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L'arte di amare

Una breve esposizione dei concetti fondamentali de L'arte di amare di Fromm

L’arte di amare L’arte di amare di Erich Fromm, pubblicata nel 1956, affronta la questione dell’amore come la più importante facoltà umana, che deve essere portata a maturità con pazienza, con sforzo, con allenamento. E ciò contrariamente all’opinione della massa, la quale è convinta che, così come si cresce, così automaticamente si diventa capaci di amare; che la capacità di amare è qualcosa che ci viene semplicemente dall’essere individui umani, senza il bisogno di dedicarcisi con particolare cura. Questo modo di pensare è dovuto essenzialmente a tre pregiudizi. Il primo è quello secondo il quale “la maggior parte della gente ritiene che amare significa essere amati anziché amare; di conseguenza per loro il problema è come farsi amare”. Dunque non si pone l’accento sullo sforzo attivo che si deve fare per amare una persona, né si mette minimamente in causa l’attitudine ad amare. Tutto si riduce a scegliere una persona e a volerla attrarre nella propria orbita affettiva; istintivamente, quindi, siamo portati a pensare che per farci amare dobbiamo renderci attraenti (belli, ricchi, intelligenti …) e non amabili, eliminando allora gli ostacoli che inconsapevolmente poniamo e che impediscono all’amore dell’altro di raggiungerci (mancanza di umiltà, di fiducia, di coraggio, di disponibilità profonda …). Il secondo pregiudizio è la supposizione che il problema dell’amore sia il problema di un oggetto e non il problema di una facoltà. Vale a dire che bisogna avere la fortuna di incontrare la persona giusta, e tutto scorre liscio (pensiamo un attimo a quanto il cinema, il teatro, la letteratura alimentano continuamente questo pregiudizio, propagandando il colpo di fulmine, il grande amore, il principe azzurro …). Succede allora che l’attenzione viene di nuovo spostata fuori di noi, nell’oggetto dell’amore, e non ci si cura affatto della facoltà di amare. Infine, c’è il pregiudizio che consiste nella confusione tra l’esperienza iniziale di innamorarsi e lo stato permanente di essere innamorati. Tra due persone che si incontrano la prima volta, c’è un mistero: il disvelamento di questo mistero, la felicità che si prova a scoprire l’altro fino in fondo, è l’innamoramento. Ma nella misura in cui penetriamo, in un modo o nell’altro, che è sempre limitato, questo mistero della persona sconosciuta, essa finisce di essere interessante per noi, e finisce anche l’innamoramento. Invece l’amore è la conseguenza di tutto uno sviluppo della personalità e, quindi, implica sempre un affetto intenso e una durata. Eliminare questi pregiudizi, guardarci interiormente e sottostare a una disciplina che dobbiamo imporci per sviluppare in pieno la nostra capacità amorosa, sarà un lavoro tanto più importante per quanto sarà importante riuscire ad amare veramente. Fromm allora dichiara che il vero amore è il mezzo più importante per sconfiggere il principale problema dell’uomo, la solitudine. L’uomo, infatti, a differenza dell’animale, dovendo progressivamente abbandonare lo stato di fusione con la natura dalla quale proviene, si trova a sentire la solitudine; avvertire di star soli crea ansia e angoscia; se questi sentimenti raggiungono il parossismo si può arrivare alla disperazione e alla follia. Fromm richiama il mito di Adamo e Eva scacciati dal paradiso terrestre, che è inteso come un’immagine di questa separazione tra l’uomo e la natura. Davanti alla porta del paradiso terrestre viene messo un angelo con una spada infuocata che vi impedisce il ritorno, ossia il ritorno alla fusione con la natura, che eliminerebbe totalmente la solitudine dell’uomo. Nel corso dei secoli, allora, l’uomo ha cercato varie soluzioni per sconfiggere questo fondamentale problema. Come lo stato orgiastico (in cui cadono le barriere tra individui e natura poste dalla civilizzazione; come che, come retaggio, avviene in ogni orgasmo), forme di alterazione delle capacità mentali, come l’alcolismo e l’assunzione di droghe (che fanno dimenticare il problema per un certo periodo), il conformismo (per non sentirsi soli ci si uniforma alle idee della massa), l’attività creativa (creando un oggetto si instaura un legame tra individuo e mondo esterno). Però, dato che la solitudine di cui l’uomo soffre è dovuta soprattutto alla perdita del rapporto affettivo simbiotico che aveva nella prima infanzia con le figure parentali, la soluzione più adottata è stata quella di riprodurre con figure sostitutive il rapporto affettivo che si aveva con i genitori così da instaurare forme amorose non completamente autentiche, ossia le unione simbiotiche. Tutte queste soluzioni proposte durante i secoli non risolvono fino in fondo il problema della solitudine, perché o sono temporanee (stato orgiastico e forme di alterazione mentale) o sono parziali (è il caso dell’attività creativa, che fa entrare l’uomo, essere personale, in un profondo rapporto con oggetti, anziché con altri esseri umani) o sono alienanti (conformismo e unione simbiotica). L’unione simbiotica tra due partner non coincide con l’amore che sconfigge la solitudine perché non porta a un reale superamento del problema, ma costituisce, in un certo senso, un ritorno alla natura, quindi una alienazione da ciò cui l’uomo, in quanto tale, aspira. Questo legame, infatti, è basato sulla disparità del dare e dell’avere (riecheggia il rapporto genitori/figli, nel quale i primi danno di più dei secondi) ed è una unione di totale dipendenza reciproca ( al modo in cui i figli sono legati ai genitori e i genitori, specie la madre, ai figli). È un rapporto quindi che non rispetta il partner, ma cerca costantemente di tenerlo prigioniero. Il vero amore, invece, consiste in un rapporto che è pari nel dare e nel ricevere e che preserva l’integrità personale di ogni partner: ne rispetta le esigenze, gli permette di realizzarsi nelle sue potenzialità. Riuscire ad amare in questo modo significa superare la dipendenza genitoriale, ossia maturare, e indirizzare pertanto il desiderio di unione verso una realtà che permette all’uomo di “essere sé stesso e di conservare la propria integrità”. La solitudine è sconfitta, nel migliore dei modi. Bibliografia E. Fromm, L’arte di amare, Milano 1973; A. Mercurio, Amore e persona, Roma 1979. PAGE \* MERGEFORMAT2