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RPM, protezione diplomatica diritti individuali e diritti umani

che la protezione diplomatica sia un diritto dello Stato risale al diplomatico e giurista svizzero de Vattel, secondo il quale ogni offesa subìta da un cittadino all'estero colpisce il suo Stato nazionale, che deve assicurare la protezione del suo cittadino. Cfr. E. de Vattel, Le droit des gens, ou Principes de la loi naturelle, Appliqués à la conduite et aux affaires des Nations et des Souverains, Londres, 1758, tome II, chap. VI.

Protezione diplomatica, diritti individuali e diritti umani Riccardo Pisillo Mazzeschi emerito di diritto internazionale nell’Università di Siena 1. Il contenuto tradizionale della protezione diplomatica Secondo la concezione tradizionale (che però oggi è posta in discussione) 1, la protezione diplomatica può essere definita come la facoltà dello Stato di agire, a livello internazionale, a tutela di un suo cittadino che abbia subito all’estero, da parte di un altro Stato, una violazione delle norme internazionali sul trattamento degli stranieri e dei loro beni. Le misure in protezione diplomatica possono consistere in azioni consolari, negoziati, mediazione, conciliazione, procedure giurisdizionali o arbitrali, ritorsioni, contromisure pacifiche, rottura delle relazioni diplomatiche e pressioni economiche 2. Pertanto, le norme sulla protezione diplomatica sono state per molto tempo considerate come norme secondarie rispetto alla violazione delle norme primarie sul trattamento degli stranieri. Questo inquadramento è soltanto parzialmente valido oggi, poiché molti sostengono che l’ambito di applicazione della protezione diplomatica si sia esteso a norme diverse da quelle sul trattamento degli stranieri, comei quelle sui diritti umani3. Il contenuto tradizionale della protezione diplomatica si trova bene espresso in un celebre passaggio della sentenza Mavrommatis del 1924 della Corte permanente di giustizia internazionale: “It is an elementary principle of international law that a State is entitled to protect its subjects, when injured by acts contrary to international law committed by another State, from whom they have been unable to obtain satisfaction through the ordinary channels. By taking up the case of one of its subjects and by resorting to diplomatic action or international judicial proceedings on his behalf, a State is in reality asserting its own right – its right to ensure, in the person of its subjects, respect for the rules of international law.”4 Il c.d. “principio Mavrommatis” riflette alcuni concetti generali sui quali si fondava il diritto internazionale nella prima metà del XX secolo: a) le norme primarie sul trattamento degli stranieri regolavano soltanto rapporti tra Stati; b) gli individui venivano concepiti come sudditi del proprio Stato e come oggetti nell’ordinamento giuridico internazionale; c) il settore del diritto internazionale dei diritti umani non era ancora nato. A questi concetti sulle norme primarie corrispondevano concetti simili sulle norme secondarie: a) la protezione diplomatica creava soltanto rapporti tra Stati ed era fondata sulla reciprocità; b) gli Stati avevano piena discrezionalità nel decidere se esercitare o no la protezione diplomatica e anche nel decidere se trasferire all’individuo vittima l’eventuale riparazione ottenuta; c) l’individuo vittima non aveva alcun diritto, e tantomeno un diritto ad ottenere la protezione diplomatica da parte del proprio Stato; d) soltanto lo Stato nazionale della vittima era legittimato ad agire in protezione diplomatica; e) e ciò solo dopo che l’individuo aveva esaurito i ricorsi interni nello Stato estero. Si noti che le norme tradizionali sulla protezione diplomatica non hanno subìto cambiamenti per molto tempo. Ad esempio, il principio Mavrommatis è stato confermato dalla Corte internazionale Vedi infra, parr. 3 e 4. Vedi J. Dugard, First report on diplomatic protection, UN Doc. A/CN.4/506 and Add.1, 7 marzo e 20 aprile 2000, in Yearbook of the International Law Commission, 2000, vol. II (Part One), p. 221 ss., par.43. 3 Vedi infra, par. 3.2. 4 Corte permanente di giustizia internazionale, Mavrommatis Palestine Concessions Case (Greece v. UK), Jurisdiction, sentenza del 30 agosto 1924, PCIJ Rep., 1924, Series A, No.2, p.12. L’idea che la protezione diplomatica sia un diritto dello Stato risale al diplomatico e giurista svizzero de Vattel, secondo il quale ogni offesa subìta da un cittadino all’estero colpisce il suo Stato nazionale, che deve assicurare la protezione del suo cittadino. Cfr. E. de Vattel, Le droit des gens, ou Principes de la loi naturelle, Appliqués à la conduite et aux affaires des Nations et des Souverains, Londres, 1758, tome II, chap. VI. 1 2 1 di giustizia nel 1955 nel caso Nottebohm5 e nel 1970 nel caso Barcelona Traction 6. In quest’ultima sentenza, la Corte ha ribadito il carattere solo interstatale degli obblighi che nascono nel quadro della protezione diplomatica7, nonché il principio della discrezionalità dello Stato nell’esercizio della protezione diplomatica: “The State must be viewed as the sole judge to decide whether its protection will be granted, to what extent it is granted, and when it will cease. It retains in this respect a discretionary power the exercise of which may be determined by considerations of a political or other nature, unrelated to the particular case. Since the claim of the State is not identical with that of the individual or corporate person whose cause is espoused, the State enjoys complete freedom of action.” 8 Tuttavia, negli anni più recenti, si è verificato un processo di modernizzazione del diritto internazionale, che ha già prodotto una rivisitazione del regime della protezione diplomatica (par.2) e che sembra destinato a esercitare nel tempo un’influenza sempre maggiore su tale regime (parr. 3 e 4). 2. L’aggiornamento del regime della protezione diplomatica. Il Progetto di articoli della Commissione del diritto internazionale Nel 2006 è stato adottato il Progetto di articoli sulla protezione diplomatica da parte della Commissione del diritto internazionale (CDI/ILC) delle Nazioni Unite 9. Com’è noto, si tratta di un testo che non è giuridicamente vincolante, ma che è destinato a esercitare notevole impatto sul diritto internazionale consuetudinario in materia. Si deve subito notare che il Progetto di articoli non è rivoluzionario rispetto ai princìpi di base del regime tradizionale della protezione diplomatica; ma costituisce piuttosto una rivisitazione e un aggiornamento di tale regime. Si indicheranno qui solo le novità che ci sembrano più significative. In primo luogo, si deve ricordare il testo dell’art.1 del Progetto, che contiene la definizione della protezione diplomatica. L’art.1 recita: “For the purposes of the present draft articles, diplomatic protection consists of the invocation by a State, through diplomatic action or other means of peaceful settlement, of the responsibility of another State for an injury caused by an internationally wrongful act of that State to a natural or legal person that is a national of the former State with a view to the implementation of such responsibility” . Il testo dell’art.1, a prima vista, non sembra presentare grandi novità rispetto alla definizione tradizionale della protezione diplomatica contenuta nella sentenza Mavrommatis. Tuttavia, ad un esame più attento, si nota che manca la seconda parte del succitato passaggio della sentenza Mavrommatis. Infatti, in seguito ai dibattiti nella CDI, da tale testo è stato espunto il riferimento al fatto che la protezione diplomatica è un diritto dello Stato 10. Inoltre, nel commento a tale articolo, si chiarisce che si è voluta lasciare aperta la questione se lo Stato che esercita la protezione diplomatica lo faccia in base a un suo diritto o a quello di un suo cittadino o di entrambi 11. Alla luce di questo Corte internazionale di giustizia, Nottebohm Case (Liechtenstein v.Guatemala)(Second Phase), sentenza del 6 aprile 1955, ICJ Reports 1955, p. 4 ss., a p. 24. 6 Corte internazionale di giustizia, Barcelona Traction, Light and Power Company, Ltd (Belgium v. Spain) (Second Phase), sentenza del 5 febbraio 1970, ICJ Reports 1970, p. 3 ss. 7 Ibidem, p. 32, par. 33. 8 Ibidem, p. 44, par. 79. 9 International Law Commission, Draft Articles on Diplomatic Protection with commentaries, 2006, in Yearbook of the International Law Commission, 2006, vol. II (Part Two), p. 23 ss. 10 Una bozza dell’art.1, adottata in prima lettura dalla CDI, recitava: “Diplomatic protection consists of resort to diplomatic action or other measures of peaceful settlement by a State adopting in its own right the cause of its national in respect of an injury to that national arising from an internationally wrongful act of another State”, in Yearbook of the International Law Commission, 2006, vol. II (Part One), p. 6 (corsivo aggiunto). Vedi anche J. Dugard, “Diplomatic Protection”, in Courses of the summer school on public international law, vol. 9, Moscow, 2022, pp. 31-32; V. Zambrano, “Protezione diplomatica”, in Diritto on line, Treccani, 2019, p. 2. 11 Vedi il commento all’art.1 del Progetto: “Draft article 1 is formulated in such a way as to leave open the question whether the State exercising diplomatic protection does so in its own right or that of its national – or 5 2 commento, si comprende come la formula usata nell’art.1 rappresenti un’apertura verso uno sviluppo progressivo dell’istituto della protezione diplomatica. Tuttavia, nonostante la centralità del problema, tale apertura non è stata poi sviluppata dalla CDI 12. Inoltre, si può notare che l’art.1 fa riferimento al compimento di un “fatto illecito internazionale” da parte dello Stato territoriale. La disposizione non limita quindi la possibilità per uno Stato di agire in protezione diplomatica con riferimento alla violazione delle norme sul trattamento degli stranieri. Uno Stato potrà esercitare tale facoltà per qualsiasi tipo di violazione del diritto internazionale, che cagioni un’offesa a una persona fisica o giuridica. In secondo luogo, conviene evidenziare che il Progetto della CDI si discosta dal regime tradizionale della protezione diplomatica laddove prevede un ampliamento nella determinazione degli Stati legittimati ad agire13. Come si è detto, nel regime tradizionale, soltanto lo Stato nazionale della persona vittima della violazione delle norme sul trattamento degli stranieri era legittimato ad agire in protezione diplomatica. Nel caso di doppia o multipla cittadinanza della persona, solo lo Stato la cui cittadinanza era più effettiva poteva esercitare la protezione diplomatica 14. Invece, l’art.6 del Progetto della CDI attenua la rigidità di tali princìpi, poiché prevede che tutti gli Stati nazionali possano esercitare la protezione diplomatica di una persona fisica dotata di multiple cittadinanze 15. Questo ampliamento degli Stati legittimati ad agire è ispirato dallo scopo umanitario di aumentare la protezione dell’individuo vittima. Un secondo elemento di flessibilità nella determinazione degli Stati legittimati ad agire si riscontra nell’art. 5 del Progetto, che si occupa della continuità della nazionalità delle persone fisiche. Nel regime tradizionale, uno Stato poteva esercitare la protezione diplomatica di una persona fisica soltanto se essa era cittadina di tale Stato in maniera continuativa dalla data dell’offesa alla data della presentazione ufficiale della domanda. Invece, l’art.5(2) del Progetto prevede un’eccezione a tale regola, perché stabilisce che, in certe circostanze particolari, uno Stato può esercitare la protezione diplomatica di un individuo che era suo cittadino alla data di presentazione della domanda, ma che non lo era alla data dell’offesa. Anche l’art.5(2) ha lo scopo umanitario di aumentare la tutela dell’individuo vittima. In terzo luogo, un’innovazione più significativa riguarda gli apolidi e i rifugiati. Nel regime tradizionale, queste categorie di persone non avevano diritto alla protezione diplomatica. Ciò era una conseguenza logica dell’assolutezza del principio Mavrommatis, che, come si è visto, concepiva la protezione diplomatica come un diritto “naturale” ed esclusivo dello Stato sulla protezione dei propri sudditi. L’evoluzione della tutela internazionale dei rifugiati e degli apolidi rendeva ormai obsoleto questo aspetto della disciplina tradizionale. La CDI ha accolto tale evoluzione e ha introdotto nel both”, in International Law Commission, Draft Articles on Diplomatic Protection, cit., p. 27, par. 5. Invece l’Italia aveva proposto una soluzione esplicita alla questione nelle sue osservazioni inviate sul Progetto di articoli approvato dalla CDI in prima lettura. Il Governo italiano suggeriva di modificare la bozza di art. 1 nel modo seguente: “Diplomatic protection consists of resort to diplomatic action or other means of peaceful settlement by a State claiming to have suffered the violation of its own rights and the rights of its national in respect to an injury to that national arising from an internationally wrongful act of another State” (corsivo aggiunto). Vedi Yearbook of the International Law Commission, 2006, vol. II (Part One), p. 37. 12 Cfr. M.I. Papa, “Protezione diplomatica, diritti umani e obblighi erga omnes”, in Rivista di diritto internazionale, vol. XCI, 2008, p. 712, che si chiede se la scelta ambigua della CDI “non abbia già in partenza privato l’intera codificazione di un’ispirazione teorica unitaria e coerente”. In senso contrario vedi Dugard, “Diplomatic Protection”, cit., p. 33, che difende la scelta della CDI, distinguendo tra i diritti degli individui derivanti da norme primarie e quelli derivanti da norme secondarie. 13 Vedi P. Pustorino, “Recenti sviluppi in tema di protezione diplomatica”, in Rivista di diritto internazionale, vol. LXXXIX, 2006, pp. 76-79. 14 Corte internazionale di giustizia, Nottebohm Case, cit., pp. 22-23. 15 Art. 6 (Multiple nationality and claim against a third State): “1. Any State of which a dual or multiple national is a national may exercise diplomatic protection in respect of that national against a State of which that person is not a national. 2. Two or more States of nationality may jointly exercise diplomatic protection in respect of a dual or multiple national”. 3 Progetto l’art.8, che consente allo Stato di residenza abituale dell’apolide o del rifugiato di agire in protezione diplomatica a favore di tali persone 16. In quarto luogo, un’innovazione è certamente rappresentata dall’art. 19 del Progetto, che contiene alcune raccomandazioni per lo Stato legittimato a esercitare la protezione diplomatica. Ma questo tema sarà affrontato in seguito 17. Nel complesso, si può concludere che il Progetto di articoli della CDI sulla protezione diplomatica del 2006 si è limitato a introdurre soltanto alcuni moderati aggiornamenti al regime giuridico tradizionale dell’istituto. In particolare, ha previsto un aumento degli Stati legittimati a esercitare la protezione diplomatica e una maggiore flessibilità nelle condizioni di esercizio della medesima. Tuttavia, esso rappresenta un approccio cauto e minimalistico, che si è mosso pur sempre all’interno della vecchia logica della protezione diplomatica, incentrata sul ruolo sovrano degli Stati e sull’irrilevanza dell’individuo. Invece, il processo di modernizzazione del diritto internazionale avrebbe richiesto un intervento più forte e incisivo sul regime della protezione diplomatica. La nostra tesi è che, alla base della concezione tradizionale della protezione diplomatica, ci siano due idee: a) che l’individuo non abbia soggettività internazionale né sia destinatario di singole norme internazionali; b) che il regime giuridico della protezione diplomatica abbia conservato nel tempo i suoi caratteri originari e non abbia subìto l’impatto della teoria dei diritti umani. Tuttavia, a nostro avviso, nel diritto internazionale contemporaneo la prima idea è superata e la seconda sta cambiando. Vediamo questi due processi di cambiamento e la loro possibile influenza sull’istituto della protezione diplomatica18. 3. Modernizzazione del diritto internazionale e protezione diplomatica Non è possibile trattare qui, neppure in sintesi, il tema della modernizzazione del diritto internazionale negli ultimi decenni19. Ci limiteremo ai due aspetti di tale modernizzazione che, come si è detto, stanno incidendo sul regime della protezione diplomatica: a) l’importante crescita del ruolo dell’individuo nel diritto internazionale e la sua capacità di essere destinatario diretto di norme internazionali; b) l’impatto della teoria dei diritti umani. 3.1. L’individuo come destinatario di norme internazionali Il tema della soggettività internazionale dell’individuo è tuttora controverso 20. Una parte della dottrina, più tradizionalista, ritiene che gli individui non siano soggetti del diritto internazionale. Un’altra parte, invece, riconosce agli individui tale soggettività. Vi sono poi anche molte posizioni intermedie: alcuni parlano di soggettività parziale o limitata degli individui; altri distinguono tra Ma l’art.8 prevede un’eccezione, quando l’offesa è stata causata da un illecito internazionale dello Stato di nazionalità del rifugiato. 17 Vedi, infra, par. 4.1. 18 Sui cambiamenti contemporanei dell’istituto della protezione diplomatica vedi anche J.-F. Flauss (dir.), La protection diplomatique – Mutations contemporaines et pratiques nationales, Bruxelles, 2003; L. Panella (a cura di), La protezione diplomatica: sviluppi e prospettive, Torino, 2009. 19 Vedi, inter alia, B. Simma, “From Bilateralism to Community Interest in International law”, in Recueil des Cours, vol. 250, 1994, pp. 217-384; C. Tams, Enforcing Obligations erga omnes in International Law, Cambridge, 2005; T. Meron, The Humanization of International Law, Leiden-Boston, 2006; M.T. Kamminga e M. Scheinin (eds.), The Impact of Human Rights Law on General International Law, Oxford, 2009; L.A.Sicilianos, “L’influence des droits de l’homme sur la structure du droit international”, in Revue générale de droit international public, vol. 116, 2012, pp. 5-30 e 241-274; J. Crawford, “Change, order, change: the course of international law. General course on public international law”, in Recueil des Cours, vol. 365, 2013, pp. 9-389; R. Pisillo Mazzeschi, P. De Sena (eds.), Global Justice, Human Rights and the Modernization of International Law, Cham, 2018; T. Treves, “The expansion of international law. General course on public international law,” in Recueil des Cours, vol. 398, 2019, pp. 9-398. 20 Vedi R. Pisillo Mazzeschi, “La protezione internazionale dei diritti dell’uomo e il suo impatto sulle concezioni e metodologie della dottrina giuridica internazionalistica”, in Diritti umani e diritto internazionale, vol.8, 2014, p.275 ss., a pp. 287-294, e la dottrina ivi citata. 16 4 soggetti internazionali e destinatari di norme internazionali oppure tra titolari di diritti e obblighi e varie forme di capacità; altri ancora ritengono che gli individui abbiano una soggettività valida solo tra gli Stati parti di certi trattati, e così via. Le discussioni dottrinali e le difficoltà di riconciliare posizioni assai differenti sulla soggettività internazionale degli individui inducono a ritenere che il concetto stesso di soggettività internazionale sia oramai divenuto del tutto teorico e perfino inutile, quantomeno in relazione agli individui. In realtà, le soluzioni che i vari autori propongono sul problema dipendono essenzialmente dalle diverse premesse teoriche di partenza, premesse tuttora discusse e indimostrabili 21. Per questi motivi, a noi sembra che sia opportuno sostituire il concetto tradizionale e generale di soggettività internazionale con il concetto più limitato, ma più concreto, di destinatario di singole norme internazionali. Ciò posto, non sembra dubbio che, nel diritto internazionale contemporaneo, gli individui siano destinatari diretti e formali di alcune norme internazionali, tra le quali spiccano la maggior parte delle norme sui diritti umani e di diritto internazionale penale e molte norme di diritto internazionale umanitario. Ma non sono gli unici esempi. La possibilità che alcune norme primarie del diritto internazionale contemporaneo regolino formalmente e direttamente rapporti tra Stati e individui e stabiliscano diritti e obblighi per gli individui, senza bisogno di essere recepite dal diritto interno di uno Stato, costituisce ormai un fatto generalmente riconosciuto. La stessa Corte internazionale di giustizia ha confermato questa conclusione nelle note sentenze emesse nei casi LaGrand 22e Avena23, laddove ha affermato che l’art.36(1)(b) della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963 (che stabilisce un diritto all’assistenza consolare e all’informazione su tale assistenza per i cittadini di uno Stato parte arrestati, imprigionati o comunque detenuti in un altro Stato parte) si indirizza formalmente sia agli Stati parti sia agli individui e crea diritti a favore di quest’ultimi. La Corte ha raggiunto questa conclusione senza bisogno di prendere una posizione sul tema della soggettività internazionale degli individui. Si noti che le norme sull’assistenza consolare possono essere considerate come appartenenti al più ampio settore delle norme sul trattamento degli stranieri. Anche la Corte interamericana sui diritti umani, nel suo parere consultivo OC-16/99 del 1° ottobre 199924, ha affermato che l’art. 36 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari attribuisce direttamente alcuni diritti a cittadini stranieri che si trovino in stato di detenzione, e che tali diritti corrispondono a obblighi per lo Stato territoriale. La Corte ha anche stabilito che l’art.36 fa parte del diritto internazionale dei diritti umani25. Infine, la Commissione del diritto internazionale, nel suo commento all’art. 33 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per fatti internazionalmente illeciti, ha affermato la possibilità che dei diritti individuali possano nascere, nel diritto internazionale, anche al di fuori del settore dei diritti umani26. Si discute, ad esempio se, per essere soggetti internazionali, sia sufficiente essere destinatario di diritti e obblighi; oppure se si debba anche disporre delle garanzie per far valere i diritti e essere responsabili per la violazione degli obblighi; oppure se sia necessario anche avere la capacità di stipulare accordi con altri soggetti o addirittura avere la capacità di creare norme internazionali. Pertanto, a seconda delle risposte che si danno, già in partenza, a questi interrogativi, che investono l’essenza del concetto stesso di soggettività, anche le risposte al problema della soggettività degli individui finiscono per variare. Tutto dipende, in fondo da un problema definitorio e aprioristico. 22 Corte internazionale di giustizia, LaGrand (Germany v. USA), Merits, sentenza del 27 giugno 2001, ICJ Reports 2001, p. 466 ss., a p. 494, par. 77. 23 Corte internazionale di giustizia, Avena and Other Mexican Nationals (Mexico v. USA), sentenza del 31 marzo 2004, ICJ Reports 2004, p. 12 ss., a pp. 35-36, par. 40. 24 Corte interamericana dei diritti umani, Advisory Opinion OC-16/99 “The Right to Information on Consular Assistance in the Framework of the Guarantees of the Due Process of Law”, 1° ottobre 1999, Series A, No. 16. 25 Ibidem, par. 141. 26 Report of the International Law Commission on the work of its fifty-third session, 23 April-1 June and 2 July-1 August 2001, UN Doc. A/56/10, in Yearbook of the International Law Commission, 2011, vol. I (Part Two), p. 95, par. 3. Vedi anche Gaja, “Droits des états et droits des individus dans le cadre de la protection diplomatique”, in J.-F. Flauss (dir.), La protection diplomatique, cit., p. 63 ss., a p. 64. 21 5 Il discorso sin qui fatto per alcune norme internazionali primarie vale anche per alcune norme internazionali secondarie. Ad esempio, le norme sui diritti umani relative alla riparazione dell’illecito hanno per destinatari anche gli individui vittime. Se uno Stato viola una norma primaria sui diritti umani che sia diretta anche nei confronti dell’individuo, si deve ritenere che lo Stato commetta un illecito e incorra in responsabilità internazionale anche nei confronti dell’individuo vittima; e che quest’ultimo acquisti, a livello internazionale, un diritto alla riparazione 27. Infine, anche nel caso delle norme internazionali talora dette terziarie (che stabiliscono forme di accertamento giurisdizionale o quasi-giurisdizionale del diritto internazionale), si deve ritenere che gli individui possano essere destinatari diretti di alcune di tali norme. Gli esempi più evidenti sono dati dai diritti di ricorso che gli individui hanno contro gli Stati dinanzi ad alcuni organi internazionali di controllo sui diritti umani. Anche il Progetto della CDI sulla protezione diplomatica conferma questa conclusione, poiché l’art. 16 del Progetto riconosce agli individui, persone fisiche e giuridiche, il diritto “to resort under international law to actions or procedures other than diplomatic protection to secure redress for injury suffered as a result of an internationally wrongful act”. In conclusione, in certi casi le norme internazionali primarie, secondarie e terziarie possono avere come destinatari formali e diretti gli individui. Si tratta di un cambiamento strutturale del diritto internazionale rispetto al passato. É questo cambiamento suscettibile di produrre un impatto sul regime tradizionale della protezione diplomatica al di là di quanto previsto dal relativo Progetto della CDI? A nostro avviso, la risposta è positiva. Se le norme internazionali sull’assistenza consolare hanno per destinatari attivi sia gli Stati che gli individui, sembra difficile sostenere che ciò non si possa estendere, più in generale, ad altre norme sul trattamento degli stranieri28. In altri termini, sembra ormai obsoleta, in questo settore, la vecchia finzione Vatteliana29, secondo cui, a livello internazionale, esiste solo un rapporto bilaterale tra il diritto dello Stato nazionale dello straniero e l’obbligo dello Stato territoriale. Il modo diverso, e più moderno, di concepire le norme sul trattamento degli stranieri sembra suscettibile di produrre un cambiamento anche nelle posizioni giuridiche dei tre attori coinvolti nel meccanismo della protezione diplomatica (l’individuo vittima, il suo Stato nazionale e lo Stato autore della violazione). Sembra logico ammettere che lo Stato nazionale, agendo in protezione diplomatica, asserisca non solo il proprio diritto, ma anche il diritto del suo cittadino, un diritto conferito direttamente dal diritto internazionale. In altre parole, sarebbe stato opportuno che l’art.1 del Progetto della CDI sulla protezione diplomatica e il relativo commento fossero stati formulati in maniera esplicita a favore di questa soluzione 30. Essa, se fosse stata perseguita in maniera convinta e coerente, avrebbe esaltato il ruolo dell’individuo nel meccanismo della protezione diplomatica e prodotto cambiamenti notevoli nella sua stessa struttura. Ma ciò, evidentemente, non era nelle intenzioni, più moderate, della CDI. In conclusione, i notevoli cambiamenti che, in virtù del nuovo ruolo dell’individuo, hanno investito il modo di concepire alcune norme primarie, secondarie e terziarie del diritto internazionale sembrano con il tempo destinati a cambiare, in misura significativa, anche le norme in materia di protezione diplomatica. 3.2. L’impatto dei diritti umani sui regimi del trattamento degli stranieri e della protezione diplomatica A partire dalla seconda metà del XX secolo, la teoria dei diritti umani si è progressivamente radicata a fondo nella vita della comunità internazionale e ha prodotto alcuni effetti tendenzialmente Vedi, inter alia, R. Pisillo Mazzeschi, “International Obligations to Provide for Reparation Claims?”, in A. Randelzhofer, C.Tomuschat (eds.), State Responsibility and the Individual: Reparation in Instances of Grave Violations of Human Rights, The Hague/London/Boston, 1999, pp.149-172; G. Bartolini, Riparazione per violazione dei diritti umani e ordinamento internazionale, Napoli, 2009. 28 Vedi anche Gaja, “Droits des états”, cit., p. 64, secondo il quale le regole sul trattamento degli stranieri possono attribuire diritti sia agli individui che agli Stati di cui essi sono cittadini. 29 Vedi supra, par. 1, nota 4. 30 Vedi la proposta del Governo italiano, supra, par. 2, nota 11. 27 6 rivoluzionari rispetto al diritto internazionale tradizionale. Essa ha esercitato un impatto sia su certi caratteri strutturali che su molti settori specifici del diritto internazionale 31. A noi interessa adesso la possibile influenza di tale teoria sul regime del trattamento degli stranieri e su quello della protezione diplomatica. Per quanto riguarda le norme (primarie) sul trattamento degli stranieri, l’opinione dominante è che esse abbiano subìto e tuttora subiscano l’impatto della teoria dei diritti umani. L’idea moderna, tipica della teoria dei diritti umani, che l’individuo è protetto dal diritto internazionale soprattutto come essere umano, piuttosto che come suddito di un altro Stato, ha inevitabilmente prodotto una tendenza delle norme sui diritti umani a sostituire gradualmente quelle sul trattamento degli stranieri, che tendono a rimanere residuali e ad applicarsi soprattutto in relazione a certi interessi economici di quest’ultimi, che non siano protetti da norme sui diritti umani 32. In questo processo, la netta separazione tra questi due regimi tende con il tempo a sparire, con la conseguenza che, nel frattempo, possono verificarsi casi frequenti di sovrapposizione (overlapping) tra i due settori normativi; cioè casi nei quali un’offesa subita da un individuo in uno Stato estero può simultaneamente dar luogo a una violazione delle norme sul trattamento degli stranieri e di quelle sui diritti umani. Si pensi, ad esempio, a un caso di tortura subìta da un individuo in uno Stato estero: essa può costituire sia una violazione delle norme tradizionali sulla protezione degli stranieri che una violazione delle norme più moderne sui diritti umani. Lo stesso si può verificare anche per altre gravi violazioni di diritti individuali: si pensi, ad esempio, a un diniego di giustizia. Non sono escluse dalla sovrapposizione tra i due regimi anche certe violazioni dei diritti economici di una persona; ad esempio, una privazione arbitraria di proprietà. Come vedremo, la violazione simultanea di norme primarie differenti pone alcune questioni difficili. Il problema è invece più complicato per quanto concerne le norme secondarie sulla protezione da parte degli Stati dei diritti individuali delle persone. Infatti, non vi è accordo in dottrina, ed è scarsa la prassi, circa i rapporti tra il meccanismo della protezione diplomatica e i vari meccanismi di protezione dei diritti umani, con speciale riguardo per quello di diritto internazionale generale costituito dalle norme sulla responsabilità degli Stati33. In particolare, qui interessa il rapporto tra l’invocazione della protezione diplomatica da parte dello Stato nazionale dell’individuo leso e l’invocazione della responsabilità da parte del medesimo Stato, contro lo Stato accusato dell’illecito 34. É la protezione diplomatica tradizionale ancora viva, efficace e autonoma oppure essa tende ad essere gradualmente assorbita dalla responsabilità degli Stati per violazione dei diritti umani? Inoltre, lo Stato nazionale della persona, che abbia subìto all’estero una violazione simultanea delle norme sul trattamento degli stranieri e di quelle sui diritti umani, può o deve far valere la protezione diplomatica oppure la responsabilità per violazione dei diritti umani? E, se lo Stato nazionale invoca la responsabilità per violazione dei diritti umani, esso agisce come Stato leso 35 o come Stato “non direttamente” leso 36? Vedi, inter alia, R. Pisillo Mazzeschi, Diritto internazionale dei diritti umani. Teoria e prassi, 2° ed., Torino 2023, spec. capitoli I, II e III. 32 Cfr. R. Pisillo Mazzeschi, “The Relationship between Human Rights and the Rights of Aliens and Immigrants”, in U. Fastenrath et al.(eds.), From Bilateralism to Community Interest: Essays in Honour of Judge Bruno Simma, Oxford, 2011, pp. 552-573; L. Condorelli, “La protection diplomatique et l’evolution de son domaine d’application”, in Rivista di diritto internazionale, vol. LXXXVI, 2003, p.19. 33 Tali norme, secondo un’opinione consolidata, si ricavano attualmente dal Progetto di articoli della CDI sulla responsabilità degli Stati. Cfr. International Law Commission, Draft Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, 1° Agosto 2001, in Yearbook of the International Law Commission, 2001, vol. II (Part Two), pp. 87-110. 34 Su questo tema vedi A.Vermeer-Künzli, “A Matter of Interest: Diplomatic Protection and State Responsibility Erga Omnes”, in International and Comparative Law Quarterly, vol. 56, 2007, pp. 553-582. 35 Vedi l’art 42 del Progetto della CDI sulla responsabilità degli Stati. 36 Cioè come Stato non leso ma legittimato a invocare la responsabilità dello Stato accusato dell’illecito. Vedi l’art.48 del Progetto della CDI sulla responsabilità degli Stati. 31 7 Queste domande sono complicate dal fatto che la dottrina si divide anche circa l’attuale definizione e ambito di applicazione della protezione diplomatica. Su questo punto si confrontano due orientamenti principali37. Secondo un primo orientamento 38, le norme sulla protezione diplomatica, avendo origini e caratteristiche diverse rispetto a quelle sulla tutela dei diritti umani perché fondate su un ordinamento internazionale strettamente stato-centrico, avrebbero conservato le loro caratteristiche originarie e non avrebbero subìto, se non marginalmente, l’impatto della teoria dei diritti umani. In altri termini, vi sarebbe una separazione netta tra l’istituto della protezione diplomatica e quello della responsabilità per violazione dei diritti umani. Pertanto non sarebbe corretto parlare di protezione diplomatica quando lo Stato nazionale (o un altro Stato legittimato) agisce contro un altro Stato per proteggere i diritti umani di un individuo 39. Questo orientamento, favorevole ad una protezione diplomatica “tradizionale” o ad una visione “restrittiva” della protezione diplomatica, ha finito per prevalere, sia pure con qualche contraddizione 40, nel Progetto di articoli della CDI sulla protezione diplomatica. Invece, in base ad un secondo orientamento 41, l’istituto della protezione diplomatica sarebbe soggetto a una radicale trasformazione, dovuta non solo all’affermazione dei diritti individuali 42, ma anche all’influenza esercitata dal diritto internazionale dei diritti umani. In sostanza, starebbe emergendo, accanto alla protezione diplomatica tradizionale, una forma di protezione diplomatica “estensiva”43 ovvero human rights-oriented. In altri termini, l’ambito di applicazione della protezione diplomatica si sarebbe ampliato e l’istituto sarebbe divenuto anche un meccanismo per la protezione dei diritti umani a disposizione dello Stato nazionale dell’individuo leso 44. Questo secondo orientamento sembra confermato dalla sentenza Diallo della Corte internazionale di giustizia, laddove la Corte ha sostenuto che l’ambito di applicazione della protezione diplomatica, originariamente limitato a violazioni dello standard minimo di trattamento degli stranieri, si è adesso ampliato fino a includere, tra l’altro, i diritti umani internazionalmente garantiti 45. In realtà, come è stato giustamente rilevato 46, il problema non è quello di accettare una definizione contemporanea più o meno ampia (estensiva o restrittiva) dell’istituto della protezione diplomatica Su di essi vedi, in maggior dettaglio, Papa, “Protezione diplomatica”, cit., pp. 670-678. Cfr. anche V. Pergantis, “Towards a “Humanization” of Diplomatic Protection?”, in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, vol. 66, 2006, p. 351 ss., spec. pp. 353-355 e 362-366. 38 Vedi, inter alia, G. Gaja, “Droits des états, cit., p. 65 ss.; Id., “Is a State Specially Affected when its Nationals’ Human Rights are Infringed?”, in Vohrah et al. (eds.), Man’s Inhumanity to Man. Essays on International Law in Honour of Antonio Cassese, The Hague, 2003, p. 373 ss.; P.H. Kooijmans,”Is the Right to Diplomatic Protection a Human Right?”, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, vol. III, Napoli, 2004, p. 1975 ss., pp. 1978 e 1984; S. Forlati, “Protection diplomatique, droits de l’homme et réclamations ‘directes’ devant la Cour internationale de justice. Quelques réflections en marge de l’arrêt Congo/Ouganda”, in Revue générale de droit international public, vol. 111, 2007, p. 114. 39 Gaja, “Droits des états”, cit. p. 66; Id, “Is a State Specially Affected”, cit., p.382. 40 In realtà, il Relatore Speciale Dugard concepiva la protezione diplomatica come un meccanismo valido anche per la protezione dei diritti umani. Cfr. Dugard, Firts report, cit., parr. 9, 29 -32. Invece, nel suo commento generale, la CDI afferma che la protezione diplomatica attiene al tema del trattamento degli stranieri. Cfr. International Law Commission, Draft Articles on Diplomatic Protection with commentaries, cit., p. 26, par. 2 41 Vedi, inter alia, Condorelli, “La protection diplomatique”, cit., pp. 18-23; C. Dominicé, “La prétention de la personne privée dans le système de la responsabilité internationale des Etats”, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, vol. II, Napoli, 2004, p. 729 ss.; M. Pinto, “De la protection diplomatique à la protection des droits de l’homme, in Revue générale de droit international public, vol. 106, 2002, p. 513 ss.; A. Vermeer-Künzli, The protection of individuals by means of diplomatic protection, Leiden, 2007, passim. Contra, Pergantis, “Towards a “Humanization””, cit., passim. 42 Vedi supra, par. 3.1. 43 Papa, “Protezione diplomatica”, cit., p. 678. 44 Condorelli, “La protection diplomatique”, cit., p. 19. 45 Corte internazionale di giustizia, Case Concerning Ahmadou Sadio Diallo (Republic of Guinea v. Democratic Republic of Congo), Preliminary Objections, sentenza del 24 maggio 2007, ICJ Reports, 2007, p. 599, par.39. Cfr. anche A. Vermeer-Künzli, “The ICJ and the Diallo Case”, in Leiden Journal of International Law, vol. 24, 2011, p. 607 ss. 46 Forlati, “Protection diplomatique”, cit. p. 94. 37 8 né quello di distinguere tra una protezione diplomatica “tradizionale” e una protezione diplomatica human rights-oriented. Questi costituiscono, in fondo, aspetti terminologici e non essenziali. Il vero problema è quello di stabilire in quali situazioni e con quali meccanismi uno Stato può agire per proteggere i diritti individuali dei propri cittadini lesi all’estero. Come si è già accennato, i meccanismi sono due e sono diversi: la protezione diplomatica e l’invocazione della responsabilità per violazione dei diritti umani47. In estrema sintesi, si possono ipotizzare tre differenti situazioni 48. La prima si verifica quando vi sia stata soltanto la violazione di una norma sul trattamento degli stranieri, ad esempio una norma in materia di diritto di stabilimento o di accesso alle professioni 49. Come si è detto, oggi questi casi hanno carattere residuale. Comunque, in questa situazione ci sembra che lo Stato nazionale dell’individuo leso possa agire soltanto tramite la protezione diplomatica “tradizionale”. Le conseguenze sono importanti. Infatti lo Stato dovrà rispettare le condizioni per agire stabilite dal Progetto di articoli della CDI sulla protezione diplomatica. Pertanto esso dovrà provare il legame di nazionalità (o altro legame ora ammesso dal Progetto); e dovrà provare che si è realizzata la condizione del previo esaurimento dei ricorsi interni da parte dell’individuo 50. La seconda situazione si realizza quando vi sia stata soltanto la violazione di una norma sui diritti umani. In questo caso, lo Stato nazionale dell’individuo leso, se la norma violata appartiene a un sistema convenzionale dotato di ricorsi interstatali di controllo, potrà azionare tali ricorsi. Nel caso, invece, che tali ricorsi non siano disponibili, lo Stato nazionale potrà invocare la responsabilità per violazione dei diritti umani da parte dello Stato offensore, sulla base degli articoli del Progetto della CDI sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti. A nostro parere, se si ritiene che quasi tutte le norme sui diritti umani stabiliscano obblighi solidali 51, la disposizione pertinente è l’art. 48 del Progetto, che si riferisce all’invocazione della responsabilità da parte di uno Stato diverso da quello leso nel caso di violazione di obblighi erga omnes (o erga omnes partes)52. Infatti, ci sembra che la posizione dello Stato nazionale dell’individuo leso possa essere equiparata a quella degli omnes53, ovvero non possa essere logicamente inferiore a quella degli omnes, per quanto riguarda i requisiti per l’invocazione della responsabilità. In questo caso, lo Stato non dovrebbe provare né il legame (di nazionalità o altro vincolo ammesso) con l’individuo 54 né la realizzazione della condizione del previo esaurimento dei ricorsi interni (poiché si tratterebbe di un ricorso statale “diretto”55). Un’alternativa potrebbe essere quella di considerare lo Stato nazionale dell’individuo leso legittimato a invocare la responsabilità come Stato leso 56, in quanto “specialmente colpito” dalla violazione ai I rapporti tra queste due istituzioni sono complicati e tuttora controversi, specie quando uno Stato agisce per proteggere i diritti umani di un suo cittadino da una violazione ad opera di un altro Stato. Cfr. Gaja, “Is a State Specially Affected”, cit., p. 373. 48 Vedi anche R. Pisillo Mazzeschi, “Impact on the Law of Diplomatic Protection”, in M.T. Kamminga, M. Scheinin (eds.), The Impact of Human Rights Law, cit. p. 230 ss. 49 Cfr. Condorelli, “La protection diplomatique”, cit., p. 19. 50 Vedi l’art, 14 del Progetto di articoli sulla protezione diplomatica. 51 Questa è la nostra tesi. 52 Art. 48(1): “Any State other than an injured State is entitled to invoke the responsibility of another State in accordance with paragraph 2 if: a) The obligation breached is owed to a group of States including that State, and is established for the protection of a collective interest of the group; or b) The obligation breached is owed to the international community as a whole”. 53 Vedi Gaja, “Is a State Specially Affected”, cit., p.379; Vermeer-Kunzli, “A Matter of Interest”, cit., pp. 553, 555, 571. Contra, Pergantis, “Towards a “Humanization””, cit., p.366. 54 Infatti la Corte internazionale di giustizia ha escluso che la condizione della nazionalità possa rappresentare un ostacolo quando uno Stato agisce per tutelare un interesse collettivo protetto da obblighi erga omnes partes. Tuttavia, i giudici hanno sottolineato la differenza tra tale azione e l’esercizio della protezione diplomatica. Cfr. Corte internazionale di giustizia, Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (The Gambia v. Myanmar: 7 States intervening), Preliminary Objections, sentenza del 22 luglio 2022, ICJ Reports, 2022, p. 477 ss., a p. 516, par. 109. 55 Ibidem, pp. 555, 579-580. Sui ricorsi statali “diretti” in relazione alla regola del previo esaurimento dei ricorsi interni cfr. R. Pisillo Mazzeschi, Esaurimento dei ricorsi interni e diritti umani, Torino, 2004, pp. 101-106 e 121-123. 56 Sembra favorevole a questa soluzione Condorelli, “La protection diplomatique”, cit., pp. 19 -20. Invece la esclude Gaja, “Droits des états”, cit., p. 67; Id., “Is a State Specially Affected “, cit, pp. 378-380. Ma, per una 47 9 sensi dell’art.42(b)(i) del Progetto sulla responsabilità degli Stati 57. In questa seconda ipotesi, lo Stato, per dimostrare di essere “specialmente colpito”, dovrebbe provare il legame di nazionalità con l’individuo leso. La terza situazione è la più problematica. Essa si verifica quando vi sia stata simultaneamente la violazione di una norma sul trattamento degli stranieri e di una norma sui diritti umani. In questo caso, in teoria si aprono due diversi percorsi di norme secondarie. La soluzione più convincente ci sembra quella di consentire allo Stato nazionale dell’individuo leso la possibilità di scegliere se ricorrere alla protezione diplomatica “tradizionale” o invocare la responsabilità per violazione dei diritti umani ex art. 48(1) o ex art. 42(b)(i) del Progetto di articoli della CDI sulla responsabilità degli Stati. Tuttavia, questa soluzione presenta alcuni aspetti paradossali, poiché, come si è visto, lo Stato incontra condizioni “procedurali” più favorevoli se sceglie di far valere la violazione dei diritti umani e di agire sulla base del citato art. 48(1) 58. Questa terza situazione è illustrata dal caso Congo c. Uganda, deciso dalla Corte internazionale di giustizia nel 2005 59, e specie dall’opinione individuale del giudice Simma. L’Uganda, con una domanda riconvenzionale, chiedeva alla Corte di stabilire che il Congo aveva commesso una serie di violazioni del minimum standard di trattamento degli stranieri nei confronti dei suoi agenti diplomatici e di alcuni individui privati, tra i quali diciassette cittadini ugandesi. La Corte ha accolto una parte della domanda; ma ha dichiarato inammissibile la parte relativa al trattamento subìto al di fuori dell’ambasciata ugandese da individui privati. Secondo la Corte, con questo aspetto della domanda, l’Uganda cercava di esercitare la protezione diplomatica dei suoi cittadini; ma non aveva dimostrato il loro vincolo di nazionalità60. Tuttavia, nella sua opinione individuale, il giudice Simma ha giustamente rilevato che la protezione diplomatica non era il solo meccanismo possibile per invocare la responsabilità per il trattamento subìto da tali individui; e che questo aspetto della domanda ugandese sarebbe stato ammissibile se fosse stato fondato, anziché sulla protezione diplomatica, sulla responsabilità per violazione di diritti umani e di obblighi erga omnes, sulla base dell’art.48 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati 61. Ciò conferma che lo Stato nazionale dell’individuo leso, dal punto di vista della legittimazione ad agire, può avere un interesse a invocare la responsabilità ex art. 48 piuttosto che ad agire in protezione diplomatica62. D’altra parte, la Corte internazionale di giustizia, nel caso Belgio c. Senegal63, ha ritenuto che, nel caso di violazione di obblighi erga omnes, la qualificazione dello Stato attore come “leso” o come “diverso da uno Stato leso ma legittimato a invocare la responsabilità” non fosse rilevante ai fini della legittimazione ad agire. Il Belgio invocava la responsabilità del Senegal per violazione di alcuni obblighi contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e si qualificava a tal fine sia come Stato “leso” che come Stato “diverso da uno Stato leso”. I giudici affermarono che tutti gli Stati parti della Convenzione contro la tortura possiedono un interesse giuridico alla protezione dei diritti – poiché corrispondenti a obblighi erga omnes partes – in essa sanciti, indipendentemente posizione più sfumata, vedi Id., “The Protection of General Interests in the International Community. General Course on Public International Law (2011)”, in Recueil des Cours, vol. 364, 2014, p. 102. 57 Art. 42(b)(i): “A State is entitled as an injured State to invoke the responsibility of another State if the obligation breached is owed to: … b) A group of States including that State, or the international community as a whole, and the breach of the obligation: i) Specially affects that State…”. 58 Sul complicato rapporto tra protezione diplomatica e responsabilità per violazione dei diritti umani vedi anche E. Milano, “Diplomatic Protection and Human Rights before the International Court of Justice: ReFashioning Tradition”, in Netherlands Yearbook of International Law, vol. 35, 2004, p. 85 ss., spec. pp. 102109. 59 Corte internazionale di giustizia, Armed Activities on the Territory of the Congo (Democratic Republic of the Congo v. Uganda), sentenza del 19 dicembre 2005, ICJ Reports, 2005, p. 168 ss. 60 Ibidem, p. 276, parr. 332-333. 61 Ibidem, opinione individuale del giudice Simma, parr. 16-41. 62 Ma, com’è noto, sono diverse le conseguenze della responsabilità che possono essere invocate rispettivamente dallo Stato “leso” e dallo Stato “non direttamente leso”. Vedi l’art. 48(2) del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati. 63 Corte internazionale di giustizia, Questions relating to the Obligation to Prosecute or Extradite (Belgium v. Senegal), sentenza del 20 luglio 2012, ICJ Reports, 2012, p. 422 ss. 10 dal fatto che siano qualificabili come Stati lesi64; pertanto, essi possono agire in giudizio per far valere la responsabilità di un altro Stato 65. In definitiva, da quanto fin qui detto si deduce che, anche in materia di norme secondarie, l’impatto dei diritti umani è importante, poiché il regime di responsabilità per violazione dei diritti umani (venga definito o no come una sorta di protezione diplomatica “estensiva”) è destinato ad assorbire in molti casi il regime tradizionale della protezione diplomatica 66. 4. Un diritto umano dell’individuo alla protezione diplomatica? Si è visto67 che la compiuta affermazione dei diritti individuali nell’ordinamento internazionale può logicamente condurre all’idea che lo Stato nazionale, agendo in protezione diplomatica, asserisce sia il proprio diritto che il diritto del suo cittadino 68. Un ulteriore sviluppo di questa idea, anche sotto l’influenza della teoria dei diritti umani, può portare a mettere in discussione la regola classica della discrezionalità dello Stato nell’esercizio della protezione diplomatica. In altri termini, si prospetta la possibilità che il diritto internazionale, in circostanze particolari, legate a gravi violazioni di diritti umani fondamentali, riconosca un vero e proprio diritto dell’individuo alla protezione diplomatica o, quantomeno, preveda alcuni limiti alla regola della piena discrezionalità dello Stato. In sintesi, si può ipotizzare, in certi casi, un diritto umano dell’individuo alla protezione diplomatica? 4.1. I lavori della CDI e l’art.19 del Progetto sulla protezione diplomatica Nel quadro dei lavori della CDI sulla protezione diplomatica, il Relatore Speciale Dugard, fin dal suo primo rapporto del 200069, aveva suggerito di introdurre nel Progetto di articoli, a titolo di sviluppo progressivo del diritto internazionale, l’obbligo degli Stati di esercitare la protezione diplomatica, su richiesta del proprio cittadino, quando essa venisse invocata a seguito di una grave violazione dello ius cogens e l’individuo leso non avesse accesso a una corte o un tribunale internazionale competente. Il progetto di articolo 4(1) recitava: “Unless the injured person is able to bring a claim for such injury before a competent international court or tribunal, the State of his/her nationality has a legal duty to exercise diplomatic protection on behalf of the injured person upon request, if the injury results from a grave breach of a jus cogens norm attributable to another State”70 La disposizione era completata dalla previsione secondo cui gli Stati erano obbligati a introdurre nei propri ordinamenti interni norme per l’esecuzione del diritto alla protezione diplomatica dinanzi a corti nazionali competenti o altre autorità nazionali indipendenti71. Tuttavia, l’obbligo dello Stato veniva meno in alcune circostanze particolari72. Il Relatore Speciale, in merito alle violazioni dello ius cogens, aveva in mente soprattutto le gravi violazioni dei diritti umani fondamentali 73. Corte internazionale di giustizia, Questions relating to the Obligation to Prosecute or Extradite, cit., par. 68. 65 Ibidem, par. 70. 66 Per un’opinione diversa vedi Milano, “Diplomatic Protection and Human Rights”, cit., spec. pp. 106 -107. 67 Vedi supra, par. 3.1. 68 Si è già rilevato (supra, par. 2) che la CDI, nel suo commento all’art.1 del Progetto sulla protezione diplomatica, ha volutamente lasciata aperta la questione se lo Stato che esercita la protezione diplomatica lo faccia in base a un suo diritto o a quello dell’individuo leso o a quello di entrambi. 69 Dugard, First report, cit. 70 Ibidem, par. 74. 71 Ibidem, art. 4(3). 72 Ibidem, art. 4(2): “The State of nationality is relieved of this obligation if: a) The exercise of diplomatic protection would seriously endanger the overriding interests of the State and/or its people; b) Another State exercises diplomatic protection on behalf of the injured person; c) The injured person does not have the effective and dominant nationality of the State”. 73 Ibidem, commento all’art.4, spec. parr. 87-89. 64 11 La Commissione non accettò la proposta del Relatore Speciale, ritenendo che essa fosse troppo innovativa rispetto alla prassi esistente. In effetti, la proposta conteneva alcuni limiti 74, tra i quali il riferimento troppo generico allo ius cogens. Nel 2006, la questione si pose nuovamente, a seguito delle osservazioni inviate dal Governo italiano sul Progetto di articoli approvato dalla CDI in prima lettura nel 2004. Secondo la proposta italiana 75, che riprendeva e precisava la proposta di Dugard, uno Stato ha l’obbligo giuridico di esercitare la protezione diplomatica a favore dell’individuo leso, se due requisiti sono soddisfatti: a) l’offesa risulta da una violazione grave, attribuibile a un altro Stato, di un obbligo internazionale d’importanza fondamentale per la salvaguardia dell’integrità della persona umana, quale la protezione del diritto alla vita, il divieto di tortura o di trattamento o punizione inumana o degradante, e i divieti di schiavitù e di discriminazione razziale; e b) la persona lesa non ha la possibilità di adire un organo giurisdizionale o quasi-giurisdizionale competente. La proposta italiana, rispetto a quella del Relatore Speciale, evitava il riferimento generico allo ius cogens e cercava invece di precisare, sia pure con un catalogo esemplificativo, i diritti umani la cui violazione comportava un obbligo dello Stato di agire in protezione diplomatica. Inoltre, nella eccezione di cui alla lettera b), aggiungeva il ricorso a un organo quasi-giurisdizionale. L’idea alla base della proposta italiana era che una deroga alla regola del potere discrezionale dello Stato fosse opportuna, nelle circostanze eccezionali indicate, perché in tali circostanze entrano in gioco valori fondamentali sulla dignità della persona umana, riconosciuti dalla comunità internazionale nel suo insieme. Inoltre, in tali circostanze eccezionali, la protezione diplomatica costituisce l’unico rimedio disponibile per l’individuo leso. In altri termini, la protezione di certi diritti umani fondamentali, per essere effettiva, necessita di un rimedio procedurale in caso di loro violazione: quando la protezione diplomatica è l’unico rimedio disponibile, l’individuo leso deve avere un diritto umano “procedurale” a ottenere la protezione diplomatica dal proprio Stato. Ciò è confermato anche dall’esistenza, nel diritto internazionale contemporaneo, di un diritto di accesso alla giustizia per violazione dei diritti umani fondamentali76. La proposta del Governo italiano fu approvata da alcuni Stati, ma criticata da altri; e pertanto non fu adottata dalla CDI nel suo Progetto di articoli sulla protezione diplomatica del 2006. Tuttavia, la Commissione era stata indotta a riesaminare la questione, e decise alla fine di inserire nel Progetto un nuovo articolo 19, intitolato “Recommended practice” e così formulato: “A State entitled to exercise diplomatic protection according to the present draft articles, should: a) Give due consideration to the possibility of exercising diplomatic protection, especially when a significant injury has occurred. b) Take into account, wherever feasible, the views of the injured persons with regard to resort to diplomatic protection and the reparation to be sought; and c) Transfer to the injured person any compensation obtained for the injury from the responsible State subject to any reasonable deductions” 77 Il preciso significato del termine “significant injury” non viene precisato nel commento dell’art.19. Ma da tale commento si deduce che la disposizione intende applicarsi soprattutto alle gravi violazioni dei diritti umani78. É chiaro che l’art.19, sia per la sua formula meramente esortativa che per il suo linguaggio prudente, costituisce un risultato inferiore rispetto a ciò che veniva richiesto dalla proposta originaria di Dugard e da quella successiva del Governo italiano. Tuttavia, si tratta pur sempre di una disposizione interessante, che vuole favorire uno sviluppo progressivo del diritto internazionale. Per una critica alla proposta del Relatore Speciale Dugard, vedi Papa, “Protezione diplomatica”, cit., pp. 719723; Pergantis, “Towards a “Humanization””, cit., pp. 377-378. 75 UN Doc. A/CN.4/561/Add.2 del 12 aprile 2006, pp. 2-8, in Yearbook of the International Law Commission, 2006, vol. II (Part One), p. 38. 76 Vedi, ex multis, R. Pisillo Mazzeschi, Diritto internazionale dei diritti umani, cit., pp. 301-317. 77 International Law Commission, Draft Articles on Diplomatic Protection with commentaries, cit., pp. 25-26. 78 Ibidem, pp. 53-54, parr.1-3. 74 12 4.2. Ulteriori sviluppi: la prassi nazionale Un altro sviluppo è in corso di svolgimento, tramite una tendenza della prassi nazionale a porre dei limiti alla discrezionalità dello Stato nell’esercizio della protezione diplomatica. In primo luogo, conviene notare che alcune costituzioni di Stati europei, pur non parlando specificamente di “protezione diplomatica”, riconoscono il diritto del cittadino di godere all’estero della protezione da parte del proprio Stato 79. Tuttavia, non è chiaro se tale diritto, piuttosto generico, sia davvero equivalente alla protezione diplomatica e se esso sia giustiziabile dinanzi ai giudici interni di tali Stati80. In secondo luogo, è importante la giurisprudenza di alcuni Stati, europei ed extraeuropei, che affronta, in maniera più specifica, il tema dei limiti alla discrezionalità statale nella protezione diplomatica. Di solito, i ricorrenti hanno sostenuto di avere un diritto alla protezione diplomatica da parte del proprio Stato, in virtù del diritto internazionale e/o del diritto nazionale. I giudici hanno quasi sempre sostenuto che il Governo ha una discrezionalità nell’esercizio della protezione diplomatica; ma hanno anche affermato che la decisione del Governo di negare la protezione diplomatica è sottoposta a controllo giurisdizionale, sulla base, volta per volta, di alcuni princìpi, quali la razionalità, la ragionevolezza, la non arbitrarietà, la buona fede, l’abuso di diritto e il rispetto delle legittime aspettative. Faremo soltanto alcuni esempi di tale giurisprudenza 81. In Germania, la Corte costituzionale federale ha affermato nel 1980, nel leading case Hess 82, che “the organs of the Federal Republic … have a constitutional duty to provide protection for German nationals and their interests in relation to foreign States” 83. Inoltre la Corte, dopo aver riconosciuto al Governo federale una discrezionalità nel decidere se e come esercitare la protezione diplomatica, ha deciso che il Governo debba comunque rispettare i criteri della ragionevolezza e della non arbitrarietà, rilevando che “the role of administrative courts was consequently confined to the review of actions and omissions of the Federal Government for abuses of discretion” 84. Nei Paesi Bassi, nel caso HMHK c. Paesi Bassi85, la Corte d’appello dell’Aja ha sostenuto che, ai sensi del diritto olandese, “the State can in general be required to provide assistance through its diplomatic representatives to Dutch nationals abroad if they are detained in custody” 86. Quindi la Corte ha detto che il controllo giurisdizionale sull’esercizio del potere discrezionale del Governo è volto a verificare “if the assistance provided is substantially less than or different from the assistance which the Dutch Government and its diplomatic representatives might reasonably have been expected to provide” 87. In Svizzera vi è una giurisprudenza significativa. Nel caso N. et Consorts c. Confederazione Svizzera88, il Tribunale Federale Svizzero ha stabilito che il margine di apprezzamento di cui gode la Confederazione nella concessione della protezione diplomatica ai propri cittadini “ne signifie pas qu’ elle puisse agir arbitrairement dans ce domaine”89. Inoltre, il Tribunale ha precisato che “à partir du moment où la Confédération accepte d’intervenir … elle ne doit pas agir de manière nuisible aux Cfr., ad es., le costituzioni di Ungheria (artt. D, G(2), XXVII(2)), Bulgaria (art. 25(5)), Lituania (art. 13), Estonia (art. 13(1)), Portogallo (art. 14), Russia (art. 61(2)). 80 Sul punto vedi Dugard, “Diplomatic Protection”, cit., p. 61; Id., First report, cit., par. 80. 81 Per un esame più approfondito vedi A. M. H. Vermeer-Künzli, “Restricting Discretion: Judicial Review of Diplomatic Protection”, in Nordic Journal of International Law, vol. 75, 2006, p. 279 ss.; Id., The protection of individuals by means of diplomatic protection, cit., Cap. VI. Vedi anche Dugard, “Diplomatic Protection”, cit., pp. 62-68; Pergantis, “Towards a “Humanization””, cit., pp. 379-386. 82 Corte costituzionale federale tedesca (BVerfG), Rudolf Hess Case, sentenza del 16 dicembre 1980, rip. in International Law Reports, vol. 90, pp. 387-400. 83 Ibidem, p. 395. 84 Ibidem. 85 Corte d’appello dell’Aja, HMHK v. Netherlands, sentenza del 22 novembre 1984, rip. in International Law Reports, vol. 94, pp. 342-346. 86 Ibidem, p. 345. 87 Ibidem. 88 Tribunale federale svizzero, N. et Consorts c. Confédération Suisse, sentenza del 6 ottobre 1995, non pubblicata ma citata in Revue suisse de droit international et de droit européen, vol. 6, 1996, p. 612. 89 Ibidem, p. 614. 79 13 intérêts de ses ressortissants”90; e che non è esclusa in materia la responsabilità della Confederazione nei confronti dei propri cittadini lesi. Nel caso E. c. Dipartimento Federale degli Affari Esteri91, il Consiglio Federale Svizzero ha stabilito che l’unica restrizione sull’esercizio discrezionale della protezione diplomatica da parte dello Stato è costituita dal divieto di arbitrarietà. Nel caso Groupement X c. Consiglio Federale 92, il Tribunale Federale Svizzero ha confermato l’orientamento della giurisprudenza precedente, secondo cui gli organi governativi non possono agire in maniera arbitraria in tema di protezione diplomatica. Poi, in un passaggio importante della sentenza, ha interpretato le norme costituzionali in maniera conforme all’art.6 della Convenzione europea dei diritti umani, affermando che il diritto di accesso a un tribunale indipendente e imparziale deve essere rispettato anche in tema di controllo sulla decisione del Governo di agire (o non) in protezione diplomatica. Nel Regno Unito si segnala, come particolarmente interessante, il caso Abbasi 93, deciso dalla Corte d’appello di Inghilterra e Galles nel 2002. Sotto un primo profilo, relativo alla situazione giuridica del cittadino che richiede la protezione diplomatica, la Corte ha affermato che “it must be a ‘normal expectation of every citizen’ that, if subjected abroad to a violation of a fundamental right, the British Government will not simply wash their hands of the matter and abandon him to his fate” 94. Quindi la Corte ha riconosciuto che l’esercizio della protezione diplomatica è lasciato alla discrezionalità del Segretario di Stato; ma ha precisato che ciò “does not mean the whole process is immune from judicial scrutiny. The citizen’s legitimate expectation is that his request will be ‘considered’, and that in that consideration all relevant factors will be thrown into the balance” 95. Sotto un secondo profilo, relativo all’incidenza del tipo di violazione subìta dall’individuo, la Corte ha stabilito che, tra i vari fattori posti sulla bilancia, “one vital factor … is the nature and extent of the injustice” 96. Ma poi ha precisato che, anche nell’ipotesi di una grave ingiustizia, ci possono essere superiori ragioni di politica estera che possono indurre il Segretario di Stato a non intervenire in protezione diplomatica. Tuttavia, la Corte ha aggiunto che “unless and until he has formed some judgment as to the gravity of the miscarriage, it is impossible for that balance to be properly conducted” 97. In Sudafrica, nel caso Kaunda98, la Corte costituzionale sudafricana ha riconosciuto che il diritto internazionale non obbliga gli Stati a fornire protezione diplomatica ai propri cittadini; tuttavia ha affermato che la Costituzione sudafricana, interpretata alla luce dei diritti umani internazionali, impone al governo un impegno a proteggere i propri cittadini all’estero. Il giudice Chaskalson, per conto della maggioranza della Corte, ha dichiarato: “There may thus be a duty on government, consistent with its obligations under international law, to take action to protect one of its citizens against a gross abuse of international human rights norms. A request to government for assistance in such circumstances where the evidence is clear would be difficult, and in the extreme cases possibly impossible to refuse. It is unlikely that such a request Ibidem, p. 615. Consiglio federale svizzero, E. c. Département Fédéral des Affaires Étrangères, decisione del 14 gennaio 2004, rip. da L. Caflish, “La pratique suisse en matière de droit international public 2004”, in Revue suisse de droit international et de droit européen, vol. 15, 2005, p. 743. 92 Tribunale federale svizzero, Groupement X c. Conseil Fédéral, sentenza del 2 luglio 2004, commentata da J.-F. Flauss, “Le contentieux des decisions de refus d’exercice de la protection diplomatique. A propos de l’arrêt du Tribunal fédéral suisse du 2 juillet 2004, Groupement X c. Conseil fédéral”, in Revue générale de droit international public, vol. 109, 2005, p. 407 ss. 93 Corte d’appello di Inghilterra e Galles, Abbasi and Another v. Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs and Another, sentenza del 6 novembre 2002, [2002] EWCA Civ 1598, rip. in International Law Reports, vol. 125, p. 685 ss. Per un commento vedi L. Vierucci, “Il caso Abbasi: la detenzione arbitraria a Guantanamo davanti al giudice inglese”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, vol. 39, 2003, p. 911 ss. 94 Corte d’appello di Inghilterra e Galles, Abbasi, cit., pp. 722-723, par. 98. 95 Ibidem, p.723, par. 99. 96 Ibidem, par.100. 97 Ibidem. 98 Corte costituzionale sudafricana, Kaunda and Others v. President of the Republic of South Africa and Others, sentenza del 4 agosto 2004, rip. in International Law Reports, vol. 136, p. 452 ss. 90 91 14 would ever be refused by government, but if it were, the decision would be justiciable and a court would order the government to take appropriate action”99 E inoltre: “If government refuses to consider a legitimate request, or deals with it in bad faith or irrationally, a court could require government to deal with the matter properly. Rationality and bad faith are illustrations of grounds on which a court may be persuaded to review a decision. There may possibly be other grounds as well and these illustrations should not be understood as a closed list” 100 Nella Corea del Sud, la Corte costituzionale 101, decidendo sulle c.d. “comfort women” ridotte in schiavitù sessuale dal Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, ha stabilito che tali donne avevano un diritto alla protezione da parte del Governo coreano, invocando l’art.19 del Progetto di articoli della CDI sulla protezione diplomatica. La Corte ha respinto l’argomento del Governo coreano, secondo cui l’esercizio di tale protezione avrebbe logorato i rapporti diplomatici con il Giappone. In Italia, la Corte di Cassazione si è pronunciata, nel 2011, su una controversia attinente al mancato esercizio della protezione diplomatica a favore di una società che lamentava una violazione dei propri diritti economici e chiedeva un risarcimento dei danni102. La Corte ha stabilito che il potere statale di protezione diplomatica “esula del tutto dal novero degli atti politici stricto sensu” 103. Pertanto “il rigetto della domanda risarcitoria motivato dal difetto di giurisdizione per la pretesa natura politica dell’attività lesiva … si risolve nella sostanza nel diniego, in astratto, di qualsiasi posizione giuridica azionabile dal privato”104; e quindi configura una violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione. La Corte ha aggiunto: “In ordine all’illegittimo esercizio – ovvero, come nella specie, al mancato esercizio di tali poteri – sussistono, pertanto, inalienabili posizioni soggettive di interesse legittimo (assimilabili alle legitimate expectations previste e tutelate in Common law in ordine all’esercizio di poteri derivanti, come nella specie, dal diritto internazionale consuetudinario), rispetto alle quali si pone al di fuori dei limiti (negativi) della potestas iudicandi dell’organo di giustizia amministrativa il diniego assoluto di tutela giurisdizionale …”105. Il Consiglio di Stato106, al quale la Cassazione aveva rinviato la causa per la sua trattazione nel merito, ha respinto il ricorso della società per mancanza, nel caso di specie, del rapporto di causalità tra l’(in)attività della pubblica amministrazione e il danno lamentato dalla ricorrente. Ma il Consiglio ha anche detto che sarebbe spettato ai titolari del potere politico decidere, nell’ambito di un elevato margine di apprezzamento, se porre in essere le misure di protezione diplomatica 107. In realtà, in Italia appare contraddittoria non solo la giurisprudenza, ma anche la prassi del Governo. Emblematico è il caso di Giulio Regeni, il cittadino italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016 ad opera di individui-organi dello Stato egiziano 108. Il Governo italiano, che pure aveva presentato nel 2006, nel quadro delle NU, una proposta progressista in tema di diritto alla protezione Ibidem, par. 69. Ibidem, par. 80. Tuttavia, in alcuni casi più recenti, le corti sudafricane hanno cercato di limitare l’ambito di applicazione della sentenza Kaunda. Vedi i casi citati da Dugard, “Diplomatic Protection”, cit., pp. 64-66. 101 Corte costituzionale della Repubblica di Corea, Anonymous (64 former Japanese military sex slaves) v. Minister of Foreign Affairs and Trade, sentenza del 30 agosto 2011, 23-2(A) KCCR 366, ILDC 1880 (KR2011), rip. in Oxford Reports on International Law. 102 Cassazione (sez. un. civ.), sentenza n. 21581 del 19 ottobre 2011, in Rivista di diritto internazionale, vol. XCV, 2012, p. 258 ss. 103 Ibidem, par. 4.2. 104 Ibidem, par. 4. 105 Ibidem, par. 5. 106 Consiglio di Stato (sez. VI), sentenza del 29 maggio 2014, Il Tuo Viaggio s.r.l. c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero degli affari esteri, in Rivista di diritto internazionale, vol. XCVII, 2014, p. 1254 ss. 107 Ibidem, par. 7. 108 Vedi R. Pisillo Mazzeschi, “Il caso Regeni: alcuni profili di diritto internazionale”, in Ordine internazionale e diritti umani, 2018, p. 526 ss.; E. Sciso, “Il caso Regeni: la difficile sintesi tra diritti inviolabili dell’uomo, protezione diplomatica e interessi dello Stato”, in Rivista di diritto internazionale, vol. CIV, 2021, p. 197 ss.; Id., “C’è un giudice a Roma per Giulio Regeni”, in Ordine internazionale e diritti umani, 2024, p. 359 ss. 99 100 15 diplomatica109, non ha voluto esercitare la protezione diplomatica dei genitori di Giulio Regeni nei confronti dell’Egitto. In particolare, non ha azionato la procedura di risoluzione pacifica delle controversie prevista dall’art.30 della Convenzione delle NU contro la tortura110. 5. Conclusioni Il diritto internazionale contemporaneo sulla protezione diplomatica deve fare riferimento al Progetto di articoli della CDI del 2006 che, come si è detto 111, esercita influenza sul diritto consuetudinario. Tuttavia, tale Progetto presenta vari aspetti critici. L’obiettivo della CDI era quello di aggiornare e “rivitalizzare” un istituto classico, che era in una fase di declino e di diminuzione di importanza. Per perseguire questo scopo, la Commissione aveva due possibilità: a) quella di mantenere sostanzialmente invariata la struttura tradizionale della protezione diplomatica, apportando soltanto alcuni piccoli cambiamenti; b) quella, invece, di adattare l’istituto, fondato su un diritto internazionale esclusivamente interstatale, ai processi di modernizzazione di tale diritto, e soprattutto ai cambiamenti strutturali costituiti dal nuovo ruolo dell’individuo e dall’impatto della teoria dei diritti umani. La Commissione ha finito per percorrere, in gran parte, la prima strada; ma, nel Progetto di articoli, appaiono anche alcune concessioni a quell’idea della protezione diplomatica human rights-oriented, che era sostenuta dal Relatore Speciale Dugard. Pertanto, alcune disposizioni importanti del Progetto appaiono il frutto di un compromesso, non molto riuscito, tra la posizione minoritaria del Relatore Speciale e le posizioni della maggioranza della Commissione. In definitiva, nessuna delle due strade più nette è stata perseguita con coerenza e il risultato è che il Progetto lascia alcuni importanti problemi non risolti. Ci limitiamo a indicarne tre. Il primo problema riguarda la mancata considerazione, nell’insieme del Progetto, del fenomeno della crescita del ruolo dell’individuo nel diritto internazionale. Questa omissione si nota, ad esempio, per quanto riguarda la questione centrale circa la definizione stessa della protezione diplomatica. Come si è visto, l’art.1 del Progetto non chiarisce se lo Stato che esercita la protezione diplomatica agisca sulla base di un suo diritto o di un diritto del suo cittadino o di un diritto di entrambi. Evidentemente la Commissione non ha raggiunto l’accordo su tale questione. Ma ciò non toglie che si tratti di una lacuna importante. Tanto più alla luce della sentenza LaGrand della Corte internazionale di giustizia. Se la CDI avesse accolto la soluzione offerta dalla sentenza LaGrand, avrebbe concluso che la protezione diplomatica serve a reagire alla violazione di un diritto dello Stato e dell’individuo. Questa soluzione avrebbe influenzato anche altri articoli del Progetto, ad esempio l’art.19, che avrebbe potuto dare maggiore importanza ai diritti individuali. Il secondo problema irrisolto riguarda il rapporto tra la protezione diplomatica e il diritto internazionale dei diritti umani. Si tratta di un rapporto complicato, poiché, come è stato detto 112, i due regimi giuridici rispondono a filosofie molto diverse. Tuttavia si trattava di un tema ineludibile. Invece, il Progetto della CDI non affronta tale problema in maniera generale e approfondita; ma si limita a inserire alcuni aggiornamenti all’istituto tradizionale della protezione diplomatica, ispirati a scopi genericamente umanitari113. In realtà, dal Progetto nel suo complesso si ricava l’impressione che la maggioranza della CDI abbia inteso mantenere separate la protezione diplomatica e i diritti umani e non abbia accolto le idee più progressiste del Relatore Speciale Dugard. Ma ciò non in maniera del tutto coerente, poiché non è chiaro se dal Progetto emerga una protezione diplomatica “restrittiva” oppure una “estensiva”. Infatti, da una parte, l’art. 1 parla di invocazione della Vedi supra, par. 4.1. Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, New York, 10 dicembre 1984. Recentemente, sulla base dell’art.30 della Convenzione, il Canada e i Paesi Bassi hanno presentato un ricorso alla Corte internazionale di giustizia contro la Siria, accusata di molteplici violazioni della Convenzione medesima. Vedi Corte internazionale di giustizia, Application of the Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (Canada and The Netherlands v. Syrian Arab Republic), Joint Application Instituting Proceedings, 8 giugno 2023. 111 Vedi supra, par. 2. 112 Milano, “Diplomatic Protection and Human Rights”, cit., p.137. 113 Vedi supra, par. 2. 109 110 16 responsabilità per un’offesa causata da un “fatto internazionalmente illecito” (internationally wrongful act). Pertanto, questa disposizione tende ad ampliare l’ambito di applicazione della protezione diplomatica, cosicché l’illecito può consistere anche nella violazione di un diritto umano. D’altra parte, però, nel commentario si legge che la protezione diplomatica attiene al tema del trattamento degli stranieri114. Anche la previsione generale circa il funzionamento della regola del previo esaurimento dei ricorsi interni (artt. 14 e 15) sembra confermare questa seconda posizione. Infine, il terzo problema, che si collega al secondo, riguarda i rapporti tra il Progetto della CDI sulla protezione diplomatica del 2006 e il Progetto della CDI sulla responsabilità degli Stati del 2001. Il coordinamento tra i due Progetti è difficoltoso. Per quanto qui interessa, come si è visto, non è chiaro il rapporto tra protezione diplomatica e responsabilità per violazione dei diritti umani, cioè per violazione di obblighi erga omnes. Più in particolare, quando lo Stato nazionale intende proteggere i diritti di un suo cittadino vittima di una violazione dei diritti umani commessa da un altro Stato, dovrà agire in protezione diplomatica tradizionale, oppure in protezione diplomatica “estensiva”, oppure sulla base del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati? E gli ultimi due meccanismi sono equivalenti? Il Progetto non risponde a questi interrogativi 115. Tuttavia, il diritto internazionale si evolve; e anche l’istituto della protezione diplomatica ci sembra destinato a non restare per molto tempo ancorato al Progetto di articoli del 2006. La sempre maggiore integrazione del regime dei diritti umani in quello sul trattamento degli stranieri è destinata, prima o poi, a portare la “nuova” filosofia dei diritti umani anche nel “vecchio” istituto della protezione diplomatica. Già l’art.19 del Progetto ha la funzione di promuovere lo sviluppo progressivo dell’istituto, seppur limitato alle gravi violazioni dei diritti umani fondamentali. Ma ancor più importante ci sembra la giurisprudenza interna statale, che tende verso un controllo giurisdizionale del potere discrezionale degli Stati in tema di protezione diplomatica. Questa giurisprudenza potrebbe, in futuro, fondarsi non solo sulle costituzioni e sul diritto nazionale; ma anche sul diritto internazionale sotto due aspetti. In primo luogo, potrebbe basarsi sull’argomento, avanzato da alcuni studiosi116, per cui nei trattati sui diritti umani è implicito un obbligo dello Stato di proteggere i propri cittadini all’estero, specie quando si tratta di violazioni di diritti umani fondamentali. In secondo luogo, potrebbe essere valorizzato l’argomento basato sul diritto di accesso alla giustizia, concepito non solo come diritto costituzionale, ma anche come un diritto umano fondamentale a livello internazionale. Cfr. International Law Commission, Draft Articles on Diplomatic Protection with commentaries, cit., p. 26, par. 2. 115 Per parte nostra, abbiamo cercato (con difficoltà) di dare una soluzione a tali questioni. Vedi supra, par. 3.2. 116 Kooijmas, “Is the Right to Diplomatic Protection”, cit., p. 1984; Dugard, “Diplomatic Protection”, cit., p. 68; N. Karazivan, “Diplomatic Protection: Taking Human Rights Extraterritorially”, in Canadian Yearbook of International Law, vol.44, 2006, pp. 347-348. 114 17