Agenzia FIDES – 4 agosto 2007
DOSSIER FIDES
DOTTRINA DELLA CHIESA CATTOLICA SULLA FAMIGLIA
(a cura di Adriano Garuti e Isabella Lambiasi)
4. Magistero pontificio postconciliare
Il Concilio, che ha mosso i suoi primi passi con Papa Giovanni XXIII, termina il suo elaborato percorso nel 1965 quando, da ormai due anni, alle soglie del Potere Pontificio era stato eletto Papa Giovan Battista Montini, Paolo VI.
4.1.Paolo VI
Il magistero di Paolo VI sulla famiglia è contenuto principalmente nella sua l’Enciclica Humanae Vitae (25-07-1968), nella quale egli ha voluto chiarire le questioni delicate della vita umana sin dal concepimento e lo fa sottolineando che il compito di trasmettere la vita è degli sposi che diventano collaboratori di Dio. Nel capitolo II del documento sono esposti i principi dottrinali: «L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è “Amore”, […] Il matrimonio è stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno d’amore», ( n. 8, EV 3, 594). Nel terzo capitolo Paolo VI offre poi delle direttive pastorali e manda un appello ai sacerdoti, ai vescovi, agli uomini di scienza e ancor prima di questi agli sposi cristiani, a coloro che Dio chiama a servirlo nel matrimonio: «Ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana» (n. 25, EV 3., 611).
Inoltre Paolo VI costituisce il “Comitato per la famiglia” (1973), con l’incarico di studiare i problemi spirituali, morali e sociali della famiglia, in una visione pastorale, questo fa comprendere quanto a cuore gli sia stata la questione familiare. Nell’udienza generale dell’11 agosto del 1976 riprende il concetto di sacerdozio comune espresso dalla Lumen Gentium e lo applica in particolare ai coniugi cristiani: «Tutto il popolo di Dio solidale nel godimento dei benefici della fede e della grazia, […] in misura diversa, ma sempre operante, sono responsabili della vitalità spirituale e della diffusione della Chiesa. Questa dottrina si fa eminentemente pratica, specialmente là dove si parla dei coniugi cristiani, i quali costituiscono una così detta “Chiesa domestica”[…]. Essa rappresenta nella sua espressione onesta e morale, che ricompone le ineffabili ed inesauribili armonie dell’essere due in una sola vita, nella sua origine sacramentale, che solleva l’amore naturale fragile e volubile al livello di amore soprannaturale» (Insegnamenti XIV, p. 638). Alla comunità domestica ricorda che l’educazione religiosa è molto importante: «L’esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell’azione, suffragato da qualche preghierina comune vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; e portate così pace nelle pareti domestiche: “Pax huic Domui!”» (Insegnamenti XIV, p. 640).
4.2. Giovanni Paolo II
Salito al soglio Pontificio nel 1978, ha continuato sulla stessa lunghezza d’onda. Nei suoi venticinque anni di pontificato ha operato e scritto molto sulla famiglia.
Nel 1979 costituisce il “Pontificio consiglio per la famiglia”, che succede al Comitato per la famiglia, voluto da Paolo VI, che veniva così ad assumere una finalità più ampia e specifica. Il nuovo Pontificio Consiglio, infatti, aveva come competenze la promozione della cura pastorale delle famiglie e dell’apostolato in campo familiare, in applicazione degli insegnamenti e degli orientamenti espressi dalle competenti istanze del magistero ecclesiastico, in modo che le famiglie cristiane potessero compiere la missione educativa, evangelizzatrice ed apostolica (Giovanni Paolo II, Motu Proprio, Familia a Deo Instituta, . n. 3, V: EV 7, 1221). Nel 1980 proprio con l’intento di dare un concreto aiuto spirituale e intellettuale per approfondire la verità sul matrimonio e sulla famiglia, alla luce della fede e delle varie scienze umane, Giovanni Paolo II fonda presso la Pontificia Università Lateranense, “l’Istituto Internazionale di studi su matrimonio e famiglia”, legato da un vincolo particolare al Pontificio Consiglio per la famiglia. Allo stesso istituto verrà data piena forma giuridica con la Costituzione apostolica Magnum Matrimonii Sacramentum del 7 ottobre 1982 (EV 8, 291). «Ho voluto io stesso questo Istituto, attribuendovi una particolare importanza per tutta la Chiesa. Esso, infatti, è chiamato a divenire un centro superiore di studi e di ricerca a servizio di tutte le comunità cristiane, con una precisa finalità: approfondire sempre più la conoscenza della verità del matrimonio e della famiglia, alla luce congiunta della fede e della retta ragione.[…] Tutto questo comporta che approfondiate il vostro lavoro di studenti con grande serietà e senso di responsabilità. […] Poiché la sua conoscenza più che conquista umana, è un dono di Dio» (Discorsi di Giovanni Paolo II, Il bene della società è legato al bene della famiglia, 19 dicembre 1981).
Per quanto attiene più propriamente l’insegnamento dottrinale, già nel Motu proprio, Familia a Deo Instituta, Giovanni Paolo II afferma: «La famiglia, istituita da Dio perché fosse la prima e vitale cellula dell’umana società, da Cristo redentore, che si degnò di nascere nella famiglia di Nazaret, fu tanto grandemente onorata, che il matrimonio, intima comunità di amore coniugale e di vita, da cui la famiglia trae origine, fu da lui elevato alla dignità di sacramento, così da significare efficacemente il mistico patto d’amore tra Cristo e la Chiesa. Il Concilio ecumenico Vaticano II ha qualificato la famiglia come “chiesa domestica” mostrando con tale insegnamento quale peculiare ruolo la famiglia sia chiamata a svolgere nell’intero piano di salvezza, e quanto impegnativo sia perciò il dovere che obbliga i membri della famiglia ad attuare, ciascuno la propria missione, il triplice compito profetico, sacerdotale e regale che Cristo ha affidato alla Chiesa » (EV 7, 1214).
Ma questo documento non è che una “anticipazione” del suo insegnamento sulla famiglia presentato in maniera così articolata e profonda nell’Esortazione apostolica Familiaris Consortio (22 novembre 1981), rivolta all’episcopato, al clero ed ai fedeli di tutta la Chiesa cattolica circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi. Giovanni Paolo II inizia già dalle prime battute col mettere la Chiesa a servizio della famiglia, la quale risulta bisognosa di sostentamento per avere più chiari i propri compiti e, ancor più importante, comprendere il significato ultimo della verità coniugale e familiare (cf. n. 1). Nella prima parte vengono studiate le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia vengono a trovarsi a vivere e in questi contesti concretizzare il compito della Chiesa che serve come orientamento nel discernimento e nell’inculturazione evangelica (nn 4-10.). La seconda parte della Esortazione tratta del disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, di Gesù Cristo, sposo della Chiesa, e del sacramento del matrimonio. In questo contesto egli presenta la famiglia come comunione di persone: «Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la Chiesa […]. Il matrimonio cristiano costituisce il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa […]. La chiesa trova così nella famiglia, nata dal sacramento, la sua culla e il luogo nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane, e queste, reciprocamente, nella Chiesa» (n. 15).
Nella terza parte dell’Enciclica vengono esposti dal Santo Padre i compiti della famiglia cristiana toccando l’argomenti delicati della dignità della donna, del ruolo dell’uomo sposo e padre visto all’interno della famiglia, dei diritti del bambino e degli anziani. Tocca poi la delicata questione della fecondità e cerca di dare una spiegazione al fatto che l’uomo e la donna uniti nel matrimonio diventano cooperatori di Dio nel rispetto della vita umana che arriva erichiama i coniugi al compito di educare ai valori essenziali della vita (n. 36) fino a presentare la famiglia come prima e vitale cellula della società: «La famiglia possiede vincoli vitali e organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l’alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali che sono l’anima della vita e dello sviluppo della società stessa», (n.42).
Con particolare attenzione Giovanni Paolo II espone la partecipazione della famiglia alla vita e alla missione della Chiesa, presentando in tale contesto la famiglia come Chiesa in miniatura o chiesa domestica perché essa “sia viva immagine e storica rappresentazione del mistero stesso della Chiesa” (n. 49). Ne consegue che “La famiglia è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio ed originale” (n.50). Queste premesse servono ad illustrare concretamente le diverse modalità della partecipazione della famiglia alla missione della Chiesa.
Sul tema della famiglia, a lui tanto caro, Giovanni Paolo II è ovviamente ritornato più volte, soprattutto con la Lettera alle famiglie Gravissimam sane (2 febbraio 1994), scritta in occasione dell’Anno internazionale della famiglia. Nel primo capitolo egli presenta la pluralità delle persone divine nell’unità della natura come modello della famiglia: «Il “noi” divino Trinitario costituisce il modello eterno del noi umano, anzitutto di quel noi che è formato dall’uomo e dalla donna, i quali sono creati, nella loro differenza complementare, ad immagine e somiglianza di Dio» (n. 6). Nel secondo capitolo illustra il significato dell’unione sponsale tra Cristo e la Chiesa per sottolineare il fondamento della famiglia nella rivelazione e nella storia della salvezza: «Qualificandosi come sposo, Gesù svela dunque l’essenza di Dio e conferma il suo amore immenso per l’uomo. Ma la scelta di questa immagine getta indirettamente luce anche sulla verità profonda dell’amore sponsale. Usandola infatti per parlare di Dio, Gesù dimostra quanta paternità e quanto amore di Dio si riflettano nell’amore di un uomo e di una donna che si uniscono in matrimonio. Per questo all’inizio della sua missione, Gesù è a Cana di Galilea, per partecipare al banchetto di nozze, insieme con Maria e con i suoi primi discepoli (cf. Gv 2,1-11). Egli intende così dimostrare quanto la verità della famiglia sia inscritta nella Rivelazione di Dio e nella storia della salvezza», (n. 18).
4.3.Benedetto XVI
Nel suo, pur ancora breve, pontificato l’attuale Santo Padre, Benedetto XVI, ha avuto diverse occasioni per illustrare il suo pensiero sulla realtà della famiglia, come dimostra la raccolta curata di recente dal Pontificio Consiglio per la famiglia, Il Vangelo della famiglia e della vita (Libreria editrice Vaticana, 2007).
A soli due mesi dalla sua elezione, nel Discorso in occasione dell’apertura del Convegno ecclesiale diocesano (Basilica di S. Giovanni in Laterano, 6 giugno 2005), rivolgendosi ai laici e alle famiglie presenti, nello stesso saluto iniziale ricorda loro che i compiti, da essi consapevolmente assunti, «hanno la loro radice nel sacramento del battesimo e, per coloro che sono sposati, nel matrimonio» e subito precisa la natura di tali compiti: «Le famiglie cristiane costituiscono una risorsa decisiva per l’educazione alla fede, l’edificazione della Chiesa come comunione e la sua capacità di presenza missionaria nelle più diverse situazioni di vita, oltre che per fermentare in senso cristiano la cultura diffusa e le strutture sociali», (Insegnamenti I, pp.200-201). Specifica poi ulteriormente il fondamento di tale loro missione: «Il presupposto dal quale occorre partire per comprendere la missione della famiglia nella comunità cristiana e per i suoi compiti di formazione della persona e trasmissione della fede, rimane sempre quello del significato che il matrimonio e la famiglia rivestono nel disegno di Dio, creatore e salvatore». disegno che ultimamente è fondato sull’amore di Dio “Dio ama il suo popolo”. La rivelazione biblica, infatti, è anzitutto espressione di una storia di amore, la storia dell’alleanza di Dio con gli uomini: perciò la storia dell’amore e dell’unione di un uomo ed una donna nell’alleanza del matrimonio ha potuto essere assunta da Dio quale simbolo della storia della salvezza», (Ibid, p. 203. Lo stesso insegnamento viene riproposto nell’Omelia tenuta nella Basilica Vaticana a chiusura dell’anno civile (31 dicembre 2005): cf. ivi, 1144).
Richiamandosi poi al Vaticano II e alla Familiaris Consortio, ribadisce l’immagine della famiglia “Chiesa domestica”: «Per questo motivo l’edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel contesto della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la porta con sé e garantisce che c’è il senso e che ci sarà anche in futuro su di essa il “sì” del Creatore. E reciprocamente la Chiesa viene edificata dalle famiglie, “piccole Chiese domestiche”», (Ibid,, p. 205).
In occasione della recita dell’Angelus (domenica 11 Giugno 2006) Benedetto XVI vede nella famiglia una analogia ossia una particolare espressione dello stesso mistero trinitario. «Tutti gli esseri umani sono ordinati secondo un disegno armonico che possiamo chiamare analogicamente “Amore”. Ma solo nella persona umana, libera e ragionevole questo dinamismo diventa spirituale […]. Tra le diverse analogie dell’ineffabile mistero di Dio uno e trino vorrei citare la famiglia. Essa è chiamata ad essere una comunità di amore e di vita, nella quale le diversità devono concorrere a formare una “parabola di comunione”» (L’Osservatore romano, 12-13 giugno 2006, p.4).
Naturalmente lo stesso concetto è ripreso anche nella sua prima Lettera enciclica Deus Caritas Est (25 dicembre 2005), nella quale intende appunto dimostrare che l’immagine cristiana di Dio è anche «immagine dell’uomo e del suo cammino» (n. 1), come è pure immagine dell’amore tra l’uomo e la donna. Da questo radicamento nell’Amore che Dio anche l’amore umano acquisisce la sua vera connotazione di non essere chiuso in se stesso ma di trasformarsi in dono: «Si, amore è “estasi”, ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di se» (n. 6). Allo stesso tempo viene chiarita la differenza e la conseguente comunanza tra eros ed agape: «In realtà eros ed agape non si lasciano separare mai l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere […] anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso ascendente, nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di se, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà “esserci per” l’altro» (n. 7).
Infine nel suo discorso in occasione delle giornate mondiali della famiglia, celebrate a Valencia nel luglio scorso, con il titolo “La trasmissione della fede nella famiglia” egli ha ampiamente richiamato le diverse modalità nelle quali la famiglia è chiamata a concretizzare la propria missione: «La famiglia cristiana ha, oggi più che mai, una missione nobilissima ed ineludibile, qual è trasmettere la fede, che implica la dedizione a Gesù Cristo, morto e risorto, e l’insegnamento nella comunità ecclesiale. I genitori sono i primi evangelizzatori dei figli, cominciando dall’insegnamento delle prime preghiere. Così si costruisce gradualmente un universo morale radicato nella volontà di Dio, dove il figlio cresce nei valori umani e cristiani che conferiscono un senso pieno alla vita. […] Per trasmettere la fede è imprescindibile che essa si viva in famiglia e in comunione con la chiesa; la famiglia e la Chiesa, in concreto le parrocchie e le altre forme di comunità ecclesiale, sono chiamate alla più stretta collaborazione per quel compito fondamentale che è costituito, inseparabilmente, dalla formazione della persona e dalla trasmissione della fede», (Osservatore Romano, 6/VII/ 2006, p. 9). Nella stessa occasione Benedetto XVI ricorda che il ruolo fondamentale della famiglia si sviluppa, prima che in ogni altro luogo, nel suo interno e nella propria intimità dove i genitori educano le coscienze dei loro figli a un vivere cristiano rispettando il prossimo, in questa maniera, genitori e figli rispondono adeguatamente al IV comandamento, quello di onorare il padre e la madre: «Il linguaggio della fede si impara nel focolare domestico dove questa fede cresce e si fortifica attraverso la preghiera e la pratica cristiana.[…] La famiglia è un organismo vivente, nel quale si realizza una reciproca circolazione di doni. L’importante è che non manchi mai la Parola di Dio, che tiene viva la fiamma della fede» (Ibid).
5. Famiglia, attuazione del triplex munus
La Chiesa è di natura sua missionaria: questa peculiarità non è qualcosa che va ad aggiungersi, ma ne costituisce parte fondamentale che delinea la sua identità. Questo impegno missionario è proprio di tutta la Chiesa, quindi anche dei laici , i quali in virtù del battesimo partecipano alla triplice funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo: «Coloro che dopo essere stati incorporati a Cristo con il Battesimo e costituiti popolo di Dio, resi partecipi nella loro misura, della funzione sacerdotale profetica e regale di Cristo, compiono, per la loro parte, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano» (LG 31).
In questo contesto anche per la famiglia la missionarietà costituisce la sua stessa identità; pertanto tra le due c’è una stretta connessione. Tale vocazione, essendo una comunione di amore con Dio e con gli uomini, non si può realizzare in maniera individuale, ma si deve esprimere in modo comunitario, infatti il triplice munus riguarda l’identità e la vita di tutti i cristiani battezzati. Il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea che i sacramenti dell’Ordine sacro e del Matrimonio sono uniti dal fatto che vengono donati per la salvezza degli altri e quindi contribuiscono alla salvezza di chi li riceve. Gli sposi e i presbiteri si trovano nel seno delle comunità cristiane, con doni certamente differenti, e con la stessa missione (CCC n. 1534).
Essendo il matrimonio e la famiglia un dono ed un carisma di normale appartenenza laicale e uno spazio di santificazione, di testimonianza e di servizio, essa entra nel progetto del “ triplex munus”. Il testo conciliare della Lumen Gentium afferma che se la vita del cristiano, in forza del battesimo, è partecipazione al triplice ufficio di Cristo, anche la vita dei coniugi cristiani in qualità di coppia, unita dal Sacro vincolo del Matrimonio, sono chiamati a rivestirsi dell’ufficio di Cristo e con loro l’intero nucleo familiare.
Diventano veri spazi di santificazione e di annuncio di salvezza al mondo intero, ritenendo che la vita coniugale e familiare sia esercizio del sacerdozio battesimale. Dunque la vita coniugale e familiare fa parte integrante del concetto di apostolato dei laici (LG 11). Come già accennato sopra il documento AA afferma che il Creatore ha costituito la società coniugale principio e fondamento della società umana, e con la sua grazia l’ha resa sacramento grande in Cristo e nella Chiesa, perciò l’apostolato dei coniugi acquista una singolare importanza sia per la Chiesa che per la società civile. La prima forma di apostolato familiare è la cooperazione dei coniugi alla grazia, la vicendevole testimonianza cristiana, la concorde testimonianza nei riguardi dei figli, la loro educazione globale da cui non escluso il discernimento per la vocazione sacra e al solida formazione alla vita cristiana.
Pertanto: «La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio ed originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore» (Familiaris Consortio)
5.1.Il munus sacerdotale e cultuale della coppia cristiana
«Per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare un tempio spirituale ed un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di Colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce. […] tutti i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio, rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi lo richieda, rendano ragione della loro speranza della vita eterna» (LG n. 10).
Il munus sacerdotale o culto spirituale finalizzato alla glorificazione di Dio e alla salvezza del mondo tocca la famiglia che vive la quotidianità sotto la mozione dello Spirito. Il matrimonio celebrato in Cristo è l’offerta di se stessi, del proprio quotidiano sofferto e gioioso nell’oblazione eucaristica e la volontaria partecipazione alla consacrazione del mondo al Padre assieme a Cristo stesso (LG 34).
La famiglia adempie al munus sacerdotale vivendo il sacramento del matrimonio con la preghiera a Dio, con un tenore di vita spirituale adeguato al dono e alla missione da svolgere. Questa missione viene arricchita altresì con la pratica quotidiana della virtù, con l’offerta del corpo e dalle sue potenzialità fatta a Dio dai coniugi e dai figli. L’occasione privilegiata in cui gli sposi cristiani prendono coscienza del loro servizio nei confronti della comunità ecclesiale, è quella dell’Eucarestia, dove Cristo si dona per la salvezza di tutti. L’apostolato coniugale va a esprimersi positivamente dentro e fuori la famiglia cristiana; all’interno di essa il primo doveroso apostolato sta nell’aiuto fra i due sposi e nella santificazione reciproca. Il rapporto armonioso che ne consegue si ripercuote sui figli che diventano il primo oggetto della loro cura apostolica ed educativa. Il tutto si concretizza fuori la famiglia che esercita il munus profetico aiutando le altre famiglie a vivere secondo Cristo: «Compito della famiglia è pure quello di formare gli uomini all’amore e di praticare l’amore in ogni rapporto con gli altri, cosicché essa non si chiuda in se stessa, bensì rimanga aperta alla comunità, essendo mossa dal senso della giustizia e della sollecitudine verso gli altri, nonché dal dovere della propria responsabilità verso la comunità» (Familiaris Consortio, n. 64).
5.1.1. Offerta del corpo
S. Paolo apre la lettera ai Romani al Capitolo 12 esponendo ai fratelli la logica sempre attiva della misericordia di Dio, per la quale devono dare la disponibilità dei corpi come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio.
Il Magistero d’accordo con l’insegnamento biblico ricorda la nobiltà del corpo e sottolinea la sua destinazione alla resurrezione, ma non dimentica la debolezza a cui esso tende per le ferite del peccato: «Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora non è lecito all’uomo di disprezzare la vita corporale, anzi questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla resurrezione dell’ultimo giorno. E tuttavia ferito dal peccato l’uomo sperimenta la ribellione del corpo. […] L’uomo non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose temporali, […]egli trascende l’universo, […] riconoscendo di avere un’anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da fallaci finzioni che fluiscono unicamente dalle condizioni fisiche e sociali» (GS 14).
I Padri conciliari mettono in guardia dalle adesioni ed opinioni che troppo esaltano o troppo sviliscono il corpo umano (GS 41). Invitano i chiamati al celibato e alla vita matrimoniale alla pratica della castità (cf. OT 10) e i coniugi alla fedeltà nell’anima e nel corpo (cf. GS 49). Il Magistero Conciliare ha rivisitato le motivazioni teologiche che devono guidare il comportamento morale degli sposi. Il proprio corpo diventa celebrazione della gloria di Dio, e inteso in questa maniera i coniugi vivranno la propria corporeità come dono di Dio e non come una proprietà. Rispettando il piano divino gli stessi coniugi saranno due in un corpo solo, i mariti devono rispettare le proprie mogli come il proprio corpo. L’accettazione della dottrina rivelata sulla grandezza e miseria del corpo si tramuta in offerta del corpo stesso come sacrificio gradito a Dio.
5.1.2. il culto reso a dio con la preghiera
La famiglia è “santuario domestico della Chiesa” e quindi un luogo intimo e sacro. La Chiesa che genera la famiglia cristiana nel sacramento del matrimonio richiede, per una crescita cristiana della famiglia stessa, la partecipazione alla liturgia domenicale della Parola e dell’Eucarestia, alla catechesi, alle feste liturgiche, nonché la partecipazione ai sacramenti, particolarmente a quelli della Penitenza e dell’Eucarestia, e all’avvio dell’educazione cristiana dei figli. La casa diventa veramente piccola chiesa quando la conversazione spirituale diventa frequente, animata, guidata e spontanea. Quando si trova, al momento dei pasti, l’occasione della preghiera e della riflessione che viene a segnare la differenza qualitativa di stile rispetto ai pasti “pagani”, essa diventa Chiesa domestica.
5.2. La funzione profetica o di testimonianza della piccola chiesa
La famiglia cristiana partecipa alla funzione profetica della Chiesa, essa è intesa come missione d’amore nei confronti di tutta al comunità, tale missione la costituisce come comunità che vive in comunione. Il profeta è colui che annuncia con le parole e con la testimonianza della vita ciò che a lui è stato manifestato. Cristo è colui che costituisce il fedele battezzato suo testimone dotandolo del sensus fidei. Per aver ricevuto il sacramento del battesimo e della Confermazione il cristiano è inserito nel vivo corpo della Chiesa e quindi aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa dai Santi per sempre e ne diventa l’araldo Altro dono concesso dallo Spirito Santo che regge la Chiesa è la grazia della parola perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale. Una profezia che è sapienza nel redimere il tempo presente, verso il mondo futuro atteso con pazienza evangelica (LG 12). «Cristo, il Grande Profeta, […] adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della Gerarchia, […] ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni…» (LG 35).
Gli orientamenti dati dallo stesso Concilio, per quanto riguarda la profezia, portano a scrutare la testimonianza in famiglia verso i coniugi stessi, verso i figli e verso la società. E’ quanto ribadisce anche Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio, già citata nel precedente capitolo, la missione dei padri e delle madri, infatti, è di annunciare ai propri figli la buona novella della salvezza e del disegno di Dio e di condurli attraverso l’educazione a conformare il loro pensiero, la loro volontà e la loro vita al messaggio divino.
5.2.1 La testimonianza dei coniugi verso se stessi
I coniugi devono testimoniare a se stessi e al mondo il loro amore cristiano, devono dichiarare con le parole e con i fatti la sincerità del dono, l’indissolubilità del vincolo, la fedeltà e la fecondità responsabile e generosa. Devono rendere visibile la soprannaturalità del loro amore nel segno del sacramento del matrimonio che come tale viene aiutato e sostenuto dalla divinità.
Da ciò si evince che la famiglia e in particolare i coniugi devono difendere e salvaguardare l’intima comunità di vita e d’amore coniugale fondata dal Creatore (cf. GS 48), questo è il loro primo annuncio profetico verso se stessi e verso il mondo. Per questo compito si riconoscono scelti, eletti, uniti e mandati dallo stesso Creatore per vivere una dimensione d’amore inteso come atto umano. Diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, prendono coscienza di unire nella propria persona valori umani e divini superando la tentazioni della pura attività erotica che egoisticamente coltivata presto miseramente fallisce (GS 49). Essendo il matrimonio e la famiglia progetto di Dio, l’amore tra i coniugi cristiani non è facoltativo, ma «assunto nell’amore di Dio […] sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa» (GS 49). Nel loro essere e svilupparsi i coniugi sono un intreccio di elezione divina ed umana e quindi devono mutuare i loro amore con motivazioni celesti e terrene.
5.2.2. La testimonianza dei genitori verso i figli
Il Concilio chiede di esercitare il “munus propheticum” verso i figli, di essere i loro primi educatori, cioè i loro primi testimoni con l’esempio e la parola dei valori morali e religiosi cattolici (cf. LG 11). L’educazione viene ad essere intesa come il normale e doveroso prolungamento della procreazione dei figli. La tesi che spetti alla famiglia l’educazione dei figli è ben chiara anche nell’insegnamento tradizionale, come testimonia Paolo VI: «Nell’intimo di una famiglia tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita» (Paolo VI, Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 71: EV 14). Il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea questo concetto in maniera molto ferma e chiara: «Il rispetto per i genitori (pietà filiale) è fatto di riconoscenza verso coloro che, con il dono della vita, il loro amore e il loro lavoro, hanno messo al mondo i loro figli e hanno loro permesso di crescere in età, in sapienza e in grazia. […] Il rispetto filiale favorisce l’armonia di tutta la vita familiare », (CCC, nn.2215-2219).
Il pensiero di Papa Paolo VI da lo spunto per iniziare il nuovo paragrafo che si dedicherà alla famiglia che, non rimanendo un nucleo a parte, si apre al resto del mondo e che si amalgama nella società. «La famiglia non deve essere soltanto il termine dell’azione responsabile delle diverse strutture della società civile, ma deve diventare responsabile collaboratrice. Ogni forma di individualismo e di collettivismo finisce per minare nel profondo l’esistenza stessa della famiglia umana e cristiana e ne svuoterebbe il ruolo della convivenza civile», (Vescovi Italiani, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, del 20 giugno 1975, 2, 2091-2218, p. 117). Dell’educazione dei genitori nei riguardi dei figli è stato il tema centrale del V Incontro Mondiale delle Famiglie tenutosi in Spagna e precisamente a Valencia, il motto dell’incontro è “La trasmissione della fede nella famiglia”.
5.2.3.La testimonianza dei coniugi verso la società
La vita coniugale e familiare è stato quotidiano di profezia e di testimonianza, di esercizio di apostolato dei laici: «L’indole secolare è propria e peculiare dei laici. […] per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire. […] Alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo, a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità» (LG 31).
«La famiglia è un bene necessario per i popoli”- è questo uno dei titoli riguardanti la famiglia de L’Osservatore Romano scritto nei giorni in cui si teneva il V incontro mondiale su citato – dove il Papa nella sua omelia si esprimeva dicendo: «[…] La famiglia è un bene necessario per i popoli, un fondamento indispensabile della società ed un grande tesoro per gli sposi durante tutta la loro vita […]. Le sfide della società attuale, segnata dalla dispersione che si genera soprattutto nell’ambito urbano, richiedono la garanzia che le famiglie non siano sole» (Osservatore Romano, 10/VII/2006, n. 158, p.5).
Le famiglie cristiane per poter esprimere al meglio le singole personalità hanno bisogno di una società tagliata per loro, affinché non si disperdano la tradizione ed i valori. I coniugi dovranno offrire la loro motivata e convinta testimonianza sulle note irrinunciabili del matrimonio cristiano che sono unità, indissolubilità (cf. GS 48), fecondità (cf. GS 50). La famiglia non è solo l’oggetto, la destinataria di un’azione in suo favore, ma ne è propriamente il soggetto attivo e responsabile. Ed è proprio su tale punto che si registra un’evoluzione nella dottrina sociale della Chiesa, costituita dal fatto che la famiglia passa da una posizione prevalentemente recettiva così da essere l’oggetto dell’azione politica dello Stato ad una presenza sempre più attiva diventando il soggetto stesso dell’azione politica: «Il compito sociale delle famiglie è chiamato anche ad esprimersi in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti ed i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” e assumersi le responsabilità di trasformare la società. […] La famiglia ha il diritto di esercitare la sua funzione sociale e politica nella costruzione della società» (Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 8, a, Città del Vaticano 1983, p.12).
5.3. La funzione regale della famiglia cristiana
La regalità di Cristo nasce dalla sua obbedienza al Padre fino alla morte. Cristo conferisce questa dignità regale a tutti i battezzati e quindi tutti i fedeli devono realizzare insieme a Cristo e attraverso di Lui il progetto che Dio sia tutto in tutti. Il progetto di servizio che compete ai laici consiste nell’animazione cristiana del temporale a cominciare dal riconoscere il significato della creazione. Nessuna attività umana può essere sottratta dal dominio di Dio. Questo compito regale si allarga alla missione di animare e di impregnare il mondo mettendosi al servizio di Cristo: «Per la loro appartenenza a Cristo Signore e Re dell’universo i fedeli partecipano al suo ufficio regale e sono da Lui chiamati al servizio del Regno di Dio e alla diffusione nella storia. Essi vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato (cf. Rm 6,12), e poi mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia, Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più piccoli (cf. Mt 25,40)» (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post- sinodale, Christifideles Laici, n. 14:).
Il Magistero Conciliare nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes, come anche Giovanni Paolo II nella Christisfideles Laici e ancora di più in maniera mirata nella Familiaris Consortio, affermano che la famiglia è la prima cellula della società. Questa definizione, messa nel contesto del munus regale, assume un forte significato perché pone la famiglia cristiana di fronte all’impegno del servizio da rendere verso il mondo esterno.
La prima forma di servizio è guardare all’interno del cuore della famiglia e vedere la sua originale autenticità che si poggia sul sacramento del matrimonio. Bisogna rendersi conto che la coppia cristiana vive l’amore coniugale come valore elevato e sanato da Cristo. L’autenticità della coppia cristiana, che mette il suo fondamento nelle mani di Dio e il suo amore coadiuvato nella mani di Cristo, fa in modo di consacrare il mondo, perché l’esempio offerto dall’armonia coniugale e dalla sollecitudine educativa è un servizio alla verità che, con il suo mirabile contagio, renderà operanti molte altre coppie.
Il servizio regale che la Chiesa richiede alle famiglie è quello di effettuare scelte intelligenti, operative, socialmente e ecclesiasticamente utili; non è escluso l’impegno politico condiviso con tutti gli uomini di buona volontà, al fine di ottenere una seria attenzione ai principi fondamentali della società. Anche l’educazione dei figli rientra quindi nel servizio alla famiglia ma in prospettiva anche alla stessa società e fare in modo che la necessità educativa della madre non sia contrastata con gli impegni di lavoro: «Voi donne avete sempre la missione di salvare il focolare, l’amore delle fonti di vita, il senso delle culle. Voi siete presenti al mistero della vita che comincia. La nostra tecnica rischia di diventare inumana. Riconciliate gli uomini con la vita. E soprattutto […] vegliate sulla continuazione della vostra specie. Trattenete la mano dell’uomo che, in un momento di follia tentasse di distruggere la civiltà umana. Spose, madri di famiglia, prime educatrici del genere umano nel segreto dei focolari, trasmettete ai vostri figli e alle vostre figlie le tradizione dei vostri padri, nello stesso tempo che li preparate ad un imprevedibile futuro. Ricordate sempre che una madre, mediante i propri figli, appartiene a quell’avvenire che lei non potrà forse vedere» (EV, I/ 307*).
La famiglia attivata in questo senso constaterà che “servire vuol dire regnare” (Mt 5,5), (Giovanni Paolo II, Mulieres Dignitatem, 15- agosto 1988,. n.5:). «Anche agli sposi e ai genitori cristiani è chiesta l’obbedienza alle fede: sono chiamati ad accogliere la Parola del Signore, che ad essi rivela la stupenda novità- la Buona Novella – della loro vita coniugale e familiare, resa da Cristo santa e santificante» (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica, Familiaris Consortio, n. 51: EV 7, 1684).
6. LA Sacra Famiglia, modello dell’unione familiare
La prima coppia unita per ed in Cristo è formata da Maria e Giuseppe, il loro fidanzamento e il matrimonio che ne seguiva era organizzato secondo la tradizione e le consuetudini farisaiche del tempo, ma il disegno di Dio che stravolge le consuetudini umane «Quando venne la pienezza dei tempi mandò suo figlio» (Gal 4,4-5).
Questo avvenimento, l’incarnazione, conduce al punto chiave della storia dell’uomo sulla terra, intesa come storia della salvezza e la donna si trova nel cuore di questo evento salvifico infatti la Chiesa chiama incarnazione il fatto che il figlio di Dio abbia assunto la natura umana per realizzare in essa la nostra salvezza (CCC n°461). «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). «L’autorivelazione di Dio, che è l’imperscrutabile unità della Trinità, è contenuta nelle sue linee fondamentali nell’annuncio di Nazareth», (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica, Mulieris Dignitatem, , n. 3: EV 11, 1215). «Nel sesto mese l’angelo fu inviato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazaret, a una giovane promessa sposa a un uomo, discendente di Davide, chiamato Giuseppe; e la giovane si chiamava Maria» (Cf Lc 1,20).
Maria è vergine, madre e sposa di Giuseppe perché aderisce al disegno che Dio le manifesta negli eventi e attraverso l’angelo, giacche ella da parte sua “non conosce uomo” (Lc 1, 34-35). “ Maria raggiunge così un unione con Dio tale da superare tutte le attese dello spirito umano” (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica, Mulieris Dignitatem, n. 3: EV 11, 1216). Essa è la realizzazione più perfetta dell’obbedienza di fede ( CCC 144-148).
Con il suo fiat ha dato il consenso a Dio di risanare la storia dell’uomo, facendosi sua serva (Cf Lc 1,38), diventando la Regina della Famiglia alla quale la Chiesa tutta si ispira. Nello stesso modo Giuseppe è sposo, padre e vergine per volere di Dio, perché è innamorato di Maria e, quando si accorge che Maria è in cinta, rinuncia in cuor suo a sposarla, ma l’angelo in sogno gli indica il suo progetto: «Mentre però stava pensando queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”» (Mt 1,20).
Giuseppe collega Gesù, re messianico, alla discendenza di Davide; egli rappresenta la guida della Sacra Famiglia. Al mistero della chiamata il Signore lascia libero l’uomo nel prendere la sua decisione, Giuseppe poteva o meno accettare il progetto di Dio, ma per amore di Maria formula anche lui il suo “fiat” all’opera della Redenzione. La convivenza matrimoniale di Maria e Giuseppe fu vissuta nella verginità (Mt 1, 18-25), in loro si vede la prima “ Chiesa domestica” della storia, anticipando la condizione finale del Regno. Maria comprende la difficoltà, i problemi, le aspirazioni di ogni famiglia infatti la stessa missione ecclesiale della famiglia può trovare in lei un modello operativo come ci suggeriscono parecchi testi biblici ed in particolare quello che narra l’episodio delle nozze di Cana (Cf Gv 2,1-12), che può essere usato come paradigma della missione della Chiesa e della famiglia stessa. Il ruolo di Maria, chiamata in questo contesto “donna” come accadrà ai piedi della croce, nell’archetipo dei segni di Gesù ha avuto una parte fondamentale; è infatti la madre di Gesù a compiere prima di tutto un opera di discernimento: attira l’attenzione di suo figlio sul fatto che gli sposi non hanno più il vino. Questa bevanda è segno di gioia e la sua mancanza è sinonimo di chiusura, tristezza, malumore e a ciò si può ovviare quando arriviamo a comprendere che solo Gesù è in grado di offrire il “vino buono”, e Maria capisce dove manca il vino della gioia evangelica.
7. Il matrimonio autentica " via di santità"
La Chiesa sposa di Cristo e tutti i suoi membri sono chiamati alla Santità. La Rivelazione cristiana ci annuncia che, con un atto d’amore immenso da parte di Dio Padre, siamo chiamati a vivere la sua Santità, la pienezza del suo Mistero, l’intimità della sua vita Trinitaria. Tutto ciò che Dio tocca viene segnato dalla santità che è un’esclusiva di Dio, solo Lui può comunicarla agli altri esseri “Siate santi perché io, Dio vostro, sono Santo” ( Cf Lv 19,2; 20,26). Santo è ciò che è separato, ma non è una meta raggiungibile solo da coloro che si ritirano dalla vita del mondo “Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato” (LG 42).
Il carattere sacramentale offerto dal Battesimo è il segno ed il vincolo della consacrazione a Dio in virtù della volontà sacrificale di Cristo, in più passi del Nuovo Testamento i battezzati cristiani vengono designati con il nome di “Santi” (Cf Fl 1,1). La santità non è un lusso per pochi, un privilegio di qualcuno, ma si rivolge a tutti i cristiani, i quali tutti insieme costituiscono un prolungamento di Cristo attraverso il mistero della Chiesa. Questa è la vocazione personale poiché ogni persona è irriducibile, ed è anche comunitaria perché in essa nascono compiti diversificati che si realizzano nell’edificazione comune. In questo contesto anche il sacramento del matrimonio, nella piccola chiesa che è la famiglia diventa il nucleo perfetto dove far nascere questo seme che poi si dona anche fuori. In precedenza ho affrontato tutti gli argomenti che in questo paragrafo vengono a convergere. Amare implica che nulla dell’uno rimane inaccessibile all’altro, e dimostra che c’è uno scambio armonico della propria vita, del proprio corpo, del proprio spirito, tutti gli altri valori vengono racchiusi in questo unico e nobile sentimento quale è l’amore. Come può una coppia vivere il suo quotidiano, accettarlo, condividerlo e per questo giungere alla santità?
La fede può fare un eroe, ma solo l’amore può fare un santo! Saremo giustificati davanti a Dio per quanto amore avremo messo nelle nostre opere (G. Ravasi, in Avvenire, 27/X/2001).
Bisogna tenere in mente per questo l’inno alla carità, virtù che trasporta le montagne e senza la quale non si è nulla (Cf 1Cor 13,2). Quanto detto, infatti non rimane assolutamente una prospettiva astratta, lontana, inaccessibile; lo dimostrano i tanti coniugi canonizzati e fatti santi insieme. Impegnarsi come laici nella costruzione del Regno di Dio, per dare un’anima cristiana alle realtà terrestri.
Giovanni Paolo II ha voluto terminare la lettera alle famiglie dando ad ognuna la speranza ed il coraggio per affrontare il quotidiano: «Carissime famiglie, dovete essere coraggiose, pronte sempre a rendere testimonianza di quella speranza che è in voi, perché radicata nel vostro cuore dal buon Pastore mediante il Vangelo. Dovete essere pronte a seguire Cristo verso quei pascoli che danno la vita e che lui stesso ha preparato col mistero pasquale della sua morte e resurrezione. Non abbiate paura dei rischi! Le forze divine sono di gran lunga più potenti delle nostre difficoltà! […] Cristo vi è vicino» (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 18).
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