Testo pubblicato in
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Annali, anno Cinquantesimo, 2014-2015,
La Biblioteca-Istituto Feltrinelli. Progetto e storia,
a cura di Giuseppe Berta e Giorgio Bigatti, Milano Feltrinelli, 2016
Franco Della Peruta, “l’uomo del movimento operaio”
Giorgio Bigatti
“Se c’è una persona che possa comprendere
quanto sia doloroso avere poco tempo per studiare,
sono io ma che ci vuoi fare bisogna pur vivere”
(Franco Della Peruta)1
In queste pagine ho cercato di ripercorrere l’apprendistato storiografico di
Franco Della Peruta, mostrando quanto sia stata fondativa l’esperienza alla
Biblioteca/Istituto Feltrinelli (1950-1962) per la definizione di un metodo di
lavoro che non sarebbe in sostanza cambiato nel corso degli anni2. Interrogando la documentazione disponibile, parlando con amici e allievi, attingendo ai ricordi, mi sembra di poter dire che, nel progressivo allargarsi dei
suoi interessi storiografici, Della Peruta sia rimasto sostanzialmente fedele
all’impostazione maturata in quei primi anni milanesi e, sia pure sottotraccia e in maniera mai “gridata”, alla loro ispirazione politica3.
Una generazione senza maestri
Di Della Peruta sono note l’operosità scientifica, alimentata dalla passione
per la ricerca e da una onnivora curiosità per ogni tipo di fonte storica4, e le
1 La frase in esergo è tratta da una lettera a Fausto Fonzi, 24 novembre 1952, Archivio Biblioteca Giangiacomo Feltrinelli (d’ora in avanti ABGF), cart. 17, f. 16.
2 In altri contributi di questo Annale ci si occupa in maniera specifica delle vicende di “Movimento Operaio” (Mariamargherita Scotti e Vittorio Criscuolo) e della Bibliografia della
stampa periodica operaia e socialista (Gilda Zazzara), i due impegni più rilevanti di Della Peruta negli anni in cui era alle dipendenze della Biblioteca Feltrinelli e che per questo restano
un po’ sullo sfondo in questa mia ricostruzione della formazione e dei primi anni milanesi di
Della Peruta, fino al suo approdo all’Università.
3 Ringrazio Mario Mirri che con grande generosità mi ha aiutato a comprendere alcuni passaggi importanti dell’interpretazione della storia italiana di Franco Della Peruta, e mi ha
consentito di leggere e utilizzare alcune pagine di un suo testo in ricordo di Franco Della Peruta a cui sta lavorando.
Ringrazio per la loro disponibilità e collaborazione Liliana Dalle Nogare, giovanissima collaboratrice dell’Istituto Feltrinelli e dal 1957 compagna di vita di Franco Della Peruta, Maria
Luisa Betri, Maurizio Bertolotti, Enrico Decleva che mi hanno in diverso modo aiutato a mettere a fuoco il tema. Infine gli amici e allievi di Franco Della Peruta che hanno letto e commentato il testo: Luisa Dodi, Ada Marchetti, Maria Canella, Marco Meriggi, Mariachiara Fugazza, Luigi Ganapini.
4 Della Peruta ha condensato la sua vasta conoscenza del patrimonio archivistico e bibliotecario italiano nel volume Biblioteche e archivi. Guida alla consultazione (Milano, Franco Angeli, 1985), pensato come strumento di consultazione ma a cui era particolarmente affezionato.
Come si dirà nel testo, l’interesse per le fonti d’archivio e a stampa era consustanziale al suo
essere storico.
1
doti di organizzatore culturale5. Coerente con questa immagine, Della Peruta ha sempre lasciato che a parlare per lui fossero i risultati del suo lavoro6,
mantenendo un garbato riserbo sulle vicende personali ed evitando di impegnarsi in discussioni di carattere storiografico, un genere che non lo appassionava. Così, pur essendo stato indubbiamente uno dei protagonisti
della “ricerca storica marxista” in Italia, a differenza di molti di coloro con
cui ha condiviso scelte ed esperienze non si è mai curato di raccontare il
proprio percorso storiografico7 né di ripensarne criticamente lo svolgimento8. Finalmente nel 2011, rompendo l’abituale riserbo, accetta di rispondere
a “sei domande” sul suo modo di intendere la storia e il “mestiere di storico”9. Senza entrare nel merito di molte questioni, come il lettore avrebbe desiderato, Della Peruta ripercorre in tono “basso” alcuni dei momenti chiave
di una biografia simile a quella di altri storici della generazione formatasi
tra anni Trenta e Quaranta: il periodo del liceo, l’approdo non convenzionale
al mestiere di storico, l’assenza di veri maestri in un percorso che si alimenta e vivifica in stretto rapporto con la militanza politica, senza per questo
scadere in subalternità alla politica e alle direttive di partito.
Nato a Roma il 6 maggio 1924 da una famiglia di origini meridionali10 di
modestissime fortune, Della Peruta frequenta l’Ennio Quirino Visconti, “un
5 Dopo la sua scomparsa sono apparsi alcuni importanti contributi ai quali ho avuto modo di
fare riferimento in queste pagine: Maria Luisa Betri, Ricordo di Franco Della Peruta, storico e
organizzatore di cultura, in “Rassegna storica del Risorgimento”, XCVIII (2011), n. 1 pp. 8894; Maria Grazia Meriggi, Franco Della Peruta storico e organizzatore di cultura, in “Passato e
presente”, 2012, n. 87, pp. 119-138; Maurizio Bertolotti, Franco Della Peruta, in “Belfagor”,
2012, n. 1, pp. 45-60.
6 Franco Della Peruta. Bibliografia degli scritti (1948-2012), a cura di Elvira Cantarella, Milano,
Nexo Editore, 2013.
7 Pur avendo preso parte al convegno Revisioni e revisionismi nella storia d’Italia. Tre generazioni di studiosi a confronto, organizzato nel marzo 2003 a Torino, Della Peruta non inviò il
testo per gli atti, pubblicati due anni dopo da Manifestolibri: Gli storici si raccontano. Tre generazioni tra revisione e revisionismi.
8 Significativamente assente nell’antologia Passato e presente nel dibattito storiografico. Storici
marxisti e mutamenti della società italiana, 1955-1970, a cura di Luigi Masella, Bari, De Donato, 1979, Della Peruta non figura neppure nel volume La ricerca storica marxista in Italia, a
cura di Ottavio Cecchi, Roma, Editori Riuniti, 1974, che riprende “i colloqui con dieci storici
marxisti” apparsi su “Rinascita” fra il marzo e il luglio del 1973.
9 Franco Della Peruta, Sei domande sulla storia, a cura di Paola Ghione, in “Zapruder”, 2011,
n. 25, pp. 140-145. Il 17 settembre 2009 aveva rilasciato una “testimonianza” a Gilda Zazzara, allora impegnata nella preparazione della tesi di dottorato, che ne ha poi utilizzato delle
parti nel volume La storia a sinistra. Ricerca e impegno politico dopo il fascismo, Roma-Bari,
Laterza, 2011, passim.
10 Il padre era di origini casertane, la madre invece siciliana. Nella prefazione a La patria armata. Un episodio della rivolta antileva in Sicilia (Trapani, Corrao editore, 1989) di Salvatore
Costanza, Della Peruta afferma di aver accettato con piacere di presentare il volume sia per
la qualità della ricerca e la lunga amicizia che lo legava all’autore, risalente agli anni di “Mo-
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liceo romano di grande prestigio”, dove si mette in luce per le sue qualità.
Luca Canali, latinista e scrittore, rievocando il Visconti e il clima di quegli
anni, scrive: “malgrado l’insegnamento di professori di rango, culturalmente
si vivacchiava: con l’eccezione di Franco Della Peruta, Willi De Luca, Vittoria
Ottolenghi, diecisti sistematici e geni riconosciuti”11. Lo stesso Della Peruta
ricorda alcuni insegnanti “di grande levatura come Raffaele Persichetti, docente di storia dell’arte, caduto nel ’43 a Porta San Paolo nella difesa di Roma12, o Guido Gigli, docente di storia e filosofia, autore di libri importanti”13.
Nel 1939-40 transita per il Visconti anche Gastone Manacorda14, incaricato
di Storia e filosofia, in contatto, attraverso il fratello Paolo, con Mario Alicata
e il gruppo comunista romano15.
Non è dato sapere se risalga al Visconti la conoscenza, poi divenuta “amicizia”, di Della Peruta con il “grande storico comunista”16, che gli fu “maestro
di vita e consigliere negli studi storici”17, riferimento costante e prezioso per
gli avvii della sua carriera. Sappiamo però che nel lasso di tempo tra lo
vimento Operaio” (nel n. 6 del 1954 dedicato ai Fasci siciliani, Costanza aveva pubblicato un
saggio su I fasci dei lavoratori nel Trapanese, pp. 1007-1049), sia perché il libro “ha per oggetto Castellammare del Golfo, un centro al quale mi legano motivi affettivi perché mio nonno paterno [recte: materno] – si chiamava Francesco Di Bona – era castellammarese puro
sangue, e in quel centro visse a lungo, esercitando per trenta anni il duro mestiere del cabotaggio”, p. 11.
11 Luca Canali, Spezzare l’assedio, Milano, Bompiani, 2003, p. 162.
12 Sulla figura di Persichetti (1915-1943) si veda Luca Canali, In memoria senza più odio. Storie esemplari di uomini della Resistenza, Firenze, Ponte alle Grazie, 1995, pp. 53-60.
Sull’antifascismo di componenti significative del Visconti cfr. Alessandro Portelli, L’ordine è
già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma, 1999, pp. 78-79 e
passim; Edgarda Ferri, Uno dei tanti. Orlando Orlandi Posti ucciso alle Fosse Ardeatine, Milano, Mondadori, 2009.
13 Franco Della Peruta, Sei domande sulla storia, cit., p. 140. Anche Gastone Manacorda, rispondendo a Alberto Caracciolo, ricordava la figura di Guido Gigli, esperto di cose militari e
autore della prima storia italiana della seconda guerra mondiale uscita nel 1951 da Laterza
(Bilancio di uno storico. Intervista a Gastone Manacorda, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1998, n. 1, pp. 9-10). Altre testimonianze in linea con questi ricordi si possono
leggere nel libro di Portelli, L’ordine è stato eseguito, cit.
14 Bilancio di uno storico, cit., pp. 9-10. Fa cenno alla presenza di Manacorda come insegnante al Visconti Carlo Lizzani nel libro Il mio lungo viaggio nel secolo breve, Torino, Einaudi,
2007, p. 28. Manacorda si era laureato nel 1938 con Giorgio Del Vecchio, allontanato quello
stesso anno a causa delle leggi razziali (su di lui si veda la voce di Vittorio Frosini, in DBI,
vol. 38, 1990), discutendo una tesi di filosofia del diritto, cfr. Ricordi e interventi di Gastone
Manacorda, a cura di Albertina Vittoria, in “Studi storici”, 44 (2003), nn. 3-4, p. 1008.
15 Albertina Vittoria, Intellettuali e politica alla fine degli anni ’30. Antonio Amendola e la formazione del gruppo comunista romano, Milano, Franco Angeli, 1985, p. 75.
16 Franco Della Peruta, Sei domande sulla storia, cit., p. 141.
17 Franco Della Peruta, Un amico fraterno, in Alla ricerca di un socialismo possibile. Per ricordare Stefano Merli, a cura di Carlo Carotti, Milano, Lampi di stampa, 2004, p. 9. Sulla figura
di Manacorda si veda ora Albertina Vittoria, La “ricerca oggettiva”: il rapporto fra la politica e
la cultura per Gastone Manacorda e Delio Cantimori. Introduzione al carteggio, in Delio Cantimori, Gastone Manacorda, Amici per la storia. Lettere 1942-1966, a cura di Albertina Vittoria,
Roma, Carocci, 2013, pp. 9-136.
3
scoppio della guerra civile spagnola e il crollo del regime fascista, mentre
andavano in frantumi “le visioni delle cose e le visioni del mondo che avevano dominato fino ad allora”18, per molti liceali l’incontro con professori di elevate
doti
intellettuali
e
morali
è
stato
decisivo
nel
transitarli
all’antifascismo. Mario Mirri, in un denso contributo dedicato alla storia intellettuale e politica di quattro giovani lucchesi (Fausto Codino, Giorgio
Giorgetti, Mazzino Montanari e Angelo Pasquinelli), dilatatosi a riflessione di
carattere generale sull’impegno civile di una generazione, ha sottolineato
l’importanza per la loro maturazione politica dell’esperienza liceale e in particolare dell’incontro con il docente di storia della filosofia19. Senza pretendere di trarne conclusioni generali, cosa che Mirri si guarda bene dal fare,
esistono numerosi riscontri in proposito20. Allo stato delle conoscenze, è difficile però dire se sia stato così anche nel caso di Della Peruta. Se questo
avvenne si trattò di essenzialmente un processo di chiarificazione in senso
politico, perché, a suo dire, era uscito dal liceo “incerto su cosa fare della vita”. Iscrittosi a ingegneria, si rese presto conto che non era quella la sua
strada, abbandonando la facoltà pochi mesi più tardi. Prese allora a frequentare la Biblioteca nazionale avvicinandosi alla storia. Nel frattempo urgevano altre questioni.
Nell’ottobre del ’43 i tedeschi avevano occupato Roma. Vi resteranno sino al
giugno del 1944. Della Peruta, insieme a due suoi ex compagni del Visconti,
Gianni Toti e Franco Coppa, che nel dopoguerra sarebbe stato il segretario
della Camera del lavoro di Roma, nel 1943 si iscrive al Partito comunista italiano, presentato da Giulio Cortini, assistente di fisica alla Sapienza21.
Mario Mirri, L’ultimo servizio del nostro Liceo classico, in Mario Mirri, Renzo Sabbatini, Luigi Imbasciati, L’impegno di una generazione. Il gruppo di Lucca dal Liceo Machiavelli alla Normale nel clima del Dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 2014, p. 174.
19 Ivi, pp. 167-176.
20 In proposito Mirri ricorda la figura del suo insegnante di filosofia al liceo classico Pigafetta
di Vicenza, Mario Dal Pra, che avrebbe preso parte alla Resistenza nelle file del Partito
d’Azione (su questo cfr. M. Dal Pra, La guerra partigiana in Italia settembre 1943-maggio 1944,
a cura di D. Borso, Firenze, Giunti, 2009) e nel dopoguerra, oltre che professore di storia della filosofia all’Università degli Studi di Milano, fu a lungo il segretario dell’Istituto nazionale
per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, fondato nel 1951; l’influenza di Giorgio
Colli, docente al liceo classico Machiavelli dei quattro giovani lucchesi, e i casi di Paolo Alatri,
al liceo Tasso di Roma, di Cinzio Violante al liceo di Barletta, di Antonio La Penna, ad Avellino, concordi nel sottolineare il contributo decisivo del professore di filosofia alla loro maturazione culturale e civile.
21 Giulio Cortini (1918-2006), vicino al gruppo dei cattolici-comunisti di Adriano Ossicini, si
iscrisse al Pci e divenne il responsabile del gruppo artificieri del Gap centrale. Cfr. Maestri e
allievi nella fisica italiana del Novecento, a cura di Luisa Bonolis, Pavia, La Goliardica pavese,
18
4
Dopo l’8 settembre i tre entrano in contatto con i Gap e partecipano alle
prime azioni clandestine di propaganda.
Della Peruta non amava parlare di sé e in particolare di quegli anni, e se gli
capitava di farlo, ricordo bene, ne parlava come se si fosse trattato di
un’avventura dai forti connotati picareschi.
Meno parco di parole Gianni Toti, giornalista e regista, che gli fu compagno
in quell’esperienza, e amico per il resto della vita, in una testimonianza rilasciata a Cesare De Simone ricorda: “Il nostro comandante militare” era Mario Leporatti22, ma “certo non eravamo organizzati come i Gap centrali”. “Ogni mattina alle sei con Della Peruta si andava a casa di Coppa a studiare il
Capitale di Carlo Marx23 e a discutere del plusvalore”. Per passare poi
all’azione: distribuzione della stampa clandestina, scritte sui muri inneggianti a Stalin e alla sconfitta del fascismo. Ma anche un’azione militare,
non priva di rischi, come il fallito attentato a palazzo Wedekind nella centralissima piazza Colonna, sede del comando fascista, il 21 gennaio 194424.
In quei mesi drammatici si rinsalda il legame di Della Peruta con Gastone
Manacorda, membro della direzione politico-militare della IV zona (Centro)
2008, cap. 3: Giulio Cortini, che riporta anche una lunga conversazione nel corso della quale
Cortini racconta anche la sua partecipazione ai Gap (http://www.luisabonolis.it/20thCentury_Physicists_files/CORTINI.pdf).
22 Mario Leporatti (1919-2007), iscritto al Partito comunista, attivo nella Resistenza a Roma e
in seguito nel Viterbese. Nel 1980 ha pubblicato un Breve profilo storico della Resistenza romana, Roma, Anpi. Su di lui si veda Cesare De Simone, Roma città prigioniera. I 271 giorni
dell’occupazione nazista (8 settembre ’43 – 4 giugno ’44), Milano, Mursia, 1994, p. 260 (secondo Portelli, L’ordine è già stato eseguito, cit. p. 395 un libro fondamentale per la ricostruzione delle vicende della resistenza a Roma ).
23 Prima della pubblicazione nel 1953 nelle Edizioni Rinascita a cura di Delio Cantimori, coadiuvato dalla moglie Emma Mezzomonti, esistevano solo due traduzioni del Capitale, la prima uscita nel 1886 nella “Biblioteca dell’economista”, la seconda, a cura di Ettore Marchioli,
“prima versione dall’originale tedesco”, pubblicata dalla Società editrice Avanti! nel 1915.
Secondo Cafagna fra gli storici comunisti della sua generazione “i lettori di Marx erano pochissimi” e tranne poche eccezioni per tutti “il marxismo al massimo era costituito da Labriola e Gramsci” (Lo sviluppo, tra politica e storia. Conversazione con Luciano Cafagna, in Luciano
Cafagna. Tra ricerca storica e impegno civile, a cura di Enrico Francia, Venezia, Marsilio,
2007, p. 215). Posso testimoniare di come Della Peruta, in tarda età, ironizzando sulla tendenza a infarcire i propri saggi con riferimenti teorici alla moda, insistesse invece nel rivendicare il carattere formativo della lettura del Capitale.
24 Sull’episodio netto il ricordo di Toti: “Per il 21 gennaio del ’44 decidemmo di organizzare
un grande attentato. [...] Lo organizzai con Coppa, Della Peruta, De Rossi e Di Lernia.
L’obiettivo era palazzo Wedekind in piazza Colonna dov’era la sede del comando fascista. Nello spiazzo antistante erano fermi molti mezzi militari. Il partito ci diede la bomba che avevamo chiesto”, in Cesare De Simone, Roma città prigioniera, cit., pp. 215-216). L’azione maldestramente condotta non riuscì e Toti durante la fuga venne ferito. Il racconto coincide con
quello che me ne fece un giorno Della Peruta. Il ferimento di Gianni Toti è ricordato anche da
Rosario Bentivegna, ma in un diverso contesto (Rosario Bentivegna, Senza fare di necessità
virtù. Memorie di un antifascista, con Michela Ponzani, Torino, Einaudi, 2011, p. 104).
5
del Pci25: per Della Peruta “era un idolo”, ricorderà Toti. E con questo siamo
tornati alla storia.
Abbandonata ingegneria, Della Peruta si iscrive a Lettere laureandosi nel
1946 con Alberto Maria Ghisalberti, docente di storia del Risorgimento, che
gli trasmette “gli strumenti fondamentali di lavoro”. Pur riconoscendo le
qualità di Ghisalberti come docente26, Della Peruta ha sempre affermato di
non aver avuto veri maestri27.
Neppure la preparazione della tesi, che in seguito avrebbe considerato un
passaggio cruciale per la formazione dello storico, sembra aver contato molto nel suo percorso formativo. Con una punta di civetteria racconta infatti a
Paola Ghione: “La mia tesi di laurea fu [...] un disastro completo; a quel
tempo lavoravo per vivere, tentai una lettura del Risorgimento pretenziosa e
un po’ incosciente partendo dalle prime cose che uscivano di Gramsci. Ci
misi solo tre mesi, mi occorreva un pezzo di carta”. Non è facile sapere cosa
avesse letto del Gramsci dei Quaderni. Nel 1946, l’anno in cui Della Peruta
si laurea, Felice Platone aveva dato una prima descrizione del loro contenuto nel numero di aprile di “Rinascita ma per la pubblicazione degli scritti di
argomento risorgimentale bisognerà attendere il 1947, quando su “Belfga-
25 Dirà Manacorda, anche lui poco propenso a ricordare quell’esperienza: “dall’ottobre ’43 fino all’agosto del ’44, fino alla liberazione di Roma, fui totalmente assorbito dall’attività cospirativa e nell’organizzazione di azioni partigiane”, Bilancio di uno storico, cit., p. 11.
26 In una breve nota in ricordo di Federico Curato, a proposito dei suoi anni di studio alla facoltà di lettere Della Peruta ha scritto: “studiavo alla Facoltà di Lettere dell’Ateneo romano e
muovevo i primi passi nella via della ricerca, sotto la guida di due maestri che mi è caro qui
ricordare per le loro doti personali e scientifiche e per la capacità di seguire e indirizzare i
giovani: Alberto Mario Ghisalberti ed Emilia Morelli”, Ricordo di Federico Curato, in “Il Risorgimento”, XLII (1990), nn. 2-3, p. 181.
27 La persona a cui riconosceva un ruolo chiave nel suo orientamento era, come detto, Gastone Manacorda. Resta da approfondire invece il rapporto e l’influenza avuta su di lui da
don Giuseppe De Luca, di cui secondo Massimo Ganci a Roma “aveva seguito il valido insegnamento” (Meridionalismo e questione contadina in una rivista milanese degli anni cinquanta:
“Movimento operaio”, in Ricerche di storia in onore di Franco Della Peruta, a cura di Maria Luisa Betri e Duccio Bigazzi, vol. I: Politica e istituzioni, Milano, Franco Angeli, 1996, p. 554).
Richiama l’importanza dell’“apprendistato” di Della Peruta “alla scuola di Don Giuseppe de
Luca” Cantimori nella sua famosa replica al “quintetto ‘napoletano’” pubblicato in “Movimento Operaio”, VII (1953), n. 1-3. p. 327: “questi [FDP] arrivava a Milano dopo aver appreso alla
scuola di Don Giuseppe De Luca il significato e il valore di quella tradizioni di studi eruditi
che vorrei chiamare ‘muratoriana’, anche per la sua accentuazione dell’importanza della ricerca in loco, del risalire agli archivi privati, ecc.”. Nessun cenno di tale rapporto in Luisa
Mangoni, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana
del Novecento, Torino, Einaudi, 1989. La risposta di don De Luca nel 1952 (il biglietto s.d. è
indirizzato in via Scarlatti 26, sede della Biblioteca Feltrinelli) all’invio dei primi numeri di
“Movimento operaio” sembra comunque attestare una certa familiarità tra i due, in Istituto
Mantovano di Storia Contemporanea, fondo Gianni Bosio (d’ora in poi FGB), c. 84.
6
gor” e “Società” apparvero alcune anticipazione del Quaderno XIX, pubblicato infine nel 1949 da Einaudi.
Curiosamente Della Peruta non menziona l’argomento della propria tesi. In
proposito, mentre in un primo tempo si era pensato che avesse avuto per
argomento il blocco continentale e le sue conseguenze28, una successiva verifica condotta da Romano Ugolini presso l’archivio della Sapienza ha chiarito il punto. Della Peruta si laureò il 6 dicembre 1946 con una tesi su Aspetti
della vita economica del movimento operaio italiano nell’ultimo trentennio del
secolo XIX29.
Al di là di inevitabili imprecisioni, questo tardo ricordo autobiografico è comunque importante. Della Peruta rivendica il fatto che la sua formazione è
avvenuta al di fuori dell’Università: “Fu sotto la guida di Manacorda, che era
di alcuni anni più anziano di me [era nato nel 1916], e in un contesto estraneo all’università, che cominciai a frequentare i sentieri di Clio”. E
conclude: “Insomma, non sono approdato agli studi attraverso l’università,
ma in maniera si può dire autonoma”30.
Un percorso simile a quello del suo mentore. Nel 1988 a chi gli chiedeva di
come fosse arrivato alla storia, lui che si era laureato in giurisprudenza,
Manacorda aveva risposto: “dal punto di vista della mia formazione di studioso di storia io sono autodidatta, cioè non sono andato a scuola dagli storici, non ho fatto una carriera universitaria, come si poteva fare allora, assistente volontario e così via, perché non ce n’è stata neanche la possibilità”31.
Come confermano le biografie di Gianni Bosio, Luigi Cortesi32, Stefano Merli, Enzo Santarelli33 e dello stesso Luciano Cafagna si trattava di una condi-
Maria Grazia Meriggi, Franco Della Peruta storico, cit., p. 120.
Ringrazio il professor Romano Ugolini per la comunicazione che conferma quanto mi era
stato detto, in un lungo e amichevole colloquio, da Lilli Dalle Nogare.
30 Sei domande sulla storia, cit., p. 141.
31 Franco Della Peruta, Bilancio di uno storico, cit., p. 13.
32 In una lettera a Cantimori del 7 agosto 1958, Luigi Cortesi annunciando l’invio del n. 3
della “Rivista di storia del socialismo” scriveva: “sia Merli che io non abbiamo avuto una
grande preparazione universitaria, ma soltanto come fondamentale, alcuni anni di lavoro intenso e specialistico alla Biblioteca Feltrinelli. Il che può essere un elemento di vantaggio, ma
è per molti aspetti anche una chiusura”, in Delio Cantimori e la “Rivista storica del socialismo”. Carteggio con Luigi Cortesi e Stefano Merli, a cura di Gilda Zazzara, in “Belfagor”, LXIV
(2009), n. 5, p. 581. Mezzo secolo più tardi non aveva cambiato idea. Riandando a quegli anni scrive infatti: “Mi convinsi anche che sia io sia Merli non avevamo avuto maestri, che dovevamo formarci da soli facendo tesoro della frequentazione della Feltrinelli”, in Storia di sto28
29
7
zione abbastanza diffusa. “Non ci muovevamo – ricorderà Cafagna – al seguito di ‘maestri’. Neppure Cantimori, che pure era vicino ad alcuni di noi,
simpatizzava fino in fondo coi nostri tentativi. Lo infastidiva l’idea che una
generazione di storici potessi formarsi al di fuori dei normali canali accademici”34. Ne abbiamo conferma anche da una lettera di Giorgio Napolitano a
Emilio Sereni, che aveva da poco pubblicato su “Società” il saggio su Le
classi agricole e lo Stato nella politica della Destra35, e a cui si era rivolto per
averne consigli sull’argomento “in qualche modo ‘meridionale’” della propria
tesi di laurea: “Scusa se ti do questa seccatura e se ti chiedo di rivolgere la
tua attenzione ad una cosa del genere – scrive il 20 novembre 1946 –; ma
noi abbiamo bisogno di maestri. e i nostri maestri oggi non li troviamo di
certo nell’Università”36.
Nell’Italia uscita da vent’anni di fascismo e dalle rovine della guerra a formare il profilo di una nuova generazione di contemporaneisti fu con ogni evidenza la partecipazione alla lotta politica e per molti, e fra questi Della Peruta, il coinvolgimento nella vita della Biblioteca Feltrinelli. È un punto da
tenere ben fermo. La Biblioteca Feltrinelli diventa rapidamente, grazie
rici, a cura di Giuseppe Imbucci, Salerno, 2004 (citazione ripresa da Maria Grazia Meriggi,
Franco Della Peruta storico, cit., p. 126).
33 Su Santarelli, nato ad Ancona in una “ricca famiglia con attività industriali”, si veda il profilo di Paolo Giannotti e Stefano Pivato, posto a introduzione del volume Per Enzo Santarelli.
Studi in onore, a cura di Paolo Giannotti e Stefano Pivato, “Quaderni del Consiglio regionale
delle Marche”, X (2005), marzo, pp. 15-40. Santarelli stesso ha raccontato il suo “itinerario
ideale” che da Croce-Labriola lo aveva portato “all’adesione ideale e teorica al comunismo”
nel volume autobiografico Mezzogiorno 1943-1944. Uno “sbandato” nel Regno del Sud, Milano, Feltrinelli, 1999.
34 Testimonianza di Luciano Cafagna a Nello Ajello, Intellettuali e Pci. 1944-1958, Roma-Bari,
Laterza, 19972. La testimonianza di Cafagna sull’atteggiamento “accademico” di Cantimori è
suffragata da Enzo Collotti che, in una recente autobiografia intrisa di giudizi assai acri per
quanto riguarda il mondo della Feltrinelli, scrive: “Nel 1960 all’inaugurazione della nuova
sede della Feltrinelli in via Romagnosi, avemmo, io e Zanardo, un incontro shock con Cantimori che ci ammonì polemicamente di non lavorare per il privato ma a tornare all’università,
ove a suo dire si stavano aprendo opportunità sino ad allora inesistenti”, Enzo Collotti, Impegno civile e passione critica, a cura di Mariuccia Salvati, Roma, Viella, 2010, p. 47.
35 Il saggio, originariamente apparso in “Società” I (1945), n. 4, pp. 92-123 e II (1946), n. 5,
pp. 160-201, poi confluito nel volume Il capitalismo nelle campagne 1860-1900 (Torino, Einaudi, 1947), era stato scritto “negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto
mondiale” e aveva avuto una circolazione clandestina “in Italia sotto il fascismo in copie dattiloscritte”, come dirà lo stesso Sereni nella nota Al lettore in apertura della nuova edizione
del volume (1968), attribuendo la fortuna dell’opera al fatto di aver “potuto beneficiare”, in
ragione della sua militanza politica, “già negli anni della più soffocante dittatura fascista, e
ben più precocemente di quel che non sia avvenuto per la maggior parte degli studiosi italiani della sua generazione, di una approfondita preparazione metodologica marxista e leninista”, p. VI.
36 La lettera di Napolitano a Sereni è riportata in Emilio Sereni, Diario (1946-1952), a cura di
Giorgio Vecchio, Roma, Carocci, 2015, p. 44, nota 2.
8
all’entusiasmo e alle grandi disponibilità finanziarie del suo fondatore, una
straordinaria raccolta di libri e documenti e su questa base costruisce un
intreccio di collaborazioni con giovani ricercatori sparsi in molte città, che la
qualificherà come una delle fucine di una nuova generazione di studiosi.
“Un invito alle fonti è il primo appello che conviene rivolgere
agli studiosi”
Nel 1948, “Rinascita” avvia la serie dei suoi Quaderni con un fascicolo di
“saggi e testimonianze” dedicato all’“anno dei portenti”, un passaggio “decisivo della storia europea e del mondo”. Il Quaderno ha un posto importante
nella biografia intellettuale di Della Peruta. In quella pubblicazione, curata
da Manacorda e aperta da un articolo di Togliatti sul Centenario del Manifesto del Partito comunista, veniva presentato senza alcuna nota esplicativa,
con qualche taglio e un titolo neutro – Dai “Quaderni dal carcere” di Gramsci
–, un testo chiave dell’interpretazione gramsciana del Risorgimento, le note
sul Problema della direzione politica nella formazione e nello sviluppo della
nazione e dello Stato moderno in Italia37. Si trattava di un testo destinato ad
avere un’influenza decisiva sulla nuova generazione degli storici marxisti e
più in generale sul dibattito storiografico di quegli anni. Vi è però un secondo e più decisivo elemento di cui tenere conto. Su quello stesso Quaderno
faceva il suo esordio Della Peruta, con un saggio sugli Aspetti sociali del ’48
nel Mezzogiorno, che avrebbe inserito – rivisto e corretto – nel volume Democrazia e socialismo nel Risorgimento38. Nel saggio, basato su una bibliografia
abbastanza scarna, Della Peruta, che aveva allora ventiquattro anni, anticipava alcuni dei nodi attorno a cui avrebbe ancorato la sua riflessione storiografica successiva39. Li riassume bene Luisa Betri, da cui li riprendo: “il
distacco delle masse rurali dalla causa nazionale, nel quadro di un’ampia
disamina della questione agraria, i rapporti tra moderati e democratici, la
radicalizzazione di alcune correnti democratiche sotto l’influsso del socialismo premarxista, la diversità delle dinamiche, nella congiuntura rivoluzionaria, tra centro e periferie, tra la capitale e le province”40.
Qui alle pagine pp. 39-44.
Franco Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento. Saggi e ricerche, Editori
Riuniti, 1965, ripubblicato nel 1973 e nel 1977.
39 Per questo non mi sento di condividere la definizione che di quel saggio dà Gilda Zazzara
qualificandolo come uno studio originale di storia locale, La storia a sinistra, p. 57.
40 Maria Luisa Betri, Ricordo di Franco Della Peruta, p. 89.
37
38
9
A riprova di questa lunga fedeltà ad alcune idee forti, credo sia sufficiente
rileggere l’inizio della lezione magistrale pronunciata nel dicembre 2006
all’Università di Bologna quando gli venne conferita la laurea honoris causa:
“Al Risorgimento, che portò nel 1861 alla formazione dello Stato unitario
italiano,
restarono
estranei,
con
atteggiamenti
che
andarono
dall’indifferenza all’aperta ostilità, i contadini, che pure costituivano la
grande maggioranza della popolazione”.
Sia pure in maniera più articolata rispetto a quel suo primo e ormai lontano
saggio, l’estraneità delle masse rurali al moto nazionale era ricondotta
all’incapacità del movimento democratico di fare i conti con la questione
contadino e di “elaborare un programma capace di scuotere le popolazioni
dei contadi”, dando risposta a “quel desiderio di migliorare (l’espressione è
di Carlo Pisacane) che fermentava più o meno consapevolmente nel loro seno”. Una visione a cui faceva da sfondo una sintetica rassegna delle condizioni di vita nelle diverse Italie agricole41.
Ho volutamente messo in connessione due testi cronologicamente tanto distanti – quasi sessant’anni li separano – per sottolineare la presenza di alcune costanti nell’operare di Franco Della Peruta. Non si pensi naturalmente a uno svolgimento lineare e senza scarti. La grande attenzione alle fonti è
stato l’antidoto che ha consentito a Della Peruta di non finire imbrigliato in
uno schema troppo rigido. Nella recensione a I democratici e il Risorgimento,
il libro in larga misura costruito sui materiali della Biblioteca Feltrinelli, che
avrebbe consacrato la fama di Della Peruta, Giuseppe Berti sottolineava
proprio questa caratteristica42. È un tema su cui avrò modo di riprendere
nelle conclusioni.
Mi preme ora richiamare un altro punto destinato a segnare in profondità
l’operare di Della Peruta. Ho detto prima che il saggio del 1948 si fondava
su una bibliografia scarna. Come stupirsene? Si legga quanto scriveva nel
1946, su uno dei primi fascicoli di “Belfagor” Carlo Morandi, maestro di
Franco Della Peruta, I contadini e il Risorgimento, in “Storia e futuro”, 2007, n. 13,
www.storiafuturo.com (al momento – aprile 2015 – non disponibile ma consultabile on line:
http://docslide.it/documents/franco-della-peruta-i-contadini-e-il-risorgimento.html.
42 “A noi il libro del Della Peruta è piaciuto per molte e ovvie ragioni [...] ma soprattutto perché ci par di comprendere che il suo autore è partito da certe premesse e a mano a mano,
lavorando coscienziosamente, studiando la ricchissima pubblicistica democratica del Risorgimento e i materiali d’archivio ha finito (così come uno storico deve) col tener conto più dei
fatti che delle premesse da cui era partito”, in “Società”, XV (1959), n, 1, p. 141.
41
10
Armando Saitta, Ernesto Ragionieri ed Elio Conti, per citare alcuni storici le
cui vicende avranno a che fare con la Biblioteca Feltrinelli, a proposito della
necessità di uno scavo documentario preliminare a una stagione di nuove
ricerche dopo la lunga parentesi del fascismo. Le sue considerazioni erano
riferite in particolare al “campo del socialismo”, ma valevano anche per gran
parte del variegato fronte della democrazia risorgimentale. È una citazione
lunga, ma del tutto pertinente a quello che sarà il modus operandi di Della
Peruta, come rivela già quel suo primo saggio.
Un invito alle fonti è il primo appello che conviene rivolgere agli studiosi: bisogna procedere
ad uno spoglio dei giornali e dei periodici: non appena dell’Avanti! o della Critica sociale, ma
in primo luogo dei vecchi fogli e poi della stampa provinciale e locale. Indagini sistematiche
devono essere iniziate negli archivi di grandi e piccoli Comuni, di organismi sindacali, di
Camere del lavoro [...]. Dagli archivi di Stato verrà qualche luce sui primi processi socialisti,
su l’‘Internazionale’, sulla nascita dei primi circoli: tutte cose che la polizia sorvegliava anche
troppo da vicino. Poi verranno i carteggi privati a consentire i giudizi più intimi e approfonditi, ad illustrare legami spirituali e pratici, a colorire gli ambienti, a ravvivare le singole figure.
Naturalmente, soggiunge Morandi, per dar corso a un simile programma sarà necessario superare molti ostacoli: “occorrono biblioteche specializzate ed
emeroteche; le prime in Italia difettano, le seconde mancano affatto43.
Non c’è alcun dubbio che le sollecitazioni di Morandi trovassero simpatetico
Della Peruta, così come credo non vi siano dubbi che a muoverlo in questa
direzione fosse l’idea di contribuire a creare i presupposti per una storia capace di restituire dignità a militanti, lavoratori, esponenti minori del tessuto
associativo, a donne e uomini che avevano dato corpo al sogno emancipatorio del socialismo44. Ne fa fede, proprio quel primo saggio sul Quaderno di
“Rinascita”. In esso, quasi a controbilanciare l’esiguità della bibliografia disponibile, Della Peruta per documentare le posizioni delle diverse forze in
campo in quei mesi cruciali fa largo ricorso ai giornali pubblicati a Napoli e
nelle città di provincia. E inserisce una frase rivelatrice, direi programmati-
Carlo Morandi, Per una storia del socialismo in Italia, in “Belfagor”, I (1946), n. 2, p. 166.
Sulla figura di Morandi, i suoi rapporti con Volpe e il fascismo si rimanda all’ampio studio di
Mirco Carrettieri, Tra le due sponde. La cultura fiorentina, l’Italia in guerra, la crisi del fascismo. Materiali per una biografia intellettuale di Carlo Morandi, in “Storiografia”, X (2006), pp.
105-317.
44 Sintomatico quanto scrive il 25 giugno 1952 a un certo Duse, funzionario della federazione
comunista di Rovigo, invitandolo a collaborare alla bibliografia dei giornali socialisti: “È assai
importante preparare il materiale bibliografico e documentario per la storia del movimento
operaio italiano, per permettere di fare la storia, locale e generale, del nostro movimento operaio, la qual cosa poi si risolve anche nell’interesse della lotta politica” (BBGF, busta 17, fasc.
16).
43
11
ca: la ricerca sui diversi “atteggiamenti dei radicali meriterebbe di essere estesa ed approfondita mediante indagini negli archivi e sulla stampa”45. Che
è quanto egli stesso aveva cominciato a fare in maniera artigianale.
Nel 1949, nel secondo numero, ancora ciclostilato, di “Movimento operaio”,
la rivista fondata da Gianni Bosio, compare una breve nota: Nuovi documenti sull’Internazionale in Roma. Poche righe di commento, giusto per legare e
contestualizzare la trascrizione di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Roma. La firma: Franco Della Peruta. Si tratta di materiali preparatori,
come quelli pubblicati nei numeri successivi della rivista46, destinati a confluire tre anni più tardi in un più disteso articolo sull’Internazionale a Roma
dal
1872
al
187747,
preannuncio
di
un
volume
sulla
storia
dell’Internazionale in Italia rimasto allo stadio di progetto48, al cui centro
campeggiava la figura di Osvaldo Gnocchi Viani, di cui nel frattempo, tramite
Bosio,
la
Biblioteca
Feltrinelli
aveva
acquisito
ciò
che
restava
dell’archivio49. Anche in questo caso una lunga fedeltà, come attesta la ripresa del tema nel 199750.
Sono tutte tappe di un lavoro di riscoperta delle fonti che porteranno Della
Peruta ad approfondire le origini del movimento socialista in Italia in un
percorso che passando per il saggio su La Banda del Matese e il fallimento
della teoria anarchica della moderna “Jacquerie” in Italia del 1954 culminerà
quattro anni più tardi nell’ampio contributo al primo volume degli Annali
45 Franco Della Peruta, Aspetti sociali, cit., p. 99. Stranamente questa annotazione è stata
cassata nella ripresa del saggio in volume.
46 Nel corso del 1950 sarebbero apparsi in “Movimento operaio”: La consistenza numerica
dell’Internazionale in Italia nel 1874, nn. 3-4, pp. 354-355; Documenti sull’Internazionale in
Venezia (1872-73), nn. 5-6, pp. 131-136; Carte della Confederazione operaia lombarda
nell’Archivio di Stato di Milano, nn. 11-12, pp. 354-355.
47 “Movimento Operaio”, (IV) 1952, n.s., n. 1, pp.5-52. Franco Venturi, in una lettera del 27
dicembre 1954 a Leo Valiani riferisce che nel fascicolo di novembre di “Voprosy istorii” I.V.
Grigor’eva parla diffusamente dell’ultimo numero di “Movimento Operaio”, lodando in particolare il saggio di Della Peruta sull’Internazionale a Roma (Leo Valiani, Franco Venturi, Lettere 1943-1979, a cura di Edoardo Tortarolo, Firenze, La nuova Italia, 1999, p. 163). Sulla rivista e le posizioni della storiografia sovietica rimando all’apparato critico di Albertina Vittoria
al carteggio Cantimori-Manacorda, in particolare per le vicende seguite al Congresso internazionale di scienze storiche a Roma nel 1955.
48 Ne scrive a Bosio dicendo di avere firmato il contratto per una monografia con le edizioni
Rinascita, allora dirette da Gastone Manacorda.
49 Nella riunione del Comitato direttivo della Biblioteca del 16 marzo [1953] Bosio riferisce su
alcuni possibili acquisti, tra questi l’archivio Gnocchi Viani; “centinaia di lettere, carte, tessere, volantini, manifesti, foto. Raccolta degli articoli su O.G.V. Opere manoscritte”, AGB, cart.
89.
50 Osvaldo Gnocchi Viani e l’Internazionale a Roma dal 1872 al 1877, in “Storia in Lombardia”,
XVII (1997), n. 1, pp. 137-158 (poi nel volume Osvaldo Gnocchi Viani nella storia del movimento operaio e del socialismo, a cura di Franco Della Peruta, Milano, Franco Angeli, 1997).
12
Feltrinelli, Il socialismo italiano dal 1875 al 1882. Dibattiti e contrasti51. Sono
trascorsi dieci anni dal primo saggio sugli Aspetti sociali del ’48 nel Mezzogiorno. Della Peruta è ormai una figura di rilievo nel panorama della nuova
contemporaneistica italiana. Lavora instancabilmente e sembra non accorgersi delle frizioni e delle spaccature che attraversano la redazione di “Movimento Operaio”52 – nelle quali pure ebbe un ruolo non marginale prima
come condirettore con Bosio e poi come vice di Saitta, ma anche come “garante” della componente comunista della redazione53. Non pare toccato
neppure
dalle
accuse
di
“corporativismo”
e
“filologismo”
mosse
a
un’impostazione storiografica che, forte del sostegno di Manacorda, Della
Peruta sentiva profondamente sua. La stessa drammatica crisi del rapporto
tra intellettuali e partito dopo il 1956 sembra sfiorarlo appena54. Poco o nulla di questi conflitti drammatici trapela dal suo lavoro alla Feltrinelli e dai
suoi studi.
L’attenzione per le fonti e gli archivi locali per Della Peruta, che nel 1949-50
prende parte ai primi seminari “di studi storici” organizzati a Roma dalla
Fondazione Gramsci – “un’iniziativa di tipo nuovo, che, pur agendo
nell’ambito dell’università, non ha un carattere strettamente accademico”55
–, si intreccia con un chiaro programma di ricerca. Lo aveva accennato ti-
51 Anche questi due saggi sarebbero stati inseriti da Della Peruta nella raccolta Democrazia e
socialismo, cit., con minime varianti nei titoli. Sulla “banda del Matese” sarebbe tornato nel
1998 in occasione di un convegno organizzato a San Lupo da Luigi Parente, cfr. Movimenti
sociali e lotte politiche nell’Italia liberale. Il moto anarchico del Matese, atti del convegno, a cura
di Luigi Parente, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 21-38.
52 Sulla vicenda si è accumulata una vasta letteratura, per la quale si rinvia ai saggi di Mariamargherita Scotti e Vittorio Criscuolo in questo Annale.
53 Il 9 febbraio del 1953, Ferri scrive a Del Bo, che si trova a Parigi, e tra varie cose lo informa che in una riunione a Roma era stato deciso di appoggiare Della Peruta e di “impegnarlo
a riprendere con maggiore responsabilità (ne risponde ora al P[artito].) il lavoro di condirettore di M.O.”.
54 Sull’originale del famoso manifesto del 101 redatto da Cafagna pare ci fosse anche la firma
di Della Peruta, che manca invece nel testo pubblicato sul settimanale “Il Punto” il 3 novembre 1956, dopo che “l’Unità” si era rifiutata di pubblicare la lettera. Ricostruisce tutta la vicenda Albertina Vittoria, Togliatti e gli intellettuali, cit., pp. 212-218 (vedi in part. p. 215, nota
62). Anche nella lettera di protesta per l’atteggiamento del Partito indirizzata al Comitato
centrale che l’“Unità” non volle pubblicare, firmata tra gli altri da Giangiacomo Feltrinelli,
Giuseppe Del Bo Luigi Cortesi e Giuliano Procacci, il nome di Della Peruta non compare,
Carlo Feltrinelli, Senior Service, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 104-105.
55 Un grande contributo agli studi sulla storia del Movimento Operaio. La Fondazione Gramsci,
in “Movimento operaio”, II (1950), nn. 9-10, pp. 297-298. Il seminario del 1949-50 vide
l’intervento di due professori della Sapienza: Giorgio Candeloro e Giuseppe Martini, e di tre
giovani che accademici non erano: Franco Della Peruta, con una relazione sulle fonti per la
storia del movimento operaio italiano, Paolo Basevi, sulle origini del sindacalismo rivoluzionario, e Luciano Cafagna, su Antonio Labriola.
13
midamente nel saggio sul ’48, lo esplicita un anno più tardi in una recensione assai critica al volume di Salvatore Carbone, Le origini del socialismo
in Sicilia (Roma, Edizioni Italiane, 1947), apparsa in “Società”: “la storia del
movimento operaio italiano è una storia che ancora deve essere scritta e che
va scritta per monografie locali, regionali, sfruttando il materiale documentario, abbondante, ma disperso per biblioteche ed archivi”56.
Su questo punto forte era la sua consonanza con Bosio, il quale, per parte
sua, ricordava come, avendo scelto una tesi di laurea sulla Storia del marxismo in Italia, dopo le prime ricerche si fosse reso conto “che era impossibile
o errato scrivere una storia del marxismo in Italia staccata dal movimento
reale e senza questa non si faceva storia d’idee”57. Ma per fare “la storia reale” mancavano gli strumenti: di qui l’idea di una “una pubblicazione periodica specializzata”58 che se ne facesse promotrice. Era in nuce l’idea di “Movimento operaio”, la cui uscita sarebbe stata annunciata dall’“Avanti!” il 6
ottobre di quello stesso anno, il 1949.
Tenendo presente tutto ciò, si comprende come sul finire del ’51 l’offerta di
cedere la rivista a Feltrinelli, rimanendone direttore, fosse apparsa a Bosio
un’occasione da non perdere. Non solo, credo, per gli aspetti economici, che
comunque avrebbero garantito a lui una maggiore tranquillità e alla rivista
maggiore visibilità e diffusione. Quanto per il fatto che il progetto della Biblioteca Feltrinelli, a cui Giangiacomo, la moglie Bianca Dalle Nogare e Sergio, come veniva familiarmente chiamato Giuseppe Del Bo, avevano cominciato lavorare due anni prima, si avviava a divenire quel “centro di raccolta
(Archivio)”, coordinatore e propulsore di nuovi studi, di cui Bosio aveva lamentato l’assenza in Italia. Solo così gli studi sul movimento operaio avrebbero potuto compiere un salto di qualità, passando da “una fase incerta e
occasionale, a una fase di organica maturità”59. Ed è esattamente quello che
avvenne con la formale costituzione nel 1951 della Biblioteca Feltrinelli60,
“Società”, 1949, n. 1, p. 176.
Gianni Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura 27 giugno 1955 – 27 dicembre 1955,
Milano, Avanti!, 1962, p. 96.
58 Gianni Bosio, Repertorio delle pubblicazioni fatte in Italia dal ’45 al ’48 sul movimento operaio italiano dalle origini alla prima guerra mondiale, in “Quarto Stato”, IV (1949), nn. 4-5, p. 41.
59 Ibidem.
60 Aldo Agosti definisce la Biblioteca Feltrinelli il “principale centro propulsore della storiografia del movimento operaio nell’Italia del secondo dopoguerra”, Tra bilancio e ricordo, Luigi
Cortesi, in “Rivista storica italiana”, 2011, n. 1, p. 189.
56
57
14
anche se Bosio non aveva messo in conto di venire messo da parte, scontando incomprensioni di carattere personale61, tensioni fra le diverse componenti politiche che ruotavano attorno alla rivista e una sostanziale incomprensione di quali fossero gli indirizzi che si voleva dare al lavoro di ricerca della Biblioteca da parte di Feltrinelli e Del Bo62.
Luciano Cafagna, nel 1957, ripercorrendo su “Ragionamenti” gli sviluppi
della storiografia marxista in Italia, registrava una cesura netta tra la prima
serie di “Movimento operaio”, “essenzialmente documentaria” e la seconda,
successiva al passaggio “alle edizioni della Biblioteca Feltrinelli” quando anche i contenuti cambiarono. Da un lato cominciarono ad affluire “le prime
ricerche compiute”, dall’altro si creò una “rete di collaboratori in tutte le regioni d’Italia”. Si ebbe così “dopo il primo impulso verso questi studi [...],
una seconda ondata di ricerche, stimolata”, questo è il punto, “da un centro
organizzatore costituitosi dal coordinamento di quegli sforzi”63. Cerniera tra
questi due momenti, e più in generale tra la fase per così dire pionieristica e
il successivo sviluppo degli studi, è il progetto della Bibliografia della stampa
periodica operaia e socialista italiana (1860-1926) ideato da Bosio e Della Peruta64 e portato avanti da quest’ultimo dopo il licenziamento di Bosio65.
A più di mezzo secolo di distanza, Della Peruta ci teneva a sottolineare ancora una volta il valore civile di un “lavoro di scavo documentario paziente e
meticoloso volto a recuperare e rendere disponibili le fonti relative a un
mondo rispetto al quale il fascismo aveva cercato di operare una radicale
cesura, per tagliare fuori dal vissuto collettivo un sistema di valori e un
61 Che nel contrasto politico entrassero anche questioni di natura personale risulta da uno
scambio epistolare tra Venturi e Valiani, Lettere 1943-1979, cit., p. 121. Ricorda il carattere
spigoloso di Bosio anche Enzo Collotti, Impegno civile, cit., 46.
62 D. Bidussa, Storia e storiografia sul movimento operaio nell’Italia del dopoguerra. Gli anni
della formazione (1945-1956), in Il socialismo e la storia. Studi per Stefano Merli, a cura di L.
Cortesi e L. Panacione, Milano, Franco Angeli, 1998, pp.
63 Luciano Cafagna, Sviluppi della storiografia marxista in Italia, in “Ragionamenti”, II (1957),
n. 9, febbraio-marzo, p. 237 (si cita dall’edizione anastatica, Milano, Gulliver, 1980).
64 In una lettera a Ferri del 28 novembre 1953, scritta dopo il suo licenziamento dalla Feltrinelli, Bosio ricorda le origini del lavoro, “da me, insieme con Della Peruta, seguito in modo
particolare nella parte dell’impostazione iniziale, dell’organizzazione e del coordinamento”,
dichiara di ritenersi coautore del lavoro e chiede garanzie in tal senso, ABGF, cart. 17, fasc.
13.
65 Nei volumi della Bibliografia della stampa periodica operaia e socialista italiana 1860-1926
(relativi a Milano e a Messina) non figura nessun richiamo al ruolo di Bosio come ideatore del
progetto, funzione che gli sarà invece riconosciuta da Della Peruta nella sua introduzione al
volume di Luigi Arbizzani, La stampa periodica socialista e democratica nella provincia di Bologna, 1860-1926, a cura di Maria Chiara Sbiroli, Bologna, Stampatori, 2014, p. 18.
15
complesso di esperienze”66. Giornali e bollettini ai suoi occhi restavano una
fonte essenziale per ricostruire “la genesi e il decorso del movimento socialista e di quello sindacale nelle sue varie articolazioni e livelli, nazionali e locali, con gli addentellati relativi alla cooperazione, alle strutture di base (dai
circoli alle case del popolo, al mutualismo, e con i risvolti connessi alle modalità del lavoro [...] e alle lotte dei lavoratori”67.
Una visione larga del campo di indagine. Della Peruta non si stancava di
esortare i collaboratori a schedare “anche i giornali liberali, moderati, monarchici [che] hanno grande interesse per lo studioso di storia del movimento operaio: naturalmente l’hanno anche nelle grandi città, come Roma o
Napoli, però questo interesse è maggiore nel caso di città di provincia”68. La
bibliografia, come si vede dal contributo all’Annale di Gilda Zazzara, grazie
alla regia di Della Peruta diventa una grande occasione di pedagogia civile.
A parte un ristretto nucleo di giovani storici, concentrati per lo più a Milano
(Merli, Cortesi), Roma, Torino e soprattutto Firenze, sede della Biblioteca
nazionale e della maggiore concentrazione di testate (Ragionieri, Procacci,
Mori), gran parte dei collaboratori (alla fine saranno oltre cinquantasette69)
era alle prime armi o veniva da altre esperienze. Molti erano funzionari di
partito o lavoravano all’Ufficio studi della CGIL come Francesco Saverio
Romano. Con molti di loro Della Peruta, che non ha ancora trent’anni, esercita un ruolo maieutico: li guida, li incoraggia, li consiglia, indica loro le fonti, ne rivede minuziosamente i testi. Soprattutto li incontra, girando instancabilmente per l’Italia, approfittandone per compiere ricerche in archivio o
in remote biblioteche70. Si viene così costruendo una rete capillarmente difFranco Della Peruta, Introduzione, in Luigi Arbizzani, La stampa periodica socialista, cit., p.
17.
67 Ibidem.
68 Lettera del 28 ottobre 1952 a Renato Grillandi, corrispondente da Forlì (ABGF, cart. 17,
fasc. 16). A Luciana Marchetti, incaricata per la provincia di Grosseto, il 24 luglio 1952, scrive: “Dei periodici repubblicani e liberali io ti consiglierei di includere, con un criterio piuttosto largo, quelli che riportano notizie che possano essere utili per la ricostruzione della storia
del movimento operaio, o che entrano in polemica con i socialisti, con i comunisti ecc. Includerei pure i bollettini di società agrarie, perché dovrebbero essere utili per la storia della
struttura economica, se non direttamente per la storia delle condizioni di vita dei contadini”,
ivi.
69 Così almeno risulta da un rendiconto della “Situazione amministrativa al 30 settembre
1959 interessante ogni singolo collaboratore”, in ABGF, cart. 2, fasc. 8; Della Peruta parla di
una novantina di collaboratori, Sei domande sulla storia, cit.,p. 143.
70 Dal verbale della seduta del comitato della Biblioteca del 13 maggio 1952 si apprende che
Della Peruta, impegnato nel lavoro di schedatura del materiale inviato da Levis, “chiede di
restare dal 25 maggio in avanti a Roma per completare la trascrizione di alcune lettere
66
16
fusa di decine di ricercatori. È una modalità di lavoro a cui Della Peruta resterà legato anche quando, dopo l’uscita dei due volumi sulla provincia di
Milano nel 1956-57, sarà chiaro che l’impresa è destinata ad arenarsi71. Così come resterà tenacemente convinto sia dell’importanza della stampa come fonte privilegiata per lo storico – come testimoniano le sue ricerche sul
giornalismo nel Risorgimento72 e la collana di Studi e ricerche di storia
dell’editoria, avviata nel 1996 in collaborazione con Ada Gigli Marchetti – sia
dell’utilità della ricerca bibliografica per l’avanzamento degli studi. Esemplari di questa sua passione sono i numerosi volumi promossi dall’Istituto
lombardo per la storia del movimento di liberazione in Italia, in collaborazione con la Regione Lombardia, a partire dall’inizio degli anni Novanta e in
particolare il censimento dei periodici economici che riprende nella struttura il modello del progetto feltrinelliano73 o le molte pubblicazioni di analogo
impianto che hanno avuto in Della Peruta un suggeritore e un sicuro un
punto di riferimento grazie alla sua straordinaria conoscenza del patrimonio
archivistico e bibliotecario nazionale74.
dell’archivio di Roma – indi a Napoli per le cartelle dell’archivio di Napoli – ricerca sui fondi
della questura di Napoli – ricerche sull’archivio di Stato del Cattaneo. GG Feltrinelli approva”
(ABGF, cart. 1, fasc. 2). Il 18 luglio 1952 Feltrinelli informa Del Bo che si trova a Parigi: “Della Peruta, di ritorno da un viaggio per mezza Italia, ha portato delle buone notizie relative alla organizzazione della raccolta delle schede per la bibliografia della Stampa Operaia” (ABGF,
cart. 4, fasc. 1). Ganci ricorda che il suo incontro con Della Peruta risale appunto a uno di
quei viaggi alla ricerca di nuovi collaboratori per la bibliografia, Meridionalismo e questione
contadina in una rivista milanese degli anni cinquanta, cit., p. 551.
71 Oltre ai due volumi su Milano e a quello su Messina usciti nelle edizioni della Biblioteca
Feltrinelli, a quello di Luigi Ambrosoli (I periodici operai e socialisti di Varese dal 1860 al
1926. Bibliografia e storia, Milano, SugarCo, 1975) e a quello a cui aveva continuato a lavorare Luigi Arbizzani (vedi nota 66), Della Peruta ricorda che alla Biblioteca Feltrinelli esistevano
“nuclei molto importanti di questo lavoro” e aggiunge: “Sui periodici delle Marche ha lavorato
un altro storico di rilievo, Enzo Santarelli, su quelli di Firenze Ernesto Ragionieri, e su quelli
di Torino Giuliano Procacci (I periodici dell’Otto-Novecento: luoghi, temi e problemi, in Conservare il Novecento: la stampa periodica, a cura di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma,
Associazione italiana biblioteche, 2002, p. 27).
72 Fra i molti contributi dedicati da Della Peruta al mondo dei giornali mi limito a segnalare Il
giornalismo dal 1847 all’Unità, in Alessandro Galante Garrone, Franco Della Peruta, La stampa italiana del Risorgimento, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 247-569 e la sintetica ma esauriente prefazione al volume Periodici dei secoli XVIII e XIX, a cura di Adriana Martinoli, Roma,
Biblioteca di storia moderna e contemporanea, 1990, pp. VII-XIV.
73 Bibliografia dei periodici economici lombardi, 1815-1914, a cura di Franco Della Peruta e
Elvira Cantarella, Milano, Franco Angeli, 2005, 2 voll.
74 Qui l’elenco sarebbe davvero troppo lungo e così mi limito a citare i lavori di Fabrizio Dolci:
Economia e società in Lombardia 1870-1899. Gli opuscoli minori nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Milano, Franco Angeli, 1995; Fonti per la storia del lavoro e dell'impresa in Italia: l’editoria d'occasione. Una bibliografia (secc. XIX e XX), Milano, Franco Angeli, 1999;
L’industria editoriale e tipografica in Italia nel “Bollettino ufficiale delle società per azioni”. Repertorio storico (1883-1936), Milano, Franco Angeli, 2003.
17
Da Roma a Milano
Dopo aver visto quanto sia rimasto connotativo del lavoro di Della Peruta
l’attenzione per le fonti e centrale l’esperienza maturata su questo fronte alla
Feltrinelli,
facciamo
un
passo
indietro
e
torniamo
nella
Roma
dell’immediato dopoguerra. In quegli anni l’università non era ancora
nell’orizzonte di Della Peruta (dovrà attendere la metà degli anni Sessanta
per essere chiamato grazie a Marino Berengo, come incaricato, a tenere il
corso di Storia del Risorgimento alla Statale di Milano, dove tornerà nel
1969, per restarvi fino alla pensione, dopo una breve parentesi a Pisa75). Libri e giornali però erano già il suo presente.
In quegli anni abitavo nel cuore della vecchia città, nei pressi della bella chiesa gotica di
Santa Maria sopra Minerva, [...]; un luogo vicino al Liceo E.Q. Visconti dove avevo fatto gli
studi preuniversitari, albergato nella superba mole della Casa gesuitica che dopo l’Unità anche la Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele e il Museo etnografico Pigorini [...].
Nelle ore lasciate libere dal lavoro frequentavo spesso le librerie antiquarie della zona, che
praticavano prezzi assai più abbordabili di quelli praticati oggi76.
Una geografia sentimentale giocata intorno ai libri. Una passione che diventa una fonte di reddito e un viatico alla storia. Ricorda ancora Della Peruta:
Subito dopo la guerra, poi, per vicende strane, dovendomi guadagnare la vita, fui messo in
contatto da Maurizio Ferrara con Aldo Romano, che era uno storico già affermato del Risorgimento, proprietario di una libreria antiquaria a Monteverde nuovo, dove finii a fare il garzone di bottega. Così disposi di una ricca biblioteca che mi consentì di formarmi. Il mio interesse si rivolse subito verso il mondo contadino, che divenne anche l’oggetto delle mie prime
ricerche77.
Accanto a Gastone Manacorda, un altro punto di riferimento per la sua
formazione è dunque Aldo Romano, un personaggio dal passato ambiguo78
ma delle cui qualità di studioso Della Peruta non ha mai dubitato79.
Testimonianza di Mario Mirri, letta al convegno del gennaio 2013.
Franco della Peruta, Ricordo di Federico Curato, cit., p. 181.
77 Ibidem.
78 Aldo Romano (1909-1973) fu uno dei 622 nominativi presenti nella lista delle spie al servizio dell’Ovra pubblicata dell’Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo sulla “Gazzetta Ufficiale” il 2 luglio 1946 (Mauro Canali, Le spie del regime, Bologna, il Mulino, 2004, pp.
153-154 e passim). L’episodio, di scarso rilievo sul piano fattuale ma moralmente devastante,
segnò in maniera indelebile la figura di Romano, malgrado nel 1946 la sua domanda di iscriversi al Partito comunista fosse stata accolta, con pieno consenso di Togliatti. Ha ricostruito
la vicenda Giovanni Sedita in due contributi: L’intellettuale che spiava Benedetto Croce, in
“Nuova rivista di storia contemporanea”, IX (2005), n. 4, p. 49-64 e La spia degli storici. Aldo
Romano e “Nuova rivista storica”, in “Nuova rivista storica”, XCIII (2009), fasc. 3, pp. 713731. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica
fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 452 ricorda il duro commento di Giorgio Amen75
76
18
In questi mesi, siamo nel 1949, Della Peruta ha cominciato “ad esaminare
gli archivi di Roma (Questura e Prefettura) per studiare l’Internazionale in
Roma”. Il 16 ottobre scrive a Bosio di aver trovato alcuni inediti (“lettere di
corrispondenti di Gnocchi Viani e di Tito Zanardelli”) che avrebbe “intenzione di usare per una monografia sull’Internazionale in Roma fino al 1880” e
domanda se gli interessa intanto pubblicarli su “Movimento Operaio”80. E
aggiunge: “Appena avrò del denaro disponibile mi abbonerò”. Intanto, con
un gesto che diverrà una costante del suo modo di intendere la ricerca, invia a Bosio “la copia di tre lettere, 2 di Engels e una di Marx, che non mi
pare siano comprese nel tuo regesto”81. È l’inizio di una collaborazione che
si farà serrata e di cui abbiamo già visto alcune tappe. In novembre invia
“un elenco di giornali e numeri unici stampati fuori d’Italia in lingua italiana”, che sarà pubblicato sul terzo numero della rivista82.
La corrispondenza con Bosio rivela come Della Peruta fosse ormai impegnato con continuità nella ricerca, ma anche come questa non costituisse la
sua unica attività. La pratica nella bottega di Romano lo introduce alla catalogazione di giornali e opuscoli, di cui dare conto in cataloghi commerciali, come del resto faceva lo stesso Bosio che nel 1949 per finanziare la
stampa di “Movimento Operaio” aveva dato vita a “una attività di antiqua-
dola a proposito della domanda di iscrizione al Pci di Romano e la più duttile posizione di
Togliatti.
79 In una lettera del 19 luglio 1952 Giangiacomo Feltrinelli scrive a Manacorda per richiedere
un parere di lettura sulla Storia del movimento socialista in Italia di Romano, dicendo di aver
avuto da Reale l’assicurazione “che non vi sono difficoltà per la stampa dovute al passato
dell’autore” (ABGF, cart. 4, fasc. 1) Alla fine uscì in tre volumi da Bocca nel 1954-56, per essere poi ristampata, con una nuova introduzione, da Laterza nel 1966-67. Al suo apparire
l’opera suscitò notevole interesse e polemiche, come documenta la rassegna stampa conservata nel fondo Aldo Romano al Musil di Brescia. Per un breve ritratto dello storico napoletano si veda il ricordo di Enzo Santarelli sull’“Unità” del 30 gennaio 1974.
80 Questa lettera, come le altre di seguito citate, si trovano cartella 84 del Fondo Bosio conservato presso l’Istituto mantovano di storia contemporanea.
81 Ibidem. Della Peruta si riferisce al Carteggio da e per l’Italia (1871-1895) di Marx-Engels
pubblicato da Bosio nei primi numeri di “Movimento Operaio”. Nel 1971 Bosio appronterà
una nuova edizione degli Scritti italiani di Marx-Engels (Karl Marx, Friedrich Engels, Scritti
italiani. Con una appendice sulla fortuna delle opere e sulla prima fama di Marx in Italia, a cura
di Gianni Bosio, Roma, Samonà e Savelli, 1972). Nel frattempo, nel 1964, era uscita da Feltrinelli, nella collana “Testi e documenti di storia moderna e contemporanea”, La corrispondenza di Marx e Engels con italiani, 1848-1895 che valse al curatore, Giuseppe Del Bo, direttore dell’Istituto, una memorabile stroncatura da parte di Gastone Manacorda: Giuseppe Del
Bo, ovvero: Come non si scrive (Ma si firma) una prefazione, in “Studi storici”, 5 (1964), n. 4,
pp. 731-753.
82 Contributo alla bibliografia della stampa periodica operaia, anarchica e socialista, pubblicata
all’estero in lingua italiana, in “Movimento Operaio”, II (1949-50), nn. 3-4, pp. 69-94.
19
riato librario” pubblicizzata attraverso la preparazione di cataloghi tematici83.
Nei mesi successivi Della Peruta fornirà a Bosio diversi volumi ricavandone
alcune migliaia di lire84. Ma il suo interesse ormai si indirizza sempre più
verso l’attività di studio. Si profilano nuove linee di lavoro, meno legate alla
ricerca del documento e dell’inedito. Il 23 novembre 1949 annuncia di aver
cominciato a lavorare, pur non avendo ancora “le idee ben chiare”, a “uno
studio su ‘Borghesia e contadini in Lombardia dal 1849 al 1859’, che dovrebbe esaminare l’atteggiamento della borghesia lombarda di fronte al problema contadino nelle sue varie gradazioni ecc.”85. Questo lo costringe “a
trascurare il lavoro d’archivio”, ma non dimentica “Movimento Operaio”. Dal
numero 5-6, febbraio-marzo 1950, fa parte del comitato di redazione della
rivista e da dicembre ne sarà condirettore86. Stando a Roma, si impegna a
trovare nuove collaborazioni: “ti farò mandare del materiale sugli anarchici
in Sicilia da S.F. Romano, ed alcune lettere di Labriola da quel mio amico
[Cafagna] che sta facendo la tesi sul Labriola”. Nei mesi successivi chiederà
a Melograni una bibliografia sulla stampa comunista, contributo poi giudicato da Bosio “assai incompleto”, e ad Alberto Caracciolo “una bibliografia
dei giornali del Lazio”87. Lui è invece sempre più assorbito dalla ricerca “sulla classe dirigente e il problema contadino in Lombardia”. Per completare lo
studio “sui contadini in Lombardia dal ’47 al ’60”, progetta un lungo soggiorno a Milano e per questo alla metà di agosto chiede a Bosio di trovargli
una camera in subaffitto e di informarsi se “nell’Archivio del Ris[orgimento],
Cfr. Mattia Pelli, Gianni Bosio e “Movimento Operaio”, tesi di laurea consultabile in
https://www.academia.edu/11380113/Gianni_Bosio_e_Movimento_operaio_, pp. 51-56.
84 Gli scriveva ad esempio il 30 marzo 1950: “Ti manderò l’Avanti colla prossima spedizione.
Quanto alla Critica, non è quella Sociale, ma quella di Benedetto Croce; per questo avevo indicato quei prezzi. So che è difficile piazzarla, e te ne avevo parlato più che altro per scrupolo
di coscienza”. Bosio, a sua volta, il 17 aprile gli scriverà: “Finalmente fra qualche giorno mi
salderanno una partita di roba venduta (fra la quale quella da te inviatami), e potrò così finalmente inviarti ciò che è di tua spettanza e spero sarà di tuo gradimento”. Il 16 agosto
1950, Della Peruta propone a Bosio l’acquisto dei volumi dell’Inchiesta sulle condizioni dei
contadini nell’Italia meridionale del 1906, per i quali un libraio gli ha chiesto 15.000 lire, e gli
dice che nel caso non gli interessino l’avrebbe fatta “comprare alla [sic] Gramsci”.
85 Lettera a Bosio, Roma, 23 novembre 1949.
86 Stranamente il coinvolgimento di Della Peruta nella direzione della rivista viene spesso
messo in relazione al passaggio della testata alla Feltrinelli (tra gli altri da Albertina Vittoria,
Togliatti e gli intellettuali, cit., p. 120), una svista in cui cade lo stesso Della Peruta quando
afferma: “Nel ’50 entrai nella redazione di ‘Movimento Operaio’ e iniziai a codirigerla due anni
dopo”, Sei domande sulla storia, cit., p. 142.
87 Alberto Caracciolo, La stampa operaia, socialista e democratica del Lazio, in “Movimento
Operaio”, II (1950), n. 11-12, agosto-settembre, pp. 339-343.
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a Palazzo Sforzesco, si conservano le carte di Carlo De Cristoforis, patriota
che si occupava di questioni contadine, morto con Garibaldi nel ’59”88. Saranno proprio questi aspetti a costituire il fuoco dei primi lavori importanti,
a partire dal saggio pubblicato nel 1951 su “Società”: Le condizioni dei contadini lombardi nel Risorgimento, che rappresenta un deciso salto di qualità
rispetto alla produzione precedente, seguito un anno dopo da Ippolito Nievo
e il problema dei contadini, pubblicato su Rinascita89 e nel 1953 da quello su
I contadini e la rivoluzione lombarda del 1848. Nel frattempo Della Peruta si
è trasferito a Milano, che in fondo anche per lui, come per Ottiero Ottieri,
era la città del “dover essere” rispetto alla pienezza di vita di Roma90, ma
anche la città in cui avrebbe pienamente dispiegato la sua straordinaria capacità lavorativa.
Una “piccola università marxista”91
“Una persona molto ricca ha messo su una biblioteca [...] sul movimento
operaio internazionale, con molta roba russa tra l’altro; ed è pronto a comperare quanto gli si dice di comperare”. Così il 25 luglio 1950 Leo Valiani
comunicava a Franco Venturi l’avvio di quella che un anno più tardi si sarebbe ufficialmente costituita come Associazione Biblioteca Feltrinelli92.
L’idea aveva cominciato a prendere forma verso la fine del 1948, secondo
una vulgata accreditata, ma a oggi non documentabile, su suggerimento di
Togliatti93. La realtà è probabilmente più sfumata. Sembra infatti fosse stato
Del Bo, “prete spretato e togliattizzato” (così Bianciardi), a proporre a Feltri-
Della Peruta a Bosio, Roma, 16 agosto 1950.
Il saggio, pubblicato nel n. 6 del 1952, pp. 354-356, ricorda Della Peruta nell’intervista più
volte citata, “piacque tra l’altro molto Togliatti”, p. 141. Mezzo secolo più tardi sarebbe tornato sul Nievo arricchendo ma sostanzialmente confermando la precedente analisi: Nievo
“politico” e la questione contadina, in “Storia in Lombardia”, XX (2000), n. 2, pp. 5-45 (poi in
Ippolito Nievo e il Mantovano, Atti del convegno nazionale, a cura di Gabriele Grimaldi e Pier
Vincenzo Menegaldo, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 361-406).
90 Il riferimento è un passo del “taccuino industriale” di Ottieri, che annota: “Una linea gotica, mentale, per me taglia a mezzo l’Italia. [...] Roma è il mio essere, Milano il mio dover essere”, Linea gotica. Taccuino 1948-1958, Parma, Guanda, 2001, p. 21 (19631).
91 Così definiva la Biblioteca un rapporto confidenziale al capo della polizia dell’aprile 1951
citato in Carlo Feltrinelli, Senior Service, cit., p. 68.
92 Leo Valiani, Franco Venturi, Lettere 1943-1979, cit., p. 41.
93 Danno credito al ruolo demiurgico di Togliatti per la nascita della iniziativa sia Della Peruta (Sei domande sulla storia, cit., p. 142) sia Luigi Cortesi, Alle origini degli studi sul Movimento Operaio in Italia, in Pier Carlo Masini. Un profilo a più voci, a cura di Giorgio Mangini,
numero monografico In ricordo di Pier Carlo Masini, “Bergomum”, XCVI (2001), n. 3, p. 48.
Più prudente Carlo Feltrinelli si limita a scrivere che Togliatti incoraggiò il padre.
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nelli di dare vita a una grande Biblioteca votata alla raccolta e alla conservazioni di materiale librario e archivistico sulla storia del movimento operaio94, trovando poi in Togliatti una sponda autorevole95. Feltrinelli, poco più
che ventenne, si era lanciato nell’impresa con energia e passione, forte di
una disponibilità finanziaria immensa96. La collezione di libri e giornali era
cresciuta rapidamente e presto si era reso necessario trovare una sede idonea per i materiali che affluivano a ritmo continuo da librerie antiquarie,
collezionisti e privati. Non è stato ancora fatto, e forse non è possibile fare,
un conto esatto di quanto Feltrinelli abbia investito nell’impresa. Molto
certamente. Nell’arco di pochi anni la biblioteca “non è più soltanto
un’audace iniziativa, un proposito per il futuro, ma è già una realtà, uno
strumento di lavoro di prim’ordine”. In pochissimo tempo “ha già potuto
raccogliere 40.000 opere e parecchie centinaia di periodici”, scrive
Alessandro Galante Garrone nel 1952 presentando la biblioteca sulla
“Rivista storica italiana”97, da Cantimori considerata “la rivista ufficiale dei
professori di storia delle università italiane”98.
Certo non nei termini in cui in seguito lo stesso Del Bo avrebbe rivendicato a sé il merito
di aver proposto di “costituire in Italia un centro di documentazione interna sulla storia economica e politica dal Settecento sino ai nostri giorni”, cfr. Aldo Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, Milano, Baldini & Castoldi, 2000, p. 153.
95 Il rapporto di Togliatti con la Biblioteca avrebbe avuto modo di esprimersi in una serie di
interventi, a partire dalla lettera del 1 dicembre 1953 a Giancarlo Pajetta e a Carlo Salinari,
in cui il segretario del Pci rivendicava al partito il controllo politico su “Movimento Operaio”,
alla richiesta il 23 luglio 1964 a Raffaele Mattioli di un intervento in favore della Biblioteca,
nei mesi in cui era circolata voce che Feltrinelli meditasse di venderla (entrambe le lettere si
possono ora leggere Palmiro Togliatti, La guerra di posizione in Italia. Epistolario 1944-1964, a
cura di Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi, Torino, Einaudi, 2014, pp. 196-197 e 362. Testimonianza di una vicinanza anche quando si era ormai consumata la rottura tra Feltrinelli
e il Pci fu la pubblicazione nel terzo volume degli Annali (1960) della raccolta di documenti
tratti dall’archivio Tasca su La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano,
pp. 388-530 ripubblicato, con l’aggiunta di nuovi documenti, in volume dagli Editori Riuniti
nel 1962.
96 Cfr. Luciano Segreto, I Feltrinelli. Storia di una dinastia imprenditoriale (1854-1942), Milano,
Feltrinelli, 2011.
97 Alessandro Galante Garrone, La Biblioteca Feltrinelli, in “Rivista Storica Italiana”, XLV
(1953), fasc. 2, Notiziario.
98 Delio Cantimori, Note sugli studi storici in Italia (1926-51), in Id., Storici e storia, Torino, Einaudi, 1971, p. 272. Lo scritto, datato sul manoscritto gennaio 1952, destinato alla rivista
inglese “Past and Present” non fu pubblicato (non è noto se Cantimori lo avesse inviato alla
rivista) e rimase inedito fino al 1971 (cfr. Delio Cantimori, Gastone Manacorda, Amici per la
storia, cit., p. 157, nota 2 e la lettera di Manacorda del 5 marzo 1952 che scrive, tra le altre
cose: “non so se si debba fare un cenno alla Fondazione Gramsci e alla Biblioteca Feltrinelli,
che per l’organizzazione delle nostre forze saranno presto, credo, anche qualcosa di più di
Società”, p. 159). Considerato che tali Note non vennero pubblicate, risulta difficile ritenere,
come fa Eugenio Di Rienzo, che il duro giudizio che vi era espresso su Bosio e il suo modo di
intendere la storia del movimento operaio “distaccata dalla considerazione della storia nazionale, come un residuo di quell’antico anarchismo e sindacalismo economicistico” (Note sugli
94
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Era il momento di fare un salto di qualità. In una prima fase era prevalsa
l’urgenza dell’acquisizione di materiali nel timore di una loro dispersione e
del rischio che venissero sottratti “agli studiosi democratici” e trasferiti negli
Stati Uniti, dove avrebbero potuto essere utilizzati dalla “propaganda avversaria”99. Quella stagione era ormai alle spalle. Si trattava ora impostare la
politica degli acquisti con criteri più selettivi per completare le raccolte e
ampliare l’apertura internazione della biblioteca, facendone una struttura
realmente al servizio di studiosi e militanti100. Intenti chiaramente espressi
nella lettera di Feltrinelli alla segreteria del Partito comunista del gennaio
1951, dove infatti si faceva riferimento alla volontà di aprirsi al “mondo universitario italiano, specie nei settori della storia economica e sociale”, “nel
quadro della politica di alleanze del nostro Partito”101. Dopo la fase eroica di
“accumulazione originaria” era il momento di fare della biblioteca un organismo in grado di valorizzare le raccolte e fungere da catalizzatore di energie
e ricerche102.
Si trattava di un passaggio cruciale che avrebbe finito per fare della Biblioteca Feltrinelli una realtà di rilievo internazionale non solo per l’importanza
delle sue collezioni, per una descrizione delle quali si rimanda al contributo
di David Bidussa, ma anche per il ruolo di raccordo tra giovani studiosi a
cui l’istituzione universitaria non dava maestri e non offriva sbocchi. Davvero “una piccola università marxista” dove, come ricorda Luigi Cortesi, “venistudi storici in Italia, cit., p. 271) sia all’origine “della defenestrazione di Bosio” dalla direzione
della rivista (Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repubblica, Firenze,
Le Lettere, 2004, p. 356). Ad avanzare tali riserve nei confronti dell’impostazione storiografica di Bosio non era certamente il solo Cantimori.
99 La lettera, datata 9 gennaio 1951, in ABGF, cart. 1, fasc. 5, è estremamente significativa
per intendere le motivazioni politiche all’origine dell’impegno di Feltrinelli; trascritta in Chiara Daniele, Le fonti e gli archivi: tracce di un percorso italiano di Piero Sraffa nel secondo dopoguerra, in Piero Sraffa. Contributi per una biografia intellettuale, a cura di Massimo Pivetti,
Rima, Carocci, 2000, p. 83, e ripresa da G. Zazzara, La storia a sinistra, cit., p. 62.
100 Sul carattere pubblico della “sua” biblioteca Feltrinelli non aveva dubbi, come si evince da
questa lettera del 10 novembre 1951 a Pasquale Mantovani: “I libri che tu hai consegnato a
me sono stati destinati ad una biblioteca che si chiama bensì Biblioteca Feltrinelli ma è una
raccolta ed una iniziativa non più a carattere personale […]. Infatti il materiale raccolto non
lo considero mio, ma di una fondazione a cui stiamo dando vita in questi giorni; inoltre il
materiale raccolto è a disposizione del pubblico, degli studiosi in particolare e soprattutto dei
compagni”, ABGF, cart. 4, fasc. 1.
101 Feltrinelli alla Segreteria del Partito comunista italiano, 9 gennaio 1951, cit.
102 La formazione del patrimonio, la graduale strutturazione della biblioteca e i successivi
cambi di rotta impressi dal suo fondatore sono stati ricostruiti da David Bidussa in contributi imprescindibili per chiunque sia interessato a tali vicende: La Biblioteca Feltrinelli
dall’“accumulazione originaria” alla nascita degli “Annali” (1950-1959), in “Studi storici”, 40
(1999), n. 4, pp. 945-991 e I caratteri originari della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in
“Società e storia”, XXIII (2000), n. 90, pp. 677-706.
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vano a studiare e a scambiarsi esperienze” Aldo Romano da Napoli, Franco
Venturi da Torino, Gastone Manacorda da Roma, Renato Zangheri da Bologna, Enzo Santarelli da Ancona, Ernesto Ragionieri e Giorgio Mori da Firenze, Mario Rossi da Messina, Salvatore Massimo Ganci da Palermo, senza
contare Franco Della Peruta, Aldo Zanardo, Giuliano Procacci, Stefano Merli, Laura Conti, Enzo Collotti che in tempi diversi furono collaboratori interni. È in questo clima e in questo intreccio di incontri che si viene formando
una nuova leva di studiosi. Per le sale della biblioteca, allora in via Scarlatti
26 (“con una dipendenza nella attigua via Mauro Macchi 30, dedicata alla
sezione archivistica affidata alle cura di Liliana Dalle Nogare”103), transitano
“Albert Soboul e Georges Haupt da Parigi, Gyorgy Ranki da Budapest, Feliks Tych da Varsavia, Lina Misiano da Mosca”104, ma le relazioni di studio e
scambio sono molto più ampie e variegate di quanto questo scarno elenco di
nomi non lasci intendere105.
La Biblioteca è politicamente molto legata al Partito comunista e Feltrinelli
si rivolge ai vertici nazionali106 per avere indicazioni sui collaboratori “intellettuali” da assumere per affiancare il personale d’ordine della biblioteca.
Da Roma Manacorda segnala Franco Della Peruta, “un ragazzo molto serio e
preparato”107, che arriva a Milano all’inizio del 1950108, seguito a breve da
Gastone Bollino, studente di filosofia e segretario della cellula universitaria109, successivamente richiamato a Roma per dirigere la biblioteca della
Franco Della Peruta, Un amico fraterno, cit., p. 9.
Luigi Cortesi, Danilo Montaldi, un comunista libertario, in Danilo Montaldi e la cultura di sinistra nel secondo dopoguerra, a cura di Luigi Parente, Napoli, La città del sole, 1998, pp.1819.
105 Per questi aspetti si rimanda ai saggi di Jaap Kloosterman e Andrea Panaccione inclusi in
questo Annale.
106 Sulle ragioni che possono aver indotto Feltrinelli a rivolgersi ai vertici del partito a Roma
anziché alla federazione di Milano, a cui pure era iscritto, per reclutare i primi collaboratori
si veda quanto scrive Gianfranco Petrillo in questo Annale. Nel 1999, Della Peruta aveva confermato che a fare il suo nome era stato Manacorda (Aldo Grandi, Giangiacomo Feltrinelli,
cit., p. 153).
107 Il giudizio, in realtà successivo, è tratto da una lettera di Manacorda a Saitta del 2 febbraio 1953, citata da Vittorio Criscuolo nel saggio contenuto in questo Annale.
108 Ricorda Enzo Collotti: “I primi anni del mio soggiorno milanese vissi alla Casa albergo di
via Corridoni; vi incontrai Franco Della Peruta e qualche anno più tardi Lucio Gambi”, Impegno civile, cit., p. 45.
109 C. Feltrinelli, Senior Service, cit., p. 68. Nell’intervista del 2011, Sei domande sulla storia,
Della Peruta ricorda “dopo la Liberazione continuai la mia militanza, dando vita con Alberto
Caracciolo e altri compagni a una sezione universitaria che per alcuni anni è stata un punto
di riferimento e di dibattito”, p. 142.
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scuola quadri del partito alle Frattocchie110. Saranno loro, con Del Bo, a costituire l’ossatura della Biblioteca. L’organigramma si completerà alla fine
del 1952 quando Feltrinelli, che nel frattempo aveva inviato Del Bo a Parigi
per occuparsi degli acquisti, chiama alla direzione Franco Ferri, un allievo
di Cantimori111, assai legato ai vertici del partito, passato dall’esperienza nei
Gap romani alla militanza politica112. Un rapporto che Feltrinelli avrebbe
vissuto con crescente insofferenza e che si sarebbe progressivamente deteriorato, fino alla rottura, tra il ’55 e il ’56.
Della Biblioteca Della Peruta è un dipendente stipendiato. Come tale, a differenza di molte delle figure che sono transitate per le sale di via Scarlatti,
era tenuto a un orario di lavoro e a mansioni definite. In particolare, mentre
a Bollino viene assegnato il compito di seguire l’emeroteca e gli abbonamenti a giornali e riviste, a Della Peruta è affidata la responsabilità della sezione
italiana. “Avevo un incarico che si potrebbe definire di bibliotecario e che
consisteva nell’archiviare libri e documenti schedandoli a mano a mano che
venivano acquistati”, dirà in seguito113. Come attesta la documentazione
superstite, fa su una scala nuova per ambizioni e possibilità quello che aveva imparato a fare nella libreria antiquaria di Aldo Romano. Intrattiene rapporti con i librai114, contratta sui prezzi di vendita del materiale antiquario,
sollecita l’arrivo dei libri, li cataloga. Contribuisce in tal modo a creare un
catalogo, che riflette le finalità della biblioteca e il suo impegno per la riscoperta e la valorizzazione della storia del socialismo e del movimento operaio.
Ma guarda anche oltre. È consapevole che l’orizzonte della Biblioteca, proprio in virtù del progetto di cui è espressione, non deve restare confinato
nell’ambito degli studi sul movimento operaio. Mi sembra indicativo di que-
A. Vittoria, Togliatti e gli intellettuali, cit., p. 118; G. Zazzara, La storia a sinistra, cit., p. 63.
Cantimori nella sua corrispondenza con Manacorda non mostra di avere grande considerazione delle qualità soprattutto umane di Ferri, un tempo forse suo “allievo prediletto” alla
Normale come scrive Petrillo, ma certamente non più tale negli anni del suo impegno con la
Feltrinelli.
112 Il 18 luglio 1952, Feltrinelli comunica a Del Bo che la “Segreteria di Roma ha deciso, visto
le garanzie che la biblioteca dà, le prospettive di lavoro, e lo sviluppo in genere di autorizzare
Franco Ferri di stabilirsi a Milano per completare l’organico della Biblioteca. Il Ferri, oltre ad
essere il direttore della scuola della Fed. di Roma, era già stato preventivamente destinato
alla [sic] Gramsci”, ABGF, cart. 4, fasc. 1.
113 Aldo Grandi, Giangiacomo Feltrinelli, cit., p. 153.
114 Ricordando gli anni della Feltrinelli, nell’intervista pubblicata su “Zapruder” Della Peruta
ebbe modo di ricordare il caso di un libraio di Imola che si era rivelato una miniera di libri e
opuscoli sui primordi del movimento socialista in Italia.
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sta consapevolezza tanto la scelta di documentare nella primavera del 1953
la campagna elettorale scrivendo a tutti i partiti, compreso il Movimento sociale italiano, per fare inviare copia dei materiali di propaganda alla biblioteca, quanto l’acquisizione dall’avvocato torinese Ruggero Levis di una raccolta di quelli che si chiamavano allora materiali minori: atti societari, statuti, bilanci di Società anonime115. Un insieme di pubblicazioni (2700 pezzi)
che nel 1952 non era scontato potesse risultare di interesse per
un’istituzione come la Feltrinelli. Della Peruta intuisce invece la rilevanza di
tale raccolta documentaria, “pur nella sua insufficiente omogeneità e pur
con le sue lacune”, per “la storia del capitalismo in Italia” tanto da darne
immediatamente conto sulle pagine di “Movimento operaio”116. È una scelta
che anticipa una delle linee lungo le quali si sarebbe sviluppata la Biblioteca, in particolare dopo l’acquisizione del fondo Riccardo Bachi e l’arrivo di
Cafagna incaricato di sviluppare la sezione di storia economica117.
Della Peruta lavora per la biblioteca ma non è semplicemente un bibliotecario. Il suo è un lavoro “vasto e complesso” ricorda Bosio, che ne elenca i
compiti, intervenendo in difesa del suo condirettore, il 14 febbraio 1953:
“Gruppo di studio, schedatura, collocazione, tesi di laurea, bibliografia della
stampa operaia, edizioni, produzione personale”118. A suoi occhi i libri e la
documentazione sono gli strumenti del mestiere di storico (a differenza di
Del Bo non è semplicemente un bibliofilo) e la storia una forma di militanza
politica. Ha però ben presente la distinzione fra queste due sfere. Lo si vede
anche dalle piccole cose, come la mostra sulla storia del movimento operaio
a Milano che nel 1953 cura per la Feltrinelli in occasione del Festival nazionale dell’Unità al Parco Lambro e che sarà poi riallestita alla Camera del lavoro. “Nei suoi 44 pannelli la mostra vuole offrire una visione sintetica, una
traccia della storia ricca e gloriosa del movimento operaio milanese,dalle
sue origini risorgimentali alla fondazione del Partito comunista d’Italia nel
1921”, scrive Della Peruta su “Voce comunista”, il settimanale della Federa-
ABGF, cart. 17, fasc. 16 contiene la corrispondenza tra Della Peruta e Ruggero Levis per
la definizione dell’acquisizione del fondo.
116 Franco Della Peruta, Materiali di società anonime alla Biblioteca G.G. Feltrinelli, in “Movimento Operaio”, IV (1952), n.s., n. 5, pp. 838-860.
117 Si vedano i contributi di David Bidussa e Fabio Lavista in questo Annale.
118 Verbale della riunione per discutere la situazione di “Movimento Operaio”, 18 febbraio
1953, FGB, c. 83.
115
26
zione comunista di Milano119. Un intento e un disegno scopertamente politici, finalisticamente proiettati a fare del Pci l’interprete più autentico delle
aspirazioni verso il socialismo dei lavoratori milanesi. Eppure, come in Manacorda, che veniva pubblicando su “Rinascita” gli articoli che sarebbero
poi confluiti nel volume su Il movimento operaio e i suoi congressi, lo scrupolo documentario non è piegato alle esigenze della battaglia politica. La mostra, che si apriva “con due pannelli dedicati alle 5 giornate ed alla insurrezione del 6 febbraio 1853” per sottolineare le origini risorgimentali del movimento operaio italiano, proseguiva dando conto della varietà di apporti ideali e di opzioni politiche, che avevano dato corpo al “grande movimento
progressivo che accende nell’animo degli operai e dei contadini la certezza di
un domani migliore”120. Una scelta di rigore documentario che costringeva a
muoversi su un crinale scivoloso. Lo si sarebbe visto nel dicembre del 1954
all’incontro su “Orientamenti e compiti della storiografia marxista in Italia”
organizzato nella sede della Fondazione Gramsci, a cui erano presenti Della
Peruta, Feltrinelli, Bollino e numerosi collaboratori della Biblioteca121. In
quell’occasione Arturo Colombi, della direzione nazionale del partito122, sferrò un duro attacco proprio a Manacorda accusandolo di non tenere conto
che gli storici comunisti “scrivendo di storia, assolvono una funzione importante di partito”123. Un richiamo aspro, che lasciò senza parole molti dei
presenti, ma che fu successivamente ammorbidito in seguito a un intervento dello stesso Togliatti, un episodio che ha rappresentato uno spartiacque
nel rapporto tra politica e ricerca storica, come ricorda Albertina Vittoria nel
suo contributo.
Franco Della Peruta, Le tappe del movimento operaio milanese, in “Voce comunista”, n. 37,
23 settembre 1953. La collaborazione di Della Peruta a “Voce comunista”, dove compaiono
anche articoli dedicati ai protagonisti del moto risorgimentale (ad es. Un pugno di eroici proletari assaltano la cittadella austriaca, 11 febbraio 1953), non è ricordata né nella bibliografia
degli scritti né nei saggi in ricordo dello studioso apparsi dopo il 2011.
120 Franco Della Peruta, Le tappe del movimento operaio, cit.
121 Vedi Albertina Vittoria, Togliatti, cit., p. 134, nota 102, che ricostruisce l’intera vicenda
sulla base della documentazione conservata al Gramsci e nelle carte Manacorda. Il testo
dell’intervento si può ora leggere in Per un partito di combattimento. Scritti scelti 1948-1955, a
cura di Federico Caneparo, Milano, Franco Angeli, 2004.
122 Arturo Colombi, “membro della direzione nazionale e segretario regionale lombardo”, “in
seguito assimilato da taluno a tendenze antitogliattiane, staliniste e dogmaticamente classiste”, secondo Gianni Cervetti, “aveva invece una indubbia autonomia di pensiero”, Gianni
Cervetti, Il compagno del secolo scorso. Una storia politica, Milano, Bompiani, 2016, p. 64.
123 Ivi, p. 131.
119
27
La mostra sul movimento operaio milanese evidenzia alcuni dei caratteri
dell’impegno storiografico di Della Peruta, poco sensibile al linguaggio delle
immagini ma estremamente ricettivo verso forme di divulgazione storica in
grado di arrivare anche a un pubblico di non lettori124.
L’episodio mi sembra una tappa significativa del suo itinerario storiografico
anche per un’altra ragione. Il progetto enunciato a Bosio nel ’49 di studiare
la borghesia lombarda, che aveva trovato in quello stesso anno un primo
approdo nel saggio sui Contadini nella rivoluzione lombarda del 1848, lo aveva spinto a interessarsi della città e di Milano in particolare. La “nebbiosa
città”125 in cui viveva ormai da qualche anno progressivamente diventa uno
dei poli attorno a cui ruoteranno le sue ricerche126. Non sorprende scoprire
che già negli anni Cinquanta, all’interno della Feltrinelli, aveva dato vita a
un gruppo di lavoro sulla storia di Milano dal 1859 al 1898, con l’obiettivo
di “legare intorno alla Biblioteca, in un lavoro produttivo, un gruppo di giovani studiosi”, al momento sedici. Alternando periodiche riunioni per discutere “su temi storiografici di carattere generale” a un lavoro di carattere
“strumentale” rivolto alla “redazione di una bibliografia di fonti e materiali”
il gruppo si proponeva di fare della Biblioteca “un centro di orientamento e
di direzione nel campo degli studi storici”127. L’iniziativa era destinata ad arenarsi, ma conferma un metodo di lavoro che ha sempre nella ricerca delle
fonti il suo punto di avvio.
Conferma anche quanto angusti fossero gli spazi entro cui muoversi se è vero che Ferri, pur approvando l’iniziativa, chiedeva a Della Peruta di stendere
“un piano di lavoro dettagliato da sottoporre a Colombi, in modo da arrivare
in seguito ad una riunione cui partecipino anche Colombi e qualche memNella sua lunga militanza culturale Della Peruta ha curato o promosso numerose mostre
di carattere storico o storico-documentario, ne ricordo a titolo di esempio due, diversamente
emblematiche: Quando il popolo cominciò a leggere”. Mostra dell'alfabetizzazione e diffusione
della cultura in Lombardia 1814-1898, a cura di Lilli Dalle Nogare, Milano, 1974; Nascere, sopravvivere e crescere nella Lombardia dell'Ottocento (1815-1915), a cura di Lilli Dalle Nogare e
Luisa Finocchi, Cinisello Balsamo, Silvana, 1981. Segnalo anche I volti di Carlo Cattaneo,
1801-1869. Un grande italiano del Risorgimento, a cura di Franco Della Peruta, Carlo G. Lacaita, Fernando Mazzocca, Milano, Skira, 2001, che trovò un significativo esito nella monografia Carlo Cattaneo politico, Milano, Franco Angeli, 2001.
125 Della Peruta a Massimo Ganci, 31 ottobre 1957, in ABGF, cart. 11 fasc. 20.
126 Ricordo, fra i molti titoli sulla storia del capoluogo lombardo, Milano: lavoro e fabbrica
1814-1914, Milano, Franco Angeli, 1987 e Milano nel Risorgimento. Dall’età napoleonica alle
Cinque giornate, Milano, La Storia, 1992.
127 Verbale della riunione del 4 febbraio a proposito del Gruppo di studio presso a Biblioteca
G.G. Feltrinelli, in FGB, c. 89.
124
28
bro della Commissione culturale per discutere dell’attività del gruppo di
studio, sui suoi orientamenti e sugli obiettivi che si propone”128.
Alle prese con la tessitura della rete dei collaboratori della bibliografia della
stampa operaia e impegnato nella conduzione di “Movimento operaio” Della
Peruta, come lamentava Ferri in una lettera a Del Bo, per la Biblioteca “era
perduto”129. Malgrado “contrattualmente” dovesse dedicare mezza giornata
al lavoro di schedatura, destinando il resto del tempo alla bibliografia della
stampa operaia130, man mano che aumentavano le sue responsabilità diminuiva il suo impegno, autorizzato a ciò dallo stesso Feltrinelli che pur lamentandosene, alla fine accettava che Della Peruta avesse un ampio grado
di libertà.
Un’altra realtà in cui l’intreccio tra storia e politica era strettissimo fu il
Centro per la storia del movimento contadino, costituito a Roma nel novembre del 1952 con l’obiettivo di raccogliere e conservare e mettere a disposizione di tutti materiali relativi alla storia del movimento contadino e di promuovere ricerche in questo “importante settore storiografico”131. Ed in effetti
la vita del Centro fu scandita, e in larga misura si risolse, nella pubblicazione degli atti dei congressi della Federterra, curati da Renato Zangheri132, e
nell’organizzazione di convegni sulla storia del movimento contadino nella
Bassa padana. Importanti occasioni di contatto fra studiosi, tecnici agrari e
militanti sindacali133, le iniziative del Centro si proponevano di portare alla
luce il legame profondo “tra movimento contadini e vita politica nazionale”.
Quest’ampia ricognizione storica avrebbe dovuto contribuire, nelle intenzioni del giovane segretario della Federbraccianti Luciano Romagnoli, uno dei
più convinti sostenitori di tale iniziativa, a formare una nuova leva di fun-
Ibidem.
Lettera di Ferri a Giuseppe Del Bo, 24 ottobre 1953, in ABGF, cart. 4, fasc. 3.
130 Riunione del Comitato direttivo della Biblioteca G.G. Feltrinelli, 27 novembre 1952,
ABGF, b. 1, fasc. 2; vedi anche la lettera del 4 dicembre in cui Ferri comunica a Del Bo, allora a Parigi, le decisioni assunte nella riunione, ivi, cart. 17, fasc. 16.
131 Roma, 20 ottobre 1953, “Presentazione del Centro e relazione sull’attività svolta”, di Gastone Bollino, ABGF, cart. 49, fasc. 1
132 Lotte agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei lavoratori della terra, 1901-1926, a cura
di Renato Zangheri, Milano, Feltrinelli, 1960.
133 È il caso di uno delle prime iniziative organizzate dal Centro e poi confluita nel volume La
trasformazione dei rapporti contrattuali nella cascina della Valle Padana irrigua, Milano, a cura
del Centro per la storia del movimento contadino presso la Biblioteca G.G. Feltrinelli, 1954.
128
129
29
zionari sindacali più consapevoli e informati134. Rientrava in questa visione
anche l’idea di dare vita a una collana “scientifica e non solo informativa”135
di volumetti sulla storia del movimento contadino italiano, rimasta sulla
carta. Della Peruta, coinvolto nell’iniziativa direttamente dal responsabile
della Commissione cultura del Pci, Ambrogio Donini136, si mantenne defilato
e pur partecipando a tutte le riunioni non si impegnò in lavori di ricerca,
limitandosi a seguire, come era nel suo stile, la pubblicazione degli atti dei
convegni organizzati da studiosi vicini al Centro come Renato Zangheri137
Salvatore
Francesco
Romano138
e
Alberto
Caracciolo,
animatore
quest’ultimo, con Cafagna e Paolo Basevi, del Centro studi su Roma moderna139.
Il legame con le strutture del partito spense progressivamente l’interesse di
Feltrinelli per il Centro e le sue attività, fortemente sostenute invece da Ferri140. Era il sintomo di una crisi che sarebbe esplosa con il precipitare della
situazione internazionale del movimento comunista. Anche in via Scarlatti il
’56 fu un anno memorabile, segnato dalla chiusura di “Movimento Operaio”,
dalla fine dell’esperienza del Centro, che rifluì all’interno del Gramsci, di cui
era stata fin dall’inizio un’emanazione, e da un generale ripensamento della
struttura e della missione della Biblioteca, mentre il suo “azionista di riferimento” era proiettato in una nuova avventura, la costruzione della casa
editrice.
134 Verbale riunione del Centro per la storia del Movimento contadino, Roma, 20 ottobre
1953, cit., intervento di Luciano Romagnoli.
135 Ivi, intervento di Luciano Cafagna.
136 Lettera circolare di Ambrogio Donini, 27 ottobre 1952, di invito alla riunione presso la
Fondazione Gramsci per discutere “un programma di studi e per prospettare la costituzione
di un vero e proprio Centro studi sul movimento contadino”, in ABGF, cart. 11, fasc. 20.
137 Le campagne emiliane nell'epoca moderna. Saggi e testimonianze, a cura di Renato Zangheri, Milano, Feltrinelli, 1957.
138 Origini e prime linee di sviluppo del movimento contadino in Italia, a cura del Centro per la
storia del movimento contadino, fascicolo doppio di “Movimento Operaio”, VII (1955), n.s., nn
3-4. Nella presentazione del fascicolo, che raccoglieva gli atti del convegno tenutosi a Mantova l’8 maggio 1955, Ferri ringraziava Alberto Caracciolo, Franco Della Peruta, Ernesto Ragionieri, S.F. Romano e Renato Zangheri per seguito l’impostazione dei lavori e “in discussioni
preliminari le singole ricerche”.
139 Sul Centro studi su Roma moderna vedi Albertina Vittoria, Togliatti e gli intellettuali, cit.,
p. 104. Per un quadro dei lavori del Centro si veda Introduzione a Roma contemporanea. Note
e saggi per lo studio di Roma dal 1870 a oggi, Roma, Ed. Centro studi su Roma moderna,
1954, un volume a cui hanno collaborato, tra gli altri, Paolo Basevi, Alberto Caracciolo, Renzo De Felice, Edoardo Perna, Luciano Cafagna, Piero Della Seta.
140 Si veda l’ampia relazione di Ferri a Feltrinelli del 20 gennaio 1956, in ABGF, cart. 13,
fasc. 3.
30
La fine di una proficua collaborazione
Il cambio di passo impresso da Feltrinelli ebbe come prima vittima Franco
Ferri, troppo legato ai vertici romani del partito, che non si era mai realmente integrato nell’ambiente della Biblioteca e più in generale a Milano141.
A partire dal 24 maggio 1956, gli subentrò nella direzione Del Bo, da tempo
rientrato dal lungo “esilio” parigino, che aveva fruttato alla Biblioteca
l’acquisizione di importanti raccolte come quella dei giornali della Comune.
Il ritorno di Del Bo fu il preludio a una ridefinizione degli obiettivi della Biblioteca e dei ruoli dei collaboratori. Si apriva una fase nuova in evidente
discontinuità con la precedente, di cui grazie agli studi di Bidussa sono noti
presupposti ed esiti. Meno risaputo, o forse non adeguatamente esplicitato,
è che da questo riassetto Della Peruta uscì sconfitto. Non lui come persona,
ma la proposta culturale che aveva avuto in lui, in asse con Manacorda, un
punto di riferimento decisivo sì. La decisione di cessare la pubblicazione di
“Movimento Operaio”, lasciando cadere le proposte di Saitta per un rilancio
della rivista142, e il varo degli Annali sono il portato inevitabile del nuovo indirizzo impresso a quello che da questo momento si sarebbe chiamato Istituto Feltrinelli a rimarcarne anche nel nome la novità143.
Che si fosse di fronte a una svolta lo disse con durezza “padronale”144 lo
stesso Feltrinelli, ammonendo i compagni-dipendenti a prenderne atto e a
scegliere tra allinearsi o andarsene. “La via che intendiamo scegliere per lo
sviluppo di questo Istituto è quella della sua qualificazione negli studi del
socialismo e delle sue origini ideali, e non quella che potrebbe portarla solo
141 Un’estraneità rilevata da Enzo Collotti che a Ferri dedica un giudizio liquidatorio, e in
fondo ingeneroso: era “noto perché giocava a flipper nei bari dei dintorni”, Impegno civile, cit.,
p. 45. Su Ferri rimando al contributo di Gianfranco Petrillo, Franco Ferri alla direzione della
Biblioteca Feltrinelli (1953-1956), in Il “lavoro culturale”. Franco Ferri direttore della Biblioteca
Feltrinelli e dell’Istituto Gramsci, a cura di Fiamma Lussana e Albertina Vittoria, Roma, Carocci, 2000, pp. 95-132, oltre che, naturalmente, a quello contenuto in questo stesso Annale.
142 Vedi il saggio di Vittorio Criscuolo e la documentazione in Appendice a questo Annale.
143 L’uso del termine “istituto” al posto di quello in uso di Biblioteca non è casuale: “l’Istituto
– lo chiamo così perché questa definizione è più consona alla realtà – è un istituto scientifico”
e non deve essere altro, precisa Feltrinelli nel discorso di investitura di Del Bo, in Verbale
della riunione tenuta il 24 maggio 1956, riprodotto in Appendice alle pp. ???
144 Riprendo il termine da Stefano Merli che nel 1969, sul n. 21 di “Giovane critica”, a proposito della svolta del 1956 parla di “degenerazione opportunistica e padronale” segnata dal
passaggio “da un tipo di gestione partito-burocratica (dove un controllo di base per quanto
mistificato e indiretto era pur sempre possibile) a un tipo di gestione manageriale che non
ebbe più niente a che vedere (anche se continuò ad accreditare l’equivoco) con una organizzazione culturale di sinistra per quanto burocratica”, in Luigi Masella, Passato e presente,
cit., p. 253.
31
a qualificarsi come istituto di storia moderna e contemporanea italiana (istituti che già esistono in Italia)”. E a fugare ogni dubbio precisava: “un istituto per la storia del socialismo, delle sue origini ideali, delle scienze economiche, politiche e sociali”145. Una volontà di aprire la Biblioteca al vivificante
contatto con le scienze sociali che si sarebbe tradotta all’inizio del 1957
nell’arrivo di Luciano Cafagna, con l’incarico di creare la sezione di Storia
economica dell’Italia moderna (dal Settecento al fascismo) e poco dopo nella
la creazione del Centro di studi e ricerche sulla struttura economica italiana
diretto da Silvio Leonardi146. Ma in prospettiva anche l’intuizione, probabilmente a questa soglia temporale non pienamente percepita in tutte le sue
implicazioni, che occorreva andare oltre “l’impostazione gramsciana della
storia come strumento di analisi e di comprensione del presente”147.
Si trattava di una virata netta rispetto al passato, a cui si lasciava intendere
avesse dato il suo avallo Palmiro Togliatti148, malgrado gli ormai evidenti
segni di una progressiva presa di distanza di Feltrinelli dal partito, destinata a divenire di pubblico dominio di lì a pochi mesi149. Il silenzio di Della Peruta, che stando al verbale non intervenne nel breve dibattito che seguì la
comunicazione del presidente, appare eloquente. Subisce, ma non condivide. E non avrebbe potuto essere diversamente considerato che per le due iniziative per cui più si era speso dal suo arrivo a Milano, la rivista e soprat-
Intervento di Giangiacomo Feltrinelli, in Verbale della riunione tenuta il 24 maggio 1956,
riprodotto in Appendice alle pp. ???. A proposito del Centro, in una pagine della Ragazza del
secolo scorso (Torino Einaudi, 2005) Rossana Rossanda scrive, con velo di ironia e un po’ di
approssimazione, che nel 1957 Giangiacomo Feltrinelli, “forte dei suoi mezzi e della sua ingenuità [...] aprendo un istituto di ricerche” dal quale sperava “sarebbe uscito rapidamente
un nuovo Capitale, ne affidò la direzione ad Antonio Giolitti, e rimase deluso quando il primo
lavoro dato alle stampe fu un saggio di Silvio Leonardi sulle macchine per i movimenti di terra”, p. 187,
146 Si vedano in questo Annale i saggi di Fabio Lavista.
147 Così Renato Zangheri, che ancora nel 1973 vedeva nella storia uno “strumento della costruzione di una prospettiva per le forze che agiscono, nel presente, per una trasformazione
socialista”, in La ricerca storica marxista, cit., p. 143.
148 Lo lascia intendere lo stesso Feltrinelli con un riferimento vago ma abbastanza chiaro al
fatto che le sue scelte hanno avuto l’“appoggio del giudizio di istanze che sono culturalmente
e politicamente sopra a me e che mi hanno confortato nell’analisi e nei giudizi che ne sono
derivati”, Verbale della riunione tenuta il 24 maggio 1956, cit., in Appendice alle pp. ???.
149 Procacci nella conferenza tenuta in occasione del trentesimo anniversario della Fondazione ricorda come “già verso la metà del 1956 esistevano [...] preannunci e motivi di dissenso
tra Feltrinelli e la direzione del Pci. A farli emergere prepotentemente alla luce concorsero gli
eventi ungheresi dell’ottobre”, Il contributo di un’istituzione culturale agli studi storici, in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1949-2009 a 60 anni dalla nascita del suo progetto, Milano,
2009, p. 20.
145
32
tutto la bibliografia della stampa operaia, non vi era spazio nella nuova organizzazione dell’Istituto.
Nei mesi successivi Del Bo, forte del sostegno di Feltrinelli, ridisegna il profilo dell’Istituto assegnando precise deleghe ai collaboratori. Il 22 settembre
comunica il nuovo mansionario. Anche lo stile è cambiato. Non c’è più confronto. Sono direttive emanate top down e non resta che prenderne atto: direttore scientifico dell’Istituto è Giuliano Procacci150, mentre Luigi Cortesi è
il “responsabile per le tre sezioni di lavoro della Biblioteca, e precisamente:
della schedatura, emeroteca ed archivio”151.
A Della Peruta restava la direzione della sezione per la storia moderna e
contemporanea italiana (molto ridimensionata nel nuovo corso impresso
dall’Istituto). Nella sostanza il suo compito era abbastanza limitato. Come
precisava Del Bo, Della Peruta era responsabile “dell’attività che questa sezione deve svolgere (e per attività, intendo studio, elaborazione di piani, contatti, pubbliche relazioni con istituzioni e con possibili autori di diverse tendenze) nell’ambito delle due collane che oggi sono la parte preponderante
dell’attività della sezione, e cioè: la collana ‘Studi e ricerche storiche’ o, più
precisamente, i ‘quaderni’, cosiddetti, della Biblioteca, e la collana ‘Testi e
documenti’ di storia moderna e contemporanea italiana (storia politica, economia e socialismo italiano)”. Il ridimensionamento del peso di Della Peruta
nella conduzione dell’Istituto era evidente, e tanto più lo sarebbe diventato
nella misura in cui le scelte editoriali erano soggette al vaglio della direzione.
Non sappiamo come abbia reagito Della Peruta, considerato “l’uomo del movimento operaio” in opposizione all’“uomo dell’estero”, ovvero Del Bo152, alla
nuova linea impressa alla Biblioteca/Istituto e neppure cosa ne pensasse.
Riandando a quegli anni si limitava a parlare di “rapporti non sempre faci-
150 Su Procacci si veda in questo Annale il saggio di Andrea Panaccione, che aveva collaborato anche al fascicolo di “Studi storici”, 51 (2010), n. 3, dedicato alla figura di Procacci (contributi di Elena Fasano Guarini, Michele Ciliberto, David Bidussa, Andrea Panaccione, Antonello Venturi).
151 22 settembre 1956, intervento di Giuseppe Del Bo alla riunione del 22 settembre 1956
con i dipendenti e i collaboratori dell’Istituto, in Appendice alle pp. ???.
152 È lo stesso Del Bo a ricordare come lui e Della Peruta venissero chiamati nel “linguaggio
corrente” in Istituto, Riunione del Comitato direttivo della Biblioteca, 15 ottobre 1955, intervento di Giuseppe Del Bo, ABGF, cart. 1, fasc. 2
33
li”, ma come era suo costume preferiva fermarsi su ciò che si era realizzato
piuttosto che sui contrasti e le delusioni patite.
Scorrendo la sua corrispondenza si vede come il suo modo di procedere fosse rimasto quello dei tempi di “Movimento Operaio”. Ogni occasione era
buona per spingere i suoi interlocutori a intraprendere nuove ricerche in
vista di una possibile pubblicazione nella nuova collana o per chiedere che
gli venissero segnalati lavori di giovani ricercatori meritevoli di essere pubblicati153.
Nell’immediato però si trattava di portare alla stampa volumi già in cantiere.
All’inizio dell’anno, prima cioè che Della Peruta assumesse la direzione della
parte editoriale, risultavano in lavorazione tre volumi, rispettivamente di
Procacci, Le elezioni del 1874 e l’opposizione meridionale, di Carlo Ottino,
Concetti fondamentali nella teoria politica di Antonio Gramsci e di Enzo Santarelli, Aspetti del movimento operaio nelle Marche. Saranno i primi titoli della
nuova collana “Studi e ricerche storiche”. In quello stesso anno videro la luce i due volumi su Milano della Bibliografia della stampa periodica operaia e
socialista.
Oltre a occuparsi della progettazione della collana e sollecitare nuovi contributi, attingendo alla vasta rete dei collaboratori della Bibliografia154, Della
Questo lo metteva in urto con Del Bo, che lo accusava di distogliere i giovani compagni
dal lavoro di biblioteca sollecitandoli, come suo costume, a dedicarsi alla ricerca: “quando
Della Peruta, per esempio, spinge i compagni della Biblioteca, anche i più giovani, ad una
produzione saggistica creativa, non tiene conto della loro reale preparazione, ma li invita a
tralasciare questo più duro tirocinio di preparazione ideologica, per produrre alla spicciolata
brevi descrizioni di fatti sociali particolari che poi, non sorretti da una adeguata inquadratura ideologica e di importanza limitata, finiscono per presentarsi come puramente descrittivi.
Più volte io ho fatto appello alla buona volontà dei giovani compagni che qui lavorano perché
si qualificassero, qualificando contemporaneamente anche la Biblioteca, lavorando, per esempio, alle bibliografie ragionate, alle descrizioni di nostri fondi a stampa o d’archivio, specializzandosi su determinati periodi storici o movimenti sociali p.e. del secolo scorso, che
dessero loro un valido termine di confronto cui riferirsi per interpretare i fatti contemporanei.
Purtroppo il genere di lavoro che io propongo è più arido e difficile, richiede un più grande e
duro lavoro, che altri studi di carattere più immediato e particolare. È logico quindi che i giovani compagni preferiscano quest’altro genere di studi. […] Questo atteggiamento del Comitato direttivo ingenera un vizio anche nell’atteggiamento che i compagni assumono nel loro
lavoro in Biblioteca: tutti infatti si lamentano ripetutamente dell’estrema meccanicità del loro
lavoro e della non soddisfazione che questo dà alle loro giuste ambizioni intellettuali; senza
tener conto del fatto che anche noi, che ora siamo alla direzione della biblioteca, abbiamo
fatto un lungo tirocinio in questo senso”, Riunione del Comitato direttivo della Biblioteca, 15
ottobre 1955, intervento di Giuseppe Del Bo, cit.
154 Il 4 giugno 1956 Della Peruta scriveva ad esempio a Antonello Scibilia: “La tua idea di fare una storia del movimento operaio catanese è assai interessante. La Biblioteca sta infatti
iniziando, come avrai visto anche da ‘Movimento Operaio’, la pubblicazione di una serie di
quaderni dedicati a saggi e ricerche sulla storia dell’Italia moderna e contemporanea, nei
153
34
Peruta si occupava anche della parte redazionale del lavoro, intervenendo
con discrezione sui testi155. Seguiva poi i rapporti tra gli autori e la casa editrice, l’andamento dei diversi progetti156, la promozione dei volumi una volta
stampati. A Zangheri il 20 luglio del 1956 scrive: “stiamo preparando una
collana di Testi e documenti sulla storia dell’Italia moderna, collana di cui ti
avevo parlato tempo fa, ma che ora ha assunto maggior concretezza. Sono
infatti più o meno pronti redazionalmente questi volumi: 1) Carteggi di Felice Cavallotti. / 2) Carteggi di Napoleone Colajanni. / 3) Scritti economici di
Cavour. / 4) Il movimento sindacale italiano dal ’91 al ’92. / 5) Scritti di Filippo Turati fino al 1892”; e gli domanda se è sempre intenzionato a “portare a termine il [...] lavoro di documenti sul movimento contadino italiano”157.
A Ragionieri chiede invece notizie sullo stato del “lavoro prussiano” ed “entro quale termine approssimativo” contasse “di finirlo” in modo da inserirlo
nella programmazione editoriale158. Ne approfitta per parlargli di un argomento che gli sta particolarmente a cuore: “Quanto alla Bibliografia […] a
settembre esce il 1° volume. Posso contare sulla tua bibliografia fiorentina
entro la fine dell’anno? Non vorrei essere seccante, ma, pur avendone pronti
altri volumi, vorrei che uscissero con precedenza i volumi meglio redatti e
più organici, e il tuo è di questi”159.
Il velinario della corrispondenza ci rimanda l’immagine di un impegno intenso. La programmazione dei volumi deve però fare i conti con i tempi della
casa editrice e le esigenze di un lavoro editoriale accurato. Tra l’inizio della
quali potrebbe andare anche il tuo lavoro. Fammi sapere qualcosa di più preciso in merito”,
ABGF, cart. 11, fasc, 20.
155 Il 6 ottobre 1956 Della Peruta informava Giorgio Mori di avere inviato in tipografia il suo
dattiloscritto e aggiunge: “Mi sono permesso di apportare alcune modificazioni di carattere
formale, specie in quei punti in cui tu usi un linguaggio per così dire, un po’ troppo accalorato, in cui fai forse eccessiva concessione alla lingua parlata. Ma si tratta di poca cosa…”, ivi.
Il volume di Mori La Valdelsa dal 1848 al 1900. Sviluppo economico, movimenti sociali e lotta
politica sarebbe uscito nel 1957 nella nuova collana di Studi e ricerche storiche.
156 Indicativi di questa sua attività gli scambi epistolari con Claudio Pavone, a cui il 28 marzo
1958 comunica che l’editore ha accettato di pubblicare il suo volume su Roma capitale e di
mettere in cantiere anche i tre volumi sulle carte Giolitti curati insieme a Piero Angiolini
(Quarant’anni di politica italiana. Dalle carte di Giovanni Giolitti, Milano, Feltrinelli, 1962), cart.
11, fasc. 20.
157 Lettera a Renato Zangheri, 20 luglio 1956, ivi. Nel 1960 nella collana “Testi e documenti
di storia moderna e contemporanea” uscirà il volume Lotte agrarie in Italia. La federazione
nazionale dei lavoratori della terra 1901-1926, a cura di Zangheri. Per gli altri volumi citati
nella lettera vedi infra nota n. 173.
158 Penso si riferisca al lavoro su Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani 1875.1895, che
sarebbe uscito da Feltrinelli nel 1961, ma non nelle collane dell’Istituto.
159 Lettera di Della Peruta a Ernesto Ragionieri, 19 luglio 1956, ivi.
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lavorazione e la distribuzione in libreria passano mesi, in alcuni casi anni.
Nel frattempo Della Peruta è sempre più assorbito dal lavoro di ricerca. Nel
1958 esce da Feltrinelli, ma non nelle collane dell’Istituto, I democratici e la
rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all’indomani del 1848,
destinato a un’ampia risonanza160. A detta di Walter Maturi, certamente
non corrivo verso gli orientamenti della “storiografia marxista” quello di Della Peruta era “uno dei libri più importanti che sono stati scritti sulla storia
della democrazia risorgimentale”161. In quello stesso anno, il 1958, Della Peruta lavora alla stesura di un ampio saggio su Il socialismo italiano dal 1875
al 1882 per il primo volume degli Annali162. Non vedrà invece la luce il suo
progetto di un volume antologico sull’Agricoltura lombarda del Risorgimento
dal 1815 al 1859, che avrebbe dovuto figurare nella collana di Testi e documenti163, ritengo per evitare sovrapposizioni con i lavoro di Cafagna, che a
quegli stessi temi stava allora dedicandosi164.
Come si è detto, non vi era spazio per Della Peruta nel nuovo corso della
Feltrinelli, tanto più ora che, anche grazie al lavoro svolto per la Biblioteca,
non era più il “ragazzo molto serio e preparato” di quando era arrivato a Milano, ma un affermato studioso. Il 10 settembre del 1959 ha ottenuto la libera docenza in Storia del Risorgimento, che gli sarà confermata il 21 settembre di cinque anni più tardi, nel 1964165. Inevitabile, al di là delle ragio160 Il libro ebbe una larga eco, attestata dalle numerose recensioni: oltre che su “il Mondo”
del 22 luglio, a firma di Fernando Manzotti, il volume venne recensito da Paolo Alatri (“Rinascita, 1958, pp. 350-352), Raffaele Colapietra (“il Mulino”, 1958, pp. 798-800), Renato Giusti
(“Rassegna storica del Risorgimento”, 1958, pp. 494-497), Aurelio Lepre (“Belfagor”, 1958,
pp. 614-617), Luigi Ambrosoli (“Quaderni del Meridione”, 1958, pp. 315-317), Giuseppe Berti, (“Società, 1959, cit.), Franco Catalano (“Risorgimento”, 1959, pp. 40-44), Guido Quazza
(Bollettino storico bibliografico subalpino”, 1959, pp. 214-217). Il libro valse a Della Peruta il
Premio Pozzale, creato dalla sezione comunista di Empoli, nella cui giuria figuravano importanti esponenti della politica culturale del partito, da Donini a Salinari, a Alicata e letterati di
valore come Sergio Antonielli e Luigi Russo.
161 Walter Maturi, Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di storia della storiografia, Torino,
Einaudi, 1962, p. 637. Molti anni più tardi, nel suo agile, e spesso polemico, profilo della
storiografia italiana Ruggiero Romano ha scritto che il volume di Della Peruta “ha significato
un’importante svolta storiografica [...] per la capacità ivi mostrata di rivalutare la democrazia
radicale risorgimentale”, La storiografia italiana oggi, Roma, l’Espresso, 1978, p. 71.
162 Il 18 marzo del 1958 Della Peruta scrive a Renato Giusti scusandosi di non poter partecipare al convegno storico mantovano perché in ritardo con la stesura di un saggio per gli Annali, in ABGF, cart. 11, fasc, 20.
163 Relazione Della Peruta sulla programmazione editoriale dell’Istituto, in Appendice, pp.
????
164 Il riferimento è naturalmente al saggio La “rivoluzione agraria” in Lombardia pubblicato da
Luciano Cafagna nel secondo volume degli Annali 1959, pp. 367-428.
165 Ringrazio Maria Luisa Betri per queste notizie ricavate dal fascicolo personale di Della Peruta conservato nell’archivio dell’Università degli studi di Milano.
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ni contingenti che ne determinarono il licenziamento nel 1962, che le strade
si separassero e, dopo una breve parentesi nella scuola, gli si aprissero finalmente le porte dell’Università.
Una “storia che è ricerca e non solo sintesi”
Quelli trascorsi da Della Peruta alla Feltrinelli erano stati dodici anni operosi e densi sotto il profilo e umano e scientifico166, nei quali aveva messo a
punto uno stile di lavoro a cui sarebbe rimasto fedele anche in seguito,
quando i suoi interessi si erano ormai rivolti ad altri temi di ricerca, aprendosi alle suggestioni della storia sociale. Attenzione per le fonti, passione
per la ricerca a scala locale, “amorevole comprensione” (Walter Maturi) per i
personaggi “secondari” e “minimi” e all’opposto rifiuto di impegnativi discorsi sul metodo e di dichiarazioni programmatiche.
I suoi lavori entrano subito in medias res: “La sera del 5 aprile 1877 un piccolo gruppo armato di socialisti anarchici italiani...”; oppure: “La caduta
della repubblica romana, la fine della resistenza di Venezia, la sconfitta definitiva dell’Ungheria di Kossuth, lo spegnersi insomma degli ultimi bagliori
della rivoluzione del 1848 in Italia ed in Europa, non gettarono lo sconforto
nell’animo di Mazzini”. Ecco due tipici incipit dei lavori di questi anni167.
Neppure in seguito, i vari volumi in cui è venuto raccogliendo saggi e interventi precedentemente apparsi in riviste e miscellanee sono introdotti da testi con dichiarazioni programmatiche o impegnative prese di posizioni sul
piano storiografico168. Della Peruta preferisce che a parlare siano i fatti e i
documenti, lasciando al lettore il compito di individuare eventuali ipotesi interpretative. In questo è più vicino a Bosio e al suo “filologismo” di quanto
non lascino supporre le posizioni assunte, anche in quanto uomo di partito,
A proposito di Della Peruta, Giuliano Procacci ha scritto: “Gli studi e le ricerche che egli
ha promosso negli anni di permanenza e di servizio alla Feltrinelli e in quelli successivi hanno costituito e costituiscono un contributo sostanziale al rinnovamento degli studi sulla storia dell’Italia contemporanea”, Il contributo di un’istituzione culturale, cit., p. 16.
167 I due incipit citati rimandano rispettivamente a La Banda del Matese e la teoria anarchica
della moderna “Jacquerie” in Italia (ripreso da Democrazia e socialismo nel Risorgimento, cit.) e
I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all’indomani del 1948,
cit.
168 Il primo ad aver richiamato l’attenzione sulla tendenza di Della Peruta a non anteporre
introduzioni ai suoi volumi è stato, a mia conoscenza, Maurizio Bertolotti nel suo bel contributo in “Belfagor” nel 2011, vedi nota 5.
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nel lacerante scontro che nel 1953 spaccò la redazione di “Movimento Operaio” e di riflesso la storiografia “democratica”.
Ma attenzione a non lasciarsi ingannare dall’accumulo di fatti e di idee che
percorrono le pagine dei suoi libri. Come in una grande tela di Brueghel dietro l’apparente mancanza di un centro e al brulichio di figure si nasconde
una regia molto attenta e consapevole. Mi pare un tratto opportunamente
sottolineato da Cafagna, che di Della Peruta fu amico fin dagli anni romani,
per poi ritrovarlo a Milano alla Feltrinelli. Fra i miei coetanei, ha detto in
un’intervista del 1991, “quello che mi ha più influenzato e aiutato è stato
Franco Della Peruta. Era già uno storico di solida formazione e vocazione filologica [una parola che evidentemente ritorna, nda], di quelli che ti insegnano come fare le note o le schede, e dove si trova quello che cerchi: aveva
evidentemente in testa alcuni grandi problemi, però aveva questa straordinaria passione per la ricerca minuta, per l’accertamento fattuale delle cose
e da lui in fondo ho imparato che cos’è la storia degli storici; diciamo la
storia che è ricerca e non solo sintesi”169.
Se astraiamo dal piano fattuale e cerchiamo di capire quali fossero “i grandi
problemi” a cui faceva riferimento Cafagna direi che il primo riferimento, inevitabile, è a Gramsci e alla sua interpretazione del Risorgimento. Come
detto all’inizio, Della Peruta a quella lezione è rimasto fedele. Lo rivendica
apertamente nel 1989. E forse non è un caso che proprio nell’anno in cui la
caduta del muro di Berlino ha plasticamente sancito la crisi del comunismo, avverta il bisogno di esplicitare il suo debito nei confronti dell’analisi
gramsciana, in particolare per quanto riguarda la sostanziale subalternità
dei democratici ai moderati e la loro incapacità di dar voce alle aspirazioni
delle popolazioni rurali. Ma fedeltà a Gramsci non significa precludersi la
possibilità di un “allargamento di prospettive” volto ad “approfondire i contorni delle correnti politiche o di ricostruire le vicende economiche e le
strutture sociali della variegata Italia preunitaria”170. Che è quanto Della Peruta aveva incominciato a fare da quando si era messo a studiare
l’evoluzione ideologica e l’azione dei democratici italiani dopo la sconfitta del
L. Cafagna, Lo sviluppo tra politica e storia, cit., p. 210.
Premessa a Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento, Milano, Franco Angeli,
1989.
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’48. Più si addentrava nella documentazione, in gran parte raccolta negli
anni di costruzione della Biblioteca Feltrinelli, meno gli appariva fondata
l’idea corrente nella storiografia comunista che le origini del socialismo italiano andassero ricercate esclusivamente nel pensiero di Labriola (e per il
suo tramite con il socialismo scientifico tedesco). La ricchezza dei dibattiti
che avevano agitato l’opposizione democratica a Mazzini dopo la sconfitta
del ’48, e che avevano avuto in Cattaneo, Ferrari, Montanelli e in Pisacane
le figure di riferimento, rivelava un’apertura europea e una sensibilità politica tale da farne, almeno sul piano delle idee, una sorta di preistoria del
socialismo italiano, permeabile agli influssi di Proudhon171. In questo senso
Della Peruta era assai vicino all’interpretazione delle origini del movimento
socialista di Aldo Romano, che negli stessi anni aveva pubblicato i tre volumi della sua Storia del movimento socialista in Italia.
Era una linea di ricerca eterodossa che Della Peruta persegue con ostinazione e grande acribia, ma senza mai cimentarsi in dispute ideologiche che
lo avrebbero deviato dal lavoro di ricerca, sua vera passione, rischiando di
esporlo a frizioni con il suo mondo di riferimento politico.
Tenendo presente questo suo interesse per le correnti della democrazia risorgimentale, si comprendono meglio le sue scelte editoriali e la pubblicazioni di studi e ricerche in apparenza dissonanti rispetto ai propositi di fare
della Biblioteca un Istituto scientifico indirizzato allo studio del socialismo172. Tra il 1959 e il 1961 nella collana “Testi e documenti di storia mo-
A proposito del volume di Della Peruta, Valiani, scrivendone a Venturi il 9 maggio 1958,
in una glossa polemica commenta: “Ottima documentazione, sciupata però dal giudizio preso
da un manuale di scuola di partito su Proudhon [...] e i testi li ha guardati con lo spirito di
Marx”, p. 260 (misurato nella risposta Venturi: Hai ragione per quel che mi scrivi sulle pagine di Della Peruta su Proudhon. [...] il quadro dei nostri mazziniani di sinistra ne esce meno
deformato di quanto non si poteva supporre. E il materiale che porta Della Peruta in materia
mi sembra molto interessante” (Lettere, cit., p. 261) Sulla stessa linea, ma più argomentato,
il giudizio di Walter Maturi: “non si capisce, se Proudhon non è che il rappresentante di artigiani pre-capitalisti, perché mai dovrebbero essere progressivi i suoi seguaci?”, Interpretazioni
del Risorgimento, cit., p. 262, a cui controbatte convincentemente Massimo Ganci, I democratici e l’iniziativa meridionale, in “Rassegna storica del Risorgimento”, LI (1964), fasc. 1, p. 41.
172 Sono evidenti su questo punto le consonanze con Aldo Romano, il quale nella sua Storia
del movimento socialista in Italia (vol. I, Roma, Fratelli Bocca, 1954, p. 23 n.) aveva parlato di
una “saldatura ideale Cattaneo-Ferrari-Pisacane-Proudhon”, auspicando “ulteriori ricerche
storiche” per arrivare a “sciogliere uno dei nodi più delicati della storia della polemica politica
italiana subito dopo l’unità”. Romano pubblicherà sulla “Rivista storica del socialismo” una
lunga recensione molto positiva a I democratici e la rivoluzione italiana, pur rimarcandone la
distanza su taluni punti (Pisacane) e lamentando una inadeguata considerazione delle correnti democratiche meridionali, Il problema chiave della storiografia del Risorgimento, in “Rivista di storia del socialismo”, I (1958), n. 3, pp. 210-228.
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derna e contemporanea” usciranno: L’Italia radicale. Carteggi di Felice Cavallotti, a cura di Liliana Dalle Nogare e Stefano Merli (1959), Democrazia e socialismo in Italia. Carteggi di Napoleone Colajanni, a cura di Massimo Salvatore Ganci (1959), La scapigliatura democratica. Carteggi di Arcangelo Ghisleri 1875-1890 di Pier Carlo Masini (1961)173, nonché nel 1962 gli Scritti di economia 1835-1850 di Cavour curati da Francesco Sirugo174.
Fedeltà alla lezione gramsciana, quindi, ma anche attenzione per le correnti
anarchiche e per tutte le forme di “embrionale democrazia socialista risorgimentale” che veniva scoprendo nelle fila della sinistra mazziniana e che
Della Peruta individua, ad esempio, in figure come quel Carlo De Cristoforis
a cui aveva incominciato a interessarsi, come si è visto nel 1949, quando si
trovava ancora a Roma.
Concludo queste pagine con una ultima considerazione, relativa sempre a
quei “grandi problemi” che, sottotraccia, erano la linfa vitale dei lavori di
Della Peruta. Mi rifaccio ancora a Cafagna quando ricorda come sia stata la
scoperta di Cattaneo ad avergli dischiuso nuovi orizzonti, facendogli comprendere due cose importanti. Che la storia della cultura italiana non poteva essere circoscritta all’asse De Sanctis-Labriola-Gramsci175. E poi che
nell’Ottocento, per quanto parziale e distorto, un mutamento nelle strutture
economiche era avvenuto ed era perciò tempo di studiare “il mutamento effettivamente intervenuto” piuttosto che limitarsi a denunciare “il nonmutamento di un paese rimasto arretrato”176. Era una lezione di realismo
che credo fosse condivisa da Della Peruta, portato a valorizzare del Risorgimento ciò che vi era stato di progressivo per lo sviluppo della storia di Italia
e di una “diversa dislocazione del potere economico e politico” rispetto al pe-
Rientrano in tale linea anche i lavori su Turati di Luigi Cortesi, iniziati e in parte pubblicati nel periodo della sua permanenza alla Feltrinelli, e poi confluiti nel volume Turati giovane. Scapigliatura, positivismo e marxismo, Milano, edizioni Avanti!, 1962 e di Franco Catalano, Filippo Turati, Milano-Roma, Avanti!, 1957. Molti anni dopo, nel 1998, Pier Carlo Masini
avrebbe rievocato l’ambiente in cui erano nati i lavori suoi e di Merli, Ricerca storica e passione socialista, in Il socialismo e la storia, cit., pp. 311-312.
174 Francesco Sirugo, che nel 1959 aveva pubblicato le Ricerche sulla storia del Piemonte industriale prima dell’unità. Contributo alla conoscenza dell’ambiente familiare di Camillo Cavour
(con lettere di Michele Cavour), diritti doganali e industria nascente in una memoria di Giacomo
Giovanetti sugli Annali, pp. 628-650, nel 1962 diede alle stampa anche un saggio bibliografico sugli Stati sardi di terraferma (1700-1860).
175 Cfr. P. Togliatti, Per una giusta comprensione del pensiero di Antonio Labriola, in “Rinascita”, X (1954), fasc. aprile, maggio, giugno, luglio.
176 L. Cafagna, Lo sviluppo tra politica e storia, cit., p. 207.
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riodo ante rivoluzione francese. In questo quadro, uno spazio crescente era
assegnato a una borghesia dai connotati assai più variegati e dinamici di
quanto non avessero immaginato interpretazioni tutte volte a sottolineare “i
limiti della rivoluzione borghese in Italia”177. Credo abbia pienamente ragione Mario Mirri a ravvisare in Alcune considerazioni sulla borghesia italiana
dell’800, un breve testo senza note e rimandi bibliografici del 1998, l’esito
maturo di un lavorio di ricerca iniziato negli anni della Feltrinelli, nel quale
è maggiormente esplicitata la distanza, di cui abbiamo visto le radici lontane, da molta della storiografia marxista178.
Partendo da nucleo di idee elaborate negli anni della Feltrinelli, nel corso
del tempo Della Peruta, senza smentire i punti fermi della sua impostazione
storiografica, avrebbe dilatato progressivamente i suoi orizzonti scoprendo
nelle articolazioni della società nuovi ambiti di ricerca, maturando una visione consapevole del drammatico ritardo delle condizioni economiche e sociali delle campagne ma capace al contempo di dare conto dei progressi che
un paese, che non aveva avuto quella che allora si chiamava rivoluzione
borghese, era pur stato in grado di realizzare.
177 Franco Della Peruta, Alcune considerazioni sulla borghesia italiana dell’800, in Il socialismo e la storia. Studi per Stefano Merli, a cura di Luigi Cortesi e Andrea Panaccione, Milano,
Franco Angeli, 1998, pp. 18-25 (poi ripreso, con minime varianti nel titolo, in Franco Della
Peruta, Politica e società nell’Italia dell’Ottocento. Problemi, vicende e personaggi, Milano,
Franco Angeli, 1999, pp. 21-28.
178 Sono considerazioni contenute in un testo ancora in elaborazione che Mirri mi ha anticipato in un amichevole colloquio il 3 gennaio 2016 e successivamente inviandomi le parti del
manoscritto che trattavano della questione.
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