Dott.ssa Maria Concetta Di Trapani
Psicologa Psicoterapeuta
Analista del Movimento e del Linguaggio non verbale
L’ascolto del minore nella Valutazione Psicologica
dei Procedimenti Civili
Sono onorata di partecipare alla giornata di studio multidisciplinare sul tema
dell’ascolto del minore all’interno del ciclo di seminari dedicati alla dottoressa
Paola Carotenuto. Mi commuove pensarla al passato e credo che questa possa
essere l’occasione per potere valorizzare l’impegno e la passione che come
Giudice Minorile ha offerto in tanti anni di lavoro.
Il nostro legame è stato contraddistinto da stima e fiducia reciproca.
Quando mi affidava un incarico mi diceva sempre che era una situazione molto
delicata. Nelle sue parole traspariva l’attenzione umana che Ella riponeva ad
ogni minore di cui si occupava e che credo sia, al di là degli ambiti specifici di
ogni professione e/o di ogni approccio metodologico, la cornice all’interno
della quale inquadrare il nostro lavoro.
Prima di tutto quindi ascoltare il minore implica una disponibilità umana
molto profonda che fonda ogni tipo di relazione che possa essere dedicata
all’accogliere il vissuto di un’altra persona.
Oggi ci occuperemo di ascolto del minore nell’ambito dei Procedimenti
Civili.
L’ascolto può essere di tipo diretto, cioè avvenire ad opera del Giudice
stesso, anche con l’assistenza di un esperto, oppure di tipo indiretto, quando il
Giudice decide di avvalersi dell’ausilio di uno specialista per rispondere ad un
quesito.
Sovente il quesito riguarda la valutazione della dinamica delle relazioni
familiari e delle competenze genitoriali.
La valutazione psicologica in ambito civile viene richiesta
frequentemente quando fra i due genitori non vi è accordo sull’affidamento dei
figli all’interno di problematiche conflittuali che li coinvolgono e che
connotano la qualità dei rapporti coi genitori stessi.
Può inoltre accadere che i genitori intrattengano relazioni disfunzionali
per svariati anni prima di giungere alla determinazione di separarsi e che il
minore sia stato partecipe di un clima relazionale caratterizzato da liti violente
ed un forte gradiente di aggressività, collera, dolore, tristezza, tali da
1
sostanziare forme di maltrattamento fisico e/o psicologico o di violenza
assistita.
Queste esperienze a volte danno luogo ad iter giudiziari sia di tipo
penale, volti all’accertamento di reati di maltrattamento, sia di tipo civile, per
definire le modalità di affidamento del minore, che si intersecano.
Può accadere che il minore venga ascoltato da più agenti
contemporaneamente con diverse modalità e finalità, suscitando delle
risonanze psicologiche sullo stesso molto profonde.
Gli aspetti giuridici spesso non garantiscono al minore continuità e
coerenza degli interventi abbracciando tempi e livelli dell’ascolto molto
diversi.
La qualità dell’ascolto del minore in ambito civile deve tenere conto
dell’iter processuale all’interno del quale è coinvolto il minore e delle possibili
risonanze psicologiche che esso causa.
Il CTU deve considerare l’opportunità di incontrare il minore dopo avere
preso contatto con gli eventuali referenti di altri interventi e aver convenuto
una metodologia che possa garantire la non sovrapposizione di più operatori
intervenienti.
Questa cornice abbraccia uno spazio più ampio all’interno del quale si
inquadra il percorso relativo al minore ed al suo nucleo familiare e fonda una
prima forma di tutela del minore stesso che può così vedere garantito il bisogno
primario di sentirsi protetto e tutelato.
L’obbiettivo dell’ascolto del minore nell’ambito civile è quello di
coglierne i bisogni, la condizione esistenziale attraversata e viene sostanziato
dall’opportunità di stabilire con lo specialista di riferimento una relazione di
fiducia.
I presupposti affinché possa istituirsi un’alleanza di lavoro sono da
individuarsi in una comunicazione chiara da parte dell’adulto, qualsiasi età
abbia il minore, incontrando il suo linguaggio e le sue modalità di
comunicazione, in modo che egli possa comprendere su un piano di realtà
l’oggetto e gli obbiettivi del lavoro da svolgere.
Questo è valido anche per i bambini molto piccoli.
Dai due anni in poi è possibile osservare il comportamento e le modalità
di interazione dei minori anche in un contesto individuale. Tale scelta però
dipende dalle competenze evolutive raggiunte dal bambino da un punto di vista
psico-relazionale che devono essere vagliate dall’osservazione del bambino in
relazione ai genitori, congiuntamente e/o individualmente.
2
Anche i bambini molto piccoli sono in grado di comprendere l’entità di
una relazione che si stabilisce con l’adulto perché sono capaci di rispondere da
un punto di vista neuro fisiologico alle sollecitazioni empatiche che gli
vengono inviate.
L’esperto deve partire dal presupposto che anche il bambino molto
piccolo ha bisogno di sentirsi compreso da un adulto di cui possa fidarsi, anche
se non è del tutto capace di esprimere le proprie emozioni con il linguaggio
verbale. In questo caso la funzione dell’esperto si muove sia su un registro
valutativo delle competenze acquisite dal bambino in ordine all’età
cronologica, sia sul bisogno del bambino stesso di essere aiutato nel processo
di individuazione ed elaborazione di emozioni e sentimenti che spesso
rimangono ancorati ad un piano concreto-sensoriale dell’esperienza e risultano
indicibili.
Coi bambini dai due ai sei anni il mezzo privilegiato di indagine è il
gioco, libero o semi-strutturato, e l’espressione con mezzi plastico-pittorici.
(Winnicott, 1971 e seguenti). Il gioco rappresenta un’attività di relazione con le
figure significative di accudimento e con l’ambiente esterno, in cui il bambino
può rimodulare le proprie fantasie e calarle nello spazio della realtà che lo
circonda, fondando la funzione del processo di simbolizzazione del pensiero.
Tramite il gioco il bambino esprime i contenuti più significativi del proprio
mondo interno e li traspone negli oggetti esterni investendoli di una carica
affettiva e relazionale che ne comunica i bisogni più profondi. Se l’adulto è in
grado di coglierli e di accoglierli, il bambino può transitare dall’area
dell’illusione a quella della realtà, creando una capacità di contenimento e
significazione del proprio vissuto che si dispiega di pari passo con la capacità
di organizzare, da un punto di vista cognitivo ed emotivo, le percezioni
sensoriali e le emozioni che ne derivano, utilizzando il bagaglio di
informazioni ricevute.
Il tecnico deve osservare inoltre le meta-comunicazioni del bambino per
definirne il tipo e la qualità dello stile d’attaccamento (Bowlby 1999).
Per tale analisi bisogna essere in grado di contestualizzare
nell’osservazione gli indici di riferimento del linguaggio non verbale in
relazione all’età evolutiva, come ad esempio:
-il flusso di tensione muscolare,
-il ritmo di movimento,
-il dinamismo e/o la plasticità delle forme del corpo
-la capacità di muoversi ed esplorare lo spazio
-la coordinazione motoria
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Commentato [M1]:
Commentato [M2R1]:
-il flusso dell’eloquio
La qualità di interazione di questi indicatori, unitamente alla capacità di
comprensione, attenzione, concentrazione, danno delle importanti informazioni
sullo stato di salute del bambino e sui suoi bisogni.
L’analisi del contenuto del linguaggio verbale è sempre da riferirsi agli
indicatori sopra descritti in quanto strettamente vincolata e funzione di essa.
In generale è importante che il minore non venga coinvolto in domande
suggestive (mi racconti di quando papà ha dato uno schiaffo alla mamma?) o
che contengano un riferimento preciso sulla risposta (Ti senti male, vero?) e
che non venga mai posto di fronte alla scelta fra i due genitori.
Ascoltare l’opinione del minore non coincide con il porlo di fronte ad una scelta,
formulando la domanda diretta “con chi vuoi stare, con mamma o con papà? Cosa
preferisci?”. Tali quesiti possono acuire la sofferenza del minore facendo venir meno
l’esigenza di primaria tutela della salute dello stesso, ed imprimendo nella percezione
dell’evento separativo genitoriale un’esperienza interna di scissione fra le due figure,
materna e paterna, che invece, perché il bambino non subisca un danno evolutivo
irreversibile, devono rimanere come riferimenti costanti e continui della sua
personalità.
“Per evitare che un bambino venga posto in un legame di lealtà, facendo domande
che lo mettano nella condizione di esprimere una preferenza per un genitore rispetto
all’altro, si possono chiedere cose sulla vita di ciascun genitore (…) i bambini hanno
bisogno di capire che le informazioni ottenute nel colloquio saranno usate con i
genitori per migliorare la loro vita.”1
E’ bene chiarire il concetto di “ascolto clinico” del minore.
“Parlare di un carattere clinico dell’ascolto del minore, è bene chiarirlo subito, non
significa attribuire all’ascolto stesso una finalità terapeutica, ma considerare che la
corretta comprensione di ciò che un figlio può dire non può avvenire se non
all’interno di un processo relazionale delicato e complesso, costruito e governato
dall’adulto/operatore secondo una logica di cura.(…) Il primo elemento è
l’orientamento alla comprensione dei bisogni del minore e non soltanto alla
dichiarazione verbale attraverso la quale essi vengono espressi. (…) Soprattutto
significa tenere conto del fatto che, nel momento in cui è più intenso il conflitto fra i
genitori, il figlio si trova spesso a sperimentare una molteplicità contrastante di
desideri e di sentimenti che possono frequentemente determinare, sul piano
cognitivo, dei veri e propri fraintendimenti e delle rappresentazioni difensive
confuse e autoalienanti. (…) Per questa ragione sarebbe estremamente riduttivo e
Dowling E., Barnes G.G., (2000) “Lavorare con i bambini e i genitori nel processo di separazione e divorzio ”, 2004,
Franco Angeli ed., Milano
1
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fuorviante far coincidere a priori la tutela dell’interesse del minore con
l’accoglimento delle sue richieste. (…) Il secondo elemento specifico di ogni ascolto
clinico, vale a dire la necessità di procedere ad una precisa attività interpretativa di
quanto ascoltato. (…) Nel caso dei figli che devono fronteggiare la separazione dei
genitori ciò significa poi considerare fondamentale la possibilità di mantenere una
serena continuità relazionale con entrambi i genitori e le rispettive stirpi: criterio
primario per la salvaguardia del benessere personale e di un adeguato sviluppo
dell’identità.”2
Dai sei anni in poi si può fare riferimento, oltre che agli indicatori ed hai
mezzi espressivi indicati, che vanno ad integrare il percorso valutativo, anche
ad una forma d’interazione basata su un registro del linguaggio verbale.
Nel modello di intervista che ho redatto in seguito all’incontro formativo
del 23 giugno sul tema dell’ascolto del minore in ambito civile vi sono indicate
cinque fasi che consentono di procedere per gradi nell’istaurarsi della relazione
col minore. Esse sono:
- 1 accoglienza
- 2 raccolta dei dati anamnestici
- 3 racconto libero a partire da un tema emerso nella fase precedente
- 4 focalizzazione sulle tematiche familiari
- 5 favorire il distacco, alleggerimento clima emotivo
Tali fasi garantiscono al minore il minimo impatto emotivo possibile in relazione
all’intervento svolto in quanto:
- chiariscono i motivi ed i presupposti dell’incontro, con la definizione dei ruoli di
chi interviene;
- consentono al minore di “esplorare” a sua volta le capacità comunicative ed
empatiche dell’interlocutore in una danza di ritmi della comunicazione che lo
coinvolge con temi inizialmente poco pregnanti emotivamente;
- una volta sentita la “consistenza” reciproca possono favorire l’apertura da parte del
minore su vissuti più coinvolgenti da un punto di vista affettivo;
- Consentono di concepire il distacco in un’ottica di reciprocità senza che il minore
possa sentirsi deprivato di aspetti della propria vita interiore da parte di un estraneo di
cui non conosce le intenzioni e che può quindi essere investito di aspettative
fantasmatiche.
Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A. (a cura di), “Bambini in Tribunale, l’ascolto dei figli contesi”, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2001
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Pazè (2003) ha parlato di “alfabeto delle emozioni” nella comunicazione
col minore, intendendo definire tutti gli accorgimenti che il Giudice dovrebbe
avere nell’accogliere e decodificare lo stato emotivo del bambino.
I minori coinvolti in relazioni familiari disfunzionali spesso, infatti, ne
colgono le dinamiche a modo loro e ne rimangono incastrati non potendole
significare adeguatamente, sia in relazione alle competenze acquisite da un
punto di vista evolutivo, sia e soprattutto per le implicazioni affettive che tali
dinamiche comportano.
Questo profilo influisce sul tipo e sulla qualità del contenuto della
comunicazione del minore.
Può accadere che un soggetto estremamente invischiato nel conflitto
genitoriale non sia in grado di “narrare” il proprio vissuto, di dare parola ad
emozioni che possibilmente non ha mai potuto condividere con nessuno.
Anche se cognitivamente adeguato nel suo sviluppo evolutivo e capace
di discernimento, cioè di avere accesso al principio di realtà ed alle funzioni di
pensiero che esso comporta, il minore può sviluppare una rigidità espressiva
che rende inesprimibili i propri bisogni, incapsulando e congelando esperienze,
emozioni, minando alla base il racconto della storia e dei propri vissuti.
Desidero porre l’attenzione sul fatto che il processo di ascolto è un
processo dinamico che va costruito insieme al soggetto che ne è coinvolto
ed è totalmente rivolto alla significazione del suo mondo interno. Non è un
processo di influenzamento e/o suggestione ma un tipo di relazione
all’interno della quale l’adulto deve tenere conto che l’altro ha bisogno di
raccontare e spesso ha la necessità di narrare proprio quello che non riesce
ad esprimere, che non ha ancora potuto prendere una forma linguistica e
si trova agglomerato nel registro delle emozioni che non è stato possibile
condividere e/o comunicare.
Proprio per tali presupposti è importante che l’esperto sappia quale sia il
confine che definisce un intervento terapeutico da uno valutativo, quale sia la
differenza fra co-costruzione di un’esperienza narrativa e l’induzione di
dichiarazioni suggestive.
L’intervento valutativo deve avere dei presupposti chiari e condivisi
nelle loro modalità e finalità con gli agenti coinvolti.
Deve essere svolto nell’interesse della tutela dei soggetti stessi e
finalizzato alla conoscenza delle loro caratteristiche sia in termini di disagio
strutturale e/o reattivo, sia in termini di risorse. Ha una durata limitata nel
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tempo e definita dal percorso giudiziario, e deve sempre fare riferimento alle
istanze dell’Io del soggetto in relazione alla realtà attraversata.
Non deve quindi comprendere l’analisi del mondo interno in un’ottica
trasformativa ma sondare le capacità di trasformazione ed elaborazione del
soggetto.
Il percorso di valutazione psicologica è caratterizzato dalla raccolta, dalla
strutturazione e dall’interpretazione dei dati che il consulente ritiene
significativi per caratterizzare un profilo, il più possibile coerente con gli
elementi emersi, che possa essere rappresentativo delle dinamiche relazionali
dei soggetti coinvolti, delle loro conflittualità, dei loro bisogni, delle loro
risorse e punti di criticità, strutturando un progetto di intervento e rispondendo
ai quesiti posti dal giudice
Il CTU ha il mandato di valutare le condizioni di rischio che una data
configurazione di rapporti familiari può comportare. In particolar modo tali
condizioni di rischio devono essere riferite allo sviluppo psicologico dei minori
coinvolti.
Sotto il profilo giuridico non può dirsi in sostanza che l’ascolto del minore
costituisca un mezzo di prova; esso è espressione del diritto del minore a
partecipare alla sua tutela quale titolare di un diritto ad essere ascoltato in
modo qualitativamente adeguato. Nei procedimenti civili l’ascolto del minore
non è inteso a fornire al Magistrato elementi probatori, “bensì a permettere al
minore di partecipare alle vicende processuali che lo riguardano,
manifestando i suoi bisogni (…) L’operatore non può procedere all’ascolto
semplicemente sulla base dei principi di giustizia degli adulti, ma deve
fondarsi sul principio di etica dei legami. Ciò comporta un lavoro orientato
alla riparazione e ricomposizione dei legami.”3
L’ascolto è prima di tutto un bisogno del bambino, soprattutto nelle relazioni
familiari, la necessità di ritrovare nei propri punti di riferimento una base sicura
di attenzioni, cure fisiche ed emotive, per ricevere e trasmettere informazioni,
per nascere e crescere nella relazione.
3
Ibidem
7
La condizione di rischio in età evolutiva non è quindi necessariamente
connessa alla produzione del “danno” evolutivo, ma alla eventualità, per il
minore, di perdere improvvisamente o vivere in modo carente, la possibilità di
fare riferimento a figure che lo proteggano e lo guidino di fronte alle
esperienze che egli attraversa. (M. C. Di Trapani 2009).
In buona sostanza il tecnico esperto deve prevedere anche la possibilità che il
processo di ascolto possa condurre a contenuti dell’esperienza soggettiva molto
dolorosi che hanno la loro insorgenza proprio nel contesto dove viene richiesto
al minore di esprimere il proprio vissuto. Essere pronti ad accogliere tali
esperienze emotive comporta anche la capacità di contenere la frustrazione di
non potere offrire una soluzione, ma deve sempre potere prevedere la capacità
di stare col vissuto espresso, di sostare in quell’area emotiva dell’altro e con
l’altro, condividendola.
Il processo di ascolto del minore pone quindi il tecnico in relazione alla propria
capacità di ascolto che abbraccia non solo gli aspetti cognitivi dei concetti
emersi ma anche le risonanze emotive che tali concetti evocano e che, se
accolti e contenuti, garantiscono al minore il fondamento del processo
empatico.
L’esperto viene quindi a sostenere una sorta di esperienza scissionale
dell’ascolto. Il suo Io deve mantenersi in un assetto vigile e volto a inserire
l’esperienza relazionale col minore nei cardini spazio-temporali degli obbiettivi
prefissi, mentre emotivamente può accogliere l’esperienza dell’altro con un
coinvolgimento tanto accurato e profondo quanto egli stesso è in grado di
accoglierlo.
Al termine della propria valutazione, se il quesito lo richiede, l’esperto deve
formulare un’ipotesi di intervento sul minore e sul nucleo familiare.
Spesso questo diviene l’aspetto più problematico in quanto attualmente non
esiste la possibilità che la progettualità individuata venga poi seguita nelle
modalità applicative e rimodulata in base ai risultati che emergono e/o si
raggiungono.
Palermo
10 dicembre 2015
Maria Concetta Di Trapani
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