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ICONOGRAFIA DEL “PATECO SU COCCODRILLI” SU UNA GEMMA MAGICA

2011

In the Walters Art Museum of Baltimore is a magical gem with an image of Pataikos on crocodiles. This iconography makes this gem an unicum in the production of magical amulets. The presence of Pataikos and of a pantheistic trigram on the recto, together with voces magicae on the verso, offers interesting hints and information on magic in the Late antiquity.

Aegyptiaca et Coptica Studi in onore di Sergio Pernigotti A cura di P. Buzi D. Picchi M. Zecchi BAR International Series 2264 2011 Published by Archaeopress Publishers of British Archaeological Reports Gordon House 276 Banbury Road Oxford OX2 7ED England bar@archaeopress.com www.archaeopress.com BAR S2264 Aegyptiaca et Coptica: Studi in onore di Sergio Pernigotti © Archaeopress and the individual authors 2011 ISBN 978 1 4073 0835 7 Cover image: Statua a nome di Uahibra, XXVI dinastia (inv.n. MCABo_EG 1820) © Museo Civico Archeologico, Bologna Printed in England by Blenheim Colour Ltd All BAR titles are available from: Hadrian Books Ltd 122 Banbury Road Oxford OX2 7BP England www.hadrianbooks.co.uk The current BAR catalogue with details of all titles in print, prices and means of payment is available free from Hadrian Books or may be downloaded from www.archaeopress.com Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti il malocchio, proteggere la persona o anche la sua casa, assicurare un sonno sereno o profetico, così come augurare un cattivo riposo.7 ICONOGRAFIA DEL “PATECO SU COCCODRILLI” SU UNA GEMMA MAGICA Alessia Amenta La produzione delle gemme magiche si estende dal I al V sec. d.C. e si riallaccia inequivocabilmente all’ambiente della magia egiziana,8 che ebbe grande fama e diffusione in tutto l’impero. Su questi amuleti si ritrovano però, oltre ad alcune divinità egiziane, anche alcune greco-romane e vicino-orientali, insieme a figure del Giudaismo e di religioni che ad esso si riconnettono, come lo Gnosticismo; diffuse sono anche iconografie a carattere astrologico.9 Per utilizzare le stesse parole della Sfameni: «Non ha senso, quindi, chiedersi se una gemma sia egiziana, greca, romana o giudaica semplicemente in base ad iconografia o ad iscrizioni, dal momento che questi elementi coesistono, frammisti in un mélange indissolubile. I soggetti egiziani, con l’autorità che deriva loro da una tradizione antichissima, insieme alle speculazioni religiose a cui fanno riferimento, si inseriscono, quindi, in un contesto culturale nuovo, dove confluiscono elementi appartenenti a tradizioni diverse, in un processo di integrazione ed interazione di cui non è da ricercare tanto l’origine prima, quanto gli specifici modi di attuazione».10 Abstract In the Walters Art Museum of Baltimore is a magical gem with an image of Pataikos on crocodiles. This iconography makes this gem an unicum in the production of magical amulets. The presence of Pataikos and of a pantheistic trigram on the recto, together with voces magicae on the verso, offers interesting hints and information on magic in the Late antiquity. «Un dio, e gli Egiziani ne erano consapevoli, è ben più della forma in cui si manifesta. Per quanto siano numerosi i modi in cui si cerca di avvicinarsi a lui, egli rimane 1 inafferrabile.» Nel Walters Art Museum di Baltimora si conserva una gemma in ematite (Inv. 42.872)2 che, allo stato della mia ricerca, può definirsi un unicum.3 Si tratterebbe dell’unica incisione di un pateco, per la precisione di un “pateco su coccodrilli”,4 nella vasta produzione gemmaria “magica”5 (Fig. 1). A tali immagini, che si ritrovano sul dritto (recto) della gemma, si accompagnano iscrizioni di diverso genere sul rovescio (verso): i cosiddetti charakteres, ovvero segni grafici con valenza magica, le voces magicae, cioè parole magiche che derivano da teonimi di tradizione ebraica ed egiziana o da anagrammi di parole greche o latine, e i logoi magici, espressioni magiche. Tali nomi e formulazioni rientrano nel panorama ideologico del coevo e cospicuo materiale papiraceo, che permette di scandagliare ed interpretare le diverse simbologie e terminologie, e che costituisce un vero e proprio “commento” per il valore e l’utilizzo di questi amuleti. Lo studio delle gemme magiche non può quindi prescindere in particolare da quello della letteratura magica greca.11 Con “gemma magica” si intende più frequentemente un amuleto piccolo in pietra, intagliato su tutti e due i lati, talvolta anche sullo spessore, montato il più delle volte in metallo su anello o collana per essere indossato. La sua valenza magica era consacrata dall’immagine e dal testo incisi. La pietra stessa aveva di per sé già un preciso valore in un determinato contesto, quale ad esempio l’ematite del nostro esemplare, specificatamente efficace in ambito medico.6 Questi oggetti venivano consacrati da maghi o sacerdoti, così da appropriarsi di tutta la loro efficacia. Essi venivano utilizzati per richiedere una guarigione e un parto sereno, un qualche favore presso gli dèi, trarre presagi, ottenere un successo o il potere, per risolvere questioni amorose, scacciare essere pericolosi o L’origine di tale commistione di simbologie, teonimi e parole potrebbe verosimilmente ascriversi alla cultura alessandrina, in cui la magia egizia si fuse con quella ellenistico-romana e vicino-orientale, grazie anche ai Caldei e ai maghi giudei.12 Non è questa la sede per approfondire questo tema assai complesso, cui si rimanda con i due volumi della Sylloge Gemmarum Gnosticarum, curati da Attilio Mastrocinque,  Ringrazio vivamente il prof. Attilio Mastrocinque per interessanti commenti e l’aiuto nella lettura del verso della gemma. 1 Dunand, Zivie-Coche 2003, 64. 2 Bonner 1950, 294-295, n° 251, Pl. XII. 3 L’autrice sta preparando il corpus dei patechi delle collezioni italiane, parallelamente all’indagine della figura del Grande Nano dei testi magici, cfr. Amenta 2005b. 4 Györy 2001, 2740. 5 Si preferisce la definizione “magica”, piuttosto che “gnostica” per tale produzione, cfr. Sfameni Gasparro 2000, 1-35. Per le pubblicazioni fondamentali per questa tipologia di oggetti, cfr. Bonner 1950; Delatte, Derchain 1964; più recentemente, Mastrocinque 2003 (nel suo lavoro egli utilizza ancora la denominazione “gemme gnostiche” in ossequio alla tradizione secolare, che risale alla seconda metà del XVI secolo). 6 Raven 1988, 237-242; Aufrère 1991; Vlad Borrelli 1998, 155-165. 7 Per una presentazione di questa tipologia di oggetti, cfr. Nagy 2002. Kákosy 1989; Eschweiler 1994; Pinch 1994; David 2002; Koenig 2002; Koenig 2004. 9 Lancellotti 2003a, 115-124. 10 Sfameni 2002, 225-242 (citazione a pagina 242). 11 Smith 1979, 129-136; Schwartz 1981, 485-489. Per i papiri magici, cfr. Preisendanz 19732; Betz 19922; Eschweiler 1994, 277 ss. 12 Mastrocinque 2003b, 72 ss.; cfr. inoltre, McBride 2000, 42-59. 8 1 Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti dei testi magici egiziani: un nano “dal volto grande”, un nano-gigante, paradosso che sottende il Signore Universale, antitesi che identifica l’Uno».22 che focalizza e approfondisce tutte le questioni inerenti, corredate da una ricca bibliografia.13 L’iconografia sulla nostra gemma di Baltimora presenta un’interessante sintesi di motivi tipicamente egiziani con iscrizioni magiche del sincretismo tardo-antico.14 La nascita e diffusione di questo nano anonimo corre parallela, ma con molti punti di contatto, con quella di Bes, il dio nano che divenne assai popolare nel Nuovo Regno e si diffuse fino in Epoca Romana.23 Anche in questo caso siamo in ambito magico “popolare” e davanti a un dio-fanciullo, protettore in particolare del parto, della maternità, della “soglia”, e comunque efficace contro ogni pericolo in genere.24 Di notevole interesse per quanto riguarda il rapporto tra queste due divinità è l’attestazione di statuine amuleto che raffigurano il dio Bes sulle spalle di un nano-pateco o più semplicemente di un nano.25 Il recto è quasi interamente occupato da una figura complessa, convenzionalmente chiamata “pateco su coccodrilli”, iconografia diffusa in età faraonica, già prima dell’Età di Amarna, e che diventa particolarmente elaborata dall’Età Tarda.15 Con Pateco si intende un essere divino, anonimo, nano, che si diffuse in Egitto a partire dal Nuovo Regno, e maggiormente dall’Età Ramesside, per divenire assai popolare nel Terzo Periodo Intermedio e in Età GrecoRomana.16 Esso non compare menzionato in nessun testo, né rientra in un mito o iconografia ufficiale. Il suo stesso nome, convenzionalmente adottato dagli egittologi, è mutuato da un passo di Erodoto (III, 37): «Cambise … Così entrò anche nel santuario di Efesto17 e derise molto la sua statua: la statua di Efesto infatti è molto simile ai Pateci della Fenicia, che, viaggiando, i Fenici portano sulle prore delle loro triremi. Per chi non li ha visti, do questa indicazione: sono fatti a immagine dei pigmei»18 (Fig. 2). Un dio-nano è indiscutibilmente un dio-bambino, che celebra il momento della nascita e dell’eterna rigenerazione, della vittoria sulla caducità della condizione umana e di tutti i suoi pericoli; un dio in divenire, immortalato nel momento di massima spinta verso la nuova vita. Sotto questo aspetto il dio-nano presenta molti legami con Horo fanciullo, che giace moribondo per il morso di uno scorpione, ma che è capace di risollevarsi grazie alla forza della parola magica. Il Pateco compare come amuleto di piccole dimensioni,19 generalmente con un anello di sospensione, da indossare per scongiurare malattie e pericoli in vita, ma anche dopo la morte, come testimonierebbero le sue numerose attestazioni in corredi funerari. Alcuni esemplari potrebbero essere interpretati come sigillo-amuleto, presentando la base piatta con iscrizioni, da imprimere verosimilmente sulla persona da guarire, invocandone la guarigione o una qualche protezione.20 Proprio questa immagine di Horo si riallaccia infatti alla tipologia assai diffusa dell’amuleto Pateco, raffigurato su due coccodrilli con due coltelli/serpenti tra le mani e nella bocca. Tale iconografia richiama l’immagine del cosiddetto Shed il Salvatore, che compare dall’Età di Amarna fino alla XXV dinastia, e alla quale si affianca quella di “Horo su coccodrilli”26 e la nuova divinità di “Khonsu fanciullo”, su cui si plasmerà quella di Harpocrate.27 Queste figure di un dio-fanciullo ebbero Esso presenta diverse tipologie e numerosi attributi che lo ricollegano a divinità giovani, creatrici, rigeneratrici, come Ptah, Sokari, Osiri, Min, Horo, Thoth, Amon-Ra, Atum, Nefertem.21 22 Amenta 2005a, 21. Ringrazio Hedvig Györy per interessanti commenti al riguardo. Sono rare però le attestazioni di Bes nei papiri magici greci, cfr. Bortolani, 2008, 105, n. 2. Per la figura di Bes, cfr. Delpech-Laborie 1941, 252254; Jesi 1958, 171-183; Jesi 1963, 237-255; Wilson 1975, 77-103; Romano 1980, 39-56; Mussini 1989, 345-362; Malaise 1990, 423-436; Volokhine 1994, 81-95. 24 La figura di Bes diventa anche un elemento decorativo significativo per poggiatesta e letti, come protettore del parto e della nascita, del sonno e del risveglio, e quindi della morte e della rinascita. Per Bes e i poggiatesta, cfr. Perraud 1998, 161-174; Perraud 2002, 309-326; Perraud (inedito). Per Bes come elemento decorativo di mobilio, cfr. Werbrouck 1939, 78-82; Koltsida 2006, 165-174. Per l’assimilazione della testa con il sole nel poggiatesta, cfr. Hellinkx 2001, 61-95. 25 Bulté ritiene che Bes e Pateco siano immagini della stessa divinità proprio sulla base di queste statuine: essi, insieme, sono garanti della nascita del sole e quindi beneauguranti per una serena maternità e protettori del parto; cfr. Bulté 1987-1997, 386, n. 21, e Pl. iii-vi. 26 Il più antico esemplare è conservato al Cairo (CG 9430) e si data alla XXII dinastia; cfr. Sternberg el-Hotabi 1987, 25-70. Cfr. inoltre, Seele 1947, 43-53; Sternberg el Hotabi 1987; Quaegebeur 1987, 187; Ritner 1989, 103-116; Bosticco 1995, 189-206; Sternberg el Hotabi 1999; Quack 2006c, 107-109. 27 Forgeau 2002, 6-23. Le prime attestazioni di Harpocrate compaiono durante la XXI dinastia e sono frutto di una speculazione dei sacerdoti tebani, cfr. Koenig 1987, 257 (a). Per quanto riguarda più specificatamente il fiorire, a partire dall’Epoca Libica, di diversi culti legati alla figura di un dio-fanciullo nudo, definiti più generalmente tutti 23 «Il dio nascosto e anonimo celato in questa iconografia complessa si riferirebbe alla figura del “Grande Nano” 13 Mastrocinque 2003a; si tratta della raccolta delle gemme nelle opere degli Antiquari dei secoli XVII-XVIII. 14 Sfameni Gasparro 2002, 243-269. 15 Non esiste ancora un corpus di patechi completo delle collezioni sparse per il mondo e non è possibile conoscere tutte le sue varianti. Per una presentazione dell’evoluzione di questo amuleto, cfr. Györy 2002, 491-502; Györy 2003a, 58-68. 16 Dasen 1993, 84 ss.; Györy 2004, 55-68; Amenta 2005a, 17-36. 17 Efesto si identifica con il dio egiziano Ptah di Menfi. 18 Traduzione di A. Fraschetti, da Asheri 1990. 19 Sono rari gli esempi che superano i 10 cm di altezza. 20 Györy 1998-1999, 35-52. 21 A seguito dello studio e pubblicazione dei 75 patechi di Berlino, Matzker identifica per l’amuleto Pateco dieci tratti distintivi e, in base alle relative varianti, stabilisce otto tipologie, cfr. Matzker 1990. Amenta non concorda con tale tipologia nello studio per un corpus di patechi delle collezioni italiane, riconoscendo soltanto quattro tipologie, cfr. Amenta 2005b. 2 Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti particolare fortuna come vincitori su forze malefiche personificate in coccodrilli, scorpioni e animali pericolosi, diventando amuleti efficaci in ambito medicomagico; il loro carattere bellicoso è comunque dominante. tridimensionale di “Pateco su coccodrilli”, secondo il modo di rappresentare tipicamente egizio. Ciò significa che quello che occupa i fianchi della figura è posto invece ai suoi due lati (le due divinità femminili), quello che è sopra la testa è visto di piatto sopra di essa (lo scarabeo), e ciò che è dietro la figura del nano compare al di sopra del nano stesso (la dea alata); e infine i due coccodrilli, che avvolgerebbero l’intera base della composizione, sono invece distesi per tutta la lunghezza della composizione. Anche Bes si ricollega all’iconografia degli “Harpocrati”,28 del dio-nano e di Horo-fanciullo “sui coccodrilli”. Sui cosiddetti “Cippi di Horo” esso compare sotto forma di grande maschera, con barba e dall’aspetto senile, posta sopra la testa del giovane dio, che la indosserebbe come arma potente per sconfiggere gli animali pericolosi: è di fatto “il bambino che si trasforma in anziano”! Si potrebbe dunque intendere questa composizione iconografica come un’efficace allusione al ciclo solare, al suo rinnovamento eterno attraverso la continua trasformazione del dio sole-bambino all’alba (identificato con il giovane Horo) nel sole-anziano al tramonto (identificato con Bes). 29 Sulla gemma la rappresentazione del “Pateco su coccodrilli” presenta però alcune varianti rispetto alla composizione propria di un amuleto: le due divinità femminili non hanno le braccia stese lungo i fianchi, ma presentano un braccio piegato verso il nano, per sottolineare il loro valore di figure tutelari, e stringono nell’altra mano il simbolo ankh, in quanto dispensatrici di vita. Questi gesti si riallacciano alla classica composizione di età faraonica in cui il sovrano è davanti ad una, o al centro tra due divinità, in un rapporto reciproco di do ut des. Per meglio presentare l’iconografia della nostra gemma si consideri un bel esemplare di “pateco su coccodrilli” dal Museo del Louvre in faïence, databile all’Età Tarda su base iconografica.30 La figura è quella di un nano, nudo, in posizione stante frontale, con calotta e scarabeo tridimensionale sulla testa, due serpentelli tra i denti, le braccia piegate e le mani al petto con due coltelli, due falchi di prospetto sulle spalle,31 due coccodrilli affrontati per il muso sotto i piedi. Ai due lati del nano sono due figure divine femminili stanti e di profilo, Isi alla sinistra e Nefti alla destra. La parte posteriore del nano è coperta per tutta l’altezza da una figura femminile nuda, stante e di prospetto, ma con il volto di profilo rivolto a destra, parrucca striata tripartita e collana larga al collo; le braccia sono aperte e distese con due lunghe ali che toccano in basso; sulla testa è un grande disco solare con al centro la piuma Maat32 (Figg. 3 e 4). Una seconda variante è la rappresentazione del volto della dea alata, che appare di prospetto e non di profilo, così come si ritrova generalmente nelle stele magiche della tipologia “Horo su coccodrilli”, in cui una grande maschera del dio Bes campeggia nella parte superiore della stele.34 La parte inferiore della gemma di Baltimora, al di sotto dei due coccodrilli, è occupata da un’iscrizione in geroglifico, con i segni orientati verso destra, su due righe orizzontali. È lecito ipotizzare che si tratti del nome dell’essere divino rappresentato, come si dichiara nella seconda riga di testo: La Györy intende la figura di “Pateco su coccodrilli” come un “monogramma teologico” per il dio creatore Ptah, cui si riconnetterebbe il cielo, personificato dallo scarabeo che il nano porta sulla testa, e la terra, identificata nelle due figure ctonie dei coccodrilli sotto i piedi.33 rn n nb.i (?) / nfr (?) «(è) il nome del mio (?) / buon (?) Signore/dio» Senza esempi di amuleti con tale iconografia, non sarebbe certo facile comprendere la composizione rappresentata sulla gemma in questione (Fig. 5): si tratta infatti della trasposizione bidimensionale di un amuleto L’ultimo segno non è ben leggibile, ma potrebbe trattarsi di una divinità accovacciata con copricapo non meglio identificabile, da leggere come suffisso di prima persona singolare o come l’aggettivo nefer. come “Harpocrati”, cfr. Yoyotte 1986 e 1988; Bulté 1987-1997, 382. Per la figura del dio fanciullo sul fiore di loto, cfr. Quaegebeur 1991, 113-121. 28 Sulle gemme magiche compare la figura di Harpocrate che emerge dalla testa di Bes o dal corpo senza testa di Bes. 29 Koenig 1998, 663 ss. Per quanto riguarda il legame tra Bes e il dio sole alla sera, cfr. el-Aguizy 1987, 53-60; Sternberg el-Hotabi 2003, 6578; Malaise 1990, 705 ss. 30 Inv. E 11202 (alt. cm 8,5; larg. cm 7,3; spess. cm 3,1). 31 Györy 2003b, 11-29. 32 Il “Pateco su coccodrilli” in questione apparterrebbe al tipo II di Matzker e al gruppo II di Amenta. 33 Györy 2001, 39-40. Conoscere il nome della divinità significa appropriarsi delle sue potenzialità per scongiurare ogni pericolo. Ecco dunque che l’amuleto diventa uno strumento potente nella mani di chi lo avrebbe indossato. 34 Meeks 1991. Interessante ritrovare un esempio di “Pateco su coccodrilli” che presenta proprio una grande maschera del dio Bes al di sopra della testa della dea femminile alata (Torino, Inv. 595). 3 Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti uno stesso essere superiore celeste, di connotazione solare, del quale rappresenterebbero il nome segreto.43 Il nome divino occupa il primo rigo di testo e si compone di tre segni geroglifici, più precisamente (fiore di loto – leone – ariete). Tale sequenza si ritrova su diverse tipologie di amuleto di Età Tarda, quali i patechi, i cosiddetti Cippi di Horo, gli ipocefali35 e relativa formula del Capitolo 162 del Libro dei Morti,36 gli scarabei, i papiri magici, e appunto le gemme magiche. È importante però sottolineare il fatto che, sia sulle gemme, sia sui papiri, questa sequenza di segni può comparire accompagnata dalla sua resa fonetica σερφουθμουισρω (srpt = fiore di loto, mAi = leone, sr = ariete), abbreviata anche in μουισρω. è stato soggetto a Più nel dettaglio, il trigramma diverse interpretazioni, e la sua lettura su base acrofonica generalmente accettata è quella di Atum.44 I tre momenti del corso solare sono espressi dal disco iAX = alba, dallo scarabeo xpr = sole zenitale , e dall’uomo con bastone wr = tramonto.45 Una qualche perplessità suscita il primo binomio, poiché lo scarabeo dovrebbe essere identificato con il sole che sorge e non il disco solare.46 Nel secondo trigramma i tre momenti solari sono invece così rappresentati: il loto all’alba, il leone allo zenith47 e l’ariete alla sera. Anche in questa grafia si riconosce un dio unico, che riunisce le tre forme del sole universale.48 La Ryhiner lo definisce un “trigramma panteistico”, (disco insieme con un altro gruppo di tre segni, solare – scarabeo – uomo anziano), altrettanto diffuso, ma che non è invece presente sulle gemme magiche.37 Di recente David Klotz legge quest’ultimo trigramma come Khepri, ripensando di conseguenza all’interpretazione di entrambi i trigrammi, quando essi compaiono insieme su di uno stesso oggetto: essi alluderebbero dunque al dio Sole nei suoi due aspetti principali di sole diurno e notturno, personificati in Khepri e Atum.49 Koenig era già arrivato a conclusioni simili: «Cette trimorphie se semplifie en une bimorphie soulignant les deux aspects les plus opposés du soleil».50 La questione è assai articolata e si riallaccia al procedere dell’ermeneutica dei segni geroglifici,38 e parallelamente alla speculazione sull’Uno che diventa assai raffinata dall’Età Ramesside: «… it developed an entirely new terminology that made it possibile to conceive of the diversity of deities as the colorful reflection of a hidden unity. It worshiped the unity as the hidden god, the deus absconditus et ineffabilis, the «sacred ba of gods and men» whose names, symbols, emanations, manifestations, shadows, and images were the various deities».39 Anche la nostra gemma sembrerebbe dunque celebrare proprio questo doppio aspetto del Sole: sul recto quello diurno di Khepri, mentre sul verso quello notturno di Atum. Si assiste di fatto ad una filosofia della scrittura, che utilizza i segni geroglifici come elementi speculativi, nel nostro caso in relazione ad una divinità superiore.40 Yoyotte al riguardo parla di “grafie teologiche”, attraverso le quali si materializzerebbero nei segni geroglifici le caratteristiche di una divinità con tutte le speculazioni relative.41 Punto di partenza per i due “trigrammi panteistici” in questione è il principio in base al quale il movimento del sole nel cielo viene scomposto in tre fasi: alba, mezzogiorno e tramonto.42 I due trigrammi in questione dovrebbero dunque riferirsi ad Il rovescio della gemma presenta infatti una lunga iscrizione continua di parole magiche, che sottende un logos incentrato sulle nozioni di tenebra e divinità che risiede nell’oscurità.51 Sono appunto le formule che il mago recita per rendere efficace la gemma.52 Il testo 43 Quack nega l’interpretazione dei due trigrammi panteistici come crittografia acrofonica per Atum, cfr. Quack 2006a, 182 e nota 45. 44 Ryhiner ne dà anche una interpretazione letteraria = “il sole che è diventato un vecchio”, e una simbolica = “il dio sole nella sua tripla manifestazione”; cfr. Ryhiner 1977, 131-133; e inoltre, Koenig 1992, 125. Su un pateco del Louvre Koenig rintraccia una variazione di questa grafia , da intendersi letterariamente come “il sole che è diventato bambino”, cfr. Koenig 1998, 663. 45 Gli amuleti che presentano una loro definizione attraverso questo trigramma vengono interpretati dalla Györy come trasposizione tridimensionale di un “monogramma teologico” per il dio Ra, in quanto egli stesso nel pChester Beatty XI si definisce come Khepri (il sole che sorge = lo scarabeo sulla testa del nano), Ra (il sole a mezzogiorno = la figura stessa del nano) e Atum (il sole che tramonta = iscrizione sulla base); cfr. Györy 2001, 40, n. 112. 46 Per la questione, cfr. Koenig 2009, 316. 47 Koenig 2009, 316, n. 35. 48 Ryhiner ne dà una interpretazione fonetica su base acrofonica = “il primogenito, il più anziano”, una letteraria = “loto – leone – ariete”, e una simbolica = “il sole universale nei suoi tre aspetti”; cfr. Ryhiner 1977, 135-136; e inoltre, Koenig 1992, 125. 49 Klotz 2010, 73 ss. 50 Koenig 1998, 664. 51 Si ringrazia il prof. Attilio Mastrocinque per l’aiuto prezioso nella lettura del testo. 52 Bakowska 2003, 13-16. 35 Varga 1961, 235-247; Varga 1998. Cfr. inoltre, Gee 2001, 325-334; Varga 2002 61-84. 36 Questa formula si diffonde a partire dalla XXI dinastia, periodo in cui si assiste ad un grande fermento speculativo, cfr. Yoyotte 1977, 194202. 37 Ryhiner 1977. La Ryhiner recupera la più antica attestazione di questi segni nel Papiro Berlino 3031, proveniente da Tebe e datato paleograficamente alla XXI dinastia; elenca inoltre una serie di documenti che attestano i trigrammi in questione (pagine 127-128). 38 Koenig 1992, 127 ss. Cfr. inoltre Sternberg el Hotabi 1994, con particolare riferimento all’utilizzo di “pseudo-geroglifici” in ambito magico. L’argomento “crittografia” ha un’ampia letteratura (cfr. nota 37). 39 Assmann 2001, 241. 40 Per l’uso della crittografia nell’antico Egitto, cfr. Drioton 1933, 1-50; Drioton 1935, 1-20; Clère 1938, 35-58; Drioton 1940, 305-427; Drioton 1942, 99-134; Drioton 1943, 319-349; Gutbub 1953, 57-101; Yoyotte 1955, 81-89; Jaeger 1982; Sliwa 1984, 65-67; Betrò 1989, 37-54; Étienne-Fart 1994, 133-142. 41 Yoyotte 1955, 89. 42 Anche la giornata risulta suddivisa in tre parti, cfr. Koenig 2009, 316 ss. 4 Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti Un’ulteriore riflessione permette di approfondire la figura di questo grande dio, relativamente al suo nome di σερφουθμουισρω, che compare così scritto per esteso, attribuito a diversi esseri divini “pantei”, quali il Pateco, Tithoes(-panteo),65 il cosiddetto “Bes-panteo”,64 66 l’Acefalo, le divinità ibride delle gemme magiche e dei papiri magici (come ad esempio lo scarabeo-nano panteo), le diverse figure di nano su statue guaritrici.67 corre tutto intorno ad un grande scarabeo centrale ed è circondato da un uroboro. Così recita: Iabèzebyth,53 Bophobibôth,54 Nouphi,55 Ouar,56 Phôzaxazôth,57 Chenophinyth,58 Bakaxichych Batêtophôth Bainchôôôch, Semesilam (Fig. 6). Il riferimento ad una divinità solare nel suo aspetto notturno è espresso in particolare dalle tre voces Bakaxichych Batêtophôth Bainchôôôch, che fanno parte del logos ben noto cych chybachych bachachych Bachaxichych bazabachych Badêtophôth Bainchôôôch, riferito a divinità solari nel loro aspetto notturno.59 L’ultima parola in particolare, Bainchôôôch, deriverebbe da ba “anima”, inkh “vivente” e khoo(o)kh “tenebra”, vale a dire “anima vivente delle tenebre”.60 Essa aveva anche un importante valore simbolico in quanto legata alla sequenza numerica 3663, che sembrerebbe assumere un valore mistico nei papiri magici.61 Il possessore di questa gemma si rivolge dunque, chiamandolo per nome, ad un dio grande, celeste, garante di eterna rigenerazione nella sua valenza solare, efficace contro malanni e pericoli, così come evoca l’immagine del “Pateco su coccodrilli” vincitore.63 Tali iconografie tradiscono tutte speculazioni su un “grande dio”,68 universale, dal duplice aspetto solare e osiriano, che la teologia tebana della XXI dinastia andava già maturando e che culminerà nella creazione di iconografie articolate sulle gemme magiche.69 Niwiński utilizza al riguardo la definizione di “monoteismo polimorfico”.70 Anche Quack parla di “divinità polimorfiche”,71 con riferimento ad esseri divini che presentano un volto ben determinato (Bes, Amon, scarabeo, Tithoes, Anubi, …), affiancato da più teste e con numerosi attributi, con ali e coda di uccello, un corpo composto da parti umane e parti animali, itifallico; esso poggia i piedi più frequentemente su alcuni animali, inseriti all’interno di un serpente che si morde la coda (ouroboros), o sul dorso di un leone.72 Sono divinità creatrici e distruttrici, guerriere, apotropaiche, onniscienti, come testimonierebbe in particolare l’iconografia di “Bes polimorfico” con il corpo cosparso di occhi.73 Era il mago, di volta in volta, a dare a questi esseri ibridi, più generalmente anonimi, il nome che giudicava più appropriato a seconda delle occasioni.74 53 Nome composto da IHWE (la forma Iabè è tipica dei Samaritani, cfr. Jacoby 1930, 274, n. 3) e Zebyth, probabile variante di Zebub, che forma il nome Beel Zebub. Iabèzebyth è invocato nei testi magici, anche di carattere defissorio, spesso in formule esorcistiche, cfr. Preisendanz 19732, III, 449; IV, 1795; VII, 419; cfr. inoltre Bonner 1950, n. 287; Mastrocinque 2006, § 62. 54 Teonimo in -ôth. 55 Equivale all’egiziano nefer “bello, buono”. 56 Probabile variante dell’egiziano ouêr “grande”. 57 La vox comincia con una possibile variante dell’egiziano phôza “sano”, che compare frequentemente nei testi magici, ed è desinente come i teonimi ebraici in -ôth. Cfr. inoltre Merkelbach , Totti 1991, 57 e 61. 58 Vox non interpretata. 59 Chych è una resa greca della parola egiziana khy “tenebra”. Tutte e sette le voces della nostra gemma si riferirebbero ad un sistema settenario della fase notturna del ciclo solare; cfr. per ulteriore commento, Mastrocinque 2003b, 112. 60 Dall’egiziano bA n kk.w “anima del dio primordiale dell’oscurità”, così come viene chiamata la notte nel Libro della vacca celeste, cfr. Quack 2006a, 175. 61 Bonner 1930, 6-9; per una più recente teoria al riguardo, cfr. Brashear 1989, 123-124. 62 Per una esauriente digressione su questa vox, cfr. Lancellotti 2000, 248-254. 63 Sulle gemme magiche si ritrova un’altra sequenza a carattere solare che rappresenterebbe i tre aspetti del ciclo del sole, secondo il modo egiziano: in alto uno scarabeo, al centro la fenice e sotto le sue zampe il coccodrillo, cfr. Nàgy 2002, 162 ss. Inoltre, Koenig recupererebbe sulle gemme Abrasax un terzo “trigramma panteistico” legato al ciclo solare, rappresentato dalla figura del gallo anguipede, composto appunto di tre elementi: testa di gallo (sole all’alba), busto di uomo con abbigliamento militare (sole a mezzogiorno), e due piedi anguipedi/serpentiformi (sole al tramonto), cfr. Koenig 2009, 311-325; l’iconografia richiama immediatamente una divinità forte e vittoriosa sul nemico, di fatto anonima, talvolta accompagnata dal nome generico di Iao e Abrasax, cfr. Cosentino 2003, 269-275. Per l’iconografia del gallo anguipede, cfr. inoltre Philonenko 1979, 298-303. 64 von Bissing 1939; Delatte, Derchain 1964, 126 ss.; Bakowska 2001, 11-14; Lancellotti 2003b, 232-234; Quack 2006, 175-190. 65 σερφουθμουισρω si ritrova nella stele Cairo JE 64938 apposto alla sfinge Tithoes, che appare con due teste congiunte, di ariete e di leone, e con un fiore di loto come corona; questi tre attributi sono appunto i tre simboli che scrivono il trigramma srpt-mAi-sr; tale iconografia si può mettere in parallelo con quella di una gemma magica di Parigi (Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Médailles, Inv. 2170), che presenta un essere divino, chiamato Tithoes sul verso, rappresentato sul recto come una figura umana a doppia testa, di ariete e di leone, con sopra un fiore di loto, cfr. Kaper 2003, 310-311 (S15); 89-90 (Fig. 2) e 221-222 (M12); per una recente interpretazione della figura come Acefalo, cfr. Bortolani 2008, 123 ss. Per la figura di Tithoes, cfr. Sauneron 1960, 269-287; Kákosy 1964, 9-16; Kaper 2003. Per Tithoes(panteo) in particolare, cfr. Kaper 2003, 86. 66 Preisendanz 1926; Meeks, 1991, 5-15; Berlandini 1993, 29-37; Bortolani 2008, 105-126. 67 Kákosy 1999. 68 L’“Uno (anonimo) che si fa Milioni”, da non confondersi con l’espressione “dio grande”, che generalmente accompagna molte divinità egiziane e non una in particolare. 69 Per andare più a ritroso nel tempo, si consideri la speculazione sottesa all’essere divino, dalla connotazione solare, che è rappresentato nel cosiddetto Libro delle Due Vie e che porta il nome di pesedj “Lo splendente” (sarcofago di Sepi, Cairo CG 28083, XII din.); è evidente in questo caso una crittografia per la parola pesedj “nove”, e quindi per l’Enneade (pesedjet). Per riflessioni al riguardo, cfr. Ciampini 2003b, 36 ss. Per il Libro delle Due Vie, cfr. Hermsen 1991. 70 Niwiński 1987-1988, 89-106. 71 Quack 2006, 176. 72 Quaegebeur 1985, 131-143. 73 Kákosy 2002, 278. Il passo per diventare anche divinità oracolare è breve, cfr. Bortolani 2008, 111. 74 Kaper 2003, 93. Anche l’ultima vox, Semesilam, possiede una forte connotazione solare, in base alla sua stessa etimologia di “sole eterno”. L’espressione si ritrova comunemente in papiri e gemme magiche associata a divinità superiori, di cui si sottolinea la valenza solare.62 5 Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti Non è questa però la sede per entrare più nel dettaglio dell’argomento, rimandando al volume di Kaper per lo stato della questione.81 Più comunemente essi vengono definiti in letteratura come “pantei” e “Pantheos” la loro rappresentazione.75 Il fatto che più frequentemente il volto principale sia quello di Bes, fa sì che spesso tali figure siano più generalmente indicate come “Bes-panteo”. Difficile dare un’identità certa a queste figure, a cui solo talvolta è apposto un qualche nome, e comunque per una stessa figura ne compaiono diversi. Per tornare alla nostra gemma, il nome dell’essere divino, personificato nel “pateco su coccodrilli”, evocato dal trigramma geroglifico sul recto, è nascosto all’interno dell’uroboro. Già il fatto che il testo sia continuo, e quindi non facilmente leggibile, allude al “mistero” dell’essere invocato, dai “milioni di nomi” e dalle “milioni di forme”. Anche l’appellativo di “panteo” continua a suscitare polemiche tra gli studiosi, che sono per la maggior parte esitanti nel riconoscere una qualche forma di panteismo nella religione egizia di età faraonica. “La molteplicità delle apparenze non coincide con la totalità. La fusione con il tutto di uno specifico essere divino, non è né ricercata né realizzata in un sistema aperto come quello del pensiero egiziano, che d’altra parte non considera il «tutto» come appartenente alla sfera del divino. … Infine, gli dei cosmici non si confondo con gli elementi che metaforicamente rappresentano”.76 L’iscrizione posta all’interno dell’uroboro, il serpente che si morde la coda, richiama immediatamente il mondo egizio e la speculazione su un grande dio solare, dal “nome potente” e dalla funzione cosmocratica.82 Tale serpente è un’immagine antica della religione faraonica,83 simbolo di eterna rigenerazione, il confine tra ciò che esiste e che è, e ciò che non esiste e che non è, limite spazio-temporale tra il cosmo ordinato e il caos.84 La definizione di “immagine paniconica” è stata suggerita da Meeks,77 e ripresa dalla Zivie-Coche,78 contrapposta a quella di “panteista”, proprio per esprimere questa concezione propria egiziana, che contempla la raffigurazione di esseri divini dalle molteplici varianti e variabili, che proverebbero a definire la loro natura, ma che mai arrivano a descriverne la completezza. La presenza dello scarabeo al centro della gemma e circondato dal serpente evoca immediatamente un’altra figura divina, frutto della speculazione tarda, quale l’Acefalo, le cui prime attestazioni sembrerebbero risalire al Nuovo Regno.85 Il suo nome compare proprio come “cuore circondato dal serpente”.86 Appare comunque chiaro, dalle diverse attestazioni dell’uroboro su gemme e papiri magici, come anche su statue guaritrici,87 che esso assuma valenze diverse, alcune più strettamente legate a tradizioni egiziane antiche, altre invece frutto di speculazioni successive: «È la sua polifunzionalità simbolica che lo (l’uroboro) rendeva idoneo a entrare a pieno titolo nell’ideologia magica, uno dei cui tratti peculiari è proprio la volontà di «potenziare» tramite nuove associazioni e identificazioni personaggi, teonimi e simboli tradizionali». 88 Una delle fonti principali al riguardo è il Papiro Magico Brooklyn 47.218.156, in cui due diverse immagini del cosiddetto “Bes-panteo” risultano accompagnate eccezionalmente da un testo: il dio rappresentato personificherebbe i numerosi ba del dio grande e universale, nascosto, Amon-Ra.79 «He (the so-called Pantheos) embodied the plurality of deities who were explained as the bas, the manifestations of power, of the hidden, single god. This is entirely in the spirit of the Ramesside theology of transcendence and demonstrates not only that its concepts remained alive until the end of Egyptian paganism, but that they had penetrated to the lower levels of popular piety and religion in Egypt».80 A seguito delle nostre riflessioni appare evidente l’osmosi tra le diverse speculazioni su un “dio grande” nel tardo-antico. Le gemme magiche risultano altrettanto eloquenti quanto i papiri magici assommando alla forza della parola anche quella dell’immagine. La creazione di nuove iconografie si accompagna al continuo amalgamarsi di ideologie e speculazioni. Ne sono risultato l’accostamento di immagini “tradizionali” a voces magicae, frutto di ambienti diversi, nella tendenza a caricare l’immagine divina rappresentata di poteri 75 Mastrocinque riconosce il Pantheos come un essere divino di ispirazione egiziana, influenzato dalla mitologia fenicia e dal pensiero filosofico e cosmogonico greco; cfr. Mastrocinque 2003b, 74 ss. Cfr. inoltre Ciampini 2003a, 227-229; Sfameni 2003, 229-232. 76 Dunand, Zivie-Coche 2003, 41-42. 77 Meeks 1986, 171-191. 78 Dunand, Zivie-Coche 2003, 43. 79 Sauneron 1970. Nella recensione, Kákosy 1972, 28-29, si ipotizza un’origine regale del papiro. Recentemente anche Quack ha inteso il papiro come un testo di teologia reale, in cui il faraone stesso apparirebbe come l’incarnazione dei ba di Amon-Ra; egli ha ritrovato inoltre un parallelo al testo del Papiro Magico di Brooklyn nel Papiro Carlsberg 475 della collezione di Copenhagen; cfr. Quack 2006b, 3952. 80 Assmann 2001, 244. 81 Kaper 2003, 91 ss. Lancellotti 2003b, 234. Esso compare per la prima volta raffigurato sul secondo tabernacolo, parete esterna destra, di Tutankhamon, come un serpente che si morde la coda, avvolgendo la testa e i piedi di un essere mummiforme; cfr. Piankoff 1949, 113-116. 84 Per l’uroboro e le statue magiche, cfr. Kákosy 1995a, 123-129. 85 Berlandini 1993, 30 ss. 86 Delatte, Derchain 1964, 43, e 46-49, e 53-54. Cfr. inoltre Papiro Magico V, 155, in cui l’Acefalo afferma che il suo nome è un cuore (= scarabeo) circondato dal serpente; cfr. Betz 19922, 103. 87 Kákosy 1995b, 123-129. 88 Lancellotti 2003c, 71-85, qui in particolare 85. 82 83 6 Aegyptiaca et Coptica. Studi in onore di Sergio Pernigotti sempre più ampi, così da conferire la massima efficacia all’amuleto. Betz H.D. 19922. The Greek Magical Papyri in Translation. Chicago-London, The University of Chicago Press. Bibliografia Bissing W.F. von 1939. Zur Deutung der “pantheistischen“ Besfiguren. Zeitschrift für Ägyptische Sprache und Altertumskunde 75, 130-132. el-Aguizy O. 1987. Dwarfs and Pygmies in Ancient Egypt. Annales du Service des Antiquités de l’Égypte 71, 53-60. Bonner C. 1930. The Numerical Value of a Magical Formula. Journal of Egyptian Archaeology 16, 6-9. Amenta A. 2005a. Riflessioni sulla figura del Pateco. 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