Tuttavia, mentre l’Occidente persegue nella vecchia strategia di
espansione territoriale, emerge per la Russia la questione esistenziale: il problema
della sua sopravvivenza è diventato ineludibile. A questo riguardo sembrano
profetiche le parole di Il’in che nel 1934 scriveva:
“Per immaginarsi un quadro chiaro della Russia in una condizione di tale prolungata follia
[la sua disgregazione ndr] è sufficiente immaginare il destino dell’”Ucraina indipendente”.
Questo “stato” dovrà prima di tutto creare una nuova linea difensiva da Ovruč a Kursk e
poi attraverso Char’kov a Bakhmut e Mariupol. Di conseguenza, sia la Grande Russia che
la Repubblica del Don dovranno fare fronte comune contro l’Ucraina34”.
I temi fondamentali che conducono la Russia nella modernità storica si identificano
nell’ascesa dell’Impero russo, e nella sua successiva disintegrazione e
restaurazione, nelle spinte nazionaliste e nella prospettiva euroasiatica; seguono il
collasso e la distruzione dello Stato attraverso una rivoluzione, che senza dubbio, è
stata una rivoluzione “culturale”, e di nuovo, la caduta di un sistema e la sua
ricostruzione in senso autocratico (con un riferimento, in alcuni casi, alla
riproposizione di un modello monarchico) legata alla riscoperta di un nazionalismo
fortemente identitario. Il percorso della Russia si inserisce all’interno di uno schema
ricorrente di tipo coattivo. In sintesi, questo il paradigma storico politico della
Russia: capitalismo zarista, socialismo reale, capitalismo oligarchico.
Proprio per questo ciclico riproporsi di eventi, andare alle radici della Rivoluzione
d’Ottobre, che ha sovvertito non solo l’apparato dello Stato e le sue dinamiche
interne, ma ha anche rovesciato radicalmente l’ordine delle relazioni internazionali,
significa ricostruire le ragioni di un Paese intero prima di tutto dal punto di vista
culturale. Basti pensare alle mobilitazioni delle masse rurali, all’attacco al ruolo
della Chiesa ortodossa, rappresentante di una tradizione secolare che, nel volgere
di pochi anni, ha dovuto subire la prospettiva di una cultura atea, allo spazio
sottratto alle élite e, non ultimo, alla politica vissuta nelle piazze al di fuori delle
istituzioni. La Rivoluzione ha rappresentato un grande momento di progresso
sociale, peraltro visto sotto la grande luce del pensiero razionale, e l’istanza di una
legittima richiesta di emancipazione che si contrappone “…all’idea che la gerarchia
IL’IN I. A., “Quali conseguenze potrebbero derivare al mondo dallo smembramento della
Russia”, in “Sulla Russia”, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 77
34
15
sociale e le disuguaglianze socioeconomiche siano fatti naturali o inevitabili; e
questa potrebbe ancora rivelarsi la sua eredità. Il capitalismo può aver avuto la
meglio sul socialismo di Stato ma deve ancora rispondere a questa sfida”
35
.
Tuttavia, proprio questa contrapposizione, se da un lato pone ancora adesso una
questione di carattere più propriamente etico nei confronti di un capitalismo
arrembante, dall’altro ha in qualche modo prodotto un isolamento politico al quale
la Russia reagisce con un richiamo alla necessità di preservare la propria integrità
culturale, statuale e territoriale. La Rivoluzione, probabilmente, non ha ancora
compiuto per intero il suo compito.
SMITH S. A., “La Rivoluzione russa un impero in crisi (1890-1928)”, Carocci editore, Roma,
2019, p. 23.
35
16
Capitolo 2. Slavofilismo e panslavismo
Due elementi, in modo particolare, definiscono la specificità della cultura russa: il
timore atavico delle invasioni e l’attaccamento alla terra, l’uno conseguenza
dell’altro. Vi è una relazione diretta tra le invasioni subite a più riprese nel corso
dei secoli e la successiva espansione territoriale.
“Solov’ëv36 ha conteggiato che dal 1240 al 1462 (un arco di 222 anni) ci sono state duecento
guerre e invasioni. […] dal XIV al XX secolo (un arco di 525 anni) ci sono stati 329 anni
di guerre. La Russia ha passato due terzi della propria esistenza a guerreggiare. Il solo giogo
tartaro è durato 250 anni; e l’ultimo assedio dei tartari subito da Mosca risale alla fine del
XVI secolo37”.
La resistenza a polacchi, svedesi, francesi e ai popoli nomadi delle steppe orientali
ha determinato una reazione di carattere espansivo di tipo continentale che ha
portato alla formazione di un grande impero autocratico che si estende, senza
interruzione, da occidente a oriente.
Scriveva Ivan Il’in:
“Il nostro primo fardello è quello della terra, uno spazio sconfinato, indomabile, sterminato
[…] Non siamo stati noi a impossessarci di questo spazio: pianeggiante, aperto, indifeso,
esso ci è stato imposto, esso ci ha costretto ad appropriarcene […] La Russia aveva solo
due vie: essere cancellata e cessare di esistere; oppure difendere le proprie sterminate
frontiere con le armi e il potere dello Stato”38.
Un dominio territoriale di tali proporzioni era inevitabilmente contraddistinto da
una frammentazione sociale dovuta al grande numero di etnie e confessioni
religiose; un agglomerato del genere, con le diversità che comportava, poteva essere
controllato solo attraverso una colonizzazione diffusa, unitamente ad una politica
di inclusione forzosa: quello che è stato definito il processo di “russificazione”, che
fu il tentativo di assimilare le popolazioni assoggettate attraverso il proprio modello
culturale. La gestione dell’impero poneva inoltre rilevanti problemi di carattere
amministrativo che costrinsero l’autorità centrale, da una parte, a coinvolgere le
élite non russe e, dall’altra, a fare uso della repressione: il sistema di governo basato
sulla divisione selettiva delle realtà locali consentiva di esercitare il potere con
36
Cfr., p. 5.
IL’IN I. A., “Sulla Russia”, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 32.
38
Ivi, p. 29.
37
17
notevole efficacia. Lenin39 definì questo enorme mosaico amministrativo come
“una prigione delle nazioni” 40. In realtà si stava delineando il passaggio da una
concezione dello Stato in senso dinastico ad uno Stato di carattere nazionale, pur
nelle sue differenze etniche. Dunque, se le invasioni costruirono le future
espansioni, il territorio si tradusse nella vocazione del popolo russo ad occuparsi
della terra.
La Russia imperiale era composta da una grande società rurale, conservatrice, in
cui i valori di tipo comunitario, principalmente il lavoro collettivo, trovavano
applicazione pratica nell’istituto dell’obščina41: un organismo di autogestione
economica e di autogoverno (in cui vigeva il diritto consuetudinario) fondato sul
patriarcato, dove la terra di proprietà comune, veniva periodicamente redistribuita
alle famiglie secondo un criterio di rotazione; la comunità aveva così la precedenza
sul singolo. La collettivizzazione della terra rappresentava un riparo contro
l’arbitrarietà del potere e le minacce provenienti dall’esterno; ciononostante, le
condizioni complessive della società contadina furono afflitte da una povertà
endemica e diffusa42 che determinò le successive sollevazioni a partire dagli inizi
del ‘900. L’altro elemento che connotava le comunità rurali russe era la fede
ortodossa con le sue pratiche, a volte intrise di credenze e superstizione. La
religiosità popolare si sostanziava soprattutto nella venerazione di Maria Madre di
Dio, mediata dall’icona, che di fatto poneva il credente in comunione con il sacro,
a cui tutti potevano partecipare, senza l’intervento di un sacerdote. Il rito
dell’eucaristia era sostituito dalla devozione per l’immagine sacra ed esprimeva una
specie di ecumenismo egualitario, grazie al quale ognuno, o la comunità nel suo
insieme, poteva accedere alla grazia e allontanare il male. L’obščina, quindi, era il
punto di riferimento non solo di interessi di carattere materiale, ma, in quanto
fondata su valori etico religiosi, costituiva una comunità morale all’interno della
quale ogni tipo di decisione, ogni relazione, erano vincolate solo dalla profonda
consapevolezza di essere partecipi di un sistema di valori che determinava la
Pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov
SMITH S. A., “La Rivoluzione russa un impero in crisi (1890-1928)”, Carocci editore, Roma,
2019, p. 31.
41
Ivi, p. 41.
42
Solo nel 1861 lo Zar Alessandro II abolì il servaggio (servitù della gleba) ma impose ovviamente
onerosi pagamenti per compensare gli ex proprietari. I riscatti dovuti molte volte erano superiori al
valore di mercato e questo determinò una condizione di ulteriore sfruttamento.
39
40
18
coscienza collettiva. “Tale coscienza non appartenendo al singolo ma all’intera
totalità dei suoi componenti, faceva dell’obščina una comunità di carattere non
contrattuale ma esistenziale e, come tale, un’espressione viva e non artificiale del
popolo contadino”43.
L’unità spirituale che ne derivava implicava l’adesione individuale alla tradizione
e alla consuetudine senza alcuna riserva; tale adesione si realizzava nel carattere
assembleare del processo decisionale, basato sul principio dell’unanimità, evidenza
tangibile di coscienza collettiva ed espressione di un’autentica fraternità cristiana.
Proprio questa fraternità, intesa come carattere naturale e innato del popolo e della
terra russa, fondamento di un sistema di comunità organiche, unite dalla Chiesa
Ortodossa, realizzava l’ideale sociale slavofilo. Le comunità contadine, con il loro
modello di gestione collettivo, quindi non legate al concetto borghese di proprietà
individuale, in prospettiva, anticipavano la nascita di organismi di autogoverno, i
soviet, che sarebbero diventati l’impianto portante dello sviluppo socialista, senza
passare storicamente attraverso l’esperienza del capitalismo. Tuttavia, la centralità
dell’esperienza religiosa nella cultura popolare non rimase immune da derive
millenaristiche declinate in un pensiero radicale, con evidenti legami all’autocrazia,
politicamente reazionario, apocalittico, antisemita, antidemocratico, antisocialista e
antioccidentale44.
La terra, simbolo autentico della tradizione russa, era emblematicamente presente
nella dottrina “del radicamento al suolo”; tale dottrina riapriva il dibattito storico
filosofico tra slavofili e occidentalisti in cui si affrontava la questione del concetto
di “umanità universale". Nella prospettiva occidentalista, si definiva “umanità
universale” il rinnovamento dell’umanità attraverso un sereno e naturale ricambio
generazionale guidato da quella borghesia illuminata che aveva fatto suoi i principi
democratici di libertà, uguaglianza e fraternità, sanciti dalla Rivoluzione francese;
l’aspirazione della Russia al conseguimento della propria universalità, doveva
passare attraverso la relazione con le avanzate società europee. L’idealizzazione di
una civiltà europea nella quale la borghesia era portavoce di un percorso storico
teso all’universalità, sarebbe stata presto disillusa proprio dagli eventi che
CANTELLI C., “Filosofia russa” in Filosofie del mondo, a cura di Melchiorre V., Bompiani,
Milano, 2014, p. 95.
44
SMITH S. A., op. cit. p. 39
43
19
testimoniavano il fallimento di una ideologia contraddetta da un capitalismo
aggressivo e da un’espansione commerciale che alimentavano un progresso
economico e sociale all’insegna della conflittualità: quanto di più distante da una
visione del mondo raccolto sotto l’egida della “russità”. Per il movimento dei
Počvenniki
(quelli
del
“radicamento
del
suolo”)
in
antitesi
storica
all’occidentalismo, fu assolutamente naturale trovare il proprio punto di riferimento
nella spiritualità del popolo russo. Ivan Il’in così scriveva quasi un secolo dopo: “Si
eviti di ridurre la Patria alla materia, alla terra e alla natura […] cercate la russità
dello spirito russo prima di tutto nell’assetto spirituale dell’uomo […]
successivamente in quella natura che lo ha nutrito…”45. In questa prospettiva, il
popolo russo diventa testimone di una “universalità” radicata nella spiritualità della
sua cultura religiosa e nel principio della fraternità cristiana. Il popolo russo è
geneticamente e culturalmente portatore di Dio e, come tale, è investito di un
apostolato messianico nei confronti dell’intero genere umano, che si disvela nella
sintesi di una nuova “umanità universale”.
Gli eventi della seconda metà del XIX secolo influirono profondamente sulle
relazioni tra l’Occidente e la Russia. Il nuovo corso politico delle potenze europee
nei confronti del mondo slavo, e segnatamente riguardo alla posizione della Russia
e al suo rafforzamento geo-politico, non poteva non creare forti tensioni che
trovarono soluzione nella guerra46, ma soprattutto creava un conflitto di carattere
ideologico e filosofico; era lo scontro inevitabile tra due culture: quella della
romanità germanica, espressione del pensiero cattolico-protestante, in antitesi
all’ortodossia russa e al retaggio greco-bizantino47.
La rivoluzione del 1848 in Europa, che con l’annichilimento dell’autorità politica e
religiosa proclamava la morte del sacro e faceva presagire l’avvento del male,
scavava con la Russia un solco culturale incolmabile. La distruzione sistematica di
governi e Stati palesava, agli occhi della Russia, la volontà di esercitare una
superiorità ideologica, giustificata solo dalla conquista di una libertà che non
lasciava spazio ad alcun concetto di fraternità. In questo modo si chiudeva
IL’IN I. A., op. cit. p. 46.
Guerra di Crimea 1853-1856. Francesi ed Inglesi oltre al Regno di Sardegna si schierarono a
favore dell’Impero ottomano determinando la sconfitta della Russia che fu obbligata ad un trattato
di pace a Parigi che sancì la smilitarizzazione russa nel Mar Nero oltre a perdite territoriali.
47
VALLE R., “L’idea russa e le idee d’Europa”, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2021, p. 67.
45
46
20
definitivamente il disegno illusorio di una Russia chiamata a svolgere il suo ruolo
messianico, portatrice di una nuova “rivelazione”, ovvero di quella cultura
universale che avrebbe riconciliato l’Europa intera; non esisteva più una cultura
universale ma solo l’egemonia culturale dell’Europa che sarebbe stata imposta
universalmente. Emergeva la necessità, per la Russia, di un’affermazione della
propria indipendenza culturale e, soprattutto, della propria esistenza, se non voleva
essere ridotta a una semplice voce enciclopedica. Scriveva Fëdor Dovstoeskij:
“C’è un limite ai nostri sforzi per far sì che l’Europa ci riconosca come suoi, come Europei,
solo come Europei, e non come Tartari? Abbiamo continuamente e incessantemente
infastidito l’Europa, intromettendoci nei suoi affari e nelle sue piccole questioni. Ora
l’abbiamo spaventata con la nostra forza, inviando i nostri eserciti “per salvare i re,” ora ci
siamo inchinati davanti all’Europa – cosa che non avremmo dovuto fare – assicurandole
che siamo stati creati al solo scopo di servirla e renderla felice”48.
Di fondo, la questione verteva sulla diversità oggettiva del mondo slavo, di cui si
fece interprete Nikolaj Jakovlevič Danilevskij49. La realizzazione di un progetto che
prevedeva la conservazione della Russia attraverso un processo di rinnovamento
dello Stato, tale da configurare un’entità credibile all’interno del consesso
internazionale, presupponeva un ribaltamento sostanziale del concetto di compito
storico della Russia, non più da realizzarsi attraverso i principi della cristianità, ma
creando uno stato economicamente e militarmente potente. L’idea del popolo russo
come portatore del messaggio di una “umanità universale” diventava un assunto
puramente teorico, privo di un reale contenuto politicamente sostenibile; il principio
della fraternità cristiana del popolo russo, base fondante della teoria slavofila,
veniva così sostituito dal concetto di civiltà del popolo russo che apriva ad una
teoria panslavista. L’idea di Danilevskij si basava sulla definizione di una identità
specifica che esprimeva un archetipo storico-culturale tipicamente slavo; secondo
questa teoria, religione, cultura, politica e assetto economico erano i costituenti
della civiltà slava che fino a quel momento era stata solo parzialmente realizzata.
Nel progetto di Danilevskij, la Russia non avrebbe più assunto il compito
trascendente di realizzare un’astratta cultura universale secondo il principio di
48
DOSTOEVSKIJ F. M., Diario di uno scrittore, in https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-neobizantinismo-della-russia
49
Danilevskij N. J., 1882-1885, filosofo e storico. Il suo nome è legato all'opera “La Russia e
l'Europa”, in cui è esposta la sua teoria panslavistica.
21
fraternità, ma avrebbe dovuto porsi alla guida di un’unione liberal-democratica dei
popoli slavi e sancire l’esistenza di una civiltà che agiva nella storia.
Lo stesso Il’in accoglieva in parte le idee di Danilevskij e ne riprendeva la teoria
dei quattro elementi, riconosciuti come fondanti di un ente nazionale:
“…il nostro Paese non è un coacervo casuale di territori ed etnie, né un ingranaggio di
regioni artificiosamente costituito, ma un organismo vivo, storicamente cresciuto e
culturalmente legittimato non soggetto a smembramenti arbitrari. Questo organismo è
un’unità geografica, le cui parti sono legate da un reciproco nesso economico; […] è
un’unità linguistica e culturale […] si tratta di un’unità statale e strategica […] baluardo
della pace e dell’equilibrio euroasiatico, e quindi universale50.
50
IL’IN I. A., op. cit., p. 59.
22
Capitolo 3. Sofia e rinascita filosofica religiosa
La relazione tra Europa e Russia ha rappresentato uno degli aspetti fondamentali
dell’indagine storico filosofica del pensiero russo fino ai primi anni del Novecento.
Il percorso ideologico degli intellettuali russi doveva ancora fare i conti con la
dimensione religiosa della propria tradizione, senza porsi in antitesi al pensiero
Occidentale, racchiuso nel proprio positivismo oggettivizzante, in cui una teocrazia
si sostituiva al concetto di Dio. Allo stesso tempo, non si poteva sottovalutare che,
dal punto di vista culturale, sarebbe stato necessario oltrepassare la costrizione
dell’identità della civiltà slava smitizzando il ruolo del suolo. Se da una parte,
dunque, vi era una Chiesa che rappresentava l’autorità spirituale e si faceva
portavoce di un universalismo ateo, dall’altra la Chiesa era il luogo della
trascendenza in cui la manifestazione di Dio avveniva tramite il mistero del rito.
Emergeva la necessità di una nuova visione del processo storico che, non solo
superasse il ruolo di una Russia cristallizzata in una posizione schiava
dell’ortodossia a fronte di un’Europa nichilista e spiritualmente disgregata, ma che,
per la prima volta, consentisse il confronto su di un terreno comune su cui porre le
fondamenta di una Chiesa universale in cui Occidente e Oriente fossero
complementari.
Nella sintesi tra Filosofia e Teologia, Vladimir Sergeevič
Solov’ëv, attraverso una profonda analisi speculativa e ripercorrendo i temi che
avevano connotato la teoresi del mondo russo, fissò i presupposti di tutta la nuova
filosofia religiosa.
La pietra angolare del pensiero di Solov’ëv è l’idea di un’unità ontologica tra creato
e increato, trascendente e immanente, Dio e mondo. Vi è dunque una unità
sostanziale tra ciò che è divino e ciò che non lo è; la coesistenza delle due realtà,
che, sebbene intuite separatamente risultano indissolubili e inscindibili, genera
un’antinomia apparente; l’incarnazione di Cristo è la rappresentazione plastica di
questa dualità riconducibile ad una sola sostanza, fondamento del reale, è la teofania
che costituisce il mondo, il divino si confonde nella materia. Secondo il pensiero di
Solov’ëv, la Sofia come sapienza divina, ricompone l’antitesi intrinseca al Logos
incarnato e diventa unione tra mondo divino e mondo della materia, riconducendola
a un’unica totalità.
“In quanto unitotalità Sofia ha un duplice volto: da un lato come “unità del tutto” essa è la
ragione stessa della vita di Dio, […] in cui comprende in sé stesso la totalità del reale […]
23
destinato pertanto una volta che sarà chiamato ad esistere, ad attuarsi come Suo corpo.
Dall’altro come “tutto nell’unità” […] essa si costituisce come anima del mondo
esprimendo in questo suo aspetto il desiderio insito nel tutto di esistere come corpo di
Dio…”51.
La necessità dell’esistenza intesa come progetto della creazione non è tuttavia
pensata compiuta in sé, ma piuttosto organismo che si realizza nel tempo. In questo
quadro, l’uomo è considerato fin dall’inizio essere attivo nell’opera della creazione;
l’uomo è artista della materia, è aristotelicamente colui che trasforma la potenza in
atto, quindi insieme a Dio, partecipa alla creazione. La dialettica che si apre tra la
libertà di aderire al disegno divino, oppure proclamare il diritto alla propria libertà,
induce l’uomo a preferire quest’ultima, isolandolo in un malevolo solipsismo, causa
del disordine della creazione. Tale caos, tuttavia, non può disconoscere la Sofia,
che si manifesta nel creato attraverso la natura, a testimonianza che Dio non ha
abbondonato il mondo: il male non può negare la sua presenza. L’incarnazione di
Dio e la successiva resurrezione di Cristo, Dio e uomo, è lo strumento di redenzione
sulla base di una nuova alleanza con Dio; redenzione che si manifesta
nell’imitazione di Cristo: la morte diventa ricostituzione della totalità del tutto in
Dio, in un neoplatonico ritorno all’unità originaria.
“Il nostro mondo – afferma Solov’ëv – è il regno del deforme non del bello, è il regno della
morte non della vita: esso in altri termini, è il cimitero del corpo di Dio, non quello della
sua realizzazione. Non è, insomma, il regno di Cristo ma quello dell’Anticristo […] Ma
come la morte di Cristo ha segnato la sua resurrezione, così la morte del mondo la sua fine
apocalittica – significherà la sua resurrezione e il passaggio dall’arte di questo mondo al
mistero divino umano della teurgia”52.
Se il Cristo divide e distingue il vero bene dal male, in un atto creativo in comunione
con il Divino, l’Anticristo trasfigura il bene autentico in un bene anestetico,
taumaturgico; in contraddizione con sé stesso falsifica il male, in modo tale da non
far distinguere una deformità vera da una finta perfezione. L’anticristo è punto
estremo della storia in cui il tutto indistinto, senza forma, è il punto di fine e di
inizio, è la fine del tempo. In questa dimensione apocalittica del pensiero di
51
CANTELLI C., op. cit., p. 134.
SOLOV’EV V. S., I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, trad. di Faccioli G., Torino, 1975,
cit. in CANTELLI C., “Filosofia russa” in Filosofie nel mondo, a cura di Melchiorre V.,
Bompiani, Milano, 2014, p. 138.
52
24
Solov’ëv trova corrispondenza l’idea del superuomo di Nietzsche, a cui il filosofo
russo attribuisce un intimo significato religioso. L’uomo, divinizzato nella visione
quasi profetica di Nietzsche, incarna la prospettiva della perfezione assoluta in cui
la morte viene sconfitta definitivamente e il Superuomo-Cristo, in una sorta di
catarsi, trasferisce all’uomo il potere di plasmare il mondo. In questa dimensione
assolutamente simbolica, il superuomo di Nietzsche trasforma il cristianesimo in
una nuova dottrina della creatività; si palesa il nuovo Demiurgo e all’estetica
teurgico religiosa si aggiunge un nuovo elemento. In questo modo il Logos
incarnato si sposa concretamente con l’idea di Nietzsche: non è pensabile una
realtà vera contrapposta ad una apparente. Il Cristo di Solov’ëv, ribaltando il
concetto neoplatonico della materia come non-essere, rivela nella materia non la
negazione del sovrasensibile ma la sua affermazione.
Per tutto il primo novecento il pensiero filosofico russo fu in gran parte influenzato
dal simbolismo che scaturiva dal pensiero di Solov’ëv; l’attesa apocalittica di un
nuovo tempo, la speranza di un mondo nuovo, intatto e incorrotto, era la cifra di un
“laboratorio spirituale”53, di una nuova estetica, il preludio di una rinascita in cui
il cristianesimo si riappropriava della storia degli uomini. Nell’idea di Solov’ëv, se
si aspirava all’unità di una Chiesa che fosse realmente universale, il cattolicesimo
avrebbe dovuto assumere una posizione dominante rispetto all’ortodossia, che
giaceva confinata nel recinto della conservazione. Nei fatti, secondo Solov’ëv, il
compito storico di una Chiesa universale, a cui spettava il potere salvifico di
redimere l’Europa, doveva essere assolto dal cattolicesimo. Tale disegno si rivelò
subito politicamente inconsistente: l’intelligencija russa che contava si dimostrò
estremamente critica nei confronti di tale progetto. Il cattolicesimo come punto di
riferimento universale sottraeva alla Russia il mito della Terza Roma54, a
53
CANTELLI C., op. cit., p. 165.
Sull’argomento sono interessanti alcune considerazioni di Augusto Del Noce che vale la pena
riportare “Il ritardo storico della Russia starebbe nell’essere ancora in parte prigioniera dei miti. […]
la coscienza mitica non è solamente un residuo della coscienza originaria, sopravvissuta al dominio
del pensiero razionale, ma qualcosa di così necessario all’essere umano per incontrarsi e orientarsi
nel mondo dello stesso pensiero razionale; che il mito si incontra necessariamente nella discesa della
coscienza religiosa alla realtà politica, come unione del naturale e del soprannaturale dovuta
all’intervento di una forza celeste; che l’idea della città santa quale centro ordinatore è quindi
essenziale all’affermazione del sacro come realtà; che questa fu l’origine del mito di Roma, sorto
nella coscienza pagana per cui “Roma è una teofania, è la rivelazione del potere divino della storia,
potere che non si manifesta in un ordine naturale, né primordialmente in un ordine morale, ma in un
ordine politico” e successivamente cristianizzato “il suo destino essendo segnato sin dalle origini da
una specie di ierofania; è la mediatrice tra l’ordine cosmico e l’ordine umano; è strumento di
54
25
dimostrazione di come i nazionalismi giocassero ancora un ruolo fondamentale
nella percezione della Russia e della sua funzione rispetto ad una dimensione
europea.
Il nazionalismo era un elemento che poneva non poche questioni, a cominciare dalla
sua definizione, e apriva un dibattito che sarebbe rimasto irrisolto. L’idea di
nazione, per Solov’ëv, era un concetto senza verità in sé, essendo un soggetto
storico-politico relato ad un ente etico superiore. L’impossibilità di realizzare
l’ideale di una Chiesa universale, retta da una teocrazia, spinse Solov’ëv ad una
rigorosa critica nei confronti del nazionalismo russo, sostenuto dall’autocrazia
ortodossa e, contemporaneamente, ad un altrettanto severo e definitivo giudizio nei
confronti della decadenza culturale e spirituale dell’Occidente.
La riflessione filosofico religiosa, per quanto non avesse ancora terminato il suo
percorso, si sarebbe dovuta confrontare su di un altro terreno: quello delle istanze
politico sociali, del razionalismo e del materialismo marxista.
salvezza giacché Roma pur non essendo una divinità, è mezzo o agente della divinità; è l’unica
forma politica coincidente con la struttura divina del mondo; è l’instauratrice della pace politica; è
la trasformatrice della pluralità in unità”; che non diversa fu l’origine del mito di Mosca come “Terza
Roma”, perché, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e la definitiva liberazione del vassallaggio
rispetto ai mongoli nel 1480, Mosca poté considerarsi erede di Bisanzio, pretendente perciò ad un
impero ecumenico, in opposizione all’Occidente”., in https://ildomaniditalia.eu/mosca-il-mitodella-terza-roma-e-leresia-occidentalista-un-saggio-vecchio-ma-attuale-di-del-noce/ /
26
Capitolo 4. Il marxismo in Russia
L’isolamento della Russia e il suo conseguente declino furono la spinta decisiva per
uno sviluppo industriale che si rivelò rapidissimo e produsse un considerevole
aumento della popolazione urbana. Già nel corso del XIX secolo, l’attività estrattiva
e gli impianti metallurgici degli Urali erano i più importanti del mondo; il Donbass,
favorito da un piano statale di sviluppo della rete ferroviaria, diventò una delle aree
a più alto investimento estero55. La crescita tumultuosa delle città e delle attività
industriali determinarono la nascita di una nuova classe sociale che mise in crisi il
sistema russo, storicamente basato sulla cetualità. Alessandro II56 varò un piano di
riforme che prevedevano lo smantellamento delle categorie cetuali; tuttavia,
proprio la necessità di controllare masse di lavoratori che non corrispondevano più
ad un vecchio modello sociale e produttivo, rese necessario mantenere in vigore
alcuni dispositivi che, di fatto, limitavano mobilità e crescita:
“Rimasero così i passaporti interni per i contadini, vennero create banche della terra per
nobili e agricoltori, le elezioni agli zemstva (consiglio amministrativo distrettuale ndr)
avvenivano mediante curie cetuali e lo status di appartenenza all’aristocrazia continuò ad
avere importanza nelle nomine ad alti incarichi amministrativi o militari”57
La difficoltà di categorizzare gli operai nel sistema sociale tradizionale obbligò a
registrare questi ultimi all’interno del corpo sociale più numeroso, ovvero quello
dei contadini. Le condizioni di lavoro degli operai erano pesantissime; gli orari
erano massacranti, la turnazione diurna e notturna interessava anche donne e
bambini, non esisteva alcun tipo di tutela e, ovviamente, scioperi e sindacati erano
illegali. Si stava formando spontaneamente una classe di lavoratori, così gli operai
ormai si definivano, ma “per trasformare una forza lavoro eterogenea in una classe
operaia sarebbero stati necessari un’attività politica e una contestazione
ideologica”58.
SMITH S. A., op. cit., p. 49.
Alessandro II 1818-1881, è passato alla storia come l'autore delle grandi riforme. Soprannominato
lo “Zar Liberatore”, abolì la servitù della gleba e introdusse un nuovo modello di amministrazione
locale.
Venne
ucciso
per
mano
di
rivoluzionari-terroristi.
https://it.rbth.com/cultura/2016/09/12/alessandro-ii-lo-zar-del-sangue-versato-che-rivoluziono-ilpaese_629275
57
SMITH S. A., op. cit. p. 53.
58
Ivi, p. 55.
55
56
27
Nel 1867 venne autorizzata dalla censura la pubblicazione in russo della prima parte
di Das Kapital:
“La censura ne autorizzò la pubblicazione in quanto ritenne che pochi in Russia sarebbero
stati in grado di leggerla e ancor meno di capirla. La diagnosi fu sbagliata: nell’arco di un
anno ne vennero vendute quasi un migliaio di copie, al punto che Marx dovette constatare
che da nessuna parte come in Russia Das Kapital veniva letto e apprezzato” 59.
Nel decennio successivo le opere di Marx ed Engels furono tradotte grazie
all’impegno della sezione russa della I Internazionale e del gruppo “La liberazione
del lavoro”, all’interno del quale era attivo Georgij Valentinovič Plechanov60, che
sarebbe stato poi definito il “padre del marxismo russo”. Il clima sociale pieno di
tensioni e gli eventi che portarono all’assassinio dello zar Alessandro II ponevano,
al centro della discussione politica, la rivoluzione come strumento di lotta. Per
Plechanov, guardare al marxismo come portatore di una teoria di carattere
scientifico-materiale, piuttosto che etico morale, forniva una giustificazione storica
della rivoluzione come strumento di liberazione. Plechanov, con una chiara
consapevolezza sociale e politica, poneva il problema della classe contadina,
incapace di costituire la struttura portante del nascente socialismo.
Tutto sembrava indicare che le masse rurali, assimilate nel sistema di potere zarista,
si stessero posizionando in una fase di sviluppo di tipo capitalista; quindi, non i
contadini, ma i proletari sarebbero stati i fautori della rivoluzione: “la Rivoluzione
russa trionferà come rivoluzione proletaria o non trionferà affatto”61. Il dibattito
filosofico, sollecitato dagli accadimenti, concentrava la propria riflessione su temi
di carattere socio politico quali il populismo, i movimenti radicali, contraddistinti
da azioni violente e dalla conseguente repressione zarista62, la mancata insurrezione
popolare e, soprattutto, sulla prospettiva rivoluzionaria prefigurata dalla teoria
marxista.
“Narodnaja volja (Volontà del popolo) aveva messo in crisi due principi fondamentali del
credo populista: l’idea della vocazione rivoluzionaria della massa contadina (rivelatasi
59
CANTELLI C., op. cit., p. 140.
Plechanov G. V., 1856-1918 socialista e teorico marxista, inizialmente populista, dopo il 1880,
rifugiatosi all'estero, P. aderì al marxismo, contribuendo alla sua diffusione in Russia. Fu tra i
fondatori del Partito socialdemocratico operaio russo. Vicino alle posizioni dei menscevichi, si
oppose alla Rivoluzione dell'ottobre 1917.
61
Intervento di Plechanov alla II Internazionale di Parigi del 1889, in SMITH S. A., op. cit. p. 57.
62
CANTELLI C., op. cit., p. 143.
60
28
invece una forza strettamente integrata al sistema autocratico russo che il populismo si
proponeva di abbattere) e la convinzione, correlata alla precedente idea, che fosse possibile
realizzare il socialismo in una società arretrata come la Russia senza passare attraverso uno
sviluppo capitalistico-borghese”63.
Nella tradizione filosofica russa, uno degli elementi fondanti del pensiero era la
visione di un’umanità universale, che vedeva nel proprio destino la rinascita dopo
l’apocatastasi. L’autorealizzazione dell’umanità64 quale strumento di liberazione
delle masse, schiacciate sotto il peso dello sfruttamento capitalista, si incardinava
perfettamente all’interno del pensiero filosofico russo.
La palingenesi che il marxismo lasciava intravedere nel futuro della Russia era
dimostrata da “ragioni scientifiche”65; l’azione rivoluzionaria era la conferma di
una concezione del divenire storico che poggiava su basi razionali. Il legame
intrinseco tra socialismo e capitalismo implicava che la rivoluzione avrebbe potuto
tradursi sul piano della realtà solo, e se, ci fosse stato un pieno sviluppo del
capitalismo stesso. Su tale analisi venivano spazzate via tutte le istanze populiste e
le illusioni di una classe contadina che, avviluppata storicamente nel potere delle
oligarchie espressione del dispotismo zarista, era culturalmente impossibilitata ad
intervenire nel processo di trasformazione della società russa.
Proprio le riforme varate da Alessandro II furono il detonatore di uno sviluppo
capitalistico che, in tumultuosa crescita, indicava chiaramente il percorso
ineludibile che il marxismo avrebbe dovuto intraprendere. Infatti, la fase
capitalistica, non ancora compiutamente realizzata, generò, come primo effetto,
l’emergere di una classe borghese intellettualizzata e conscia del proprio ruolo
sociale e storico in seno alla Russia. Il carattere della lotta borghese contro
l’arretratezza economica e sociale non rappresentava solo l’affermazione di
interessi economici e di classe, ma, a differenza della visione di Plechanov, era
anche una prospettiva etica e morale che incarnava l’intima idealità del popolo
russo, chiamato finalmente a realizzare la propria futura rinascita attraverso un
nuovo processo di purificazione, sotto l’ideale della rivoluzione socialista.
63
CANTELLI C., op. cit., p. 143
Cfr. p. 26
65
CANTELLI C., op. cit., p. 145.
64
29
L’emergente borghesia, che si connotò come unica forza autenticamente
progressista, si fece interprete della necessità dello sviluppo capitalistico come
ineludibile momento della via al socialismo. Si costituì in quel periodo un gruppo
di intellettuali borghesi, tra cui P. Struve, S. Bulgakov, N. Berdjaev, S. Frank, per
citarne alcuni, che furono definiti “marxisti legali” perché non soggetti a censura
proprio per il loro programma ideologico che, se da una parte era una lettura
ortodossa del pensiero marxista, dall’altra poneva la questione del capitalismo come
mezzo di emancipazione della società russa; tale programma si risolveva non più in
un movimento rivoluzionario per realizzare il socialismo, ma in un processo
riformista che anticipava le istanze revisioniste di Bernstein66: “Il socialismo […]
veniva infatti presentato non come la negazione del capitalismo ma solo come il
suo coronamento, come il capitalismo stesso nella sua forma perfetta”67. Per poter
usufruire di una relativa libertà d’azione, grazie alla mancanza della censura, il
gruppo dei marxisti rivoluzionari di Plechanov si avvicinò a quello dei marxisti
legali; entrambi i gruppi parteciparono al congresso di Minsk del 1898 in cui fu
fondato il Partito Operaio Socialdemocratico Russo. Tuttavia, ben presto, la
collaborazione mostrò tutti i limiti dovuti alla diversa impostazione ideologica e il
confronto si consumò su uno dei cardini teorici del marxismo, che vedeva nel
materialismo storico la realizzazione del socialismo. Per i marxisti legali, l’avvento
del socialismo era il frutto complessivo di un approccio scientifico a cui si
aggiungevano elementi etici mutuati dalla tradizione filosofica russa. Tale
prospettiva determinò una frattura insanabile: la frangia rivoluzionaria e radicale
del POSDR accusò i legali di una deriva liberale; questi ultimi, a loro volta,
definirono “il socialismo scientifico come una forma evoluta di positivismo che non
lasciava spazio all’esercizio critico morale dell’individuo nella storia”68. La rottura
determinò
lo
scioglimento
del
movimento
dei
marxisti
legali
e,
66
Bernstein E., 1850 - 1932 fu uno dei massimi esponenti del socialismo della Seconda
Internazionale. Fin dal 1872, egli è iscritto al Partito Socialdemocratico: collabora direttamente con
Marx ed Engels. Tra il 1896 e il 1903, egli è al centro del dibattito marxista per via della sua ardita
proposta di revisione radicale del marxismo in direzione riformistica e anticlassista. Nel 1896,
Bernstein pubblica sulla rivista Die neue Zeit una ricca serie di articoli sui Problemi del socialismo:
nel 1899, egli raccoglie questi articoli in un saggio a cui dà il titolo di I presupposti del socialismo
e i compiti della socialdemocrazia. Tutti questi scritti, al di là delle tante differenze che li
caratterizzano, hanno come comun denominatore l’esame critico del concetto marxiano di
rivoluzione: la tesi bernsteiniana è che la nozione marxiana di rivoluzione sarebbe del tutto infondata
sul piano filosofico, economico e sociologico., in https://www.filosofico.net/bernstein.htm
67
CANTELLI C, op. cit., p. 143.
68
Ivi, p. 146.
30
contemporaneamente, per merito di Pëtr Struve, l’avvento del pensiero politico
liberale russo, che costituirà il fulcro del futuro partito Cadetto e, successivamente,
dopo il 1917, la forza controrivoluzionaria dell’armata bianca, storica antagonista
della repubblica dei soviet. Proprio nell’armata bianca lo stesso Ivan Aleksandrovič
Il’in aveva riposto la speranza di una rinascita della Russia e ad essa aveva
ricondotto la sua “Idea Bianca”69.
La rapida trasformazione ideologica aprì ad una nuova riflessione: il neo kantismo
e l’idealismo trascendentale, unitamente a una metafisica di tipo religioso, furono i
punti di riferimento su cui poggiarono i presupposti di una nuova filosofia che si
tradusse nell’evoluzione del pensiero di V. Solov’ëv e nella rinascita spirituale
russa dei primi decenni del novecento.
69
Cfr. nota 25, p. 13
31
Capitolo 5. Bolscevismo
Negli ultimi due decenni del XIX secolo la scuola del marxismo russo si era già
data una propria dimensione e una tradizione che appariva ormai consolidata. Le
opere di Marx ed Engels erano state ampiamente tradotte, soprattutto per merito di
Plechanov; inoltre, erano state pubblicate diverse analisi critiche sulla dialettica e
la concezione materialistica della storia. La dottrina enunciata nella “Dialettica
della Natura”70 di Engels costituiva, dal punto di vista ideologico, un punto di
riferimento fondamentale: “…il pensiero marxista non era un metodo ma un dogma,
in quanto conteneva le leggi dialettico materialistiche universali che erano alla base
sia della realtà naturale sia della società umana, della sua struttura e del suo
sviluppo”71. Per quanto ormai la strada del capitalismo fosse imboccata, il quadro
complessivo della società russa mostrava ancora una serie di criticità che,
oggettivamente, impedivano l’attuarsi del socialismo. La sua struttura fortemente
autocratica, l’arretratezza delle componenti economiche, una classe imprenditoriale
ancor debole e dipendente dagli investimenti stranieri, e, non ultima, la
sproporzione tra le classi sociali72, erano il dato saliente con cui l’intelligencija
rivoluzionaria doveva confrontarsi per pianificare una crescita che fosse
effettivamente l’evoluzione di un processo scientifico. Concretamente, andava
creata una classe borghese e industriale che si facesse carico di una metamorfosi
socio economica che ponesse le basi della precondizione necessaria all’avvento
della rivoluzione, ossia lo sviluppo di una società, nel suo insieme, capitalistica. La
trasformazione dell’ideologia marxista in una verità rivelata veniva incontro alle
attese di quella parte dell’intelligencija delusa dai fallimenti di un velleitario e
violento populismo e riapriva la speranza di poter essere partecipi di una
rivoluzione che conteneva in sé i crismi di un rinnovamento totale. Questa attesa,
“La nuova dialettica oggettiva si basa per Engels su tre leggi fondamentali, di queste va colto il
profondo valore materialista: per discernere a fondo la società è necessario […] analizzare la
relazione struttura-sovrastruttura in cui è diviso l’esistente e discernere l’oggettivo. La natura deve
essere concepita in modo dialettico, la ricerca scientifica lo obbliga. In questo processo si inseriscono
le tre leggi che si pongono alla base del materialismo dialettico: la legge della conversione della
quantità in qualità e viceversa; la legge della compenetrazione degli opposti; la legge della negazione
della negazione. Per Engels il movimento è lo stato d’esistere della materia e nei suoi mutamenti
essa è indistruttibile ed eterna: la storia non è soltanto storia di lotta di classi, ma anche storia delle
perpetue
trasformazioni
della
materia”.
In
https://revolucionvoxpopuli.wordpress.com/2020/03/20/engels-e-la-dialettica-della-natura/
71
CANTELLI C., op. cit. p. 148
72
Cfr. p.36-37, le masse rurali rappresentavano la maggioranza in un Paese caratterizzato da forti
squilibri e dal retaggio feudale espressione del sistema di potere attraverso le aristocrazie.
70
32
dai contorni messianici, si poneva, ancora una volta, in continuità con la tradizione
russa, in cui la visione del mondo conteneva una dimensione trascendente che
vedeva nel popolo russo il fautore di un rinnovamento universale.
Si costruiva una vera e propria filosofia della storia in cui lo spirito di un popolo si
manifestava attraverso il suo compito; si apriva così, dal punto di vista culturale, il
dramma hegeliano dell’autocoscienza: da una parte la percezione chiara della
propria condizione deficitaria e dall’altra l’indicibile richiamo della propria
missione. In ultima analisi, la situazione di arretratezza della Russia la relegava ai
margini della modernità europea, la cui maturità economica e sociale conteneva i
presupposti per l’avvento della rivoluzione socialista; alla Russia veniva così
sottratta la missione trascendente della lotta per la rivoluzione come momento di
purificazione e rinascita universale. L’aporia che derivava tra l’essere e il dover
essere si doveva quindi comporre all’interno di una nuova analisi critica del
marxismo, che consentisse una nuova applicazione di prassi e teoria, in un contesto
come quello della società russa nella quale coesistevano il fervore della modernità
e la convinta percezione di dover assolvere ad un compito storico e messianico.
L’apparire sulla scena politica di Lenin determinò quella svolta dal punto di vista
culturale che avrebbe inciso definitivamente sul marxismo russo. Il nuovo corso a
cui Lenin diede inizio assecondava la spinta interventista dell’intelligencija, che lo
stesso Lenin incoraggiò trasfondendo un volontarismo che assunse i toni
dell’urgenza rivoluzionaria; allo stesso tempo, dal punto di vista teorico, iniziò un
confronto politico con l’idea revisionista di Bernstein. Tale confronto, in realtà, era
teso a dimostrare una sola cosa: che lo sviluppo del capitalismo in società mature
“consentendo alla classe operaia di fruire delle libertà borghesi e di conseguire
miglioramenti progressivi nel proprio tenore di vita, avrebbe trasformato l’istanza
rivoluzionaria del proletariato in prassi riformistica”73.
La situazione illustrata da Lenin dimostrava, quindi, che il proletariato non
adeguatamente educato, si sarebbe adattato a condizioni di carattere borghese
capitalistico. La ragione scientifica della rivoluzione doveva necessariamente
essere legata in maniera indissolubile alla volontà rivoluzionaria della classe
operaia che, come dimostrava la tendenza revisionista, aveva bisogno di una guida
73
CANTELLI C., op. cit. p. 150.
33
forte, rappresentata dal Partito Operaio Socialdemocratico Russo, al cui interno
“…un ristretto gruppo di intellettuali che, in possesso dei necessari strumenti critici
del pensiero, sarebbero stati depositari degli autentici e reali interessi del nascente
proletariato”74. Si veniva così a creare una classe dirigente che avrebbe assicurato
centralismo e unitarismo, senza che dall’esterno fosse possibile una qualsiasi
interazione tale da produrre una qualche deviazione dall’obiettivo della rivoluzione
socialista.
Nel 1903, a Londra, in occasione del secondo congresso del POSDR, si
confrontarono le posizioni massimaliste di Lenin, il gruppo appunto dei
bolscevichi75, e quelle moderate dei menscevichi76 di Plechanov. Questi ultimi, in
minoranza, paventando la trasformazione di un grande partito di massa in un
movimento fortemente radicale, diretto da un vertice la cui prospettiva politica,
fondamentalmente, tradiva lo spirito marxista secondo il quale “…è il proletariato
che matura da sé stesso la coscienza antagonista di classe”77, usciranno sconfitti dal
congresso. Per i menscevichi la rivoluzione avrebbe dovuto essere una rivoluzione
borghese, in cui la borghesia si faceva capofila della modernizzazione della Russia;
solo in un secondo tempo la rivoluzione socialista poteva affermarsi storicamente.
Si configurava, secondo i menscevichi, un’egemonia borghese che si faceva
portavoce delle istanze della classe operaia che lasciava appunto alla borghesia le
questioni di carattere politico. In questo scenario, il materialismo storico,
procedendo per tappe, assumeva i contorni di un percorso darwiniano, di una
progressiva evoluzione che, di fatto, proponeva una “rivoluzione democratica”78.
La lotta di classe veniva in questo modo formalmente abbandonata.
Per Lenin non sarebbe stato possibile accettare una posizione dominante della
borghesia, dato che solo nella consapevolezza del ruolo della classe operaia vi era
la possibilità di una vera rivoluzione socialista; ne conseguiva, su questo
presupposto, che la borghesia, per sua natura, era controrivoluzionaria e avrebbe
finito per realizzare un programma di alleanze con le forze autocratiche, tale da
impedire l’emancipazione della classe lavoratrice. Solo il partito operaio
74
Ivi, p. 151.
Dal russo bol′ševik «maggioritario» tratto da bol′šenstvo «maggioranza»
76
Appartenente alla frazione di minoranza men´ševik «minoritario»
77
CANTELLI C., op. cit., p. 151
78
Ivi, p. 152
75
34
socialdemocratico, autentico interprete del socialismo e coscienza vivente del
proletariato, avrebbe condotto la classe operaia e le masse contadine ad una
rivoluzione democratica contro la borghesia. Nasceva così il concetto di “dittatura
del proletariato e dei contadini”. Dal punto di vista della prassi, la rivoluzione
democratica, prima fase del processo di realizzazione del socialismo, non doveva
produrre il distacco della classe operaia dalla via maestra del socialismo, come
avveniva nelle società mature ed evolute dell’occidente; per evitare tale fenomeno,
la soluzione che si prospettava era “…inserire le due rivoluzioni democratica e
socialista all’interno di un unico processo ininterrotto”79.
Lenin aveva piena contezza della condizione strutturale della Russia; inoltre
sarebbe stato necessario superare un paradosso di ordine teorico. Dunque, se la
rivoluzione fosse stata realizzata in un unico momento, sarebbe stata realizzata non
dalla borghesia ma dal proletariato, in opposizione ad essa; il che, se da un lato
rappresentava il compimento programmatico del partito, dall’altro non realizzava
un progresso economico di carattere capitalistico. Il risultato di questa
contraddizione era il fatto evidente che la Russia avrebbe imboccato la strada del
socialismo senza conseguire uno sviluppo capitalistico e questo avrebbe impedito
la realizzazione completa del socialismo stesso. La scientificità del marxismo,
necessaria per realizzare il socialismo, e le sue precondizioni teoriche, sociali ed
economiche, avevano fortemente penalizzato, dal punto di vista psicologico,
l’intelligencija rivoluzionaria. Le ragioni storico culturali insite nel tessuto della
società russa, le cui aspettative si risolvevano nell’attesa della palingenesi
rivoluzionaria, in cui la Russia avrebbe dovuto essere guida universale, sembravano
esserle sottratte proprio dalla prospettiva del socialismo stesso. Partendo da questa
antinomia, la Russia si sarebbe riappropriata del suo ruolo di artefice del mondo e
lo spirito del suo popolo avrebbe indicato la via della rivoluzione in Occidente.
“Ma la rivoluzione russa rimane tuttavia, e proprio per il suo carattere proletario, nel
particolare significato che ho già indicato, il prologo dell’imminente rivoluzione europea.
È indubbio che questa futura rivoluzione potrà essere soltanto proletaria, nel senso più
profondo della parola, cioè proletaria, socialista anche per il suo contenuto. Questa
rivoluzione dimostrerà in una misura ancora più grande, da un lato, che soltanto le lotte
accanite, cioè le guerre civili, potranno liberare l’umanità dal giogo del capitale e, dall’altro
79
Ivi, p. 153
35
lato, che soltanto i proletari con una coscienza di classe evoluta potranno agire e agiranno
come capi della stragrande maggioranza degli sfruttati”80.
Nella speranza della Russia rivoluzionaria si dischiudeva, dunque, una nuova
fraternità universale, quella socialista.
80
Conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di
giovani operai svizzeri, pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18. in
http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm,
36
Capitolo 6. Domenica di sangue
Scriveva Trockij:
“dopo il 9 gennaio la rivoluzione aveva rivelato il suo potere alla coscienza degli operai. Il
14 giugno, grazie alla rivolta del Potëmkin, aveva dimostrato di essere in grado di
trasformarsi in una forza materiale. Con lo sciopero di ottobre e l’organizzazione del Soviet
ha dimostrato di essere in grado di poter disorganizzare l’avversario e di costituire un potere
fornito di autorità”81.
Il 9 gennaio 1905 del calendario giuliano, un corteo pacifico di centocinquantamila
persone che si rivolgeva al “piccolo padre” per ottenere libertà individuali e
collettive, separazione tra Stato e Chiesa, diritto di sciopero e legalizzazione dei
sindacati, giornata lavorativa di otto ore e la fine dei pagamenti per i riscatti della
terra82, si diresse verso il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo83. L’esercito ebbe
l’ordine di sparare; i manifestanti caddero a centinaia: iniziava la prima delle
rivoluzioni russe.
La “domenica di sangue”, come fu subito chiamato l’eccidio, ebbe l’effetto di
aggregare le anime più diverse di un Paese piegato da una situazione sociale e
storica ormai insostenibile; movimenti operai, borghesia e piccola nobiltà
confluirono in un movimento spontaneo di “lotta di tutta la nazione”84. Nei mesi
successivi la Russia fu teatro di scioperi e manifestazioni; la pesantissima crisi
economica, causata anche dalla guerra con il Giappone, che si concluse solo nel
1905 con l’umiliante Pace di Portsmouth, acuì le tensioni che sfociarono in
ribellioni cruente. Durante l’estate il movimento liberale assunse un ruolo sempre
più importante anche in seno alle organizzazioni operaie e, nell’autunno, lo zar
81
https://www.dinamopress.it/news/domenica-sangue-krobaboe-voskresene-9-gennaio-1905/
Cfr. p. 23.
83
conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di
giovani operai svizzeri, pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18. “Noi, operai, abitanti
di Pietroburgo, siamo venuti da Te. Noi siamo schiavi miserabili e umiliati, oppressi dal dispotismo
e dall’arbitrio. Quando il calice della pazienza fu colmo, cessammo di lavorare e pregammo i nostri
padroni di darci quel tanto senza di cui la vita è un supplizio. Ma tutto questo ci fu rifiutato, tutto
questo sembrò illegittimo agli industriali. Noi che siamo qui in molte migliaia, al pari di tutto il
popolo russo, non abbiamo nessun diritto umano. Grazie ai Tuoi funzionari, siamo diventati
schiavi.” La petizione elenca le seguenti richieste: amnistia, libertà civili, salario normale, passaggio
graduale della terra al popolo, convocazione di un’Assemblea costituente mediante il suffragio
universale e uguale, che si conclude con queste parole: “Signore! Non rifiutarTi di aiutare il Tuo
popolo! Abbatti il muro che Ti divide dal Tuo popolo! Ordina e giura che i nostri voti saranno
appagati e Tu renderai felice la Russia. Se non lo farai, siamo pronti a morire qui. Noi abbiamo due
sole vie: o la libertà e la felicità o la tomba”., in http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm.
84
SMITH S. A., op. cit. p. 61
82
37
Nicola II accettò, in via del tutto informale, di istituire un’assemblea consultiva.
Tuttavia, ormai la situazione non era più sotto controllo; quella che poteva sembrare
una concessione fondamentale, come la creazione di un parlamento, non sortì
l’effetto di attenuare le tensioni e gli scontri o di ottenere una tregua che potesse, in
parte, ricomporre un quadro sociale profondamento compromesso. I tempi erano
ormai maturi per una svolta di carattere politico. Nel corso del mese di ottobre si
costituirono due entità che avranno un ruolo fondamentale nella storia della
rivoluzione: il Partito dei Cadetti, di ispirazione democratica e liberale, e il primo
soviet a Pietrogrado, ad opera di alcuni leader menscevichi. Proprio il soviet, che
assunse in maniera spontanea compiti di governo locale, fu presto riconosciuto
come ente la cui autorità fu seguita anche da altre amministrazioni regionali; a
dimostrazione della totale indipendenza da qualsiasi forma di organizzazione che
fosse legata a partiti, il primo atto politico del soviet fu quello di respingere in toto
la proposta di programma del POSDR: “ora non esistono più partiti”85.
Questa nuova ancorché imprevista istituzione in poco tempo divenne un punto di
riferimento e, proprio per il suo carattere spontaneamente comunitario in grado di
agire sul territorio, appariva capace di esercitare un potere alternativo alla struttura
autocratica zarista; l’incapacità dello Stato a contenere l’ondata di scioperi e
ribellioni rese inevitabile, per Nicola II, emanare il Manifesto di Ottobre. Con tale
atto furono garantiti diritti civili e l’istituzione di un’assemblea legislativa, la Duma,
il cui suffragio però, per quanto ampio, era su base discriminante. Nonostante le
importanti concessioni, il malcontento continuò a dilagare. La Chiesa ortodossa
stessa vide peggiorare i suoi rapporti con lo Stato. L’editto del 17 aprile 1905
consentiva infatti la libertà di coscienza in materia di adesione a fedi diverse da
quella ortodossa; il clero ortodosso considerava il provvedimento un attentato
all’identità russa e si adoperò per impedire la conversione del decreto in legge.
Nicola II inasprì ulteriormente i rapporti con l’autorità religiosa, sino a negare
l’autorizzazione alla convocazione di un sinodo, che non si teneva dal 1681. Da
quel momento la Chiesa ortodossa si sarebbe allontanata progressivamente dallo
zar, sino ad abbondonarlo completamente con la rivoluzione di febbraio del 1917.
85
Ivi, p. 65
38
Gli eventi della prima rivoluzione del 1905 se da un lato appaiono una specie di
incidente in cui un’autorità al crepuscolo, il potere zarista, non può far altro che
concedere e reprimere nello stesso tempo, oppure, come altri hanno sostenuto86, il
frutto di azioni di infiltrati che agiscono come agenti provocatori, fu molto più
realisticamente il punto di non ritorno di una società sofferente, vittima di grandi
disuguaglianze sociali. L’industrializzazione a tappe forzate della fine del XIX
secolo, che doveva essere l’occasione di una modernizzazione complessiva della
società russa, imponeva nei fatti, un sacrificio enorme a gran parte del Paese, dedito
all’attività contadina. Si assisteva così ad una contraddizione interna tra una classe
sociale emergente, rivolta verso il miraggio della modernità, trascinata dalle élites
liberali delle città e una classe contadina che aspettava una redistribuzione della
terra nel rispetto del principio conservativo di autogoverno.
Emblematico, in questo senso, il tentativo del potere autocratico87 di smantellare
l’istituto dell’obščina, visto come elemento di tradizionalismo patriarcale e feudale,
ma il cui ruolo, proprio sotto la spinta delle istanze rivoluzionarie, diventava il
punto di aggregazione della rivolta contadina. Era evidente che la replica, in Russia,
di modelli sociali europei basati sull’industrializzazione e lo smantellamento
forzato delle strutture organizzate di autogoverno agricolo per creare una piccola
proprietà frazionata e diffusa, fu un clamoroso abbaglio; la vagheggiata modernità
di tipo europeo si dimostrò incompatibile con l’idea di sviluppo che la Russia
contadina aveva di se stessa e del Paese, il quale stava andando verso una
prospettiva socialista, in grado di soddisfare le richieste di terra e giustizia.
Probabilmente la rivoluzione sociale fagocitò una rivoluzione politica, che doveva
essere liberale, ma che provocò solo la volontà di repressione dell’autocrazia.
L’incapacità del potere zarista di dar seguito a qualsiasi atto di autentico
rinnovamento era il limite invalicabile di un regime ottuso che sapeva solo servirsi
della polizia politica88 per arginare il dissenso e gli avversari politici. Lo stesso
FERRETTI M., in Lo straniero, a. X, n.77, novembre 2006, pp.50-58, “Perché la rivoluzione del
1905 non fu, come sembra suggerire oggi la nuova vulgata dominante, che rianima paradossalmente
i vecchi clichés della storia ufficiale sovietica invertendone i segni, una rivolta forse di popolo sì,
ma sapientemente orchestrata da abili rivoluzionari di professione, ovvero una protesta di facinorosi
minoritari nel paese, sfuggita al controllo di autorità troppo deboli. La rivoluzione del 1905 fu a mio
avviso la prima rivoluzione provocata dalle tensioni sociali che l’irruzione della modernità in un
paese arcaico, povero e arretrato, aveva esasperato fino a portarle al punto di rottura”.
87
Ad opera del Primo Ministro Pëtr Stolypin succeduto a Sergej Jul’evič Witte nel 1906.
88
Nella Russia zarista, l’Ochrana, la polizia politica segreta fondata nel 1881 dopo l’assassinio
dell’imperatore Alessandro II.
86
39
Manifesto di Ottobre, che consentiva libertà consultive, si dimostrò inefficace; la
Duma, negli anni a seguire, fu sciolta innumerevoli volte. La rivoluzione del 1917
fu sicuramente in continuità, anche se in modo non coerente, con quella del 1905,
anche se quest’ultima non deve esserne necessariamente considerata la causa
scatenante. L’illusione liberale dell’intelligencija, a cui va ascritto, in parte, il
fallimento della rivoluzione del 1905 e la radicalizzazione della classe rurale
mostrava l’estrema fragilità del tessuto sociale e, ancora una volta, la
contraddizione di una Russia alle prese con l’incontro scontro tra arretratezza e
modernità.
“Non c’è ancora in Russia un popolo rivoluzionario”, scriveva due giorni prima della
“domenica di sangue” il signor Pëtr Struve, che capeggiava allora i liberali russi e ne
dirigeva un organo di stampa illegale, libero, pubblicato all’estero. A tal punto sembrava
assurda a questo capo “coltissimo”, […] dei riformisti borghesi l’idea che un paese di
contadini analfabeti potesse generare un popolo rivoluzionario! A tal punto era radicata nei
riformisti di allora - come in quelli di oggi - la convinzione dell’impossibilità di una vera
rivoluzione!”89.
89
Conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di
giovani operai svizzeri, pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18, in
http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm.
40
Capitolo 7. Ottobre
Nel suo celebre saggio dal paradigmatico titolo “Il secolo breve”, lo storico Eric
Hobsbawm racchiude, in un periodo di tempo di 77 anni, ovvero quello che
intercorre dalla Prima Guerra Mondiale alla caduta dell’Unione Sovietica, la storia
dell’intero XX secolo. Questo tempo, testimone del percorso storico e politico del
mondo intero, è stato scandito, in modo particolare, dagli eventi che hanno
trasformato la Russia. In questa prospettiva si può affermare che il secolo breve
coincida in realtà con il tempo che intercorre fra la rivoluzione del 24 ottobre 1917
e la fine, nel 1991, del regime, frutto di quella rivoluzione. Lo stesso Hobsbawm
scrive: “Il mondo che è andato in frantumi alla fine degli anni ’80 era il mondo
formatosi a seguito dell’impatto della rivoluzione russa del 1917”90. Gli eventi che
si sono succeduti in Russia nel volgere di pochi anni, dal 1905 al 1917, sono stati
determinanti nell’indicare il percorso storico dell’intero secolo e ridisegnare gli
equilibri tra Oriente e Occidente. Le sollevazioni del 1905, soffocate nel sangue, la
ribellione spontanea, diffusa e proletaria del 23 febbraio 1917, la conclusione manu
militari della rivoluzione, ad opera di un gruppo sino ad allora minoritario, nella
notte del 24 ottobre, notte in cui i bolscevichi presero il potere, diedero vita al “più
grande esperimento politico e sociale del secolo scorso”91. Fu una rivoluzione
autenticamente popolare, annunciata in maniera emblematica da un atto di coraggio
delle donne operaie; alla lotta contro l’autocrazia zarista e i metodi brutali
dell’Ochrana, si unirono lavoratori, borghesia e studenti, annullando ogni
distinzione di classe e diventando, nel breve volgere di un anno, l’espressione di un
imperativo, il cui slogan “tutto il potere ai soviet”, lasciava presagire non tanto la
libertà delle masse, quanto il loro controllo. Tuttavia, l’insurrezione rivoluzionaria
di febbraio, e i successivi eventi fino all’estate del 1917, furono accolti con favore
dall’intelligencija russa.
La dimensione spontaneamente collettiva della sollevazione e la sua autentica
espressione storica furono colti come un segno di quella specificità culturale in cui
il popolo russo poteva riconoscersi; dal punto di vista politico-sociale, gli
accadimenti rivoluzionari rappresentavano la speranza nell’avvento di una
90
HOBSBAWM E. J., Il secolo breve. 1914-1991, Mondadori, Milano, 2018, p. 16.
ZOLA M., “L’ottobre bolscevico, quando morì la speranza di una democrazia russa”, in East
Journal, 9 novembre 2017, in https://www.eastjournal.net/archives/86938.
91
41
democrazia. La riflessione filosofica, sotto la spinta dello sviluppo del pensiero neo
kantiano e della critica hegeliana, di cui Il’in era stato l’ultimo grande interprete in
Russia, avevano già elaborato il moderno concetto di “stato di diritto”, fondamento
del pensiero liberale del Partito Cadetto di cui Pëtr Struve, ex marxista legale, era
stato l’ispiratore92. Se le aspettative per i rinnovati ideali rivoluzionari di libertà
trovavano la loro piena identificazione politica nei movimenti che davano risposte
a queste aspirazioni, contemporaneamente veniva alimentata un’inquietudine
escatologico-messianica, frutto di una metafisica religiosa, in cui un’umanità
sofferente, attraverso un immane sforzo corale, si trasfigurava: la rivoluzione
diventava mezzo di purificazione. Si annunciava un futuro in cui le masse, riscattate
dalla propria condizione di minorità spirituale e materiale, sarebbero state le artefici
della propria libertà. In questa visione apocalittica, in cui una verità trascendente
veniva rivelata, si riconosceva l’immortale spirito del popolo russo che irrompeva
nella storia e, grazie alla sua “dynamis”, la sua forza creativa, dava vita ad un
rinnovamento spirituale. La rivoluzione veniva percepita come trasformazione
cosmica; la classe operaia annunciava l’avvento di un mondo nuovo, nel quale essa
stessa si faceva interprete, attraverso la consapevolezza “scientifica” del proprio
lavoro, di una nuova fratellanza: la contraddizione tra uomo e natura si dissolveva
nel nuovo ordine universale. Era in questo clima culturale che gli esponenti della
rinascita filosofica religiosa russa, primo fra tutti Berdjaev, accolsero la rivoluzione
di febbraio. Tuttavia, la caduta del Governo di Kerenskij93 nel mese di Ottobre del
1917 e l’avvento del nuovo potere sovietico, i cui primi atti formali furono la messa
al bando del PSR, la censura sulla stampa, la chiusura di quella non bolscevica e il
sostegno esclusivo alla propaganda filosofica marxista, spinsero gli ambienti
filosofici a un definitivo cambio di atteggiamento. La rivoluzione bolscevica era
inequivocabilmente un regime illiberale; per l’intelligencija russa non allineata,
portatrice dei valori di libertà d’ispirazione cristiana e impegno liberal-democratico,
fu molto difficile portare avanti la ricerca ed il dibattito filosofico. La disperata
92
Cfr. pp. 42 e 56
Kerenskij A. F., 1881 – 1970, Socialista moderato, dopo la rivoluzione del febbraio 1917 fu
ministro della Giustizia, poi della Guerra e infine (luglio) primo ministro. Contrario a una pace
separata russa nella Prima guerra mondiale, fu travolto dalla rivoluzione bolscevica nell’ottobre
1917 e costretto alla fuga all'estero.
93
42
resistenza al regime sovietico si spense definitivamente alla fine della guerra civile
con l’esilio di centinaia di intellettuali nel 1922.
Dal punto di vista storico, rimane tuttora aperta la questione fondamentale circa la
natura del ruolo del partito bolscevico durante la rivoluzione d’Ottobre, ovvero se
l’intervento a conclusione di eventi politicamente contradditori sia stato il
deliberato concorso di una volontà generale e non invece un colpo di stato. Rimane
comunque il fatto che il 25 ottobre il Palazzo d’Inverno fu preso d’assalto e
occupato e i rappresentanti del Governo arrestati. Quello stesso giorno fu convocato
il II Congresso dei Soviet; su 650-670 deputati, 300 erano bolscevichi: insufficienti,
senza i circa 80 voti dei socialisti rivoluzionari di sinistra, ad ottenere la
maggioranza necessaria per ratificare l’abbattimento di un Governo che, per altro,
non era mai stato regolarmente e democraticamente eletto. I menscevichi e i membri
del Partito Socialista Rivoluzionario abbandonarono i lavori e denunciarono il
rovesciamento del Governo come un atto di guerra civile. “Trockij urlò loro dietro:
siete dei miserabili falliti, andatevene nel posto che meritate, nella pattumiera della
storia”94. Tuttavia, come testimoniava il menscevico Suchanov: “I bolscevichi
lavoravano caparbiamente e senza sosta: stavano tra le masse, nelle fabbriche, ogni
giorno senza pause […] Le masse erano divenute il loro stesso popolo […] Erano
diventati l’unica speranza”95. Il Governo Kerenskij, alla ricerca della
normalizzazione, fu incapace di trovare la sintesi politica tra la nuova classe
dirigente e le classi popolari; in questo modo favorì la radicalizzazione della classe
operaia, ovvero la bolscevizzazione delle masse. D’altro canto, se non ci fossero
stati l’intervento diretto di Lenin e l’azione militare di Trockij, camuffata da azione
preventiva per contrastare i “controrivoluzionari”, il colpo di stato, se tale era, non
avrebbe mai potuto essere attuato.
Il nuovo Governo Rivoluzionario, denominato Consiglio dei Commissari del
Popolo, era presieduto da Lenin, affiancato da Trockij e Stalin. Alla fine di
novembre si procedeva ad eleggere l’Assemblea Costituente e la maggioranza
assoluta andava ai socialisti rivoluzionari, forti del loro consenso tra l’elettorato
rurale. Il 3 gennaio 1918, la Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e
sfruttato definiva il nuovo Stato una “federazione di repubbliche nazionali
94
95
SMITH S. A, op. cit., p. 160.
Ivi, p. 157
43
sovietiche”. L’Assemblea, riunita per la prima volta il 18 gennaio, venne sciolta il
giorno dopo con un decreto del comitato esecutivo del Congresso Panrusso dei
Soviet. Nel gennaio del 1918, di fronte al III Congresso dei Soviet, Lenin sosteneva:
“Io non mi faccio illusioni: abbiamo soltanto cominciato il periodo di transizione al
socialismo, non siamo ancora arrivati al socialismo. […] Noi siamo lontani anche
dalla fine del periodo di transizione dal capitalismo al socialismo”96. Il partito
bolscevico si poneva così in antitesi con le altre componenti socialiste e con la
tradizione democratica occidentale. Si erano create le condizioni per una dittatura:
cominciava la guerra civile.
96
https://www.popoffquotidiano.it/2017/11/07/cento-anni-fa-la-rivoluzione-russa-scrive-mandel/
44
Capitolo 8. Guerra civile
Tra il maggio 1918 e la fine del 1920 quasi cinque milioni di persone appartenenti
alle armate rosse e bianche, a milizie e a eserciti nazionalisti, morirono in seguito a
combattimenti. Il generale Pëtr Vrangel, uno dei comandanti bianchi, dopo aver
cacciato dal Caucaso settentrionale l’Armata Rossa nel 1919, così ricordava:
“… incontrammo cinque giovani cosacchi con dei fucili […] Dove andate ragazzi? Stiamo
andando a cacciare qualche bolscevico, ce ne sono tanti nascosti fra i canneti, il loro esercito
è scappato. Ieri ne ho ammazzati sette. Questo lo diceva uno dei ragazzi che avrà avuto
circa dodici anni […], come se avesse compiuto qualche grande impresa. Durante l’intero
conflitto non ho mai sentito così intensamente come in quel momento l’orrore estremo di
una guerra fratricida”97.
Questa dolorosa narrazione di una violenza in cui apparentemente gli uomini
perdono ogni capacità morale trova una possibile risposta etica e politica nell’ultima
opera di Platone “Le Leggi”; l’Ateniese, protagonista del dialogo, illustra ai suoi
interlocutori di quale crimine ci si macchia in caso di guerra civile e se tale crimine
implichi una pena: “Se un fratello uccide un fratello durante una sedizione in
combattimento […] sia puro, come se avesse ucciso un nemico e allo stesso modo
se un cittadino uccide un cittadino, o uno straniero uno straniero.”98. La guerra
civile, dunque, non soggiace alle categorie di giusto o ingiusto, puro o impuro; la
guerra civile rende tutti ugualmente degni, e quindi irriconoscibili, e accomuna gli
individui in una dimensione nella quale ciò che ci appartiene, il nostro specifico
biologico, quello che è a noi più intimo, è confuso nell’eterogeneità. Chi è contro o
a favore lo è in maniera indifferenziata. Si può uccidere chiunque. In questo luogo
dell’indefinito, in cui non è possibile riconoscere la propria ascendenza di sangue,
non vi è più rifugio nella propria casa e, allo stesso tempo, non vi può essere la
protezione dello Stato perché la guerra dei fratelli segna la fine della vita civile,
quindi della legge che viene sostituita dall’eccezione. La vita politica perde il suo
luogo d’elezione, che è l’ambito pubblico, e alla sfera del privato viene negata la
facoltà di esercitare il suo diritto su ciò che è proprio99. In questo senso la guerra
97
SMITH S.A., op. cit. p. 172
PLATONE, Le Leggi, 869c, trad. di Ferrari F., e Poli S., BUR Rizzoli, Milano, 2005.
99
Il termine proprio in questo caso è mutuato dal greco oikeion. Questo termine ha un ambito di
applicazione semantica complessa, viene tradotto con “affine” oppure con “proprio”, “conveniente”
ma nell'essenza è riconducibile all'oikos, vale a dire alla “casa” e dunque a ciò che ci è veramente
familiare perché ci appartiene e ci fa sentire appartenenti.
98
45
civile è ritorno a quello stato di natura preesistente alle società; l’oggetto della
guerra diventa fatalmente la vita individuale: è la guerra interna di ogni individuo,
il fallimento di una società che subisce dall’interno la condanna della propria natura.
Nella guerra civile Russa si riconoscono alcuni elementi di modernità; non solo,
infatti, si assiste ad un rigurgito di violenza giacobina, “…i bolscevichi insistevano
sul fatto che il terrore fosse uno strumento legittimo di difesa della dittatura del
proletariato”100, ma vengono usati metodi di schedatura, raccolta di informazioni101
e si ricorre sistematicamente della deportazione. Nella Grande Russia la guerra
civile aveva generato il disordine dello Stato e, contestualmente, il crollo dell’unità
di una società multinazionale che si riconosceva nell’impero zarista; in questo
contesto prendevano corpo le rivendicazioni per conquistare nuovi spazi politici,
sociali ed esistenziali. L’argine alle derive nazionaliste era costituito
dall’imperativo ideologico della supremazia del proletariato e dall’uso del
terrorismo102 come strumento politico. Il diritto all’autodeterminazione, che veniva
tuttavia riconosciuto, era sacrificato in nome dei principi del socialismo
rivoluzionario. Trockij in un opuscolo pubblicato nel 1920 sosteneva:
“… la lotta deve essere portata avanti con un’intensità tale da garantire la supremazia del
proletariato. Se la rivoluzione socialista richiede una dittatura […] ne consegue che la
dittatura deve essere salvaguardata ad ogni costo […] Colui che ripudia il terrorismo per
principio […] deve respingere ogni idea di supremazia politica della classe operaia e della
sua dittatura rivoluzionaria”103.
Lo scontro tra l’Armata rossa e le forze militari bianche non era semplicemente la
lotta tra chi voleva costruire una società socialista e chi invece rappresentava i
privilegi di un’élite del vecchio regime ed aspirava ad una qualche restaurazione
100
SMITH S. A., op. cit., p. 205.
Nel dicembre del 1917 venne istituita la Čekà, organismo di polizia politica.
102
AGAMBEN G. su la Repubblica del 5-2-2015 “La forma che la guerra civile ha assunto oggi
nella storia mondiale è il terrorismo. Se la diagnosi foucaultiana della politica moderna come
biopolitica è corretta e se corretta è anche la genealogia che la riconduce a un paradigma teologicooikonomico, allora il terrorismo mondiale è la forma che la guerra civile assume quando la vita come
tale diventa la posta in gioco della politica. Proprio quando la polis si presenta nella figura
rassicurante di un oikos — la “casa Europa”, o il mondo come assoluto spazio della gestione
economica globale — allora la stasis, che non può più situarsi nella soglia fra oikos e polis, diventa
il paradigma di ogni conflitto ed entra nella figura del terrore. Il terrorismo è la “guerra civile
mondiale” che investe di volta in volta questa o quella zona dello spazio planetario. Non è un caso
che il “terrore” abbia coinciso col momento in cui la vita come tale — la nazione, cioè la nascita —
diventava il principio della sovranità. La sola forma in cui la vita come tale può essere politicizzata
è l’incondizionata esposizione alla morte, cioè la nuda vita”.
103
SMITH S. A., op. cit., p. 222.
101
46
della Russia nazionalista e imperiale: era in gioco la realizzazione di un nuovo
modello sociale e politico. Nella primavera del 1920 l’annichilimento104
progressivo delle forze militari avverse al Partito bolscevico e l’allontanamento
dell’opposizione, rappresentata dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi,
costituirono il presupposto per la dittatura di un solo partito. I bolscevichi si
ribattezzarono Partito Comunista Russo che “si trasformò rapidamente da
organizzazione sovversiva in partito di governo impegnato nella costruzione di uno
Stato funzionante”105. Iniziava l’era del Comitato Centrale e della sua oligarchia.
Alla fine del 1922 nasceva l’Unione Sovietica.
Ivi, p. 209., “…la violenza sembra derivare non tanto dalla spinta all’eliminazione dei nemici
politici quanto dal voler creare una società purificata da elementi contaminanti. La parola chiave
utilizzata […] era istreblenie, annichilazione o sterminio…”
105
Ivi, p. 218.
104
47
Capitolo 9. Oberbürgermeister Haken
In un celebre passo de “La Repubblica” di Platone, Adimanto, uno dei protagonisti
del dialogo, obietta a Socrate che la sua teoria del governo dei filosofi contrasta con
l'opinione comune secondo la quale le persone che praticano la filosofia si dedicano
solo a sterili speculazioni, risultando del tutto inutili allo Stato ed incapaci nella
conduzione della cosa pubblica. Socrate risponde all'obiezione con una
similitudine, dal forte contenuto icastico, che chiarisce quale sia il significato di
un’esperienza che non può essere messa in relazione con nessun’altra.
Pensiamo ad una nave, dice Socrate, il cui comandante, pur essendo il più grande e
forte di tutti i membri dell’equipaggio, non ha grandi capacità ed è palesemente
inesperto di mare. Accade che i marinai, in un litigio continuo, si disputino il
timone, per quanto loro stessi siano assolutamente digiuni di una qualsiasi
elementare conoscenza nella conduzione della nave, e agiscano per ottenerne la
guida e, per farlo, uccidano ed eliminino chi ostacola il loro piano. Ma questa nave
in cui, nella chiara rappresentazione di Socrate, non si vuole ascoltare la parola del
filosofo timoniere che guarda le stelle, non ci appare diversa da altre navi di filosofi
“che hanno la testa fra le nuvole” e che hanno viaggiato per mare per portare le loro
parole, che rimarranno senza seguito perché inascoltate. Platone va in Sicilia e
s’imbarca, spinto solo dalla sua speranza di trovare accoglienza e una “patria” alla
filosofia, speranza che sarà mortificata per ben due volte. Chi va per mare sa che la
nave solca una dimensione incerta; non ci sono percorsi retti e neanche l’approdo è
garantito. In questa metafora del navigare che accompagna la storia dei filosofi, la
nave è presupposto di una nuova condizione morale che allo stesso tempo può
convertirsi nella condanna senza appello del filosofo. È la nave in ultima analisi che
giustifica il viaggio ideale della filosofia. Via sulle navi filosofi!106 Invita Nietzsche.
Via, per arrivare dall’altra parte del mondo agli antipodi, dalla parte opposta, per
annichilire vecchie morali, distruggere falsi idoli, per trovare “…una nuova
giustizia… e nuovi filosofi”107. Per analogia, seguendo questo ribaltamento
concettuale, la Russia, Paese senza fine, che va da occidente a oriente, da un
continente all’altro, che congiunge gli antipodi, dove gli opposti appartengono alla
106
NIETZSCHE F., La gaia scienza, Aforisma 289, a cura di Colli G., Montinari M., Mondadori,
Milano, 1971.
107
Ibidem.
48
stessa terra simile ad un mare, ma che mare non è, si fa Nave. La Nave Russia che
guarda un cielo sterminato, che diventa a sua volta un mare sovrastante. Nave che
non può viaggiare e può solo confrontarsi con la potenza di un mare incombente,
che non si deve solcare, ma decifrare in una relazione di alterità in cui il filosofo è
interprete di una trascendenza irriducibile.
E sarà proprio la nave, attraverso un inesplicabile misterioso cammino, segnato da
un destino che percorre il tempo, che realizzerà lo stigma della condanna al silenzio,
attraverso la morte o l’esilio dei filosofi russi, destinati ad essere inascoltati.
Il 29 settembre 1922, la Nave-Polis di Socrate diventa la Nave-Russia di Lenin; la
nave, da simbolo metafisico del filosofo che scruta il cielo-mare, assume una
dimensione antimetafisica e materialista. Già nel maggio del ’22 lo stesso Lenin
dava istruzioni al capo della Čekà, Dzeržinskij, di raccogliere informazioni sugli
intellettuali non allineati. Subito dopo, nel giugno successivo, l’Ufficio Politico
compilò una lista contenente i nomi dei dissidenti e, tra il 16 e il 17 agosto, la polizia
politica provvide ad un’ondata di arresti. Alla fine del mese di agosto la Pravda
scriveva, probabilmente riportando le parole di Lenin: “L’espulsione degli elementi
controrivoluzionari e dell’intelligencija borghese è il primo avvertimento del potere
sovietico a questi elementi sociali”108. Tutto si compie con la partenza da
Pietrogrado, con destinazione Stettino, del piroscafo Oberbürgermeister Haken a
cui seguirà una seconda nave, la Preussen, nel mese di novembre. Per ordine diretto
di Lenin, oltre a Ivan A. Il’in (che nel frattempo era stato arrestato) vengono espulsi
fra gli altri, Berdjaev, S. Bulgakov, Frank, Losskij, Stepun, Karsavin, Florovskij,
Sorokin, Trubetskoy, in totale 272109 intellettuali. Si attuava così una sorta di
genocidio intellettuale che segnava l’inizio di una “bolscevizzazione della
filosofia”110 che portò, nel giro di poco tempo, a fare del marxismo-leninismo il
principio
regolatore
dell’intera
vita
culturale
dell’Unione
Sovietica111.
Esemplificativo del clima politico fu la pubblicazione, nel 1922, del saggio
“Gettiamo via la filosofia”112 (titolo di notevole realismo predittivo!) di Sergej
108
https://fareondeblog.wordpress.com/2022/05/21/la-nave-dei-filosofi/
IL’IN I.A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. IV.
110
“Nel 1922 fu fondata la rivista ufficiale di filosofia sovietica: Pod znamenem marksizma (Sotto
la bandiera del marxismo)”, in CANTELLI C., “Filosofia russa” in Filosofie nel mondo, a cura di
MELCHIORRE V., Bompiani, Milano, 2014, p.196
111
Ivi, p.196
112
Ivi, p.198
109
49
Minin, secondo il quale doveva essere affidato al materialismo dialettico il compito
di dare una giustificazione filosofica alla linea politica del partito bolscevico.
L’effetto di questo percorso di ripensamento radicale circa il ruolo della filosofia
nell’Unione Sovietica, più che essere la conseguenza di un movimento ideologico,
era l’avvento di una ideocrazia che, ipso facto, condannava ogni riferimento
all’idealismo religioso della tradizione russa e perseguitava i suoi esponenti; anche
chi, fra gli intellettuali, appariva comunque distante rispetto all’apparato
rigidamente materialista, subiva la stessa sorte. Si imponeva l’autorità della
metodologia come strumento pervasivo dei contenuti in ogni ambito sociale e
culturale.
Lev Trockij affermava: “Abbiamo espulso quelle persone perché non c’erano
pretesti per fucilarle, ma non c’era nemmeno la possibilità di tollerarle”113. Losskij,
imbarcato a sua volta sulla “nave dei filosofi”, qualche anno dopo sottolineò in una
delle sue memorie, l’aspetto paradossale dell’espulsione; il potere sovietico non
voleva apparire barbaro e dispotico, e con un gesto magnanimo, decise l’esilio dei
controrivoluzionari. Questa misura umanitaria ha effettivamente evitato ai filosofi
dissidenti di essere vittime delle purghe staliniane degli anni ’30114. Una
contemporaneità sorprendente di rivoluzione, repressione e politica del realismo.
Coloro che decisero di non aderire all’esilio forzato andarono incontro a un tragico
epilogo: P. Florenskij115, teologo, matematico, filosofo (interprete del pensiero
Sofianico) intellettualmente vicino a N. Berdjaev e S. Bulgakov116, fu prima ridotto
al silenzio per un decennio, ed infine fucilato nel 1937. Nikolaij Berdjaev, scriverà
nel suo libro Philosophy of Art:
“Lo stato socialista non è uno stato secolare, ma uno stato bolscevico sacro… Assomiglia
a uno stato teocratico autoritario. Il socialismo professa la fede messianica. I guardiani
dell’idea messianica del proletariato hanno creato una gerarchia specifica: il Partito
Comunista117…”
113
https://www.tuttobarche.it/magazine/nave-filosofi
Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Ilyin dall'emigrazione in
Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma,
2023, in https://www.radioradicale.it
115
Cfr., p. 6
116
Bulgakov S. N., filosofo, economista, teologo e sacerdote, il suo pensiero si collega a quello di
Solov’ëv.
117
https://fareondeblog.wordpress.com/2022/05/21/la-nave-dei-filosofi/
114
50
Uno stato così concepito sovrappone il sacro alla dimensione mondana e consegna
una realtà riservata alla divinità a una formazione politica, ovvero il Partito
Comunista, che relega l’umano alla minorità. Tale Stato, asservito all’idea di una
aspettativa escatologica, in maniera del tutto inavvertita e contraddittoria, sposa il
paradigma cristiano che vede nel passato borghese l’errore di un proton pseudos
che si identifica con il peccato. Il riscatto rivoluzionario si attuerà nel tempo
presente; la redenzione futura alla fine dei tempi. Veniva mutuato in questo modo,
in parte, l’idealismo tradizionale, fortemente identitario della Russia e del popolo
russo, investito di un compito messianico. Una società etica e purificata attraverso
il marxismo leninismo avrebbe perseguito la modernità in opposizione
all’Occidente e ai suoi valori.
La “nave dei filosofi”, che avrebbe dovuto rappresentare il tempo dell’unità della
Russia rivoluzionaria, in realtà diventava il momento simbolico di una separazione,
lo spartiacque tra la cultura sovietica e la cultura emigrata, la linea di demarcazione
tra rivoluzione e conservazione. Si configurava la nascita di un movimento culturale
che si svilupperà in Europa con vari esiti ed influenze rilevanti. Sarebbe opportuno,
dunque, parlare non di filosofi in esilio ma, citando il titolo della biografia di un
altro filosofo, Leo Strauss118, in esilio per sua volontà ed emblema dell’incessante
diaspora dei filosofi per buona parte della tormentata storia del ‘900, di una
“filosofia in esilio”. L’esilio (insieme alla nave) fa parte della vita filosofica e ne
riflette l’immagine, ne fa simbolo e metafora, ne è un elemento costitutivo, diventa
una categoria dell’essere filosofico. L’errore del pensiero (socratico) e l’empietà
che ne deriva devono essere lavati con la morte e, in questo senso, l’esilio è la
rappresentazione tangibile di una morte surrogata comminata attraverso un atto
politico ed insieme giuridico. Ed è proprio in questo atto, che impone un obbligo
ineludibile, che il potere manifesta la propria presenza. La pena dell’esclusione è
intesa come non-appartenenza ad alcuna comunità, la messa al bando come
sanzione definitiva di una non-esistenza: senza terra, senza patria; è l’essere fuori
di sé, la separazione ontologica dal Tutto, in cui l’anima si separa dal suo corpo
mortale, è un atto di sottrazione che rende chi ne è colpito privo del suo spazio,
118
ALTINI C., Una filosofia in esilio, Carocci, Roma, 2021.
51
materiale e politico. È uno stato di abiezione “senza, parenti, senza leggi, senza
focolare”119 la cui dimensione può essere assimilabile solo alla divinità.120
Dal punto di vista storico e politico, in relazione alla manifestazione dell’autorità,
e quindi all’esercizio del potere, diventa rilevante sottolineare che nel 1922 fu
modificato il codice penale della Repubblica Sovietica per permettere l’espulsione
amministrativa degli intellettuali soggetti al dispositivo; la norma, in questo caso,
era l’atto di una precisa volontà politica e non semplicemente espressione formale
di diritto con tutte le implicazioni ideologiche e filosofiche che questo comportava:
la legge non era più generale e astratta, ma diventava la rappresentazione del caso
singolo, cioè una legge che pone sé stessa al di fuori della legge ed attua il passaggio
da diritto ad eccezione. L’esilio diventa così la rappresentazione della più alta forma
di esercizio del potere.
L’intera generazione dell’intelligencija russa che, all’inizio del XX secolo, giunse
in Europa, in Cecoslovacchia, in Germania e soprattutto in Francia, e che V.
Nabokov definì “l’odissea di una tribù mitica”, alimentò l’immagine “… di una
Russia assente e leggendaria” e fu percepita, in un primo tempo, come un fatto più
che altro “folcloristico”121. L’ambiente intellettuale europeo, sopraffatto dalla
propaganda comunista, non si rese conto, in un primo momento, della portata sia
storica, sia culturale che l’evento comportava. I filosofi russi in esilio ebbero il
merito di salvare la cultura russa dalla completa cancellazione sovietica. Quella che
fu definita la emigr’kult ebbe influenza diretta nei movimenti filosofici europei
degli anni ‘30 e ’40 (Berdjaev collaborò a Parigi con la rivista Esprit e influenzò in
maniera sensibile il movimento esistenzialista). A lui si rifanno le successive
declinazioni in termini di conservatorismo nazionalista e certamente non è estraneo
anche al pensiero nazionalista bolscevico i cui principi segnano in particolar modo
il percorso storico e politico dell’attualità russa.
119
OMERO, Iliade, IX, 63
ARISTOTELE, Politica, a cura di Viano C. A., BUR, Milano, 2019, [1253a] … l’uomo è un
animale che per natura deve vivere in una città e che chi non vive in una città… o è un essere inferiore
o è più che un uomo…
121
Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: “Ivan Ilyin dall'emigrazione in
Europa alla Russia di Putin”, interventi di VALLE R. e STRADA O., Università La Sapienza,
Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it.
120
52
Sezione II
Il pensiero
Capitolo 1. Sette settimane con il Dottor Freud
Letteratura e psicoanalisi, l’una di fianco all’altra, separate eppure vicine, così
vicine tanto da far dire a Freud che “In tutti i paesi dov’è penetrata la psicoanalisi
essa è stata meglio intesa e applicata più da scrittori che da medici”; egli stesso si
definiva “un letterato che fa in apparenza il medico”122. La Russia, in particolare,
aveva recepito più di altri la psicoanalisi come nuova disciplina medico-scientifica,
anche se, probabilmente, il grande contributo al suo sviluppo, come già messo in
evidenza dalle parole dello stesso Freud, era dovuto in particolar modo al rapporto
fra psicoanalisi e un ambiente letterario estremamente fecondo come quello russo.
L’interpretazione dei testi, le parole, le figure evocative, i segni, le metafore che
narravano la realtà immaginata diventavano, nell’analisi psicoanalitica, la prova di
un inconscio che si disvelava al mondo. In quei primi venti anni del secolo scorso,
la società russa si rendeva inoltre protagonista di un evento che non coinvolgeva
solo gli aspetti sociali e politici, ma sublimava nel moto rivoluzionario un modello,
un tropo che nell’immaginario di un popolo acquisiva una potente dimensione
psichica. Il neo regime bolscevico, in un primo momento, accolse il movimento
psicoanalitico positivamente, e, mentre Lenin si mostrò estremamente sospettoso
nei confronti della psicoanalisi, tanto da definirla “disciplina fiorita sul letame della
borghesia”123, Trockij, al contrario, si esprimeva con più prudenza riguardo alla
possibilità di “conciliare psicoanalisi e materialismo marxista”124. Alla fine della
guerra civile e con il consolidamento del neo regime comunista, la connotazione
negativa data alla psicoanalisi, espressione di una borghesia moralmente decadente
ed implicitamente corrotta, ne accelerava il processo di espulsione dalla società
russa. Rappresenta elemento di riflessione “l’osservazione che dato che le nevrosi
122
MONTANARI M., in Russia e psiche, citazione di Freud da HILLMAN J., Storie che curano,
pp 1-2 Cortina, Milano, 2021, in https://www.doppiozero.com/russia-e-psiche
123
MONTANARI M., op.cit. in https://www.doppiozero.com/russia-e-psiche
124
Ibidem
53
si sviluppano in una società ingiusta che non valorizza le naturali aspirazioni degli
individui, nella società comunista le nevrosi non hanno motivo di svilupparsi e
pertanto la psicoanalisi non ha motivo di esistere…”125.
Sigmund Freud conosceva molto bene l’ambiente culturale russo e la cultura del
popolo russo “da sempre profondamente profusa di senso dell’inconscio”126;
l’incontro con la straordinaria dimensione psicologica dell’arte letteraria di
Dostoevskij sarà uno degli strumenti per costruire un metodo d’indagine in cui la
distanza tra letteratura e psicoanalisi viene cancellata facendo emergere i conflitti
tra due modalità di pensiero: il sognare della narrazione letteraria e l’approccio
razionale della psicoanalisi, che si appropria delle figure del mito. In una lettera
inviata a Stefan Zweig127, Freud metteva in rilievo come la coesistenza di stati
emotivi estremi e duali nella personalità di Dostoevskij fosse un archetipo
dell’essere russi. Nella sua analisi, pensava probabilmente ad un altro paziente russo
che aveva avuto modo di seguire qualche anno prima, nel 1914, e che,
retrospettivamente, poteva essere considerato un modello attendibile per i suoi studi
sul grande scrittore russo; il paziente in questione era, appunto, Ivan Aleksandrovič
Il’in. Per quanto lo stesso Il’in sia stato avaro di informazioni riguardo al suo
periodo di terapia, senza dubbio gli aspetti della sua personalità, ricca di elementi
contraddittori e di pulsioni a volte estremamente aggressive, fornivano una chiave
di lettura di rilievo per l’analisi di Freud. Già in precedenza il poeta simbolista
Belyj128, parlando di Il’in, lo aveva paragonato ad un personaggio de “I demoni”:
Nikolaij Stavrògin. Ancora più sorprendente il paragone con i quattro fratelli
Karamazov che sembrano, ognuno, contenere i caratteri specifici della personalità
di Il’in: “l'iperintellettuale Ivan, il pio Alëša, il Mitya violentemente emotivo e
l'infernale Smerdyakov”129. Freud, nella sua analisi della personalità di Dostoevskij,
si concentra sugli aspetti legati ad una tendenza masochistica e a una latente
omosessualità dello scrittore, caratteri questi che si riverberano nei tratti dei suoi
125
Ibidem
ZALAMBANI M., in Letteratura e psicoanalisi in Russia all’alba del XX secolo, Firenze
University Press, 2022.
127
ZWEIG S., 1881-1942, ebreo viennese, cosmopolita e pacifista, tra gli autori di lingua tedesca
più letti e tradotti al mondo, fu il primo scrittore a inserire la psicanalisi freudiana nella narrativa.
128
Cfr. p. 8
129
LJUNGGREN M., Poetry and Psychiatry, Essays on Early Twentieth-Century Russian Symbolist
Culture, Freud’s Unknown Russian Patient, , (mia traduzione), Academic Studies Press, p. 118.
126
54
personaggi. Gli stessi aspetti possono essere riconosciuti nella personalità di Il’in e
sono probabilmente alla base della sua instabilità psichica.
L’esperienza terapica con Sigmund Freud segnò Il’in in maniera profonda, tanto da
generare in lui una vera e propria ossessione nei confronti della psicoanalisi;
tuttavia, nonostante le sedute, la nevrosi e gli stati di aggressività, sempre latenti
nel filosofo, non si attenuarono e non ci fu nessun miglioramento. In preda a una
sorta di parossismo psicoanalitico, per Il’in ogni persona, ogni relazione, ogni gesto
dovevano essere ricondotti a una diagnosi di carattere psichico e ridotti a una
patologia nevrotica "…tutte le ferite nel tessuto dell'anima che ci hanno segnato fin
dall'infanzia, che vivono non guarite per tutta la vita e rosicchiano l'anima, rendono
molti di noi vittime di nevrastenia e ogni sorta di perversioni morbose"130. In questa
smania di indagine introspettiva significativo il fatto che Il’in cominciò ad
analizzare alcune figure di spicco del movimento simbolista ravvisandone
un’omosessualità latente, tratto questo che, probabilmente riconosciuto in sé stesso,
assunse un carattere proiettivo. Forse si spiega così la profonda avversione di Il’in
nei confronti del simbolismo, a testimonianza della lotta contro i propri demoni131.
Categorizzare la personalità ed il pensiero di Ivan Il’in attraverso l’analisi che
Sigmund Freud fece di Fëdor Dostoevskij è sicuramente un compito di difficile
realizzazione, data la distanza intellettuale e temporale, e non ultimi gli eventi
drammatici della rivoluzione, che dividono lo scrittore dal filosofo. Ciononostante,
potrebbe essere possibile tracciarne un profilo attendibile considerando come temi
centrali i concetti di bene e male nel suo pensiero in relazione alla costruzione
letteraria di Dostoevskij. Tali concetti sono alla base di quello che Freud definiva
archetipo della “russità” e che Belyi, in maniera istintiva e didascalica legava
appunto ad Il’in in riferimento ai personaggi di Dostoevskij.
“Stavrògin è tutto” annota Dostoevskij132, e se il male è una parte del tutto,
Stavrògin è un tutto che va oltre il male: è il vuoto, il nulla delle sintesi impossibili;
è la convivenza fra l’idea di una superiore grazia divina e il peccato più turpe contro
l’uomo. Questo tutto è impresso nell’impassibilità dello spirito, nel distacco di chi
130
LJUNGGREN M., op. cit. p. 118.
Ivi, p. 119.
132
GERMINI S., in Nikolàj Vsèvolodovič Stavrògin, il funesto demiurgo,
https://imalpensanti.it/2017/10/nikolaj-vsevolodovic-stavrogin-funesto-demiurgo-parte/
131
55
guarda un mondo che va verso un’inevitabile e necessaria autodistruzione; è
l’ipostasi dell’idea che si realizza nell’azione di un artefice, ipertrofico e pervasivo.
Stavrògin occupa lo spazio e il tempo e, senza alcuna ragione apparente, interviene
in modo imprevedibile, irrompe nella vita di ognuno dei protagonisti, la sconvolge,
ne sovverte le regole, la riscrive a loro insaputa e ne osserva con freddezza gli
effetti. Assiste alla loro morte con indifferenza; li studia come si fa con un
esperimento del quale si conosce in anticipo l’esito e la cui conclusione ne è solo la
conferma. Le loro azioni, delle quali non distingue diversità alcuna, sono la sua
esperienza. Stavrògin è l’autore di un male di cui non ha coscienza perché in lui
non vi è lo spirito e quindi neppure la presenza di Dio.
Scrive Il’in:
Il male comincia laddove comincia la persona, inoltre non si trova in tutti i suoi stati e
manifestazioni nel corpo umano in quanto tali, ma nel suo mondo psico-spirituale. È qui
dove realmente risiedono il bene e il male. Nessuno stato esteriore del corpo umano in
quanto tale, nessun atto esterno della persona stessa (preso e considerato separatamente,
staccato dallo stato psico-spirituale che ne è la manifestazione o che dà origine a esso) può
essere bene o male133.
In questa prospettiva Stavrògin è contemporaneamente Dostoevskij ed Il’in. È una
chiave di lettura metafisica nella quale la tragedia di Stavrògin irrompe dal magma
dionisiaco di Dostoevskij, che scruta l’abisso del destino umano. La sua indagine si
spinge dove più oscura è l’anima umana, dove la struttura psichica diventa deforme,
le pulsioni assumono una dolorosa perversione, di cui lo stesso Il’in è partecipe; la
sofferenza che ne scaturisce diventa testimonianza del male, nascosto nell’animo,
trasformato in un’ossessionante nevrastenia. L’orrore della scoperta della verità si
trasfigura nell’immagine simbolica di Stavrògin, anticristo che plasma il male di
cui lo stesso Il’in non è emulo, ma vittima.
Tuttavia, in Stavrògin vi è anche una dimensione di carattere politicoantropologico che divide il filosofo dallo scrittore. Stavrògin è latore di un altro tipo
di male: è l’idea della decadenza dell’Occidente che con il suo nichilismo infetta la
santità della Russia. Se Il’in è perfettamente connotato con l’idea slavofila che
incarna la tradizionale religiosità della Russia ortodossa, visceralmente opposta ai
IL’IN I. A., On resistance to Evil by force, (mia traduzione), Taxiarch Press, Zvolen Slovakia,
2018, p. 13-14.
133
56
valori occidentali e ancor più al materialismo bolscevico, Dovstoeskij fa suo il
nichilismo che diventa il segno di un tradimento da parte dell’Europa, tradimento
che viene risolto con un ideale di appartenenza che lo avvicina a un sentimento
nietzscheano134. Dostoevskij, spirito errante, uomo senza terra, senza dimora,
chiede patria in Europa. Il’in, al contrario, è l’uomo della terra aperta, delle pianure
senza riparo dell’Asia centrale, in cui l’esperienza dell’alterità, che sembra negata
dalla sconfinata solitudine della terra, si riconosce in realtà nel suo rapporto con
Dio. È l’esperienza dell’autocoscienza che hegelianamente costituisce l’Io nel
rapporto con il Tu (l’altro); nel vuoto della distesa l’Io può riconoscersi solo in Dio:
“la libertà spirituale ci è data dalla natura, la conformazione spirituale ci è data da
Dio”135.
Se Stavrògin è l’Anticristo, Alëša è Cristo. Come dice il poeta Belyi alludendo in
realtà a Il’in, Alëša è pio. Scrive Il’in “Il bene è per natura un sentimento religioso
perché consiste nel riconoscere il Divino e dedicarsi interamente ad esso”136.
Nell’immagine colta da Belyi, Il’in è molto più realisticamente un devoto che
manifesta l’urgenza di cogliere il senso della propria religiosità. Per il filosofo, il
conseguimento del bene è un processo di tipo vitale, un’evoluzione quasi
darwiniana che si manifesta come un atto di supremazia dello spirito; tale
supremazia è difesa con la forza. La coscienza del bene è una condizione di grazia
sottoposta alla minaccia antispirituale del male, il cui obiettivo è un attacco alla vita
nel senso più ampio. “Per condurre una vera resistenza al male si devono sempre
tenere a mente tutte e quattro le sue proprietà principali: unità, aggressività,
ambiguità e molteplicità…”137. In questa definizione il male di Il’in perde ogni
connotazione metafisica e affonda nella materialità; è il male che si oppone
ontologicamente al bene. La devozione di Il’in perde così ogni riferimento alla
compassione cristiana e acquista una dimensione ben precisa che trasmette un
sentimento di grande severità e durezza, espressione di un estremo rigore spirituale
la cui misura è data dalla reificazione della preghiera: “Lasciate che la vostra spada
NIETZSCHE F., Umano, troppo umano, in prefazione, “Che tali spiriti liberi potranno esserci un
giorno, che la nostra Europa avrà tra i suoi figli di domani e di posdomani questi lieti e intrepidi
compagni…” versione di Giametta S., Adelphi Edizioni, Milano, 1979, p. 5.
135
IL’IN I.A., P., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 7.
136
IL’IN I. A., On resistance to Evil by force, (mia traduzione), Taxiarch Press, Zvolen Slovakia,
2018, p. 17.
137
Ivi, p. 149.
134
57
sia una preghiera, e la vostra preghiera sia una spada”138. Tale rigore spirituale,
dunque, non indicherebbe una condizione di santità ma una tensione verso la lotta.
Lotta interiore per la difesa di uno stato dello spirito: ovvero l’obbligo del bene.
Berdjaev139, che scorgeva nel pensiero di Il’in una deriva morale, notava “…Un
bene per forza non è più un bene, ma degenera in male. Il bene libero, che è l’unico
bene, presuppone la libertà del male”140.
In questa breve analisi Il’in acquista i tratti di un religioso ateo che pone al centro
l’uomo come unico autore del bene; in questa prospettiva non può accettare l’idea
della libertà del male. Negare tale libertà, paradossalmente conduce ad una
negazione di Dio:
“Dio esiste, perché esistono il male e il dolore nel mondo; l’esistenza del male è una prova
dell’esistenza di Dio. Se il mondo fosse esclusivamente buono e giusto, allora Dio non
sarebbe più necessario, allora il mondo sarebbe Dio. Dio esiste perché esiste il male. Ciò
significa che Dio esiste in quanto esiste la libertà umana”141.
L’inquietante e tormentato Il’in, che postula la resistenza al male come vincolante
per la cristianità ortodossa, non solo pone una questione di carattere teologico, ma
anche una di carattere morale ben più ampia: è il rifiuto della pace ad ogni costo.
Il’in apre un dissidio con i rappresentanti di un pacifismo che disconosce sia il
valore della dottrina, sia l’esistenza dell’orrore di un male mondano che trascina
con sé un’umanità che non può riconoscere alcuna pietà. Nella visione di Il’in la
resistenza al male con la forza, che implicitamente prevede l’uso della violenza,
non è giusta in sé, ma è una necessaria ingiustizia che coinvolge ogni cristiano. Il
tratto decisivo del pensiero di Il’in non è conseguire l’affrancamento dal male,
inteso come atto di libertà, ma raggiungere la perfezione morale che di per sé
rappresenta il punto di compimento di ogni spirito autenticamente cristiano nel
mondo. “Nella sofferenza l’umanità è saggia”142.
138
Ivi, p. 1.
Cfr. p. 13.
140
BERDJAEV N. A., La concezione di Dostoevskij, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2002.
141
La
concezione
di
Dostoevskij
e
l’Europa
contemporanea
in
https://www.missionerh.com/site/index.php/it/rubriche1/approfondimenti/2185-la-concezione-didostoevskij-e-l-europa-contemporanea
142
IL’IN I. A., On resistance to Evil by force, Introduzione, (mia traduzione), Taxiarch Press,
Zvolen Slovakia, 2018.
139
58
Capitolo 2. Hegel
Affermare che la patria filosofica di Hegel sia la Russia non è una forzatura storica
né dialettica. In nessun Paese come in Russia vi è stata una diffusione così rilevante
e duratura nel tempo del pensiero di Hegel, tale da esercitare una profonda influenza
sul pensiero filosofico e politico. L’analisi critica dei filosofi russi contiene una sua
specificità che si può connotare storicamente come hegelismo slavo. La
contrapposizione tra slavismo e occidentalismo è tema ricorrente nello sviluppo
storico del pensiero russo; esso riflette la condizione di dualità che costituisce non
solo il percorso della filosofia, ma più profondamente, l’archetipo dell’essere russi:
la costante ricerca di una sintesi attraverso un’antinomia irriducibile. In questa
condizione di radicalizzazione delle posizioni, in cui nessuna negazione è possibile,
non può emergere altro che una contraddizione sorretta da un panlogismo che non
risolve il problema dell’essere e dell’esistere.
Per quasi tutto il XIX secolo nell’analisi dei pensatori russi, per altro influenzati
dalla lettura che ne diede Schelling, emerge un’idea costante che relega l’ontologia
hegeliana ad una conseguenza del possibile. È una frattura profonda tra essenza ed
esistenza che induce ad accettare l’idea che il reale sia solo un prodotto del concetto
e che la logica che ne deriva sia il principio della natura e della storia. In questa
prospettiva quasi si affaccia l’idea che l’essere sia il promanare da un nulla in cui,
invece di sostanziarsi, l’essere si dissolve. La contraddizione evidente della
costruzione di un’ipotesi simile determina un dissidio irrisolvibile tra slavofili e
occidentalisti, entrambi incapaci di porre una soluzione accettabile al dilemma: per
gli slavofili creazionisti il divino viene ridotto a materialità e per gli occidentalisti,
che guardano al materialismo, la materia è prodotto dello spirito. In questo
malinteso disordine, l’unica risposta possibile all’idealismo assoluto hegeliano, in
cui il contenuto non può essere esterno alla forma, risiede nei concetti oggettivi
ricavati da un dato concreto e quindi la natura precede la logica; dunque, se il
“pensare sul pensare non è pensare il reale”143 la risposta russa è porre il dato
sensibile come principio di ogni realtà dell’esistenza. Sensibilità e ragione, che nella
concezione dialettica di Hegel demoliscono il “qui e ora”, non eliminano la
143
PLANTY-BONJOUR G., Hegel e il pensiero filosofico in Russia (1830-1917), traduzione
Gigante G., Istituto italiano per gli studi filosofici, Hegeliana, Guerini e Associati, Napoli, 1995, p.
352
59
contraddizione iniziale ma ne acuiscono la dimensione. L’intuizione del divenire
storico si traduce in un tempo che perde la sua puntualità; la razionalità non è in
grado di soddisfare la necessità. Idealismo e realismo si compendiano all’interno
di un sistema che assume un’identità trascendente. Lo spirito tende verso direzioni
tra loro inconciliabili. In questo paradosso, in cui lo spirito è contemporaneamente
teso verso direzioni opposte, il marxismo offre inaspettatamente un via d’uscita
proponendo una distinzione nel pensiero hegeliano “tra sistema conservatore e
metodo progressista”144. In questo modo l’indicibile dicotomia hegeliana
rappresentava pienamente le tensioni dei filosofi russi che, tuttavia, proprio in
questa ennesima opposizione, trovavano soluzione sia all’aspetto reazionario, sia a
quello rivoluzionario del pensiero di Hegel; quindi, se per la Sinistra hegeliana
“tutto il razionale è anche reale”, la lettura della Destra sostiene che “il reale è anche
razionale”145.
In questa che sembra una semplificazione teorica si cela, in realtà, la definizione di
un sistema chiuso, in qualche modo vittima di un riduzionismo che contiene
restaurazione e rivoluzione. Per i filosofi russi il “sistema” hegeliano “è” il pensiero
di Hegel. In questa prospettiva il “dover essere” viene espunto dalla riflessione e la
ricomposizione con il reale, in ultima analisi, impone l’accettazione del mondo
storico. Il movimento filosofico russo, in questo modo, disconosce il valore
dialettico della negazione e postula un’identità che esclude la differenza, ma
“…l’assoluto hegeliano non è mai una sintesi immobile in quanto contiene al tempo
stesso, l’impostazione e la negazione, lo stesso e l’altro”146. Una delle questioni che
l’assoluto introduceva era il problema del pensiero religioso nel sistema hegeliano.
Se la questione dell’esistenza di Dio nel pensiero di Hegel era rilevante in
Occidente, non lo era per i filosofi russi: l’assoluto hegeliano era, senza discussioni,
il Dio della tradizione ortodossa. Tuttavia, questa prima lettura lasciò ben presto il
campo alla presa di coscienza del fatto che il pensiero hegeliano fosse, in realtà,
implicitamente ateo. Le successive interpretazioni critiche dei pensatori russi di
sinistra, i quali d’altra parte avevano un disinteresse complessivo circa l’indagine
sull’hegelismo come portatore o meno del senso della religione, facevano emergere
una filosofia hegeliana spontaneamente e inconsciamente materialista. Da questo
144
Ivi, p. 353.
Ivi, p. 354
146
Ivi, p. 357
145
60
punto di vista gli hegeliani di sinistra consideravano l’elemento della negatività solo
in ambito politico e continuavano a disconoscerne ontologicamente la valenza.
La filosofia di Hegel, pur contenendo molti riferimenti religiosi, suscitò una
fortissima opposizione anche tra i pensatori slavofili e spiritualisti, i quali si resero
conto, per primi, che l’idealismo hegeliano era lo strumento con cui aprire la strada
ad una società atea. La spiritualità del mondo ortodosso, connotata da una
concezione religiosa escatologicamente rivolta verso un’eternità nella quale una
comunità fondata su un profondo amore fraterno incontrava Dio, impediva una
qualsiasi accettazione della filosofia di Hegel. Si riproponeva uno scontro tra il
mistero trascendente della liturgia ortodossa e il razionalismo immanente, unica
misura della realtà. Hegel, nella visione slavofila, proclama la morte di Dio e con
essa condanna l’Occidente ad un inarrestabile declino. Conseguenza inevitabile, la
riflessione sulla fenomenologia della coscienza russa, ovvero del suo ruolo nel
Weltgeist hegeliano147.
La nazione russa era in qualche modo dimenticata nell’analisi dello spirito del
mondo, ma la consapevolezza della propria tradizione slava era un antidoto contro
chi svalorizzava la dimensione culturale della Russia. “…nasce nello spirito di
molti un’intuizione divinatrice: se la Russia non ha passato, ha l’avvenire davanti a
sé […]il tema hegeliano del popolo eletto veniva incontro al messianismo russo”148.
La filosofia della storia diventava così la dimostrazione che fosse possibile
un’applicazione della tesi, negando la negazione e percorrendo la sintesi della
rivoluzione marxista. “Così la dialettica storica concreta del Volkgeist hegeliano si
trasforma immediatamente in ideologia”149. In questo senso, la dialettica algebra
della rivoluzione di Herzen aveva aperto la strada non solo al marxismo ma anche
all’anarchismo di Bakunin, altro aspetto dell’interpretazione del pensiero di Hegel
tipicamente russo. “Il nichilismo russo non è né l’incredulità né l’indifferentismo
scettico, ma la fede nell’incredulità e nella negazione dei valori stabiliti”150.
Dunque, se la categoria di negazione è sempre determinata e ne costituisce allo
stesso tempo la tesi, il suo disconoscimento diventa una frattura tout-court e non
una negazione dialettica. Come conseguenza, nell’interpretazione di Hegel emerge
147
Ivi, p. 360
Ivi, p. 361
149
Ibidem
150
Ibidem
148
61
una conclusione che non può essere contraddetta: “la negatività è l’anima della
dialettica”151.
Nell’elaborazione teorica dell’anarchismo russo, la negatività è la trasposizione del
“dover essere” e la nuova moralità che ne deriva non è altro che “l’inquietudine
dell’uomo di non essere ciò che è e di essere ciò che non è” 152. In questo senso il
rapporto tra individui e Stato è contrassegnato da un’incomprensione di fondo,
complice la situazione storica, per cui i filosofi russi non colgono nella filosofia
politica di Hegel la prospettiva di uno Stato che realizza la libertà della persona; il
movimento anarchico russo elabora un’estremizzazione dell’individualismo che si
oppone alla presenza esiziale dello Stato e si appella ai diritti inalienabili della
persona. Anche i marxisti russi accolsero, in parte, il punto di vista anarchista; nella
loro visione lo Stato doveva essere sostituito dal partito. Proprio il partito, che
incarnava l’anima del materialismo storico, si doveva confrontare con un passaggio
fondamentale nell’evoluzione del pensiero marxista, cioè la trasformazione in
materialismo dialettico. “Si giunge così a considerare il materialismo sia una
dottrina ontologica della materia
sia una
dell’alienazione mediante la prassi sociale”
153
dottrina della soppressione
. Il valore della prassi segna il
primato dell’ontologia sulla dialettica e pone i filosofi marxisti di fronte ad una
ineludibile evidenza, quella della concretezza della filosofia hegeliana. Sarà proprio
partendo da questa concretezza che si svilupperà l’analisi del pensiero di Hegel di
Il’in.
La critica di Il’in, in un’ottica complessiva, considera il metodo filosofico di Hegel
essenzialmente intuizionista, anche se la dialettica è riconosciuta essere di
un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’intero sistema di pensiero; riveste
quindi specifica rilevanza il significato attribuibile al concetto di intuizionismo che
non allude, in questo caso, ad una conoscenza immediatamente disponibile, cioè
solo ad una esperienza sensibile, ma è una meta-conoscenza del concreto universale
nel suo divenire. La conoscenza del concreto universale si compendia all’interno di
due momenti apparentemente antitetici, uno mediato e l’altro immediato, costituenti
il pensiero filosofico in quanto tale. Nell’elaborazione, attraverso l’analisi di Hegel,
151
Ivi, p. 362
Ibidem
153
Ivi, p. 364
152
62
del suo concetto di conoscenza filosofica, l’intuizione rappresenta per Il’in un
elemento centrale e decisivo nella costruzione del pensiero, da lui definito atto
filosofico154. Non va trascurata la profonda influenza che la fenomenologia di
Husserl esercitò su Il’in che ne elaborò la concezione alla luce della logica
speculativa di Hegel; il pensiero di Il’in, in questo senso, diventa idealmente il trait
d’union tra due sistemi filosofici.
Nell’elaborazione di Il’in l’atto filosofico non è un atto deliberato, ma
un’esperienza complessa attraverso la quale la realtà è conoscibile:
“… il sistema della dottrina non può e non dovrebbe essere l'oggetto di ricerche deliberate.
La filosofia dovrebbe essere una precisa espressione o adeguata manifestazione
dell'oggetto stesso, e prima dello studio dell'oggetto, nessuno può sapere se vi è un’unità
sistematica in esso. […] Un filosofo deve riferirsi all’oggetto con fedeltà, e tale "unità" o
rimarrà un’opinione, o si fonderà nella dottrina dall'oggetto e scenderà, come un dono,
come la felicità, in modo che colui che conosce sarà certo che non è da lui che proviene
tale conoscenza ma solo tramite lui stesso”155.
Tale esperienza è caratterizzata da un complesso di fattori che è possibile
riassumere all’interno di uno schema sistemico di carattere scientifico. Le
esperienze sono, dunque, costruibili come in un ordine architettonico kantiano,
replicabili nei successivi atti filosofici, duplicabili e soggette a variazione
sperimentale, quindi correggibili: “…l'analisi filosofica ha luogo solo dopo
l'attuazione dell'esperienza attraverso l'atto filosofico e la sua contemplazione
intuitiva come qualcosa di dato.”156
La teoria si sviluppa attraverso un procedimento per gradi successivi in forma
triadica: l’oggetto è strutturato nell’esperienza, intuito nel suo contenuto e, da
ultimo, analizzato. Diventa logico legare ad ogni momento del procedimento un
particolare stato dell’esperienza con lo scopo di "…spiegare con il potere di autoevidenza razionale il genuino contenuto dell'oggetto sistematicamente sperimentato
e compreso dall'anima del filosofo"157. Nella prima fase è la contemplazione
IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. I, The
Doctrine of God, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA, 2020, (mia traduzione),
p. XXXI
155
Ivi, p. 11.
156
Ivi, p. XXXIII
157
IL’IN I. A., in Philosophy as a Spiritual Undertaking, (mia traduzione) RM 136, n. 125, 1915
154
63
dell’oggetto che, in maniera del tutto esclusiva, rende presente l’esperienza del
reale; segue una percezione intuitiva e sistematica del contenuto, cioè dell’essenza
dell’oggetto, che non coinvolge alcun elemento di carattere soggettivo che si
riferisce all’esperienza; solo da ultimo vi è una "descrizione analitica e una
spiegazione logico-razionale del contenuto sperimentato e atteso”
158
.
L’enunciazione del contenuto dell’oggetto, quindi, è il fine del pensiero filosofico.
Nella visione di Il’in, l’evidenza razionale dell’oggetto, così sistematicamente
ottenuta, non è altro che il Divino; la conoscenza che ne deriva pone il filosofo al
cospetto di Dio. "…se una persona sinceramente religiosa accetta solo quello, e
crede solo in quello che gli si rivela con l'evidenza personale di un’autentica
esperienza spirituale, in questo senso la filosofia nel suo contenuto è religione”159.
L’atto filosofico, così come esposto da Il’in, conduce alla conclusione che Dio è
l’oggetto di un’intuizione filosofica. A sostegno di questa interpretazione, Hegel,
parla di una ragione speculativa; esisterebbe una capacità di vedere, o meglio
intuire Dio, nella sua oggettività che è elemento affatto differente dalla costruzione
del pensiero di Dio che è colto non nella sua essenza ma dalla rappresentazione di
quel pensiero.
“… secondo il metodo della sua filosofia, Hegel deve essere riconosciuto non come un
"dialettico" ma come un intuizionista […] Se per "metodo" si intende il "tipo e modalità"
di conoscenza soggettivamente praticata dal filosofo, allora si può considerare Hegel come
un "dialettico" solo in presenza di un approccio assolutamente superficiale e astrattamente
razionalista. Egli non "cerca" contraddizioni nei concetti né "si sforza" di riconciliarli in
seguito; non pensa "analiticamente", e poi "sinteticamente". Intuisce continuamente nella
sua totalità e descrive intensamente i cambiamenti che avvengono nell'oggetto stesso:
intuisce attraverso il pensiero. In questo consiste il suo "soggettivo" metodo di conoscenza.
Non è lui a praticare la "dialettica", ma l'oggetto”160.
IL’IN I. A., The Religious Meaning of Philosophy, (mia traduzione), republished in 1925 citato
in IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. I, (mia
traduzione). The Doctrine of God, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA, 2020,
in introduzione
159
Ibidem
160
IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. I, cap.VI,
(mia traduzione). The Doctrine of God, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA,
2020, p. 115-116
158
64
La presenza del Divino nel mondo è elemento centrale nell’analisi critica della
filosofia hegeliana. Il’in mette in evidenza come, nella dottrina di Hegel, esista
tuttavia l’impossibilità di andare oltre gli elementi puramente empirici. Scrive Il’in:
“il cammino dell'uomo nel mondo non è semplicemente un’”antropogonia”, e il significato
della vita umana non è semplicemente la realizzazione e lo sviluppo di un
antropomorfismo: la ragione umana è Ragione Divina e l'essenza dello spirito umano è
Spirito Divino. Perciò il limite dell'uomo coincide con il limite di Dio…”161.
Esiste dunque, secondo Il’in, nel percorso filosofico di Hegel, una teodicea
incompiuta data l’impossibilità di conciliare la Ragione ed il Mondo, cioè il Divino
e la Natura. Tale inconciliabile condizione, nella critica di Il’in, è ravvisabile in una
contraddizione della logica speculativa hegeliana.
Nel disegno speculativo di Hegel esiste una logica dell’inizio ed una logica della
fine che conduce da una filosofia della natura ad una filosofia dello spirito; nella
visione di Il’in la scienza speculativa va: “… dalla "Logica del principio" alla natura
empiricamente reale, alla vita, alla coscienza umana e, infine, alla sua dissoluzione
speculativa nel Concetto”162. Ne consegue che se nella filosofia speculativa il tutto
si risolve nel Concetto, è implicito il fatto che il Concetto è tale fin dall’inizio e se
non lo è non può essere riconosciuto come reale. In questa prospettiva Il’in
introduce all’interno della critica a Hegel due definizioni: il Concetto Logos ed il
Concetto Telos, contraddistinti da significati diversi; il primo:
“… si muove verso il più alto livello di "conoscenza assoluta", è nella Logica, rivela
l'essenza stessa dell'Idea. Il Concetto ha il significato di "auto-pensiero dialetticamente
organico": è il significato vivente auto-pensante, che si divide dialetticamente in
opposizioni e cresce organicamente verso una sintesi concreta più elevata”163; il secondo:
“… riceve il significato di "auto-creazione organica"; […]. Qui è rivelata la distinzione
essenziale: il Concetto nel mondo non pensa; non è più un principio di "auto-pensiero"; si
crea senza pensiero…”164.
IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. II, cap.
XXI, (mia traduzione). The Doctrine of Humanity, Northwestern University Press Evanston,
Illinois, USA, 2020, p. 197
162
Ivi, p. 233
163
Ivi, p. 234
164
Ibidem
161
65
Nella visione di Il’in, l’elemento fondativo del Concetto è strettamente legato al
significato di auto-creazione organica, ma lo sviluppo organico non appartiene ad
un pensiero speculativo, quindi, conclude Il’in, il Concetto Logos in realtà è dato
dal Concetto Telos a cui è stato attribuito il pensiero. Seguendo questa linea di
pensiero, se l’auto-creazione organica appartiene ad entrambe le forme, essa è
l’espressione dell’essenza del Divino che testimonia della presenza di Dio nel
mondo. Nell’argomentazione di Il’in il Concetto perde ogni aspetto formale e, in
una qualche misura, è costitutivamente delogicizzato, dato che il fondamento della
sua realtà appartiene alla natura, alla bellezza realizzata e alla vita etica; dunque, il
Concetto speculativo diventa reale solo attraverso il suo potere creativo.
“La sua filosofia (di Hegel) vive nell'elemento di concretezza organica, che acquista il
carattere del pensiero solo al livello più alto. […]; l'unico criterio stabile di esso è proprio
la crescita solidale di elementi opposti in una sintesi organica. […] la sua definizione finale
non è "Concetto" ma “organismo"165.
165
Ivi, p. 247
66
Capitolo 3. L’Idea Bianca
Non è possibile introdurre il concetto di Russia Bianca senza far riferimento
all’evoluzione storico-culturale della Russia sovietica e post-sovietica e
all’opposizione sistemica tra Occidente e Oriente. L’espulsione degli intellettuali
nel 1922 è il punto di riferimento storico che segna l’inizio di una cultura russa in
esilio, rappresentativa di un pensiero genericamente antibolscevico, eterogeneo e, a
volte, confusamente conflittuale. La emigr’kult, come è stata definita, ha costituito,
di fatto, una cultura russa fuori dai confini della Russia, in alternativa a quella
sovietica. L’intelligencija rifugiatasi in Occidente era espressione di un contesto
culturale che faceva riferimento ad ambienti politici di ispirazione monarchica o
repubblicana e alla tradizione ortodossa, ma anche alle istanze di carattere liberale.
La comunità intellettuale russa in esilio aveva comunque maturato la
consapevolezza che, dal punto di vista politico e culturale, con l’avvento del regime
comunista si fosse prodotta una frattura storicamente non più ricomponibile.
Proprio la consapevolezza che un periodo della storia russa fosse definitivamente
finito determinò una profonda riflessione su di una realtà culturale che in patria era
stata cancellata e che sopravviveva in un nuovo ambiente. Il ruolo di una nuova
Russia veniva così visto anche in relazione ai rapporti tra Occidente e Oriente,
rapporti che da sempre contrassegnavano la storia del pensiero russo. In questa
condizione si apriva un dibattito sul significato politico di Russia Bianca e,
soprattutto, di quali prospettive storiche e culturali poteva essere rappresentativa
tale idea. L’esigenza di dare una dimensione filosofica ad un progetto ideale che
racchiudesse al proprio interno un sistema di valori che facessero riferimento ad un
forte senso di appartenenza nazionale, alla tradizione ortodossa e a un sentimento
di libertà, connotato spiritualmente con la terra russa, si tradusse nell’ Idea Bianca;
tale filosofia ha incarnato, nel corso del tempo, l’antagonismo storico politico al
bolscevismo, anche se non sempre in modo coerente, a volte anzi antitetico.
Tuttavia, l’attualità politica ha visto la Russia accogliere sostanzialmente l’Idea
Bianca come elemento fondativo del nuovo corso che il Paese ha affrontato
all’insegna di un processo progressivo di decomunistizzazione166. I vertici politici
della Russia odierna hanno messo più volte in evidenza la rilevanza culturale e
GRAVINA C., La Russia e l’Occidente, Atti della Giornata di studio, Napoli, 9 giugno 2022, a
cura di Cigliano G., e Tagliaferri T., Federico II University Press, Napoli 2023, p. 91
166
67
politica di Il’in che appare non solo come l’intellettuale teorico dell’Idea Bianca,
ma anche come un nuovo Defensor Patriae167. Ciononostante, molti osservatori
occidentali non esitano a mettere in luce il fatto che la filosofia politica di Il’in abbia
subito una specie di travisamento propagandistico168 e che lo stesso filosofo, in
realtà, non sia immune da contaminazioni ideologiche che si riferiscono ad un
passato nel quale aveva espresso giudizi favorevoli al nazionalsocialismo e al
fascismo italiano. È opportuno notare che qualsiasi iniziale accoglienza di Il’in nei
confronti del nazismo è stata successivamente sconfessata con atti di aperto
dissenso169. Per quanto riguarda il fascismo sarà proprio il concetto dell’Idea Bianca
a marcarne la differenza e la presa di distanza170.
Nel pensiero politico di Il’in il concetto di Idea Bianca è uno dei punti nodali: “la
sacra tradizione della Russia di agire nell’ora del pericolo e della difficoltà con
spirito di abnegazione offrendo i propri beni e la propria vita per l’impresa divina,
nazionale e patriottica... In questo consiste la nostra Idea Bianca”171. Emerge chiaro
nell’enunciazione quello che sembra essere un compito vero e proprio: la
liberazione della Russia. Tale compito, nella visione di Il’in, si realizza attraverso
una condizione spirituale connaturata con il popolo russo, la cui dimensione
escatologica si realizza nel tempo attraverso la manifestazione di una volontà forte
e indipendentemente da qualsiasi evento storico e politico.
“L’idea portante della lotta bianca è pura come il cuore di un autentico patriota; forte come
la sua volontà; profonda come la sua preghiera per la patria. Oggi nostro compito principale
consiste nel far sì che l’impresa bianca […] continui a esistere anche dopo di noi ed entri
fattivamente nella vita della nostra patria”172 .
L’Idea Bianca è la realizzazione di un ideale che si traduce in atti concreti; è la
consapevolezza del ruolo della Russia che appartiene costitutivamente alla sua
storia e si sostanzia nella rivelazione al mondo dello spirito di un popolo. Nella
Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Ilyin dall'emigrazione in
Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma,
2023, in https://www.radioradicale.it.
168
“Il regista Nikita Michalkov è stato autore di un documentario su I. A. Il’in che ha contribuito a
diffondere il pensiero e la figura del filosofo in Russia”. Registrazione di un dibattito dal titolo
“Sulla Nave dei filosofi: Ivan Ilyin dall'emigrazione in Europa alla Russia di Putin”, interventi di
Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it.
169
Cfr. nota 28, p. 15
170
Cfr. nota 27, p.14
171
IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., p. VIII, Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 8.
172
Ivi, p. 45.
167
68
visione di Il’in non si tratta solo di tracciare il carattere nazionale russo, è soprattutto
un’esortazione a riscoprire quella forza creativa interiore data da un amore
incondizionato per la libertà e riappropriarsi di una dimensione trascendente
attraverso l’abbandono alla contemplazione della bellezza interiore, con
l’accettazione pura e incondizionata della fede ortodossa. “Ora siamo chiamati a
trovare le vie che portano alla “russità” dell’anima; dobbiamo preservare questi
sentieri e queste strade”173. Questo cammino, necessario alla costituzione
consapevole della spiritualità russa, ha i caratteri di una vera e propria dottrina.
Contemplazione, libertà e coscienza sono i concetti fondamentali sui quali è
possibile dare forma ad un pensiero organico che si rifletta nel rinnovamento della
nazione russa.
La Russia, quindi, è esattamente la forma dell’Idea Bianca; è un sistema spirituale,
un organismo che produce un processo creativo e soprattutto attivo. Lo
spiritualismo di fondo della teoria dell’Idea Bianca si riverbera nella condanna
senza appello della dittatura bolscevica, la quale è definita “una crisi di natura
spirituale”. La perdita della dimensione metafisica nello sviluppo teorico del
bolscevismo diventa così il male ontologico che si contrappone all’autentico bene
dello spirito russo per cui “non c’è spiritualità senza libertà” 174. Di grande rilievo,
quindi, il concetto di una Russia che rappresenta un’unità dinamica che va
preservata, e addirittura protetta, da nemici interni ed esterni e da un Occidente che,
nella visione di Il’in, appare incapace di comprendere appieno l’essenza del popolo
russo. L’Occidente non è più un interlocutore ma un elemento profondamente
estraneo che guarda alla cultura russa con disdegno: “siamo precitati nel disprezzo
di noi stessi e nello sconforto decretando che nei confronti dell’Occidente non
valiamo nulla”175.
In questa prospettiva non può esistere solo una cultura occidentale con il suo ideale
di compiuta realizzazione, il quale è assolutamente incapace di nutrire l’atto
spirituale russo. “La Russia non è unicamente là, in qualche angolo sperduto tra
distese infinite e foreste impenetrabili; e neppure unicamente là, nelle anime del
173
Ibidem
Ivi, p. 7
175
Ivi, p. 13
174
69
popolo russo ora oppresso, ma in futuro libero; essa è anche qui, all’interno di noi
stessi, è con noi sempre, in un’unità palpitante e misteriosa.”176
Il carattere intrinsecamente messianico della Russia, secondo Il’in, è insito nella sua
storia:
“I destini di un popolo sono racchiusi nella sua storia. Quest’ultima nasconde non solo il
passato ma anche il futuro di un popolo; essa ne manifesta la natura spirituale: sia la sua
forza che le sue doti, la sua missione e la sua vocazione. La storia di un popolo rappresenta
il verbo silenzioso del suo spirito; il misterioso messaggio dei suoi destini; il segno
profetico di ciò che incombe.”177
Un aspetto rilevante, che va sottolineato, riguarda il concetto di unità, che
confluisce all’interno del disegno della Grande Russia. Tale disegno, per Il’in, è
l’espressione di un monarchismo che persegue l’integrità territoriale nella quale non
c’è spazio per alcuna Piccola Russia. Da questo punto di vista la Russia è:
“un’unità statale e strategica che ha dimostrato al mondo la sua volontà e la sua capacità
di autodifesa, vero e proprio baluardo della pace e dell’equilibrio euroasiatico, e quindi
universale. Il suo smembramento sarebbe un azzardo politico senza precedenti nella storia,
le cui conseguenze disastrose colpirebbero l’umanità per un lungo periodo di tempo”178.
Alcuni osservatori hanno fatto notare come ci siano alcuni aspetti di vicinanza
ideologica tra l’Idea Bianca di Il’in e le ultime declinazioni del pensiero
euroasiatista che, sorto in seno alla emigr’kult, ha avuto negli ultimi anni uno
sviluppo notevole179. L’euroasiatismo è spesso avvicinato a movimenti che si
rifanno ad esperienze politiche contrassegnate da aspettative totalitarie; quindi, a
una più attenta analisi, non è possibile mettere in una qualche relazione tale
ideologia politica con l’Idea Bianca. L’euroasiatismo vede nella Russia una civiltà
che esprime un suo carattere culturale specifico diverso dall’Occidente e
dall’Oriente. Uno degli aspetti più rilevanti nella dottrina euroasiatista è la
negazione di una dimensione spirituale universale e di un comune progresso
dell’umanità; si perde la concezione trascendente dell’Idea Bianca, della Russia
176
Ivi, p. 4.
Ivi, p. 28.
178
IL’IN I.A. Quali conseguenze potrebbero derivare al mondo dallo smembramento del Russia,
in Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 59.
179
SNYDER T., Ivan Il’in il filosofo del neo zarismo di Putin, a cura di Andrea Lombardi, Italia
Storica, Genova, 2022.
177
70
chiamata ad assolvere il proprio compito messianico universale. Dietro al concetto
di un’umanità universale si nasconderebbe l’egemonia culturale europea di
estrazione “romano- germanica”, che considera le culture non occidentali come
sottosviluppate. Nella visione euroasiatista si vagheggia la fine dell’egemonia
culturale e politica occidentale, la cui caduta segnerebbe l’avvento di una nuova era
in cui la Russia euroasiatista svolgerebbe un ruolo politico determinante. In questa
prospettiva, la rivoluzione di Ottobre del 1917 può anche essere letta come uno dei
tanti fenomeni di rivolta contro la cultura dell’Occidente.
“[Kisewetter]… è stato uno dei primi a sottolineare correttamente la netta differenza tra
gli eurasiatici e i classici della filosofia slava, ai quali gli eurasiatici stessi attribuivano il
loro "pedigree filosofico"; infatti, gli slavofili più anziani si rifacevano alla filosofia della
storia di Hegel e la correggevano solo nel senso che il carattere storico-mondano della
cultura occidentale non era per sempre e che sarebbe arrivata un'epoca in cui i popoli slavi
sarebbero diventati portatori dello Spirito Assoluto; mentre gli eurasiatisti erano antiuniversalisti e negavano la divisione dei popoli in storici e non storici”180.
Tuttavia, si può inserire l’eurasiatismo all’interno di una corrente slavofila, “un neoslavofilismo modernizzato e semplificato”181. Il’in ne diede una valutazione
estremamente negativa, che lo pone in dissenso radicale nei confronti di
un’ideologia che egli stesso definì piena di “assurdità” e “invenzioni nichiliste”
“…eurasiatisti che non capivano e non erano in grado di capire la vera identità della
cultura russa e che essi, come per scherno, per amore della ricerca dell'identità
chiamano i russi...a diventare tartari”182.
180
KIESEWETTER A. A., Eurasianismo, in La Russia tra Europa e Asia: la tentazione eurasiatica,
Antologia, Nauka, Mosca 1993, p. 266, citato in VAKHITOV R. R., Eurasiatismo: logos, eidos,
simbolo, mito, Anteo Edizioni, Reggio Emilia, 2023, p. 18
181
VAKHITOV R. R., Eurasiatismo: logos, eidos, simbolo, mito, Anteo Edizioni, Reggio Emilia,
2023, p. 20
182
Ivi, p. 18
71
Capitolo 4. Nazionalismo e Stato
“Con patriottismo intendo l’attaccamento a uno specifico luogo e a uno specifico stile di
vita, che si può ritenere essere il migliore al mondo, ma senza perciò voler forzare le altre
persone a seguirlo. Il patriottismo è per sua natura difensivo, militarmente e culturalmente.
Il nazionalismo, al contrario, è strettamente legato alla brama di potere. L’obiettivo ultimo
di ogni nazionalista è di ottenere più potere e più prestigio, non per sé stesso ma per la
nazione o l’entità in cui ha scelto di annegare la propria individualità”183.
Prendendo le mosse da questa definizione di nazionalismo e patriottismo, data da
Orwell, possiamo fare alcune riflessioni sul pensiero politico di Il’in che, sotto
questa luce, assume caratteri e contorni decisamente diversi rispetto allo stereotipo
e alle interpretazioni che molti osservatori occidentali hanno dato del nazionalismo
del filosofo e sull’influenza che questa idea avrebbe indotto. Il nazionalismo di Il’in
è, prima di tutto, un’irriducibile opposizione al bolscevismo, al nazionalismo
bolscevico e al totalitarismo sovietico, di cui coglie i paradossi del sistema politico
che definisce “una fortezza, che per difendersi assedia”, un “corpo strategico” in
perenne stato di allarme184. La sua è un’invocazione alla libertà in cui i caratteri del
nazionalismo, in realtà, si stemperano in un patriottismo aulico con un forte legame
alla tradizione che affonda le proprie radici nella fede ortodossa. Patria, appunto,
non è un obbligo, come sostiene Orwell, ma è un’esigenza dello spirito e proprio su
questo spirito Il’in ricostruisce il senso della cultura russa. “Solo in questo modo,
cioè educando l'uomo russo alla spiritualità e alla libertà, educandolo come
personalità, come carattere indipendente e come dignità, possiamo superare tutta la
dolorosa eredità del sistema totalitario e tutti i pericoli del "nazionalbolscevismo"185. Il nazionalismo di Il’in è permeato da un forte richiamo alla
propria storia, è l’invito a non dimenticare ciò che si è stati e ad accettare il proprio
destino:
“è amore per l'immagine storica e l'atto creativo del proprio popolo in tutta la sua unicità.
Il nazionalismo è fede nella forza istintiva e spirituale del proprio popolo, fede nella sua
vocazione spirituale. Il nazionalismo è la volontà del mio popolo di fiorire creativamente e
liberamente nel giardino di Dio. Il nazionalismo è la contemplazione del proprio popolo di
ORWELL G., Appunti sul nazionalismo, trad. Ottati D., Il Gulliver Edizioni, 2021, p. 5.
IL’IN I. A., Fortezza d’assedio, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/106#2
185
IL’IN I. A. L'emergere e il superamento del bolscevismo in Russia,
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/96.
183
184
in
72
fronte a Dio, la contemplazione delle sue anime, dei suoi difetti, dei suoi talenti, dei suoi
problemi storici, dei suoi pericoli e delle sue tentazioni. Il nazionalismo è un sistema di
azioni che scaturiscono da questo amore, da questa fede, da questa volontà e da questa
contemplazione”186.
Per Il’in l’idea di nazionalismo russo è inscindibile da quella di Idea Russa, di cui
costituisce una parte integrante: è l’applicazione concreta di una dottrina che
diventa un progetto ideologico. Il nazionalismo di Il’in è la proiezione di una
dimensione spirituale che plasma, definisce e caratterizza la forma dello stato. “La
Russia è un organismo di natura e di spirito”187; la fede ortodossa è il primo dei
principi ispiratori del nazionalismo russo. L’anima “russo slava”, che accoglie la
verità rivelata, trasfonde nell’amore per la divinità il fondamento di un autentico
sentimento nazionale. L’ortodossia è accettata hegelianamente attraverso un atto
del pensiero; in questa prospettiva la presenza di Dio è intuita spiritualmente. La
contemplazione dell’idea di Dio è la cognizione della bellezza e della purezza
dell’essenza del popolo russo; è questa cultura spirituale che ne contraddistingue e
segna l’oggettività. Nel pensiero di Il’in, la contemplazione che scaturisce dal
proprio sentimento religioso è alla base della coscienza della propria natura; tale
natura è la manifestazione della libertà interiore che segna il popolo russo:
“il cuore e la contemplazione respirano liberamente. Chiedono la libertà, e la loro creatività
svanisce senza di essa. Al cuore non si può comandare di amare, può essere acceso solo
dall'amore. Alla contemplazione non si può dire che cosa dovrebbe vedere e che cosa
dovrebbe creare. Lo spirito dell'uomo è un essere personale, organico e auto-attivo: ama e
crea sé stesso, secondo le sue necessità interiori”.188
Appare evidente che, nella visione di Il’in, il nazionalismo è un sistema spirituale
e, allo stesso tempo, un concetto organicamente effettivo che esprime quattro virtù
“primarie”, insite e connaturate con il popolo russo, che rappresentano il
presupposto dell’idea di nazione: cuore, contemplazione, libertà e coscienza; esse
costituiscono la base spirituale che dà origine a volontà, pensiero, forma e
organizzazione: “Il nazionalismo vive, professa e difende la vita del suo popolo
come una preziosa autosufficienza spirituale. Esso accetta i doni e le creazioni del
IL’IN I. A., Sul nazionalismo russo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/111
IL’IN I. A., La Russia è un organismo vivente, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/92
188
IL’IN I. A., A proposito dell’idea Russa in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/127
186
187
73
suo popolo come il proprio terreno spirituale, come il punto di partenza della propria
creatività”189. In Il’in il popolo russo è portatore dello Spirito Assoluto, che si
manifesta attraverso il proprio compito universale.
“Ogni nazione ha un istinto nazionale che le è stato dato dalla natura (e cioè da Dio) e i
doni dello Spirito riversati in essa dal Creatore di tutto. E in ogni nazione l'istinto e lo spirito
vivono a modo loro e creano una preziosa originalità. Dobbiamo custodire questa unicità
russa, custodirla, viverci e creare a partire da essa: essa ci è stata data da tempo
immemorabile, in embrione, e la sua rivelazione ci è stata data nel corso della nostra storia.
Rivelandola, compiendola, compiamo il nostro destino storico, al quale non abbiamo né il
diritto né il desiderio di rinunciare”.190
Il’in insiste sulla spiritualità come matrice di una cultura unica e originale,
espressione di una nazione che attinge dal suo patrimonio naturale ed intellettuale.
La lingua, in questo grande progetto trascendente, è koinè, simbolo di un’unità che
lega tutti gli aspetti della vita individuale e collettiva:
“L'organismo spirituale della Russia creò ulteriormente la sua lingua speciale, la sua
letteratura e la sua arte. Tutti gli slavi del mondo rispondono a questa lingua come loro
lingua madre. Ma oltre ai suoi speciali e grandi meriti linguistici, si rivelò lo strumento
spirituale che trasmise gli inizi del cristianesimo, la coscienza giuridica, l'arte e la scienza
a tutti i piccoli popoli del nostro massiccio territoriale”191.
Per Il’in la lingua è un elemento centrale del concetto di nazionalismo: è il mezzo
che consente di percepire il senso della russità, di sperimentare il profondo
sentimento portatore dell’Idea Russa; in questo senso la lingua rappresenta l’unità
spirituale e culturale, è la condizione che crea lo Stato, ne detta la forma, lo fa vivere
attraverso la coscienza giuridica, le leggi e le attività economiche. Ogni individuo
è intimamente partecipe di questa dimensione culturale, pertanto, lo Stato non può
prescindere dalla vita degli individui, i quali ne rappresentano l’essenza vitale:
"il tessuto dell'esistenza dello Stato" è costituito dalla vita organica di tutti i suoi cittadini
[…] vive in noi, nella forma di noi stessi, perché noi, esseri umani viventi, siamo le sue
"parti" o "membra" o "organi". Questa partecipazione non è riducibile agli affari esterni e
all'"ordine" esterno; Comprende la nostra vita interiore. Ma questa "inclusione" non
IL’IN I. A., Sul nazionalismo russo, http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/111
Ibidem
191
IL’IN I. A., La Russia è un organismo vivente, http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/92
189
190
74
significa che "non osiamo nulla", ma "lo Stato osa tutto"; che noi siamo schiavi e che lo
Stato è uno schiavista.”192
Da questo assunto, che mette in relazione interno ed esterno, Il’in opera una
distinzione sostanziale nella forma dello Stato che dà origine a concezioni opposte;
una, meccanica e quantitativa, difende, sostiene e soddisfa i bisogni istintuali
umani, l’altra, qualitativa e organica, nasce dallo spirito ed emana dalle radici della
propria unità nazionale e dai suoi interessi comuni.
“Da ciò si deve concludere che la concezione meccanica, quantitativa e formale dello Stato
che si attua nelle democrazie occidentali non è né l'unica possibile né quella corretta. Al
contrario, è irta dei più grandi pericoli; non rispetta la natura organica dello Stato; separa il
diritto pubblico di una persona dalla sua qualità e capacità; non unisce i cittadini nel
Comune, ma riconcilia le loro voci egoistiche in un compromesso. Pertanto, questa forma
di statualità e democrazia non promette nulla di buono alla Russia e non è soggetta né a
prestiti né a riproduzione”193.
Non è difficile leggere un’aperta critica a questa declinazione dello Stato,
espressione di una concezione meccanica, in cui si realizza lo Stato Occidentale
moderno secondo la filosofia del Leviatano di Thomas Hobbes. Nella visione
politica di Il’in, in questo contesto, in cui la forma dello Stato è una discriminante,
la democrazia tipica delle forme statuali occidentali è ritenuta astratta e, appunto,
formale; è semplice espressione di una formula politica rigida che soddisfa
unicamente il modello di un sistema teorico.
La corrente politica che sembra prevalere nel mondo moderno dovrebbe essere etichettata
come "il fanatismo della democrazia formale". Fanatismo, perché questa tendenza ha
trasformato la sua parola d'ordine in una "confessione di fede", in una panacea, in un criterio
del bene e del male, in un oggetto di cieca fedeltà e giuramento; Perché bisognava scegliere
tra un regime totalitario e la democrazia formale, perché non c'è nient'altro (mentre in realtà
c'è molto di più!)194.
Alla democrazia formale Il’in contrappone l’dea di una “democrazia creativa”, alla
quale conferisce i caratteri di una vera e propria dottrina, coerente con l’Idea Russa.
IL’IN I. A., Sulla comprensione organica dello stato e della democrazia in
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/116
193
Ibidem
194
IL’IN
I.
A.,
Prerequisiti
per
la
democrazia
creativa,
in
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/134#2
192
75
La prima condizione che deve soddisfare la democrazia creativa è la intima
comprensione del concetto di libertà, profondamente radicato nel popolo russo,
senza il quale non sarebbe possibile il secondo requisito, cioè la coscienza giuridica,
espressione e volontà del senso di giustizia, che racchiude il diritto spirituale e la
consapevolezza della dignità umana; da ultimo l’indipendenza economica, a
garanzia delle necessità materiali, intesa come opportunità sociale che implica la
“corretta comprensione dell'economia dello Stato e un corretto senso dei benefici e
dei bisogni dello Stato”195. Risulta evidente che, nella prospettiva di Il’in, il
concetto di “democrazia creativa” non si riferisce a una democrazia compiutamente
realizzata, ma rappresenta piuttosto un passaggio intermedio che apre a una terza
via, quella di una dittatura nazionalista nella quale trovano posto l’unità culturale,
la ripresa della vita spirituale e le libertà della tradizione russa dell’autogoverno:
“…c'è ancora un terzo risultato, ed è proprio questo che deve essere trovato e messo in
pratica: è una dittatura ferma, nazional-patriottica e, in teoria, liberale, che aiuti il popolo a
distribuire le sue forze veramente migliori verso l'alto ed educhi il popolo alla sobrietà, alla
lealtà libera, all'autogoverno e alla partecipazione organica alla costruzione dello Stato.
Solo una tale dittatura può salvare la Russia dall'anarchia e da guerre civili prolungate"196.
195
Ibidem
IL’IN
I.
A.,
Democrazia,
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/61
196
immediatamente
e
a
tutti
costi,
76
Capitolo 5. Fascismi
Un nutrito numero di osservatori, tra cui Timothy Snyder197e Slavoj Žižek198,
colloca Il’in tra i teorici del pensiero fascista in Russia. Tale collocazione è
riconducibile principalmente a tre fattori. Il primo può essere messo in relazione
alla sua iniziale accoglienza del nazionalsocialismo e del fascismo, anche se in
realtà non vi fu mai un’adesione di carattere teorico a tali ideologie; il secondo si
riferisce alla sua idea di nazionalismo in cui il concetto di Stato, sorretto da una
democrazia creativa, assume i contorni di una dittatura autocratica, anche se
temperata da elementi liberali; da ultimo il fatto che il suo pensiero concorre a
definire la politica di Stato della Russia contemporanea. La critica e le accuse degli
studiosi alle posizioni di Il’in come pensatore fascista si sono basate
fondamentalmente sull’analisi degli scritti di filosofia politica prodotti dal filosofo
durante l’esilio e raccolti sotto il titolo di “I nostri compiti”, che a tutt’oggi è il suo
testo più studiato. Tuttavia, una più attenta e puntuale lettura, permette di vedere
con maggiore chiarezza quale sia stato l’orientamento di Il’in in relazione ai
movimenti di estrema destra nell’Europa prebellica e consente di sostenere
un’interpretazione del tutto differente rispetto alla critica corrente.
La presupposta adesione al fascismo prima, e al nazionalsocialismo nel 1933,
probabilmente rappresenta un equivoco di fondo circa il pensiero di Il’in; tale
equivoco è stato generato da alcune riflessioni di Il’in in relazione all’avvento del
nazionalsocialismo, che il filosofo ha contestualizzato in una prospettiva
anticomunista. Le sue aspettative circa la nascita di movimenti di estrema destra
erano, quindi, in diretta relazione al percorso storico della Russia. La sua analisi
politica dei fenomeni storici del fascismo e del nazismo assume più che altro i
caratteri di una riflessione di stampo antropologico. È opportuno notare che, nel
pensiero politico di Il’in, i fenomeni che si riferiscono al pensiero fascista non sono
mai centrali nel suo sistema filosofico. Essi appaiono in tutta la loro marginalità se
vengono confrontati con l’idea politica di fondo sviluppata da Il’in, che fa capo
all’Idea Russa. Universalismo, ortodossia e monarchismo sono quanto di più
distante si possa immaginare dalla dottrina fascista, nella quale convivevano
197
Cfr., p.6.
Žižek S., Filosofo e psicoanalista sloveno. Tra i più importanti e incisivi pensatori contemporanei,
docente di Filosofia e psicoanalisi all'European Graduate School (Svizzera) e visiting professor
presso numerosi atenei europei e statunitensi
198
77
confusamente positivismo e spiritualismo, pensiero antiliberale e corporativista,
unitamente a una visione totalitaria dello stato; unico punto di contatto con il
pensiero di Il’in, l’opposizione al regime comunista e alla dottrina marxista.
“Il fascismo è un fenomeno complesso, sfaccettato e, storicamente parlando, lungi
dall'essere sradicato. Ha il sano e il malato, il vecchio e il nuovo, il protettivo dello stato e
il distruttivo. Pertanto, sono necessarie calma ed equità nella valutazione. Ma i suoi pericoli
devono essere pensati fino in fondo. Il fascismo sorse come reazione al bolscevismo, come
concentrazione di forze protettrici dello Stato a destra. Durante l'avvento del caos di sinistra
e del totalitarismo di sinistra, questo è stato un fenomeno salutare, necessario e
inevitabile”199.
L’avvento del fascismo in Italia nel 1922 fu considerato da Il’in come la
manifestazione volitiva dell’autoconservazione dello Stato e Mussolini fu visto
come un nuovo Ottaviano Augusto200. Era l’inizio di un percorso in cui si faceva
strada una religione politica, un’ideologia di Stato, con tutte le sue distorsioni, che
non conosceva limitazioni di natura giuridica né morale e che assumeva i contorni
di una statolatria. Tuttavia, il consenso iniziale che Il’in aveva parzialmente
accordato al fascismo e a Mussolini lasciò ben presto il posto ad un’aspra critica sia
dell’uomo sia del partito fascista:
“Il più grande errore del fascismo fu la rinascita del cesarismo idolatrico. Il "cesarismo" è
l'esatto opposto del monarchismo. Il cesarismo è ateo, irresponsabile, dispotico; disprezza
la libertà, il diritto, la legalità, la giustizia e i diritti individuali degli uomini; è demagogico,
terrorista, orgoglioso; brama l'adulazione, la "fama" e l'adorazione; vede il popolo come
una folla e ne fomenta le passioni; È immorale, bellicoso e crudele. Compromette il
principio dell'autoritarismo e dell'autocrazia, perché il suo governo non persegue obiettivi
statali o nazionali, ma personali”201.
Il fascismo come fenomeno storico è, nella visione di Il’in, un esperimento
politicamente fallimentare, che non aveva la possibilità di sopravvivere a causa
della mancanza di un forte sentimento religioso e della libertà, elementi questi,
antitetici a un sistema totalitario:
IL’IN I. A., Sul fascismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/37
Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Il’in dall'emigrazione in
Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma,
2023, in https://www.radioradicale.it
201
IL’IN I. A., Sul fascismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/37
199
200
78
“Il fascismo non doveva assumere una posizione ostile al cristianesimo e a tutta la
religiosità in generale. Un regime politico che attacca la Chiesa e la religione divide le
anime dei suoi cittadini […] Il fascismo potrebbe non aver creato un sistema totalitario;
Poteva accontentarsi di una dittatura autoritaria abbastanza forte da (a) sradicare il
bolscevismo e il comunismo, e (b) concedere alla religione, alla stampa, alla scienza, alle
arti, all'economia e ai partiti non comunisti libertà di giudizio e creatività nella misura della
loro lealtà politica”202.
Per quanto riguarda il nazismo, l’errore di valutazione circa la posizione di Il’in può
essere ricondotto al fatto che il filosofo, in un primo tempo, si rifiuta di dare un
giudizio storico e politico sugli eventi di cui fu testimone in Germania, dei quali
accetta, tuttavia, l’impostazione di stampo nazionalista. Il suo colpevole silenzio sui
fatti che coinvolgevano la comunità ebraica ha contribuito ad alimentare
l’immagine di un filosofo allineato con la politica nazista. Va ricordato, a questo
proposito, che Il’in si rifiutò di firmare i protocolli e le disposizioni sulla razza
emesse dal partito nazista203 e che, a partire dal 1934, subì minacce e perquisizioni
da parte della gestapo. La neutralità, mostrata inizialmente nell’esprimere una
valutazione circa il nuovo corso politico della Germania, nascondeva
probabilmente la speranza della nascita di un forte blocco antisovietico.
“Prima di tutto, mi rifiuto categoricamente di valutare gli eventi degli ultimi tre mesi in
Germania dal punto di vista degli ebrei tedeschi, che sono stati ridotti nella loro funzione
pubblica […]In secondo luogo, non mi sembra affatto possibile considerare gli ultimi
avvenimenti in Germania da quel punto di vista filisteo, infantile o, come dimostrano le
circostanze, provocatorio di strada, "quando" e "dove" esattamente i nemici russi e tedeschi
del comunismo "cominceranno a marciare insieme". […] Infine, il terzo e ultimo punto. Mi
rifiuto di giudicare il movimento del nazionalsocialismo tedesco dagli eccessi di lotta, dagli
scontri isolati o dalle esagerazioni temporanee che vengono avanzate ed enfatizzate dai
suoi nemici. Quello che sta accadendo in Germania è un tremendo sconvolgimento politico
e sociale”204.
Il’in ha oggettivamente coscienza delle implicazioni storico sociali dell’avvento del
nazismo e degli eventi ad esso connessi e mostra un atteggiamento di diffidenza
che, con il passare del tempo, si trasformerà in una vera e propria condanna e una
202
Ibidem
Cfr., p. 12.
204
IL’IN I. A., Nazionalsocialismo. Un nuovo Spirito, apparso su Rinascimento, Parigi, 1933, in
http://www.odinblago.ru/filosofiya/ilin/ilin_i_nacional_sociali/
203
79
definitiva presa di distanza, sostenuta da un aperto dissenso. Quando la Germania
invase la Russia e il nazismo, che aveva travolto l’Europa, si manifestò in tutta la
sua tragica dimensione, ogni illusione e speranza di libertà, a cui Il’in non credeva
più da tempo, trovano conferma nelle parole indirizzate ai compatrioti emigrati:
“Quando Hitler gridò contro il comunismo, molti russi gli credettero. In realtà, però, lo
stava usando per coprire le imminenti rappresaglie contro l'esausta Europa di Versailles e
la campagna di conquista contro la Russia. […] molti ingenui emigrati russi si aspettavano
che Hitler sconfiggesse rapidamente i comunisti e liberasse la Russia. Ragionavano: "Il
nemico del mio nemico è il mio naturale confederato e alleato". […] Pertanto, i sobri
patrioti russi non avrebbero dovuto farsi illusioni”205.
Il’in guardava con viva preoccupazione all’ipotetico avvento di un regime fascista
in Russia, che tanto gli ricordava il totalitarismo bolscevico; non credeva
nell’instaurazione del monopolio di un partito unico, tratto tipico delle dittature
nazifasciste. L’esperienza storica del fascismo gli aveva mostrato gli estremi dello
sciovinismo militante e di un nazionalismo pagano che avevano prodotto una
catastrofe culturale ed umana. Rimanevano imprescindibili, nella visione politica
di Il’in, un patriottismo religiosamente ispirato e l’amore per la libertà. “Il
patriottismo non richiede la conquista dell'universo; liberare il proprio popolo non
significa soggiogare o sradicare tutti i propri vicini. Istigare tutti contro il proprio
popolo significa distruggerlo”206.
205
206
IL’IN I. A., Nemico del mio nemico, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/15
IL’IN I. A., Sul fascismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/37
80
Capitolo 6. Stato di diritto e coscienza giuridica
Uno dei contributi più rilevanti di Il’in riguarda la riflessione sullo stato di diritto e
le sue implicazioni politiche ed etico-morali. L’indagine di Il’in, prendendo le
mosse dai precedenti studi sulla coscienza giuridica207, ridefinisce gli elementi
ideali che costituiscono i fondamenti dell’ordinamento giuridico di uno Stato. Tali
studi avevano già consentito di prendere in considerazione una sostanziale divisione
delle varie forme di coscienza legale. Questa distinzione sanciva il passaggio da
una forma di coscienza giuridica “naturale”, espressione di un comune senso di
giustizia, ad una dimensione in cui una più rigorosa distinzione, costituiva una
nuova prospettiva del diritto in seno allo Stato. Di fatto, erano sancite l’esistenza di
una coscienza giuridica della popolazione, una coscienza giuridica del governo, che
esprimeva l’autorità e, infine, una coscienza giuridica dei giuristi; diventava quindi
necessario sviluppare un comune concetto di Stato come valore condiviso da tutti.
Il’in giunse ad una più articolata e puntuale suddivisione aggiungendo il concetto
di “coscienza politica giuridica”, che prefigurava, nella sua costruzione teorica, non
solo la forma ideale dello Stato, ma sottendeva anche una nuova funzione dello
Stato come associazione politica.
Questa nuova impostazione teorica consentiva non solo di definire le forme ideali
di Stato, ma di fissarne a priori gli errori e le distorsioni. Nella prospettiva di Il’in,
le devianze che si riferiscono all’ordinamento dello Stato assumono il carattere di
una vera e propria corruzione di carattere spirituale, un decadimento che affligge i
singoli individui e la società nel suo complesso; lo Stato, organismo vitale, va così
incontro alla sua malattia, che determina la morte dello Stato stesso. Nell’analisi di
Il’in vengono richiamate le mancanze morali degli individui, ma anche degli enti
chiamati a governare, i quali, avviluppati da una forza che li rende solidali gli uni
con gli altri, subiscono reciprocamente l’azione del proprio degrado spirituale. Il
risanamento delle anime degli individui, provati da eventi che hanno causato un
profondo stato di afflizione, come lo definisce Il’in l’“anima disordinata e
amareggiata”208, passa attraverso l’autocoscienza per raggiungere la via dello
IL’IN I. A., On the Essence of Legal Consciousness, Wildy, Simmons & Hill Publishing, in
introduzione p. 6, (mia traduzione) “Tale concetto [di coscienza giuridica ndr] (Rechtsbewußtsein)
figurava in primo piano negli scritti di Friedrich Carl von Savigny (1779-1861) che diedero origine
alla Scuola Storica della giurisprudenza tedesca del XIX secolo”.
208
Ivi, p. 115
207
81
spirito, che hegelianamente conduce ad una forma collettiva di coscienza giuridica,
cioè una pluralità di anime che sono riunite sotto lo spirito comune. È la
riproposizione dell’"io" che è un "noi" e un "noi" che è un "io”, in cui lo spirito
hegeliano, nel pensiero di Il’in, si apre alla divinità e assume una dimensione
universale, genericamente cristiana nella sua totalità, senza il limite dell’ortodossia,
quindi non più riconducibile ad una realtà divisa, al recinto del dogma
confessionale; proprio perché universale, è fondamento della legge naturale, la
quale permette una vita spirituale autosufficiente e libera:
“L'essere umano come individuo è l'unica possibilità di una vita ispirata; condurre una tale
vita, creandola in modo autosufficiente e libera, è il diritto fondamentale e incondizionato
di ciascuno. Può essere definito un diritto naturale, perché esprime la natura essenziale della
vita spirituale dell'uomo: può essere definita un diritto eterno perché mantiene il suo
significato per tutti i tempi e i popoli; può essere definita un diritto inalienabile perché
qualsiasi deroga o sua violazione distorce la vita spirituale e distrugge la dignità
dell'uomo”209.
Dunque, nello studio di Il’in, il punto decisivo per la rappresentazione di un ideale
stato di diritto era strettamente connesso con una dottrina coerente della legge
naturale. Risulta evidente che la giustificazione della legge, come fondamento della
vita degli individui, non può essere legata a un generico elemento di diritto positivo,
causato da un evento del tutto contingente, ma deve essere giustificata sulla base di
un’idea oggettiva di essenza del diritto. Su queste basi, la legge deve essere
rappresentativa delle relazioni tra gli esseri umani, affinché il diritto individuale
garantisca la libera ricerca di una vita spiritualmente degna.
“Fondare il diritto significa dimostrare in termini pratici che il cammino di un essere umano
per la realizzazione del bene supremo è necessario. Questo significa dimostrare che le leggi
fondamentali dell'essenza dello spirito umano sono tali, e che l'essenza del bene supremo è
tale, che la legge come regola della condotta esterna è necessariamente obbligatoria, e
rappresenta la forma necessaria della loro unione. In altre parole, la legge è necessaria
perché senza di essa lo spirito di una persona sarà privato della possibilità di realizzare il
bene supremo nella propria vita”210.
209
210
Ivi, p. 132
Ivi, p. 127
82
La teoria della “coscienza politica giuridica” poneva ad Il’in un problema che, nella
sua visione, non andava affrontato in un’ottica esclusivamente dogmatico-giuridica,
ma con uno sguardo concretamente pragmatico. La questione relativa alla relazione
tra legge e potere, può essere sintetizzata nella domanda se sia possibile individuare
nella legge alcun aspetto che non sia riconducibile ad una forma di potere. La
metodologia e l’approccio di Il’in per giungere ad una risposta che soddisfacesse i
presupposti giuridico-formali sono essenzialmente filosofici e gli permettono di
elaborare una soluzione squisitamente speculativa. Il’in pone una questione
essenzialmente di metodo, argomentando che se fosse possibile, in linea di
principio, dare una risposta affermativa alla domanda, ciò implicherebbe il ricorso
ad una teoria del diritto basata su di una pura astrazione dei fenomeni, isolandoli
dal contesto; ipotizzando tale teoria giuridica si fanno strada due metodi di indagine,
uno logico ed uno normativo, i quali possono essere entrambi astratti. Esiste, a
monte di questa argomentazione, la necessità di dimostrare che la norma in sé deve
essere disgiunta non solo dalla coscienza della norma stessa, dato che il contenuto
della norma non deve essere concepibile da un soggetto particolare, ma anche da
ogni nesso causale o temporale. Allo stesso modo, l’efficacia della norma non
implica una sua limitazione, dato che la norma a priori sottende un ordine, quindi
obbligatorietà. La legge, quindi, è contemporaneamente una norma ed un giudizio.
Tornando alla domanda iniziale circa la relazione tra legge e potere la risposta di
Il’in non può che essere interlocutoria:
“Su questo possiamo concludere il saggio che abbiamo intrapreso sull'analisi metodologica
dei concetti di legge e potere. Siamo giunti alla conclusione che per una risoluzione la solita
domanda: "Il diritto è potere o no?" deve essere cambiata nella sua stessa formulazione.
Non si deve mai affermare che "la Legge è potere" o che "la Legge non è potere" perché
entrambe le risposte possono essere comprese nel senso di una vera coincidenza o non
incidenza dei due aspetti. Proprio un approccio metodologico al problema lo espone in tutto
il suo significato e indica un percorso per la sua risoluzione”211.
L’idea di Il’in della coscienza giuridica trova la sua naturale collocazione come
fonte di un sistema di relazioni che determinano sia la struttura delle norme, sia la
forma dello Stato, la cui missione, in ultima analisi, “consiste nella protezione e
IL’IN I. A., The Concepts of Law and Power: An Essay in Methodological Analysis, (mia
traduzione) in appendice, p. 313, in IL’IN I. A., On the Essence of Legal Consciousness, Wildy,
Simmons & Hill Publishing
211
83
nell'organizzazione della vita spirituale delle persone appartenenti a una data unione
politica”212. Da questa affermazione deriva che “la creazione e l’organizzazione
della vita dello spirito nazionale implicano che ogni Stato è un organo di vita
spirituale universale comune al mondo intero”213. Il’in inserisce la vita dello Stato
nel quadro della logica hegeliana; uno Stato che realizzi l’unità politica dei suoi
membri, impegnati nel conseguimento dello spirito come fine ultimo, è
manifestazione dello spirito universale. L’unità politica dello Stato, a sua volta, è
garantita dalla sua conduzione, ovvero da un governo politico che:
“… consiste nell'influenza socialmente indirizzata e giuridicamente organizzata della
volontà di alcune delle migliori persone legittimate dalla volontà di altri, i subordinati; i
quali sono vincolati non solo dalla giustezza e dalla forza delle autorità dominanti, ma
anche dalla loro coscienza giuridica; questa influenza deve servire al trionfo della legge
naturale, cioè la sua scoperta e realizzazione, come un unico ordine comune di vita. Ciò
significa che l'autorità di governo, secondo la sua essenza specifica, è forza, e inoltre forza
di volontà, mentre secondo la sua distinzione generica è forza giuridica”214.
Emerge, in tutta la sua evidenza, il concetto dell’antichità classica del “governo dei
migliori” e, allo stesso tempo, la funzione della coscienza giuridica che realizza,
attraverso la sua volontà, la forza del diritto, manifestazione di un governo
autoritario in cui l’idea di democrazia è subordinata a tale coscienza giuridica.
IL’IN I. A., On the Essence of Legal Consciousness, (mia traduzione) Wildy, Simmons & Hill
Publishing, p. 184
213
Ivi, p. 186
214
Ivi, p. 201
212
84
Capitolo 7. Platonismo
“A meno che […] i filosofi non regnino negli stati o coloro che oggi son detti re non
facciano genuina e valida filosofia e non si riuniscano nella stessa persona la potenza
politica e la filosofia e non sia necessariamente chiusa la via alle molte nature di coloro che
attualmente muovono solo a una delle due, non ci può essere […] una tregua di mali per
gli stati e credo, nemmeno per il genere umano”215.
Il’in è filosofo politico e un “sincero” antidemocratico, quindi, è un filosofo
platonico per definizione. Nel cosmo politico di Il’in, il governo dei molti non è di
tutti, ma solo dei consapevoli; è la politeia, ovvero l’autogoverno fondato sull’autoconnessione interiore, mentre la democrazia è il tumulto dei rivoltosi, è la
frammentazione indifferenziata: “la democrazia ha i suoi fondamenti vitali: nello
spirito del popolo, nel suo senso di giustizia, nella sua struttura sociale. Senza queste
basi, la democrazia degenererà o in oclocrazia (il dominio della massa), o in
tirannia”216 . I presupposti metafisici della visione politica di Il’in si riferiscono al
rapporto tra un principio superiore e l’applicazione di un modello in cui è riprodotta
in maniera gerarchica, dall’alto verso il basso, un’universalità che esprime la natura
sacra del potere, la legge divina, l’integrità e la coscienza collettiva. Il mondo
pensato da Il’in si risolve in un ordine gerarchico, il confronto tra l’Uno e i molti;
la politeia è espressione di una società tradizionale basata su di una natura organica
e integrale in cui viene riprodotto l’ordine del tutto. In questa visione, la democrazia
formale, quella dei dogmatici, della democrazia ad ogni costo, viene espunta:
Ogni Stato governato dal potere, indipendentemente dall'elezione e dal controllo popolare,
è uno Stato autoritario [...] Il sistema autoritario non preclude la rappresentanza popolare,
ma le conferisce solo diritti consultivi: il capo dello Stato (individuale o collettivo) ascolta
i consigli del popolo, ma governa in modo indipendente. Una legislazione e un governo
così autoritari non portano a un regime totalitario. Il totalitarismo consiste nell'esclusione
di ogni attività indipendente dei cittadini: la loro libertà personale, la loro organizzazione
corporativa, il loro autogoverno locale e professionale, la loro discrezionalità negli affari
personali e familiari, la loro iniziativa economica e la loro auto-attività culturale”217.
215
PLATONE, La Repubblica, traduzione Sartori F., Introduzione Vegetti M., note Centrone B.,
Laterza, Bari, 2023, 473d.
216
IL’IN I. A., Fondamenti della democrazia, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/59
217
IL’IN I. A., Dalla democrazia al totalitarismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/44
85
Ribaltando il percorso logico dall’Uno ai molti, ovvero procedendo con una
costruzione dal basso verso l’alto, per cui l’Uno è solo pensato realizzabile, saranno
i molti a determinare, attraverso le loro relazioni, il principio e l’origine. Nella
visione platonica di Il’in sia una società comunista, sia una società contrattualista
prevedono l’esistenza di uno Stato collettivo previdente e provvedente. In entrambi
i casi si realizza uno Stato totalitario ed assoluto. Ma se in questa ipotesi viene
negata non solo l’idea dell’Uno, ma anche la funzione relazionale dei molti, per cui
l’individuo, da solo, può soddisfare il suo personalistico ideale di libertà, si aprono
le porte alla dissoluzione dello Stato. In questa prospettiva si attualizza il
liberalismo democratico delle società contemporanee; la separazione degli
individui in seno alla società, dettata da una pretesa autonomia, contiene in sé i
prodromi di un egoistico solipsismo che conduce ad una crisi sociale irreversibile:
“così il principio della democrazia è l'atomo umano irresponsabile e la sua volontà
personalmente interessata e incompetente. Questo è l'inizio della crisi”218. Nella
critica di Il’in traspare, oltre al degrado spirituale individuale, che corrisponde alla
perdita della propria coscienza giuridica, la pretesa identità tra governanti e
governati, nella quale non viene fatta nessuna differenza tra i migliori e i peggiori.
“È il migliore che dovrebbe governare in tutti gli Stati e sotto tutti i regimi; ogni regime è
cattivo se è governato dal peggiore. È assurdo e innaturale dire: "Noi esigiamo la
democrazia, anche se vengono eletti e promossi governanti sciocchi dalla volontà debole,
ignoranti corrotti, disonesti e simile feccia sociale". Al contrario, è necessario e corretto
rispondere: "Una democrazia che non sa individuare il meglio non si giustifica; Distrugge
il popolo e lo Stato, e deve cadere”219.
Lo stesso degrado spirituale, o più esplicitamente il degrado dell’anima, affligge i
regimi totalitari come una malattia psichica che si diffonde contagiosa e distrugge
lo spirito. “In ognuno di noi ci sono due forze che di solito sono opposte l'una
all'altra: il potere dell'istinto e il potere dello spirito. L'istinto, preso da sé non è
frenato dallo spirito, è il lupo nell'uomo […]. L'uomo di puro istinto non conosce
né fede, né coscienza, né pietà, né onore”220. Il superamento del totalitarismo
IL’IN
I.
A.,
La
crisi
della
democrazia
si
sta
intensificando,
in
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_2/183
219
IL’IN I. A., Dovrebbe comandare il meglio, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/56
220
IL’IN
I.
A.,
Prerequisiti
per
la
democrazia
creativa,
in
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/134
218
86
implica, dunque, il risanamento dell’anima attraverso un ritrovato rinnovamento
spirituale:
“E fino a quando questo rinnovamento dello spirito non avrà luogo, si deve prevedere che
qualsiasi tentativo di introdurre un sistema democratico coerente nel paese [democrazia
creativa ndr] porterà o al dominio della folla (cioè delle masse, moralmente sfrenate e prive
di rispetto di sé, che non hanno né senso di responsabilità né lealtà libera), o a una nuova
tirannia totalitaria da destra”221.
La democrazia come intesa da Il’in, se non è sorretta da forze spirituali che sono
riconducibili alla volontà razionale e al senso di responsabilità, è destinata a
degenerare nel totalitarismo. Lo spirito si manifesta nella dimensione del sacro e
nella ricerca di Dio e la coscienza giuridica è una delle manifestazioni di tale spirito.
“Sono una persona con dignità e diritti spirituali, so cosa posso, devo e non posso
fare; onoro la stessa persona libera e responsabile in ogni altra persona”222. In questa
prospettiva, coloro i quali considerano la democrazia contrapposta al totalitarismo
sono vittime di un evidente pregiudizio, di un’illusione che non tiene conto di
alcuna evidenza storica. Il totalitarismo, ovvero la tirannia, sono il frutto della
democrazia.
“Abbiamo visto totalitarismi di sinistra e totalitarismi di destra; Abbiamo sperimentato
entrambi i regimi, fino agli arresti, agli interrogatori, alle minacce, ai divieti e altro ancora.
Abbiamo avuto l'opportunità di studiare entrambi i regimi fino in fondo, e abbiamo un
disgusto morale e politico non dissimulato per entrambi”223.
IL’IN I. A., Decadimento totalitario dell’anima, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/14
IL’IN
I.
A.,
Prerequisiti
per
la
democrazia
creativa,
in
http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/134
223
Ivi, II 135
221
222
87
Capitolo 8. Alcune considerazioni
Il’in è senz’altro fautore di una società introflessa, nella quale i valori dominanti
determinano l’istituzione di uno Stato etico, spiritualmente diretto; è un filosofo
conservatore e probabilmente anche antimoderno. La presenza costante, nel suo
pensiero, della tensione tra ragione e mondo, tra divino e natura, si traduce in una
filosofia ricca di contraddizioni, tesa a realizzare ontologicamente un confronto
irrisolvibile tra spirito e materia. Il pensiero di Il’in, racchiuso in uno schema che
include il patriottismo, ispirato da una religiosità legata all’ortodossia, e il
nazionalismo, espressione di un governo autoritario, è il tentativo di restituire alla
Russia il suo ruolo storico.
I destini di un popolo sono racchiusi nella sua storia. Quest’ultima nasconde non solo il
passato ma anche il futuro di un popolo; essa ne manifesta la natura spirituale: sia la sua
forza che le sue doti, la sua missione e la sua vocazione. La storia di un popolo rappresenta
il verbo silenzioso del suo spirito; il misterioso messaggio dei suoi destini; il segno
profetico di ciò che incombe224.
La cultura russa, tradizionalista e religiosa, diventa così la cura psicanalitica che
sana il sentimento inconscio di un’immaginata minorità nei confronti
dell’Occidente chiamato a civilizzare una Russia ostaggio della barbarie. Il’in
ricostruisce l’autocoscienza collettiva, scavando e riportando alla luce gli archetipi,
che vengono così restituiti nella narrazione epica di una Russia che deve compiere
la propria missione escatologica.
Il’in è un ribelle conservatore; non può più essere un rivoluzionario, ma è, suo
malgrado, un ideologo che indica un percorso politico che emerge dal passato.
Esiste una stridente distanza tra la sua filosofia, che viveva e vive tutt’ora ai margini
del movimento filosofico russo, come testimoniato anche dalle parole di Aleksandr
Dugin225, ed il suo pensiero politico, che concorre, a tutti gli effetti, all’elaborazione
della politica della Russia contemporanea. Nella riscoperta di Il’in, hanno giocato
un ruolo fondamentale le élite intellettuali russe; spicca la figura del regista Nikita
224
225
IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 28
Vedi Appendice p. 93
88
Michalkov226 che ha dato un contributo fondamentale alla sua conoscenza con il
film documentario “Il filosofo russo Ivan Il’in”.
La riscoperta del filosofo, dopo decenni di oblio, si inserisce nella ricostruzione di
un quadro storico culturale che viene incontro al nuovo orientamento conservatore
dell’establishment russo.
FERRARI A., Ivan Il’in e il discorso politico di Putin, in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di
Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 28
226
89
Conclusioni
In un recente convegno su Il’in, Olga Strada227 ha ricordato le parole di Pëtr Struve:
“Il’in è un fenomeno importante e interessante nella storia del patrimonio
intellettuale russo. La cultura russa non ha ancora conosciuto una figura come la
sua, e lui è destinato ad entrare nella storia russa in virtù delle sue originali doti
personali, uniche e inimitabili, insieme forti e vigorose.” La figura di Il’in è salita
prepotentemente all’attenzione degli studiosi e degli osservatori politici in relazione
ai fatti del febbraio 2014 e ancor più del febbraio 2022. Oggetto di analisi è
diventata la questione del nazionalismo russo, di cui Il’in è interprete, e dei suoi
sostenitori, di quei filosofi e ideologi che, nel corso degli anni, hanno sviluppato e
favorito la cosiddetta “idea russa”. Il concetto di “idea russa” sposta l’oggetto
dell’indagine in un ambito più vasto, in cui il confronto tra la filosofia occidentale
e la filosofia russa attiene ai modelli rappresentativi della vita, all’essere
dell’Occidente e l’essere Russi.
Il pensiero occidentale ha unificato luoghi e popoli; la complessità della diversità è
celebrata attraverso modelli che riemergono da un passato arcaico. L’essere
dell’Occidente è la rappresentazione della differenza, l’opposizione tra
un’affermazione e una negazione, tra vita e morte. L’Occidente si riconosce lontano
dai propri confini esistenziali, dalle proprie paure, dai propri demoni; occupa, con
una soggettività esasperata, ciò che è definito mondo, natura, fino a curvare spazio
e tempo. Il logos occidentale produce un modello in cui è possibile riconoscersi; è
la proiezione di un’universalità che non si può rifiutare. Se l’essere dell’Occidente
è categoria ed esclusione, l’essere dei Russi è inclusione senza confini. “I Russi,
quando più esprimono i caratteri originali del loro popolo, sono apocalittici o
nichilisti. Ciò significa che non possono rimanere nel mezzo della vita spirituale,
nel mezzo della cultura, che il loro spirito tende al limite estremo”228. Apocalittici
o nichilisti; i russi non conoscono mezze misure, non possono vivere nella medietà,
sono anti-mediocri. Non possono pensare il confine, così come non riescono a
Strada O., slavista, dal 2015 al 2019 è stata direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca.
GERMINI S., Dostoevskij con Berdjaev: la tragedia della libertà, in
https://imalpensanti.it/2023/01/dostoevskij-con-berdjaev-la-tragedia-della-liberta-1-il-voltospirituale-di-dostoevskij/
227
228
90
pensare un confine al loro Paese, grande e orizzontale, che si srotola senza barriere.
L’essere Russo non è individuale, la distanza è annullata, la soggettività è annegata
nell’appartenenza solo e sempre al popolo russo. Il pensiero russo nasce dalla terra
che si apre magmatica, è ancora caos e non logos; il tutto è contemporaneamente
unito e separato. Se in Occidente l’identità certa, il confine chiaro, sono il principio
di non contraddizione aristotelico, il logos russo ancora non c’è, il pensiero è fuso
in un’unità indistinta: terra, tempo e spazio.
Altro elemento che emerge con forza nella vita dei russi, è il senso della religiosità;
il popolo russo vive a fianco di Dio, si nutre del pensiero di Dio; in Occidente,
invece, Dio è invocato e chiamato senza che ci sia la certezza della sua risposta.
Nell’orizzonte russo Dio è guardiano dell’essenza stessa del popolo russo:
“La Russia ortodossa crede in un modo diverso, più profondo, sincero, appassionato. Nella
sua fede c’è spazio anche per la volontà; ma quest’ultima non estirpa la fede dall’anima,
sarà invece la fede a generare la volontà, rendendola fervente, ferrea, inesauribile. […] la
ragione si nutre della fede e grazie ad essa si sviluppa. La fede nasce dal fatto che l’uomo
contempla Dio con amore…”229.
Abbiamo dovuto aspettare il primo scorcio di modernità del XX secolo per sapere
che, forse, esisteva un pensiero russo; abbiamo dovuto aspettare una nave carica di
uomini che portavano in Occidente il principio di una filosofia russa. Il’in è un
simbolo di quella nave e del pensiero filosofico russo che, forse, si spegne
definitivamente in una terra straniera, sopraffatto da quello che lui definisce russità.
Nel suo esilio Il’in non si confronta con l’Occidente che, come egli sostiene, non
capisce la Russia; resta, al contrario, chiuso in una dimensione in cui l’anima russa
vive guidata dal cuore e dall’immaginazione e, solo in un secondo tempo, dalla
volontà e dal raziocinio. Il filosofo erige una barriera invalicabile: da una parte
l’Occidente e dall’altra la Russia, da una parte il logos e dall’altra la chora. Egli non
riesce a superare il confine che lo separa dal pensiero logico230; l’io, il sé
individuale, deve soccombere alla russità; “La cultura spirituale non può essere
limitata alla cultura del raziocinio; al contrario in presenza di un raziocinio piatto e
sicuro di sé, l’autentica cultura si disgrega e perisce”231. Il tentativo di costruire un
IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 19
Cfr, p. 4
231
IL’IN I. A., op. cit. p. 22
229
230
91
pensiero filosofico basato sulla costruzione di un proprio logos non duale si
trasforma, ancora una volta, nel paradigma del “noi e loro”, al quale non esita a
fare riferimento l’attuale establishment politico russo. Il nazionalismo di Il’in, il cui
principio si basa sull’integrità morale, politica e territoriale della Russia, è il
sussulto storico contro nemici esterni ed interni, è una resa irriducibile ad un
patriottismo schierato che vede la propria salvezza materiale e spirituale
unicamente nella conservazione di un’unità che può essere preservata solo con la
forza. A tale imperativo si riferiscono le parole che Il’in scriveva nel 1937:
“La piccola e la grande Russia sono unite da una sola fede, dall’etnia, dal destino storico.
Dalla geografia, dall’economia, dalla cultura e dalla politica. Gli stranieri, che preparano
la separazione, devono tenere a mente che così facendo dichiarano alla Russia una guerra
secolare. In Oriente non ci sarà pace né rigoglio economico in caso di separazione. La
Russia si trasformerà in una fonte di guerre civili e internazionali per secoli. La potenza
foriera della separazione diventerà uno dei nemici più odiati della Russia nazionale. Nella
lotta contro di essa saranno messe in atto ogni alleanza e qualsiasi mezzo. […] e lotterà
fino a che, non minerà alla fine e per sempre la forza della potenza causa della separazione.
La Russia nazionale non cerca la sventura di nessuno, ma saprà rispondere
tempestivamente ad ogni tentativo di separazione e lotterà fino alla fine. Per ogni potenza
è preferibile avere la Russia come amica, e non come nemica. La storia non ha ancora detto
la sua ultima parola”232.
La visione di Il’in di un nazionalismo così determinato storicamente, con un
costante richiamo all’unità russo-slava ha avuto, e continua ad avere un forte
addentellato all’interno degli ambienti governativi e presso parte dell’opinione
pubblica russa. L’idea monarchica di Il’in è l’immagine di un mondo isolato, in cui
un’autorità gerarchica verticale, giustificata da una spiritualità dettata dalla fede
ortodossa, è la riesumazione di un mondo che fa intravedere impossibili chimere.
Viene a mancare il confronto con l’Europa, che si allontana sempre di più e,
contemporaneamente, si manifesta un’opposizione all’Occidente che, come
conseguenza, genera spinte sempre più radicali nella società russa la quale tende
gradualmente ad identificarsi all’interno di un contesto geopolitico asiatico. Dopo
l’esperienza del materialismo sovietico e la successiva ubriacatura del materialismo
d’importazione occidentale, e dopo l’avvento della nuova autocrazia, la
IL’IN I. A., Osnovy bor’by za natsional’nuju Rossiju, (I fondamenti per la lotta della Russia
nazionale), IL’IN I. A., Sobranije sotjinenij (bind 9–10). Russkaja kniga 1999 [1937].
232
92
riproposizione del pensiero di Il’in appare come il progetto strumentale di
un’antistorica restaurazione.
93
Appendice
Ivan Il’in: monarchismo militante233
Breve saggio di Aleksandr Gel’evic Dugin
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini
Il filosofo Ivan Il’in (1883-1954) può essere considerato un altro rappresentante dei
"monarchici della Chiesa di Filadelfia".
Ivan Il’in era un hegeliano e la sua opera filosofica più significativa è dedicata a
Hegel. La sua lettura di Hegel è in armonia con la tradizione dell'hegelismo europeo
di destra, che rifiutava radicalmente l'interpretazione di sinistra insita nel marxismo.
Allo stesso tempo, Il’in è caratterizzato da un dualismo quasi "iraniano" con cui
interpreta Hegel. In questo è in parte in sintonia con Khomyakov. Per Il’in, il mondo
si basa su una lotta feroce e continua tra lo spirituale e il materiale. Entrambi gli
inizi sono creati da Dio, ma lo spirito come sua diretta continuazione e la materia
come un suo opposto, che deve essere superato, sottomesso e trasformato.
Questa lotta fondamentale è, secondo Il’in, il contenuto della storia del mondo. Il
suo territorio è l'uomo, che è chiamato ad essere lo strumento principale dello
spirito. L'imperativo principale della storia diventa quindi l'instaurazione della
verticalità, la trasformazione del caos orizzontale della materia nell'ordine
trascendente dello spirito. La coscienza umana, in questo contesto, è una diretta
continuazione del pensiero divino, ma allo stesso tempo, anche gli elementi del
mondo materiale inferiore hanno un enorme impatto sull'uomo, lo confondono, lo
attirano a sé, lo costringono a passare dalla loro parte. Da qui la tragedia dualistica
dell'uomo in quanto tale, crocifisso tra spirito e materia, che cerca di compiere la
missione affidatagli da Dio, ma spesso si allontana da questo percorso.
233
Il breve saggio che qui appare per gentile concessione dell’autore è inedito in Italia
94
Il’in segue Hegel nell'intendere il senso della storia come l'instaurazione di una
monarchia ideale in cui l'uomo realizzerà pienamente la sua missione e si stabilirà
un ordine spirituale verticale incrollabile. Come per Tikhomirov, l'autocrazia e la
storia diventano elementi fondamentali della metafisica, strettamente legati alla
prospettiva escatologica, dove deve avvenire la vittoria finale e irreversibile dello
spirito. Questa interpretazione di Hegel è puramente apollinea e corrisponde
pienamente alla versione accentuata e tesa dell'ideologia statale classica dell'élite
russa. Va sottolineato che il pensiero di Ivan Il’in è molto vicino, sia nello stile che
nei contenuti, ai filosofi tedeschi della tendenza conservatrice-rivoluzionaria. In
parte, questa vicinanza si spiega con l'origine del filosofo stesso, la cui madre era
tedesca.
La proiezione di queste posizioni filosofiche sulla politica concreta determinò
l'espulsione di Il’in dalla Russia sovietica sul "piroscafo filosofico" e il suo
avvicinamento all'ala monarchica dell'emigrazione russa, cioè al campo di
Filadelfia. Per Il’in, i bolscevichi e la democrazia dell'Europa occidentale
rappresentano le forze della materia pura e del male liberato che si sono liberate
dalla forza di contenimento dello spirito e hanno preso il potere. Il bolscevismo e il
capitalismo, secondo Il’in, sono due manifestazioni della catastrofe ontologica che
rappresenta la sconfitta delle forze dello spirito nella battaglia contro la materia.
Questa conclusione fece di Il’in uno dei principali teorici della tendenza più radicale
dell'emigrazione bianca, che chiedeva una lotta spietata contro i bolscevichi e la
restaurazione del sistema monarchico in Russia. Come filosofo, Il’in vedeva nella
monarchia non solo uno dei possibili sistemi politici, ma la "fine della storia"
hegeliana.
Una volta in Europa, Il’in si pone un obiettivo pratico: organizzare e mobilitare
l'emigrazione bianca per continuare la guerra civile, che ai suoi occhi fa parte della
grande lotta tra spirito e materia. Ciò richiede la risposta a tutta una serie di
domande politiche che i monarchici rimasti senza monarchia, impero, patria, ecc.
si pongono e la formulazione di un programma di lotta e delle disposizioni
fondamentali dell'ordine che dovrebbe essere stabilito in Russia dopo la vittoria sui
bolscevichi. A questo era dedicata una serie di articoli di Il’in, pubblicati dalla casa
editrice emigrata Russian Bell.
95
Nell'articolo programmatico “L'idea bianca” Il’in interpreta la guerra civile nella
sua ottica filosofica e monarchica:
«La causa bianca non è iniziata con noi e non finirà con noi, ma per la forza dei
destini storici abbiamo dovuto innalzare ora il suo vessillo in Russia e portiamo
questo vessillo con un senso di massima responsabilità spirituale. Non l'abbiamo
creato noi: è vecchio come la Russia; siamo solo diventati sotto di esso, di nuovo
come un tempo, nell'ora del tumulto e della decadenza».
Qui vediamo che Il’in ignora completamente l'elemento liberale e della Causa
Bianca, identificandolo con il proprio ideale filadelfiano, monarchico. In cosa
consista l'Idea Bianca, Il’in lo spiega nello spirito della sua filosofia:
«Nel suo significato più profondo, l'Idea Bianca, nata e maturata nello spirito
dell'ortodossia russa, è un'idea religiosa. Ma proprio per questo è accessibile a tutti
i russi - ortodossi, protestanti, maomettani e pensatori extra-confessionali. È l'idea
della lotta per l'opera di Dio sulla terra; l'idea della lotta contro il principio satanico,
nella sua forma personale e sociale; la lotta in cui l'uomo, nel suo coraggio, cerca
sostegno nella sua esperienza religiosa. La nostra lotta bianca è proprio questo. Il
suo motto è: Il Signore chiama, devo temere Satana?»
"L'inizio di Satana" è lo stesso del caos, della materialità, delle passioni di base
dilaganti e di tutto ciò che si oppone allo spirito, all'ordine, alla verticale apollinea.
Allo stesso tempo, come altri portatori del monarchismo filadelfiano, Il’in fa leva
soprattutto sul nucleo volitivo del soggetto. Con pathos pubblicistico lo sottolinea
quando parla dello "spirito bianco".
«Lo spirito bianco si basa soprattutto sulla forza del carattere personale. Le persone
di carattere debole e senza carattere, non convinte di nulla fino alla morte, con
pensieri doppi e desideri non finalizzati, o non si sono unite ai ranghi dei Bianchi,
o li hanno presto abbandonati. Al contrario, l'uomo di carattere ha sempre trovato
qui dei fratelli di spirito. Il carattere dell'uomo bianco è quello di essere devoto alla
sua santità; da essa scaturisce la sua parola di vita; e la sua parola è seguita dalla
sua azione. Crede in ciò che professa e fa ciò che dice. Da questa integrità deriva la
sua forza; da questa forza deriva il suo autocontrollo. Da questa integrità e
autocontrollo deriva la sua rettitudine di vita e il suo disprezzo per ogni sussurro,
96
ogni menzogna, stortura e intrigo e così i suoi motti sono: la mia santità, la mia
parola, la mia causa. E anche: io possiedo me stesso. E, infine, con la visiera alzata.
Purtuttavia, ovunque viva e respiri la forza del vero carattere, essa porta all'uomo
doni preziosi: dignità, libertà e disciplina.»
Anche in questo caso non si tratta di conservatorismo, ma di determinazione a
ripristinare la verticale apollinea decaduta facendo affidamento sulla profonda
dignità interiore, sul "carattere". Questo lo porta a una tesi anti-Tolstoj della
"resistenza al male con la forza". Nel principio dello spirito dualistico, Il’in ritiene
che nell'affrontare l'inizio diabolico della storia, lo spirito debba in alcuni casi usare
la violenza, perché ciò è richiesto dalle leggi della guerra ontologica.
Gradualmente, però, il pensiero di Il’in perde la sua linearità. L'incapacità pratica
dell'emigrazione bianca, compresa la sua ala monarchica, lo costringe a ripensare il
dualismo semplicistico a cui si era tradizionalmente ispirato. Inoltre, erano
necessarie risposte più approfondite sulle cause delle precedenti sconfitte, compresa
la domanda chiave: perché l'autocrazia in Russia è caduta?
Il’in giunge così alla conclusione che il potere della materia e del male non è
semplicemente un fattore esterno all'uomo, ma è radicato nella sua anima, nel suo
cuore, nella sua coscienza e nella sua volontà. L'uomo - e in particolare il
monarchico ortodosso - non può compiere la sua missione storica non perché il
diavolo sia troppo potente, ma perché egli stesso porta in sé il lato oscuro
dell'essere. Qui si passa da un atteggiamento puramente apollineo a uno più
sfumato, dialettico e in parte dionisiaco. Così, l'attenzione di Il’in, originariamente
ortodosso, si sposta dall'esterno all'interno e si concentra sui processi della vita
spirituale, dove si trasferisce tutta l'acutezza della guerra ontologica. I libri su temi
religiosi ed etici scritti da Il’in dalla fine degli anni '30 - Assiomi dell'esperienza
religiosa, Cuore che canta. Il libro delle contemplazioni silenziose, ecc.
Tuttavia, lo spirito del filosofo di Filadelfia rimane intatto. Alla fine della sua vita
Il’in pubblica una serie di brevi materiali programmatici, in cui riassume i
fondamenti della sua visione del mondo e formula il suo testamento alle generazioni
successive, i portatori dell'"Idea Bianca". Questi testi sono stati riuniti sotto il titolo
generale I nostri compiti. Qui Il’in fornisce un abbozzo della sua idea di futuro, e
nonostante tutta la complessa ontologia religioso-mistica e profondamente interiore
97
della guerra tra spirito e materia, questo futuro acquisisce in lui un pronunciato
carattere politico-ideologico, continuando la logica dei progetti monarchici
ortodossi dei primi periodi.
98
Una conversazione con
Aleksandr Gel’evic Dugin234
D: C’è una qualche continuità tra il suo pensiero e quello di I.A. Il’in? Soprattutto
il concetto di monarchismo di Il’in è secondo lei una forma di platonismo politico?
R: No, non c’è continuità. Il concetto di monarchismo di Il’in è, secondo me,
definibile come “platonismo politico”, per usare questa formula, solo alla
condizione che tutto il monarchismo e tutte le sue idee e varianti abbiano radici
platoniche. È molto importante comprendere che lo Stato platonico non deve essere
accettato come una utopia mai realizzata, bensì come forma generale di tutte le
società gerarchiche. In tal senso, allora, tutto il monarchismo è platonico in sé, oltre
agli aspetti stoici. Il platonismo lo dobbiamo considerare come un fenomeno metastorico e metafisico, non solo come un qualcosa di “mai realizzato”. Soprattutto la
monarchia europea e quella russa debbono essere considerate come un’evoluzione
della verticalità platonica.
D: Possiamo considerare Il’in un precursore dell’Eurasiatismo?
R: No, in nessun modo. Non è stato un precursore dell’Eurasiatismo, era piuttosto
un pensatore del conservatorismo monarchico, senza interesse per l’identità
eurasiatica della Russia, come continente e come impero. Era un monarchista
classico.
D: In Il’in il concetto di bene appare in una dimensione duale con il male: Il male
non va accettato, quindi il bene è tale solo se vi si oppone. È possibile quindi che
un bene che nasce dal male, come dice Berdjaev, sia un bene demoniaco?
R: Non è così. La questione del bene e del male non era sufficientemente compresa
e interpretata nella tradizione filosofica russa. Credo che tutti i paradossi formali
234
Mia conversazione tenuta con il Professor Dugin nel mese di ottobre 2023
99
che incontriamo con Il’in e Berdjaev derivino da questo errore di comprensione.
Non possiamo nemmeno mescolare l’errore di Berdjaev con quello di Il’in: la
questione del bene e del male deve essere posta nel contesto più profondo della
comprensione del neoplatonismo e della metafisica platonica, oltre alle forme non
corrette delle sue interpretazioni storiche che si trovano anche in Russia. Il
platonismo richiede una re-interpretazione, perché tutto il mondo conosce Platone
e il platonismo, ma tutto il mondo sbaglia nell’interpretazione. Credo che solo
grazie al tradizionalismo integrale, alla visione di Guénon, alla conoscenza di altre
metafisiche tradizionali, possiamo adeguatamente interpretare la visione e le idee
di Platone come anche del neoplatonismo.
D: Dal punto di vista filosofico e politico esiste una identità di pensiero tra
Solov’ev, Berdjaev e Il’in?
R: Tutte e tre le filosofie citate sono molto diverse. Solovev era platonico naïf,
mistico, molto interessante, se si vuole anche neoplatonico. Le sue visioni storiche
e sociali, soprattutto della gioventù, sono molto scorrette in vari punti, ma
l’intuizione della Sophia è un aspetto estremamente interessante della sua filosofia,
è qualcosa di molto profondo, una rivelazione filosofica che dobbiamo
comprendere meglio, anche al di fuori dei suoi concetti politici e sociali, che erano
utopistici. Berdjaev era molto confuso. Alcune sue considerazioni probabilmente
meritano di essere approfondite: per esempio, ha considerato bene la natura del
comunismo come continuazione del pensiero escatologico eterodosso delle sette
russe, della tradizione eterodossa mistica russa, ma in generale non ha creato nessun
sistema di pensiero. Aveva un modo di pensare caotico. Il’in è più sistematico, un
monarchista conservatore, non tanto russo quanto, forse, più germanico. Il suo
pensiero non era tanto paradossale quanto dovrebbe essere il pensiero russo, come
nel caso di Vasilij Vasil'evič Rozanov, ad esempio.
D: L’Idea Bianca di Il’in è ritenuta la realizzazione teorica di un fascismo russo.
Credo che in realtà l’Idea Bianca sia un’evoluzione del concetto hegeliano di spirito
che, nel pensiero di Il’in, non è più un atto razionale ma, diventa autocoscienza
dello spirito di fronte a Dio. In questo senso i concetti metafisici di Patria, Libertà
e Religione, sono ipostasi della volontà spirituale di un popolo. Qual è il suo
pensiero al riguardo?
100
R: Sono d’accordo. L’Idea Bianca di Il’in non aveva niente a che fare con il
“fascismo russo”, perché il “fascismo russo” non esisteva. C’è stato un fenomeno
molto marginale, senza contenuto, senza natura, limitato ai cosiddetti seguaci di
Harbin, ma era un fenomeno senza interesse, una forma di imitazione del fascismo
italiano senza originalità e filosofia. Sono d’accordo anche col fatto che Il’in sia
stato un epigono di Hegel: ha voluto continuare la sua filosofia in maniera diretta,
cosa che io giudico in maniera molto positiva. Credo che in tal senso sia stato più
vicino a Gentile, che tuttavia era molto più originale, profondo e interessante, ma
Il’in non lo è stato allo stesso modo, hegeliano diretto sì, ma non ugualmente
brillante sotto molti aspetti soprattutto quelli più propriamente russi. Ha applicato
la visione di Hegel all’impero russo, ma comparando la filosofia politica di Il’in e
la filosofia politica di Gentile, credo che Gentile sia stato più grande. Va detto
comunque che l’hegelismo di Il’in era totalmente lontano da alcuni aspetti del
fascismo italiano o nazismo tedesco. Il’in è stato un monarchista hegeliano russo
ortodosso, di destra come lo fu Gentile, ma senza originalità. Non considero Il’in
un grande filosofo.
101
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