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Tra spirito ed essenza: Ivan Aleksandrovic Il'in

2024

La diffusione in Italia del pensiero russo è stata a lungo ostacolata dal duro e influente giudizio di Benedetto Croce, secondo il quale 1 "Tutta questa gente, i cui nomi male si pronunziano, non ha fatto altro che ripetere la filosofia tedesca, nutriti di pensiero inglese e francese, rifriggere nuove varietà verbali di certe dottrine filosofiche. […] Nessuna traccia di originalità, tutta questa gente non vale la pena di essere letta e dovrebbe cominciare a studiare l'abc della scienza, la logica formale e tante altre cose che gli europei hanno nel sangue per millenaria educazione". 2 Il pensiero russo, storicamente legato alla politica, alla religione e alla letteratura, con fatica riesce a confrontarsi con le grandi costruzioni teoriche del pensiero Occidentale e con quella cultura millenaria a cui allude Croce; tuttavia, se una distanza di fondo esiste, sino a sconfinare in una opposizione irriducibile, bisogna fare dei distinguo; interessante la valutazione di alcuni studiosi russi i quali esprimono un giudizio che lascia spazio a una diversa interpretazione: "…l'idea d'Europa non è considerata come aliena e antagonista rispetto all'idea russa. L'idea russa, invece, è antagonista del concetto di Occidente. L'idea d'Europa è identificata con la cultura alta, con il genio dell'illuminismo e con un modello umanistico e democratico di sviluppo che è compatibile con l'idea russa. L'idea russa, invece si contrappone alla cultura di massa americana edonista e consumista" 3. Esiste quindi una Russia che afferma una propria civiltà e che dal confronto storico con l'Europa trae la sua originalità e la coscienza del proprio percorso storico. In questa prospettiva, la contrapposizione tra Occidente e Russia, che si è acuita nell'ultimo scorcio del XX secolo, corre il rischio di essere una condizione permanente anche nel futuro; è lecito chiedersi, dunque, quale sia il futuro delle relazioni tra la Russia e l'Occidente, anche alla luce della crisi del paradigma geopolitico unipolare, e se sia possibile escludere la Russia dall'Europa. Proprio per queste ragioni, e soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti geopolitici, sarebbe opportuno uno studio più attento dei movimenti russi, con particolare

Tra spirito ed essenza: Ivan Aleksandrovič Il’in La Russia ci ha fatto dono di distese sconfinate, di pianure estese a perdita d’occhio, percorse senza ostacoli dal vento e infinite allo sguardo, invitandoci a un propizio e lontano cammino. E queste distese hanno dilatato le nostre anime dotandole di ampiezza, libertà e levità […] Lo spirito russo si distingue per la sua libertà spirituale, la vastità interiore, la percezione di possibilità sconosciute e straordinarie. Noi veniamo alla luce in questa libertà interiore… I. A. Il’in, Sulla Russia (Tre discorsi) 2 Indice Introduzione 4 Vita e opere di Ivan Aleksandrovič Il’in 6 Sezione I - La prospettiva storica 14 1. Alle origini della rivoluzione 14 2. Slavofilismo e panslavismo 17 3. Sofia e rinascita filosofica religiosa 23 4. Il marxismo in Russia 27 5. Bolscevismo 32 6. La domenica di sangue 37 7. Ottobre 41 8. Guerra civile 45 9. Oberbürgermeister Haken 48 Sezione II - Il pensiero 53 1. Sette settimane con il Dottor Freud 53 2. Hegel 59 3. L’idea bianca 67 4. Nazionalismo e Stato 72 5. Fascismi 77 6. Stato di diritto e coscienza giuridica 81 7. Platonismo 85 8. Alcune considerazioni 88 Conclusione 90 Appendice 94 Ivan Il’in: monarchismo militante di Aleksanr Dugin 94 Conversazione con Aleksandr Dugin 99 Bibliografia 106 Sitografia 105 3 Introduzione La diffusione in Italia del pensiero russo è stata a lungo ostacolata dal duro e influente giudizio di Benedetto Croce, secondo il quale1 “Tutta questa gente, i cui nomi male si pronunziano, non ha fatto altro che ripetere la filosofia tedesca, nutriti di pensiero inglese e francese, rifriggere nuove varietà verbali di certe dottrine filosofiche. […] Nessuna traccia di originalità, tutta questa gente non vale la pena di essere letta e dovrebbe cominciare a studiare l’abc della scienza, la logica formale e tante altre cose che gli europei hanno nel sangue per millenaria educazione”.2 Il pensiero russo, storicamente legato alla politica, alla religione e alla letteratura, con fatica riesce a confrontarsi con le grandi costruzioni teoriche del pensiero Occidentale e con quella cultura millenaria a cui allude Croce; tuttavia, se una distanza di fondo esiste, sino a sconfinare in una opposizione irriducibile, bisogna fare dei distinguo; interessante la valutazione di alcuni studiosi russi i quali esprimono un giudizio che lascia spazio a una diversa interpretazione: “…l’idea d’Europa non è considerata come aliena e antagonista rispetto all’idea russa. L’idea russa, invece, è antagonista del concetto di Occidente. L’idea d’Europa è identificata con la cultura alta, con il genio dell’illuminismo e con un modello umanistico e democratico di sviluppo che è compatibile con l’idea russa. L’idea russa, invece si contrappone alla cultura di massa americana edonista e consumista”3. Esiste quindi una Russia che afferma una propria civiltà e che dal confronto storico con l’Europa trae la sua originalità e la coscienza del proprio percorso storico. In questa prospettiva, la contrapposizione tra Occidente e Russia, che si è acuita nell’ultimo scorcio del XX secolo, corre il rischio di essere una condizione permanente anche nel futuro; è lecito chiedersi, dunque, quale sia il futuro delle relazioni tra la Russia e l’Occidente, anche alla luce della crisi del paradigma geopolitico unipolare, e se sia possibile escludere la Russia dall’Europa. Proprio per queste ragioni, e soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti geopolitici, sarebbe opportuno uno studio più attento dei movimenti russi, con particolare FERRARI A., Ivan Il’in e il discorso politico di Putin, in IL’IN I.A., Sulla Russia, a cura di Strada O., p.VI, Aspis Edizioni, Milano, 2023. 2 CROCE B., Il pensiero russo secondo due libri recenti, in “Giornale d’Italia”, 4 settembre 1918, citato da FERRARI A., Ivan Il’in e il discorso politico di Putin, in IL’IN I.A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 84. 3 VALLE R., L’idea russa e le idee d’Europa, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2021, p. 32. 1 4 riferimento ai filosofi euroasiatisti e nazionalisti come Lev Gumilëv e Aleksandr Dugin tra gli altri. Allo stesso modo varrebbe la pena non dimenticare pensatori slavofili e religiosi, come Vladimir Solov'ëv, che hanno incarnato più di altri l’essenza della “russità”; questi ultimi hanno cercato di elaborare un pensiero originale che facesse riferimento più specificatamente ai temi della teoresi della tradizione russa e fosse libero da ogni condizione di sudditanza nei confronti del pensiero occidentale. Senso di appartenenza alla terra, tradizione, religione e lingua: questi gli elementi che definiscono filosoficamente la diversità ontologica, antropologica e metafisica dall’Occidente; come diceva Berdjaev “i russi subiscono e ignorano la mistica della razza e del sangue, ma sentono profondamente la mistica della terra”4. Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire un modesto contributo, che possa aiutare a far conoscere l’idea russa ripercorrendo il cammino storico e filosofico della Russia e dell’Unione Sovietica tra il XIX e il XX secolo, attraverso la figura di Ivan A. Il’in, il cui pensiero è una delle testimonianze di quel periodo storico. La prima parte della ricerca ripercorre retrospettivamente la storia del pensiero filosofico e le specificità culturali che sono state alla base della rivoluzione bolscevica. La seconda parte si concentra sul pensiero di Il’in, entrato a far parte della filosofia dello Stato di Putin; i suoi concetti di idea russa e di patria hanno avuto notevole credito presso molti intellettuali, tra cui Aleksandr Solženicyn e Nikita Mikhalkov ed ha oggi notevole influenza sulla società russa. È doveroso precisare che questa ricerca è dettata da interesse esclusivamente storico e filosofico e non contiene alcun intento di carattere revisionista o di accreditare posizioni politiche; allo stesso modo non vi è alcuna concessione agiografica. Si è cercato, per quanto possibile, di chiarire gli aspetti controversi che riguardano la figura di Ivan Il’in. 4 VALLE R., L’idea russa e le idee d’Europa, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2021, p. 26. 5 Vita e opere di Ivan Aleksandrovič Il’in Il nome del filosofo Ivan Aleksandrovič Il’in, tenuto in grande considerazione in Russia, ma poco conosciuto in Occidente, non era stato oggetto di particolare interesse fino all’autunno del 2015, quando la rivista statunitense di relazioni internazionali, Foreign Affairs ha pubblicato un articolo su Ivan Ilyin, dal titolo “Putin’s Philosopher, Ivan Il’in and the Ideology of Moscow’s Rule”, firmato da Anton Barbashin e Hannah Thoburn, che riprendevano alcuni temi apparsi l’anno prima sul New York Times5 e sul Washington Post6. La situazione di tensione geopolitica che tuttora caratterizza l’attualità ha indotto Marlène Laruelle7 e Timothy Snyder8, analisti politici, a rivolgere con maggiore attenzione il loro interesse alla figura di Ivan Il’in, soprattutto in relazione alla pretesa ipotesi che il pensiero di Ilyin sia il substrato ideologico dell’attuale leadership politica russa. In Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, il pensiero di Ivan Il’in viene così identificato ed etichettato all’interno di un’area politica ben definita, con giudizi dal forte accento negativo, la maggior parte dei quali frutto di superficialità o di evidente propaganda tesa a voler assegnare a tutti i costi una collocazione del pensiero del filosofo alla luce di un approccio storicista. Teorico del fascismo russo, simpatizzante di Mussolini, anticomunista, e allo stesso tempo antioccidentale, monarchico nazionalista, neo imperialista, eurasiatista: questo il profilo intellettuale che viene abitualmente presentato al poco attento pubblico occidentale. Va comunque sottolineato, come oggettivamente fa notare Marlène Laruelle, che il pensiero di Ivan Ilyin non può essere considerato il solo ispiratore della linea politica dell’attuale governo autocratico; tale linea politica va ascritta alla tradizione della filosofia russa che si oppose al movimento bolscevico e la cui riscoperta, in una prospettiva filosofico-politica, rappresenta sicuramente una giustificazione teorica determinante. Questa impostazione di fondo è confermata dal fatto che già dal 2014 “I nostri compiti” di Ivan Il’in, la “Filosofia della diseguaglianza” di Nicolaj Berdjaev e la BROOKS D., Putin Can’t Stop, The New York Times, marzo 2014. SNEGOVAYA M., How Putin’s worldview may be shaping his response in Crimea, The Washington Post, marzo 2014 7 LARUELLE M., In search of Putin’s philosopher, Why Ivan Il’in is not Putin’s Ideological Guru, in Riddel (https://ridl.io/),2018 8 SNYDER T., Ivan Il’in il filosofo del neozarismo di Putin, a cura di LOMBARDI A., in ITALIA Storica, 2022. 5 6 6 “Giustificazione del Bene” di Vladimir Solove’v sono letture raccomandate dai vertici del governo russo agli esponenti delle amministrazioni regionali e sono spesso citate nelle occasioni politiche pubbliche9. In ambito accademico, senza enfasi, ma con interesse crescente e sempre più in profondità, Ivan Il’in è oggetto di studio in relazione al movimento sofianico di Solove’v10 e al rapporto del filosofo con Florenskij11 e Berdjaev12, che hanno condiviso e subìto con Ilyin la repressione messa in atto dal Partito Comunista, il primo vittima delle purghe staliniane degli anni ’30, il secondo con l’esilio, insieme allo stesso Il’in, a bordo della “nave dei filosofi”. Lo scorso anno, a testimonianza di quanto quest’ultimo evento sia elemento sensibile nella storia recente della Russia, in occasione del centenario dell’esilio degli intellettuali controrivoluzionari, la vicenda della “nave dei filosofi” è stata ricordata e commentata dalla stampa russa attraverso le riviste storico-politiche Rodina (l’editore è governativo) e Novaya Gazeta (indipendente, il cui direttore Dmitrij Muratov è stato insignito nel 2021 del Premio Nobel per la Pace). Il pensiero di Il’in, che in un primo momento è stato in qualche modo ritenuto, a torto, marginale, è in realtà assolutamente rilevante, soprattutto in relazione ai suoi studi su Hegel; Lenin stesso manifestò un grande apprezzamento circa il lavoro filosofico di Il’in con il quale, dal punto di vista teoretico, esistevano molti punti di contatto circa l’interpretazione del pensiero hegeliano. Tali studi, tuttavia, vanno inseriti all’interno del complesso contesto filosofico dei primi anni del XX secolo ed evidenziano come l’analisi di Il’in del pensiero di Hegel apra a una riflessione filosofica e religiosa sulla tradizione russa e diventi uno studio sistematico della 9 SNEGOVAYA M., op. cit. Solov’ev V. S., filosofo e teologo, è considerato uno dei più grandi pensatori russi. Precursore del simbolismo, il suo pensiero è pervaso da una visione messianica e da una cristologia cosmica. Nel suo sistema filosofico sono presenti tutte le idee che saranno all’origine della rinascita spirituale russa dei primi anni del Novecento. 11 Florenskij P. A., 1882 – 1937, filosofo, matematico e teologo. È il pioniere di un nuovo orientamento di pensiero in campo teologico e scientifico, capace di contrastare l’avanzata del pensiero nichilista. Pubblica quello che oggi viene definita "summa del pensiero teologico ortodosso", capolavoro del pensiero filosofico-teologico contemporaneo: “La colonna e il fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere”. 12 Berdjaev N. A., 1874 – 1948, "il filosofo della libertà", fu uno dei maggiori esponenti dell'esistenzialismo e dell'anarchismo cristiano. È autore di una delle più importanti analisi filosofiche del pensiero di Fëdor Michajlovič Dostoevskij: “La concezione del mondo di Dostoevskij”. 10 7 filosofia del diritto, della filosofia morale e religiosa, dell’analisi storica della Russia e della cultura, nel suo insieme, del popolo russo. Il’in nasce a Mosca nel 1883; il padre, discendente di una delle più antiche famiglie dell’aristocrazia russa, ha un ruolo nell’avvocatura dello Stato; la madre, tedesca luterana, convertita all’ortodossia, impartisce al figlio un’educazione contraddistinta da una forte spiritualità religiosa. Il giovane Il’in studia con grande profitto e, terminato il ginnasio, chiede e ottiene, nel 1901, l’iscrizione alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Mosca. Comincia a sviluppare un profondo interesse per la filosofia. Oltre alle lingue dell’antichità classica, conosce il francese ed il tedesco (lingua trasmessagli dalla madre). Scrive sullo Stato ideale di Platone e sulla dottrina di Kant della "cosa in sé" nella teoria della conoscenza; scrive inoltre alcuni saggi che presenta nel periodo 1906-1909, tra cui, "Insegnamenti di Schelling sull'assoluto", "L'idea del concreto e astratto nella teoria della conoscenza di Hegel", “Il problema del metodo nella giurisprudenza moderna". Dopo la laurea, nel settembre del 1906, su proposta di Evgenii N. Trubetskoy13 ottiene un dottorato di ricerca; nello stesso anno si sposa con Natalia Nikolaevna Vokach, intellettualmente ed elettivamente a lui molto vicina (studiosa di filosofia, storia dell'arte, storia), con cui condividerà tutta la vita. Negli ambienti culturali moscoviti che Il’in frequenta, si fa notare, oltre che per la sua intelligenza, anche per il carattere spigoloso e nevrile. Scrive Belyj, poeta simbolista che frequentava il salotto di Evgenija Gercych, cugina della moglie: “il giovane Ilyin, ossesso, di un pallore cadaverico […] hegeliano […] mi prese subito in antipatia senza nessun motivo […] questo filosofo di talento aveva un che di morboso […] il posto giusto per lui sarebbe stata una clinica psichiatrica”14. In quel periodo Il’in è su posizioni politiche completamente diverse da quelle che assumerà nel corso degli anni a venire; gli eventi drammatici del 1905 e quella che sarebbe stata definita “la domenica di sangue” lo vedono anarchico tra le fila dei socialisti rivoluzionari15. Nel 1909, Il’in diventa assistente presso il Dipartimento Trubetskoy E. N., filosofo, esponente del liberalismo, studioso e critico di Solov’ev nel processo di analisi del progetto di Solov’ev di una "teocrazia libera" e studiando il contesto storico in cui l'idea teocratica era stata formata nella tradizione occidentale, Trubetskoy formula le sue opinioni di principio sul rapporto tra la chiesa e lo stato e giustifica la necessità della loro separazione. 14 IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O. Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. VII. 15 Ivi, p. VI. 13 8 dell'Enciclopedia di diritto e quello di Storia della filosofia del diritto all'Università di Mosca. Nel 1910 pubblica il saggio "Concetti di diritto e potere"16 nella rivista Voprosy filosofii i psichologii (Questioni di filosofia e psicologia) e diventa membro della Società Psicologica di Mosca; di particolare rilievo il fatto che, nel 1921, ne diventerà presidente. L’importante istituzione verrà purtroppo definitivamente chiusa l’anno successivo. Alla fine del 1910 Il’in parte per una missione scientifica e trascorre due anni in Germania, Italia e Francia. Lavora nelle università di Gottinga, Parigi, Heidelberg e Friburgo, dove ha occasione di seguire i seminari di Husserl; si sposta a Berlino e comincia a preparare la sua tesi di dottorato su Hegel. In questo periodo si reca anche a Vienna dove può dedicarsi ad un percorso didattico-terapeutico con Freud che lo segnerà in modo profondo 17. Di ritorno a Mosca, Il’in continua il suo lavoro all'università. Pubblica diversi scritti filosofici, fra gli altri: “L'idea di personalità negli insegnamenti di Stirner18” (1911), “Per gentile concessione. Esperienza socio-psicologica" (1912), "Sulla rinascita dell'hegelismo" (1912) "La principale contraddizione morale della guerra" (1914), "Il significato spirituale della guerra" (1915), "La filosofia come opera spirituale" (1915), "Fondamenti di diritto. Dottrina generale della legge e dello stato” (1915)19. In quegli anni traduce in russo alcune opere filosofiche di pensatori occidentali, tra cui “Anarchism” di Paul Eltzbacher20. Vengono anche pubblicati sei grandi articoli sulla filosofia di Hegel, che in seguito entreranno a far parte della famosa monografia in due volumi, pubblicata nel 1918, "La filosofia di Hegel come dottrina della concretezza di Dio e dell'uomo": la sua tesi di dottorato. In quegli stessi anni, a testimonianza del suo eclettismo culturale, si interessa anche di teatro e chiede con insistenza a Konstantin Sergeevič 16 https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/ IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O, Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. VIII. 18 Stirner M., Pseudonimo del filosofo tedesco Johann Caspar Schmidt 1806 - 1856. Esponente della sinistra hegeliana, combatté qualsiasi entità reale o astratta che pretendesse di collocarsi al di sopra dell'individuo, unica vera realtà, sovrano del proprio mondo e creatore dei propri valori. Precursore dell’anarchismo. 19 https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/ 20 Eltzbacher P., 1868-1928, professore di diritto tedesco è noto oggi per i suoi scritti sul tema dell'anarchismo. Dopo la prima guerra mondiale, aderì al bolscevismo. Suggerì nel suo lavoro “Der Bolschewismus und die deutsche Zukunft”, 1919, che gli interessi della Germania sarebbero stati meglio serviti adottando un regime bolscevico. 17 9 Stanislavskij21 di poter diventare suo assistente. La sua richiesta è respinta con decisione.22 L’avvento della Prima guerra mondiale, ma soprattutto la Rivoluzione di Febbraio e quella d’Ottobre 1917, lo vedono ancora pervaso da una idealità rivoluzionaria che si protrarrà per qualche anno. Scrive infatti: "Ogni ordine di vita presenta alcune carenze e, come regola generale, l'eliminazione di tali carenze si ottiene attraverso l'abolizione di norme giuridiche insoddisfacenti e l'istituzione di altre migliori. Ogni sistema legale deve certamente offrire alle persone questa opportunità: migliorare le leggi in base alla legge, Il sistema legale, che chiude questa opportunità per tutti… privandoli dell'accesso alla legislazione, si sta preparando per sé l'inevitabile rivoluzione”23. Tuttavia, gli eventi che segnarono la società russa, il capovolgimento sociale e soprattutto la percezione di un sovvertimento irreversibile delle istituzioni, riflesso di una “debole coscienza giuridica del popolo russo insieme alla mancanza di rispetto per le istituzioni…”24 e la coscienza di una complessiva degenerazione valoriale, che caratterizza la società russa in quegli anni, inducono un ripensamento radicale dei propri ideali e un approccio speculativo completamente nuovo. Si fa strada un’analisi filosofica che pone lo spirito come centrale nell’esperienza dell’uomo, ovvero la manifestazione della propria autocoscienza può avvenire solo attraverso il riconoscimento della propria essenza. Dopo la Rivoluzione di Ottobre, Il’in tiene lezioni presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Mosca. Esprime forte dissenso nei confronti della politica ufficiale e difende i principi della libertà accademica. La sua posizione di oppositore al potere bolscevico si fa chiara; lavora in condizioni di difficoltà oggettive, ma riesce a portare a termine "Sull’essenza della coscienza giuridica”. Tra il 1918 ed il 1922 viene arrestato sei volte e subisce due processi: il 30 novembre 1918 al Presidio del Collegio della divisione controrivoluzione e il 28 21 Stanislavskij K. S., 1863-1938, è stato attore regista e soprattutto teorico del teatro. Getta le basi per una sostanziale riforma del teatro russo del ‘900. Il metodo Stanislavskij, approccio sistematico alla recitazione teatrale, è tutt’oggi considerato momento fondamentale del teatro moderno. 22 IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O, Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. VIII. 23 Consultabile nel sito https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskiiput-i-a-ilina/ 24 EVLAMPIEV I.I., Ivan Il’in, p. 56 citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. IX. 10 dicembre 1918 al Tribunale rivoluzionario di Mosca25; in entrambi i casi viene assolto per insufficienza di prove e viene rilasciato. L'ultima volta viene arrestato il 4 settembre 1922 e accusato del fatto che "dal momento del colpo di stato di ottobre ad oggi, non solo non si è riconciliato con gli operai e i contadini esistenti in Russia, ma non ha fermato le sue attività anti-sovietiche per un solo momento"26. Il 29 settembre viene imbarcato sul “piroscafo dei filosofi”. Inizia un nuovo periodo della sua vita: si stabilisce a Berlino, dove vivrà nei successivi 16 anni. Ottiene la docenza presso l’Istituto scientifico russo, creato dagli emigrati russi nel 1923. Nel 1925 Il’in scrive “Sulla resistenza al male con la forza”; il saggio apriva una riflessione sulla necessità di fondare una dottrina coerente, sia dal punto vista filosofico sia spirituale, in grado di dimostrare la necessità di un’opposizione attiva al male. Di fatto Ilyin si poneva in antitesi rispetto alla soluzione proposta da Tolstoj, il quale aveva già sollevato la questione morale circa il male, trovando però risposte che risolvevano in una resistenza non violenta. In difesa della sua posizione Ilyin notava: “… che cosa significherebbe la non violenza nel senso di assenza di qualsiasi opposizione? Significherebbe accettare il male: accoglierlo in noi e dargli libertà, spazio e potere”27. Seguì una rovente polemica con Berdjaev, il quale, in completo dissenso, considerava il bene così concepito come “demoniaco” tanto da scrivere: “[…] Il bene del quale parla Il’in è molto relativo, appesantito, deformato dalle passioni della nostra epoca […] la Čekà in nome di Dio è più rivoltante della Čekà nel nome del demonio”28. In quegli anni inizia un nuovo percorso politico che lo indurrà a sostenere posizioni monarchiche e ad appoggiare la causa del generale bianco Pëtr Vrangel29; la nuova posizione, frutto di un’ampia riflessione teorica, si sostanzierà, dal punto di vista filosofico, nel concetto di “Idea Bianca”30. Negli anni che vanno dal 1927 al 1930 25 https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/ Archivio centrale del KGB dell'URSS, caso n. 1315. Archivio R-22082, l. 7; Caso n. 193. Archivio N-191, l. 314-320. 26 Ibidem, dall’ Archivio centrale del KGB dell'URSS, fascicolo n. 15778, archivio N-1554, l. 15 27 IL’IN I.A., Aksiomy religioznogo opyta, (Gli assiomi dell’esperienza religiosa), vol. 5, p. 35, citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. XI 28 BERDJAEV N. A., Košmar zlogo dobra. O knige I. Il’ina “O soprotivlenii zlu siloju” L’orrore di un bene malvagio. Sul libro di I. Il’in Sulla resistenza al male con la forza, in Put, n.4, 1926, citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. XII 29 Vrangel P., Ufficiale dell’esercito zarista. Prese parte alla lotta contro i bolscevichi. Fu comandante dell’Armata Bianca. 30 Belaja Ideja, (L’idea bianca) saggio pubblicato a Parigi nel 1926 11 è fondatore ed editore del periodico Russkij Kolokol (La Campana Russa) di cui usciranno 9 numeri prima di essere costretto a interromperne la pubblicazione. Nella rivista appaiono alcuni commenti positivi sul fascismo e su Mussolini e viene introdotto il concetto di “fascismo russo” (O Russkom fašizme) in relazione alla lotta contro il bolscevismo, lotta che, nella prospettiva di Il’in avrebbe dovuto essere condotta da una formazione politica di destra il cui indirizzo teorico si sarebbe dovuto declinare nella reificazione dell’”idea bianca”. Tuttavia Ivan Aleksandrovič attua un distinguo rilevante tra il movimento bianco e il fascismo con il suo apparato (inteso come regime); precisa infatti che: “il primo è più ampio del fascismo e per sua natura più profondo di esso, nel fascismo non si manifesta affatto oppure non è sufficientemente presente il profondissimo motivo religioso del movimento bianco”31. Nel 1928 diventa partigiano dell’”Unione generale dei combattenti russi” (ROVS), con la segreta speranza di una rinascita che avrebbe dovuto concretizzarsi da lì a poco in Russia, ma la morte del generale Vrangel segnò definitivamente la fine di qualsiasi illusione. Continua a scrivere di morale, politica e religione; sono di questo periodo: "Il veleno del bolscevismo" (1931), "Sulla Russia. Tre discorsi "(1934)," Idea creativa del nostro futuro "(1937)," Fondamenti della cultura cristiana "(1937)," Fondamenti della lotta per la Russia nazionale "(1938). Il 1934 vede Il’in accogliere l’avvento del nazismo, da lui inizialmente considerato positivamente quale reale antagonista del bolscevismo. Tuttavia, la vera natura del nazismo non tarderà a mostrarsi e ad apparire per quello che in realtà era: una farneticante ideologia della morte. Il’in si rifiuta di insegnare in conformità al programma del partito nazionalsocialista e di sottoscrivere le disposizioni sulla razza: è immediatamente rimosso dall’Istituto scientifico russo. Nel 1938, la Gestapo sequestra tutte le sue opere e gli proibisce di parlare pubblicamente32. Il’in temendo per la sua vita, decide di lasciare la Germania, nonostante ciò gli fosse impedito e, grazie a qualche aiuto, non ultimo quello di Sergej Vasil’evič Rachmaninov, riesce ad ottenere un visto di uscita per sé e la moglie; ripara in Svizzera e si stabilisce in un sobborgo di Zurigo. IL’IN I. A., O russkom fažisme, in Russkij Kolokol, n.3, 1928, citato in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., p. XIV, Aspis Edizioni, Milano, 2023. 32 Consultabile nel sito https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskiiput-i-a-ilina/ 31 12 Si apre l’ultimo capitolo della sua vita che si concluderà nel 1954. Porta a termine “Gli assiomi dell’esperienza religiosa”; dal 1948 produce un numero notevole di saggi brevi che ammonteranno a oltre 400 e che saranno pubblicati nella raccolta “I nostri compiti” (Naši zadači); a tutt’oggi questa è l’opera di Il’in oggetto di maggior attenzione e interesse dal punto di vista filosofico e politico. Alla sua scomparsa vene seppellito a Zollichon nei pressi di Zurigo. Nel 2005 le spoglie del filosofo vengono trasferite nel cimitero del monastero di Donskoy di Mosca. “Sto riassumendo e scrivendo un libro dopo l’altro. Ne ho pubblicati alcuni in tedesco ma per tradurre ciò che era scritto in russo… E la mia unica consolazione è questa, se la Russia ha bisogno dei miei libri allora il Signore li proteggerà dalla morte, e se né Dio né la Russia hanno bisogno di loro, non ne ho bisogno nemmeno io, perché io vivo solo per la Russia”33. 33 https://liveps.ru/it/ivan-ilin-poyushchee-serdce-zhiznennyi-i-tvorcheskii-put-i-a-ilina/ 13 Sezione I La prospettiva storica Capitolo 1. Alle origini della rivoluzione La Rivoluzione russa è finita? Sembrerebbe una domanda capziosa, dato che il regime a cui la Rivoluzione stessa ha dato vita si è dissolto da più di trent’anni. Gli eventi che hanno influito su pensiero e politica, segnato un’epoca, forse mai conclusa, mai definitivamente morta, ancora trascinano brandelli di quella storia davanti al nostro convulso presente, suscitando passioni, dal profondo significato metafisico, ancora vive nel nostro ricordo collettivo e individuale. Se dovessimo affermare che la rivoluzione di Ottobre è stata una sfida al capitalismo, cioè una minaccia ad un modello sociale ed economico che ha contraddistinto il mondo delle democrazie liberali, allora potremmo anche affermare, alla luce della cruda attualità, che, a distanza di cento anni, quella sfida, quel confronto, non è mai cessato. L’attuale crisi geopolitica, che coinvolge l’Occidente e la Russia, è la rappresentazione di una contrapposizione dai caratteri permanenti, che non ha mai avuto, in un periodo lungo un secolo, alcuna interruzione; ciò impone una riflessione non più solo di carattere politico, ma soprattutto filosofico. Una visione che teorizza due egemonie, che si contendono in maniera simmetrica, in Europa e nel mondo, le rispettive sfere di influenza, appare lo stereotipo di un vecchio armamentario politico: quello legato alle ideologie, che hanno prodotto, da una parte e dall’altra, la giustificazione all’autodifesa e contemporaneamente alla manifestazione della propria supremazia. Una volta eliminato il presupposto ideologico che dimostrava l’inevitabilità di una dimensione antitetica all’interno del sistema politico internazionale, di due blocchi (per usare un’espressione tipica degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso) separati da prospettive storiche divergenti, la contrapposizione si è spostata su di un altro piano. Il contrasto di fondo abbraccia un nuovo ordine di elementi che non riguardano solo le rispettive strutture e i loro apparati, i modelli socio-politici ed economici, ma si configurano come un confronto culturale tra l’Occidente, materialista, razionalista e decadente, e la 14 Russia, tradizionalista, ortodossa e trascendente, investita di un compito messianico. Tuttavia, mentre l’Occidente persegue nella vecchia strategia di espansione territoriale, emerge per la Russia la questione esistenziale: il problema della sua sopravvivenza è diventato ineludibile. A questo riguardo sembrano profetiche le parole di Il’in che nel 1934 scriveva: “Per immaginarsi un quadro chiaro della Russia in una condizione di tale prolungata follia [la sua disgregazione ndr] è sufficiente immaginare il destino dell’”Ucraina indipendente”. Questo “stato” dovrà prima di tutto creare una nuova linea difensiva da Ovruč a Kursk e poi attraverso Char’kov a Bakhmut e Mariupol. Di conseguenza, sia la Grande Russia che la Repubblica del Don dovranno fare fronte comune contro l’Ucraina34”. I temi fondamentali che conducono la Russia nella modernità storica si identificano nell’ascesa dell’Impero russo, e nella sua successiva disintegrazione e restaurazione, nelle spinte nazionaliste e nella prospettiva euroasiatica; seguono il collasso e la distruzione dello Stato attraverso una rivoluzione, che senza dubbio, è stata una rivoluzione “culturale”, e di nuovo, la caduta di un sistema e la sua ricostruzione in senso autocratico (con un riferimento, in alcuni casi, alla riproposizione di un modello monarchico) legata alla riscoperta di un nazionalismo fortemente identitario. Il percorso della Russia si inserisce all’interno di uno schema ricorrente di tipo coattivo. In sintesi, questo il paradigma storico politico della Russia: capitalismo zarista, socialismo reale, capitalismo oligarchico. Proprio per questo ciclico riproporsi di eventi, andare alle radici della Rivoluzione d’Ottobre, che ha sovvertito non solo l’apparato dello Stato e le sue dinamiche interne, ma ha anche rovesciato radicalmente l’ordine delle relazioni internazionali, significa ricostruire le ragioni di un Paese intero prima di tutto dal punto di vista culturale. Basti pensare alle mobilitazioni delle masse rurali, all’attacco al ruolo della Chiesa ortodossa, rappresentante di una tradizione secolare che, nel volgere di pochi anni, ha dovuto subire la prospettiva di una cultura atea, allo spazio sottratto alle élite e, non ultimo, alla politica vissuta nelle piazze al di fuori delle istituzioni. La Rivoluzione ha rappresentato un grande momento di progresso sociale, peraltro visto sotto la grande luce del pensiero razionale, e l’istanza di una legittima richiesta di emancipazione che si contrappone “…all’idea che la gerarchia IL’IN I. A., “Quali conseguenze potrebbero derivare al mondo dallo smembramento della Russia”, in “Sulla Russia”, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 77 34 15 sociale e le disuguaglianze socioeconomiche siano fatti naturali o inevitabili; e questa potrebbe ancora rivelarsi la sua eredità. Il capitalismo può aver avuto la meglio sul socialismo di Stato ma deve ancora rispondere a questa sfida” 35 . Tuttavia, proprio questa contrapposizione, se da un lato pone ancora adesso una questione di carattere più propriamente etico nei confronti di un capitalismo arrembante, dall’altro ha in qualche modo prodotto un isolamento politico al quale la Russia reagisce con un richiamo alla necessità di preservare la propria integrità culturale, statuale e territoriale. La Rivoluzione, probabilmente, non ha ancora compiuto per intero il suo compito. SMITH S. A., “La Rivoluzione russa un impero in crisi (1890-1928)”, Carocci editore, Roma, 2019, p. 23. 35 16 Capitolo 2. Slavofilismo e panslavismo Due elementi, in modo particolare, definiscono la specificità della cultura russa: il timore atavico delle invasioni e l’attaccamento alla terra, l’uno conseguenza dell’altro. Vi è una relazione diretta tra le invasioni subite a più riprese nel corso dei secoli e la successiva espansione territoriale. “Solov’ëv36 ha conteggiato che dal 1240 al 1462 (un arco di 222 anni) ci sono state duecento guerre e invasioni. […] dal XIV al XX secolo (un arco di 525 anni) ci sono stati 329 anni di guerre. La Russia ha passato due terzi della propria esistenza a guerreggiare. Il solo giogo tartaro è durato 250 anni; e l’ultimo assedio dei tartari subito da Mosca risale alla fine del XVI secolo37”. La resistenza a polacchi, svedesi, francesi e ai popoli nomadi delle steppe orientali ha determinato una reazione di carattere espansivo di tipo continentale che ha portato alla formazione di un grande impero autocratico che si estende, senza interruzione, da occidente a oriente. Scriveva Ivan Il’in: “Il nostro primo fardello è quello della terra, uno spazio sconfinato, indomabile, sterminato […] Non siamo stati noi a impossessarci di questo spazio: pianeggiante, aperto, indifeso, esso ci è stato imposto, esso ci ha costretto ad appropriarcene […] La Russia aveva solo due vie: essere cancellata e cessare di esistere; oppure difendere le proprie sterminate frontiere con le armi e il potere dello Stato”38. Un dominio territoriale di tali proporzioni era inevitabilmente contraddistinto da una frammentazione sociale dovuta al grande numero di etnie e confessioni religiose; un agglomerato del genere, con le diversità che comportava, poteva essere controllato solo attraverso una colonizzazione diffusa, unitamente ad una politica di inclusione forzosa: quello che è stato definito il processo di “russificazione”, che fu il tentativo di assimilare le popolazioni assoggettate attraverso il proprio modello culturale. La gestione dell’impero poneva inoltre rilevanti problemi di carattere amministrativo che costrinsero l’autorità centrale, da una parte, a coinvolgere le élite non russe e, dall’altra, a fare uso della repressione: il sistema di governo basato sulla divisione selettiva delle realtà locali consentiva di esercitare il potere con 36 Cfr., p. 5. IL’IN I. A., “Sulla Russia”, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 32. 38 Ivi, p. 29. 37 17 notevole efficacia. Lenin39 definì questo enorme mosaico amministrativo come “una prigione delle nazioni” 40. In realtà si stava delineando il passaggio da una concezione dello Stato in senso dinastico ad uno Stato di carattere nazionale, pur nelle sue differenze etniche. Dunque, se le invasioni costruirono le future espansioni, il territorio si tradusse nella vocazione del popolo russo ad occuparsi della terra. La Russia imperiale era composta da una grande società rurale, conservatrice, in cui i valori di tipo comunitario, principalmente il lavoro collettivo, trovavano applicazione pratica nell’istituto dell’obščina41: un organismo di autogestione economica e di autogoverno (in cui vigeva il diritto consuetudinario) fondato sul patriarcato, dove la terra di proprietà comune, veniva periodicamente redistribuita alle famiglie secondo un criterio di rotazione; la comunità aveva così la precedenza sul singolo. La collettivizzazione della terra rappresentava un riparo contro l’arbitrarietà del potere e le minacce provenienti dall’esterno; ciononostante, le condizioni complessive della società contadina furono afflitte da una povertà endemica e diffusa42 che determinò le successive sollevazioni a partire dagli inizi del ‘900. L’altro elemento che connotava le comunità rurali russe era la fede ortodossa con le sue pratiche, a volte intrise di credenze e superstizione. La religiosità popolare si sostanziava soprattutto nella venerazione di Maria Madre di Dio, mediata dall’icona, che di fatto poneva il credente in comunione con il sacro, a cui tutti potevano partecipare, senza l’intervento di un sacerdote. Il rito dell’eucaristia era sostituito dalla devozione per l’immagine sacra ed esprimeva una specie di ecumenismo egualitario, grazie al quale ognuno, o la comunità nel suo insieme, poteva accedere alla grazia e allontanare il male. L’obščina, quindi, era il punto di riferimento non solo di interessi di carattere materiale, ma, in quanto fondata su valori etico religiosi, costituiva una comunità morale all’interno della quale ogni tipo di decisione, ogni relazione, erano vincolate solo dalla profonda consapevolezza di essere partecipi di un sistema di valori che determinava la Pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov SMITH S. A., “La Rivoluzione russa un impero in crisi (1890-1928)”, Carocci editore, Roma, 2019, p. 31. 41 Ivi, p. 41. 42 Solo nel 1861 lo Zar Alessandro II abolì il servaggio (servitù della gleba) ma impose ovviamente onerosi pagamenti per compensare gli ex proprietari. I riscatti dovuti molte volte erano superiori al valore di mercato e questo determinò una condizione di ulteriore sfruttamento. 39 40 18 coscienza collettiva. “Tale coscienza non appartenendo al singolo ma all’intera totalità dei suoi componenti, faceva dell’obščina una comunità di carattere non contrattuale ma esistenziale e, come tale, un’espressione viva e non artificiale del popolo contadino”43. L’unità spirituale che ne derivava implicava l’adesione individuale alla tradizione e alla consuetudine senza alcuna riserva; tale adesione si realizzava nel carattere assembleare del processo decisionale, basato sul principio dell’unanimità, evidenza tangibile di coscienza collettiva ed espressione di un’autentica fraternità cristiana. Proprio questa fraternità, intesa come carattere naturale e innato del popolo e della terra russa, fondamento di un sistema di comunità organiche, unite dalla Chiesa Ortodossa, realizzava l’ideale sociale slavofilo. Le comunità contadine, con il loro modello di gestione collettivo, quindi non legate al concetto borghese di proprietà individuale, in prospettiva, anticipavano la nascita di organismi di autogoverno, i soviet, che sarebbero diventati l’impianto portante dello sviluppo socialista, senza passare storicamente attraverso l’esperienza del capitalismo. Tuttavia, la centralità dell’esperienza religiosa nella cultura popolare non rimase immune da derive millenaristiche declinate in un pensiero radicale, con evidenti legami all’autocrazia, politicamente reazionario, apocalittico, antisemita, antidemocratico, antisocialista e antioccidentale44. La terra, simbolo autentico della tradizione russa, era emblematicamente presente nella dottrina “del radicamento al suolo”; tale dottrina riapriva il dibattito storico filosofico tra slavofili e occidentalisti in cui si affrontava la questione del concetto di “umanità universale". Nella prospettiva occidentalista, si definiva “umanità universale” il rinnovamento dell’umanità attraverso un sereno e naturale ricambio generazionale guidato da quella borghesia illuminata che aveva fatto suoi i principi democratici di libertà, uguaglianza e fraternità, sanciti dalla Rivoluzione francese; l’aspirazione della Russia al conseguimento della propria universalità, doveva passare attraverso la relazione con le avanzate società europee. L’idealizzazione di una civiltà europea nella quale la borghesia era portavoce di un percorso storico teso all’universalità, sarebbe stata presto disillusa proprio dagli eventi che CANTELLI C., “Filosofia russa” in Filosofie del mondo, a cura di Melchiorre V., Bompiani, Milano, 2014, p. 95. 44 SMITH S. A., op. cit. p. 39 43 19 testimoniavano il fallimento di una ideologia contraddetta da un capitalismo aggressivo e da un’espansione commerciale che alimentavano un progresso economico e sociale all’insegna della conflittualità: quanto di più distante da una visione del mondo raccolto sotto l’egida della “russità”. Per il movimento dei Počvenniki (quelli del “radicamento del suolo”) in antitesi storica all’occidentalismo, fu assolutamente naturale trovare il proprio punto di riferimento nella spiritualità del popolo russo. Ivan Il’in così scriveva quasi un secolo dopo: “Si eviti di ridurre la Patria alla materia, alla terra e alla natura […] cercate la russità dello spirito russo prima di tutto nell’assetto spirituale dell’uomo […] successivamente in quella natura che lo ha nutrito…”45. In questa prospettiva, il popolo russo diventa testimone di una “universalità” radicata nella spiritualità della sua cultura religiosa e nel principio della fraternità cristiana. Il popolo russo è geneticamente e culturalmente portatore di Dio e, come tale, è investito di un apostolato messianico nei confronti dell’intero genere umano, che si disvela nella sintesi di una nuova “umanità universale”. Gli eventi della seconda metà del XIX secolo influirono profondamente sulle relazioni tra l’Occidente e la Russia. Il nuovo corso politico delle potenze europee nei confronti del mondo slavo, e segnatamente riguardo alla posizione della Russia e al suo rafforzamento geo-politico, non poteva non creare forti tensioni che trovarono soluzione nella guerra46, ma soprattutto creava un conflitto di carattere ideologico e filosofico; era lo scontro inevitabile tra due culture: quella della romanità germanica, espressione del pensiero cattolico-protestante, in antitesi all’ortodossia russa e al retaggio greco-bizantino47. La rivoluzione del 1848 in Europa, che con l’annichilimento dell’autorità politica e religiosa proclamava la morte del sacro e faceva presagire l’avvento del male, scavava con la Russia un solco culturale incolmabile. La distruzione sistematica di governi e Stati palesava, agli occhi della Russia, la volontà di esercitare una superiorità ideologica, giustificata solo dalla conquista di una libertà che non lasciava spazio ad alcun concetto di fraternità. In questo modo si chiudeva IL’IN I. A., op. cit. p. 46. Guerra di Crimea 1853-1856. Francesi ed Inglesi oltre al Regno di Sardegna si schierarono a favore dell’Impero ottomano determinando la sconfitta della Russia che fu obbligata ad un trattato di pace a Parigi che sancì la smilitarizzazione russa nel Mar Nero oltre a perdite territoriali. 47 VALLE R., “L’idea russa e le idee d’Europa”, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2021, p. 67. 45 46 20 definitivamente il disegno illusorio di una Russia chiamata a svolgere il suo ruolo messianico, portatrice di una nuova “rivelazione”, ovvero di quella cultura universale che avrebbe riconciliato l’Europa intera; non esisteva più una cultura universale ma solo l’egemonia culturale dell’Europa che sarebbe stata imposta universalmente. Emergeva la necessità, per la Russia, di un’affermazione della propria indipendenza culturale e, soprattutto, della propria esistenza, se non voleva essere ridotta a una semplice voce enciclopedica. Scriveva Fëdor Dovstoeskij: “C’è un limite ai nostri sforzi per far sì che l’Europa ci riconosca come suoi, come Europei, solo come Europei, e non come Tartari? Abbiamo continuamente e incessantemente infastidito l’Europa, intromettendoci nei suoi affari e nelle sue piccole questioni. Ora l’abbiamo spaventata con la nostra forza, inviando i nostri eserciti “per salvare i re,” ora ci siamo inchinati davanti all’Europa – cosa che non avremmo dovuto fare – assicurandole che siamo stati creati al solo scopo di servirla e renderla felice”48. Di fondo, la questione verteva sulla diversità oggettiva del mondo slavo, di cui si fece interprete Nikolaj Jakovlevič Danilevskij49. La realizzazione di un progetto che prevedeva la conservazione della Russia attraverso un processo di rinnovamento dello Stato, tale da configurare un’entità credibile all’interno del consesso internazionale, presupponeva un ribaltamento sostanziale del concetto di compito storico della Russia, non più da realizzarsi attraverso i principi della cristianità, ma creando uno stato economicamente e militarmente potente. L’idea del popolo russo come portatore del messaggio di una “umanità universale” diventava un assunto puramente teorico, privo di un reale contenuto politicamente sostenibile; il principio della fraternità cristiana del popolo russo, base fondante della teoria slavofila, veniva così sostituito dal concetto di civiltà del popolo russo che apriva ad una teoria panslavista. L’idea di Danilevskij si basava sulla definizione di una identità specifica che esprimeva un archetipo storico-culturale tipicamente slavo; secondo questa teoria, religione, cultura, politica e assetto economico erano i costituenti della civiltà slava che fino a quel momento era stata solo parzialmente realizzata. Nel progetto di Danilevskij, la Russia non avrebbe più assunto il compito trascendente di realizzare un’astratta cultura universale secondo il principio di 48 DOSTOEVSKIJ F. M., Diario di uno scrittore, in https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-neobizantinismo-della-russia 49 Danilevskij N. J., 1882-1885, filosofo e storico. Il suo nome è legato all'opera “La Russia e l'Europa”, in cui è esposta la sua teoria panslavistica. 21 fraternità, ma avrebbe dovuto porsi alla guida di un’unione liberal-democratica dei popoli slavi e sancire l’esistenza di una civiltà che agiva nella storia. Lo stesso Il’in accoglieva in parte le idee di Danilevskij e ne riprendeva la teoria dei quattro elementi, riconosciuti come fondanti di un ente nazionale: “…il nostro Paese non è un coacervo casuale di territori ed etnie, né un ingranaggio di regioni artificiosamente costituito, ma un organismo vivo, storicamente cresciuto e culturalmente legittimato non soggetto a smembramenti arbitrari. Questo organismo è un’unità geografica, le cui parti sono legate da un reciproco nesso economico; […] è un’unità linguistica e culturale […] si tratta di un’unità statale e strategica […] baluardo della pace e dell’equilibrio euroasiatico, e quindi universale50. 50 IL’IN I. A., op. cit., p. 59. 22 Capitolo 3. Sofia e rinascita filosofica religiosa La relazione tra Europa e Russia ha rappresentato uno degli aspetti fondamentali dell’indagine storico filosofica del pensiero russo fino ai primi anni del Novecento. Il percorso ideologico degli intellettuali russi doveva ancora fare i conti con la dimensione religiosa della propria tradizione, senza porsi in antitesi al pensiero Occidentale, racchiuso nel proprio positivismo oggettivizzante, in cui una teocrazia si sostituiva al concetto di Dio. Allo stesso tempo, non si poteva sottovalutare che, dal punto di vista culturale, sarebbe stato necessario oltrepassare la costrizione dell’identità della civiltà slava smitizzando il ruolo del suolo. Se da una parte, dunque, vi era una Chiesa che rappresentava l’autorità spirituale e si faceva portavoce di un universalismo ateo, dall’altra la Chiesa era il luogo della trascendenza in cui la manifestazione di Dio avveniva tramite il mistero del rito. Emergeva la necessità di una nuova visione del processo storico che, non solo superasse il ruolo di una Russia cristallizzata in una posizione schiava dell’ortodossia a fronte di un’Europa nichilista e spiritualmente disgregata, ma che, per la prima volta, consentisse il confronto su di un terreno comune su cui porre le fondamenta di una Chiesa universale in cui Occidente e Oriente fossero complementari. Nella sintesi tra Filosofia e Teologia, Vladimir Sergeevič Solov’ëv, attraverso una profonda analisi speculativa e ripercorrendo i temi che avevano connotato la teoresi del mondo russo, fissò i presupposti di tutta la nuova filosofia religiosa. La pietra angolare del pensiero di Solov’ëv è l’idea di un’unità ontologica tra creato e increato, trascendente e immanente, Dio e mondo. Vi è dunque una unità sostanziale tra ciò che è divino e ciò che non lo è; la coesistenza delle due realtà, che, sebbene intuite separatamente risultano indissolubili e inscindibili, genera un’antinomia apparente; l’incarnazione di Cristo è la rappresentazione plastica di questa dualità riconducibile ad una sola sostanza, fondamento del reale, è la teofania che costituisce il mondo, il divino si confonde nella materia. Secondo il pensiero di Solov’ëv, la Sofia come sapienza divina, ricompone l’antitesi intrinseca al Logos incarnato e diventa unione tra mondo divino e mondo della materia, riconducendola a un’unica totalità. “In quanto unitotalità Sofia ha un duplice volto: da un lato come “unità del tutto” essa è la ragione stessa della vita di Dio, […] in cui comprende in sé stesso la totalità del reale […] 23 destinato pertanto una volta che sarà chiamato ad esistere, ad attuarsi come Suo corpo. Dall’altro come “tutto nell’unità” […] essa si costituisce come anima del mondo esprimendo in questo suo aspetto il desiderio insito nel tutto di esistere come corpo di Dio…”51. La necessità dell’esistenza intesa come progetto della creazione non è tuttavia pensata compiuta in sé, ma piuttosto organismo che si realizza nel tempo. In questo quadro, l’uomo è considerato fin dall’inizio essere attivo nell’opera della creazione; l’uomo è artista della materia, è aristotelicamente colui che trasforma la potenza in atto, quindi insieme a Dio, partecipa alla creazione. La dialettica che si apre tra la libertà di aderire al disegno divino, oppure proclamare il diritto alla propria libertà, induce l’uomo a preferire quest’ultima, isolandolo in un malevolo solipsismo, causa del disordine della creazione. Tale caos, tuttavia, non può disconoscere la Sofia, che si manifesta nel creato attraverso la natura, a testimonianza che Dio non ha abbondonato il mondo: il male non può negare la sua presenza. L’incarnazione di Dio e la successiva resurrezione di Cristo, Dio e uomo, è lo strumento di redenzione sulla base di una nuova alleanza con Dio; redenzione che si manifesta nell’imitazione di Cristo: la morte diventa ricostituzione della totalità del tutto in Dio, in un neoplatonico ritorno all’unità originaria. “Il nostro mondo – afferma Solov’ëv – è il regno del deforme non del bello, è il regno della morte non della vita: esso in altri termini, è il cimitero del corpo di Dio, non quello della sua realizzazione. Non è, insomma, il regno di Cristo ma quello dell’Anticristo […] Ma come la morte di Cristo ha segnato la sua resurrezione, così la morte del mondo la sua fine apocalittica – significherà la sua resurrezione e il passaggio dall’arte di questo mondo al mistero divino umano della teurgia”52. Se il Cristo divide e distingue il vero bene dal male, in un atto creativo in comunione con il Divino, l’Anticristo trasfigura il bene autentico in un bene anestetico, taumaturgico; in contraddizione con sé stesso falsifica il male, in modo tale da non far distinguere una deformità vera da una finta perfezione. L’anticristo è punto estremo della storia in cui il tutto indistinto, senza forma, è il punto di fine e di inizio, è la fine del tempo. In questa dimensione apocalittica del pensiero di 51 CANTELLI C., op. cit., p. 134. SOLOV’EV V. S., I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, trad. di Faccioli G., Torino, 1975, cit. in CANTELLI C., “Filosofia russa” in Filosofie nel mondo, a cura di Melchiorre V., Bompiani, Milano, 2014, p. 138. 52 24 Solov’ëv trova corrispondenza l’idea del superuomo di Nietzsche, a cui il filosofo russo attribuisce un intimo significato religioso. L’uomo, divinizzato nella visione quasi profetica di Nietzsche, incarna la prospettiva della perfezione assoluta in cui la morte viene sconfitta definitivamente e il Superuomo-Cristo, in una sorta di catarsi, trasferisce all’uomo il potere di plasmare il mondo. In questa dimensione assolutamente simbolica, il superuomo di Nietzsche trasforma il cristianesimo in una nuova dottrina della creatività; si palesa il nuovo Demiurgo e all’estetica teurgico religiosa si aggiunge un nuovo elemento. In questo modo il Logos incarnato si sposa concretamente con l’idea di Nietzsche: non è pensabile una realtà vera contrapposta ad una apparente. Il Cristo di Solov’ëv, ribaltando il concetto neoplatonico della materia come non-essere, rivela nella materia non la negazione del sovrasensibile ma la sua affermazione. Per tutto il primo novecento il pensiero filosofico russo fu in gran parte influenzato dal simbolismo che scaturiva dal pensiero di Solov’ëv; l’attesa apocalittica di un nuovo tempo, la speranza di un mondo nuovo, intatto e incorrotto, era la cifra di un “laboratorio spirituale”53, di una nuova estetica, il preludio di una rinascita in cui il cristianesimo si riappropriava della storia degli uomini. Nell’idea di Solov’ëv, se si aspirava all’unità di una Chiesa che fosse realmente universale, il cattolicesimo avrebbe dovuto assumere una posizione dominante rispetto all’ortodossia, che giaceva confinata nel recinto della conservazione. Nei fatti, secondo Solov’ëv, il compito storico di una Chiesa universale, a cui spettava il potere salvifico di redimere l’Europa, doveva essere assolto dal cattolicesimo. Tale disegno si rivelò subito politicamente inconsistente: l’intelligencija russa che contava si dimostrò estremamente critica nei confronti di tale progetto. Il cattolicesimo come punto di riferimento universale sottraeva alla Russia il mito della Terza Roma54, a 53 CANTELLI C., op. cit., p. 165. Sull’argomento sono interessanti alcune considerazioni di Augusto Del Noce che vale la pena riportare “Il ritardo storico della Russia starebbe nell’essere ancora in parte prigioniera dei miti. […] la coscienza mitica non è solamente un residuo della coscienza originaria, sopravvissuta al dominio del pensiero razionale, ma qualcosa di così necessario all’essere umano per incontrarsi e orientarsi nel mondo dello stesso pensiero razionale; che il mito si incontra necessariamente nella discesa della coscienza religiosa alla realtà politica, come unione del naturale e del soprannaturale dovuta all’intervento di una forza celeste; che l’idea della città santa quale centro ordinatore è quindi essenziale all’affermazione del sacro come realtà; che questa fu l’origine del mito di Roma, sorto nella coscienza pagana per cui “Roma è una teofania, è la rivelazione del potere divino della storia, potere che non si manifesta in un ordine naturale, né primordialmente in un ordine morale, ma in un ordine politico” e successivamente cristianizzato “il suo destino essendo segnato sin dalle origini da una specie di ierofania; è la mediatrice tra l’ordine cosmico e l’ordine umano; è strumento di 54 25 dimostrazione di come i nazionalismi giocassero ancora un ruolo fondamentale nella percezione della Russia e della sua funzione rispetto ad una dimensione europea. Il nazionalismo era un elemento che poneva non poche questioni, a cominciare dalla sua definizione, e apriva un dibattito che sarebbe rimasto irrisolto. L’idea di nazione, per Solov’ëv, era un concetto senza verità in sé, essendo un soggetto storico-politico relato ad un ente etico superiore. L’impossibilità di realizzare l’ideale di una Chiesa universale, retta da una teocrazia, spinse Solov’ëv ad una rigorosa critica nei confronti del nazionalismo russo, sostenuto dall’autocrazia ortodossa e, contemporaneamente, ad un altrettanto severo e definitivo giudizio nei confronti della decadenza culturale e spirituale dell’Occidente. La riflessione filosofico religiosa, per quanto non avesse ancora terminato il suo percorso, si sarebbe dovuta confrontare su di un altro terreno: quello delle istanze politico sociali, del razionalismo e del materialismo marxista. salvezza giacché Roma pur non essendo una divinità, è mezzo o agente della divinità; è l’unica forma politica coincidente con la struttura divina del mondo; è l’instauratrice della pace politica; è la trasformatrice della pluralità in unità”; che non diversa fu l’origine del mito di Mosca come “Terza Roma”, perché, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e la definitiva liberazione del vassallaggio rispetto ai mongoli nel 1480, Mosca poté considerarsi erede di Bisanzio, pretendente perciò ad un impero ecumenico, in opposizione all’Occidente”., in https://ildomaniditalia.eu/mosca-il-mitodella-terza-roma-e-leresia-occidentalista-un-saggio-vecchio-ma-attuale-di-del-noce/ / 26 Capitolo 4. Il marxismo in Russia L’isolamento della Russia e il suo conseguente declino furono la spinta decisiva per uno sviluppo industriale che si rivelò rapidissimo e produsse un considerevole aumento della popolazione urbana. Già nel corso del XIX secolo, l’attività estrattiva e gli impianti metallurgici degli Urali erano i più importanti del mondo; il Donbass, favorito da un piano statale di sviluppo della rete ferroviaria, diventò una delle aree a più alto investimento estero55. La crescita tumultuosa delle città e delle attività industriali determinarono la nascita di una nuova classe sociale che mise in crisi il sistema russo, storicamente basato sulla cetualità. Alessandro II56 varò un piano di riforme che prevedevano lo smantellamento delle categorie cetuali; tuttavia, proprio la necessità di controllare masse di lavoratori che non corrispondevano più ad un vecchio modello sociale e produttivo, rese necessario mantenere in vigore alcuni dispositivi che, di fatto, limitavano mobilità e crescita: “Rimasero così i passaporti interni per i contadini, vennero create banche della terra per nobili e agricoltori, le elezioni agli zemstva (consiglio amministrativo distrettuale ndr) avvenivano mediante curie cetuali e lo status di appartenenza all’aristocrazia continuò ad avere importanza nelle nomine ad alti incarichi amministrativi o militari”57 La difficoltà di categorizzare gli operai nel sistema sociale tradizionale obbligò a registrare questi ultimi all’interno del corpo sociale più numeroso, ovvero quello dei contadini. Le condizioni di lavoro degli operai erano pesantissime; gli orari erano massacranti, la turnazione diurna e notturna interessava anche donne e bambini, non esisteva alcun tipo di tutela e, ovviamente, scioperi e sindacati erano illegali. Si stava formando spontaneamente una classe di lavoratori, così gli operai ormai si definivano, ma “per trasformare una forza lavoro eterogenea in una classe operaia sarebbero stati necessari un’attività politica e una contestazione ideologica”58. SMITH S. A., op. cit., p. 49. Alessandro II 1818-1881, è passato alla storia come l'autore delle grandi riforme. Soprannominato lo “Zar Liberatore”, abolì la servitù della gleba e introdusse un nuovo modello di amministrazione locale. Venne ucciso per mano di rivoluzionari-terroristi. https://it.rbth.com/cultura/2016/09/12/alessandro-ii-lo-zar-del-sangue-versato-che-rivoluziono-ilpaese_629275 57 SMITH S. A., op. cit. p. 53. 58 Ivi, p. 55. 55 56 27 Nel 1867 venne autorizzata dalla censura la pubblicazione in russo della prima parte di Das Kapital: “La censura ne autorizzò la pubblicazione in quanto ritenne che pochi in Russia sarebbero stati in grado di leggerla e ancor meno di capirla. La diagnosi fu sbagliata: nell’arco di un anno ne vennero vendute quasi un migliaio di copie, al punto che Marx dovette constatare che da nessuna parte come in Russia Das Kapital veniva letto e apprezzato” 59. Nel decennio successivo le opere di Marx ed Engels furono tradotte grazie all’impegno della sezione russa della I Internazionale e del gruppo “La liberazione del lavoro”, all’interno del quale era attivo Georgij Valentinovič Plechanov60, che sarebbe stato poi definito il “padre del marxismo russo”. Il clima sociale pieno di tensioni e gli eventi che portarono all’assassinio dello zar Alessandro II ponevano, al centro della discussione politica, la rivoluzione come strumento di lotta. Per Plechanov, guardare al marxismo come portatore di una teoria di carattere scientifico-materiale, piuttosto che etico morale, forniva una giustificazione storica della rivoluzione come strumento di liberazione. Plechanov, con una chiara consapevolezza sociale e politica, poneva il problema della classe contadina, incapace di costituire la struttura portante del nascente socialismo. Tutto sembrava indicare che le masse rurali, assimilate nel sistema di potere zarista, si stessero posizionando in una fase di sviluppo di tipo capitalista; quindi, non i contadini, ma i proletari sarebbero stati i fautori della rivoluzione: “la Rivoluzione russa trionferà come rivoluzione proletaria o non trionferà affatto”61. Il dibattito filosofico, sollecitato dagli accadimenti, concentrava la propria riflessione su temi di carattere socio politico quali il populismo, i movimenti radicali, contraddistinti da azioni violente e dalla conseguente repressione zarista62, la mancata insurrezione popolare e, soprattutto, sulla prospettiva rivoluzionaria prefigurata dalla teoria marxista. “Narodnaja volja (Volontà del popolo) aveva messo in crisi due principi fondamentali del credo populista: l’idea della vocazione rivoluzionaria della massa contadina (rivelatasi 59 CANTELLI C., op. cit., p. 140. Plechanov G. V., 1856-1918 socialista e teorico marxista, inizialmente populista, dopo il 1880, rifugiatosi all'estero, P. aderì al marxismo, contribuendo alla sua diffusione in Russia. Fu tra i fondatori del Partito socialdemocratico operaio russo. Vicino alle posizioni dei menscevichi, si oppose alla Rivoluzione dell'ottobre 1917. 61 Intervento di Plechanov alla II Internazionale di Parigi del 1889, in SMITH S. A., op. cit. p. 57. 62 CANTELLI C., op. cit., p. 143. 60 28 invece una forza strettamente integrata al sistema autocratico russo che il populismo si proponeva di abbattere) e la convinzione, correlata alla precedente idea, che fosse possibile realizzare il socialismo in una società arretrata come la Russia senza passare attraverso uno sviluppo capitalistico-borghese”63. Nella tradizione filosofica russa, uno degli elementi fondanti del pensiero era la visione di un’umanità universale, che vedeva nel proprio destino la rinascita dopo l’apocatastasi. L’autorealizzazione dell’umanità64 quale strumento di liberazione delle masse, schiacciate sotto il peso dello sfruttamento capitalista, si incardinava perfettamente all’interno del pensiero filosofico russo. La palingenesi che il marxismo lasciava intravedere nel futuro della Russia era dimostrata da “ragioni scientifiche”65; l’azione rivoluzionaria era la conferma di una concezione del divenire storico che poggiava su basi razionali. Il legame intrinseco tra socialismo e capitalismo implicava che la rivoluzione avrebbe potuto tradursi sul piano della realtà solo, e se, ci fosse stato un pieno sviluppo del capitalismo stesso. Su tale analisi venivano spazzate via tutte le istanze populiste e le illusioni di una classe contadina che, avviluppata storicamente nel potere delle oligarchie espressione del dispotismo zarista, era culturalmente impossibilitata ad intervenire nel processo di trasformazione della società russa. Proprio le riforme varate da Alessandro II furono il detonatore di uno sviluppo capitalistico che, in tumultuosa crescita, indicava chiaramente il percorso ineludibile che il marxismo avrebbe dovuto intraprendere. Infatti, la fase capitalistica, non ancora compiutamente realizzata, generò, come primo effetto, l’emergere di una classe borghese intellettualizzata e conscia del proprio ruolo sociale e storico in seno alla Russia. Il carattere della lotta borghese contro l’arretratezza economica e sociale non rappresentava solo l’affermazione di interessi economici e di classe, ma, a differenza della visione di Plechanov, era anche una prospettiva etica e morale che incarnava l’intima idealità del popolo russo, chiamato finalmente a realizzare la propria futura rinascita attraverso un nuovo processo di purificazione, sotto l’ideale della rivoluzione socialista. 63 CANTELLI C., op. cit., p. 143 Cfr. p. 26 65 CANTELLI C., op. cit., p. 145. 64 29 L’emergente borghesia, che si connotò come unica forza autenticamente progressista, si fece interprete della necessità dello sviluppo capitalistico come ineludibile momento della via al socialismo. Si costituì in quel periodo un gruppo di intellettuali borghesi, tra cui P. Struve, S. Bulgakov, N. Berdjaev, S. Frank, per citarne alcuni, che furono definiti “marxisti legali” perché non soggetti a censura proprio per il loro programma ideologico che, se da una parte era una lettura ortodossa del pensiero marxista, dall’altra poneva la questione del capitalismo come mezzo di emancipazione della società russa; tale programma si risolveva non più in un movimento rivoluzionario per realizzare il socialismo, ma in un processo riformista che anticipava le istanze revisioniste di Bernstein66: “Il socialismo […] veniva infatti presentato non come la negazione del capitalismo ma solo come il suo coronamento, come il capitalismo stesso nella sua forma perfetta”67. Per poter usufruire di una relativa libertà d’azione, grazie alla mancanza della censura, il gruppo dei marxisti rivoluzionari di Plechanov si avvicinò a quello dei marxisti legali; entrambi i gruppi parteciparono al congresso di Minsk del 1898 in cui fu fondato il Partito Operaio Socialdemocratico Russo. Tuttavia, ben presto, la collaborazione mostrò tutti i limiti dovuti alla diversa impostazione ideologica e il confronto si consumò su uno dei cardini teorici del marxismo, che vedeva nel materialismo storico la realizzazione del socialismo. Per i marxisti legali, l’avvento del socialismo era il frutto complessivo di un approccio scientifico a cui si aggiungevano elementi etici mutuati dalla tradizione filosofica russa. Tale prospettiva determinò una frattura insanabile: la frangia rivoluzionaria e radicale del POSDR accusò i legali di una deriva liberale; questi ultimi, a loro volta, definirono “il socialismo scientifico come una forma evoluta di positivismo che non lasciava spazio all’esercizio critico morale dell’individuo nella storia”68. La rottura determinò lo scioglimento del movimento dei marxisti legali e, 66 Bernstein E., 1850 - 1932 fu uno dei massimi esponenti del socialismo della Seconda Internazionale. Fin dal 1872, egli è iscritto al Partito Socialdemocratico: collabora direttamente con Marx ed Engels. Tra il 1896 e il 1903, egli è al centro del dibattito marxista per via della sua ardita proposta di revisione radicale del marxismo in direzione riformistica e anticlassista. Nel 1896, Bernstein pubblica sulla rivista Die neue Zeit una ricca serie di articoli sui Problemi del socialismo: nel 1899, egli raccoglie questi articoli in un saggio a cui dà il titolo di I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia. Tutti questi scritti, al di là delle tante differenze che li caratterizzano, hanno come comun denominatore l’esame critico del concetto marxiano di rivoluzione: la tesi bernsteiniana è che la nozione marxiana di rivoluzione sarebbe del tutto infondata sul piano filosofico, economico e sociologico., in https://www.filosofico.net/bernstein.htm 67 CANTELLI C, op. cit., p. 143. 68 Ivi, p. 146. 30 contemporaneamente, per merito di Pëtr Struve, l’avvento del pensiero politico liberale russo, che costituirà il fulcro del futuro partito Cadetto e, successivamente, dopo il 1917, la forza controrivoluzionaria dell’armata bianca, storica antagonista della repubblica dei soviet. Proprio nell’armata bianca lo stesso Ivan Aleksandrovič Il’in aveva riposto la speranza di una rinascita della Russia e ad essa aveva ricondotto la sua “Idea Bianca”69. La rapida trasformazione ideologica aprì ad una nuova riflessione: il neo kantismo e l’idealismo trascendentale, unitamente a una metafisica di tipo religioso, furono i punti di riferimento su cui poggiarono i presupposti di una nuova filosofia che si tradusse nell’evoluzione del pensiero di V. Solov’ëv e nella rinascita spirituale russa dei primi decenni del novecento. 69 Cfr. nota 25, p. 13 31 Capitolo 5. Bolscevismo Negli ultimi due decenni del XIX secolo la scuola del marxismo russo si era già data una propria dimensione e una tradizione che appariva ormai consolidata. Le opere di Marx ed Engels erano state ampiamente tradotte, soprattutto per merito di Plechanov; inoltre, erano state pubblicate diverse analisi critiche sulla dialettica e la concezione materialistica della storia. La dottrina enunciata nella “Dialettica della Natura”70 di Engels costituiva, dal punto di vista ideologico, un punto di riferimento fondamentale: “…il pensiero marxista non era un metodo ma un dogma, in quanto conteneva le leggi dialettico materialistiche universali che erano alla base sia della realtà naturale sia della società umana, della sua struttura e del suo sviluppo”71. Per quanto ormai la strada del capitalismo fosse imboccata, il quadro complessivo della società russa mostrava ancora una serie di criticità che, oggettivamente, impedivano l’attuarsi del socialismo. La sua struttura fortemente autocratica, l’arretratezza delle componenti economiche, una classe imprenditoriale ancor debole e dipendente dagli investimenti stranieri, e, non ultima, la sproporzione tra le classi sociali72, erano il dato saliente con cui l’intelligencija rivoluzionaria doveva confrontarsi per pianificare una crescita che fosse effettivamente l’evoluzione di un processo scientifico. Concretamente, andava creata una classe borghese e industriale che si facesse carico di una metamorfosi socio economica che ponesse le basi della precondizione necessaria all’avvento della rivoluzione, ossia lo sviluppo di una società, nel suo insieme, capitalistica. La trasformazione dell’ideologia marxista in una verità rivelata veniva incontro alle attese di quella parte dell’intelligencija delusa dai fallimenti di un velleitario e violento populismo e riapriva la speranza di poter essere partecipi di una rivoluzione che conteneva in sé i crismi di un rinnovamento totale. Questa attesa, “La nuova dialettica oggettiva si basa per Engels su tre leggi fondamentali, di queste va colto il profondo valore materialista: per discernere a fondo la società è necessario […] analizzare la relazione struttura-sovrastruttura in cui è diviso l’esistente e discernere l’oggettivo. La natura deve essere concepita in modo dialettico, la ricerca scientifica lo obbliga. In questo processo si inseriscono le tre leggi che si pongono alla base del materialismo dialettico: la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa; la legge della compenetrazione degli opposti; la legge della negazione della negazione. Per Engels il movimento è lo stato d’esistere della materia e nei suoi mutamenti essa è indistruttibile ed eterna: la storia non è soltanto storia di lotta di classi, ma anche storia delle perpetue trasformazioni della materia”. In https://revolucionvoxpopuli.wordpress.com/2020/03/20/engels-e-la-dialettica-della-natura/ 71 CANTELLI C., op. cit. p. 148 72 Cfr. p.36-37, le masse rurali rappresentavano la maggioranza in un Paese caratterizzato da forti squilibri e dal retaggio feudale espressione del sistema di potere attraverso le aristocrazie. 70 32 dai contorni messianici, si poneva, ancora una volta, in continuità con la tradizione russa, in cui la visione del mondo conteneva una dimensione trascendente che vedeva nel popolo russo il fautore di un rinnovamento universale. Si costruiva una vera e propria filosofia della storia in cui lo spirito di un popolo si manifestava attraverso il suo compito; si apriva così, dal punto di vista culturale, il dramma hegeliano dell’autocoscienza: da una parte la percezione chiara della propria condizione deficitaria e dall’altra l’indicibile richiamo della propria missione. In ultima analisi, la situazione di arretratezza della Russia la relegava ai margini della modernità europea, la cui maturità economica e sociale conteneva i presupposti per l’avvento della rivoluzione socialista; alla Russia veniva così sottratta la missione trascendente della lotta per la rivoluzione come momento di purificazione e rinascita universale. L’aporia che derivava tra l’essere e il dover essere si doveva quindi comporre all’interno di una nuova analisi critica del marxismo, che consentisse una nuova applicazione di prassi e teoria, in un contesto come quello della società russa nella quale coesistevano il fervore della modernità e la convinta percezione di dover assolvere ad un compito storico e messianico. L’apparire sulla scena politica di Lenin determinò quella svolta dal punto di vista culturale che avrebbe inciso definitivamente sul marxismo russo. Il nuovo corso a cui Lenin diede inizio assecondava la spinta interventista dell’intelligencija, che lo stesso Lenin incoraggiò trasfondendo un volontarismo che assunse i toni dell’urgenza rivoluzionaria; allo stesso tempo, dal punto di vista teorico, iniziò un confronto politico con l’idea revisionista di Bernstein. Tale confronto, in realtà, era teso a dimostrare una sola cosa: che lo sviluppo del capitalismo in società mature “consentendo alla classe operaia di fruire delle libertà borghesi e di conseguire miglioramenti progressivi nel proprio tenore di vita, avrebbe trasformato l’istanza rivoluzionaria del proletariato in prassi riformistica”73. La situazione illustrata da Lenin dimostrava, quindi, che il proletariato non adeguatamente educato, si sarebbe adattato a condizioni di carattere borghese capitalistico. La ragione scientifica della rivoluzione doveva necessariamente essere legata in maniera indissolubile alla volontà rivoluzionaria della classe operaia che, come dimostrava la tendenza revisionista, aveva bisogno di una guida 73 CANTELLI C., op. cit. p. 150. 33 forte, rappresentata dal Partito Operaio Socialdemocratico Russo, al cui interno “…un ristretto gruppo di intellettuali che, in possesso dei necessari strumenti critici del pensiero, sarebbero stati depositari degli autentici e reali interessi del nascente proletariato”74. Si veniva così a creare una classe dirigente che avrebbe assicurato centralismo e unitarismo, senza che dall’esterno fosse possibile una qualsiasi interazione tale da produrre una qualche deviazione dall’obiettivo della rivoluzione socialista. Nel 1903, a Londra, in occasione del secondo congresso del POSDR, si confrontarono le posizioni massimaliste di Lenin, il gruppo appunto dei bolscevichi75, e quelle moderate dei menscevichi76 di Plechanov. Questi ultimi, in minoranza, paventando la trasformazione di un grande partito di massa in un movimento fortemente radicale, diretto da un vertice la cui prospettiva politica, fondamentalmente, tradiva lo spirito marxista secondo il quale “…è il proletariato che matura da sé stesso la coscienza antagonista di classe”77, usciranno sconfitti dal congresso. Per i menscevichi la rivoluzione avrebbe dovuto essere una rivoluzione borghese, in cui la borghesia si faceva capofila della modernizzazione della Russia; solo in un secondo tempo la rivoluzione socialista poteva affermarsi storicamente. Si configurava, secondo i menscevichi, un’egemonia borghese che si faceva portavoce delle istanze della classe operaia che lasciava appunto alla borghesia le questioni di carattere politico. In questo scenario, il materialismo storico, procedendo per tappe, assumeva i contorni di un percorso darwiniano, di una progressiva evoluzione che, di fatto, proponeva una “rivoluzione democratica”78. La lotta di classe veniva in questo modo formalmente abbandonata. Per Lenin non sarebbe stato possibile accettare una posizione dominante della borghesia, dato che solo nella consapevolezza del ruolo della classe operaia vi era la possibilità di una vera rivoluzione socialista; ne conseguiva, su questo presupposto, che la borghesia, per sua natura, era controrivoluzionaria e avrebbe finito per realizzare un programma di alleanze con le forze autocratiche, tale da impedire l’emancipazione della classe lavoratrice. Solo il partito operaio 74 Ivi, p. 151. Dal russo bol′ševik «maggioritario» tratto da bol′šenstvo «maggioranza» 76 Appartenente alla frazione di minoranza men´ševik «minoritario» 77 CANTELLI C., op. cit., p. 151 78 Ivi, p. 152 75 34 socialdemocratico, autentico interprete del socialismo e coscienza vivente del proletariato, avrebbe condotto la classe operaia e le masse contadine ad una rivoluzione democratica contro la borghesia. Nasceva così il concetto di “dittatura del proletariato e dei contadini”. Dal punto di vista della prassi, la rivoluzione democratica, prima fase del processo di realizzazione del socialismo, non doveva produrre il distacco della classe operaia dalla via maestra del socialismo, come avveniva nelle società mature ed evolute dell’occidente; per evitare tale fenomeno, la soluzione che si prospettava era “…inserire le due rivoluzioni democratica e socialista all’interno di un unico processo ininterrotto”79. Lenin aveva piena contezza della condizione strutturale della Russia; inoltre sarebbe stato necessario superare un paradosso di ordine teorico. Dunque, se la rivoluzione fosse stata realizzata in un unico momento, sarebbe stata realizzata non dalla borghesia ma dal proletariato, in opposizione ad essa; il che, se da un lato rappresentava il compimento programmatico del partito, dall’altro non realizzava un progresso economico di carattere capitalistico. Il risultato di questa contraddizione era il fatto evidente che la Russia avrebbe imboccato la strada del socialismo senza conseguire uno sviluppo capitalistico e questo avrebbe impedito la realizzazione completa del socialismo stesso. La scientificità del marxismo, necessaria per realizzare il socialismo, e le sue precondizioni teoriche, sociali ed economiche, avevano fortemente penalizzato, dal punto di vista psicologico, l’intelligencija rivoluzionaria. Le ragioni storico culturali insite nel tessuto della società russa, le cui aspettative si risolvevano nell’attesa della palingenesi rivoluzionaria, in cui la Russia avrebbe dovuto essere guida universale, sembravano esserle sottratte proprio dalla prospettiva del socialismo stesso. Partendo da questa antinomia, la Russia si sarebbe riappropriata del suo ruolo di artefice del mondo e lo spirito del suo popolo avrebbe indicato la via della rivoluzione in Occidente. “Ma la rivoluzione russa rimane tuttavia, e proprio per il suo carattere proletario, nel particolare significato che ho già indicato, il prologo dell’imminente rivoluzione europea. È indubbio che questa futura rivoluzione potrà essere soltanto proletaria, nel senso più profondo della parola, cioè proletaria, socialista anche per il suo contenuto. Questa rivoluzione dimostrerà in una misura ancora più grande, da un lato, che soltanto le lotte accanite, cioè le guerre civili, potranno liberare l’umanità dal giogo del capitale e, dall’altro 79 Ivi, p. 153 35 lato, che soltanto i proletari con una coscienza di classe evoluta potranno agire e agiranno come capi della stragrande maggioranza degli sfruttati”80. Nella speranza della Russia rivoluzionaria si dischiudeva, dunque, una nuova fraternità universale, quella socialista. 80 Conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di giovani operai svizzeri, pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18. in http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm, 36 Capitolo 6. Domenica di sangue Scriveva Trockij: “dopo il 9 gennaio la rivoluzione aveva rivelato il suo potere alla coscienza degli operai. Il 14 giugno, grazie alla rivolta del Potëmkin, aveva dimostrato di essere in grado di trasformarsi in una forza materiale. Con lo sciopero di ottobre e l’organizzazione del Soviet ha dimostrato di essere in grado di poter disorganizzare l’avversario e di costituire un potere fornito di autorità”81. Il 9 gennaio 1905 del calendario giuliano, un corteo pacifico di centocinquantamila persone che si rivolgeva al “piccolo padre” per ottenere libertà individuali e collettive, separazione tra Stato e Chiesa, diritto di sciopero e legalizzazione dei sindacati, giornata lavorativa di otto ore e la fine dei pagamenti per i riscatti della terra82, si diresse verso il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo83. L’esercito ebbe l’ordine di sparare; i manifestanti caddero a centinaia: iniziava la prima delle rivoluzioni russe. La “domenica di sangue”, come fu subito chiamato l’eccidio, ebbe l’effetto di aggregare le anime più diverse di un Paese piegato da una situazione sociale e storica ormai insostenibile; movimenti operai, borghesia e piccola nobiltà confluirono in un movimento spontaneo di “lotta di tutta la nazione”84. Nei mesi successivi la Russia fu teatro di scioperi e manifestazioni; la pesantissima crisi economica, causata anche dalla guerra con il Giappone, che si concluse solo nel 1905 con l’umiliante Pace di Portsmouth, acuì le tensioni che sfociarono in ribellioni cruente. Durante l’estate il movimento liberale assunse un ruolo sempre più importante anche in seno alle organizzazioni operaie e, nell’autunno, lo zar 81 https://www.dinamopress.it/news/domenica-sangue-krobaboe-voskresene-9-gennaio-1905/ Cfr. p. 23. 83 conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di giovani operai svizzeri, pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18. “Noi, operai, abitanti di Pietroburgo, siamo venuti da Te. Noi siamo schiavi miserabili e umiliati, oppressi dal dispotismo e dall’arbitrio. Quando il calice della pazienza fu colmo, cessammo di lavorare e pregammo i nostri padroni di darci quel tanto senza di cui la vita è un supplizio. Ma tutto questo ci fu rifiutato, tutto questo sembrò illegittimo agli industriali. Noi che siamo qui in molte migliaia, al pari di tutto il popolo russo, non abbiamo nessun diritto umano. Grazie ai Tuoi funzionari, siamo diventati schiavi.” La petizione elenca le seguenti richieste: amnistia, libertà civili, salario normale, passaggio graduale della terra al popolo, convocazione di un’Assemblea costituente mediante il suffragio universale e uguale, che si conclude con queste parole: “Signore! Non rifiutarTi di aiutare il Tuo popolo! Abbatti il muro che Ti divide dal Tuo popolo! Ordina e giura che i nostri voti saranno appagati e Tu renderai felice la Russia. Se non lo farai, siamo pronti a morire qui. Noi abbiamo due sole vie: o la libertà e la felicità o la tomba”., in http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm. 84 SMITH S. A., op. cit. p. 61 82 37 Nicola II accettò, in via del tutto informale, di istituire un’assemblea consultiva. Tuttavia, ormai la situazione non era più sotto controllo; quella che poteva sembrare una concessione fondamentale, come la creazione di un parlamento, non sortì l’effetto di attenuare le tensioni e gli scontri o di ottenere una tregua che potesse, in parte, ricomporre un quadro sociale profondamento compromesso. I tempi erano ormai maturi per una svolta di carattere politico. Nel corso del mese di ottobre si costituirono due entità che avranno un ruolo fondamentale nella storia della rivoluzione: il Partito dei Cadetti, di ispirazione democratica e liberale, e il primo soviet a Pietrogrado, ad opera di alcuni leader menscevichi. Proprio il soviet, che assunse in maniera spontanea compiti di governo locale, fu presto riconosciuto come ente la cui autorità fu seguita anche da altre amministrazioni regionali; a dimostrazione della totale indipendenza da qualsiasi forma di organizzazione che fosse legata a partiti, il primo atto politico del soviet fu quello di respingere in toto la proposta di programma del POSDR: “ora non esistono più partiti”85. Questa nuova ancorché imprevista istituzione in poco tempo divenne un punto di riferimento e, proprio per il suo carattere spontaneamente comunitario in grado di agire sul territorio, appariva capace di esercitare un potere alternativo alla struttura autocratica zarista; l’incapacità dello Stato a contenere l’ondata di scioperi e ribellioni rese inevitabile, per Nicola II, emanare il Manifesto di Ottobre. Con tale atto furono garantiti diritti civili e l’istituzione di un’assemblea legislativa, la Duma, il cui suffragio però, per quanto ampio, era su base discriminante. Nonostante le importanti concessioni, il malcontento continuò a dilagare. La Chiesa ortodossa stessa vide peggiorare i suoi rapporti con lo Stato. L’editto del 17 aprile 1905 consentiva infatti la libertà di coscienza in materia di adesione a fedi diverse da quella ortodossa; il clero ortodosso considerava il provvedimento un attentato all’identità russa e si adoperò per impedire la conversione del decreto in legge. Nicola II inasprì ulteriormente i rapporti con l’autorità religiosa, sino a negare l’autorizzazione alla convocazione di un sinodo, che non si teneva dal 1681. Da quel momento la Chiesa ortodossa si sarebbe allontanata progressivamente dallo zar, sino ad abbondonarlo completamente con la rivoluzione di febbraio del 1917. 85 Ivi, p. 65 38 Gli eventi della prima rivoluzione del 1905 se da un lato appaiono una specie di incidente in cui un’autorità al crepuscolo, il potere zarista, non può far altro che concedere e reprimere nello stesso tempo, oppure, come altri hanno sostenuto86, il frutto di azioni di infiltrati che agiscono come agenti provocatori, fu molto più realisticamente il punto di non ritorno di una società sofferente, vittima di grandi disuguaglianze sociali. L’industrializzazione a tappe forzate della fine del XIX secolo, che doveva essere l’occasione di una modernizzazione complessiva della società russa, imponeva nei fatti, un sacrificio enorme a gran parte del Paese, dedito all’attività contadina. Si assisteva così ad una contraddizione interna tra una classe sociale emergente, rivolta verso il miraggio della modernità, trascinata dalle élites liberali delle città e una classe contadina che aspettava una redistribuzione della terra nel rispetto del principio conservativo di autogoverno. Emblematico, in questo senso, il tentativo del potere autocratico87 di smantellare l’istituto dell’obščina, visto come elemento di tradizionalismo patriarcale e feudale, ma il cui ruolo, proprio sotto la spinta delle istanze rivoluzionarie, diventava il punto di aggregazione della rivolta contadina. Era evidente che la replica, in Russia, di modelli sociali europei basati sull’industrializzazione e lo smantellamento forzato delle strutture organizzate di autogoverno agricolo per creare una piccola proprietà frazionata e diffusa, fu un clamoroso abbaglio; la vagheggiata modernità di tipo europeo si dimostrò incompatibile con l’idea di sviluppo che la Russia contadina aveva di se stessa e del Paese, il quale stava andando verso una prospettiva socialista, in grado di soddisfare le richieste di terra e giustizia. Probabilmente la rivoluzione sociale fagocitò una rivoluzione politica, che doveva essere liberale, ma che provocò solo la volontà di repressione dell’autocrazia. L’incapacità del potere zarista di dar seguito a qualsiasi atto di autentico rinnovamento era il limite invalicabile di un regime ottuso che sapeva solo servirsi della polizia politica88 per arginare il dissenso e gli avversari politici. Lo stesso FERRETTI M., in Lo straniero, a. X, n.77, novembre 2006, pp.50-58, “Perché la rivoluzione del 1905 non fu, come sembra suggerire oggi la nuova vulgata dominante, che rianima paradossalmente i vecchi clichés della storia ufficiale sovietica invertendone i segni, una rivolta forse di popolo sì, ma sapientemente orchestrata da abili rivoluzionari di professione, ovvero una protesta di facinorosi minoritari nel paese, sfuggita al controllo di autorità troppo deboli. La rivoluzione del 1905 fu a mio avviso la prima rivoluzione provocata dalle tensioni sociali che l’irruzione della modernità in un paese arcaico, povero e arretrato, aveva esasperato fino a portarle al punto di rottura”. 87 Ad opera del Primo Ministro Pëtr Stolypin succeduto a Sergej Jul’evič Witte nel 1906. 88 Nella Russia zarista, l’Ochrana, la polizia politica segreta fondata nel 1881 dopo l’assassinio dell’imperatore Alessandro II. 86 39 Manifesto di Ottobre, che consentiva libertà consultive, si dimostrò inefficace; la Duma, negli anni a seguire, fu sciolta innumerevoli volte. La rivoluzione del 1917 fu sicuramente in continuità, anche se in modo non coerente, con quella del 1905, anche se quest’ultima non deve esserne necessariamente considerata la causa scatenante. L’illusione liberale dell’intelligencija, a cui va ascritto, in parte, il fallimento della rivoluzione del 1905 e la radicalizzazione della classe rurale mostrava l’estrema fragilità del tessuto sociale e, ancora una volta, la contraddizione di una Russia alle prese con l’incontro scontro tra arretratezza e modernità. “Non c’è ancora in Russia un popolo rivoluzionario”, scriveva due giorni prima della “domenica di sangue” il signor Pëtr Struve, che capeggiava allora i liberali russi e ne dirigeva un organo di stampa illegale, libero, pubblicato all’estero. A tal punto sembrava assurda a questo capo “coltissimo”, […] dei riformisti borghesi l’idea che un paese di contadini analfabeti potesse generare un popolo rivoluzionario! A tal punto era radicata nei riformisti di allora - come in quelli di oggi - la convinzione dell’impossibilità di una vera rivoluzione!”89. 89 Conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di giovani operai svizzeri, pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18, in http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm. 40 Capitolo 7. Ottobre Nel suo celebre saggio dal paradigmatico titolo “Il secolo breve”, lo storico Eric Hobsbawm racchiude, in un periodo di tempo di 77 anni, ovvero quello che intercorre dalla Prima Guerra Mondiale alla caduta dell’Unione Sovietica, la storia dell’intero XX secolo. Questo tempo, testimone del percorso storico e politico del mondo intero, è stato scandito, in modo particolare, dagli eventi che hanno trasformato la Russia. In questa prospettiva si può affermare che il secolo breve coincida in realtà con il tempo che intercorre fra la rivoluzione del 24 ottobre 1917 e la fine, nel 1991, del regime, frutto di quella rivoluzione. Lo stesso Hobsbawm scrive: “Il mondo che è andato in frantumi alla fine degli anni ’80 era il mondo formatosi a seguito dell’impatto della rivoluzione russa del 1917”90. Gli eventi che si sono succeduti in Russia nel volgere di pochi anni, dal 1905 al 1917, sono stati determinanti nell’indicare il percorso storico dell’intero secolo e ridisegnare gli equilibri tra Oriente e Occidente. Le sollevazioni del 1905, soffocate nel sangue, la ribellione spontanea, diffusa e proletaria del 23 febbraio 1917, la conclusione manu militari della rivoluzione, ad opera di un gruppo sino ad allora minoritario, nella notte del 24 ottobre, notte in cui i bolscevichi presero il potere, diedero vita al “più grande esperimento politico e sociale del secolo scorso”91. Fu una rivoluzione autenticamente popolare, annunciata in maniera emblematica da un atto di coraggio delle donne operaie; alla lotta contro l’autocrazia zarista e i metodi brutali dell’Ochrana, si unirono lavoratori, borghesia e studenti, annullando ogni distinzione di classe e diventando, nel breve volgere di un anno, l’espressione di un imperativo, il cui slogan “tutto il potere ai soviet”, lasciava presagire non tanto la libertà delle masse, quanto il loro controllo. Tuttavia, l’insurrezione rivoluzionaria di febbraio, e i successivi eventi fino all’estate del 1917, furono accolti con favore dall’intelligencija russa. La dimensione spontaneamente collettiva della sollevazione e la sua autentica espressione storica furono colti come un segno di quella specificità culturale in cui il popolo russo poteva riconoscersi; dal punto di vista politico-sociale, gli accadimenti rivoluzionari rappresentavano la speranza nell’avvento di una 90 HOBSBAWM E. J., Il secolo breve. 1914-1991, Mondadori, Milano, 2018, p. 16. ZOLA M., “L’ottobre bolscevico, quando morì la speranza di una democrazia russa”, in East Journal, 9 novembre 2017, in https://www.eastjournal.net/archives/86938. 91 41 democrazia. La riflessione filosofica, sotto la spinta dello sviluppo del pensiero neo kantiano e della critica hegeliana, di cui Il’in era stato l’ultimo grande interprete in Russia, avevano già elaborato il moderno concetto di “stato di diritto”, fondamento del pensiero liberale del Partito Cadetto di cui Pëtr Struve, ex marxista legale, era stato l’ispiratore92. Se le aspettative per i rinnovati ideali rivoluzionari di libertà trovavano la loro piena identificazione politica nei movimenti che davano risposte a queste aspirazioni, contemporaneamente veniva alimentata un’inquietudine escatologico-messianica, frutto di una metafisica religiosa, in cui un’umanità sofferente, attraverso un immane sforzo corale, si trasfigurava: la rivoluzione diventava mezzo di purificazione. Si annunciava un futuro in cui le masse, riscattate dalla propria condizione di minorità spirituale e materiale, sarebbero state le artefici della propria libertà. In questa visione apocalittica, in cui una verità trascendente veniva rivelata, si riconosceva l’immortale spirito del popolo russo che irrompeva nella storia e, grazie alla sua “dynamis”, la sua forza creativa, dava vita ad un rinnovamento spirituale. La rivoluzione veniva percepita come trasformazione cosmica; la classe operaia annunciava l’avvento di un mondo nuovo, nel quale essa stessa si faceva interprete, attraverso la consapevolezza “scientifica” del proprio lavoro, di una nuova fratellanza: la contraddizione tra uomo e natura si dissolveva nel nuovo ordine universale. Era in questo clima culturale che gli esponenti della rinascita filosofica religiosa russa, primo fra tutti Berdjaev, accolsero la rivoluzione di febbraio. Tuttavia, la caduta del Governo di Kerenskij93 nel mese di Ottobre del 1917 e l’avvento del nuovo potere sovietico, i cui primi atti formali furono la messa al bando del PSR, la censura sulla stampa, la chiusura di quella non bolscevica e il sostegno esclusivo alla propaganda filosofica marxista, spinsero gli ambienti filosofici a un definitivo cambio di atteggiamento. La rivoluzione bolscevica era inequivocabilmente un regime illiberale; per l’intelligencija russa non allineata, portatrice dei valori di libertà d’ispirazione cristiana e impegno liberal-democratico, fu molto difficile portare avanti la ricerca ed il dibattito filosofico. La disperata 92 Cfr. pp. 42 e 56 Kerenskij A. F., 1881 – 1970, Socialista moderato, dopo la rivoluzione del febbraio 1917 fu ministro della Giustizia, poi della Guerra e infine (luglio) primo ministro. Contrario a una pace separata russa nella Prima guerra mondiale, fu travolto dalla rivoluzione bolscevica nell’ottobre 1917 e costretto alla fuga all'estero. 93 42 resistenza al regime sovietico si spense definitivamente alla fine della guerra civile con l’esilio di centinaia di intellettuali nel 1922. Dal punto di vista storico, rimane tuttora aperta la questione fondamentale circa la natura del ruolo del partito bolscevico durante la rivoluzione d’Ottobre, ovvero se l’intervento a conclusione di eventi politicamente contradditori sia stato il deliberato concorso di una volontà generale e non invece un colpo di stato. Rimane comunque il fatto che il 25 ottobre il Palazzo d’Inverno fu preso d’assalto e occupato e i rappresentanti del Governo arrestati. Quello stesso giorno fu convocato il II Congresso dei Soviet; su 650-670 deputati, 300 erano bolscevichi: insufficienti, senza i circa 80 voti dei socialisti rivoluzionari di sinistra, ad ottenere la maggioranza necessaria per ratificare l’abbattimento di un Governo che, per altro, non era mai stato regolarmente e democraticamente eletto. I menscevichi e i membri del Partito Socialista Rivoluzionario abbandonarono i lavori e denunciarono il rovesciamento del Governo come un atto di guerra civile. “Trockij urlò loro dietro: siete dei miserabili falliti, andatevene nel posto che meritate, nella pattumiera della storia”94. Tuttavia, come testimoniava il menscevico Suchanov: “I bolscevichi lavoravano caparbiamente e senza sosta: stavano tra le masse, nelle fabbriche, ogni giorno senza pause […] Le masse erano divenute il loro stesso popolo […] Erano diventati l’unica speranza”95. Il Governo Kerenskij, alla ricerca della normalizzazione, fu incapace di trovare la sintesi politica tra la nuova classe dirigente e le classi popolari; in questo modo favorì la radicalizzazione della classe operaia, ovvero la bolscevizzazione delle masse. D’altro canto, se non ci fossero stati l’intervento diretto di Lenin e l’azione militare di Trockij, camuffata da azione preventiva per contrastare i “controrivoluzionari”, il colpo di stato, se tale era, non avrebbe mai potuto essere attuato. Il nuovo Governo Rivoluzionario, denominato Consiglio dei Commissari del Popolo, era presieduto da Lenin, affiancato da Trockij e Stalin. Alla fine di novembre si procedeva ad eleggere l’Assemblea Costituente e la maggioranza assoluta andava ai socialisti rivoluzionari, forti del loro consenso tra l’elettorato rurale. Il 3 gennaio 1918, la Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato definiva il nuovo Stato una “federazione di repubbliche nazionali 94 95 SMITH S. A, op. cit., p. 160. Ivi, p. 157 43 sovietiche”. L’Assemblea, riunita per la prima volta il 18 gennaio, venne sciolta il giorno dopo con un decreto del comitato esecutivo del Congresso Panrusso dei Soviet. Nel gennaio del 1918, di fronte al III Congresso dei Soviet, Lenin sosteneva: “Io non mi faccio illusioni: abbiamo soltanto cominciato il periodo di transizione al socialismo, non siamo ancora arrivati al socialismo. […] Noi siamo lontani anche dalla fine del periodo di transizione dal capitalismo al socialismo”96. Il partito bolscevico si poneva così in antitesi con le altre componenti socialiste e con la tradizione democratica occidentale. Si erano create le condizioni per una dittatura: cominciava la guerra civile. 96 https://www.popoffquotidiano.it/2017/11/07/cento-anni-fa-la-rivoluzione-russa-scrive-mandel/ 44 Capitolo 8. Guerra civile Tra il maggio 1918 e la fine del 1920 quasi cinque milioni di persone appartenenti alle armate rosse e bianche, a milizie e a eserciti nazionalisti, morirono in seguito a combattimenti. Il generale Pëtr Vrangel, uno dei comandanti bianchi, dopo aver cacciato dal Caucaso settentrionale l’Armata Rossa nel 1919, così ricordava: “… incontrammo cinque giovani cosacchi con dei fucili […] Dove andate ragazzi? Stiamo andando a cacciare qualche bolscevico, ce ne sono tanti nascosti fra i canneti, il loro esercito è scappato. Ieri ne ho ammazzati sette. Questo lo diceva uno dei ragazzi che avrà avuto circa dodici anni […], come se avesse compiuto qualche grande impresa. Durante l’intero conflitto non ho mai sentito così intensamente come in quel momento l’orrore estremo di una guerra fratricida”97. Questa dolorosa narrazione di una violenza in cui apparentemente gli uomini perdono ogni capacità morale trova una possibile risposta etica e politica nell’ultima opera di Platone “Le Leggi”; l’Ateniese, protagonista del dialogo, illustra ai suoi interlocutori di quale crimine ci si macchia in caso di guerra civile e se tale crimine implichi una pena: “Se un fratello uccide un fratello durante una sedizione in combattimento […] sia puro, come se avesse ucciso un nemico e allo stesso modo se un cittadino uccide un cittadino, o uno straniero uno straniero.”98. La guerra civile, dunque, non soggiace alle categorie di giusto o ingiusto, puro o impuro; la guerra civile rende tutti ugualmente degni, e quindi irriconoscibili, e accomuna gli individui in una dimensione nella quale ciò che ci appartiene, il nostro specifico biologico, quello che è a noi più intimo, è confuso nell’eterogeneità. Chi è contro o a favore lo è in maniera indifferenziata. Si può uccidere chiunque. In questo luogo dell’indefinito, in cui non è possibile riconoscere la propria ascendenza di sangue, non vi è più rifugio nella propria casa e, allo stesso tempo, non vi può essere la protezione dello Stato perché la guerra dei fratelli segna la fine della vita civile, quindi della legge che viene sostituita dall’eccezione. La vita politica perde il suo luogo d’elezione, che è l’ambito pubblico, e alla sfera del privato viene negata la facoltà di esercitare il suo diritto su ciò che è proprio99. In questo senso la guerra 97 SMITH S.A., op. cit. p. 172 PLATONE, Le Leggi, 869c, trad. di Ferrari F., e Poli S., BUR Rizzoli, Milano, 2005. 99 Il termine proprio in questo caso è mutuato dal greco oikeion. Questo termine ha un ambito di applicazione semantica complessa, viene tradotto con “affine” oppure con “proprio”, “conveniente” ma nell'essenza è riconducibile all'oikos, vale a dire alla “casa” e dunque a ciò che ci è veramente familiare perché ci appartiene e ci fa sentire appartenenti. 98 45 civile è ritorno a quello stato di natura preesistente alle società; l’oggetto della guerra diventa fatalmente la vita individuale: è la guerra interna di ogni individuo, il fallimento di una società che subisce dall’interno la condanna della propria natura. Nella guerra civile Russa si riconoscono alcuni elementi di modernità; non solo, infatti, si assiste ad un rigurgito di violenza giacobina, “…i bolscevichi insistevano sul fatto che il terrore fosse uno strumento legittimo di difesa della dittatura del proletariato”100, ma vengono usati metodi di schedatura, raccolta di informazioni101 e si ricorre sistematicamente della deportazione. Nella Grande Russia la guerra civile aveva generato il disordine dello Stato e, contestualmente, il crollo dell’unità di una società multinazionale che si riconosceva nell’impero zarista; in questo contesto prendevano corpo le rivendicazioni per conquistare nuovi spazi politici, sociali ed esistenziali. L’argine alle derive nazionaliste era costituito dall’imperativo ideologico della supremazia del proletariato e dall’uso del terrorismo102 come strumento politico. Il diritto all’autodeterminazione, che veniva tuttavia riconosciuto, era sacrificato in nome dei principi del socialismo rivoluzionario. Trockij in un opuscolo pubblicato nel 1920 sosteneva: “… la lotta deve essere portata avanti con un’intensità tale da garantire la supremazia del proletariato. Se la rivoluzione socialista richiede una dittatura […] ne consegue che la dittatura deve essere salvaguardata ad ogni costo […] Colui che ripudia il terrorismo per principio […] deve respingere ogni idea di supremazia politica della classe operaia e della sua dittatura rivoluzionaria”103. Lo scontro tra l’Armata rossa e le forze militari bianche non era semplicemente la lotta tra chi voleva costruire una società socialista e chi invece rappresentava i privilegi di un’élite del vecchio regime ed aspirava ad una qualche restaurazione 100 SMITH S. A., op. cit., p. 205. Nel dicembre del 1917 venne istituita la Čekà, organismo di polizia politica. 102 AGAMBEN G. su la Repubblica del 5-2-2015 “La forma che la guerra civile ha assunto oggi nella storia mondiale è il terrorismo. Se la diagnosi foucaultiana della politica moderna come biopolitica è corretta e se corretta è anche la genealogia che la riconduce a un paradigma teologicooikonomico, allora il terrorismo mondiale è la forma che la guerra civile assume quando la vita come tale diventa la posta in gioco della politica. Proprio quando la polis si presenta nella figura rassicurante di un oikos — la “casa Europa”, o il mondo come assoluto spazio della gestione economica globale — allora la stasis, che non può più situarsi nella soglia fra oikos e polis, diventa il paradigma di ogni conflitto ed entra nella figura del terrore. Il terrorismo è la “guerra civile mondiale” che investe di volta in volta questa o quella zona dello spazio planetario. Non è un caso che il “terrore” abbia coinciso col momento in cui la vita come tale — la nazione, cioè la nascita — diventava il principio della sovranità. La sola forma in cui la vita come tale può essere politicizzata è l’incondizionata esposizione alla morte, cioè la nuda vita”. 103 SMITH S. A., op. cit., p. 222. 101 46 della Russia nazionalista e imperiale: era in gioco la realizzazione di un nuovo modello sociale e politico. Nella primavera del 1920 l’annichilimento104 progressivo delle forze militari avverse al Partito bolscevico e l’allontanamento dell’opposizione, rappresentata dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi, costituirono il presupposto per la dittatura di un solo partito. I bolscevichi si ribattezzarono Partito Comunista Russo che “si trasformò rapidamente da organizzazione sovversiva in partito di governo impegnato nella costruzione di uno Stato funzionante”105. Iniziava l’era del Comitato Centrale e della sua oligarchia. Alla fine del 1922 nasceva l’Unione Sovietica. Ivi, p. 209., “…la violenza sembra derivare non tanto dalla spinta all’eliminazione dei nemici politici quanto dal voler creare una società purificata da elementi contaminanti. La parola chiave utilizzata […] era istreblenie, annichilazione o sterminio…” 105 Ivi, p. 218. 104 47 Capitolo 9. Oberbürgermeister Haken In un celebre passo de “La Repubblica” di Platone, Adimanto, uno dei protagonisti del dialogo, obietta a Socrate che la sua teoria del governo dei filosofi contrasta con l'opinione comune secondo la quale le persone che praticano la filosofia si dedicano solo a sterili speculazioni, risultando del tutto inutili allo Stato ed incapaci nella conduzione della cosa pubblica. Socrate risponde all'obiezione con una similitudine, dal forte contenuto icastico, che chiarisce quale sia il significato di un’esperienza che non può essere messa in relazione con nessun’altra. Pensiamo ad una nave, dice Socrate, il cui comandante, pur essendo il più grande e forte di tutti i membri dell’equipaggio, non ha grandi capacità ed è palesemente inesperto di mare. Accade che i marinai, in un litigio continuo, si disputino il timone, per quanto loro stessi siano assolutamente digiuni di una qualsiasi elementare conoscenza nella conduzione della nave, e agiscano per ottenerne la guida e, per farlo, uccidano ed eliminino chi ostacola il loro piano. Ma questa nave in cui, nella chiara rappresentazione di Socrate, non si vuole ascoltare la parola del filosofo timoniere che guarda le stelle, non ci appare diversa da altre navi di filosofi “che hanno la testa fra le nuvole” e che hanno viaggiato per mare per portare le loro parole, che rimarranno senza seguito perché inascoltate. Platone va in Sicilia e s’imbarca, spinto solo dalla sua speranza di trovare accoglienza e una “patria” alla filosofia, speranza che sarà mortificata per ben due volte. Chi va per mare sa che la nave solca una dimensione incerta; non ci sono percorsi retti e neanche l’approdo è garantito. In questa metafora del navigare che accompagna la storia dei filosofi, la nave è presupposto di una nuova condizione morale che allo stesso tempo può convertirsi nella condanna senza appello del filosofo. È la nave in ultima analisi che giustifica il viaggio ideale della filosofia. Via sulle navi filosofi!106 Invita Nietzsche. Via, per arrivare dall’altra parte del mondo agli antipodi, dalla parte opposta, per annichilire vecchie morali, distruggere falsi idoli, per trovare “…una nuova giustizia… e nuovi filosofi”107. Per analogia, seguendo questo ribaltamento concettuale, la Russia, Paese senza fine, che va da occidente a oriente, da un continente all’altro, che congiunge gli antipodi, dove gli opposti appartengono alla 106 NIETZSCHE F., La gaia scienza, Aforisma 289, a cura di Colli G., Montinari M., Mondadori, Milano, 1971. 107 Ibidem. 48 stessa terra simile ad un mare, ma che mare non è, si fa Nave. La Nave Russia che guarda un cielo sterminato, che diventa a sua volta un mare sovrastante. Nave che non può viaggiare e può solo confrontarsi con la potenza di un mare incombente, che non si deve solcare, ma decifrare in una relazione di alterità in cui il filosofo è interprete di una trascendenza irriducibile. E sarà proprio la nave, attraverso un inesplicabile misterioso cammino, segnato da un destino che percorre il tempo, che realizzerà lo stigma della condanna al silenzio, attraverso la morte o l’esilio dei filosofi russi, destinati ad essere inascoltati. Il 29 settembre 1922, la Nave-Polis di Socrate diventa la Nave-Russia di Lenin; la nave, da simbolo metafisico del filosofo che scruta il cielo-mare, assume una dimensione antimetafisica e materialista. Già nel maggio del ’22 lo stesso Lenin dava istruzioni al capo della Čekà, Dzeržinskij, di raccogliere informazioni sugli intellettuali non allineati. Subito dopo, nel giugno successivo, l’Ufficio Politico compilò una lista contenente i nomi dei dissidenti e, tra il 16 e il 17 agosto, la polizia politica provvide ad un’ondata di arresti. Alla fine del mese di agosto la Pravda scriveva, probabilmente riportando le parole di Lenin: “L’espulsione degli elementi controrivoluzionari e dell’intelligencija borghese è il primo avvertimento del potere sovietico a questi elementi sociali”108. Tutto si compie con la partenza da Pietrogrado, con destinazione Stettino, del piroscafo Oberbürgermeister Haken a cui seguirà una seconda nave, la Preussen, nel mese di novembre. Per ordine diretto di Lenin, oltre a Ivan A. Il’in (che nel frattempo era stato arrestato) vengono espulsi fra gli altri, Berdjaev, S. Bulgakov, Frank, Losskij, Stepun, Karsavin, Florovskij, Sorokin, Trubetskoy, in totale 272109 intellettuali. Si attuava così una sorta di genocidio intellettuale che segnava l’inizio di una “bolscevizzazione della filosofia”110 che portò, nel giro di poco tempo, a fare del marxismo-leninismo il principio regolatore dell’intera vita culturale dell’Unione Sovietica111. Esemplificativo del clima politico fu la pubblicazione, nel 1922, del saggio “Gettiamo via la filosofia”112 (titolo di notevole realismo predittivo!) di Sergej 108 https://fareondeblog.wordpress.com/2022/05/21/la-nave-dei-filosofi/ IL’IN I.A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. IV. 110 “Nel 1922 fu fondata la rivista ufficiale di filosofia sovietica: Pod znamenem marksizma (Sotto la bandiera del marxismo)”, in CANTELLI C., “Filosofia russa” in Filosofie nel mondo, a cura di MELCHIORRE V., Bompiani, Milano, 2014, p.196 111 Ivi, p.196 112 Ivi, p.198 109 49 Minin, secondo il quale doveva essere affidato al materialismo dialettico il compito di dare una giustificazione filosofica alla linea politica del partito bolscevico. L’effetto di questo percorso di ripensamento radicale circa il ruolo della filosofia nell’Unione Sovietica, più che essere la conseguenza di un movimento ideologico, era l’avvento di una ideocrazia che, ipso facto, condannava ogni riferimento all’idealismo religioso della tradizione russa e perseguitava i suoi esponenti; anche chi, fra gli intellettuali, appariva comunque distante rispetto all’apparato rigidamente materialista, subiva la stessa sorte. Si imponeva l’autorità della metodologia come strumento pervasivo dei contenuti in ogni ambito sociale e culturale. Lev Trockij affermava: “Abbiamo espulso quelle persone perché non c’erano pretesti per fucilarle, ma non c’era nemmeno la possibilità di tollerarle”113. Losskij, imbarcato a sua volta sulla “nave dei filosofi”, qualche anno dopo sottolineò in una delle sue memorie, l’aspetto paradossale dell’espulsione; il potere sovietico non voleva apparire barbaro e dispotico, e con un gesto magnanimo, decise l’esilio dei controrivoluzionari. Questa misura umanitaria ha effettivamente evitato ai filosofi dissidenti di essere vittime delle purghe staliniane degli anni ’30114. Una contemporaneità sorprendente di rivoluzione, repressione e politica del realismo. Coloro che decisero di non aderire all’esilio forzato andarono incontro a un tragico epilogo: P. Florenskij115, teologo, matematico, filosofo (interprete del pensiero Sofianico) intellettualmente vicino a N. Berdjaev e S. Bulgakov116, fu prima ridotto al silenzio per un decennio, ed infine fucilato nel 1937. Nikolaij Berdjaev, scriverà nel suo libro Philosophy of Art: “Lo stato socialista non è uno stato secolare, ma uno stato bolscevico sacro… Assomiglia a uno stato teocratico autoritario. Il socialismo professa la fede messianica. I guardiani dell’idea messianica del proletariato hanno creato una gerarchia specifica: il Partito Comunista117…” 113 https://www.tuttobarche.it/magazine/nave-filosofi Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Ilyin dall'emigrazione in Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it 115 Cfr., p. 6 116 Bulgakov S. N., filosofo, economista, teologo e sacerdote, il suo pensiero si collega a quello di Solov’ëv. 117 https://fareondeblog.wordpress.com/2022/05/21/la-nave-dei-filosofi/ 114 50 Uno stato così concepito sovrappone il sacro alla dimensione mondana e consegna una realtà riservata alla divinità a una formazione politica, ovvero il Partito Comunista, che relega l’umano alla minorità. Tale Stato, asservito all’idea di una aspettativa escatologica, in maniera del tutto inavvertita e contraddittoria, sposa il paradigma cristiano che vede nel passato borghese l’errore di un proton pseudos che si identifica con il peccato. Il riscatto rivoluzionario si attuerà nel tempo presente; la redenzione futura alla fine dei tempi. Veniva mutuato in questo modo, in parte, l’idealismo tradizionale, fortemente identitario della Russia e del popolo russo, investito di un compito messianico. Una società etica e purificata attraverso il marxismo leninismo avrebbe perseguito la modernità in opposizione all’Occidente e ai suoi valori. La “nave dei filosofi”, che avrebbe dovuto rappresentare il tempo dell’unità della Russia rivoluzionaria, in realtà diventava il momento simbolico di una separazione, lo spartiacque tra la cultura sovietica e la cultura emigrata, la linea di demarcazione tra rivoluzione e conservazione. Si configurava la nascita di un movimento culturale che si svilupperà in Europa con vari esiti ed influenze rilevanti. Sarebbe opportuno, dunque, parlare non di filosofi in esilio ma, citando il titolo della biografia di un altro filosofo, Leo Strauss118, in esilio per sua volontà ed emblema dell’incessante diaspora dei filosofi per buona parte della tormentata storia del ‘900, di una “filosofia in esilio”. L’esilio (insieme alla nave) fa parte della vita filosofica e ne riflette l’immagine, ne fa simbolo e metafora, ne è un elemento costitutivo, diventa una categoria dell’essere filosofico. L’errore del pensiero (socratico) e l’empietà che ne deriva devono essere lavati con la morte e, in questo senso, l’esilio è la rappresentazione tangibile di una morte surrogata comminata attraverso un atto politico ed insieme giuridico. Ed è proprio in questo atto, che impone un obbligo ineludibile, che il potere manifesta la propria presenza. La pena dell’esclusione è intesa come non-appartenenza ad alcuna comunità, la messa al bando come sanzione definitiva di una non-esistenza: senza terra, senza patria; è l’essere fuori di sé, la separazione ontologica dal Tutto, in cui l’anima si separa dal suo corpo mortale, è un atto di sottrazione che rende chi ne è colpito privo del suo spazio, 118 ALTINI C., Una filosofia in esilio, Carocci, Roma, 2021. 51 materiale e politico. È uno stato di abiezione “senza, parenti, senza leggi, senza focolare”119 la cui dimensione può essere assimilabile solo alla divinità.120 Dal punto di vista storico e politico, in relazione alla manifestazione dell’autorità, e quindi all’esercizio del potere, diventa rilevante sottolineare che nel 1922 fu modificato il codice penale della Repubblica Sovietica per permettere l’espulsione amministrativa degli intellettuali soggetti al dispositivo; la norma, in questo caso, era l’atto di una precisa volontà politica e non semplicemente espressione formale di diritto con tutte le implicazioni ideologiche e filosofiche che questo comportava: la legge non era più generale e astratta, ma diventava la rappresentazione del caso singolo, cioè una legge che pone sé stessa al di fuori della legge ed attua il passaggio da diritto ad eccezione. L’esilio diventa così la rappresentazione della più alta forma di esercizio del potere. L’intera generazione dell’intelligencija russa che, all’inizio del XX secolo, giunse in Europa, in Cecoslovacchia, in Germania e soprattutto in Francia, e che V. Nabokov definì “l’odissea di una tribù mitica”, alimentò l’immagine “… di una Russia assente e leggendaria” e fu percepita, in un primo tempo, come un fatto più che altro “folcloristico”121. L’ambiente intellettuale europeo, sopraffatto dalla propaganda comunista, non si rese conto, in un primo momento, della portata sia storica, sia culturale che l’evento comportava. I filosofi russi in esilio ebbero il merito di salvare la cultura russa dalla completa cancellazione sovietica. Quella che fu definita la emigr’kult ebbe influenza diretta nei movimenti filosofici europei degli anni ‘30 e ’40 (Berdjaev collaborò a Parigi con la rivista Esprit e influenzò in maniera sensibile il movimento esistenzialista). A lui si rifanno le successive declinazioni in termini di conservatorismo nazionalista e certamente non è estraneo anche al pensiero nazionalista bolscevico i cui principi segnano in particolar modo il percorso storico e politico dell’attualità russa. 119 OMERO, Iliade, IX, 63 ARISTOTELE, Politica, a cura di Viano C. A., BUR, Milano, 2019, [1253a] … l’uomo è un animale che per natura deve vivere in una città e che chi non vive in una città… o è un essere inferiore o è più che un uomo… 121 Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: “Ivan Ilyin dall'emigrazione in Europa alla Russia di Putin”, interventi di VALLE R. e STRADA O., Università La Sapienza, Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it. 120 52 Sezione II Il pensiero Capitolo 1. Sette settimane con il Dottor Freud Letteratura e psicoanalisi, l’una di fianco all’altra, separate eppure vicine, così vicine tanto da far dire a Freud che “In tutti i paesi dov’è penetrata la psicoanalisi essa è stata meglio intesa e applicata più da scrittori che da medici”; egli stesso si definiva “un letterato che fa in apparenza il medico”122. La Russia, in particolare, aveva recepito più di altri la psicoanalisi come nuova disciplina medico-scientifica, anche se, probabilmente, il grande contributo al suo sviluppo, come già messo in evidenza dalle parole dello stesso Freud, era dovuto in particolar modo al rapporto fra psicoanalisi e un ambiente letterario estremamente fecondo come quello russo. L’interpretazione dei testi, le parole, le figure evocative, i segni, le metafore che narravano la realtà immaginata diventavano, nell’analisi psicoanalitica, la prova di un inconscio che si disvelava al mondo. In quei primi venti anni del secolo scorso, la società russa si rendeva inoltre protagonista di un evento che non coinvolgeva solo gli aspetti sociali e politici, ma sublimava nel moto rivoluzionario un modello, un tropo che nell’immaginario di un popolo acquisiva una potente dimensione psichica. Il neo regime bolscevico, in un primo momento, accolse il movimento psicoanalitico positivamente, e, mentre Lenin si mostrò estremamente sospettoso nei confronti della psicoanalisi, tanto da definirla “disciplina fiorita sul letame della borghesia”123, Trockij, al contrario, si esprimeva con più prudenza riguardo alla possibilità di “conciliare psicoanalisi e materialismo marxista”124. Alla fine della guerra civile e con il consolidamento del neo regime comunista, la connotazione negativa data alla psicoanalisi, espressione di una borghesia moralmente decadente ed implicitamente corrotta, ne accelerava il processo di espulsione dalla società russa. Rappresenta elemento di riflessione “l’osservazione che dato che le nevrosi 122 MONTANARI M., in Russia e psiche, citazione di Freud da HILLMAN J., Storie che curano, pp 1-2 Cortina, Milano, 2021, in https://www.doppiozero.com/russia-e-psiche 123 MONTANARI M., op.cit. in https://www.doppiozero.com/russia-e-psiche 124 Ibidem 53 si sviluppano in una società ingiusta che non valorizza le naturali aspirazioni degli individui, nella società comunista le nevrosi non hanno motivo di svilupparsi e pertanto la psicoanalisi non ha motivo di esistere…”125. Sigmund Freud conosceva molto bene l’ambiente culturale russo e la cultura del popolo russo “da sempre profondamente profusa di senso dell’inconscio”126; l’incontro con la straordinaria dimensione psicologica dell’arte letteraria di Dostoevskij sarà uno degli strumenti per costruire un metodo d’indagine in cui la distanza tra letteratura e psicoanalisi viene cancellata facendo emergere i conflitti tra due modalità di pensiero: il sognare della narrazione letteraria e l’approccio razionale della psicoanalisi, che si appropria delle figure del mito. In una lettera inviata a Stefan Zweig127, Freud metteva in rilievo come la coesistenza di stati emotivi estremi e duali nella personalità di Dostoevskij fosse un archetipo dell’essere russi. Nella sua analisi, pensava probabilmente ad un altro paziente russo che aveva avuto modo di seguire qualche anno prima, nel 1914, e che, retrospettivamente, poteva essere considerato un modello attendibile per i suoi studi sul grande scrittore russo; il paziente in questione era, appunto, Ivan Aleksandrovič Il’in. Per quanto lo stesso Il’in sia stato avaro di informazioni riguardo al suo periodo di terapia, senza dubbio gli aspetti della sua personalità, ricca di elementi contraddittori e di pulsioni a volte estremamente aggressive, fornivano una chiave di lettura di rilievo per l’analisi di Freud. Già in precedenza il poeta simbolista Belyj128, parlando di Il’in, lo aveva paragonato ad un personaggio de “I demoni”: Nikolaij Stavrògin. Ancora più sorprendente il paragone con i quattro fratelli Karamazov che sembrano, ognuno, contenere i caratteri specifici della personalità di Il’in: “l'iperintellettuale Ivan, il pio Alëša, il Mitya violentemente emotivo e l'infernale Smerdyakov”129. Freud, nella sua analisi della personalità di Dostoevskij, si concentra sugli aspetti legati ad una tendenza masochistica e a una latente omosessualità dello scrittore, caratteri questi che si riverberano nei tratti dei suoi 125 Ibidem ZALAMBANI M., in Letteratura e psicoanalisi in Russia all’alba del XX secolo, Firenze University Press, 2022. 127 ZWEIG S., 1881-1942, ebreo viennese, cosmopolita e pacifista, tra gli autori di lingua tedesca più letti e tradotti al mondo, fu il primo scrittore a inserire la psicanalisi freudiana nella narrativa. 128 Cfr. p. 8 129 LJUNGGREN M., Poetry and Psychiatry, Essays on Early Twentieth-Century Russian Symbolist Culture, Freud’s Unknown Russian Patient, , (mia traduzione), Academic Studies Press, p. 118. 126 54 personaggi. Gli stessi aspetti possono essere riconosciuti nella personalità di Il’in e sono probabilmente alla base della sua instabilità psichica. L’esperienza terapica con Sigmund Freud segnò Il’in in maniera profonda, tanto da generare in lui una vera e propria ossessione nei confronti della psicoanalisi; tuttavia, nonostante le sedute, la nevrosi e gli stati di aggressività, sempre latenti nel filosofo, non si attenuarono e non ci fu nessun miglioramento. In preda a una sorta di parossismo psicoanalitico, per Il’in ogni persona, ogni relazione, ogni gesto dovevano essere ricondotti a una diagnosi di carattere psichico e ridotti a una patologia nevrotica "…tutte le ferite nel tessuto dell'anima che ci hanno segnato fin dall'infanzia, che vivono non guarite per tutta la vita e rosicchiano l'anima, rendono molti di noi vittime di nevrastenia e ogni sorta di perversioni morbose"130. In questa smania di indagine introspettiva significativo il fatto che Il’in cominciò ad analizzare alcune figure di spicco del movimento simbolista ravvisandone un’omosessualità latente, tratto questo che, probabilmente riconosciuto in sé stesso, assunse un carattere proiettivo. Forse si spiega così la profonda avversione di Il’in nei confronti del simbolismo, a testimonianza della lotta contro i propri demoni131. Categorizzare la personalità ed il pensiero di Ivan Il’in attraverso l’analisi che Sigmund Freud fece di Fëdor Dostoevskij è sicuramente un compito di difficile realizzazione, data la distanza intellettuale e temporale, e non ultimi gli eventi drammatici della rivoluzione, che dividono lo scrittore dal filosofo. Ciononostante, potrebbe essere possibile tracciarne un profilo attendibile considerando come temi centrali i concetti di bene e male nel suo pensiero in relazione alla costruzione letteraria di Dostoevskij. Tali concetti sono alla base di quello che Freud definiva archetipo della “russità” e che Belyi, in maniera istintiva e didascalica legava appunto ad Il’in in riferimento ai personaggi di Dostoevskij. “Stavrògin è tutto” annota Dostoevskij132, e se il male è una parte del tutto, Stavrògin è un tutto che va oltre il male: è il vuoto, il nulla delle sintesi impossibili; è la convivenza fra l’idea di una superiore grazia divina e il peccato più turpe contro l’uomo. Questo tutto è impresso nell’impassibilità dello spirito, nel distacco di chi 130 LJUNGGREN M., op. cit. p. 118. Ivi, p. 119. 132 GERMINI S., in Nikolàj Vsèvolodovič Stavrògin, il funesto demiurgo, https://imalpensanti.it/2017/10/nikolaj-vsevolodovic-stavrogin-funesto-demiurgo-parte/ 131 55 guarda un mondo che va verso un’inevitabile e necessaria autodistruzione; è l’ipostasi dell’idea che si realizza nell’azione di un artefice, ipertrofico e pervasivo. Stavrògin occupa lo spazio e il tempo e, senza alcuna ragione apparente, interviene in modo imprevedibile, irrompe nella vita di ognuno dei protagonisti, la sconvolge, ne sovverte le regole, la riscrive a loro insaputa e ne osserva con freddezza gli effetti. Assiste alla loro morte con indifferenza; li studia come si fa con un esperimento del quale si conosce in anticipo l’esito e la cui conclusione ne è solo la conferma. Le loro azioni, delle quali non distingue diversità alcuna, sono la sua esperienza. Stavrògin è l’autore di un male di cui non ha coscienza perché in lui non vi è lo spirito e quindi neppure la presenza di Dio. Scrive Il’in: Il male comincia laddove comincia la persona, inoltre non si trova in tutti i suoi stati e manifestazioni nel corpo umano in quanto tali, ma nel suo mondo psico-spirituale. È qui dove realmente risiedono il bene e il male. Nessuno stato esteriore del corpo umano in quanto tale, nessun atto esterno della persona stessa (preso e considerato separatamente, staccato dallo stato psico-spirituale che ne è la manifestazione o che dà origine a esso) può essere bene o male133. In questa prospettiva Stavrògin è contemporaneamente Dostoevskij ed Il’in. È una chiave di lettura metafisica nella quale la tragedia di Stavrògin irrompe dal magma dionisiaco di Dostoevskij, che scruta l’abisso del destino umano. La sua indagine si spinge dove più oscura è l’anima umana, dove la struttura psichica diventa deforme, le pulsioni assumono una dolorosa perversione, di cui lo stesso Il’in è partecipe; la sofferenza che ne scaturisce diventa testimonianza del male, nascosto nell’animo, trasformato in un’ossessionante nevrastenia. L’orrore della scoperta della verità si trasfigura nell’immagine simbolica di Stavrògin, anticristo che plasma il male di cui lo stesso Il’in non è emulo, ma vittima. Tuttavia, in Stavrògin vi è anche una dimensione di carattere politicoantropologico che divide il filosofo dallo scrittore. Stavrògin è latore di un altro tipo di male: è l’idea della decadenza dell’Occidente che con il suo nichilismo infetta la santità della Russia. Se Il’in è perfettamente connotato con l’idea slavofila che incarna la tradizionale religiosità della Russia ortodossa, visceralmente opposta ai IL’IN I. A., On resistance to Evil by force, (mia traduzione), Taxiarch Press, Zvolen Slovakia, 2018, p. 13-14. 133 56 valori occidentali e ancor più al materialismo bolscevico, Dovstoeskij fa suo il nichilismo che diventa il segno di un tradimento da parte dell’Europa, tradimento che viene risolto con un ideale di appartenenza che lo avvicina a un sentimento nietzscheano134. Dostoevskij, spirito errante, uomo senza terra, senza dimora, chiede patria in Europa. Il’in, al contrario, è l’uomo della terra aperta, delle pianure senza riparo dell’Asia centrale, in cui l’esperienza dell’alterità, che sembra negata dalla sconfinata solitudine della terra, si riconosce in realtà nel suo rapporto con Dio. È l’esperienza dell’autocoscienza che hegelianamente costituisce l’Io nel rapporto con il Tu (l’altro); nel vuoto della distesa l’Io può riconoscersi solo in Dio: “la libertà spirituale ci è data dalla natura, la conformazione spirituale ci è data da Dio”135. Se Stavrògin è l’Anticristo, Alëša è Cristo. Come dice il poeta Belyi alludendo in realtà a Il’in, Alëša è pio. Scrive Il’in “Il bene è per natura un sentimento religioso perché consiste nel riconoscere il Divino e dedicarsi interamente ad esso”136. Nell’immagine colta da Belyi, Il’in è molto più realisticamente un devoto che manifesta l’urgenza di cogliere il senso della propria religiosità. Per il filosofo, il conseguimento del bene è un processo di tipo vitale, un’evoluzione quasi darwiniana che si manifesta come un atto di supremazia dello spirito; tale supremazia è difesa con la forza. La coscienza del bene è una condizione di grazia sottoposta alla minaccia antispirituale del male, il cui obiettivo è un attacco alla vita nel senso più ampio. “Per condurre una vera resistenza al male si devono sempre tenere a mente tutte e quattro le sue proprietà principali: unità, aggressività, ambiguità e molteplicità…”137. In questa definizione il male di Il’in perde ogni connotazione metafisica e affonda nella materialità; è il male che si oppone ontologicamente al bene. La devozione di Il’in perde così ogni riferimento alla compassione cristiana e acquista una dimensione ben precisa che trasmette un sentimento di grande severità e durezza, espressione di un estremo rigore spirituale la cui misura è data dalla reificazione della preghiera: “Lasciate che la vostra spada NIETZSCHE F., Umano, troppo umano, in prefazione, “Che tali spiriti liberi potranno esserci un giorno, che la nostra Europa avrà tra i suoi figli di domani e di posdomani questi lieti e intrepidi compagni…” versione di Giametta S., Adelphi Edizioni, Milano, 1979, p. 5. 135 IL’IN I.A., P., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 7. 136 IL’IN I. A., On resistance to Evil by force, (mia traduzione), Taxiarch Press, Zvolen Slovakia, 2018, p. 17. 137 Ivi, p. 149. 134 57 sia una preghiera, e la vostra preghiera sia una spada”138. Tale rigore spirituale, dunque, non indicherebbe una condizione di santità ma una tensione verso la lotta. Lotta interiore per la difesa di uno stato dello spirito: ovvero l’obbligo del bene. Berdjaev139, che scorgeva nel pensiero di Il’in una deriva morale, notava “…Un bene per forza non è più un bene, ma degenera in male. Il bene libero, che è l’unico bene, presuppone la libertà del male”140. In questa breve analisi Il’in acquista i tratti di un religioso ateo che pone al centro l’uomo come unico autore del bene; in questa prospettiva non può accettare l’idea della libertà del male. Negare tale libertà, paradossalmente conduce ad una negazione di Dio: “Dio esiste, perché esistono il male e il dolore nel mondo; l’esistenza del male è una prova dell’esistenza di Dio. Se il mondo fosse esclusivamente buono e giusto, allora Dio non sarebbe più necessario, allora il mondo sarebbe Dio. Dio esiste perché esiste il male. Ciò significa che Dio esiste in quanto esiste la libertà umana”141. L’inquietante e tormentato Il’in, che postula la resistenza al male come vincolante per la cristianità ortodossa, non solo pone una questione di carattere teologico, ma anche una di carattere morale ben più ampia: è il rifiuto della pace ad ogni costo. Il’in apre un dissidio con i rappresentanti di un pacifismo che disconosce sia il valore della dottrina, sia l’esistenza dell’orrore di un male mondano che trascina con sé un’umanità che non può riconoscere alcuna pietà. Nella visione di Il’in la resistenza al male con la forza, che implicitamente prevede l’uso della violenza, non è giusta in sé, ma è una necessaria ingiustizia che coinvolge ogni cristiano. Il tratto decisivo del pensiero di Il’in non è conseguire l’affrancamento dal male, inteso come atto di libertà, ma raggiungere la perfezione morale che di per sé rappresenta il punto di compimento di ogni spirito autenticamente cristiano nel mondo. “Nella sofferenza l’umanità è saggia”142. 138 Ivi, p. 1. Cfr. p. 13. 140 BERDJAEV N. A., La concezione di Dostoevskij, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2002. 141 La concezione di Dostoevskij e l’Europa contemporanea in https://www.missionerh.com/site/index.php/it/rubriche1/approfondimenti/2185-la-concezione-didostoevskij-e-l-europa-contemporanea 142 IL’IN I. A., On resistance to Evil by force, Introduzione, (mia traduzione), Taxiarch Press, Zvolen Slovakia, 2018. 139 58 Capitolo 2. Hegel Affermare che la patria filosofica di Hegel sia la Russia non è una forzatura storica né dialettica. In nessun Paese come in Russia vi è stata una diffusione così rilevante e duratura nel tempo del pensiero di Hegel, tale da esercitare una profonda influenza sul pensiero filosofico e politico. L’analisi critica dei filosofi russi contiene una sua specificità che si può connotare storicamente come hegelismo slavo. La contrapposizione tra slavismo e occidentalismo è tema ricorrente nello sviluppo storico del pensiero russo; esso riflette la condizione di dualità che costituisce non solo il percorso della filosofia, ma più profondamente, l’archetipo dell’essere russi: la costante ricerca di una sintesi attraverso un’antinomia irriducibile. In questa condizione di radicalizzazione delle posizioni, in cui nessuna negazione è possibile, non può emergere altro che una contraddizione sorretta da un panlogismo che non risolve il problema dell’essere e dell’esistere. Per quasi tutto il XIX secolo nell’analisi dei pensatori russi, per altro influenzati dalla lettura che ne diede Schelling, emerge un’idea costante che relega l’ontologia hegeliana ad una conseguenza del possibile. È una frattura profonda tra essenza ed esistenza che induce ad accettare l’idea che il reale sia solo un prodotto del concetto e che la logica che ne deriva sia il principio della natura e della storia. In questa prospettiva quasi si affaccia l’idea che l’essere sia il promanare da un nulla in cui, invece di sostanziarsi, l’essere si dissolve. La contraddizione evidente della costruzione di un’ipotesi simile determina un dissidio irrisolvibile tra slavofili e occidentalisti, entrambi incapaci di porre una soluzione accettabile al dilemma: per gli slavofili creazionisti il divino viene ridotto a materialità e per gli occidentalisti, che guardano al materialismo, la materia è prodotto dello spirito. In questo malinteso disordine, l’unica risposta possibile all’idealismo assoluto hegeliano, in cui il contenuto non può essere esterno alla forma, risiede nei concetti oggettivi ricavati da un dato concreto e quindi la natura precede la logica; dunque, se il “pensare sul pensare non è pensare il reale”143 la risposta russa è porre il dato sensibile come principio di ogni realtà dell’esistenza. Sensibilità e ragione, che nella concezione dialettica di Hegel demoliscono il “qui e ora”, non eliminano la 143 PLANTY-BONJOUR G., Hegel e il pensiero filosofico in Russia (1830-1917), traduzione Gigante G., Istituto italiano per gli studi filosofici, Hegeliana, Guerini e Associati, Napoli, 1995, p. 352 59 contraddizione iniziale ma ne acuiscono la dimensione. L’intuizione del divenire storico si traduce in un tempo che perde la sua puntualità; la razionalità non è in grado di soddisfare la necessità. Idealismo e realismo si compendiano all’interno di un sistema che assume un’identità trascendente. Lo spirito tende verso direzioni tra loro inconciliabili. In questo paradosso, in cui lo spirito è contemporaneamente teso verso direzioni opposte, il marxismo offre inaspettatamente un via d’uscita proponendo una distinzione nel pensiero hegeliano “tra sistema conservatore e metodo progressista”144. In questo modo l’indicibile dicotomia hegeliana rappresentava pienamente le tensioni dei filosofi russi che, tuttavia, proprio in questa ennesima opposizione, trovavano soluzione sia all’aspetto reazionario, sia a quello rivoluzionario del pensiero di Hegel; quindi, se per la Sinistra hegeliana “tutto il razionale è anche reale”, la lettura della Destra sostiene che “il reale è anche razionale”145. In questa che sembra una semplificazione teorica si cela, in realtà, la definizione di un sistema chiuso, in qualche modo vittima di un riduzionismo che contiene restaurazione e rivoluzione. Per i filosofi russi il “sistema” hegeliano “è” il pensiero di Hegel. In questa prospettiva il “dover essere” viene espunto dalla riflessione e la ricomposizione con il reale, in ultima analisi, impone l’accettazione del mondo storico. Il movimento filosofico russo, in questo modo, disconosce il valore dialettico della negazione e postula un’identità che esclude la differenza, ma “…l’assoluto hegeliano non è mai una sintesi immobile in quanto contiene al tempo stesso, l’impostazione e la negazione, lo stesso e l’altro”146. Una delle questioni che l’assoluto introduceva era il problema del pensiero religioso nel sistema hegeliano. Se la questione dell’esistenza di Dio nel pensiero di Hegel era rilevante in Occidente, non lo era per i filosofi russi: l’assoluto hegeliano era, senza discussioni, il Dio della tradizione ortodossa. Tuttavia, questa prima lettura lasciò ben presto il campo alla presa di coscienza del fatto che il pensiero hegeliano fosse, in realtà, implicitamente ateo. Le successive interpretazioni critiche dei pensatori russi di sinistra, i quali d’altra parte avevano un disinteresse complessivo circa l’indagine sull’hegelismo come portatore o meno del senso della religione, facevano emergere una filosofia hegeliana spontaneamente e inconsciamente materialista. Da questo 144 Ivi, p. 353. Ivi, p. 354 146 Ivi, p. 357 145 60 punto di vista gli hegeliani di sinistra consideravano l’elemento della negatività solo in ambito politico e continuavano a disconoscerne ontologicamente la valenza. La filosofia di Hegel, pur contenendo molti riferimenti religiosi, suscitò una fortissima opposizione anche tra i pensatori slavofili e spiritualisti, i quali si resero conto, per primi, che l’idealismo hegeliano era lo strumento con cui aprire la strada ad una società atea. La spiritualità del mondo ortodosso, connotata da una concezione religiosa escatologicamente rivolta verso un’eternità nella quale una comunità fondata su un profondo amore fraterno incontrava Dio, impediva una qualsiasi accettazione della filosofia di Hegel. Si riproponeva uno scontro tra il mistero trascendente della liturgia ortodossa e il razionalismo immanente, unica misura della realtà. Hegel, nella visione slavofila, proclama la morte di Dio e con essa condanna l’Occidente ad un inarrestabile declino. Conseguenza inevitabile, la riflessione sulla fenomenologia della coscienza russa, ovvero del suo ruolo nel Weltgeist hegeliano147. La nazione russa era in qualche modo dimenticata nell’analisi dello spirito del mondo, ma la consapevolezza della propria tradizione slava era un antidoto contro chi svalorizzava la dimensione culturale della Russia. “…nasce nello spirito di molti un’intuizione divinatrice: se la Russia non ha passato, ha l’avvenire davanti a sé […]il tema hegeliano del popolo eletto veniva incontro al messianismo russo”148. La filosofia della storia diventava così la dimostrazione che fosse possibile un’applicazione della tesi, negando la negazione e percorrendo la sintesi della rivoluzione marxista. “Così la dialettica storica concreta del Volkgeist hegeliano si trasforma immediatamente in ideologia”149. In questo senso, la dialettica algebra della rivoluzione di Herzen aveva aperto la strada non solo al marxismo ma anche all’anarchismo di Bakunin, altro aspetto dell’interpretazione del pensiero di Hegel tipicamente russo. “Il nichilismo russo non è né l’incredulità né l’indifferentismo scettico, ma la fede nell’incredulità e nella negazione dei valori stabiliti”150. Dunque, se la categoria di negazione è sempre determinata e ne costituisce allo stesso tempo la tesi, il suo disconoscimento diventa una frattura tout-court e non una negazione dialettica. Come conseguenza, nell’interpretazione di Hegel emerge 147 Ivi, p. 360 Ivi, p. 361 149 Ibidem 150 Ibidem 148 61 una conclusione che non può essere contraddetta: “la negatività è l’anima della dialettica”151. Nell’elaborazione teorica dell’anarchismo russo, la negatività è la trasposizione del “dover essere” e la nuova moralità che ne deriva non è altro che “l’inquietudine dell’uomo di non essere ciò che è e di essere ciò che non è” 152. In questo senso il rapporto tra individui e Stato è contrassegnato da un’incomprensione di fondo, complice la situazione storica, per cui i filosofi russi non colgono nella filosofia politica di Hegel la prospettiva di uno Stato che realizza la libertà della persona; il movimento anarchico russo elabora un’estremizzazione dell’individualismo che si oppone alla presenza esiziale dello Stato e si appella ai diritti inalienabili della persona. Anche i marxisti russi accolsero, in parte, il punto di vista anarchista; nella loro visione lo Stato doveva essere sostituito dal partito. Proprio il partito, che incarnava l’anima del materialismo storico, si doveva confrontare con un passaggio fondamentale nell’evoluzione del pensiero marxista, cioè la trasformazione in materialismo dialettico. “Si giunge così a considerare il materialismo sia una dottrina ontologica della materia sia una dell’alienazione mediante la prassi sociale” 153 dottrina della soppressione . Il valore della prassi segna il primato dell’ontologia sulla dialettica e pone i filosofi marxisti di fronte ad una ineludibile evidenza, quella della concretezza della filosofia hegeliana. Sarà proprio partendo da questa concretezza che si svilupperà l’analisi del pensiero di Hegel di Il’in. La critica di Il’in, in un’ottica complessiva, considera il metodo filosofico di Hegel essenzialmente intuizionista, anche se la dialettica è riconosciuta essere di un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’intero sistema di pensiero; riveste quindi specifica rilevanza il significato attribuibile al concetto di intuizionismo che non allude, in questo caso, ad una conoscenza immediatamente disponibile, cioè solo ad una esperienza sensibile, ma è una meta-conoscenza del concreto universale nel suo divenire. La conoscenza del concreto universale si compendia all’interno di due momenti apparentemente antitetici, uno mediato e l’altro immediato, costituenti il pensiero filosofico in quanto tale. Nell’elaborazione, attraverso l’analisi di Hegel, 151 Ivi, p. 362 Ibidem 153 Ivi, p. 364 152 62 del suo concetto di conoscenza filosofica, l’intuizione rappresenta per Il’in un elemento centrale e decisivo nella costruzione del pensiero, da lui definito atto filosofico154. Non va trascurata la profonda influenza che la fenomenologia di Husserl esercitò su Il’in che ne elaborò la concezione alla luce della logica speculativa di Hegel; il pensiero di Il’in, in questo senso, diventa idealmente il trait d’union tra due sistemi filosofici. Nell’elaborazione di Il’in l’atto filosofico non è un atto deliberato, ma un’esperienza complessa attraverso la quale la realtà è conoscibile: “… il sistema della dottrina non può e non dovrebbe essere l'oggetto di ricerche deliberate. La filosofia dovrebbe essere una precisa espressione o adeguata manifestazione dell'oggetto stesso, e prima dello studio dell'oggetto, nessuno può sapere se vi è un’unità sistematica in esso. […] Un filosofo deve riferirsi all’oggetto con fedeltà, e tale "unità" o rimarrà un’opinione, o si fonderà nella dottrina dall'oggetto e scenderà, come un dono, come la felicità, in modo che colui che conosce sarà certo che non è da lui che proviene tale conoscenza ma solo tramite lui stesso”155. Tale esperienza è caratterizzata da un complesso di fattori che è possibile riassumere all’interno di uno schema sistemico di carattere scientifico. Le esperienze sono, dunque, costruibili come in un ordine architettonico kantiano, replicabili nei successivi atti filosofici, duplicabili e soggette a variazione sperimentale, quindi correggibili: “…l'analisi filosofica ha luogo solo dopo l'attuazione dell'esperienza attraverso l'atto filosofico e la sua contemplazione intuitiva come qualcosa di dato.”156 La teoria si sviluppa attraverso un procedimento per gradi successivi in forma triadica: l’oggetto è strutturato nell’esperienza, intuito nel suo contenuto e, da ultimo, analizzato. Diventa logico legare ad ogni momento del procedimento un particolare stato dell’esperienza con lo scopo di "…spiegare con il potere di autoevidenza razionale il genuino contenuto dell'oggetto sistematicamente sperimentato e compreso dall'anima del filosofo"157. Nella prima fase è la contemplazione IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. I, The Doctrine of God, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA, 2020, (mia traduzione), p. XXXI 155 Ivi, p. 11. 156 Ivi, p. XXXIII 157 IL’IN I. A., in Philosophy as a Spiritual Undertaking, (mia traduzione) RM 136, n. 125, 1915 154 63 dell’oggetto che, in maniera del tutto esclusiva, rende presente l’esperienza del reale; segue una percezione intuitiva e sistematica del contenuto, cioè dell’essenza dell’oggetto, che non coinvolge alcun elemento di carattere soggettivo che si riferisce all’esperienza; solo da ultimo vi è una "descrizione analitica e una spiegazione logico-razionale del contenuto sperimentato e atteso” 158 . L’enunciazione del contenuto dell’oggetto, quindi, è il fine del pensiero filosofico. Nella visione di Il’in, l’evidenza razionale dell’oggetto, così sistematicamente ottenuta, non è altro che il Divino; la conoscenza che ne deriva pone il filosofo al cospetto di Dio. "…se una persona sinceramente religiosa accetta solo quello, e crede solo in quello che gli si rivela con l'evidenza personale di un’autentica esperienza spirituale, in questo senso la filosofia nel suo contenuto è religione”159. L’atto filosofico, così come esposto da Il’in, conduce alla conclusione che Dio è l’oggetto di un’intuizione filosofica. A sostegno di questa interpretazione, Hegel, parla di una ragione speculativa; esisterebbe una capacità di vedere, o meglio intuire Dio, nella sua oggettività che è elemento affatto differente dalla costruzione del pensiero di Dio che è colto non nella sua essenza ma dalla rappresentazione di quel pensiero. “… secondo il metodo della sua filosofia, Hegel deve essere riconosciuto non come un "dialettico" ma come un intuizionista […] Se per "metodo" si intende il "tipo e modalità" di conoscenza soggettivamente praticata dal filosofo, allora si può considerare Hegel come un "dialettico" solo in presenza di un approccio assolutamente superficiale e astrattamente razionalista. Egli non "cerca" contraddizioni nei concetti né "si sforza" di riconciliarli in seguito; non pensa "analiticamente", e poi "sinteticamente". Intuisce continuamente nella sua totalità e descrive intensamente i cambiamenti che avvengono nell'oggetto stesso: intuisce attraverso il pensiero. In questo consiste il suo "soggettivo" metodo di conoscenza. Non è lui a praticare la "dialettica", ma l'oggetto”160. IL’IN I. A., The Religious Meaning of Philosophy, (mia traduzione), republished in 1925 citato in IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. I, (mia traduzione). The Doctrine of God, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA, 2020, in introduzione 159 Ibidem 160 IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. I, cap.VI, (mia traduzione). The Doctrine of God, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA, 2020, p. 115-116 158 64 La presenza del Divino nel mondo è elemento centrale nell’analisi critica della filosofia hegeliana. Il’in mette in evidenza come, nella dottrina di Hegel, esista tuttavia l’impossibilità di andare oltre gli elementi puramente empirici. Scrive Il’in: “il cammino dell'uomo nel mondo non è semplicemente un’”antropogonia”, e il significato della vita umana non è semplicemente la realizzazione e lo sviluppo di un antropomorfismo: la ragione umana è Ragione Divina e l'essenza dello spirito umano è Spirito Divino. Perciò il limite dell'uomo coincide con il limite di Dio…”161. Esiste dunque, secondo Il’in, nel percorso filosofico di Hegel, una teodicea incompiuta data l’impossibilità di conciliare la Ragione ed il Mondo, cioè il Divino e la Natura. Tale inconciliabile condizione, nella critica di Il’in, è ravvisabile in una contraddizione della logica speculativa hegeliana. Nel disegno speculativo di Hegel esiste una logica dell’inizio ed una logica della fine che conduce da una filosofia della natura ad una filosofia dello spirito; nella visione di Il’in la scienza speculativa va: “… dalla "Logica del principio" alla natura empiricamente reale, alla vita, alla coscienza umana e, infine, alla sua dissoluzione speculativa nel Concetto”162. Ne consegue che se nella filosofia speculativa il tutto si risolve nel Concetto, è implicito il fatto che il Concetto è tale fin dall’inizio e se non lo è non può essere riconosciuto come reale. In questa prospettiva Il’in introduce all’interno della critica a Hegel due definizioni: il Concetto Logos ed il Concetto Telos, contraddistinti da significati diversi; il primo: “… si muove verso il più alto livello di "conoscenza assoluta", è nella Logica, rivela l'essenza stessa dell'Idea. Il Concetto ha il significato di "auto-pensiero dialetticamente organico": è il significato vivente auto-pensante, che si divide dialetticamente in opposizioni e cresce organicamente verso una sintesi concreta più elevata”163; il secondo: “… riceve il significato di "auto-creazione organica"; […]. Qui è rivelata la distinzione essenziale: il Concetto nel mondo non pensa; non è più un principio di "auto-pensiero"; si crea senza pensiero…”164. IL’IN I. A., The Philosophy of Hegel as a Doctrine of the Concreteness of God, vol. II, cap. XXI, (mia traduzione). The Doctrine of Humanity, Northwestern University Press Evanston, Illinois, USA, 2020, p. 197 162 Ivi, p. 233 163 Ivi, p. 234 164 Ibidem 161 65 Nella visione di Il’in, l’elemento fondativo del Concetto è strettamente legato al significato di auto-creazione organica, ma lo sviluppo organico non appartiene ad un pensiero speculativo, quindi, conclude Il’in, il Concetto Logos in realtà è dato dal Concetto Telos a cui è stato attribuito il pensiero. Seguendo questa linea di pensiero, se l’auto-creazione organica appartiene ad entrambe le forme, essa è l’espressione dell’essenza del Divino che testimonia della presenza di Dio nel mondo. Nell’argomentazione di Il’in il Concetto perde ogni aspetto formale e, in una qualche misura, è costitutivamente delogicizzato, dato che il fondamento della sua realtà appartiene alla natura, alla bellezza realizzata e alla vita etica; dunque, il Concetto speculativo diventa reale solo attraverso il suo potere creativo. “La sua filosofia (di Hegel) vive nell'elemento di concretezza organica, che acquista il carattere del pensiero solo al livello più alto. […]; l'unico criterio stabile di esso è proprio la crescita solidale di elementi opposti in una sintesi organica. […] la sua definizione finale non è "Concetto" ma “organismo"165. 165 Ivi, p. 247 66 Capitolo 3. L’Idea Bianca Non è possibile introdurre il concetto di Russia Bianca senza far riferimento all’evoluzione storico-culturale della Russia sovietica e post-sovietica e all’opposizione sistemica tra Occidente e Oriente. L’espulsione degli intellettuali nel 1922 è il punto di riferimento storico che segna l’inizio di una cultura russa in esilio, rappresentativa di un pensiero genericamente antibolscevico, eterogeneo e, a volte, confusamente conflittuale. La emigr’kult, come è stata definita, ha costituito, di fatto, una cultura russa fuori dai confini della Russia, in alternativa a quella sovietica. L’intelligencija rifugiatasi in Occidente era espressione di un contesto culturale che faceva riferimento ad ambienti politici di ispirazione monarchica o repubblicana e alla tradizione ortodossa, ma anche alle istanze di carattere liberale. La comunità intellettuale russa in esilio aveva comunque maturato la consapevolezza che, dal punto di vista politico e culturale, con l’avvento del regime comunista si fosse prodotta una frattura storicamente non più ricomponibile. Proprio la consapevolezza che un periodo della storia russa fosse definitivamente finito determinò una profonda riflessione su di una realtà culturale che in patria era stata cancellata e che sopravviveva in un nuovo ambiente. Il ruolo di una nuova Russia veniva così visto anche in relazione ai rapporti tra Occidente e Oriente, rapporti che da sempre contrassegnavano la storia del pensiero russo. In questa condizione si apriva un dibattito sul significato politico di Russia Bianca e, soprattutto, di quali prospettive storiche e culturali poteva essere rappresentativa tale idea. L’esigenza di dare una dimensione filosofica ad un progetto ideale che racchiudesse al proprio interno un sistema di valori che facessero riferimento ad un forte senso di appartenenza nazionale, alla tradizione ortodossa e a un sentimento di libertà, connotato spiritualmente con la terra russa, si tradusse nell’ Idea Bianca; tale filosofia ha incarnato, nel corso del tempo, l’antagonismo storico politico al bolscevismo, anche se non sempre in modo coerente, a volte anzi antitetico. Tuttavia, l’attualità politica ha visto la Russia accogliere sostanzialmente l’Idea Bianca come elemento fondativo del nuovo corso che il Paese ha affrontato all’insegna di un processo progressivo di decomunistizzazione166. I vertici politici della Russia odierna hanno messo più volte in evidenza la rilevanza culturale e GRAVINA C., La Russia e l’Occidente, Atti della Giornata di studio, Napoli, 9 giugno 2022, a cura di Cigliano G., e Tagliaferri T., Federico II University Press, Napoli 2023, p. 91 166 67 politica di Il’in che appare non solo come l’intellettuale teorico dell’Idea Bianca, ma anche come un nuovo Defensor Patriae167. Ciononostante, molti osservatori occidentali non esitano a mettere in luce il fatto che la filosofia politica di Il’in abbia subito una specie di travisamento propagandistico168 e che lo stesso filosofo, in realtà, non sia immune da contaminazioni ideologiche che si riferiscono ad un passato nel quale aveva espresso giudizi favorevoli al nazionalsocialismo e al fascismo italiano. È opportuno notare che qualsiasi iniziale accoglienza di Il’in nei confronti del nazismo è stata successivamente sconfessata con atti di aperto dissenso169. Per quanto riguarda il fascismo sarà proprio il concetto dell’Idea Bianca a marcarne la differenza e la presa di distanza170. Nel pensiero politico di Il’in il concetto di Idea Bianca è uno dei punti nodali: “la sacra tradizione della Russia di agire nell’ora del pericolo e della difficoltà con spirito di abnegazione offrendo i propri beni e la propria vita per l’impresa divina, nazionale e patriottica... In questo consiste la nostra Idea Bianca”171. Emerge chiaro nell’enunciazione quello che sembra essere un compito vero e proprio: la liberazione della Russia. Tale compito, nella visione di Il’in, si realizza attraverso una condizione spirituale connaturata con il popolo russo, la cui dimensione escatologica si realizza nel tempo attraverso la manifestazione di una volontà forte e indipendentemente da qualsiasi evento storico e politico. “L’idea portante della lotta bianca è pura come il cuore di un autentico patriota; forte come la sua volontà; profonda come la sua preghiera per la patria. Oggi nostro compito principale consiste nel far sì che l’impresa bianca […] continui a esistere anche dopo di noi ed entri fattivamente nella vita della nostra patria”172 . L’Idea Bianca è la realizzazione di un ideale che si traduce in atti concreti; è la consapevolezza del ruolo della Russia che appartiene costitutivamente alla sua storia e si sostanzia nella rivelazione al mondo dello spirito di un popolo. Nella Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Ilyin dall'emigrazione in Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it. 168 “Il regista Nikita Michalkov è stato autore di un documentario su I. A. Il’in che ha contribuito a diffondere il pensiero e la figura del filosofo in Russia”. Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Ilyin dall'emigrazione in Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it. 169 Cfr. nota 28, p. 15 170 Cfr. nota 27, p.14 171 IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., p. VIII, Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 8. 172 Ivi, p. 45. 167 68 visione di Il’in non si tratta solo di tracciare il carattere nazionale russo, è soprattutto un’esortazione a riscoprire quella forza creativa interiore data da un amore incondizionato per la libertà e riappropriarsi di una dimensione trascendente attraverso l’abbandono alla contemplazione della bellezza interiore, con l’accettazione pura e incondizionata della fede ortodossa. “Ora siamo chiamati a trovare le vie che portano alla “russità” dell’anima; dobbiamo preservare questi sentieri e queste strade”173. Questo cammino, necessario alla costituzione consapevole della spiritualità russa, ha i caratteri di una vera e propria dottrina. Contemplazione, libertà e coscienza sono i concetti fondamentali sui quali è possibile dare forma ad un pensiero organico che si rifletta nel rinnovamento della nazione russa. La Russia, quindi, è esattamente la forma dell’Idea Bianca; è un sistema spirituale, un organismo che produce un processo creativo e soprattutto attivo. Lo spiritualismo di fondo della teoria dell’Idea Bianca si riverbera nella condanna senza appello della dittatura bolscevica, la quale è definita “una crisi di natura spirituale”. La perdita della dimensione metafisica nello sviluppo teorico del bolscevismo diventa così il male ontologico che si contrappone all’autentico bene dello spirito russo per cui “non c’è spiritualità senza libertà” 174. Di grande rilievo, quindi, il concetto di una Russia che rappresenta un’unità dinamica che va preservata, e addirittura protetta, da nemici interni ed esterni e da un Occidente che, nella visione di Il’in, appare incapace di comprendere appieno l’essenza del popolo russo. L’Occidente non è più un interlocutore ma un elemento profondamente estraneo che guarda alla cultura russa con disdegno: “siamo precitati nel disprezzo di noi stessi e nello sconforto decretando che nei confronti dell’Occidente non valiamo nulla”175. In questa prospettiva non può esistere solo una cultura occidentale con il suo ideale di compiuta realizzazione, il quale è assolutamente incapace di nutrire l’atto spirituale russo. “La Russia non è unicamente là, in qualche angolo sperduto tra distese infinite e foreste impenetrabili; e neppure unicamente là, nelle anime del 173 Ibidem Ivi, p. 7 175 Ivi, p. 13 174 69 popolo russo ora oppresso, ma in futuro libero; essa è anche qui, all’interno di noi stessi, è con noi sempre, in un’unità palpitante e misteriosa.”176 Il carattere intrinsecamente messianico della Russia, secondo Il’in, è insito nella sua storia: “I destini di un popolo sono racchiusi nella sua storia. Quest’ultima nasconde non solo il passato ma anche il futuro di un popolo; essa ne manifesta la natura spirituale: sia la sua forza che le sue doti, la sua missione e la sua vocazione. La storia di un popolo rappresenta il verbo silenzioso del suo spirito; il misterioso messaggio dei suoi destini; il segno profetico di ciò che incombe.”177 Un aspetto rilevante, che va sottolineato, riguarda il concetto di unità, che confluisce all’interno del disegno della Grande Russia. Tale disegno, per Il’in, è l’espressione di un monarchismo che persegue l’integrità territoriale nella quale non c’è spazio per alcuna Piccola Russia. Da questo punto di vista la Russia è: “un’unità statale e strategica che ha dimostrato al mondo la sua volontà e la sua capacità di autodifesa, vero e proprio baluardo della pace e dell’equilibrio euroasiatico, e quindi universale. Il suo smembramento sarebbe un azzardo politico senza precedenti nella storia, le cui conseguenze disastrose colpirebbero l’umanità per un lungo periodo di tempo”178. Alcuni osservatori hanno fatto notare come ci siano alcuni aspetti di vicinanza ideologica tra l’Idea Bianca di Il’in e le ultime declinazioni del pensiero euroasiatista che, sorto in seno alla emigr’kult, ha avuto negli ultimi anni uno sviluppo notevole179. L’euroasiatismo è spesso avvicinato a movimenti che si rifanno ad esperienze politiche contrassegnate da aspettative totalitarie; quindi, a una più attenta analisi, non è possibile mettere in una qualche relazione tale ideologia politica con l’Idea Bianca. L’euroasiatismo vede nella Russia una civiltà che esprime un suo carattere culturale specifico diverso dall’Occidente e dall’Oriente. Uno degli aspetti più rilevanti nella dottrina euroasiatista è la negazione di una dimensione spirituale universale e di un comune progresso dell’umanità; si perde la concezione trascendente dell’Idea Bianca, della Russia 176 Ivi, p. 4. Ivi, p. 28. 178 IL’IN I.A. Quali conseguenze potrebbero derivare al mondo dallo smembramento del Russia, in Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 59. 179 SNYDER T., Ivan Il’in il filosofo del neo zarismo di Putin, a cura di Andrea Lombardi, Italia Storica, Genova, 2022. 177 70 chiamata ad assolvere il proprio compito messianico universale. Dietro al concetto di un’umanità universale si nasconderebbe l’egemonia culturale europea di estrazione “romano- germanica”, che considera le culture non occidentali come sottosviluppate. Nella visione euroasiatista si vagheggia la fine dell’egemonia culturale e politica occidentale, la cui caduta segnerebbe l’avvento di una nuova era in cui la Russia euroasiatista svolgerebbe un ruolo politico determinante. In questa prospettiva, la rivoluzione di Ottobre del 1917 può anche essere letta come uno dei tanti fenomeni di rivolta contro la cultura dell’Occidente. “[Kisewetter]… è stato uno dei primi a sottolineare correttamente la netta differenza tra gli eurasiatici e i classici della filosofia slava, ai quali gli eurasiatici stessi attribuivano il loro "pedigree filosofico"; infatti, gli slavofili più anziani si rifacevano alla filosofia della storia di Hegel e la correggevano solo nel senso che il carattere storico-mondano della cultura occidentale non era per sempre e che sarebbe arrivata un'epoca in cui i popoli slavi sarebbero diventati portatori dello Spirito Assoluto; mentre gli eurasiatisti erano antiuniversalisti e negavano la divisione dei popoli in storici e non storici”180. Tuttavia, si può inserire l’eurasiatismo all’interno di una corrente slavofila, “un neoslavofilismo modernizzato e semplificato”181. Il’in ne diede una valutazione estremamente negativa, che lo pone in dissenso radicale nei confronti di un’ideologia che egli stesso definì piena di “assurdità” e “invenzioni nichiliste” “…eurasiatisti che non capivano e non erano in grado di capire la vera identità della cultura russa e che essi, come per scherno, per amore della ricerca dell'identità chiamano i russi...a diventare tartari”182. 180 KIESEWETTER A. A., Eurasianismo, in La Russia tra Europa e Asia: la tentazione eurasiatica, Antologia, Nauka, Mosca 1993, p. 266, citato in VAKHITOV R. R., Eurasiatismo: logos, eidos, simbolo, mito, Anteo Edizioni, Reggio Emilia, 2023, p. 18 181 VAKHITOV R. R., Eurasiatismo: logos, eidos, simbolo, mito, Anteo Edizioni, Reggio Emilia, 2023, p. 20 182 Ivi, p. 18 71 Capitolo 4. Nazionalismo e Stato “Con patriottismo intendo l’attaccamento a uno specifico luogo e a uno specifico stile di vita, che si può ritenere essere il migliore al mondo, ma senza perciò voler forzare le altre persone a seguirlo. Il patriottismo è per sua natura difensivo, militarmente e culturalmente. Il nazionalismo, al contrario, è strettamente legato alla brama di potere. L’obiettivo ultimo di ogni nazionalista è di ottenere più potere e più prestigio, non per sé stesso ma per la nazione o l’entità in cui ha scelto di annegare la propria individualità”183. Prendendo le mosse da questa definizione di nazionalismo e patriottismo, data da Orwell, possiamo fare alcune riflessioni sul pensiero politico di Il’in che, sotto questa luce, assume caratteri e contorni decisamente diversi rispetto allo stereotipo e alle interpretazioni che molti osservatori occidentali hanno dato del nazionalismo del filosofo e sull’influenza che questa idea avrebbe indotto. Il nazionalismo di Il’in è, prima di tutto, un’irriducibile opposizione al bolscevismo, al nazionalismo bolscevico e al totalitarismo sovietico, di cui coglie i paradossi del sistema politico che definisce “una fortezza, che per difendersi assedia”, un “corpo strategico” in perenne stato di allarme184. La sua è un’invocazione alla libertà in cui i caratteri del nazionalismo, in realtà, si stemperano in un patriottismo aulico con un forte legame alla tradizione che affonda le proprie radici nella fede ortodossa. Patria, appunto, non è un obbligo, come sostiene Orwell, ma è un’esigenza dello spirito e proprio su questo spirito Il’in ricostruisce il senso della cultura russa. “Solo in questo modo, cioè educando l'uomo russo alla spiritualità e alla libertà, educandolo come personalità, come carattere indipendente e come dignità, possiamo superare tutta la dolorosa eredità del sistema totalitario e tutti i pericoli del "nazionalbolscevismo"185. Il nazionalismo di Il’in è permeato da un forte richiamo alla propria storia, è l’invito a non dimenticare ciò che si è stati e ad accettare il proprio destino: “è amore per l'immagine storica e l'atto creativo del proprio popolo in tutta la sua unicità. Il nazionalismo è fede nella forza istintiva e spirituale del proprio popolo, fede nella sua vocazione spirituale. Il nazionalismo è la volontà del mio popolo di fiorire creativamente e liberamente nel giardino di Dio. Il nazionalismo è la contemplazione del proprio popolo di ORWELL G., Appunti sul nazionalismo, trad. Ottati D., Il Gulliver Edizioni, 2021, p. 5. IL’IN I. A., Fortezza d’assedio, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/106#2 185 IL’IN I. A. L'emergere e il superamento del bolscevismo in Russia, http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/96. 183 184 in 72 fronte a Dio, la contemplazione delle sue anime, dei suoi difetti, dei suoi talenti, dei suoi problemi storici, dei suoi pericoli e delle sue tentazioni. Il nazionalismo è un sistema di azioni che scaturiscono da questo amore, da questa fede, da questa volontà e da questa contemplazione”186. Per Il’in l’idea di nazionalismo russo è inscindibile da quella di Idea Russa, di cui costituisce una parte integrante: è l’applicazione concreta di una dottrina che diventa un progetto ideologico. Il nazionalismo di Il’in è la proiezione di una dimensione spirituale che plasma, definisce e caratterizza la forma dello stato. “La Russia è un organismo di natura e di spirito”187; la fede ortodossa è il primo dei principi ispiratori del nazionalismo russo. L’anima “russo slava”, che accoglie la verità rivelata, trasfonde nell’amore per la divinità il fondamento di un autentico sentimento nazionale. L’ortodossia è accettata hegelianamente attraverso un atto del pensiero; in questa prospettiva la presenza di Dio è intuita spiritualmente. La contemplazione dell’idea di Dio è la cognizione della bellezza e della purezza dell’essenza del popolo russo; è questa cultura spirituale che ne contraddistingue e segna l’oggettività. Nel pensiero di Il’in, la contemplazione che scaturisce dal proprio sentimento religioso è alla base della coscienza della propria natura; tale natura è la manifestazione della libertà interiore che segna il popolo russo: “il cuore e la contemplazione respirano liberamente. Chiedono la libertà, e la loro creatività svanisce senza di essa. Al cuore non si può comandare di amare, può essere acceso solo dall'amore. Alla contemplazione non si può dire che cosa dovrebbe vedere e che cosa dovrebbe creare. Lo spirito dell'uomo è un essere personale, organico e auto-attivo: ama e crea sé stesso, secondo le sue necessità interiori”.188 Appare evidente che, nella visione di Il’in, il nazionalismo è un sistema spirituale e, allo stesso tempo, un concetto organicamente effettivo che esprime quattro virtù “primarie”, insite e connaturate con il popolo russo, che rappresentano il presupposto dell’idea di nazione: cuore, contemplazione, libertà e coscienza; esse costituiscono la base spirituale che dà origine a volontà, pensiero, forma e organizzazione: “Il nazionalismo vive, professa e difende la vita del suo popolo come una preziosa autosufficienza spirituale. Esso accetta i doni e le creazioni del IL’IN I. A., Sul nazionalismo russo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/111 IL’IN I. A., La Russia è un organismo vivente, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/92 188 IL’IN I. A., A proposito dell’idea Russa in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/127 186 187 73 suo popolo come il proprio terreno spirituale, come il punto di partenza della propria creatività”189. In Il’in il popolo russo è portatore dello Spirito Assoluto, che si manifesta attraverso il proprio compito universale. “Ogni nazione ha un istinto nazionale che le è stato dato dalla natura (e cioè da Dio) e i doni dello Spirito riversati in essa dal Creatore di tutto. E in ogni nazione l'istinto e lo spirito vivono a modo loro e creano una preziosa originalità. Dobbiamo custodire questa unicità russa, custodirla, viverci e creare a partire da essa: essa ci è stata data da tempo immemorabile, in embrione, e la sua rivelazione ci è stata data nel corso della nostra storia. Rivelandola, compiendola, compiamo il nostro destino storico, al quale non abbiamo né il diritto né il desiderio di rinunciare”.190 Il’in insiste sulla spiritualità come matrice di una cultura unica e originale, espressione di una nazione che attinge dal suo patrimonio naturale ed intellettuale. La lingua, in questo grande progetto trascendente, è koinè, simbolo di un’unità che lega tutti gli aspetti della vita individuale e collettiva: “L'organismo spirituale della Russia creò ulteriormente la sua lingua speciale, la sua letteratura e la sua arte. Tutti gli slavi del mondo rispondono a questa lingua come loro lingua madre. Ma oltre ai suoi speciali e grandi meriti linguistici, si rivelò lo strumento spirituale che trasmise gli inizi del cristianesimo, la coscienza giuridica, l'arte e la scienza a tutti i piccoli popoli del nostro massiccio territoriale”191. Per Il’in la lingua è un elemento centrale del concetto di nazionalismo: è il mezzo che consente di percepire il senso della russità, di sperimentare il profondo sentimento portatore dell’Idea Russa; in questo senso la lingua rappresenta l’unità spirituale e culturale, è la condizione che crea lo Stato, ne detta la forma, lo fa vivere attraverso la coscienza giuridica, le leggi e le attività economiche. Ogni individuo è intimamente partecipe di questa dimensione culturale, pertanto, lo Stato non può prescindere dalla vita degli individui, i quali ne rappresentano l’essenza vitale: "il tessuto dell'esistenza dello Stato" è costituito dalla vita organica di tutti i suoi cittadini […] vive in noi, nella forma di noi stessi, perché noi, esseri umani viventi, siamo le sue "parti" o "membra" o "organi". Questa partecipazione non è riducibile agli affari esterni e all'"ordine" esterno; Comprende la nostra vita interiore. Ma questa "inclusione" non IL’IN I. A., Sul nazionalismo russo, http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/111 Ibidem 191 IL’IN I. A., La Russia è un organismo vivente, http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/92 189 190 74 significa che "non osiamo nulla", ma "lo Stato osa tutto"; che noi siamo schiavi e che lo Stato è uno schiavista.”192 Da questo assunto, che mette in relazione interno ed esterno, Il’in opera una distinzione sostanziale nella forma dello Stato che dà origine a concezioni opposte; una, meccanica e quantitativa, difende, sostiene e soddisfa i bisogni istintuali umani, l’altra, qualitativa e organica, nasce dallo spirito ed emana dalle radici della propria unità nazionale e dai suoi interessi comuni. “Da ciò si deve concludere che la concezione meccanica, quantitativa e formale dello Stato che si attua nelle democrazie occidentali non è né l'unica possibile né quella corretta. Al contrario, è irta dei più grandi pericoli; non rispetta la natura organica dello Stato; separa il diritto pubblico di una persona dalla sua qualità e capacità; non unisce i cittadini nel Comune, ma riconcilia le loro voci egoistiche in un compromesso. Pertanto, questa forma di statualità e democrazia non promette nulla di buono alla Russia e non è soggetta né a prestiti né a riproduzione”193. Non è difficile leggere un’aperta critica a questa declinazione dello Stato, espressione di una concezione meccanica, in cui si realizza lo Stato Occidentale moderno secondo la filosofia del Leviatano di Thomas Hobbes. Nella visione politica di Il’in, in questo contesto, in cui la forma dello Stato è una discriminante, la democrazia tipica delle forme statuali occidentali è ritenuta astratta e, appunto, formale; è semplice espressione di una formula politica rigida che soddisfa unicamente il modello di un sistema teorico. La corrente politica che sembra prevalere nel mondo moderno dovrebbe essere etichettata come "il fanatismo della democrazia formale". Fanatismo, perché questa tendenza ha trasformato la sua parola d'ordine in una "confessione di fede", in una panacea, in un criterio del bene e del male, in un oggetto di cieca fedeltà e giuramento; Perché bisognava scegliere tra un regime totalitario e la democrazia formale, perché non c'è nient'altro (mentre in realtà c'è molto di più!)194. Alla democrazia formale Il’in contrappone l’dea di una “democrazia creativa”, alla quale conferisce i caratteri di una vera e propria dottrina, coerente con l’Idea Russa. IL’IN I. A., Sulla comprensione organica dello stato e della democrazia in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/116 193 Ibidem 194 IL’IN I. A., Prerequisiti per la democrazia creativa, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/134#2 192 75 La prima condizione che deve soddisfare la democrazia creativa è la intima comprensione del concetto di libertà, profondamente radicato nel popolo russo, senza il quale non sarebbe possibile il secondo requisito, cioè la coscienza giuridica, espressione e volontà del senso di giustizia, che racchiude il diritto spirituale e la consapevolezza della dignità umana; da ultimo l’indipendenza economica, a garanzia delle necessità materiali, intesa come opportunità sociale che implica la “corretta comprensione dell'economia dello Stato e un corretto senso dei benefici e dei bisogni dello Stato”195. Risulta evidente che, nella prospettiva di Il’in, il concetto di “democrazia creativa” non si riferisce a una democrazia compiutamente realizzata, ma rappresenta piuttosto un passaggio intermedio che apre a una terza via, quella di una dittatura nazionalista nella quale trovano posto l’unità culturale, la ripresa della vita spirituale e le libertà della tradizione russa dell’autogoverno: “…c'è ancora un terzo risultato, ed è proprio questo che deve essere trovato e messo in pratica: è una dittatura ferma, nazional-patriottica e, in teoria, liberale, che aiuti il popolo a distribuire le sue forze veramente migliori verso l'alto ed educhi il popolo alla sobrietà, alla lealtà libera, all'autogoverno e alla partecipazione organica alla costruzione dello Stato. Solo una tale dittatura può salvare la Russia dall'anarchia e da guerre civili prolungate"196. 195 Ibidem IL’IN I. A., Democrazia, http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/61 196 immediatamente e a tutti costi, 76 Capitolo 5. Fascismi Un nutrito numero di osservatori, tra cui Timothy Snyder197e Slavoj Žižek198, colloca Il’in tra i teorici del pensiero fascista in Russia. Tale collocazione è riconducibile principalmente a tre fattori. Il primo può essere messo in relazione alla sua iniziale accoglienza del nazionalsocialismo e del fascismo, anche se in realtà non vi fu mai un’adesione di carattere teorico a tali ideologie; il secondo si riferisce alla sua idea di nazionalismo in cui il concetto di Stato, sorretto da una democrazia creativa, assume i contorni di una dittatura autocratica, anche se temperata da elementi liberali; da ultimo il fatto che il suo pensiero concorre a definire la politica di Stato della Russia contemporanea. La critica e le accuse degli studiosi alle posizioni di Il’in come pensatore fascista si sono basate fondamentalmente sull’analisi degli scritti di filosofia politica prodotti dal filosofo durante l’esilio e raccolti sotto il titolo di “I nostri compiti”, che a tutt’oggi è il suo testo più studiato. Tuttavia, una più attenta e puntuale lettura, permette di vedere con maggiore chiarezza quale sia stato l’orientamento di Il’in in relazione ai movimenti di estrema destra nell’Europa prebellica e consente di sostenere un’interpretazione del tutto differente rispetto alla critica corrente. La presupposta adesione al fascismo prima, e al nazionalsocialismo nel 1933, probabilmente rappresenta un equivoco di fondo circa il pensiero di Il’in; tale equivoco è stato generato da alcune riflessioni di Il’in in relazione all’avvento del nazionalsocialismo, che il filosofo ha contestualizzato in una prospettiva anticomunista. Le sue aspettative circa la nascita di movimenti di estrema destra erano, quindi, in diretta relazione al percorso storico della Russia. La sua analisi politica dei fenomeni storici del fascismo e del nazismo assume più che altro i caratteri di una riflessione di stampo antropologico. È opportuno notare che, nel pensiero politico di Il’in, i fenomeni che si riferiscono al pensiero fascista non sono mai centrali nel suo sistema filosofico. Essi appaiono in tutta la loro marginalità se vengono confrontati con l’idea politica di fondo sviluppata da Il’in, che fa capo all’Idea Russa. Universalismo, ortodossia e monarchismo sono quanto di più distante si possa immaginare dalla dottrina fascista, nella quale convivevano 197 Cfr., p.6. Žižek S., Filosofo e psicoanalista sloveno. Tra i più importanti e incisivi pensatori contemporanei, docente di Filosofia e psicoanalisi all'European Graduate School (Svizzera) e visiting professor presso numerosi atenei europei e statunitensi 198 77 confusamente positivismo e spiritualismo, pensiero antiliberale e corporativista, unitamente a una visione totalitaria dello stato; unico punto di contatto con il pensiero di Il’in, l’opposizione al regime comunista e alla dottrina marxista. “Il fascismo è un fenomeno complesso, sfaccettato e, storicamente parlando, lungi dall'essere sradicato. Ha il sano e il malato, il vecchio e il nuovo, il protettivo dello stato e il distruttivo. Pertanto, sono necessarie calma ed equità nella valutazione. Ma i suoi pericoli devono essere pensati fino in fondo. Il fascismo sorse come reazione al bolscevismo, come concentrazione di forze protettrici dello Stato a destra. Durante l'avvento del caos di sinistra e del totalitarismo di sinistra, questo è stato un fenomeno salutare, necessario e inevitabile”199. L’avvento del fascismo in Italia nel 1922 fu considerato da Il’in come la manifestazione volitiva dell’autoconservazione dello Stato e Mussolini fu visto come un nuovo Ottaviano Augusto200. Era l’inizio di un percorso in cui si faceva strada una religione politica, un’ideologia di Stato, con tutte le sue distorsioni, che non conosceva limitazioni di natura giuridica né morale e che assumeva i contorni di una statolatria. Tuttavia, il consenso iniziale che Il’in aveva parzialmente accordato al fascismo e a Mussolini lasciò ben presto il posto ad un’aspra critica sia dell’uomo sia del partito fascista: “Il più grande errore del fascismo fu la rinascita del cesarismo idolatrico. Il "cesarismo" è l'esatto opposto del monarchismo. Il cesarismo è ateo, irresponsabile, dispotico; disprezza la libertà, il diritto, la legalità, la giustizia e i diritti individuali degli uomini; è demagogico, terrorista, orgoglioso; brama l'adulazione, la "fama" e l'adorazione; vede il popolo come una folla e ne fomenta le passioni; È immorale, bellicoso e crudele. Compromette il principio dell'autoritarismo e dell'autocrazia, perché il suo governo non persegue obiettivi statali o nazionali, ma personali”201. Il fascismo come fenomeno storico è, nella visione di Il’in, un esperimento politicamente fallimentare, che non aveva la possibilità di sopravvivere a causa della mancanza di un forte sentimento religioso e della libertà, elementi questi, antitetici a un sistema totalitario: IL’IN I. A., Sul fascismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/37 Registrazione di un dibattito dal titolo “Sulla Nave dei filosofi: Ivan Il’in dall'emigrazione in Europa alla Russia di Putin”, interventi di Valle R. e Strada O., Università La Sapienza, Roma, 2023, in https://www.radioradicale.it 201 IL’IN I. A., Sul fascismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/37 199 200 78 “Il fascismo non doveva assumere una posizione ostile al cristianesimo e a tutta la religiosità in generale. Un regime politico che attacca la Chiesa e la religione divide le anime dei suoi cittadini […] Il fascismo potrebbe non aver creato un sistema totalitario; Poteva accontentarsi di una dittatura autoritaria abbastanza forte da (a) sradicare il bolscevismo e il comunismo, e (b) concedere alla religione, alla stampa, alla scienza, alle arti, all'economia e ai partiti non comunisti libertà di giudizio e creatività nella misura della loro lealtà politica”202. Per quanto riguarda il nazismo, l’errore di valutazione circa la posizione di Il’in può essere ricondotto al fatto che il filosofo, in un primo tempo, si rifiuta di dare un giudizio storico e politico sugli eventi di cui fu testimone in Germania, dei quali accetta, tuttavia, l’impostazione di stampo nazionalista. Il suo colpevole silenzio sui fatti che coinvolgevano la comunità ebraica ha contribuito ad alimentare l’immagine di un filosofo allineato con la politica nazista. Va ricordato, a questo proposito, che Il’in si rifiutò di firmare i protocolli e le disposizioni sulla razza emesse dal partito nazista203 e che, a partire dal 1934, subì minacce e perquisizioni da parte della gestapo. La neutralità, mostrata inizialmente nell’esprimere una valutazione circa il nuovo corso politico della Germania, nascondeva probabilmente la speranza della nascita di un forte blocco antisovietico. “Prima di tutto, mi rifiuto categoricamente di valutare gli eventi degli ultimi tre mesi in Germania dal punto di vista degli ebrei tedeschi, che sono stati ridotti nella loro funzione pubblica […]In secondo luogo, non mi sembra affatto possibile considerare gli ultimi avvenimenti in Germania da quel punto di vista filisteo, infantile o, come dimostrano le circostanze, provocatorio di strada, "quando" e "dove" esattamente i nemici russi e tedeschi del comunismo "cominceranno a marciare insieme". […] Infine, il terzo e ultimo punto. Mi rifiuto di giudicare il movimento del nazionalsocialismo tedesco dagli eccessi di lotta, dagli scontri isolati o dalle esagerazioni temporanee che vengono avanzate ed enfatizzate dai suoi nemici. Quello che sta accadendo in Germania è un tremendo sconvolgimento politico e sociale”204. Il’in ha oggettivamente coscienza delle implicazioni storico sociali dell’avvento del nazismo e degli eventi ad esso connessi e mostra un atteggiamento di diffidenza che, con il passare del tempo, si trasformerà in una vera e propria condanna e una 202 Ibidem Cfr., p. 12. 204 IL’IN I. A., Nazionalsocialismo. Un nuovo Spirito, apparso su Rinascimento, Parigi, 1933, in http://www.odinblago.ru/filosofiya/ilin/ilin_i_nacional_sociali/ 203 79 definitiva presa di distanza, sostenuta da un aperto dissenso. Quando la Germania invase la Russia e il nazismo, che aveva travolto l’Europa, si manifestò in tutta la sua tragica dimensione, ogni illusione e speranza di libertà, a cui Il’in non credeva più da tempo, trovano conferma nelle parole indirizzate ai compatrioti emigrati: “Quando Hitler gridò contro il comunismo, molti russi gli credettero. In realtà, però, lo stava usando per coprire le imminenti rappresaglie contro l'esausta Europa di Versailles e la campagna di conquista contro la Russia. […] molti ingenui emigrati russi si aspettavano che Hitler sconfiggesse rapidamente i comunisti e liberasse la Russia. Ragionavano: "Il nemico del mio nemico è il mio naturale confederato e alleato". […] Pertanto, i sobri patrioti russi non avrebbero dovuto farsi illusioni”205. Il’in guardava con viva preoccupazione all’ipotetico avvento di un regime fascista in Russia, che tanto gli ricordava il totalitarismo bolscevico; non credeva nell’instaurazione del monopolio di un partito unico, tratto tipico delle dittature nazifasciste. L’esperienza storica del fascismo gli aveva mostrato gli estremi dello sciovinismo militante e di un nazionalismo pagano che avevano prodotto una catastrofe culturale ed umana. Rimanevano imprescindibili, nella visione politica di Il’in, un patriottismo religiosamente ispirato e l’amore per la libertà. “Il patriottismo non richiede la conquista dell'universo; liberare il proprio popolo non significa soggiogare o sradicare tutti i propri vicini. Istigare tutti contro il proprio popolo significa distruggerlo”206. 205 206 IL’IN I. A., Nemico del mio nemico, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/15 IL’IN I. A., Sul fascismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/37 80 Capitolo 6. Stato di diritto e coscienza giuridica Uno dei contributi più rilevanti di Il’in riguarda la riflessione sullo stato di diritto e le sue implicazioni politiche ed etico-morali. L’indagine di Il’in, prendendo le mosse dai precedenti studi sulla coscienza giuridica207, ridefinisce gli elementi ideali che costituiscono i fondamenti dell’ordinamento giuridico di uno Stato. Tali studi avevano già consentito di prendere in considerazione una sostanziale divisione delle varie forme di coscienza legale. Questa distinzione sanciva il passaggio da una forma di coscienza giuridica “naturale”, espressione di un comune senso di giustizia, ad una dimensione in cui una più rigorosa distinzione, costituiva una nuova prospettiva del diritto in seno allo Stato. Di fatto, erano sancite l’esistenza di una coscienza giuridica della popolazione, una coscienza giuridica del governo, che esprimeva l’autorità e, infine, una coscienza giuridica dei giuristi; diventava quindi necessario sviluppare un comune concetto di Stato come valore condiviso da tutti. Il’in giunse ad una più articolata e puntuale suddivisione aggiungendo il concetto di “coscienza politica giuridica”, che prefigurava, nella sua costruzione teorica, non solo la forma ideale dello Stato, ma sottendeva anche una nuova funzione dello Stato come associazione politica. Questa nuova impostazione teorica consentiva non solo di definire le forme ideali di Stato, ma di fissarne a priori gli errori e le distorsioni. Nella prospettiva di Il’in, le devianze che si riferiscono all’ordinamento dello Stato assumono il carattere di una vera e propria corruzione di carattere spirituale, un decadimento che affligge i singoli individui e la società nel suo complesso; lo Stato, organismo vitale, va così incontro alla sua malattia, che determina la morte dello Stato stesso. Nell’analisi di Il’in vengono richiamate le mancanze morali degli individui, ma anche degli enti chiamati a governare, i quali, avviluppati da una forza che li rende solidali gli uni con gli altri, subiscono reciprocamente l’azione del proprio degrado spirituale. Il risanamento delle anime degli individui, provati da eventi che hanno causato un profondo stato di afflizione, come lo definisce Il’in l’“anima disordinata e amareggiata”208, passa attraverso l’autocoscienza per raggiungere la via dello IL’IN I. A., On the Essence of Legal Consciousness, Wildy, Simmons & Hill Publishing, in introduzione p. 6, (mia traduzione) “Tale concetto [di coscienza giuridica ndr] (Rechtsbewußtsein) figurava in primo piano negli scritti di Friedrich Carl von Savigny (1779-1861) che diedero origine alla Scuola Storica della giurisprudenza tedesca del XIX secolo”. 208 Ivi, p. 115 207 81 spirito, che hegelianamente conduce ad una forma collettiva di coscienza giuridica, cioè una pluralità di anime che sono riunite sotto lo spirito comune. È la riproposizione dell’"io" che è un "noi" e un "noi" che è un "io”, in cui lo spirito hegeliano, nel pensiero di Il’in, si apre alla divinità e assume una dimensione universale, genericamente cristiana nella sua totalità, senza il limite dell’ortodossia, quindi non più riconducibile ad una realtà divisa, al recinto del dogma confessionale; proprio perché universale, è fondamento della legge naturale, la quale permette una vita spirituale autosufficiente e libera: “L'essere umano come individuo è l'unica possibilità di una vita ispirata; condurre una tale vita, creandola in modo autosufficiente e libera, è il diritto fondamentale e incondizionato di ciascuno. Può essere definito un diritto naturale, perché esprime la natura essenziale della vita spirituale dell'uomo: può essere definita un diritto eterno perché mantiene il suo significato per tutti i tempi e i popoli; può essere definita un diritto inalienabile perché qualsiasi deroga o sua violazione distorce la vita spirituale e distrugge la dignità dell'uomo”209. Dunque, nello studio di Il’in, il punto decisivo per la rappresentazione di un ideale stato di diritto era strettamente connesso con una dottrina coerente della legge naturale. Risulta evidente che la giustificazione della legge, come fondamento della vita degli individui, non può essere legata a un generico elemento di diritto positivo, causato da un evento del tutto contingente, ma deve essere giustificata sulla base di un’idea oggettiva di essenza del diritto. Su queste basi, la legge deve essere rappresentativa delle relazioni tra gli esseri umani, affinché il diritto individuale garantisca la libera ricerca di una vita spiritualmente degna. “Fondare il diritto significa dimostrare in termini pratici che il cammino di un essere umano per la realizzazione del bene supremo è necessario. Questo significa dimostrare che le leggi fondamentali dell'essenza dello spirito umano sono tali, e che l'essenza del bene supremo è tale, che la legge come regola della condotta esterna è necessariamente obbligatoria, e rappresenta la forma necessaria della loro unione. In altre parole, la legge è necessaria perché senza di essa lo spirito di una persona sarà privato della possibilità di realizzare il bene supremo nella propria vita”210. 209 210 Ivi, p. 132 Ivi, p. 127 82 La teoria della “coscienza politica giuridica” poneva ad Il’in un problema che, nella sua visione, non andava affrontato in un’ottica esclusivamente dogmatico-giuridica, ma con uno sguardo concretamente pragmatico. La questione relativa alla relazione tra legge e potere, può essere sintetizzata nella domanda se sia possibile individuare nella legge alcun aspetto che non sia riconducibile ad una forma di potere. La metodologia e l’approccio di Il’in per giungere ad una risposta che soddisfacesse i presupposti giuridico-formali sono essenzialmente filosofici e gli permettono di elaborare una soluzione squisitamente speculativa. Il’in pone una questione essenzialmente di metodo, argomentando che se fosse possibile, in linea di principio, dare una risposta affermativa alla domanda, ciò implicherebbe il ricorso ad una teoria del diritto basata su di una pura astrazione dei fenomeni, isolandoli dal contesto; ipotizzando tale teoria giuridica si fanno strada due metodi di indagine, uno logico ed uno normativo, i quali possono essere entrambi astratti. Esiste, a monte di questa argomentazione, la necessità di dimostrare che la norma in sé deve essere disgiunta non solo dalla coscienza della norma stessa, dato che il contenuto della norma non deve essere concepibile da un soggetto particolare, ma anche da ogni nesso causale o temporale. Allo stesso modo, l’efficacia della norma non implica una sua limitazione, dato che la norma a priori sottende un ordine, quindi obbligatorietà. La legge, quindi, è contemporaneamente una norma ed un giudizio. Tornando alla domanda iniziale circa la relazione tra legge e potere la risposta di Il’in non può che essere interlocutoria: “Su questo possiamo concludere il saggio che abbiamo intrapreso sull'analisi metodologica dei concetti di legge e potere. Siamo giunti alla conclusione che per una risoluzione la solita domanda: "Il diritto è potere o no?" deve essere cambiata nella sua stessa formulazione. Non si deve mai affermare che "la Legge è potere" o che "la Legge non è potere" perché entrambe le risposte possono essere comprese nel senso di una vera coincidenza o non incidenza dei due aspetti. Proprio un approccio metodologico al problema lo espone in tutto il suo significato e indica un percorso per la sua risoluzione”211. L’idea di Il’in della coscienza giuridica trova la sua naturale collocazione come fonte di un sistema di relazioni che determinano sia la struttura delle norme, sia la forma dello Stato, la cui missione, in ultima analisi, “consiste nella protezione e IL’IN I. A., The Concepts of Law and Power: An Essay in Methodological Analysis, (mia traduzione) in appendice, p. 313, in IL’IN I. A., On the Essence of Legal Consciousness, Wildy, Simmons & Hill Publishing 211 83 nell'organizzazione della vita spirituale delle persone appartenenti a una data unione politica”212. Da questa affermazione deriva che “la creazione e l’organizzazione della vita dello spirito nazionale implicano che ogni Stato è un organo di vita spirituale universale comune al mondo intero”213. Il’in inserisce la vita dello Stato nel quadro della logica hegeliana; uno Stato che realizzi l’unità politica dei suoi membri, impegnati nel conseguimento dello spirito come fine ultimo, è manifestazione dello spirito universale. L’unità politica dello Stato, a sua volta, è garantita dalla sua conduzione, ovvero da un governo politico che: “… consiste nell'influenza socialmente indirizzata e giuridicamente organizzata della volontà di alcune delle migliori persone legittimate dalla volontà di altri, i subordinati; i quali sono vincolati non solo dalla giustezza e dalla forza delle autorità dominanti, ma anche dalla loro coscienza giuridica; questa influenza deve servire al trionfo della legge naturale, cioè la sua scoperta e realizzazione, come un unico ordine comune di vita. Ciò significa che l'autorità di governo, secondo la sua essenza specifica, è forza, e inoltre forza di volontà, mentre secondo la sua distinzione generica è forza giuridica”214. Emerge, in tutta la sua evidenza, il concetto dell’antichità classica del “governo dei migliori” e, allo stesso tempo, la funzione della coscienza giuridica che realizza, attraverso la sua volontà, la forza del diritto, manifestazione di un governo autoritario in cui l’idea di democrazia è subordinata a tale coscienza giuridica. IL’IN I. A., On the Essence of Legal Consciousness, (mia traduzione) Wildy, Simmons & Hill Publishing, p. 184 213 Ivi, p. 186 214 Ivi, p. 201 212 84 Capitolo 7. Platonismo “A meno che […] i filosofi non regnino negli stati o coloro che oggi son detti re non facciano genuina e valida filosofia e non si riuniscano nella stessa persona la potenza politica e la filosofia e non sia necessariamente chiusa la via alle molte nature di coloro che attualmente muovono solo a una delle due, non ci può essere […] una tregua di mali per gli stati e credo, nemmeno per il genere umano”215. Il’in è filosofo politico e un “sincero” antidemocratico, quindi, è un filosofo platonico per definizione. Nel cosmo politico di Il’in, il governo dei molti non è di tutti, ma solo dei consapevoli; è la politeia, ovvero l’autogoverno fondato sull’autoconnessione interiore, mentre la democrazia è il tumulto dei rivoltosi, è la frammentazione indifferenziata: “la democrazia ha i suoi fondamenti vitali: nello spirito del popolo, nel suo senso di giustizia, nella sua struttura sociale. Senza queste basi, la democrazia degenererà o in oclocrazia (il dominio della massa), o in tirannia”216 . I presupposti metafisici della visione politica di Il’in si riferiscono al rapporto tra un principio superiore e l’applicazione di un modello in cui è riprodotta in maniera gerarchica, dall’alto verso il basso, un’universalità che esprime la natura sacra del potere, la legge divina, l’integrità e la coscienza collettiva. Il mondo pensato da Il’in si risolve in un ordine gerarchico, il confronto tra l’Uno e i molti; la politeia è espressione di una società tradizionale basata su di una natura organica e integrale in cui viene riprodotto l’ordine del tutto. In questa visione, la democrazia formale, quella dei dogmatici, della democrazia ad ogni costo, viene espunta: Ogni Stato governato dal potere, indipendentemente dall'elezione e dal controllo popolare, è uno Stato autoritario [...] Il sistema autoritario non preclude la rappresentanza popolare, ma le conferisce solo diritti consultivi: il capo dello Stato (individuale o collettivo) ascolta i consigli del popolo, ma governa in modo indipendente. Una legislazione e un governo così autoritari non portano a un regime totalitario. Il totalitarismo consiste nell'esclusione di ogni attività indipendente dei cittadini: la loro libertà personale, la loro organizzazione corporativa, il loro autogoverno locale e professionale, la loro discrezionalità negli affari personali e familiari, la loro iniziativa economica e la loro auto-attività culturale”217. 215 PLATONE, La Repubblica, traduzione Sartori F., Introduzione Vegetti M., note Centrone B., Laterza, Bari, 2023, 473d. 216 IL’IN I. A., Fondamenti della democrazia, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/59 217 IL’IN I. A., Dalla democrazia al totalitarismo, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/44 85 Ribaltando il percorso logico dall’Uno ai molti, ovvero procedendo con una costruzione dal basso verso l’alto, per cui l’Uno è solo pensato realizzabile, saranno i molti a determinare, attraverso le loro relazioni, il principio e l’origine. Nella visione platonica di Il’in sia una società comunista, sia una società contrattualista prevedono l’esistenza di uno Stato collettivo previdente e provvedente. In entrambi i casi si realizza uno Stato totalitario ed assoluto. Ma se in questa ipotesi viene negata non solo l’idea dell’Uno, ma anche la funzione relazionale dei molti, per cui l’individuo, da solo, può soddisfare il suo personalistico ideale di libertà, si aprono le porte alla dissoluzione dello Stato. In questa prospettiva si attualizza il liberalismo democratico delle società contemporanee; la separazione degli individui in seno alla società, dettata da una pretesa autonomia, contiene in sé i prodromi di un egoistico solipsismo che conduce ad una crisi sociale irreversibile: “così il principio della democrazia è l'atomo umano irresponsabile e la sua volontà personalmente interessata e incompetente. Questo è l'inizio della crisi”218. Nella critica di Il’in traspare, oltre al degrado spirituale individuale, che corrisponde alla perdita della propria coscienza giuridica, la pretesa identità tra governanti e governati, nella quale non viene fatta nessuna differenza tra i migliori e i peggiori. “È il migliore che dovrebbe governare in tutti gli Stati e sotto tutti i regimi; ogni regime è cattivo se è governato dal peggiore. È assurdo e innaturale dire: "Noi esigiamo la democrazia, anche se vengono eletti e promossi governanti sciocchi dalla volontà debole, ignoranti corrotti, disonesti e simile feccia sociale". Al contrario, è necessario e corretto rispondere: "Una democrazia che non sa individuare il meglio non si giustifica; Distrugge il popolo e lo Stato, e deve cadere”219. Lo stesso degrado spirituale, o più esplicitamente il degrado dell’anima, affligge i regimi totalitari come una malattia psichica che si diffonde contagiosa e distrugge lo spirito. “In ognuno di noi ci sono due forze che di solito sono opposte l'una all'altra: il potere dell'istinto e il potere dello spirito. L'istinto, preso da sé non è frenato dallo spirito, è il lupo nell'uomo […]. L'uomo di puro istinto non conosce né fede, né coscienza, né pietà, né onore”220. Il superamento del totalitarismo IL’IN I. A., La crisi della democrazia si sta intensificando, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_2/183 219 IL’IN I. A., Dovrebbe comandare il meglio, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/56 220 IL’IN I. A., Prerequisiti per la democrazia creativa, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/134 218 86 implica, dunque, il risanamento dell’anima attraverso un ritrovato rinnovamento spirituale: “E fino a quando questo rinnovamento dello spirito non avrà luogo, si deve prevedere che qualsiasi tentativo di introdurre un sistema democratico coerente nel paese [democrazia creativa ndr] porterà o al dominio della folla (cioè delle masse, moralmente sfrenate e prive di rispetto di sé, che non hanno né senso di responsabilità né lealtà libera), o a una nuova tirannia totalitaria da destra”221. La democrazia come intesa da Il’in, se non è sorretta da forze spirituali che sono riconducibili alla volontà razionale e al senso di responsabilità, è destinata a degenerare nel totalitarismo. Lo spirito si manifesta nella dimensione del sacro e nella ricerca di Dio e la coscienza giuridica è una delle manifestazioni di tale spirito. “Sono una persona con dignità e diritti spirituali, so cosa posso, devo e non posso fare; onoro la stessa persona libera e responsabile in ogni altra persona”222. In questa prospettiva, coloro i quali considerano la democrazia contrapposta al totalitarismo sono vittime di un evidente pregiudizio, di un’illusione che non tiene conto di alcuna evidenza storica. Il totalitarismo, ovvero la tirannia, sono il frutto della democrazia. “Abbiamo visto totalitarismi di sinistra e totalitarismi di destra; Abbiamo sperimentato entrambi i regimi, fino agli arresti, agli interrogatori, alle minacce, ai divieti e altro ancora. Abbiamo avuto l'opportunità di studiare entrambi i regimi fino in fondo, e abbiamo un disgusto morale e politico non dissimulato per entrambi”223. IL’IN I. A., Decadimento totalitario dell’anima, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/14 IL’IN I. A., Prerequisiti per la democrazia creativa, in http://www.odinblago.ru/nashi_zadachi_1/134 223 Ivi, II 135 221 222 87 Capitolo 8. Alcune considerazioni Il’in è senz’altro fautore di una società introflessa, nella quale i valori dominanti determinano l’istituzione di uno Stato etico, spiritualmente diretto; è un filosofo conservatore e probabilmente anche antimoderno. La presenza costante, nel suo pensiero, della tensione tra ragione e mondo, tra divino e natura, si traduce in una filosofia ricca di contraddizioni, tesa a realizzare ontologicamente un confronto irrisolvibile tra spirito e materia. Il pensiero di Il’in, racchiuso in uno schema che include il patriottismo, ispirato da una religiosità legata all’ortodossia, e il nazionalismo, espressione di un governo autoritario, è il tentativo di restituire alla Russia il suo ruolo storico. I destini di un popolo sono racchiusi nella sua storia. Quest’ultima nasconde non solo il passato ma anche il futuro di un popolo; essa ne manifesta la natura spirituale: sia la sua forza che le sue doti, la sua missione e la sua vocazione. La storia di un popolo rappresenta il verbo silenzioso del suo spirito; il misterioso messaggio dei suoi destini; il segno profetico di ciò che incombe224. La cultura russa, tradizionalista e religiosa, diventa così la cura psicanalitica che sana il sentimento inconscio di un’immaginata minorità nei confronti dell’Occidente chiamato a civilizzare una Russia ostaggio della barbarie. Il’in ricostruisce l’autocoscienza collettiva, scavando e riportando alla luce gli archetipi, che vengono così restituiti nella narrazione epica di una Russia che deve compiere la propria missione escatologica. Il’in è un ribelle conservatore; non può più essere un rivoluzionario, ma è, suo malgrado, un ideologo che indica un percorso politico che emerge dal passato. Esiste una stridente distanza tra la sua filosofia, che viveva e vive tutt’ora ai margini del movimento filosofico russo, come testimoniato anche dalle parole di Aleksandr Dugin225, ed il suo pensiero politico, che concorre, a tutti gli effetti, all’elaborazione della politica della Russia contemporanea. Nella riscoperta di Il’in, hanno giocato un ruolo fondamentale le élite intellettuali russe; spicca la figura del regista Nikita 224 225 IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 28 Vedi Appendice p. 93 88 Michalkov226 che ha dato un contributo fondamentale alla sua conoscenza con il film documentario “Il filosofo russo Ivan Il’in”. La riscoperta del filosofo, dopo decenni di oblio, si inserisce nella ricostruzione di un quadro storico culturale che viene incontro al nuovo orientamento conservatore dell’establishment russo. FERRARI A., Ivan Il’in e il discorso politico di Putin, in IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 28 226 89 Conclusioni In un recente convegno su Il’in, Olga Strada227 ha ricordato le parole di Pëtr Struve: “Il’in è un fenomeno importante e interessante nella storia del patrimonio intellettuale russo. La cultura russa non ha ancora conosciuto una figura come la sua, e lui è destinato ad entrare nella storia russa in virtù delle sue originali doti personali, uniche e inimitabili, insieme forti e vigorose.” La figura di Il’in è salita prepotentemente all’attenzione degli studiosi e degli osservatori politici in relazione ai fatti del febbraio 2014 e ancor più del febbraio 2022. Oggetto di analisi è diventata la questione del nazionalismo russo, di cui Il’in è interprete, e dei suoi sostenitori, di quei filosofi e ideologi che, nel corso degli anni, hanno sviluppato e favorito la cosiddetta “idea russa”. Il concetto di “idea russa” sposta l’oggetto dell’indagine in un ambito più vasto, in cui il confronto tra la filosofia occidentale e la filosofia russa attiene ai modelli rappresentativi della vita, all’essere dell’Occidente e l’essere Russi. Il pensiero occidentale ha unificato luoghi e popoli; la complessità della diversità è celebrata attraverso modelli che riemergono da un passato arcaico. L’essere dell’Occidente è la rappresentazione della differenza, l’opposizione tra un’affermazione e una negazione, tra vita e morte. L’Occidente si riconosce lontano dai propri confini esistenziali, dalle proprie paure, dai propri demoni; occupa, con una soggettività esasperata, ciò che è definito mondo, natura, fino a curvare spazio e tempo. Il logos occidentale produce un modello in cui è possibile riconoscersi; è la proiezione di un’universalità che non si può rifiutare. Se l’essere dell’Occidente è categoria ed esclusione, l’essere dei Russi è inclusione senza confini. “I Russi, quando più esprimono i caratteri originali del loro popolo, sono apocalittici o nichilisti. Ciò significa che non possono rimanere nel mezzo della vita spirituale, nel mezzo della cultura, che il loro spirito tende al limite estremo”228. Apocalittici o nichilisti; i russi non conoscono mezze misure, non possono vivere nella medietà, sono anti-mediocri. Non possono pensare il confine, così come non riescono a Strada O., slavista, dal 2015 al 2019 è stata direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca. GERMINI S., Dostoevskij con Berdjaev: la tragedia della libertà, in https://imalpensanti.it/2023/01/dostoevskij-con-berdjaev-la-tragedia-della-liberta-1-il-voltospirituale-di-dostoevskij/ 227 228 90 pensare un confine al loro Paese, grande e orizzontale, che si srotola senza barriere. L’essere Russo non è individuale, la distanza è annullata, la soggettività è annegata nell’appartenenza solo e sempre al popolo russo. Il pensiero russo nasce dalla terra che si apre magmatica, è ancora caos e non logos; il tutto è contemporaneamente unito e separato. Se in Occidente l’identità certa, il confine chiaro, sono il principio di non contraddizione aristotelico, il logos russo ancora non c’è, il pensiero è fuso in un’unità indistinta: terra, tempo e spazio. Altro elemento che emerge con forza nella vita dei russi, è il senso della religiosità; il popolo russo vive a fianco di Dio, si nutre del pensiero di Dio; in Occidente, invece, Dio è invocato e chiamato senza che ci sia la certezza della sua risposta. Nell’orizzonte russo Dio è guardiano dell’essenza stessa del popolo russo: “La Russia ortodossa crede in un modo diverso, più profondo, sincero, appassionato. Nella sua fede c’è spazio anche per la volontà; ma quest’ultima non estirpa la fede dall’anima, sarà invece la fede a generare la volontà, rendendola fervente, ferrea, inesauribile. […] la ragione si nutre della fede e grazie ad essa si sviluppa. La fede nasce dal fatto che l’uomo contempla Dio con amore…”229. Abbiamo dovuto aspettare il primo scorcio di modernità del XX secolo per sapere che, forse, esisteva un pensiero russo; abbiamo dovuto aspettare una nave carica di uomini che portavano in Occidente il principio di una filosofia russa. Il’in è un simbolo di quella nave e del pensiero filosofico russo che, forse, si spegne definitivamente in una terra straniera, sopraffatto da quello che lui definisce russità. Nel suo esilio Il’in non si confronta con l’Occidente che, come egli sostiene, non capisce la Russia; resta, al contrario, chiuso in una dimensione in cui l’anima russa vive guidata dal cuore e dall’immaginazione e, solo in un secondo tempo, dalla volontà e dal raziocinio. Il filosofo erige una barriera invalicabile: da una parte l’Occidente e dall’altra la Russia, da una parte il logos e dall’altra la chora. Egli non riesce a superare il confine che lo separa dal pensiero logico230; l’io, il sé individuale, deve soccombere alla russità; “La cultura spirituale non può essere limitata alla cultura del raziocinio; al contrario in presenza di un raziocinio piatto e sicuro di sé, l’autentica cultura si disgrega e perisce”231. Il tentativo di costruire un IL’IN I. A., Sulla Russia, a cura di Strada O., Aspis Edizioni, Milano, 2023, p. 19 Cfr, p. 4 231 IL’IN I. A., op. cit. p. 22 229 230 91 pensiero filosofico basato sulla costruzione di un proprio logos non duale si trasforma, ancora una volta, nel paradigma del “noi e loro”, al quale non esita a fare riferimento l’attuale establishment politico russo. Il nazionalismo di Il’in, il cui principio si basa sull’integrità morale, politica e territoriale della Russia, è il sussulto storico contro nemici esterni ed interni, è una resa irriducibile ad un patriottismo schierato che vede la propria salvezza materiale e spirituale unicamente nella conservazione di un’unità che può essere preservata solo con la forza. A tale imperativo si riferiscono le parole che Il’in scriveva nel 1937: “La piccola e la grande Russia sono unite da una sola fede, dall’etnia, dal destino storico. Dalla geografia, dall’economia, dalla cultura e dalla politica. Gli stranieri, che preparano la separazione, devono tenere a mente che così facendo dichiarano alla Russia una guerra secolare. In Oriente non ci sarà pace né rigoglio economico in caso di separazione. La Russia si trasformerà in una fonte di guerre civili e internazionali per secoli. La potenza foriera della separazione diventerà uno dei nemici più odiati della Russia nazionale. Nella lotta contro di essa saranno messe in atto ogni alleanza e qualsiasi mezzo. […] e lotterà fino a che, non minerà alla fine e per sempre la forza della potenza causa della separazione. La Russia nazionale non cerca la sventura di nessuno, ma saprà rispondere tempestivamente ad ogni tentativo di separazione e lotterà fino alla fine. Per ogni potenza è preferibile avere la Russia come amica, e non come nemica. La storia non ha ancora detto la sua ultima parola”232. La visione di Il’in di un nazionalismo così determinato storicamente, con un costante richiamo all’unità russo-slava ha avuto, e continua ad avere un forte addentellato all’interno degli ambienti governativi e presso parte dell’opinione pubblica russa. L’idea monarchica di Il’in è l’immagine di un mondo isolato, in cui un’autorità gerarchica verticale, giustificata da una spiritualità dettata dalla fede ortodossa, è la riesumazione di un mondo che fa intravedere impossibili chimere. Viene a mancare il confronto con l’Europa, che si allontana sempre di più e, contemporaneamente, si manifesta un’opposizione all’Occidente che, come conseguenza, genera spinte sempre più radicali nella società russa la quale tende gradualmente ad identificarsi all’interno di un contesto geopolitico asiatico. Dopo l’esperienza del materialismo sovietico e la successiva ubriacatura del materialismo d’importazione occidentale, e dopo l’avvento della nuova autocrazia, la IL’IN I. A., Osnovy bor’by za natsional’nuju Rossiju, (I fondamenti per la lotta della Russia nazionale), IL’IN I. A., Sobranije sotjinenij (bind 9–10). Russkaja kniga 1999 [1937]. 232 92 riproposizione del pensiero di Il’in appare come il progetto strumentale di un’antistorica restaurazione. 93 Appendice Ivan Il’in: monarchismo militante233 Breve saggio di Aleksandr Gel’evic Dugin Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini Il filosofo Ivan Il’in (1883-1954) può essere considerato un altro rappresentante dei "monarchici della Chiesa di Filadelfia". Ivan Il’in era un hegeliano e la sua opera filosofica più significativa è dedicata a Hegel. La sua lettura di Hegel è in armonia con la tradizione dell'hegelismo europeo di destra, che rifiutava radicalmente l'interpretazione di sinistra insita nel marxismo. Allo stesso tempo, Il’in è caratterizzato da un dualismo quasi "iraniano" con cui interpreta Hegel. In questo è in parte in sintonia con Khomyakov. Per Il’in, il mondo si basa su una lotta feroce e continua tra lo spirituale e il materiale. Entrambi gli inizi sono creati da Dio, ma lo spirito come sua diretta continuazione e la materia come un suo opposto, che deve essere superato, sottomesso e trasformato. Questa lotta fondamentale è, secondo Il’in, il contenuto della storia del mondo. Il suo territorio è l'uomo, che è chiamato ad essere lo strumento principale dello spirito. L'imperativo principale della storia diventa quindi l'instaurazione della verticalità, la trasformazione del caos orizzontale della materia nell'ordine trascendente dello spirito. La coscienza umana, in questo contesto, è una diretta continuazione del pensiero divino, ma allo stesso tempo, anche gli elementi del mondo materiale inferiore hanno un enorme impatto sull'uomo, lo confondono, lo attirano a sé, lo costringono a passare dalla loro parte. Da qui la tragedia dualistica dell'uomo in quanto tale, crocifisso tra spirito e materia, che cerca di compiere la missione affidatagli da Dio, ma spesso si allontana da questo percorso. 233 Il breve saggio che qui appare per gentile concessione dell’autore è inedito in Italia 94 Il’in segue Hegel nell'intendere il senso della storia come l'instaurazione di una monarchia ideale in cui l'uomo realizzerà pienamente la sua missione e si stabilirà un ordine spirituale verticale incrollabile. Come per Tikhomirov, l'autocrazia e la storia diventano elementi fondamentali della metafisica, strettamente legati alla prospettiva escatologica, dove deve avvenire la vittoria finale e irreversibile dello spirito. Questa interpretazione di Hegel è puramente apollinea e corrisponde pienamente alla versione accentuata e tesa dell'ideologia statale classica dell'élite russa. Va sottolineato che il pensiero di Ivan Il’in è molto vicino, sia nello stile che nei contenuti, ai filosofi tedeschi della tendenza conservatrice-rivoluzionaria. In parte, questa vicinanza si spiega con l'origine del filosofo stesso, la cui madre era tedesca. La proiezione di queste posizioni filosofiche sulla politica concreta determinò l'espulsione di Il’in dalla Russia sovietica sul "piroscafo filosofico" e il suo avvicinamento all'ala monarchica dell'emigrazione russa, cioè al campo di Filadelfia. Per Il’in, i bolscevichi e la democrazia dell'Europa occidentale rappresentano le forze della materia pura e del male liberato che si sono liberate dalla forza di contenimento dello spirito e hanno preso il potere. Il bolscevismo e il capitalismo, secondo Il’in, sono due manifestazioni della catastrofe ontologica che rappresenta la sconfitta delle forze dello spirito nella battaglia contro la materia. Questa conclusione fece di Il’in uno dei principali teorici della tendenza più radicale dell'emigrazione bianca, che chiedeva una lotta spietata contro i bolscevichi e la restaurazione del sistema monarchico in Russia. Come filosofo, Il’in vedeva nella monarchia non solo uno dei possibili sistemi politici, ma la "fine della storia" hegeliana. Una volta in Europa, Il’in si pone un obiettivo pratico: organizzare e mobilitare l'emigrazione bianca per continuare la guerra civile, che ai suoi occhi fa parte della grande lotta tra spirito e materia. Ciò richiede la risposta a tutta una serie di domande politiche che i monarchici rimasti senza monarchia, impero, patria, ecc. si pongono e la formulazione di un programma di lotta e delle disposizioni fondamentali dell'ordine che dovrebbe essere stabilito in Russia dopo la vittoria sui bolscevichi. A questo era dedicata una serie di articoli di Il’in, pubblicati dalla casa editrice emigrata Russian Bell. 95 Nell'articolo programmatico “L'idea bianca” Il’in interpreta la guerra civile nella sua ottica filosofica e monarchica: «La causa bianca non è iniziata con noi e non finirà con noi, ma per la forza dei destini storici abbiamo dovuto innalzare ora il suo vessillo in Russia e portiamo questo vessillo con un senso di massima responsabilità spirituale. Non l'abbiamo creato noi: è vecchio come la Russia; siamo solo diventati sotto di esso, di nuovo come un tempo, nell'ora del tumulto e della decadenza». Qui vediamo che Il’in ignora completamente l'elemento liberale e della Causa Bianca, identificandolo con il proprio ideale filadelfiano, monarchico. In cosa consista l'Idea Bianca, Il’in lo spiega nello spirito della sua filosofia: «Nel suo significato più profondo, l'Idea Bianca, nata e maturata nello spirito dell'ortodossia russa, è un'idea religiosa. Ma proprio per questo è accessibile a tutti i russi - ortodossi, protestanti, maomettani e pensatori extra-confessionali. È l'idea della lotta per l'opera di Dio sulla terra; l'idea della lotta contro il principio satanico, nella sua forma personale e sociale; la lotta in cui l'uomo, nel suo coraggio, cerca sostegno nella sua esperienza religiosa. La nostra lotta bianca è proprio questo. Il suo motto è: Il Signore chiama, devo temere Satana?» "L'inizio di Satana" è lo stesso del caos, della materialità, delle passioni di base dilaganti e di tutto ciò che si oppone allo spirito, all'ordine, alla verticale apollinea. Allo stesso tempo, come altri portatori del monarchismo filadelfiano, Il’in fa leva soprattutto sul nucleo volitivo del soggetto. Con pathos pubblicistico lo sottolinea quando parla dello "spirito bianco". «Lo spirito bianco si basa soprattutto sulla forza del carattere personale. Le persone di carattere debole e senza carattere, non convinte di nulla fino alla morte, con pensieri doppi e desideri non finalizzati, o non si sono unite ai ranghi dei Bianchi, o li hanno presto abbandonati. Al contrario, l'uomo di carattere ha sempre trovato qui dei fratelli di spirito. Il carattere dell'uomo bianco è quello di essere devoto alla sua santità; da essa scaturisce la sua parola di vita; e la sua parola è seguita dalla sua azione. Crede in ciò che professa e fa ciò che dice. Da questa integrità deriva la sua forza; da questa forza deriva il suo autocontrollo. Da questa integrità e autocontrollo deriva la sua rettitudine di vita e il suo disprezzo per ogni sussurro, 96 ogni menzogna, stortura e intrigo e così i suoi motti sono: la mia santità, la mia parola, la mia causa. E anche: io possiedo me stesso. E, infine, con la visiera alzata. Purtuttavia, ovunque viva e respiri la forza del vero carattere, essa porta all'uomo doni preziosi: dignità, libertà e disciplina.» Anche in questo caso non si tratta di conservatorismo, ma di determinazione a ripristinare la verticale apollinea decaduta facendo affidamento sulla profonda dignità interiore, sul "carattere". Questo lo porta a una tesi anti-Tolstoj della "resistenza al male con la forza". Nel principio dello spirito dualistico, Il’in ritiene che nell'affrontare l'inizio diabolico della storia, lo spirito debba in alcuni casi usare la violenza, perché ciò è richiesto dalle leggi della guerra ontologica. Gradualmente, però, il pensiero di Il’in perde la sua linearità. L'incapacità pratica dell'emigrazione bianca, compresa la sua ala monarchica, lo costringe a ripensare il dualismo semplicistico a cui si era tradizionalmente ispirato. Inoltre, erano necessarie risposte più approfondite sulle cause delle precedenti sconfitte, compresa la domanda chiave: perché l'autocrazia in Russia è caduta? Il’in giunge così alla conclusione che il potere della materia e del male non è semplicemente un fattore esterno all'uomo, ma è radicato nella sua anima, nel suo cuore, nella sua coscienza e nella sua volontà. L'uomo - e in particolare il monarchico ortodosso - non può compiere la sua missione storica non perché il diavolo sia troppo potente, ma perché egli stesso porta in sé il lato oscuro dell'essere. Qui si passa da un atteggiamento puramente apollineo a uno più sfumato, dialettico e in parte dionisiaco. Così, l'attenzione di Il’in, originariamente ortodosso, si sposta dall'esterno all'interno e si concentra sui processi della vita spirituale, dove si trasferisce tutta l'acutezza della guerra ontologica. I libri su temi religiosi ed etici scritti da Il’in dalla fine degli anni '30 - Assiomi dell'esperienza religiosa, Cuore che canta. Il libro delle contemplazioni silenziose, ecc. Tuttavia, lo spirito del filosofo di Filadelfia rimane intatto. Alla fine della sua vita Il’in pubblica una serie di brevi materiali programmatici, in cui riassume i fondamenti della sua visione del mondo e formula il suo testamento alle generazioni successive, i portatori dell'"Idea Bianca". Questi testi sono stati riuniti sotto il titolo generale I nostri compiti. Qui Il’in fornisce un abbozzo della sua idea di futuro, e nonostante tutta la complessa ontologia religioso-mistica e profondamente interiore 97 della guerra tra spirito e materia, questo futuro acquisisce in lui un pronunciato carattere politico-ideologico, continuando la logica dei progetti monarchici ortodossi dei primi periodi. 98 Una conversazione con Aleksandr Gel’evic Dugin234 D: C’è una qualche continuità tra il suo pensiero e quello di I.A. Il’in? Soprattutto il concetto di monarchismo di Il’in è secondo lei una forma di platonismo politico? R: No, non c’è continuità. Il concetto di monarchismo di Il’in è, secondo me, definibile come “platonismo politico”, per usare questa formula, solo alla condizione che tutto il monarchismo e tutte le sue idee e varianti abbiano radici platoniche. È molto importante comprendere che lo Stato platonico non deve essere accettato come una utopia mai realizzata, bensì come forma generale di tutte le società gerarchiche. In tal senso, allora, tutto il monarchismo è platonico in sé, oltre agli aspetti stoici. Il platonismo lo dobbiamo considerare come un fenomeno metastorico e metafisico, non solo come un qualcosa di “mai realizzato”. Soprattutto la monarchia europea e quella russa debbono essere considerate come un’evoluzione della verticalità platonica. D: Possiamo considerare Il’in un precursore dell’Eurasiatismo? R: No, in nessun modo. Non è stato un precursore dell’Eurasiatismo, era piuttosto un pensatore del conservatorismo monarchico, senza interesse per l’identità eurasiatica della Russia, come continente e come impero. Era un monarchista classico. D: In Il’in il concetto di bene appare in una dimensione duale con il male: Il male non va accettato, quindi il bene è tale solo se vi si oppone. È possibile quindi che un bene che nasce dal male, come dice Berdjaev, sia un bene demoniaco? R: Non è così. La questione del bene e del male non era sufficientemente compresa e interpretata nella tradizione filosofica russa. Credo che tutti i paradossi formali 234 Mia conversazione tenuta con il Professor Dugin nel mese di ottobre 2023 99 che incontriamo con Il’in e Berdjaev derivino da questo errore di comprensione. Non possiamo nemmeno mescolare l’errore di Berdjaev con quello di Il’in: la questione del bene e del male deve essere posta nel contesto più profondo della comprensione del neoplatonismo e della metafisica platonica, oltre alle forme non corrette delle sue interpretazioni storiche che si trovano anche in Russia. Il platonismo richiede una re-interpretazione, perché tutto il mondo conosce Platone e il platonismo, ma tutto il mondo sbaglia nell’interpretazione. Credo che solo grazie al tradizionalismo integrale, alla visione di Guénon, alla conoscenza di altre metafisiche tradizionali, possiamo adeguatamente interpretare la visione e le idee di Platone come anche del neoplatonismo. D: Dal punto di vista filosofico e politico esiste una identità di pensiero tra Solov’ev, Berdjaev e Il’in? R: Tutte e tre le filosofie citate sono molto diverse. Solovev era platonico naïf, mistico, molto interessante, se si vuole anche neoplatonico. Le sue visioni storiche e sociali, soprattutto della gioventù, sono molto scorrette in vari punti, ma l’intuizione della Sophia è un aspetto estremamente interessante della sua filosofia, è qualcosa di molto profondo, una rivelazione filosofica che dobbiamo comprendere meglio, anche al di fuori dei suoi concetti politici e sociali, che erano utopistici. Berdjaev era molto confuso. Alcune sue considerazioni probabilmente meritano di essere approfondite: per esempio, ha considerato bene la natura del comunismo come continuazione del pensiero escatologico eterodosso delle sette russe, della tradizione eterodossa mistica russa, ma in generale non ha creato nessun sistema di pensiero. Aveva un modo di pensare caotico. Il’in è più sistematico, un monarchista conservatore, non tanto russo quanto, forse, più germanico. Il suo pensiero non era tanto paradossale quanto dovrebbe essere il pensiero russo, come nel caso di Vasilij Vasil'evič Rozanov, ad esempio. D: L’Idea Bianca di Il’in è ritenuta la realizzazione teorica di un fascismo russo. Credo che in realtà l’Idea Bianca sia un’evoluzione del concetto hegeliano di spirito che, nel pensiero di Il’in, non è più un atto razionale ma, diventa autocoscienza dello spirito di fronte a Dio. In questo senso i concetti metafisici di Patria, Libertà e Religione, sono ipostasi della volontà spirituale di un popolo. Qual è il suo pensiero al riguardo? 100 R: Sono d’accordo. L’Idea Bianca di Il’in non aveva niente a che fare con il “fascismo russo”, perché il “fascismo russo” non esisteva. C’è stato un fenomeno molto marginale, senza contenuto, senza natura, limitato ai cosiddetti seguaci di Harbin, ma era un fenomeno senza interesse, una forma di imitazione del fascismo italiano senza originalità e filosofia. Sono d’accordo anche col fatto che Il’in sia stato un epigono di Hegel: ha voluto continuare la sua filosofia in maniera diretta, cosa che io giudico in maniera molto positiva. Credo che in tal senso sia stato più vicino a Gentile, che tuttavia era molto più originale, profondo e interessante, ma Il’in non lo è stato allo stesso modo, hegeliano diretto sì, ma non ugualmente brillante sotto molti aspetti soprattutto quelli più propriamente russi. Ha applicato la visione di Hegel all’impero russo, ma comparando la filosofia politica di Il’in e la filosofia politica di Gentile, credo che Gentile sia stato più grande. Va detto comunque che l’hegelismo di Il’in era totalmente lontano da alcuni aspetti del fascismo italiano o nazismo tedesco. Il’in è stato un monarchista hegeliano russo ortodosso, di destra come lo fu Gentile, ma senza originalità. Non considero Il’in un grande filosofo. 101 Bibliografia AGAMBEN G., Stasis. La guerra civile come paradigma politico. Homo sacer. Ediz. ampliata. Vol. II/2, Bollati Boringhieri, Torino, 2019 ALTINI C., Una filosofia in esilio, Carocci, Roma, 2021. ARENDT H., Le origini del totalitarismo, traduzione Guadagnin A., Einaudi, Torino, 2009 ARISTOTELE, Politica, a cura di Viano C. A., BUR Rizzoli, Milano, 2019 BERDJAEV N. 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