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MIRACOLI MISURABILI

Nell'episodio dal titolo Bendereide della serie televisiva Futurama, il professor Farnsworth, lo scienziato e inventore un po' pazzerello della compagnia, titolare di una ditta di spedizioni spaziali, illustra ai suoi dipendenti la sua nuova invenzione: una specie di fotocopiatrice capace di moltiplicare all'infinito qualunque oggetto in duplicati di scala ridotta. Naturalmente, affinché uno strumento tecnologico possa davvero essere realizzato,è necessario che perlomeno abbia un fondamento teorico e che se ne possa concepire almeno in astratto un possibile e più o meno plausibile meccanismo di funzionamento. E, strano a dirsi, il marchingegno del professor Farnsworth potrebbe avercelo! In effetti, sulla superficie di questo fantascientifico ritrovatoè riportata una dotta, anzi dottissima, citazione: Banach-Tarski. Si tratta di due insigni matematici del XX secolo, e nella fattispecie citati probabilmente per un risultato noto come Paradosso di Banach-Tarski :

MIRACOLI MISURABILI LUCA GRANIERI Nell’episodio dal titolo Bendereide della serie televisiva Futurama, il professor Farnsworth, lo scienziato e inventore un po’ pazzerello della compagnia, titolare di una ditta di spedizioni spaziali, illustra ai suoi dipendenti la sua nuova invenzione: una specie di fotocopiatrice capace di moltiplicare all’infinito qualunque oggetto in duplicati di scala ridotta. Naturalmente, affinché uno strumento tecnologico possa davvero essere realizzato, è necessario che perlomeno abbia un fondamento teorico e che se ne possa concepire almeno in astratto un possibile e più o meno plausibile meccanismo di funzionamento. E, strano a dirsi, il marchingegno del professor Farnsworth potrebbe avercelo! In effetti, sulla superficie di questo fantascientifico ritrovato è riportata una dotta, anzi dottissima, citazione: Banach-Tarski. Si tratta di due insigni matematici del XX secolo, e nella fattispecie citati probabilmente per un risultato noto come Paradosso di Banach-Tarski : Teorema (Paradosso di Banach-Tarski). Data una palla, questa può essere decomposta in un numero finito di pezzi che è possibile riassemblare formando due palle identiche alla prima. Ad esempio, sarebbe possibile fare a pezzi una perla e poi rimontare i cocci per ottenere due perle identiche a quella di partenza. Che dire, è proprio un dispositivo da futurama! 1. Misura Il risultato di Banach-Tarski è senz’altro sorprendente, sembrando in piena contraddizione con la nostra idea intuitiva di volume. Per questo si parla di paradosso, anche se si tratta di un teorema. Ovviamente, occorre precisare cosa voglia dire fare a pezzi un certo volume e riassemblarne i pezzi. Intanto, se riduciamo in frantumi una palla, dovremo anche stabilire come si possa valutare il volume dei frammenti. In effetti, questi potrebbero avere delle forme molto strane per le quali potrebbe risultare difficile assegnare un volume vero e proprio. La teoria della misura ha il compito di rispondere a questa domanda. Ad esempio, la cosiddetta misura di Peano-Jordan, che per intenderci è quella corrispondente all’integrale di Riemann, con il quale in genere si cimentano gli studenti negli ultimi anni di scuola superiore o nei primi di università, consente di definire il volume di una vasta classe di insiemi. Senza entrare in dettagli, sono misurabili tutte le figure a cui siamo abituati. In particolare, sono misurabili tutti gli insiemi che hanno un 1 2 LUCA GRANIERI bordo regolare. Appena però gli insiemi diventano più strani, la misura di Peano-Jordan può fallire e non è difficile trovare degli insiemi che non sono misurabili (ad esempio i razionali dell’intervallo [0, 1]). Tuttavia, per molti scopi è utile avere a disposizione una misura che possa valutare il volume anche questi e altri insiemi più irregolari. La cosiddetta misura di Lebesgue consente di misurare praticamente tutti gli insiemi che ci possono venire in mente, o quasi. In effetti, per trovare degli insiemi non-misurabili bisogna invece fare una certa fatica. Anzi, questa eventualità è legata alla validità del cosiddetto Assioma della scelta della teoria degli insiemi. Se non si accetta l’assioma della scelta, è possibile trovare un modello di teoria degli insiemi ([16]) in cui tutti gli insiemi risultano essere misurabili (secondo Lebesgue). Se invece si accetta l’assioma della scelta, allora bisogna rassegnarsi all’esistenza di insiemi non-misurabili. Tali insiemi sono dunque talmente irregolari che per essi la nozione di volume non ha più senso. Una proprietà fondamentale della misura è quella di essere additiva. Se indichiamo con |A| la misura (di Lebesgue) dell’insieme (misurabile) A, data la riunione di due insiemi misurabili A1 ∪ A2 (che è a sua volta misurabile), se questi sono disgiunti, ovvero A1 ∩A2 = ∅, vale la formula (1) |A1 ∪ A2 | = |A1 | + |A2 |. Si può poi estendere la (1) facilmente ad un numero arbitrario (finito) di insiemi. Anzi, l’additività vale anche per un’infinità numerabile di insiemi (misurabili). Si dice allora che la misura è numerabilmente additiva. Questa proprietà distingue la misura di Lebesgue da quella di Peano-Jordan, che invece non è numerabilmente additiva. Ora, decomporre un insieme significa proprio ottenerlo come unione di altri insiemi. Riassemblarli significa invece spostarli con una isometria. Ovvero con una trasformazione dello spazio che preserva le distanze, talvolta chiamate anche spostamenti rigidi. Una proprietà fondamentale della misura è quella di essere invariante per isometrie. Cioè, gli spostamenti isometrici, ad esempio rotazione e traslazione, non modificano il volume. Se ci pensiamo, la strategia del decomporre-ricomporre è proprio quella che utilizziamo ad esempio per valutare le aree dei poligoni. Basta suddividerli in triangoli per poi riassemblarli formando figure più semplici, ad esempio un rettangolo, ovviamente con la stessa area. Le formule che tutti abbiamo imparato a scuola dipendono proprio da questo tipo di strategia. E questa strategia funziona sempre. Infatti, il cosiddetto Teorema di Bolyai-Gerwien (o meglio di Lowry-Wallace [4]) asserisce che due poligoni hanno la stessa area se e soltanto se essi sono equivalenti per dissezione o equiscomponibili. Ovvero, se è possibile decomporre uno dei due poligoni in un numero finito di pezzi poligonali MIRACOLI MISURABILI 3 che spostati isometricamente riformano l’altro poligono, potendosi sovrapporre soltanto lungo i lati, o parti di lati. Tra l’altro, il problema di decomporre poligoni è completamente risolto proprio nell’articolo di Banach-Tarski [3] in cui si mostra tra le altre cose che: Poligoni aventi stessa area sono equiscomponibili (con pezzi poligonali). Ma nello spazio le cose sono più complicate. Ad esempio, per valutare il volume della piramide l’analoga strategia di decomporre i volumi in tetraedri non funziona. Ad esempio, per mostrare che piramidi aventi stessa base e stessa altezza hanno volume uguale, Euclide ricorre al cosiddetto metodo di esaustione. Gauss, il principe dei matematici, si chiedeva (si veda ad esempio [4]) se questo ben noto risultato di Euclide non si potesse in qualche modo migliorare utilizzando una qualche (astuta) procedura di decomposizione in tetraedri. Tale questione costituiva il terzo problema della famosa lista di problemi proposta da Hilbert al congresso internazionale dei matematici tenutosi a Parigi nel 1900. Il problema fu risolto definitivamente da un allievo di Hilbert, Max Dehn. In effetti, esistono dei poliedri di ugual volume che non sono equiscomponibili (con pezzi tetraedrici). Addirittura non lo sono un tetraedro regolare e un tetraedro rettangolo isoscele ([4]). Dunque, la speranza di Gauss è delusa e il metodo di Euclide per valutare il volume delle piramidi non può in generale essere migliorato. 2. Il paradosso di Banach-Tarski Per valutare il volume di corpi anche relativamente semplici, come può esserlo ad esempio una piramide, dobbiamo allora rassegnarci a considerare decomposizioni un po’ bizzarre. Il metodo di esaustione ad esempio richiede di utilizzare pezzi arbitrariamente piccoli. Se spingiamo ancora più all’estremo le decomposizioni ammissibili, si osservano fenomeni piuttosto sorprendenti. In maniera più precisa, il paradosso di Banach-Tarski corrisponde infatti al seguente teorema ([13]): Teorema (Banach-Tarski). Tutti gli insiemi limitati, con interno non vuoto, in R3 sono equiscomponibili (con pezzi qualsiasi, senza una prefissata regolarità). Avere interno non vuoto ed essere limitati costituisce una minima richiesta di regolarità sugli insiemi considerati. Un insieme ha interno non vuoto se contiene almeno una pallina, piccola quanto basta, limitato se è contenuto in una palla, grande quanto basta. In questo caso, dire che A e B sono due insiemi equiscomponibili significa che è possibile esprimere l’insieme A come unione di un numero finito di insiemi, non meglio precisati, a due a due disgiunti, e spostandoli isometricamente ricostruire (facendone l’unione) l’insieme B. Quindi, una mela e un elefante sono equiscomponibili. Cioè, è possibile fare a pezzi la mela e ricomporne i pezzi per formare un intero elefante. Roba da non crederci! 4 LUCA GRANIERI Osserviamo che, tenendo conto della (1), in generale almeno un insieme della decomposizione di Banach-Tarski deve essere non-misurabile. Infatti, consideriamo due palle diverse, ad esempio un pallone da calcio e la Luna. Ovviamente si tratta di insiemi misurabili (tutti sanno calcolare il volume della sfera), limitati con interno non vuoto. Il Teorema di Banach-Tarski afferma che le due palle sono equiscomponibili. Consideriamo una possibile decomposizione del pallone. Per fissare le idee, ad esempio formata dagli insiemi A1 , A2 , A3 , A4 , A5 . Se questi pezzi fossero tutti misurabili, lo sarebbero anche quelli spostati isometricamente (indichiamoli con A′i ) che ricompongono B. Ma la misura è invariante per isometrie e per l’additività avremmo |A| = |A1 |+|A2 |+|A3 |+|A4 |+|A5 | = |A′1 |+|A′2 |+|A′3 |+|A′4 |+|A′5 | = |B|. Ma questo è impossibile perché il pallone e la Luna non hanno certamente lo stesso volume! Pertanto, per consentire questo miracolo misurabile capace di trasformare un pallone nella Luna occorre una decomposizione che contempli qualche insieme privo di volume (nonmisurabile). Il bello è che, per quanto bizzarri questi insiemi possano essere, ricomponendoli si può ottenere qualcosa di molto regolare, come una sfera nel nostro caso. Il paradosso che abbiamo enunciato in apertura è un caso particolare di questo risultato più forte, corrispondendo al caso di due insiemi dati da una palla e dall’unione di altre due, insiemi ovviamente limitati e con interno non vuoto. 3. Tondo o quadrato? Se malauguratamente ci cade un vaso per terra, se siamo fortunati, reincollando i cocci si può ricostruire il vaso originario. Ma, stante il risultato di Banach-Tarski, un diavoletto birichino potrebbe giocare brutti scherzi riducendo il nostro vaso in pezzi cosı̀ strani da costringerci a ricomporre qualcosa di molto diverso dal nostro vaso originario. Tuttavia, facciamo notare che il risultato di Banach-Tarski vale soltanto in dimensione maggiore o uguale a tre. Pertanto, se vivessimo in uno spazio bidimensionale, come nel romanzo Flatlandia ([2]), la possibilità di realizzare un dispositivo simile a quello di Futurama non si porrebbe nemmeno. Pertanto, almeno per le figure piane non ci dovrebbero essere grosse sorprese. Consideriamo ad esempio un quadrato ed un cerchio. Queste due figure ci appaiono intrinsecamente differenti. Già gli antichi greci si ponevano il problema di quadrare il cerchio, ossia di costruire (con riga e compasso) un quadrato avente la stessa area del cerchio. Oggi sappiamo che per realizzare questo compito è indispensabile la teoria dei numeri reali e l’integrazione (e in definitiva la teoria della misura). E ci è voluto tutto il genio di Archimede per mostrare che l’area del cerchio è pari a quella del triangolo avente per base la MIRACOLI MISURABILI 5 un Figura 1. La funzione un sposta isometricamente i quadratini dal cerchio al quadrato. Man mano che i quadratini si rimpiccioliscono, quasi tutto il cerchio va a finire nel quadrato, trascurando alla fine soltanto un insieme di misura nulla. circonferenza e per altezza il raggio del cerchio stesso ([9]). La differenza tra un cerchio e un quadrato è talmente evidente da aver ispirato anche il detto popolare: se uno nasce tondo non può morire quadrato! Effettivamente, la saggezza popolare contiene sempre degli spunti interessanti, ma forse non ha fatto i conti fino in fondo con la teoria della misura. Nel 1925, Tarski domandò se un cerchio e un quadrato della stessa area siano equiscomponibili o no, magari rinunciando alla regolarità dei pezzi da utilizzare. Ci si aspetterebbe che dissezionare il quadrato non dovrebbe funzionare in questo caso. In effetti, la risposta è negativa se si richiede qualche restrizione sul tipo di decomposizione. Tuttavia, una risposta positiva è stata data da Laczkovich (1990), addirittura utilizzando soltanto traslazioni per ricomporre i pezzi ([13, 15]). Anche se, come nel risultato di Banach-Tarski, qualche pezzo risultava non misurabile. Ma recentemente si è trovato ([5]) che per equiscomporre un cerchio in un quadrato si possono scegliere addirittura pezzi tutti misurabili. Fantastico! 3.1. La misura non basta. Per distinguere il cerchio dal quadrato la misura da sola allora non basta. Ad esempio, ritagliando nel cerchio tanti quadratini via via più piccoli, come in figura 3.1, e spostandoli isometricamente nel quadrato, si ricopre il quadrato stesso quasi interamente. Quello che avanza al termine di questa operazione è infatti un insieme di misura nulla. Occorrono allora degli strumenti aggiuntivi per distinguere le forme degli oggetti. Pensiamo ad esempio, tanto per fissare le idee, al problema del riconoscimento automatico. Immaginiamo un dispositivo che consenta l’ingresso al caveau di una banca. Nella memoria dati del dispositivo sono caricate le immagini delle persone autorizzate ad accedere al caveau. Dunque, quando ci si presenta davanti al dispositivo, questo acquisisce la nostra immagine e la confronta con quelle presenti in memoria. Se ne trova una isometrica allora veniamo riconosciuti e 6 LUCA GRANIERI la porta si apre. Sembra tutto facile, ma ad essere sinceri, quasi mai si risulta isometrici alle nostre immagini, specialmente se sono quelle sul nostro documento vecchio di decenni. Ma anche immagini recenti pongono problemi. In effetti, ci potrà capitare di arrivare con i capelli spettinati, o qualche volta più arrabbiati o felici del solito. In definitiva, vogliamo essere riconosciuti anche se non siamo proprio isometrici al 100% ma in qualche modo siamo molto vicini all’esserlo, come accade ad esempio in figura 2. In tal caso le due figure non sono isometriche ma, se vogliamo, soltanto quasi-isometriche. Il problema di stabilire b b b b Figura 2. Due immagini quasi-isometriche quanto una certa immagine, o in generale un qualunque oggetto, sia isometrica ad un’altra costituisce un problema molto interessante anche dal punto di vista della sua modellizzazione matematica e delle sue conseguenze, sia teoriche che applicative. Dati due oggetti X, Y questi sono isometrici se esiste una isometria u che manda X in Y . Come detto, le isometrie preservano le distanze, ovvero |u(x) − u(y)| = |x − y|. In modo equivalente, le isometrie si possono ottenere dalla formula 1 |x − y| ≤ |u(x) − u(y)| ≤ L|x − y|, ∀x, y ∈ X L per il valore L = 1 (L si dice costante di Lipschitz). Pertanto, una misura di quanto X e Y sono isometricamente vicini potrebbe essere data dalla costante di Lipschitz, a seconda che quest’ultima sia più o meno vicina ad uno. Questo approccio ha però lo svantaggio di considerare una condizione globale. Si considerino ad esempio le configurazioni in figura 3, dove la prima corrisponde ad un rettangolo di dimensioni a, b mentre la seconda è ottenuta ritagliando dal rettangolo di partenza una striscia di lato b e area pari a n1 e incollando sul rettangolo restante un altro rettangolo di area n1 ma con un lato fissato, ad esempio pari ad uno. Queste due figure possono essere considerate isometricamente vicine, poiché al crescere di n le due figure tendono ad essere indistinguibili. Ma la costante di Lipschitz non si avvicina mai ad uno più di tanto. Infatti, la massima distanza D = |u(x) − u(y)| sulla seconda figura supera sempre la massima distanza d sulla prima di una quanD tità fissa. Un semplice calcolo mostra ad esempio che L ≥ |x−y| ≥ Dd . Utilizzando il Teorema di Pitagora valutiamo che MIRACOLI MISURABILI  1 +1 D =b + a− nb 2 2 2 = b 2 + a2 + 1 + 1 7 1 n2 b 2 − 2 2a + 2a − = nb nb 2a 2 + 2a − nb nb Per n sufficientemente grande ad esempio si ottiene che D2 ≥ d2 + 2a, da cui segue che r 2 2 d + 2a 2a 2a D = 1+ 2 ⇒ L ≥ 1+ 2. L2 ≥ 2 ≥ 2 d d d d d2 + 1 + a n2 b 2 − (a − b 1 nb ) 1 b u(x) 1 n d b b b b u(y) Figura 3. Due configurazioni quasi isometriche con costante di Lipschitz lontana da uno. Un modo per superare queste difficoltà è quello di localizzare la procedura. Ad esempio si potrebbe pensare di rendere flessibile la costante di Lipschitz rendendola piuttosto una variabile che cambi punto per punto a seconda della geometria locale della figura in questione. Questo punto di vista conduce a considerare classi di funzioni e problemi molto interessanti, ma anche piuttosto difficili legati ad esempio alle cosiddette funzioni a distorsione limitata e/o finita, mappe conformi ecc. ([10]). Un altro approccio (si veda [10]) è ispirato alla cosiddetta meccanica dei continui. L’idea è quella di riguardare le figure considerandole come dei corpi materiali. In questo contesto la funzione u corrisponde allo spostamento di X su Y . L’isometria si limita a spostare la configurazione di partenza sovrapponendola a quella di arrivo senza alcuna distorsione. In generale però, per ottenere la configurazione di arrivo occorrerà anche deformare in una certa misura la configurazione di partenza. Ora, è possibile associare a questa deformazione una energia che quantifica lo sforzo fatto punto per punto per ottenere la nuova configurazione. Tecnicamente, l’energia dipende dalle derivate della funzione spostamento u. L’energia totale ottenuta mediando (attraverso un procedimento di integrazione) su tutto il 8 LUCA GRANIERI corpo X misura quanto lo spostamento u ha deformato la configurazione X per portarla in Y . Ma ci possono essere molti modi diversi per portare X in Y . Allora, possiamo cercare tra tutti i possibili spostamenti quello meno dispendioso possibile. Ossia che renda minima l’energia conseguente. Questo è un tipico problema di Calcolo delle Variazioni (si veda [11, 1, 7] per un’introduzione) ed è il fondamento della teoria variazionale dell’elasticità in cui la minima energia è detta appunto energia elastica, come quella assunta da una molla compressa o allungata rispetto alla sua posizione a riposo. Ora, se abbiamo una grande energia elastica vuol dire che abbiamo dovuto deformare molto la nostra configurazione, utilizzando uno spostamento piuttosto diverso da uno spostamento rigido. Allora, potremmo considerare proprio i livelli di energia elastica come parametro per valutare quanto due configurazioni siano isometricamente vicine. Configurazioni isometriche corrispondono al livello zero in cui la deformazione è assente. Quindi, il dispositivo automatico di riconoscimento che stavamo ipotizzando potrebbe calcolare l’energia elastica necessaria per portare l’immagine acquisita su quelle presenti in memoria per determinarne la più piccola. Se questa è al di sotto di una certa soglia di tolleranza stabilita a priori allora avviene il riconoscimento. Naturalmente, perché questo abbia senso è necessario che l’energia elastica più piccola possibile, ovvero quella del livello zero, sia raggiunta solo e soltanto con uno spostamento rigido. Quest’ultima eventualità è garantita da risultati detti Teoremi di rigidità (uno dei più famosi è noto come Teorema di Liouville) che stabiliscono che gli spostamenti che verificano certe condizioni, nel nostro caso quella di realizzare l’energia elastica di livello zero, sono rigidi. Ma i problemi non finiscono certo qui. La capacità del cervello umano di riconoscere i volti è ad esempio prodigiosa. E riusciamo a riconoscere i nostri amici non solo quando si presentano tutti trafelati ma ancora peggio se abbiamo bevuto un po’ di vino e vedendoci doppio ci troviamo davanti agli occhi due copie sfocate del loro volto. (figura 4). Tuttavia, b b b b b b Figura 4. Immagine sdoppiata tutti gli approcci che abbiamo fin qui discusso falliscono miseramente. Per il semplice motivo che non è possibile trovare funzioni (regolari) MIRACOLI MISURABILI 9 che mandino una configurazione tutta d’un pezzo (connessa) in una fatta di pezzi separati (sconnessa). In [10] è proposto un approccio legato alla teoria del trasporto di massa (si veda [12] per un’introduzione divulgativa) capace di affrontare situazioni come queste. ad esempio quella in figura 4. In effetti, in tal caso le due immagini (quella di partenza e quella composta dalle due sfocate) continuano ad essere isometriche, ma in un senso più sofisticato collegato alla teoria del trasporto di Monge-Kantorovich. Dunque, anche in questo caso il riconoscimento potrebbe essere assicurato. 4. Dov’è il trucco? Ora, ritornando ai prodigi possibili grazie alla teoria della misura, perché non riusciamo a costruire un dispositivo come quello del professor Farnsworth? Intanto, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Anche se qualcosa è possibile in linea teorica non è detto che risulti sempre realizzabile nella realtà. Le difficoltà sono diverse. Il risultato di Banach-Tarski non precisa ad esempio il numero di pezzi in cui decomporre il nostro insieme. Questo numero potrebbe essere incredibilmente alto, minando la nostra possibilità pratica di realizzare materialmente la decomposizione. Progressi teorici limitano in realtà il numero dei pezzi. Per il risultato di Laczkovich ad esempio bastano soltanto 1050 pezzi, mentre per duplicare una palla nello spirito di Banach-Tarski di pezzi ne bastano solo cinque. Inoltre, quello di Banach-Tarski è un risultato di esistenza ([8]). Vale a dire, esso ci dice che esiste una decomposizione composta da un certo numero di pezzi, ma in generale non sappiamo come questi pezzi debbano essere fatti, e quindi come realizzarli. Sappiamo ad esempio che in generale almeno un pezzo è non-misurabile. Pertanto, dovremmo realizzare almeno un pezzo tanto brutto, ma cosı̀ brutto che per esso non è più definita la nozione di volume. Ma qualunque pezzo realizzabile fisicamente dovrebbe avere un volume! Ora, questa discussione ci suggerisce anche una riflessione sulla modellizzazione matematica della realtà. Gli insiemi contemplati nella teoria degli insiemi o nella teoria della misura possono essere infatti molto lontani dalla nostra intuizione fisico-geometrica. Magari possono richiedere di lavorare a scale sub-atomiche dove le costruzioni geometriche necessarie perdono di significato fisico. In altre parole, queste miracolose conseguenze della teoria della misura, indispensabile in molti modelli matematici, mostrerebbero anche i limiti dell’usuale modellizzazione matematica dello spazio fisico (in cui evidentemente le palle non si duplicano con la sola forza della matematica!). La corrispondenza tra matematica e realtà è in genere molto più problematica di quanto si pensi. 10 LUCA GRANIERI Riferimenti bibliografici [1] A. Ambrosetti, Il fascino della matematica, Boringhieri, 2009. [2] E. A. Abbott, Flatlandia, Adelphi, 1997. [3] S. Banach, A. Tarski, Sur la decomposition des ensembles de points en parties respectivement congruentes, Fund. Math. 6 (1924), 244-277. [4] C. Bartoccci, Una piramide di Problemi, Cortina editore, 2012. [5] L. Grabowski, A. Mathé, O. Pikhurko, Measurable circle squaring, arXiv:1501.06122v3, 2015. [6] E. Giusti, La Matematica in Cucina, Boringhieri, 2004. [7] S. Hildebrandt and A. Tromba. Principi di minimo. Forme ottimali in natura. 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