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Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche: I PORCIA. Avogari del Vescovo di Ceneda, Condottieri della Serenissima,
Principi dell’Impero. Atti del Convegno 9 aprile 1994, Castello Vescovile di Vittorio Veneto, editi per conto del
Circolo da De Bastiani Editore, Vittorio Veneto, settembre 1994
Imperio, pp. 5-8
Presentazione
Una proposta quasi scherzosa, lanciata in un giorno di pioggia durante una
delle riunioni periodiche del Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche, grazie
all'entusiasmo e alle opportune indicazioni dell'amico Gabriele di Porcia si è
tramutata in qualcosa di concreto.
Gabriele è scomparso da alcuni mesi e non ha potuto godere del successo che
ha coronato l'iniziativa.
Il Circolo di Ricerche Storiche, per ricordarlo come socio e amico, gli ha
dedicato questo Convegno.
Non è facile organizzare un Convegno di studi, soprattutto quando si tratta di
approfondire o portare alla luce i molteplici aspetti della vita di una famiglia, i
Porcia-Brugnera, ininterrottamente sulla scena della storia da mille anni.
Nella presentazione delle relazioni è stato adottato un criterio cronologico
articolato nei tre periodi che li videro protagonisti con caratteristiche ben precise: avogadori del vescovo di Ceneda, condottieri della Serenissima e Principi dell'Impero.
La relazione d'apertura del dott. Giovanni Tomasi illustra i rapporti della
famiglia, in epoca medievale, con i vescovi di Cene da e l'ufficio dell'avvocazia da
essi ricoperto nel vescovado cenedese.
Era il tempo delle grandi signorie ecclesiastiche, delle lotte tra Papato e
Impero, dei patriarchi cosiddetti ghibellini sul seggio di Aquileia e tra l'una e l'altra di
queste potestà una miriade di grandi feudatari e signori locali che hanno permeato
della loro presenza e delle loro imprese la storia del medioevo italiano.
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© Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – riproduzione consentita solo se è correttamente citata la fonte
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche: I PORCIA. Avogari del Vescovo di Ceneda, Condottieri della Serenissima,
Principi dell’Impero. Atti del Convegno 9 aprile 1994, Castello Vescovile di Vittorio Veneto, editi per conto del
Circolo da De Bastiani Editore, Vittorio Veneto, settembre 1994
Imperio, pp. 5-8
Sempre nell'ambito di questo periodo viene a porsi lo studio del prof. Pier
Carlo Begotti sui castelli di Prata e Brugnera e le origini dei signori di Porcia. Il
Begotti esamina con maestria il perchè del sorgere di questi manieri in quei luoghi e
si sofferma sulle vicende iniziali della casata.
Non poteva mancare, data l'esigua sopravvivenza dei manufatti medievali,
l'esame artistico delle superstiti tombe dei da Prata in San Giovanni dei Cavalieri
effettuato dalla dott.sa Silvia Bevilacqua.
Molto ancora ci sarebbe stato da dire sui vari Porcia che furono condottieri
della Repubblica di Venezia, come quel conte Brizzaglia duce di cavalleggeri nella
guerra di Trieste (1463) o Fulvio I che prese parte alla guerra degli Uscocchi detta
anche gradiscana, o il conte Giacomo che militava nell' esercito veneto sull'Isonzo
per far fronte ai turchi, ma si è preferito illustrare la figura di Silvio di Porcia,
conosciuto come l'eroe della battaglia di Lepanto, che ben incarnava, nella sua figura,
il temperamento ardente e il valore guerresco dei suoi antenati. Questo personaggio
ci è stato presentato da Giorgio Zoccoletto sulla base di numerosi documenti inediti
che accanto all'eroe ci mostrano l'uomo.
La casata dei Porcia-Brugnera si distinse in modo particolare nel campo
letterario e Vincenzo Ruzza con grande competenza ha richiamato la nostra
attenzione sui molti uomini di penna della famiglia e sulle loro opere.
Sempre in tema di lettere l'ing. Giancarlo Pizzi ha messo in luce il ruolo di
mecenati e amici di poeti e scrittori sostenuto dai principi di Porcia in più occasioni.
Il Marchese Doimo Frangipane ha illustrato la figura di Bartolomeo Porcia,
Visitatore apostolico, alla cui penna, precisa e minuziosa, dobbiamo la descrizione di
cappelle e chiese ora scomparse e che senza il suo scritto non avremmo mai conosciuto. Il prof. Nerio De Carlo ha descritto i possedimenti della casata principesca dei
Porcia e Brugnera in Austria e Germania.
Una menzione particolare meritano i due brevi lavori della dott.sa Therese
Mayer di Spittal an der Drau (Austria) su gli splendori e i privilegi dei Porcia e il
manoscritto inedito del conte Massimiliano.
Il secondo intervento era corredato da splendide fotografie riproducenti
l'evoluzione degli stemmi di casa Porcia. In merito a questi due studi è opportuno
fare alcune precisazioni, utili per future ricerche.
Le regalie e le concessioni ottenute dalla famiglia con la nomina principesca
non erano una assoluta novità. Già Bianchino e Ludovico, del fu Brizalea conti di
Porcia, nel 1369, ottennero dall'Imperatore Carlo IV il Palatinato con speciali
privilegi. Nel diploma del 17 febbraio 1662, Leopoldo I nell'elevare la famiglia al
rango principesco, si richiamava per l'appunto alle concessioni di Carlo IV,
ampliandole e aggiungendone di nuove. Infatti, come si può leggere nel diploma
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Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche: I PORCIA. Avogari del Vescovo di Ceneda, Condottieri della Serenissima,
Principi dell’Impero. Atti del Convegno 9 aprile 1994, Castello Vescovile di Vittorio Veneto, editi per conto del
Circolo da De Bastiani Editore, Vittorio Veneto, settembre 1994
Imperio, pp. 5-8
imperiale del 1369, il diritto di creare nobili (concedimus licentiam, et authoritatem,
ut possitis ignobiles quoslibet nobilitare) e quello di legittimare i bastardi (... possitis
ac singulos naturales bastardos, spurios et damnatos coitu procreatos... ad omnia jura
legitima restituere) erano già presenti e nel 1662 vengono solo riconfermati.
Lascia alquanto perplessi l'affermazione, riportata nel manoscritto inedito del
conte Massimiliano, che il ramo Brizzaglia o Brazzalea, estintosi nel XVIII secolo,
fosse un ramo bastardo.
Possiamo affermare che il nome proprio Brazzalea o Brizaglia deriva da un
soprannome portato per la prima volta dal conte Federico detto Brizalie (Brizzolato?)
(nomine Dominorum Manfredi, Federici dicti Brizalie, et Artici de Porcileis)
menzionato in un documento del 1328, presente nel Codice Diplomatico Istriano di
Pietro Kandler (Regesto di Loredana Imperio a fine Atti). In seguito vari conti di
Porcia, appartenenti alla linea di sotto, portarono il nome di Brizaglia (Brizzagli,
Brazzalea). Infatti, il magnifico conte Brizzaglia di Porcia e Brugnera comandante di
cavalleria nella guerra di Trieste e in seguito Generale, era figlio del conte Gabriele
di Porcia della linea di sotto.
Forse l'equivoco e nato perchè il "Brazzalea" citato dal conte Massimiliano
aveva una moglie che si chiamava Perpetua, nome comunissimo sia nel medioevo
che in epoche più tardive.
La Santa in questione, martire a Cartagine assieme a Felicita, e autrice della
prima parte di una delle più preziose gemme della letteratura martirologica, la Passio
Perpetuae et Felicitatis, terminata da Tertulliano. Il nome di Perpetua ha assunto
l'attuale significato di "domestica" in genere e specificatamente di "domestica di un
ecclesiastico" solo dopo la stesura definitiva del romanzo di Alessandro Manzoni "I
Promessi Sposi" (1827), mentre nella scrittura precedente, del 1821, tale personaggio
si chiamava Vittoria.
Dopo queste riflessioni, alle quali si riallaccia un'affermazione contenuta
sempre nel manoscritto e che sostiene come il Porcia marito di questa Perpetua fosse
un ecclesiastico (?), viene spontaneo chiedersi: fu veramente il conte Massimiliano di
Porcia, morto nel 1689, l'estensore delle succitate memorie?
O non fu piuttosto un suo discendente, vissuto in pieno Ottocento, a
trascrivere e integrare con appunti personali quanto sommariamente stilato dal conte?
Un fatto è certo, all'epoca di Massimiliano di Porcia nessuno si sarebbe
sognato di chiamare la domestica di un ecclesiastico "Perpetua" poiché allora tale
parola era ancora usata come nome di persona, alla stregua di Maria, Ludovica, Elisa
e così via.
Il commento contenuto nel "supposto manoscritto di Massimiliano" su di un
ecclesiastico di Porcia che avrebbe sposato la propria domestica o perpetua ci pone
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Imperio, pp. 5-8
un altro interrogativo: per quale motivo qualcuno vissuto nell'Ottocento voleva far
passare per bastardo un ramo della famiglia che, a detta di molti, si era già estinto nel
secolo precedente?
È possibile che vi fossero ancora dei discendenti da disconoscere?
Fu forse il principe Alfonso Serafino che aveva dimestichezza con i salotti e
la cultura milanese, l'estensore della strana memoria? I misteri e la loro risoluzione
sono il vero fascino della Storia e, come ogni narrazione bella e appassionante, anche
la vicenda dei nobili di Porci a e Brugnera è costellata di misteri.
Agli storici il compito di svelarli.
Loredana Imperio
Presidente Circolo Vittoriese
di Ricerche Storiche
Ringraziamenti
Il Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche ringrazia:
- Sua Eccellenza mons. Eugenio Ravignani, vescovo di Vittorio Veneto, per
aver consentito l'uso della splendida sala degli stemmi per lo svolgimento del
Convegno sui Porcia
- il Comune di Vittorio Veneto, nella persona del Sindaco Mario Botteon e
dell'assessore alla cultura dotto Renzo Carniel, per il patrocinio e il contributo
elargito;
- le Eccellentissime famiglie di Porcia per i contributi e la collaborazione
offerte.
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SCHEDA DELLA MEDAGLIA CELEBRATIVA
sculto re: Giuseppe Grava - materiale: bronzo patinato - diame tro mm 70
D: nella metà supe riore lo stemma di famiglia inferiorm ente la cittad ella di Porcia (da un
disegno secentesco). Circolarmente: il motto della famiglia FIAT PAX IN VIRTUTE
TUA ET ABUNDANTIA IN TURRIBUS TUIS.
R: al centro a tutto campo il castello Vescovile.
Circolarmente: Vittorio Veneto - IX aprile MCMXCIV - CONVEGNO: I PORCIA
Inf eriormente: Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche. In piccolo G. Grava
Arca di Pileo I da Prata - 1325 .
Particolare: formella centrale.
Arca di Nicolò da Prata e di Caterina da Castelcucco - 1344 .
Particolare: formella centrale.
Stemma di Clodoveo e, accanto, antico stemma dei Re di Francia .
Antichi stemmi Porcia .
Stemmi Por cia in uso dal tardo medioevo al XVII sec.
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Stemma Porcia in uso nel XVII sec.
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Stemmi che ornavano le case e i pala zzi Porcia.
Grand e stemma del
conte Girolamo di
Porcia, Vescovo
di Adria e nunzio
apostoli co in
Germania .
Ordine del Toson d'oro e Gran Croce
dell'Ordine imperiale di Leopoldo.
Chiavi di Ciambellano
dell'Imperatore.
Ordine bavarese di Sant'Ube rto e Chiavi di Ciambe llano del D uca di Bavi era.
Ordine femminil e imperiale della Croce Stellata .
Giorgio Zoccoletto
La supplica dei Porcia, nel 1770,
per la giurisdizione di C eneda (comunicazione)
A seguito della morte del vescovo Lorenzo da Ponte, il Senato veneto in data
16 luglio 1768 decretò che fosse rivista tutta la materia relativa alla giurisdizione
ecclesiastica di Ceneda e Tarzo, in attuazione delle disposizioni generali già
impartite dal Maggior Consiglio per il controllo statale sulle rendite economiche e
sulle prerogative giuridiche degli enti religiosi. Primo atto successivo fu la nomina
di un Vice Gerente laico, che avrebbe esercitato le funzioni temporali riconosciute
usualmente al Vicario capitolare in sede vacante. Riesaminata la materia, sia in sede
politica che in sede di diritto, il 14 dicembre 1769 la Repubblica di Venezia abolì
la giurisdizione ecclesiastica, ponendo fine ad una secolare controversia resasi
particolarmente critica agli inizi del secolo XVII per impulso del consultore in jure
Paolo Sarpi. Presa così una decisione di massima, si trattò poi di scegliere la forma
amministrativa da applicare al territorio.
In questo contesto si inserisce la supplica, presentata in Pien Collegio il giorno
30 gennaio 1770, dai Conti di Porcia e Brugnera Nicolò, Silvio, Leandro, Alfonso
Antonio, altro Nicolò e Giorgio,
"Serenissimo Principe
La Famiglia Feudataria dei Conti di Porzia e Brugnara possedeva anticamente l' Avocazia di Ceneda, cioè la Giurisdizione Temporale integra di tutto quel
Vescovato, non che la terza parte delle condanne, l'autorità di condannar criminalmente li malfattori e varie Terre, Luochi e Castelli che si veggono espressamente enunciati e dichiarati in molteplici investiture per detta Famiglia ottenute dai
61
Vescovi di C eneda pro tempore, principiando dal duodecimo secolo e continuando
sino al decimoquinto.
Questo suo Titolo feudale fu riconosciuto e sostenuto dalla Sovrana Autorità,
come risulta da Ducali dell'Eccellentissimo Senato e dei Capi dell'Eccelso
Consiglio di Dieci, e se nonfossero insorte le turbolenze promosse da/fu Cardinale
Grimani Vescovo di Ceneda e da altri Vescovi successori, li quali si appropriarono
l'intero dominio sopra la Città di Ceneda, suo Territorio e Contea di Tarzo,
possederebbe ancora essa divotissima Famiglia l'antico suo Feudo nel Cenedese;
ma attese le cose successe e la superiorità arrogatasi dai Vescovi con l'esclusione
di chi si sia, fu costretta la medesima di rassegnarsi alle circostanze dei tempi e
cedere alla forza, che si era resa invincibile.
Come però piacque ultimamente alla Sovrana Autorità di levare al Vescovado
di Ceneda la Giurisdizione sì civile che criminale, con li Regali e diritti secolari
annessi, rimanendo ora a pubblica disposizione la suddetta Giurisdizione e diritti,
credono gli attuali Conti di Porzia e Brugnara, ossequiosissimi Sudditi e Vassalli
di Vostra Serenità, di presentarsi al suo Regio Trono, ed esponendo gli antichi loro
titoli Feudali sul Cenedese, umilmente implorarne la restituzione del loro Feudo,
offerendosi di sottostare a tutti quelli carichi ed obblighi, che credesse la Pubblica
volontà d'ingiungerli.
Grazie."(*)
La supplica dei Conti fu sottoposta immediatamente all'esame dei Provveditori sopra Feudi e della Deputazione Estraordinaria ad Pias Causas, vale a dire delle
magistrature maggiormente coinvolte nell'argomento. Esse non avevano ancora
fornito un parere, quando la Magnifica Comunità di Ceneda diede l'incarico a degli
esperti in diritto istituzionale per -contrastare la richiesta degli antichi feudatari.
Infatti fu elaborato un ampio memoriale, che documentava le competenze esclusive
di autogoverno del Consiglio civico cittadino.
I Conti di Porcia e Brugnera preferirono non entrare in causa con la Comunità
ed incaricarono, coh procura del 24 marzo 1770, il notaio Tommaso Marchetti
perché ritirasse il loro ricorso,
"restringendosi solamente ad ottenere dalla pubblica benignità l' Avocazia di
Ceneda e le altre prerogative onorifiche da suoi Autori anticamente godute".(*)
Le Magistrature protrassero per qualche tempo l'esame delle possibili soluzioni, valutando di assegnare eventualmente il territorio alle Podesterie di Serravalle, di Conegliano e di Treviso, oppure di istituire un nuovo feudo. Finalmente fu
deciso di istituire l'autonoma Podesteria di Ceneda e Tarzo.
62
In questa mia segnalazione propongo solo come ipotesi che la richiesta della
famiglia di Porcia non abbia avuto alcun seguito ufficiale. E' un'ipotesi basata sulla
consapevolezza che la vastissima e, salvo errore, largamente inesplorata mole dei
documenti archivistici possa fornire ulteriori notizie sul coinvolgimento della
Casata in quella che, a buona ragione, può essere considerata l'ultima conquista
territoriale del Dominio veneto.
(*) Archivio di Stato di Venezia, Deputazione Estraordinaria ad Pias Causas b. 37
63
Vincenzo Ruzza
Letterati illustri di Casa Porcia
Mi sia consentito un breve cenno per ricordare i membri della famiglia di
Porcia che più si distinsero nel campo delle lettere, della poesia, delle arti e della
ricerca storica.
In ordine cronologico, merita per primo menzione
LUDOVICO di PORCIA, figlio di Fedrigo o Federico, del ramo di Sotto,
vissuto a cavallo tra il XIV e il XV sec .. Fu capitano di Vicenza e successivamente
Pretore di Bologna. Morì nel 1413. È ricordato quale autore di una "Vita di Cesare",
scritta in francese antico.
Meno avaro di notizie è il successivo sec. XVI. Vengono ricordati:
JACOPO di PORCIA e BRUGNERA-Nato nell'anno 1462, figlio di Artico,
del ramo di Sopra.
Fu, con Enea Saverio, uno dei più illustri letterati di casa Porcia.
Si sposò nel 1486, ma la moglie Cecilia morì di parto l'anno successivo.
Profondamente addolorato per tale fatto, si ritirò a vita privata dedicandosi
interamente allo studio. Chiamò ad insegnare nella scuola pubblica di Porcia
l'umanista Bartolommeo Uranio con il quale strinse rapporti di affettuosa ~micizia.
· In seguito contrasse un nuovo matrimonio ed ebbe altri tre figli.
Allo scoppio della guerra cosidetta "di Cambrai", lasciò gli studi ed accorse
a difendere la repubblica di V e ne zia.
Dopo la rotta di Agnadello (14.5.1509), quale comandante delle ordinanze
venete operanti tra il Piave ed il Tagliamento, prestò manforte nella difesa di
65
Serra valle e di Cividale; soccorse Sacile assediata e partecipò infine alla conquista
di Pordenone, dimostrandosi anche valente capitano e coraggioso uomo d'armi.
Morì nell'anno 1538.
Oltre che alle virtù militari, la sua fama è legata alla vasta attività di
pubblicista. Per i suoi lavori venne assai lodato quale dotto umanista. Quale
letterato, conobbe molta popolarità specialmente in Germania.
Il suo "Epistolario" venne in parte stampato nel 1492, in parte dopo la sua
morte. Contiene tra l'altro l'elogio funebre, scritto in elegante latino, del suo
precettore ed amico Bartolommeo Uranio.
Scrittore prolifico, si interessò ai più svariati argomenti, come lo dimostrano
le sue opere.
- "De Re Militari" (VE, Taccuino, 1530)
- "De generosa liberorum educatione" (TV, Gerardo de Lisa, 1492)
- "De bello germanico Venetorum cum Maximiliano"
- "De reipublicae Venetae administratione" (TV, Gerardo de Lisa, 1492).
- "De venationibus, aucupationibus et piscationibus"
- "Montereale nel sec. XVI. Discorso del co. J. di P. ad Antonio, pievano di
Montereale". Trascritto da V. Joppi, venne pubblicato per Nozze Montereale
Mantica-Benedetti (VE, C. Ferrari, 1890)
- "Un'orazione nuziale" venne pubblicata, con notizie biografiche e commento del dr. co. Guglielmo di Porcia e Brugnera, per Nozze Beretta-Porcia. (PN, Arti
Grafiche, 1937). Scrisse inoltre ampie relazioni sulle invasioni dei Turchi in Friuli,
relazioni che vennero raccolte e pubblicate da Giov. Gius. Liruti (UD, Vendrame,
1802).
Vari altri opuscoli inediti si trovano nella Biblioteca Civica di Udine e in
quella di S. Daniele del Friuli.
Vincenzo Joppi ne scrisse la biografia (UD, Doretti, 1881).
VENCESLAO di PORCIA - Del ramo di Sotto. Fu buon filosofo ed ottimo
conoscitore delle lingue classiche. Nel 1532 ospitò nel castello di Porcia l'imperatore Carlo V, mentre faceva ritorno dalla guerra contro i turchi. Morì nell'anno
1540.
(Pre) ANTONIO PURLILIESE - Figlio di Giacomo, fu un dotto umanista,
sacerdote, precettore, maestro pubblico in Porcia. Divenne poi vice abate dell'abbazia di Panna (della quale, nel 1530, era abate commendatario il co. Fabio
Pruliliense). È autore di una pregevole "Cronaca" (1508-1532), che venne pubblicata, con annotazioni, dal canonico Ernesto Degani in "Archivio Veneto", XXXVI
(1888), p. 1-11.
GASPARE o GASPARO - Figlio di Alessandro, del ramo di Sotto, visse ed
operò nella seconda metà del XVI sec.
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nel 1721 e 1722.
68
Fu capitano di Gemona per conto della Repubblica di Venezia.
Coltivò le lettere e la poesia. Pubblicò vari sonetti d'occasione.
Alcuni suoi lavori vennero stampati in "Clarorum virorum poemata selecta,
tum latine, tum italice expressa" (UD, Natolini, 1602).
GEROLAMO di PORCIA (Senior) - Figlio di Venceslao, del ramo di Sotto,
nacque poco prima del 1540.
Abbracciata la carriera ecclesiastica, nel 1585 è Priore della chiesa di S.
Michele Arcangelo in Porcia e dell'annesso Ospedale dell'Ordine del Tempio di
Gerusalemme.
Risiedette per vari anni a Roma ed ebbe la nomina a vescovo di Torcello. Fu
nunzio pontificio in Francia ed in Germania. Infine si stabilì a Vienna, Nunzio
presso quella Corte imperiale.
Morì a Vienna nell'anno 1601.
Di lui ci resta una interessante "Descrizione della Patria del Friuli con l'utile
che ne ricava il Serenissimo Principe e le spese che fa". Scritta nel 1567, venne
pubblicata nel 1897. (UD, Tip. del Patronato).
GEROLAMO di PORCIA - Detto il giovane, figlio di Alfonso, del ramo di
Sotto. Fu vescovo di Adria e Nunzio Pontificio in Germania. Raccolse una grande
quantità di manoscritti (in prevalenza lettere, bolle, documenti ecc.). Morì nell 'anno 1620. È ricordato quale autore di un "Memoriale", opera andata perduta.
CIRO di PORCIA - Vissuto probabilmente nella stessa epoca, appartenne
anch'egli al ramo di Sotto. Dopo esser stato Canonico di Aquileia, venne consacrato vescovo di Beabruk.
Viene abitualmente ricordato tra i letterati della famiglia, ma non ho trovato
di quali scritti sia autore.
GIO.ARTICO di PORCIA e BRUGNERA - Visse a cavallo tra il XVII e il
XVIII sec. Figlio di Fulvio II (del ramo di Sopra), nacque infatti nell'anno 1678 e
morì nel 1743. Fu un illustre letterato, in costante relazione epistolare con
GiamBattista Vico, con Ludovico Antonio Muratori, con Francesco Scipione
Maffei, con Apostolo Zeno e con altri importanti letterati dell'epoca.
La sua biografia fu scritta dal nipote Giuseppe Artico.
È soprattutto noto quale autore di due tragedie: "Medea" e "Sejano", che
venero stampate in Venezia per Gio.Gabriel Hertz, rispettivamente nel 1721 e nel
1722.
Nel sec. XVIII viene ricordato:
GIUSEPPE ARTICO di PORCIA - Del ramo di sopra. Scrisse la "Vita di
69
DESCRIZIONE
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DAL CONTE
GIROLAMODI PORCIA
PUBBLICATA
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PEL SOLENNE INGRESSO
DI SUA ECC.ZA ILL.MA E REV,MA
Mons.PIETROZAMBURLINI
ALLA SEDE UDINESE
U Di NE
TIPOGRAFIA DEL PATRONATO
1897,
Frontespizio della edizione a stampa della "Descrizione della Patria del Friuli"
di Gerolamo di Porcia (1540-1601) scritta nel 1567 per il Legato pontificio a
Venezia, mons. Giovanni Antonio Facchinetti e mai prima pubblicata.
70
Giovanni Artico, co. di Porcia e Brugnera, q.m. Fulvio II, scritta da Giuseppe di lui
nipote ex fratre, 25 maggio 1768". Opera dedicata a mons. Giovanni Agostino
Gradenigo, vescovo di Ceneda. (Ceneda, Gio. Domenico Cagnani, 1770).
Nella seconda metà del XVIII e i primi anni del XIX sec. visse
ENEA SAVERIO di PORCIA degli OBIZZI.
Nato a Porcia il 16 marzo 1739, figlio di Rambaldo, del ramo di Sotto
"Ascaniate", e di Teresa dei co. di Strassoldo. Ben poco si conosce dei suoi studi
e degli avvenimenti della sua giovinezza.
Viene sempre ricordato come persona che si distinse nel campo delle lettere
e delle scienze. Rimase celibe e morì nel settembre dell'anno 1813.
Scrisse varie importanti opere:
- "Sopra tre sigilli appartenenti a tre diversi personaggi delli antichi conti di
Porcia e Brugnera". Stampato in occasione delle Nozze Cosolo-Cabalzar. - (UD,
Doretti, 1902). Detta opera dimostra la scrupolosità dell'autore e la diligenza con
la quale effettuò le sue ricerche.
- "I primi da Prata e Porcia". Si tratta di una ricerca accurata sulle origini della
famiglia e sulle persone più note, dal 1164 al 1335. Il Pellegrini, nel pubblicare il
saggio storico predetto, nel 1904 (UD, Del Bianco, 1904) rileva che "Il metodo di
ricerca è sempre ottimo, nulla asserendo il Conte di Porcia che non abbia potuto
provare con documenti..." Il Verci, lo Stefani e il Degani concordano anch'essi nel
lodare detto lavoro.
Le ricerche storiche del co. Enea Silvio se furono molto apprezzate dai
contemporanei, conservano tuttora notevole importanza.
Grande e generosa fu anche la collaborazione eh' egli fornì a quanti gliela
richiesero. E furono in molti a farlo, tra i quali anche G.B. Verci che a lui si rivolse
per avere copia dei documenti conservati negli archivi di casa Porcia.
A tal proposito il Verci scrive: "devo porgere ... i miei più sinceri rendimenti
di grazie al nobile Signor Conte Enea di Porzia q.m. Rambaldo, il quale mi
somministrò abbondantissima materia per la mia storia.
Quest'illustre Signore ... mi mandò moltissime carte, che si conservano negli
archivi dell'antichissima sua famiglia, che tanta ingerenza ebbe nei pubblici affari
di quei tempi e nelle guerre asprissime che desolarono la Provincia ...".
Il Conte Enea Saverio è anche autore di un libretto satirico-autobiografico
intitolato: "Il merlotto spennacchiato, ossia la storia piacevole del Conte Enea P.,
friulano". - (VE, Giuseppe Zorzi, 1767).
71
CLARISSIMI
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Frontespizi di due opere di Jacopo di Porcia: le "Lettere famigliari" edite a
Venezia nel 1504 e il trattato di "Arte militare" del 1515.
72
Agli inizi del sec. XIX operarono:
ALFONSO GABRIELE di PORCIA
Le sue "Allocuzioni" sono state stampate negli "Atti della i.r. Accademia del
r. Istituto di Belle Arti di Venezia", 1816-1818.
A lui si deve anche la ricostruzione dell "'Albero geneaologico della famiglia
di Porcia-Brugnera". (PN, Gatti, 1892, fogli 2).
Morì nell'anno 1835.
ALFONSO SERAFINO
Fu buon poeta, filosofo, economista, socio onorario dell'Ateneo di Treviso.
Scrisse:
"Che maggiori furono i vantaggi che non i danni venuti alla pubblica felicità
dalla scoperta del nuovo mondo. Dissertazione del co. A.S. di P." PD, Crescini,
1823 (BCTV M. 1580.8). Mise in versi i pensieri del cugino Francesco Serafino
"Deo Optimo Maximo".
FRANCESCO SERAFINO di PORCIA
È autore dell'opuscolo: "Deo Optimo Maximo - Terzine - Pensiero di S.A.
Francesco Serafino Principe di Porcia, posto in versi da suo cugino Alfonso
Serafino di Porcia". (VE, Gius. Picotti, 1818).
Scrisse inoltre "Meditazioni sulle grandezze di Dio e le miserie dell'uomo,
scritte in idioma tedesco e tradotte in italiano".
(Udine, Murero, 1825). - Morì nell'anno 1827.
Di poco posteriore è TOMMASO di PORCIA
Fu un illustre medico, un insigne cattedrattico e un cattolico impegnato, autore
di varie memorie. Morì nel 1853.
Il Padre Giammaria da Verona ne scrisse l'elogio funebre, "in occasione che
i suoi colleghi gli eressero un monumento" celebrativo. (PD, Seminario, 1874,
BSVV 4B20.6)
Alla seconda metà del sec. XIX appartengono:
PAOLO di PORCIA - È autore del saggio "L'agricoltura del mio paese.
Dialogo con un maestro comunale di un parroco campestre. Suggerimenti pratici".
(TV, Zoppelli, 1874, BCTV Ca.1.F.9)
Il dott. ALFONSO di PORCIA - Fu Sindaco di Porcia dal 1899 al 1904. In
questo periodo diede alle stampe il "Memoriale dell'Arma Portia in varii luochi
esistenti in Portia", corredandolo di importanti note esplicative. (PN, Gatti, 1901).
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Appartengono infine al sec. precedente:
GUECELLO di PORCIA -Autore di una documentata memoria "Il granoturco nell'economia agricola". Pubblicata dalla Camera di Commercio, Industria,
Agricoltura e Artigianato di Treviso negli "Atti e relazioni del Convegno Nazionale
sulla maiscultura" svoltosi a Treviso il 2 ottobre 1965.
Infine:
GABRIELE di PORCIA E BR UGNERA - Benchè non possa a rigore figurare
tra i maggiori letterati del suo casato, ritengo doveroso ricordare la sua attività
culturale quale membro del Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche, al quale da
molti anni era associato.
Egli si era laureato in scienze politiche all'Università di Padova sostenendo
una tesi di Diritto costituzionale su "Il Parlamento della Patria del Friuli durante la
dominazione della Repubblica Veneta".
Un suo intervento "I da Camino e i da Prata e Porcia" è pubblicato in appendice
agli Atti del Convegno di studi "Il dominio dei Caminesi tra Piave e Livenza"
svoltosi in questa città il 24 giugno 1988, a cura del Circolo Vittoriese di Ricerche
-Storiche.
Ci ha lasciati nel settembre scorso, facendo sorgere in tutti noi un senso
doloroso di vuoto incolmabile.
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Giancarlo Pizzi
Letterati in casa Porcia, a Venezia, Trieste e Milano
Gabriele di Porcia, pochi mesi prima della sua immatura fine, aveva deciso di
scrivere assieme a me questa relazione: la leggo quindi anche a nome suo e credo
che dai Campi Elisi egli mi ascolterà, sorriderà per lo spirito leggero con la quale
è scritta e perdonerà qualche mia impertinenza su qualcuno qei suoi, e anche un
poco miei, antenati.
Il tempo fissato per la lettura mi ha costretto a ridurre la relazione ai soli tre
"incontri letterari" della prima metà del secolo scorso, i quali vedono protagonisti
tre principi Porcia, l'uno successore dell'altro, e tre uomini di lettere: due famosissimi e uno ingiustamente dimenticato, tra di loro legati anche da vincoli di amicizia.
Ho dovuto quindi escludere altre presenze letterarie non meno interessanti:
quella degli umanisti amici di Jacopo, ai quali sono destinate le numerosissime
"Lettere famigliari" pubblicate alla fine del XV secolo; e quella del filosofo
napoletano Gian Battista Vico, al quale Gian Artico richiese quella esemplare
"Autobiografia", che fece stampare a sue spese nel 1728.
Pietro Buratti, veneziano e il principe Francesco Serafino
Uno dei personaggi più curiosi nella storia della famiglia Porcia, nacque nel
1753 nel ramo bavarese, fu ciambellano del Duca di Baviera e cavaliere del
rarissimo ordine di Sant'Uberto, e fu principe dal 1785 al 1827, in 42 anni nei quali
79
Ritratto del Principe Francesco Serafino di Porcia (1753-1827).
80
vide passare l'Europa dal crollo dell "'ancien regime" ali' ordine napoleonico e a
una restaurazione già minacciata da fermenti liberali.
Di temperamento malinconico, ma talvolta portato allo scherzo e al travestimento per burla, fu in gioventù un attivo filantropo, prestando in incognito conforto
materiale e morale nell'ospedale fiorentino di Santa Maria Novella, in quel modello
di stato "illuminato" che fu il granducato di Toscana sotto Pietro Leopoldo di
Asburgo-Lorena.
Abbandonati i suoi possedimenti in Austria dopo l'invasione francese del
l 797, visse per lo più a Venezia, affidando la cura delle sue vastissime proprietà in
Baviera, Carinzia, Istria e Carniola al cugino Alfonso Gabriele, del ramo italiano,
nato nel l 761 da Alfonso Antonio e dalla contessa Leopoldina d' Attimis.
Francesco Serafino ebbe dalla moglie, baronessa Barbara von Jochlinger, ben
nove figlie: rassegnato a non poter trasmettere il titolo principesco a un figlio diede
ali 'ultima il nome di Pazienza e nominò Alfonso Gabriele suo erede.
Nella quiete della città lagunare si dedicò alle proprie "Meditazioni sopra
l'uomo", scritte in tedesco e pubblicate in italiano a Pordenone nel l 814 e
ristampate a Udine nel l825(ll: il contenuto di esse è conforme al motto personale
da lui adottato"DEUS FELICIT AS-HOMO MISERIA": ossia l'uomo è una nullità
di fronte alla grandezza di Dio, solo possessore di quella felicità che l'uomo non
merita ma talora ottiene dalla divina misericordia.
Nel 1814 Alfonso Gabriele lo raggiunse a Venezia, nominato dopo la
restaurazione Consigliere intimo e attuale dell'Imperatore d'Austria e vice presidente del governo Lombardo Veneto, accompagnato dalla moglie Teresa, una
cugina dello stesso ramo italiano, dama di corte e dell'ordine della Croce Stellata,
il più alto ordine femminile dell'Impero d'Austria, nata nel 1779 da Giuseppe e
dalla nobildonna Antonia Beltramini. Erano con loro i figli Alfonso Serafino, nato
nel 1801, e Francesca Serafina, in casa detta Fanny, nata nel 1808: nella scelta dei
loro due nomi appare chiara la devozione al cugino che avrebbe ceduto il titolo
principesco.
Era notissimo a tutti i veneziani Pietro Buratti, nato nel 1772 da un ricco
commerciante di origine bolognese, Petronio, e da una bigotta di origine olandese,
Vittoria Van Uregarden(2). Refrattario a continuare la attività paterna iniziò nel
1796 a scrivere in versi, nella tradizione veneziana del Baffo e del Lamberti(3l: la
sua prima poesia fu infatti una satira contro il padre. Componeva con grande facilità
anche brindisi, canzonette augurali per ogni occorrenza e sonetti giocosi, ma la
satira era la sua passione e non sapeva tenere a freno la lingua quando poteva
mettere alla berlina le debolezze e i vizi anche dei potenti: nel 1813 durante
l'assedio austriaco a Venezia fu incarcerato per un mese per una beffarda critica
diretta al prefetto francese che governava la città.
81
POESIE
DI
PIETROBURATTI
VENEZIANO.
VOLUMEPRIMO.
VENEZIA.
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Frontespizio delle "Poesie" del Buratti, edite a Venezia nel 1864, e della traduzione delle "Meditazioni sopra l'uomo" alla origine della "batua" al Principe
Francesco Serafino.
82
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Frontespizio delle "Poesie" del Buratti, edite a Venezia nel 1864, e della traduzione delle "Meditazioni sopra l'uomo" alla origine della "batua" al Principe
Francesco Serafino.
83
Il Buratti scriveva quasi sempre in dialetto: pare che Carlo Porta, che ha
conquistato non solo a Milano quella fama che Venezia ha negato al maggiore suo
poeta satirico, durante il soggiorno veneziano del 1799 lo abbia conosciuto e che
tale incontro lo abbia spinto a divenire un poeta dialettale(41• Non volle mai
pubblicare nulla in vita, e fu anzi molto contrariato da una edizione non autorizzata
di poche sue rime nel 1823, ma le poesie erano imparate a memoria dagli amici e
dal popolo e furono raccolte da Matteo da Mosto. Dai ben 37.000 versi in dialetto
e 12.000 in lingua raccolti, fu compiuta una scelta che, escluse le numerose poesie
allora giudicate oscene, fu pubblicata a spese del Comune di Venezia nel 1864 in
tre volumi: prima e ultima edizione delle opere del Buratti(5l.
Non si sa come quest'uomo senza peli sulla lingua sia entrato, amichevolmente accolto, nella casa del vice presidente del governo: forse il carattere allegro, la
penna facile nello scrivere qualche canzonetta o brindisi nei ricevimenti per i quali
l'imperial-regio alto funzionario era già noto in città; o forse la passione musicale
di Teresa, poichè il Buratti era un ottimo violinista e si esibiva volentieri in
pubblico. Egli si trovava a suo agio nei salotti della migliore società, era molto
compito e sempre elegantemente vestito, anche se con qualche eccentricità che gli
aveva valso il soprannome di "piavoloto", e divenne il "cavalier servente" della
contessa nei quasi dieci anni della sua permanenza a Venezia.
In pubblico il poeta si lamentava che per tale fedele servizio "no go' mai avu'
l'onor de dar el brazo a quela dama incerta", come la chiamava per il suo incedere
un poco claudicante, ma in privato lasciava intendere di aver ottenuto ben più del
braccio e giustificava tale scandaloso comportamento con chi gli prospettava
almeno vent'anni di Spielberg se il marito se ne fosse accorto, col dire: "cassa
voleu, me son trova' in una casa dove tuti gera cubiai, e me son cubia' anca mi"'.
Qualche guaio per le sue satire lo ebbe veramente anche dagli austriaci nel
1816, scontando un altro mese di prigione per aver sbeffeggiato l'imperial-regio
esercito che non aveva saputo catturare un elefante fuggito da un circo e che si era
rifugiato in chiesa. Nel 1828 Stendhal divenne suo amico e ammiratore: passeggiava con lui tutte le sere in piazza San Marco fino alla mezzanotte e poi cenava con
lui: lo giudicava un "uomo di genio" e "il primo satirico della nostra triste Europa",
e si pensi che per Carlo Porta esprimeva il solo affettuoso giudizio di "charmant".
Il famoso letterato francese prestava fede alle esagerazioni del veneziano circa le
persecuzioni poliziesche subite, che si concludevano immancabilmente con il
lamento "morrò in esilio, sarò obbligato a fuggire"( 6l.
Tra le circa centocinquanta poesie pubblicate nel 1864 ben dieci sono dedicate
alla contessa Teresa, al giovane Alfonsetto, alla piccola Fanny che suonava il
clavicembalo e ballava nelle feste accompagnata dal poeta, o alla nonna Antonia
che veniva a trovare i nipoti da Porcia.
84
Ritratto della Princip essa Teresa di Porcia (1779-1854).
85
Ma la più curiosa, in 36 ottave, è quella dal titolo "Batua al principe Porcia"<7l
ossia sollecito di pagamento a Francesco Serafino per una prestazione, un "nolo"
dice il Buratti, del suo ingegno poetico. Composta nel 1815, riguarda la "libera
traduzione in versi dell'originale tedesco" della "Meditazione sull"uomo", richiestagli l'anno prima: l'operetta filosofica è presentata come un gioiello che deve
essere legato da un orefice, perchè il principe
Credendose a rason
De un brilante de peso possesor,
S 'a destacà da Mestre in carozzon
Per trovarse sul fato un ligador
Che un mascalzon nol fusse, ne' un birbante
Da tradir la beleza de un brilante.
Il Buratti conosceva certo bene Francesco Serafino e il "rameto de San
Servolo", ossia la "felix insania" erasmiana che l'opinione comune gli attribuiva,
e in una breve satira lo aveva così descritto:
La casa de sto mato buzaron ... e via
La par a prima vista de un spiantà
Ma d'indiana finissima guarnia
Xe la camera dove udienza el da'
Coverto de damasco el ga un taolin
El parla mezo turco e da cogion,
Ghe voi de piu' per esser Trufaldin"?<8l.
e non era certo d'accordo con i pensieri di
Un signorazzo ...
Che a certi pregiudizj va dessora,
che varda con disprezzo sto mondazzo,
Che tien l'omo per merda
E dentro e fora ....
ed era bene a conoscenza di quei bigliettini che il principe, lugubremente
intabarrato di nero, all'ingresso della Scala di Milano, distribuiva durante il
carnevale alle coppie che accorrevano alle feste, che allora si svolgevano nei teatri
portando il palcoscenico a livello della platea e creando così una grande sala da
ballo, mentre nei palchi si poteva cenare o dedicarsi ad altri, più intimi, divertimenti. Uno di questi biglietti diceva:<9l
86
"Sopra le illuminazionidette a Giorno"
pensiero di Sua Altezza il Principe Porcia
Sonetto
A che superbi e alteri ve ne andate
o uomini, che quaggiu' meco vivete?
Ombre leggere e vane mi parete,
e insetti, che in la polve vi aggirate.
S'entro festiva sala v'inoltrate,
o in un Teatro a danza il pie' movete,
ben mille lumi e mille ne accendete;
e dite allor, che a giorno illuminate.
Ma scopron gli occhj miei senza mistero,
de' vostri lumi al numeroso stuolo,
che il potere dell'uom, non è che un Zero.
Per rischiarar dall'un all'altro Polo
per ogni dove l'Universo intero,
non adopra il gran Dio che un lume solo.
e se il pensiero era di Alfonso Serafino, che conosceva bene solo il tedesco,
i versi dovevano essere di un buon poeta italiano e chi se non il Buratti?
Vedendosi però capitare nella sua casa di campagna del Terraglio tra Mestre
e Treviso
... Un principe che aspeta
El scravazzo piu' grando de l'ista'
per visitar su l'alba el so poeta
In abito frua' ma decora',
Che mogio de una piova maledeta
Chiapada in legno par de drio buta',
Core in bota al fogher de la cusina
E brusa a mezo agosto una fassina ...
il Buratti tentò di resistere alla richiesta di mettere in versi concetti tanto
lontani dal suo animo burlone e spensierato, ma alla fine cedette e dopo tre mesi la
"zogia era ligada" e fu pubblicata l'anno stesso a Pordenone<10>.
87
Ritratto del Principe Alfonso Gabr iele di Porcia (1761- 1835).
88
Ma passò un anno e del compenso non si vedeva nemmeno un accenno
malgrado l'assidua sua frequentazione di casa Porcia: nella "Batua" allora il poeta,
appassionato violinista, chiese uno straordinario compenso, dicendone anche il
valore in versi:
... Un Stradivario xe el famoso nome
Del bravo autor che l'a' crea' de pianta
El possessor ga daper sovranome
Luigi d'oro numero setanta ...
ossia una decina di milioni del giorno d'oggi.
Il violino arrivò portato dallo stesso principe, che però al posto del brano di
musica classica che il poeta al colmo della gioia voleva subito fargli ascoltare
pretese gli fosse suonato un valzer ... forse per smentire la fama di dispregiatore
delle mondanità. Il Buratti fu offeso da quella volgare scelta musicale e avendo
saputo che un magistrato di Trieste, Vinzenz Franul von Weissenthurn, aveva
composto sul motto DEUS FELICIT AS - HOMO MISERIA un "Acrosticon" 0 'lin
tedesco del quale il principe andava fierissimo, gli inviò questi versi
Ande' in Germania, ande' a far la da buio
Coi patatuchi mi ve meta a mazzo
Eco vostro permesso ve go in culo<'2l
ma né Francesco Serafino, né Alfonso e Teresa si offesero e "quel piavoloto
mato" rimase il loro poeta di famiglia fino alla partenza per Trieste nel 1823.
Henri Beyle, in letteratura Stendhal, milanese, e Alfonso Gabriele a Trieste
"Francesco ha scelto! allora suonaro intorno
E l'aure e l'onde e i lidi
Donde sorgea foriero
Di lieti eventi il giorno,
E i lidi, e l'onde e l'aure,
Tutti vi eccheggiar consoni e fidi:
Fracesco ha scelto! ma il comun concerto
Più soave si feo nell'armonia
Di cento cori e cento
Che securi esclamar: e' scelto Porcia!"
così l'italianissimo Domenico Rossetti espresse le speranze suscitate nel
febbraio 1823 ali' annuncio della nomina di Alfonso Gabriele a governatore del
Litorale Austriaco( 13l.
89
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Manoscritto autografo di Domenico Rossetti, con la poesia per la nomina di
Alfonso Gabriele di Porcia a Governatore di Trieste nel 1823.
90
Gran Signore e uomo di cultura, studioso di entomologia di qualche notorietà,
favorì le attività dell'Archeografo Triestino, della Società Filarmonica e dei teatri
e riaprì il Gabinetto di Minerva, un circolo culturale trascurato dal predecessore, il
nefasto barone di Spiegelfeldt. Pur non amando il ceto mercantile della città
promosse l'apertura nel 1828 di una comoda strada che attraverso Opicina
permetteva di raggiungere più agevolmente l'entroterra, facilitando l'attività
commerciale del porto che era il maggiore dell'impero, e favorì la creazione delle
prime compagnie di assicurazione, le Assicurazioni Generali nel 1831 e il Lloyd
austriaco nel 1833, assieme alla prima Cassa di Risparmio in Italia.
Di carattere severo e poco socievole, era spesso imprevedibile nelle reazioni, ·
come ebbe ad accorgersi l' austriacante Giuseppe de Lugnani al quale rispose con
impietoso sarcasmo all'"arcadico saluto" rivoltogli il giorno dell'arrivo: si dice
anzi che raramente era dato di uscire da un colloquio con lui senza aver ricevuto
qualche frecciata. Ma, solerte e precisissimo funzionario, ebbe ottimi rapporti col
cancelliere principe di Metternich e con l'imperatore Francesco che gli valsero nel
1828 la Gran Croce dell'Ordine di Leopoldo e nel 1830 il Toson d'oro, il massimo
e più antico Ordine dell'impero, al quale era appartenuto nel secolo XVII il primo
principe di Porcia, Giovanni Ferdinando. Raramente vestiva l'uniforme di gala, ma
anche in abiti civili portava sempre le due altissime decorazioni, come era uso fare
Francesco Serafino al quale era succeduto nel 1827 nel titolo principesco.
Ma negli anni dal 1830 al 1833 i rapporti con Vienna si guastarono, in parte
per le voci di amicizie del figlio Alfonso Serafino "poco conformi al rango della
famiglia", ossia poco austriacanti, che avevano dato luogo anche a rapporti di
polizia(14); poi per una sua denuncia del passato di massone del Salvotti, stretto
collaboratore dell'onnipotente capo della polizia Sedlnitzky, che se ne ebbe a male;
e infine per una visita, inopportuna per un imperial-regio governatore, al nobile
milanese Giorgio Pallavicino, reo di alto tradimento, condannato a vent'anni di
carcere duro nello Spielberg, ma graziato e in attesa nella fortezza di Gradisca
dell'imbarco per l'esilio in America. Tale sottile scontento trapela nel freddissimo
"benservito" che l'imperatore inviò al settanduenne principe Porcia, quando lasciò
l'incarico di Trieste, malato di gotta e di nervi:
Avendo con rincrescimento rilevato dalla
Sua comunicazione del 21 ottobre che
la sua debole salute non Le permette
più di dedicarsi con l'assiduo impegno
che sarebbe nel suo desiderio, all'incarico
di Lei rivestito, Le esprimo il più
vivo compiacimento per il lavoro assolto
91
"Benservito" dell'imperatore Francesco I dopo le dimissioni di Alfonso Gabriele
di Porcia nel 1833: biglietto autografo nell'Archivio di Stato di Trieste.
92
con soddisfazione e diligenza nell'ufficio
da Lei fino a oggi mantenuto
Francesco
di mano propria
Vienna 11 novembre 1333o5l
Dopo un breve periodo passato nella villa di Gajarine, Alfonso Gabriele
raggiunse i figli a Milano, nel palazzo che aveva fatto costruire nel corso di Porta
Orientale 06 l, con un contributo che l'erario lombardo-veneto concedeva a chi
abbelliva la strada che veniva dal Veneto e quindi dagli stati ereditari austriaci: di
fianco al portone di ingresso volle fossero posti, ed esistono tuttora, due medaglioni
con i ritratti del Verri e del Beccaria, le due eminenti figure dei "lumi" in
Lombardia, secondo lo spirito dei quali avrebbe forse voluto governare a Trieste.
La sua salute peggiorò rapidamente e morì in quel palazzo nell'aprile del 1835.
* * *
Henri Beyle, funzionario di intendenza della "Grande Armée" e membro del
consiglio di stato napoleonico, noto al mondo letterario per il romanzo "Il rosso e
il nero", ma non ancora celebre, era invece notissimo alla polizia austriaca di
Milano per le sue idee liberali e anticonformiste, tanto da essere segnalato dal
Torresani nel 1828 quale "immorale, irreligioso, conosciuto per l'opera malfamata
che porta il titolo "Roma, Napoli e Firenze", nella quale non soltanto sviluppa i
principi politici più pericolosi, ma ha anche l'insolenza di scrivere nel modo più
infame contro il governo austriaco"<I7),ed essere quindi espulso dal LombardoVeneto. Nonostante questo, per le pressioni di coloro che volevano far apparire
Luigi Filippo, re dei Francesi, più aperto alle idee progressiste della rivoluzione del
1830, il "noto signor Beyle" fu nominato console a Trieste: questi accettò, pur
sapendo che difficilmente avrebbe avuto l'exequatur da Vienna, poichè il bisogno
di denaro lo assillava, avendo perso ogni incarico statale dopo la caduta di
Napoleone ed essendo il frutto delle sue opere letterarie ancora modestissimo.
Dopo alcune difficoltà incontrate in Lombardia, che potè attraversare solo in
grazia del passaporto diplomatico ricevuto a Parigi, giunse a Trieste che considerava "in mezzo ai barbari", nel novembre del 1830, prendendo alloggio all'albergo
dell"'Aquila nera" sul corso, nel quale le campane della vicina nuova chiesa di S.
Antonio "lo assordano" e "la cucina tedesca lo avvelena" costringendolo·a vivere
di uova allacoque< 18l, mentre per le vie è terrorizzato dalla "borra (con due erre) che
minaccia di rompergli un braccio gettandolo a terra. Ma quando, assunto con
inaspettata solerzia l'ufficio consolare, viene ricevuto nei circoli e nei salotti della
93
città si ricrede e la giudica "graziosa".
Si presentò alla fine di novembre al governatore annunciando che, in attesa
della conferma da Vienna, intendeva svolgere pienamente le funzioni di console:
il principe ne prese atto senza commenti, meravigliato di avere davanti a sè un
diplomatico senza uniforme e senza decorazioni.
Stendhal tentò di portare il discorso sulla comune passione per la musica,
preavvisato dall'amico Meyerbeer, che aveva diretto il teatro di Trieste nel 1824 e
gli aveva anche scritto una lettera di presentazione per la principessa Teresa, ma
Alfonso Gabriele tagliò corto e raccomandò alla moglie di non ricevere quello che
aveva giudicato un uomo da pocd 19).
La mancanza di altri dispacci per il governo austriaco, dopo una laconica
comunicazione del suo arrivo, fanno ritenere che il governatore abbia ignorato il
console francese per i cinque mesi nei quali rimase a Trieste. Ma nel 1918
l'Archivio del Governo del Litorale andò in buona parte distrutto, ed è lecito
pensare che almeno la cattiva impressione suscitata da quell'uomo senza uniforme
non sia stata taciuta: al resto avrà pensato la imperial-regia polizia e nel marzo 1831
Henri Beyle ricevette il "non exequatur" e dovette essere trasferito "nel deserto di
Civitavecchia" dove resse il consolato per dodici anni, quasi sempre trascorsi però
nella vicina Roma e in frequenti e lunghe licenze a Parigi.
Lo stupore del governatore non sfuggì a Stendhal: la mancanza di una
decorazione non solo lo metteva in cattiva luce nell'ambiente diplomatico ma,
peggio, gli procurava il disinteresse delle donne che "lo avrebbero amato se avesse
avuto una qualsiasi croce sul petto"<20 ). Si diede un gran daffare per avere almeno
la "Legion d'onore", che ottenne solo nel 1835 e non per i meriti di diplomatico,
ma per la fama di scrittore.
Stendhal nel colloquio con Alfonso Gabriele aveva dimenticato, o taciuto per
non rivelare apertamente i suoi trascorsi napoleonici, che nel 1809 durante la
campagna per la conquista di Vienna, aveva soggiornato alcuni giorni a Landshut
in Baviera, nella casa del conte Nicolò di Porcia "a fianco del grande campanile
della città"<21 i. Era questi del ramo detto "di Ascanio" del colonnello di sotto della
famiglia che sin dal secolo XVI aveva avu(o alti incarichi in Baviera: era stato
consigliere e capitano delle guardie reali bavaresi, ma era noto per le sue proposte
di collegare con canali i fiumi della Germania, esposte in due libri: "Una via
d'acqua da Monaco al Tirolo e al Lago di Costanza" pubblicato nel 1807 e "Il
collegamento dell'Elba e dell'Oder con il Danubio e il Reno" del 1808(22). Ma
questi studi non interessavano certo il ventiseienne intendente dell'armata napoleonica, attratto piuttosto dai "bei visi ovali delle ragazze bavaresi"<23 ).
94
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Ritratto del Principe Alfonso Serajlno di Porcia (1801-1876).
95
Honoré de Balzac, parigino, e Alfonso Serafino a Milano
Il figlio del governatore di Trieste che gli succedette nel titolo principesco nel
1835, si era laureato a Padova in legge nel 1823 con la tesi "Che maggiori furono
i vantaggi che non i danni venuti alla pubblica felicità dalla scoperta del nuovo
mondo"<241 argomento che evidentemente sollevava allora qualche dubbio negli
ambienti più tradizionalisti del vecchio mondo e che perdura oggi in coloro che
avvertono il pericolo dell'influsso americano sui costumi e sulla vita europea.
Alfonso Serafino anche se era ciambellano imperiale non partecipò alla vita
politica, dedicandosi agli interessi economici della famiglia, che il padre non
poteva curare per gli alti e onerosi incarichi pubblici ricoperti. Ma le idee prevalenti
nella nobiltà milanese, della quale era entrato a far parte per il matrimonio della
sorella con il conte Faustino Vimercati Sanseverino e ancor più per il legame con
la cognata Eugenia Vimercati Sanseverino, sposa al conte Gian Giacomo Attendolo Bolognini ma conosciuta da tutti come sua amante, lo portarono ad abbracciare
idee anti-austriache e a manifestarle. Nel 1844 fu notato a rivolgere ostentatamente
le spalle all'arciduca Ranieri, vicerè del Lombardo-Veneto, che passava in carrozza
scoperta per la piazza della Scala, e fu esiliato per un anno a Roma, raggiunto quasi
subito dalla "Bolognina", come veniva detta confidenzialmente la cognata. In
quell'anno nei salotti milanesi non si parlò che del duplice scandalo, politico e
amoroso, suscitato da Alfonso Serafino, ma si avvertì anche la mancanza delle feste
e dei pranzi che settimanalmente erano offerti agli amici: nel palazzo Porcia erano
ben diciotto le persone di servizio, tra le quali il cuoco Luigi Tagliaferri, giudicato
il migliore della città, e il cameriere Johann Plemfen luterano, segnalato invece
come pericoloso eretico negli "stati d'anime" della parrocchia di San Babila
dell'anno 1840.
Il breve esilio provocò anche il definitivo abbandono del progetto di elevare
una grande statua di Alfonso Gabriele proposto alle autorità milanesi dal figlio, e
della quale lo scultore Alessandro Puttinati aveva già nel 1838 presentato un
modello all'Esposizione dell'Accademia di Brera, riscuotendo l'approvazione della
critica e del pubblico<25 l.
Malgrado il patriottismo presunto, gli insorti arrestarono il ciambellano
Porcia durante le "cinque giornate" del 1848 per pochi giorni, i quali bastarono però
a fargli accettare nel 1867 la nomina a membro della Camera dei Signori d'Austria
e della Dieta dei Magnati d'Ungheria, che la duplice monarchia riservava ai sudditi
di provata fedeltà.
La sorella Fanny, che viveva anch'essa nel palazzo sul corso, continuò anche
dopo il matrimonio a frequentare i salotti letterari con il marito, che era uomo di
vasta cultura classica e qualche ambizione di poeta. Poco avvenente ma piena di
96
Ritratto di Francesca Sera,jlna (Fanny) di Porcia (1808-1876).
97
raffinato interesse per le lettere e per la musica, dotata di brio e intelligenza, come
la giudicava Nicolò Tommaseo<26>,fu apprezzata anche nei salotti di Parigi dove
brillavano Merimée, Hugo, Gautier e soprattutto Honorè de Balzac, ritenuto allora
"il principe dei romanzieri".
Nel 1838 Fanny lo andò a scovare in una soffitta, rovinato dai debiti per
l'ennesima volta, e lo invitò a Milano: Balzac accettò anche perchè sperava di poter
regolare a suo favore certi interessi economici che aveva con la contessa milanese
Guidoboni Visconti, dalla quale aveva avuto nel 1836 un figlio a Parigi. Nel dare
l'annuncio alla cara amica Clara Maffei del prossimo arrivo del famoso scrittore,
scrisse: "Te lo immagini forse grande e snello, pallido e scarno, con una di quelle
fisionomie che sono già una ispirazione, una poesia? Guardati da così bella
spettazione! Egli è un uomo piccolo, grasso, paffuto, rotondo, rubicondo, con due
occhi però negri e scintillanti foco nel dialogo, il foco della sua poesia".
Alfonso Serafino e Fanny ospitarono Balzac dal febbraio al maggio 1838,
accolto e osannato nei salotti della città, ma in continuo litigio con Fanny che non
sopportava le sue critiche agli italiani e i suoi elogi della polizia austriaca che gli
aveva riportato, dopo sole due ore, un orologio d'oro che gli era stato sottratto a
teatro. Lo scultore Puttinati gli regalò una piccola statua che lo ritraeva con la
curiosa veste da camera<28>,simile a un saio da frate, nella quale lo scrittore ricevette
la visita di Fanny a Parigi. Per ricambiare dedicò agli ospiti due suoi romanzi: ad
Alfonso Serafino quello intitolato "Splendori e miserie delle cortigiane" ricordando il "Lastricato elegante di Porta Renza" e "gli olmi dei Boschetti<29>che ricordano
gli Champs Elisées, addolcendo la nostalgia di Parigi"; a Fanny "Gli impiegati o la
donna superiore" elogiando molto rispettosamente "la delicatezza veneziana della
vostra intelligenza" e citando il novelliere cinquecentesco Matteo Bandella che
dedicò un racconto a un Sanseverino antenato del marito.
Ma più bella e confidenziale è la dedica che Balzac scrisse per il romanzo "Una
figlia d'Eva" dedicato a Eugenia Vimercati Sanseverino, nella quale ricorda "la
conversazione piacevole nelle fresche sale e nel giardinetto di vicolo dei Capuccini,
rallegrati dalle risa della piccola Eugenia". Questo nome, eguale nella madre e nella
figlia, era particolarmente caro allo scrittore essendo quello della sua più celebre
creatura letteraria, Eugenia Grandet.
La piccola non ereditò la bellezza della madre, che venne descritta come
"donna voluttuosa e affascinante", ma tutto il temperamento volitivo: nel 1855
sposò ventenne il ricchissimo duca Giulio Litta Visconti Arese: dopo pochi anni
divenne l'amante del re Umberto I, temuta dai ministri, accettata da tutta la corte
e dalla stessa regina Margherita.
Fu affezionatissima ad Alfonso Serafino che considerò sempre come padre:
quando nel 1865 il principe potè sposare la "Bolognina", rimasta vedova, volle
98
Sopra le illttminazioni
de t te a G i o r n o. •)
A
l ON E 1' 1' O.
che superbi e alteri ve ne andace
o uomin, che qn:aggiù mcco vivete?
ombre leggicrc e vane mi parete,
e insetti , che in la polve •L aggirate ..
S' entro festiva sala v' inoltrate 1
o in un Teatro a danza il piè movct!,
b~n miltè lumi e mille ne accendete;
~ dite allor, che a. giorno illuminate.
Ma scuopron gli occhj miei senzatnistèro,
dc ..vmcrl lumi al numeroso st110Jo,
che il potei e dcli> uom; non è I che un Zero.
Per rischiarar daH,;un all, altro Polo
per o~ni dove 1, Universo intero,
non adopra il gran Dio che un i.umc: solo ..
•) Pensi,n di
$., .A.
il Prit,1,cif' Po"i.4 ..
Uno dei biglietti che il Principe Francesco Serafino di Porcia distribuiva ali' ingresso della Scala nelle feste di carnevale: pensiero di Sua Altezza ma versi
probabilmente di Pietro Buratti.
99
essere adottata da lui, forse perchè esser divenuta figlia di un principe la faceva
sentire più degna del letto di un re. Dal quale ebbe alcune figlie, morte in fasce, e
un figlio il quale nei ritratti pare il fratello gemello del principe di Napoli, il futuro
Vittorio Emanuele III. Volle che portasse il nome di Alfonso, in onore del padre
adottivo, e quando questo morì in un palazzo di via Borgonuovo a Milano nel 1876
lo fece inumare nella cappella della villa Litta di Vedano al Lambro, sotto una
lapide di enormi proporzioni, che reca incisi i suoi trenta e più titoli nobiliari
compresi quelli di Gran Maestro Ereditario della Contea Principesca di Gorizia e
Gradisca e di Gran Falconiere Ereditario del Ducato di Carinzia<30l.
La duchessa Litta viveva a Vedano perchè la villa, avendo il parco confinante
con quello della villa reale di Monza, facilitava gli incontri amorosi con il re
Umberto, durante i quali lo convinse della necessità di far governare l'Italia dai
generali, sparando se necessario con i cannoni contro chi si ribellava; teoria con la
quale ottenne che Gaetano Bresci nel 1900
... a Monza
con palle tre
ha ucciso il re.
Anche Fanny volle dare il nome d'Alfonso al suo unico figlio: questi divenne
senatore del regno d'Italia, onorifica carica che non gli parve sufficiente alla
grandezza degli avi materni, poichè nel 1893 fece coniare una serie di monete con
il proprio ritratto, credendo di poter esercitare il diritto ostentato dal principe
Annibale Alfonso Emanuele con il conio dello zecchino Porcia. Volle far circolare
le monete a Castelgabbiano presso Crema, sua vasta tenuta agricola, e incappò in
un processo, poichè dal 1859 solo la casa di Savoia deteneva il diritto di batter
moneta in Lombardia<31l.
Se nel 1831 Stendhal non potè certo conoscere la giovanissima figlia del
governatore di Trieste, il cognome da Lei assunto con il matrimonio fu usato dallo
scrittore per la principale figura femminile della "Certosa di Parma", il romanzo del
quale è protagonista lui stesso nella figura di Fabrizio del Dongo: la duchessa
Sanseverina.
Stendhal, nelle lunghe e frequenti licenze da Civitavecchia, frequentava a
Parigi quegli stessi salotti letterari, specie quello del barone Gérard, dove era
conosciuta e apprezzata Fanny, anzi "la Sanseverina" come era chiamata confidenzialmente dagli amici. E se questo incontro non è allora avvenuto, è probabile
che Balzac, primo entusiasta sostenitore dello scrittore che amava dirsi "milanese",
gli abbia parlato della "donna superiore" che lo aveva ospitato sul corso di Porta
Orientale: nelle opere stendhaliane spesso compaiono nomi e caratteri di persone
conosciute direttamente o dalla descrizione degli amici.
100
li Pala zzo Por cia a Milano, costruito nel I 827 sul e.so di P.ta Orientale (ora e.so
Venezia).
101
Anche se gli studiosi della "Certosa di Parma" ritengono che il complesso
carattere della "Sanseverina" del romanzo sia ispirato a quello della principessa
Cristina di Belgioioso, che nei salotti parigini tesseva l'unità d'Italia, non è da
escludere che una parte di esso e non soltanto il cognome, sia stato prestato da
Fanny, la "Sanseverina" vissuta a Venezia, a Trieste, a Milano.
Note
1) Documento allegato A: frontespizio dell'opera
2) Le notizie su Pietro Buratti sono tratte da:
- prefazione alle poesie edite a Venezia nel 1864
- Vittorio Malamani "Pietro Buratti" La letteratura - Torino - 1890
- articoli di Manlio Dazzi "Pietro Buratti nel giudizio di Stendhal in "Nuova Rivista Storica" Venezia
- 1956 e "Pietro Buratti" negli atti dell'istituto veneto di lettere, scienze e arti - Venezia - 1958.
- Alvise Zorzi "Venezia austriaca" Laterza - Bari - 1985 - pagg. 34 e 201.
3) Giorgio Baffo, (1694-1768) poeta satirico ed erotico, oggi rivalutato dai giudizi positivi di Stendhal
e Apollinaire.
Anton Maria Lamberti (1757-1832) arguto osservatore dei costumi, fu poeta e compositore di
maliziose canzonette, la più celebre delle quali è "La biondina in gondoleta".
4) Guido Bezzola "Le charmant Carline" Il Saggiatore - Milano - 1977 pag. 34.
5) Documento allegato B: frontespizio dell'opera.
Una scelta delle poesie è contenuta nella antologia "Il fiore della lirica veneziana" curata da Manlio
Dazzi - Neri Pozza - Venezia - 1959 - vol. III pag. 11-65.
6) Lettere di Stendhal all'editore Charles Fume nel 1840.
7) Documento allegato C: prime ottave della "Batua".
8) Sonetto "Al principe Porcia" a pag. 106 del volume II delle poesie edita a Venezia nel 1864.
9) Documento allegato D: originale di un bigliettino distribuito all'ingresso del teatro alla Scala di
Milano.
10) Documento allegato E: frontespizio dell'opera.
11) Documento allegato F: l'"Acrosticon" in tedesco.
12) Prefazione alle poesie pubblicate a Venezia nel 1864, pag. LII.
13) Documento allegato G: autografo della poesia del Rossetti.
14) Rapporto del de Cattanei, capo della polizia di Trieste, al Sedlintzky in data 16 novembre 1829.
15) Documento allegato H: originale del biglietto autografo dell'imperatore Francesco I.
16) Oggi sede dell"'Automobile Club" di Milano, in corso Venezia, recentemente restaurato.
17) Rapporto del Torresani, capo della polizia di Milano, al Sedlnitzky in data 31 gennaio 1828.
18) Lettere di Stendhal agli amici Adolphe Mareste e Alberte de Rubemprè, del gennaio 1831.
19) - Nora Franca Pogliaghi "Stendhal e Trieste" Olschki - Firenze - 1984 pagg. 36-46.
- Renè Dollot "Les joumées adriatiques de Stendhal" Argo - Paris - 1930.
- Vietar del Litto "La vie de Stendhal" Albin Miche! - Paris - 1965 - pagg. 251-271.
20) "Stendhal e Trieste" op. cit. pag. 77.
21) Stedhal "Diario" Einaudi -Torino - 1977 vol. I pag. 242 (anno 1809 - 23 aprile).
22) "Biographisches Lexikon des Kaiserthums Osterreich" - K. U .K. Hof und Staatdruckerei - Wien
- 1872 - pagg. 123.
102
DAS
ACROSTICON
DES
ERI-IABENEN DENl{SPRUCI-IES
.SEINER ·DURCHLAUCHT
D ES
FunsTEN FnANZ SEnAPHINvoN Ponc1A
&c. &c.
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aus Nichts die We!teo fchuf
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Cl)ich hier alles weit, und breit
~ ortd~uernd fcbmiegen mufs. '
P=r,rAllein ist's, der verfugt
t"'iinder; H.eiche,
Kro~aèo J.nkt
t,-,,;o,dem Weltall nur begltickt"
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und Sklav' mit Trost befchenkr,
i,-.hm allein verdanken wir
~ugend,
\Vonn~ Zufriedcnhcit;
:;i...ufser ihn ist alles hier
Cl) chruckbild, und Vergiioglié:hkeit•.
:=::iermit Menfch, was brti,test dich?
O hne
ihn, \va; bist du da?
~ erkest du nicht inniglicl1
Qberherrfchaft
Johova?
~ orfch wird deine Kiirpers Htille
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C/:)cl1atze. Glanz in ,!Jer FUI
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fche w;rst, und wirsc zuriilt,
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L'acrostico in tedesco del motto "DEUS FELJCITAS-HOMO MISERIA".
103
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Tombe del Principe A lfonso
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di Vedano al Lambro, presso Monza.
l04
23) Stendhal "Diario" op. cit. voi. I - pag. 235 - 236.
24) Documento allegato I: frontespizio della tesi.
25) - Atti della I.R. Accademia di Belle Arti di Milano - anno 1838 pag. 83.
- O. Arrivabene "Della pubblica esposizione di opere di Belle Arti fatte a Milano nel settembre 1838"
Pirotta - Milano - 1838 - pag. 17.
26) Lettere di Nicolò Tommaseo a Cesare Cantù del 18 marzo 1840.
27) Lettera di Fanny da Parigi del 7 febbraio 1837.
28) Documento allegato L: La statuetta del Puttinati, ora nella "Maison de Balzac" a Parigi dall"'Album Balzac" Bibliothéque de la Pleiade - Paris - 1962 pag. 179.
29) - "Porta Renza" è il nome dato dai milanesi alla Porta orientale perchè da essa Renzo Tramaglino
entra a Milano nei "Promessi Sposi".
- "Boschetti" è il nome anche oggi della via alberata alle spalle del palazzo Porcia a Milano: allora
era il passeggio e il luogo di ritrovo galante del bel mondo, ben conosciuto anche a Stendhal.
30) La villa di Vedano fu lasciata in eredità ali 'Ospedale Maggiore di Milano da Eugenia in mancanza
di discendenti diretti del marito duca Litta.
Tutti i suoi beni furono destinati a istituzioni benefiche o allo Stato: il ritratto di Antonio Porcia dipinto
da Tiziano, che aveva ereditato dal padre adottivo, è ora alla Pinacoteca di Brera. La villa non è
visitabile, ma per una speciale concessione ho potuto vedere e fotografare le tombe di Alfonso
Serafino ed Eugenia Vimercati di Sanseverino, la "Bolognina", riprodotte nell'allegato M.
105
Vincenzo Ruzza
Letterati che operarono al servizio dei Di Porcia
Parimenti ritengo doveroso ricordare alcune persone che svolsero la loro
attività in Porcia e Brugnera nel settore delle lettere e dell'insegnamento, al servizio
della famiglia giurisdicente:
Agostino BERNARDIS
Sacerdote e buon letterato, insegnò dapprima nelle scuole di Porcia.
Fu poi Rettore del Seminario di Portogruaro ( 1837). Alla sua solerzia si deve
l'inizio dei lavori di riatto del Seminario. Sotto la sua spinta venne poi rifatto
completamente l'edificio.
Orazio BRUNETTI
Nato a Porcia il 19 maggio 1521, fu un valente medico ed un illustre filosofo,
spesso ricordato nelle memorie della famiglia.
Laureatosi all'Università di Padova, esercitò l'arte medica in varie città del
Dominio Veneto. Infine fissò la sua dimora in Porcia, ove aveva sposato Ginevra,
figlia del conte Alessandro.
È altresì noto per le sue idee filosofiche e religiose, quest'ultime assai vicine
a quelle della Riforma. Infatti, fin da giovane, aveva stretto relazioni con gentiluomini e letterati inclini alle nuove idee religiose provenienti da oltralpe.
Nel 1548 pubblicò un volume di lettere, dedicate a Renata di Francia - venuta
ad abitare in Ferrara a seguito del matrimonio con Ercole II d'Este - nota fautrice
del diffondersi del protestantesimo in Italia.
75
Il libro venne ben presto preso di mira dagli inquisitori che ordinarono la
distruzione di tutti gli esemplari stampati. Il Brunetti ne ebbe gravi noie e solo a
stento potè sottrarsi al processo avviato nei suoi confronti.
Antonio FILERMO
Figlio di Bonifacio Pileo o di Prata, nacque nel castello di Porcia verso il 1450.
Studiò legge ed esercitò le funzioni di giureconsulto e di notaio (1485). Coltivò
molto le lettere e scrisse alcune poesie che intitolò "Ritmi", le quali - a detta del
Pellegrini - furono molto "lodate dai professori dell'Università di Padova".
Contemporaneo del co. Giacomo, ebbe con lui uno stretto legame d'amicizia
e fu con lui in continua corrispondenza epistolare specie allorchè fu costretto, quale
"scriba" della Serenissima, ad abitare lontano da Porcia. Svolse infatti la sua attività
a Salò, a Cipro e in diverse altre località.
Federico FRANGIPANE
Figlio di Giovanni Battista da Castello (dei Consorti di Tarcento) e di Antea
di Pers, entrò nell'Ordine dei Padri Agostiniani e divenne un illustre oratore e un
buon poeta.
Trascorse vari anni in Porcia ove esercitò le funzioni di pubblico insegnante
e a Porcia morì nell'anno 1599.
Ludovico LEPOREO
Nato a Brugnera verso il 1580, abbracciò lo stato sacerdotale. Fu un illustre
letterato, poeta e musicista. Dal 1611 al 1615 resse la parrocchia di S. Martino (di
Colle Umberto).
Dimorò poi lungamente in Porcia e fu in relazione d'amicizia e di affari con
i conti di Porcia e Brugnera.
Appassionato ricercatore ed amante della musica, si sforzò di armonizzare i
testi poetici con la sonorità musicale, non senza cadere - a volte - in stranezze
metriche e formali quali rime interne, abuso di versi sdruccioli, ecc.
Scrisse un "Canto trionfale" in ottava rima in onore di S. Carlo Borromeo,
canto che venne stampato in Conegliano, per Marco Claserio, nel 1612. Eseguì
inoltre una buona traduzione in versi sciolti dell'Arte poetica di Orazio (Roma,
1630).
Giovanni TOFFOLI
Nativo di Porcia, sacerdote, nel 1842 divenne insegnante nella scuola di
grammatica e di umane lettere di Porcia, scuola che resse con onore per oltre un
ventennio. Oltre che buon letterato si dilettò anche di pittura.
76
Bartolommeo URANIO
Originario dei dintorni di Brescia, fu umanista e professore di fama. Insegnò
a Verona, a Padova, a Conegliano, a Cividale, a Udine. Infine venne chiamato a
Porcia con l'incarico di pubblico precettore di grammatica.
Trascorse molti anni in Porcia ove morì verso il 1520.
Fu maestro ed amico del co. Giacomo, che lo ebbe assai caro e che lo lodò
molto nel suo epistolario.
Bartolommeo ebbe un figlio, Mare' Antonio, che abbracciò lo stato sacerdotale, ebbe il beneficio della chiesa di S. Maria, e insegnò anch'egli umane lettere
(grammatica e rettorica) presso la Scuola di Porcia.
Opere consultate (oltre quelle già citate):
ARCANO(d'), Orazio "Memoriale dell'Arma Portia in vari luochi esistenti in Portia" con note del
co. Alfonso di P. - PN, Gatti, (1901) BSVV lOFl 15. (Per N. Silvia di P. e B. con Alfonso di P.).
DE PELLEGRINI, Antonio "Cenni storici sul castello di Porcia" PN, Arti Grafiche, 1925 e ristampa
Fiume Veneto, Arti Grafiche, 1990, che contiene anche ampia bibliografia dei co. Porcia a cura di
Sergio Bigatton (BSVV N/46B39)
- detto - "Caccia e pesca nella giurisdizione dei co. di P.B." PN, Arti Grafiche, 1932.
- detto - "Schiavi e manomissioni..." GE, Papini, 1904.
- detto - "Personaggi illustri nel castello di Porcia e suo territorio. PN, Arti Grafiche, 1925.
- detto - "Di due turchi schiavi del co. Silvio di P. e B., dopo la vittoria di Lepanto. VE, Ferrari, 1921.
BSVV 10E48.3
- detto - "Le incursioni turchesche in Friuli e i castelli di P. e B." Udine, Del Bianco, 1911.
- detto - "Genti d' arme della Repubblica di Venezia - I condottieri Porcia e Brugnera" UD, Del Bianco,
1915. BSVV 4D14.
FA TTORELLO, Francesco "Storia della letteratura italiana e della cultura in Friuli - UD, Del Bianco,
1929 BSVV 9B 10.
FRIZZONI, Gustavo ... Ritratto del co. Antonio di Porcia eseguito dal Tiziano. Roma, 1892.
GIAMMARIAda Verona "Elogio funebre del co. Tomaso di P. e B. dettato nella circostanza che gli
amici innalzavano un monumento ad eternare la sua memoria" Padova, Tip. Seminario, 1854.
GIURIATI, Domenico "L'uccisione del co. Porcia" in Illustraz. Ital., F.7 del 14.2.1904.
JOPPI, Vincenzo "Notizie biografiche di Jacopo co. di P. e B." UD, Doretti 1881 (per Nozze Sellenati
- di Porcia).
LEICHT, Pier Saverio - "Statuta Brugnariae" UD, Doretti, 1901. (Per N. Eugenio di P. con Silvia di
P.e B.).
LIRUTI, Gian Giuseppe "Notizie delle vite ed opere scritte da letterati friulani" T. IV - VE, M. Fenzo
1760-62.
LITTA, Pompeo "Famiglie celebri d'Italia" Ml, Giusti, 1819-52, voi. 10, BSVV 3H38.l.
LUXARDO, A.E. - "Famiglia dei co. di Porcia" in "Pagine frulane" a. XV, nn. 2 e 3.
MANTICA, Sebastiano "Cronaca di PN dal 1432 al 1544" PN, Gatti, 1881.
MANZANO (di), Giuseppe "Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani dal sec. IV al XIX" UD,
Doretti, 1885.
77
NONO, Italico "Sacile e le castella del Livenza ..." Sacile, Tip. Sacilese, 1922 (BCVV C.9.28/29).
detto "La Marca amorosa, i suoi tiranni, i suoi signori" TV, Longo e Zoppelli, 1931 (BSVV 8G 15).
PRIORATO, Gualdo "Vite et attioni di persoanggi militari e politici" Vienna, Thurnmayer, 1674.
PUJATTI, Giovanni "Prata medioevale". Sacile, Bellavitis, 1918, BS 9D18.
RORARIO, G.B. "Regestario di un archivio purliliense del Seicento" PN, Arti Grafiche, 1929.
SANSOVINO, F. "Dell'origine e d6 fatti delle famiglie illustri d'Italia" VE, Altobello Salicato, 1582.
SCHRODER, Francesco "Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titoli nobili
esistenti nelle provincie venete ..." VE, Alvisopoli, 1830-31.
STEFANI, Federico "Di Guecelletto da Prata e dell'origine dei conti di Porcia e Brugnera" Per nozze
Manfren-Piovesana. VE, Naratovic, 1876, BSVV.
TADEO, Antonio "Galleria panegirica dell'illustrissima et eccellentissima casa di Portia" UD,
Schiratti, 1679.
VALENTE, Attilio "Consigli nobili dei centri minori del Veneto". In "Rivista Araldica, XXXVII
(1939), n. 3. BCVV C9/28.6
VENTURA, Angelo "Nobiltà e popolo nella società veneta del' 400 e del '500". BA, Laterza, 1964.
78
dr.sa Therese Mayer
Gli splendori dei Porcia.
I privilegi di una famiglia principesca
La casa Porcia fu per molti secoli presente nella storia in Italia, Baviera,
Austria e Ungheria. Come cardinali, un quasi papa, vescovi, nunzi, ambasciatori,
governatori, capitani, ministri, generali e studiosi essi influenzarono la vita intellettuale, religiosa e politica del loro tempo. Quando il conte Giovanni Ferdinando
divenne principe, la famiglia Porcia raggiunse l'apice del suo potere nel Sacro
Romano Impero.
Alla nascita di Giovanni Ferdinando a Venezia, nell'anno 1605, il ramo
cosiddetto austriaco era già da due generazioni al servizio degli Asburgo. I meriti
dei suoi antenati furono utili al giovane Giovanni Ferdinando di Porcia. Fu educato
assieme a un giovane principe asburgico, il futuro imperatore Ferdinando III, che
regnò dal 1637 al 1657. Divideva con lui non soltanto le lezioni ma anche lo sport
e il gioco e da ciò la sua carriera fu facilitata. Dall'infanzia in comune nacque
l'affetto e la grande benevolenza che l'imperatore ebbe per tutta la vita verso
Giovanni Ferdinando, ricambiata da una fedele devozione per gli Asburgo.
Nel 16521 'imperatore Ferdinando III affidò l'educazione di suo figlio, allora
12enne, al conte Giovanni Ferdinando.
Come aio, cioè educatore di un arciduca alla corte imperiale, egli ebbe un
grande successo, tanto che l'arciduca Leopoldo anche da Imperatore continuò a
provare un profondo affetto per l'antico maestro, rafforzato dal comune amore per
la musica, che nessun intrigo poté scuotere.
Quando Leopoldo, dopo la morte del padre e dopo difficili trattative, ottenne
il titolo di imperatore il conte Porcia raggiunse una posizione privilegiata accanto
107
G10:f[RDINANOO DEL S,RlPRINCIPE,
DI PoRTIA /
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MAGGIORDOMO
MAGGIORE
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LEOPOLDOCESARE'
A,P.locm,/et.,
108
al trono imperiale.
Presto divenne primo ministro, "Prinzipalminister" come lo si chiamava
allora e Obersthofmeister, cioè gran maestro di corte. Ma l'imperatore diede tante
altre prove della sua benevolenza al conte Porcia. Il 17 febbraio 1662 lo elevò al
rango di principe: certamente un grande, anche se costoso, onore!
Un principe doveva spendere per questo titolo la considerevole somma di
18.500 fiorini. Solo il ministro competente, per es., riceveva un "dono" di 5.000
fiorini e, come tutti sappiamo, queste usanze sono rimaste. Ma al rango del neo
nominato principe non corrispondeva un'adeguata proprietà terriera nè nell 'impero, nè nei paesi ereditari (Erblaender). Appena si offrì l'occasione di rimediare a
questa mancanza, il principe Giovanni Ferdinando acquistò il 30 aprile 1662,
nell'alta Carinzia, per 370.000 fiorini l'antica contea di Ortenburg, esistente da
mezzo millennio, con capoluogo Spittal. .
Il castello di Spittal, considerato dagli storici dell'arte il più bel castello
rinascimentale a nord dell'Italia, divenne già ali 'inizio del XVIII secolo la residenza dei principi Porcia e conti regnanti di Ortenburg.
La denominazione di "conti regnanti" (regierende Grafen) significava che
essi non erano solo conti di nome, ma esercitavano realmente le funzioni di governo
nella contea di Ortenburg e tutto ciò fino al 1848, anno della rivoluzione. In pratica
però i principi demandavano l'esercizio delle loro mansioni a dei sostituti che erano
detti "Vicedomini".
Ma con questo i favori imperiali non erano assolutamente esauriti. Accanto
alle alte cariche e alle donazioni il principe Porcia ricevette, per sé e per i suoi
discendenti, una serie di diritti imperiali speciali o privilegi che, nel loro insieme,
furono chiamati "gli splendori dei Porcia".
Gli Asburgo di quell'epoca si dibattevano costantemente in mezzo a difficoltà
finanziarie. Le sole tasse non bastavano a mantenere il complesso apparato della
loro politica. Pertanto, se l'imperatore, come nel nostro caso, desiderava onorare
e ricompensare il principe Porcia, questo veniva fatto con la concessione dei
privilegi appena menzionati dai quali si potevano ricavare redditi in contanti.
Gli "splendori dei Porcia" sono il vero argomento di questa relazione.
A ragione si sosteneva che l'imperatore avesse coperto il principe Giovanni
Ferdinando di privilegi, prove tangibili della sua grazia. Infatti il loro numero é così
grande che non é assolutamente possibile elencarli tutti. Non ci resta altro che fare
una scelta.
Tra i tanti favori la linea principesca dei Porcia ricevette dall'imperatore il
diritto di coniare monete d'argento e d'oro e di erigere una zecca. I principi
coniarono una sola moneta d'oro e non eressero mai una zecca a Spittal.
In quell'occasione l'imperatore Leopoldo confermò e ampliò i privilegi già
109
Diploma di Principe del Sacro Romano Impero per Giovanni Ferdinando di Porcia
(parte iniziale e finale, con la firma dell'imperatore).
110
concessi dall'imperatore Carlo IV, nel XIV secolo, ai Porcia quali "conti palatini".
Essi consistevano in diversi diritti, avevano grande importanza sociale e rappresentavano, inoltre, una fonte inesauribile di guadagno. Vediamo allora quali erano
questi diritti e come incisero sulla vita della comunità.
Per potersi sposare in molte parti dell'Austria, fino al XX secolo, serviva il
consenso delle autorità. Queste però concedevano il cosiddetto "Ehekonsens"
consenso matrimoniale, solamente quando il reddito della futura famiglia era
assicurato. Chi non poteva mantenersi rimaneva escluso. In Carinzia il numero dei
celibi era molto alto, l'amore fuori del matrimonio proibito e perseguitato dalla
legge. Dato che per molti il matrimonio e l'amore legale erano irraggiungibili, non
era possibile impedire le relazioni extraconiugali. Di conseguenza nasceva un
numero incredibile di bambini illegittimi, specialmente in Carinzia, i quali, per
questa grave tara dell'epoca, restavano esclusi da diversi mestieri, ad esempio
quelli artigianali e le città negavano loro la cittadinanza. Il principe Porcia aveva
la facoltà di legittimare i bastardi e naturalmente questi erano pronti a pagare
qualsiasi somma, compatibile con le loro possibilità, in quanto la legittimazione
eliminava tutte le restrizioni alle quali i figli naturali erano soggetti.
Inoltre il principe Porcia aveva il diritto di nominare i maestri, i notai, i tutori
e incoronare poeti. Pare che i principi non abbiano mai fatto uso di quest'ultimo
diritto, dato che a Spittal non si sa di un solo caso di incoronazione di un poeta.
Evidentemente o non c'erano poeti oppure il principe non aveva voglia di
incoronarli.
La parte più importante e senz'altro la più redditizia, era il diritto dei principi
di Porcia di creare nobili, elevando a loro discrezione e con pompa magna, borghesi
allo stato nobiliare. Questi cavalieri avevano il diritto di portare vesti e catene d'oro,
erano pertanto parificati a quelli nominati dall'imperatore. La nobiltà Porcia,
oppure della contea di Ortenburg come veniva chiamata, era valida in tutto il Sacro
Romano Impero. Dato che al contrario dei borghesi la classe nobiliare aveva alcuni
privilegi molto utili, l'aspirazione ad elevarsi verso questo stato sociale era sempre
presente. I principi Porcia fecero grande uso del loro diritto e molti nobili carinziani
ricevettero da loro il proprio diploma di nobiltà.
Cosa sarebbe una posizione di prestigio senza le insegne visibili della propria
magnificenza? Perciò l'imperatore Leopoldo conferì al principe Giovanni Ferdinando e ai suoi discendenti il diritto di usare il tamburo dell'armata, in ogni
occasione in cui servisse all'onore e al prestigio dei Porcia. Perciò quando un
principe lo desiderava il suo arrivo doveva essere annunciato dal rullo del tamburo
dell'armata.
Un altro privilegio consisteva nel poter concedere l'uso di stemmi ai borghesi,
di affrancare i servi della gleba dalla schiavitù, di permettere l'adozione di figli e
111
figlie e di dichiarare maggiorenni i minorenni.
Il cosiddetto "Ungeld" era una tassa che si doveva pagare su tutte le bevande:
birra, mosto, vino e idromele. Pertanto chiunque alzasse il bicchiere nelle taverne
o nelle trattorie nella contea di Ortenburg oppure in altre proprietà dei Porcia per
spegnere la propria sete, beveva anche alla salute del tesoro principesco.
L'imperatore diede ai principi Porcia il diritto di unire al loro nome quello di
tutti i loro possedimenti presenti e futuri. La conseguenza fu, che come per gli
Asburgo, nei loro atti ufficiali non c'era più posto per tutti i titoli. L'intitolazione
era pressappoco questa: principe imperiale di Porcia, conte principesco di Tettensee e Mitterburg, conte di Brugnera, conte regnante di Ortenburg, signore di
Flaschberg, Prem, Senosetsch (Senosecchia) e così via.
Sin dall'antichità la Carinzia era famosa per la sua ricchezza di metalli
preziosi. Quando l'imperatore Leopoldo donò al principe Giovanni Ferdinando il
"Bergregal" o Yus Minerarum, l'apice di questa prosperità montanara era ormai
passato, il diritto di estrarre oro, argento, piombo e altri metalli rappresentava si un
grande onore, ma non portava più guadagni eccezionali.
Un particolare privilegio dei Porcia, sempre concesso dall'imperatore Leopoldo, era il permesso, per ogni membro della famiglia principesca, di potersi
stabilire in tutte le città del regno ovunque lo desiderassero e di essere esenti dalle
tasse ivi in uso. Questo privilegio era valido persino quando la città era in conflitto
con l'imperatore.
Per concedere alla famiglia Porcia in tutto l'impero la sua particolarissima
protezione, l'imperatore le donava un privilegio straordinario, chiamato "salvaguardia". Al principe Porcia era permesso di mettere sulle sue residenze, case e
fattorie in caso di guerra o sommossa, l'aquila imperiale e la scritta "sai vaguardia".
Con questo la famiglia e le sue proprietà passavano sotto la protezione immediata
del sovrano. Era come se l'imperatore in persona stendesse la mano protettrice sui
Porcia. Chi violava tale privilegio si assumeva una grave colpa e si attirava l'ira
dell'imperatore. La punizione in tali casi risultava notevolmente pesante. Il
responsabile doveva pagare un'ammenda di 200 marchi in oro puro pari a 56 kg.
Inoltre il sovrano esentava i Porcia da tutte le tasse di dogane, pedaggi su strade e
ponti.
L'amministrazione della bassa e alta giustizia, quest'ultima detta anche
giustizia di sangue che comprendeva il diritto di torturare l'imputato, di infliggere
la condanna a morte e di eseguirla, rappresentava un diritto molto ambito:
l'imperatore Leopoldo diede al principe Giovanni Ferdinando anche questo privilegio che gli permetteva di erigere patiboli nelle sue città, borghi, paesi e castelli,
e di amministrare la giustizia secondo le leggi del Sacro Romano Impero.
In tutti i tempi ci furono uomini in fuga e in cerca di protezione. Si dovevano
112
perciò creare istituzioni che tutelassero colpevoli e innocenti dalla furia del popolo.
Era dovere dei regnanti proteggere gli innocenti e infliggere le giuste pene ai
colpevoli. A questo serviva il diritto d'asilo. Naturalmente i Porcia ricevettero
questo diritto in tutte le loro case. Erano esclusi da questo diritto solo gli omicidi
volontari. Per un anno le autorità non potevano toccarli ma, in seguito, essi le
dovevano essere consegnati.
Un ulteriore privilegio, che oggi invece rivendica lo stato, concedeva al
principe Porcia il diritto alle proprietà dei defunti senza prole o morti senza
testamento.
Per molti secoli gli ebrei furono una minoranza minacciata in Europa ma,
ciononostante, utilizzata per l'economia e il prestito del denaro. Nell'impero essi
erano sotto la protezione dell'imperatore e leggi particolari avrebbero dovuto
assicurarne la sopravvivenza. Questi cosiddetti "Judenprivilegien", privilegi degli
ebrei, erano spesso una spina nell'occhio per molti cristiani, che non potevano o non
volevano riconoscere la ragione di una protezione tanto particolare che rappresentava l'unica garanzia di sopravvivenza per questa minoranza. L'imperatore da un
lato tutelava gli ebrei talvolta, però, conferiva un privilegio che annullava, in certi
domini, la protezione imperiale. Questo diritto così particolare fu conferito dall'imperatore al principe Giovanni Ferdinando. Dato però che nella contea di
Ortenburg, la più grande e importante dei possedimenti dei Porcia, si trovavano
pochissimi ebrei, questo privilegio era poco rilevante ed é stato menzionato solo per
caratterizzare lo spirito dell'epoca.
Una particolare prova del favore imperiale era anche il permesso di far valer
il diritto di usare o non usare tutti questi privilegi, come piacesse al principe.
Nessuno doveva interferire pena l'ammenda di 300 marchi, cioè 84 kg. d'oro
puro. Questa pena eccezionale era forse più che altro una minaccia poiché, in realtà,
era difficilmente applicabile.
Tutti questi privilegi concessi avrebbero dovuto avere validità giuridica
eterna e i principi di Porcia potevano scegliersi personalmente i garanti tra i principi
elettori e principi dell'impero i quali, a loro volta, avevano il dovere di vegliare sugli
"splendori dei Porcia".
Bibliografia
KLA, FAP, Fasz. l/4, 1785 (cioé: Kaemtner Landesarchiv, Familienarchiv Porcia, Faszikel 1/4, 1785.
113
dr.sa Therese Mayer
Il conte Massimiliano di Porcia scrive la storia dellafamiglia
da un manoscritto finora sconosciuto<1!
A Spittal, sulla Drava, già capoluogo e centro amministrativo della contea di
Ortenburg, nonché residenza dei principi Porcia, si trova in mani private un
manoscritto, finora sconosciuto e non studiato, redatto dal conte Massimiliano di
Porcia<2l. Consta di 109 pagine, rilegate in cuoio, nel formato di 20 per 17 cm., diviso
in diversi capitoli.
Con scrittura elegante e pulita il conte Massimiliano ricordava, in lingua
tedesca, gli eventi più importanti della storia della sua famiglia. Perché, diceva, i
suoi discendenti da quel momento sarebbero vissuti in Baviera e non avrebbero
avuto a disposizione scritti e documenti della storia dei loro antenati, dato che
queste carte al momento della divisione della proprietà tra lui, Massimiliano, e suo
fratello il conte Ferdinando Guido, erano rimaste in possesso di quest'ultimo. In
quell'epoca di guerre<3l, non era possibile avere copie dei documenti di famiglia e
poiché i suoi discendenti avrebbero saputo ben poco dei loro antenati egli avrebbe
annotato il necessario e quanto degno di nota nella storia dei conti di Porcia e
Brugnera. In Baviera i Porcia erano considerati stranieri, perciò era particolarmente
importante il poter fare riferimento a una nobile discendenza. Inoltre, tra il ramo
bavarese e quello italiano della famiglia, esistevano patti ereditari che potevano
essere fatti valere dai discendenti di Massimiliano solo se questi fossero stati a
conoscenza dei rapporti di famiglia. Per assicurare i diritti e le pretese di eredità dei
suoi discendenti, in futuro, il conte Massimiliano incominciò le sue annotazioni
nell'anno 1647. L'ultima nota é del 19 maggio 1678.
Questo manoscritto contiene, inoltre, artistiche illustrazioni sullo sviluppo
115
dello stemma gigliato dei Porcia dalle origini fino al XVII secolo.
Nell'anno 1785 queste annotazioni devono esser state in possesso del principe
Porcia a Spittal, perché la vigilia di Natale di quell'anno il principe Francesco
Serafino aggiunse la seguente affermazione: "Verflucht sejn der yenige, der das
Recht der Wittwen und Weisen verkehrt"<4J"maledetto sia, chi sovverte il diritto di
vedove e orfani". Non é stato possibile chiarire come questo manoscritto sia
arrivato, dall'archivio di famiglia, in mani private.
Chi era dunque questo conte Massimiliano e come é giunto a possedere vari
domini in Baviera?
Il conte Alfonso di Porcia, fratello del famoso nunzio papale Gerolamo e padre
del conte Massimiliano, in tenera età arrivò alla corte del duca Guglielmo di Baviera
( 1579-1598) e divenne compagno di giochi e di studi del duca Massimiliano ( 15981651 ), il futuro primo principe elettore della Baviera. Dopo il solito "grand tour"
e una permanenza a Roma, Alfonso tornò alla corte bavarese e nel 1600 sposò
Elisabetta contessa Gazzoldo, nata Viehhauser che gli portò in dote le signorie di
Lauterbach (comune di Landshut), Horneck (comune di Kehlheim) e Meilenhofen
(città di Mainburg)<6>.
Quando il conte Alfonso morì a Venezia nel 1621, lasciò due figli: Massimiliano, autore del manoscritto qui trattato, Ferdinando Guido e la figlia Elisabetta.
I due figli all'inizio rimasero con diversi incarichi alla corte del principe elettore a
Colonia e alla corte ducale di Baviera. In seguito il conte Ferdinando Guido, stanco
della vita di corte, decise di tornare nelle sue proprietà in Friuli, mentre Massimiliano restò a Monaco e fu il fondatore della linea bavarese, il primo Porcia che
decise di stabilirsi in Germania.
Il conte Massimiliano intitolò le sue annotazioni: "Annotazioni di diversa
importanza che io , Massimiliano conte di Porcia scrivo di mio pugno perché
m'importa molto, di lasciarle ai miei cari figli e discendenti per il loro bene"
(Unterschiedliche Wichtige Verzaichnussen, welche ich, mazimilian graf von und
zu Porcia ... weilen viel dara gelegen, mit eigener Hand, mainen li e ben Kindern und
Nachkommen zu Gutten hinterlassen wolle). Iniziato anno domini 1647.
Le prime 14 pagine contengono il contratto di divisione tra i fratelli Ferdinando Guido e Massimiliano, stipulato il 25 febbraio del 1636 nel palazzo di Gaiarine
(PN). Tutta la proprietà dei loro genitori venne divisa in modo che Ferdinando
Guido ricevesse i possessi italiani e Massimiliano i beni bavaresi dell'eredità di sua
madre<7l. Le conseguenze disastrose della guerra dei trent'anni, castelli bruciati,
paesi abbandonati e campagne devastate, gli vennero pagate in contanti.
La parte principale del manoscritto di Massimiliano, da pg. 18 a pg. 53,
racconta la storia dei Porcia basandosi su documenti ancora esistenti e fonti scritte.
Ma, come il conte Massimiliano avverte criticamente, poggia anche sulle descri-
116
zioni di autori di incerta veridicità (unterschiedlich wahrhafter Autoren).
Ciò nonostante questo manoscritto offre una grande quantità di notizie per la
storia del casato dei Porcia e la storia del Friuli, nelle cui vicende ebbero una parte
importante. Inoltre dettagli di tempi remoti e di interesse storico culturale, come ad
esempio la precedenza dei Porcia nei duelli " ... come sono in auge in questo paese
secondo l'uso antico dei Longobardi" " ... wie sie in diesemland nach altem Vrauch
der Langobarden in Schwung sind"<8>,fanno delle annotazioni di Massimiliano un
elemento importante nella storiografia friulana.
L'esistenza della linea Brazzaia (Brazzalea, Brazzaglia) Porcia procurò
grande pena al conte Massimiliano< 8). É vero che erano Porcia, facevano parte del
colonnello di sotto, dato che discendevano da un ecclesiastico di nome Brazzaia,
non erano discendenti legittimi bensì dei "bastardi". Questo ecclesiastico Porcia,
sul letto di morte, avrebbe sposato la sua concubina e legittimato due dei suoi figli.
La repubblica di Venezia, come signoria dominante, più tardi avrebbe riconosciuto
questo matrimonio e concesso ai figli di Brazzaia (o Brazzalea, Brazzaglia) la sua
protezione. Il conte Massimiliano però non dice quando questa linea familiare ebbe
origine, anche se nelle sue annotazioni sulla prima metà del XIV secolo il nome
Brazzaia compare due volte<9). Nell'anno 1659 i loro discendenti vivevano ancora
a Brugnera.
Una delle parti più interessanti del manoscritto di Massimiliano é senz'altro
la descrizione degli stemmi dei Porcia e le loro variazioni con l'indicazione di dove
erano posti nel XVII secolo.
É bene precisare che contrariamente ali' opinione sostenuta da Massimiliano
gli stemmi sono stati adottati solamente nella prima metà del XII secolo, in seguito
alle crociate 00 ).
Nella figura 1 si vedono lo stemma di Clodoveo re dei Sicambri e, accanto,
l'antico stemma dei re di Francia.
Nella figura 2 sono rappresentati gli stemmi più antichi dei Porcia "Arma
antiqua F amiliae".
Negli anni 1665 e 1670 questi due stemmi si trovavano nel più antico palazzo
dei Porcia, allora abitato dal conte Ottavio sopra un piccolo porticato sul muro: a
destra d'azzurro a tre gigli d'oro col capo del secondo, come lo avevano i re di
Francia; a sinistra un altro stemma, di rosso a tre gigli d'argento col capo del
secondo. Sopra era scritto: Arma antiquafamilia r12 >.
La figura 3 presenta due stemmi con corona a 5 punte e i sei gigli. I Porcia li
usarono dal tardo medioevo sino ai tempi del conte Massimiliano nel XVII secolo.
Secondo le note di Massimiliano questi due stemmi, ai suoi tempi, si
trovavano nella chiesa di S. Giorgio a Porcia: lo stemma d'azzurro a 6 gigli d'oro,
3 ,2, 1 col capo del secondo dalla parte del V angelo dell'altare maggiore, lo stemma
117
di rosso a 6 gigli d'argento 3,2, 1 col capo del secondo dal lato epistolare. Il principe
Giovanni Ferdinando preferì lo stemma azzurro con i gigli d'oro<13>,In forma
leggermente diversa esso é stato applicato su tutte le residenze principesche a
Vienna, Budapest e Monaco e sugli edifici amministrativi in Carinzia e Carniola.
Nella figura 4 compaiono due stemmi: d'_azzurro al pellicano e di rosso
all'unicorno.
Essi venivano usati nel XVII secolo in alternanza con quelli della figura 3.
Nella seconda metà del XVII secolo ornavano la volta del coro su tutti e due
i lati dell'altare della chiesa di San Giorgio a Porcia<14>.
La figura 5 ci mostra uno stemma d'azzurro al pellicano e due braccia e uno
di rosso all'unicorno e angelo. Motto del casato: Fiat pax in virtute tua, et
abundantia in turribus tuis.
Lo stemma azzurro e oro ornava, in quell'epoca, il palazzo più antico a Porcia,
abitato dal conte Ferdinando Guido. A quei tempi parecchi stemmi simili furono
dipinti sulle case e sui palazzi dei Porcia. Il conte Massimiliano però avvertiva i suoi
discendenti che il principe Giovanni Ferdinando preferiva sempre la versione più
semplice perché era la più antica (vedi figura 3).
Figura 6: Grande stemma del conte Girolamo di Porcia, vescovo di Adria e
nunzio apostolico in Germania.
Il conte Massimiliano deve essere stato molto impressionato dalla ricchezza
di questo stemma perché lo usò per un breve periodo. Quando però si accorse che
i parenti friulani non lo facevano mettere nè sulle loro case, nè nella chiesa di San
Giorgio, anche lui ne abbandonò l'uso<16>, "perché gli stemmi erano il segno
visibile, comune e ereditario, che univa una famiglia e la distingueva dalle altre".
L'ultima parte del manoscritto contiene in 17 pagine un elenco delle proprietà
in Baviera, acquisite da Massimiliano dopo la divisione dell'eredità patema e
materna nell'anno 163607>.Ne risulta che egli riuscì a ingrandire di parecchio la sua
proprietà e il conseguente patrimonio.
Il ramo bavarese di Massimiliano non durò a lungo. Con i suoi discendenti la
famiglia si estinse e i possedimenti in Baviera passarono a suo nipote Girolamo
Ascanio, figlio di suo fratello Ferdinando Guido il quale, nell'anno 1698, ricevette
anche l'immensa eredità della linea principesca a Vienna, Tettensee e in Carinzia
e Carniola, che passò subito a suo figlio Annibale Alfonso. Questi scelse Spittal
come sua residenza all'inizio del XVIII secolo.
118
Bibliografia e Note
1) La linea austriaca dei Porcia scrisse il suo nome principalmente con la "t" cioè Portia. Da questo
risulta la pronuncia ancor oggi usuale in Austria "Porzia".
2) Ringrazio moltissimo Herrn Kommerzialrat August Mayer per la cortesia di avermi messo a
disposizione questo manoscritto di Massimiliano.
3) 1618-1648 Guerra dei trent'anni che colpì anche la Baviera con estrema durezza.
4) Manoscritto di Massimiliano, pg. 53.
5) Le seguenti rappresentazioni sono prese dal manoscritto di Massimiliano.
6) Lieb Adolf Anton, namhafte lnhaber der Hofmarken Adlhausen u. Oberlauterbach bei Rottenburg,
in: Derhandlungen des Hist. Vereins f. Niederbayem 62 (1929 pg.206).
7) Questo contratto di spartizione si trova nell'archivio di famiglia dei Porcia e in quello regionale
della Carinzia.
8) Le seguenti pagine del manoscritto di Massimiliano si riferiscono ai Brazzaia: 8,14v,15v, 21v, 27,
52.
9) Manoscritto di Massimiliano pg. 27v: pare che nel 1320 un conte Brazzaia di Porcia sia stato
insediato come governatore al di là del Tagliamento. Pg. 21v: nel 1341 un conte Guido di Porcia,
vescovo di Concordia, é chiamato figlio del conte Brazzaia di Porcia.
1O) Buben Milan, Heraldik, pg. 9 ff: l'usanza di decorare con segni vari lo scudo dei guerrieri é però
molto più vecchia della raffigurazione degli stemmi.
11) Manoscritto di Massimiliano pg. 43v.
12) idem pg. 47
13) idem pg. 48v
14) idem pg. 48v
15) idem pg. 49f
16) idem pg.50f
17) questo elenco dei beni di 17 pagine non é numerato.
119
Doimo Frangipane
Bartolomeo di Porcia visitatore apostolico
Questo giovane prelato, morto anzitempo, affidò la sua fama alla solida
cultura che lo distinse e alla raffinata arte diplomatica che esercitò presso le corti
di Germania e di Praga. Ma la memoria che se ne ha in Friuli é affidata al suo operato
come Visitatore Apostolico nel 1570. Ciò perché attraverso i precisi e dettagliati
verbali della visita, oggi abbiamo una conoscenza altrimenti insperata, di situazioni
e luoghi di una cospicua parte del Friuli.
É opportuno esporre, sia pur brevemente, le ragioni che posero in essere
questa visita destinata a suscitare tanto interesse nei cultori di storia locale.
In seguito alla dieta di Worms del 1521, il Friuli si trovò diviso fra Venezia
e l'Arciduca d'Austria, ma la giurisdiione spirituale restava pur sempre al Patriarca
di Aquileia. Va chiarito che, dalla fine del dominio temporale, i patriarchi furono
sempre veneziani, anche se la maggior parte della diocesi patriarcale era in
territorio soggetto all'Arciduca d'Austria e che fra di essi ed il governo arciducale
non correva buon sangue, com'era inevitabile, nè il patriarca si recava quindi a
visitare la parte arciducale della sua diocesi.
Per por rimedio a questa situazione ed evitare altre possibilità meno gradite 0 l,
il 21 dicembre 1574, il patriarca Giovanni Grimani istituì un arcidiaconato da cui
dipendessero le parrocchie di lingua italiana situate in terra arciducale, meno
Aquileia con il suo territorio.
Il provvedimento era opportuno poiché il clero del tempo troppe volte lasciava
a desiderare sia come istruzione che come moralità. A questo proposito, citerò
come esempio, quanto dice Ferruccio Tassin nel suo studio sulla visita alla pieve
121
di Romans<2>·
"Per il pievano arriva la ingiunzione, durissima e senza mezzi termini, di
recedere dal concubinato (che aveva ammesso) entro sei giorni, in virtù di santa
obbedienza e sotto pena di perdere la pieve e i benefici annessi. Deve mandar via
di casa e dalla pieve Lenca, la sua concubina e in futuro non dovrà tenere in casa,
o mantenere fuori, donna che possa dare adito a sospetti". Ed ancora: "Entro sei
giorni il cappellano dovrà mandare fuori di casa e dalla pieve la sua concubina,
sotto pena di sospensione «a divinis»".
Nel 1563 si era concluso il Concilio di Trento ed ora bisognava attuarne le
prescrizioni. Uno dei modi per tentare di rimediare alle manchevolezze del clero era
quello di inviare, da parte del papa, un visitatore detto, appunto, visitatore
apostolico.
Pio V affidò l'incarico, per la parte del patriarcato sita in territorio arciducale,
al giovane Bartolomeo di Porcia, della storica famiglia feudale friulana. Egli era
abate di Moggio, succeduto al cardinale Carlo Borromeo, con cui era in rapporti di
familiarità, ed era bene accetto alla corte arciducale.
Il visitatore iniziò l' 11 febbraio 1570 ad Aquileia, con un seguito di nove
persone, tra cui il teologo Jacopo Rudo ed il notaio e cancelliere Agostino V arisco
e finì le visite alla fine di maggio. "Da Cormons, il 3 giugno, inviò una circolare
agli ecclesiastici ed in seguito raccolse in capitoli alcune istruzioni che dovevano
servire di norma a tutti gli ecclesiastici e le fece pubblicare dal banditore sulla
piazza del prato a Gorizid 31."
Il visitatore apostolico, come si disse, lasciò un'ampia relazione di queste sue
visite, scritta dal suo notaio, che si conserva alla Biblioteca Civica di Udine,
(manoscritto 1039) fonte preziosa di conoscenza.
Prima di riportare un'esemplificazione di come avvenissero queste visite, é
opportuno analizzare il breve pontificio di nomina che contiene i dettami per esse<4>.
Il documento, che risale al 3 settembre 1569, inizia così:
"Dilecto /ilio Bartholomeo ex Comitibus Purliliae Commendatario Monasterii Sancti Galli foci Modii Aquileiensis Diocesis ordinis Sancti Benedicti, Pius
Papa V'', e a margine, "F acultas visitandi et reformandi Ecclesiam Aquileiensem
eiusque Capitulum et Canonicos ac omnes alias Ecclesias et personas Ecclesiasticas".
In esso, il papa manifesta il suo desiderio affinché venga debitamente visitata
la Chiesa d'Aquileia, con il suo Capitolo, i Canonici ed i Chierici ed ordina che la
visita sia estesa alle Chiese Collegiate e Parrocchiali, agli Ecclesiastici della città
e diocesi d'Aquileia e che tutti siano riportati ad una migliore e fruttuosa vita e
specialmente alla disciplina dei tempi, allora presenti. Confida moltissimo nella
probità, prudenza e zelo religioso del Visitatore che agirà" ..ut tamquam noster et
122
Apostolicae
Sedis Delegatus ....".
Segue l'elenco di chi e che cosa sarà oggetto di visita e cioè, come già sopra
indicato, la chiesa d'Aquileia con il suo Capitolo, i Canonici ed i Chierici, tutte le
altre chiese Collegiate e Parrocchiali, e le Cappellanie, i Benefici di ogni tipo ed
anche tutti gli Ecclesiastici come pure tutti i monasteri di ogni ordine, sia masc;:hili
che femminili, ospedali ed altri luoghi pii. Il Visitatore dovrà "Tam in capitibus
quam in membris reformare, errata corrigere, ac deformata in melius reponere,
errantes et delinquentes repertos inobedientisque et rebellos quoscumque iuxta
eorum demerita, et alias secundum Canonicas Sanctiones, carcerare, punire et
castigare ..." e contro di loro e specialmente nei confronti dei preposti alla cura
d'anime, dovrà esercitare la Giurisdizione, far osservare gli Statuti e gli Ordinamenti e far eseguire i decreti del Concilio di Trento, e potrà imporre anche pene
pecuniarie a suo arbitrio ed anche, in caso di bisogno, invocare l'aiuto del braccio
secolare. A facilitargli l'opera, il Pontefice concede al suo Visitatore di avvalersi
ampiamente dell'autorità apostolica.
Il papa ordina infine che venga redatta per mano di notaio la relazione della
visita, " .. fide/iter redigifacere ..", e chiude con la frase augurale" ... ad maiora
vocari negocia merito valeas."
Per renderci conto di come venisse messa in pratica questa <1acultasvisitandi», vediamo cosa dice la relazione, ordinata dal papa e fatta puntualmente redigere
dal Visitatore, a proposito della visita a Joannis<5>.
"Illustris et Reverendus Dominus Visitator discedens e loco visci equitavit ad
villdm Joanniz et visitavit Ecclesiam Sanctae Agnetis ipsius villae. In qua Missam
a capellano celebratam audivit deinde visitando statum ipsius Ecclesiae describi
mandavit ut infra describitur".
E ci appare lo stato della chiesa.
Nel presbiterio l' altar maggiore é consacrato a S. Agnese, con una bellissima
pala lignea scolpita e completamente dorata in cui c'é il tabernacolo del SS.
Sacramento, internamente dipinto di rosso e all'esterno ben dorato con serratura e
chiave. In esso si conserva il sacro corpo di Cristo in una pisside d' oricalco<6>ben
conservata con un bel velo di seta e si cambia ogni quindici giorni<7>.
In questa villa non si fa la processione del SS. Sacramento perché quel giorno
tutti sono tenuti ad andare alla pieve<8>.
Il battistero di pietra, rotondo, é situato in mezzo alla chiesa ed é ricoperto
d' assi, munito di serratura e chiave e all'interno c 'é il vaso in terracotta per versare
l'acqua; il libro dei battezzati é ben tenuto<9>.Il sacrario, in un angolo della chiesa,
é troppo grande.
Il pievano, interrogato, risponde che rinnova l'acqua battesimale una volta
123
all'anno nel tempo pasquale e versa la vecchia nel sacrario.
I tre sacri vasi dorati e congiunti, in oricalco, sono posti nel tabernacolo sopra
l'altare di S. Maria Maddalena.
Sopra l 'altar maggiore ci sono due candelabri di ferro, una croce di bronzo
dorato su piedistallo ligneo, una buona tovaglia, il cuscino con il messale, la tela
cerata, il paliotto in assi dipinte e una predella, limitata, ed un cero del peso di
cinquanta libbre. Turibolo in oricalco senza navicella e cucchiaio. Nell'arco del
presbiterio un grande e bel crocifisso di legno.
Alle pareti della chiesa ci sono due altri altari consacrati di cui uno dedicato
a San Giuseppe con tre statue di legno scolpito, dipinto e dorato. Sull'altare ci sono
due candelieri in ferro, una croce di rame dorato su di un piedistallo di legno, una
tovaglia buona, tela cerata, paliotto di assi dipinte, cuscino con messale buono e
predella nuova; l'altro, (dedicato) a S. Maria Maddalena, con una bella pala lignea
dipinta e dorata e sopra di essa ci sono due candelieri di ferro, una croce di rame
dorato su di un piedistallo di legno, tovaglia decente, cuscino con messale in quarto,
tela cerata, paliotto di assi dipinto e una buona predella con due ceroferari di legno
vecchi.
Campanello per le messe ed altro per l'ostensione del SS. Sacramento ed una
piccola lanterna di bronzo.
Tre calici d'argento, di cui due con la base in rame dorato, con due patene di
rame dorato ed una d'argento dorato, quattro corporali, tre veli e borse per i
corporali.
Cinque paramenti sacerdotali dei quali il primo con la casula stola e manipolo
di damasco rosso, altro in velluto verde senza camice e amitto, il terzo in damasco
verde, il quarto in fustagno bianco e l'ultimo di panno rosso, come pure una pianeta
di fustagno bianco.
Undici cotte buone e trenta tovaglie consunte, tre stendardi logori e un messale
lacero. Tutto ciò si conserva in una sacrestia piccola e umida. La chiesa é ben
coperta, il pavimento livellato e le finestre chiuse da vetri e il cimitero é circondato
e chiuso da muro, ma non sufficientemente alto. Sopra la stessa chiesa ci sono due
buone campane.
Questa la descrizione.
Seguono le "Constituziones", cioè i dettami per le variazioni da apportarsi
nella sopraddetta chiesa alla luce di quanto stabilito dal Concilio di Trento. E cioè:
- il Tabernacolo sia rivestito all'interno con panno di seta fulvo e le sacre
particole siano cambiate ogni otto giorni;
- Si faccia un'altra pisside d'argento dorato per il SS. Sacramento e si porti (la
S. Comunione) ai malati in quella che c'é ora ed il parroco abbia cura affinché si
portino sempre due o più particole, secondo le necessità, di modo che al ritorno in
124
chiesa ne rimanga una nella pisside.
- Venga rimosso il battistero che é posto in mezzo alla chiesa e lo si metta alla
sinistra dell'entrata e lo si munisca di ciborio piramidale con piccole porte, serratura
e chiave, e sia dipinto, con sulla sommità una croce dorata. All'interno ci sia lo
spazio per conservare i fazzoletti e si acquisti un vaso di vetro per versare l'acqua.
- Si demolisca il sacrario e lo si rifaccia nello stesso luogo più piccolo,
ricoperto di assi con serratura e chiave.
- Siano fatti in argento i sacri vasi per gli olii, due, uniti, per il crisma ed i
catecumeni, ed il terzo, separato, per gli infermi, con le iscrizioni distinti.
- Si comprino ql;lattrocandelabri in oricalco per l'Altare Maggiore oltre ad un
paliotto di cuoio dorato e si coprano le tovaglie dello stesso altare con tela verde
affinché si conservino pulite.
- I confratelli di S. Giuseppe e di S. Maria Maddalena comperino due
candelieri in oricalco per ciascun altare ed un paliotto di cuoio dorato e siano messe
delle tele verdi sulle tovaglie degli altari.
- Si faccia un grande armadio presso la porta della chiesa per conservarvi le
suppellettili con serratura e chiave.
- Si alzi di due piedi il muro attorno al cimitero.
- Si facciano delle custodie per i calici, si procurino due corporali, quattro
purificatori ed un velo di seta.
- Si comperino due borse di seta, una pace dorata e due ceroferari come pure
una navicella in oricalco con il cucchiaio per l'incenso ed una bacinella per
detergere le mani dei sacerdoti durante la celebrazione.
- Si faccia il cero pasquale di sei libbre e chi lo farà più grande paghi in proprio.
- Si comperino due messali nuovi, secondo i decreti del Sacro Concilio
(Tridentino).
- Si faccia il drappo di panno nero, che venga adoperato per i morti con una
croce rossa nel mezzo.
- Nelle processioni i laici procedano distinti dai chierici e le donne dagli
uomini.
Questo per quanto attiene alla chiesa. Ma dal verbale apprendiamo una
quantità di altre notizie. Veniamo a sapere che lo stesso giorno furono chiamati, alla
presenza del Visitatore, il Decano<10> Odorico di Bernardo Zampar, Bertolo Milles,
Michele Causer, Gaspare Choch e Giacomo detto Lignin che furono interrogati,
presente il pievano di Visco, su vari argomenti e le cui risposte si possono
sintetizzare in questo modo:
- nella villa ci sono duecentosettanta anime di comunione<11>;
- la parrocchia é tale da consentire una comoda amministrazione dei sacramenti;
125
- a memoria d'uomo non ci fu nessuna visita;
- il pievano ha per salario lire 16, 1Odi legati. Gli incombono gli obblighi della
amministrazione dei sacramenti, di celebrare la messa in questa chiesa ogni singola
domenica del mese e, ogni due anni, la messa il giorno della Resurrezione del
Salvatore. Si celebrano le messe anche il giorno dei defunti.
Si parla dei redditi della chiesa che vengono amministrati dai due camerari che
vengono eletti il primo giovedì di maggio di ogni anno, nel qual giorno gli anziani
procedono alla revisione della loro amministrazione assieme al Pievano. Poi i
capifamiglia eleggono i nuovi camerari che ricevono le giacenze. Ci sono le
confraternite di San Giuseppe e di S.ta Maria Maddalena.
Ogni anno, il giorno di S. Giuseppe, gli anziani controllano l'amministrazione
di questa confraternita ed i confratelli eleggono i nuovi camerari.
I confratelli usano portare il cadavere del confratello morto alla sepoltura e
fanno celebrare la messa per l'anima sua. Se il morto é povero la sepoltura viene
fatta a spese della confraternita.
La confraternita di S. Maria Maddalena ha settanta confratelli che amministrano come quelli della confraternita di S. Giuseppe.
Durante la messa il pievano tiene il sermone e amministra i Sacramenti sempre
in cotta e stola.
Le ostetriche conoscono la forma del battesimo.
Gaspare Causer, inconfesso, promette di soddisfare i suoi obblighi. Le vigilie
delle quattro "Tempora" vengono osservate come pure il tempo interdetto per le
nozze, ma non si celebrano i matrimoni secondo i decreti del Concilio di Trento.
Non si chiedono dispense matrimoniali.
Il pievano non si allontana dal cimitero prima che il cadavere sia sepolto.
I poveri vengono sepolti gratuitamente ed il parroco non contratta per la
celebrazione del funerale.
Nel corteo funebre laici, chierici, donne e uomini non procedono distintamente.
Anche se riportata in forma incompleta e riassuntiva<I2), la surriportata
relazione semplifica bene lo stile e il contenuto delle singole visite.
É evidente l'importanza di queste elencazioni che testimoniano quali fossero
gli arredi e quali le opere d'arte che ornavano le nostre chiese, opere d'arte
irrimediabilmente perdute, salvo forse rare eccezioni. Bartolomeo di Porcia lasciò
quindi un'opera di indubbio valore, sempre citata dagli studiosi, in cui, oltre alla
descrizione delle chiese e alle prescrizioni ad esse inerenti, compaiono notizie che
interessano la demografia, l'onomastica, la morale, lo stato del clero, la fede, gli usi
e costumi di quell'epoca nei luoghi visitati.
É singolare che di un personaggio tanto importante si sappia piuttosto poco.
126
Eccone le scarne notizie biogafiche.
Nacque probabilmente attorno al 1540, anche se Luigi Frangipane, nella sua
genealogia sulla casata 03 >,pone la data nel 1546, da Gio. Battista e Claudia di
Porcia. Suo prozio Bonifacio era stato protonotario apostolico, cameriere segreto
dei papi Giulio II e Leone X, canonico di Ceneda.
Nel 1566, Bartolomeo successe come abate di Moggio al cardinale Carlo
Borromeo, il futuro S. Carlo. In questa veste "contro di lui sollevaronsi a tumulto
i vassalli del'Abazia perché li defraudava negli antichi loro diritti; perciò,fatto
ricorso al Doge di Venezia ottennero in loro favore a dì 16 marzo 1568 il decreto
con cui ordinava: non fossero dai commessi del'Abazia molestati quei vassalli
negli antichi loro ordini e consuetudini, con obbligo di rilasciare loro tutte quelle
copie di pubbliche scritture di quell'Abazia nelle quali mostrassero aver interessi,
e ciò onde possano mostrare le loro ragioni"0 4>.
Il 3 settembre 1569 fu nominato Visitatore Apostolico, dal pontefice Pio V,
per la parte arciducale del patriarcato d'Aquileia. Nel 1573 fu nunzio apostolico
presso varie corti in Germania e alla corte di Rodolfo II imperatore in Praga ove
morì anzitempo nel 1578 e fu sepolto nella cappella reale.
Francesco di Manzano aggiunge:
"Di questo abate Bartolomeo dei conti Porciglia scrisse elogio Torquato
Tasso nel suo dialogo «It Messaggiero». Fu chiaro per molte illustri Legazioni
sostenute.
Morì in Praga il dì 26 agosto 1578 mentre era nunzio alla corte dell'imperatore Rodolfo Il. Se di più fosse vissuto (38 anni) sarebbe anche salito ali' onore
dellaporpora a cui aveva/o destinato il pontefice Gregorio Xll/" 05 >.
Gio. Francesco Palladio degli Olivi, giureconsulto e patrizio udinese, nella
parte seconda delle sue «Historie della Provincia del Friuli» edite a Udine nel 1660
a pagina 180 così si esprime:
"Anno 1561. Viveva in quel tempo il Cardinale del Titolo di S. Martino nei
Monti Carlo Borromeo milanese, quello che per la sua gran Religione fu descritto
nel numero dei Santi. A questo il Romano Pontefice conferì l' Abbatia di S. Gallo
di Moggio in Friuli essendo vacata per la morte del Cardinale Caraffa antecedente
Abbate.
Rinonciò poi esso Carlo quest' Abbatia a Bartolomeo conte di Porcia del
Friuli, che fu commissario Apostolico nella Diocesi d'Aquileia; che in Gorizia
represse la nascente heresia di Lutero; che poi fu nunzio estraordinario a Prencipi
di Germania; e che infine morì Nuncio appresso ali' Imperatore Rodolfo in tempo
che era già destinato Cardinale;fu suggetto molto letterato."
Torquato Tasso in un suo Dialogo dato alle stampe di lui parla in tal guisa:
"Il conte Bartolomeo di Porcia, di cui non uscì mai il più dotto dagli studii di
127
Padova e di Bologna, nè il più prudente dal Vaticano per reconciliare gli animi dei
Prencipi."
Gio. Giuseppe Capodagli nella sua "Udine illustrata" edita in Udine nel 1665
aggiunge le seguenti notizie:
"Si trattenne buon tempo nella Corte di Roma riverito e amato universalmente
per le sue segnalatissime qualità. Fu di vita, quanto dir si possa, esemplare e fu
dotato di una eloquenza incredibile accompagnato da una grave e bella presenza
di corpo e di volto e continua, ... onde s'aveva certissima speranza di vederlo in
breve decorato della Sagra Porpora Cardinalizia che dal sommo Pontefice
Gregorio XIII Buoncompagni Bolognese gli era già stata dissegnata".
Note
1) P.Paschini: Storia del Friuli pp. 396-397, Udine 1954.
2) F. Tassin: Visite Apostoliche etc. a Romans dal 1570 al 1926, estratto da: Romans, cinque secoli
di vita parrocchiale.
3) P. Paschini: op.cit. pg. 398.
4) Archivio Segreto Vaticano, Secret. Brevi 23.
5) La visita si tenne sabato 1 aprile 1570.
6) Lega di rame e zinco, simile all'ottone.
7) Si intende" le particole".
8) Cioè a Visco.
9) Da notarsi che questa prescrizione del Concilio di Trento era stata adottata subito.
10) Seniore, capo del Comune Rustico.
11) Circa settecento persone.
12) Le notizie non inerenti gli arredi della Chiesa sono tratte da A. Geat: La villa di Joannis, Gorizia
1975.
13) Archivio Frangipane, Joannis, Luigi Frangipane: Genealogia di Prata e Porcia, manoscritto.
14) F. di Manzano: Annali del Friuli, voi. 7, pg. 162, Udine 1879.
15) F. di Manzano: op. cit. pg. 162.
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Il borgo e il castello di Spittal sulla Drava in Carin zia (dal Merian "Topographia
Austriae " 1649).
129
Nerio de Carlo
I possedimenti della Casata di Porcia e Brugnera
in Austria e Germania
"Ignorare ciò che è avvenuto
prima che tu fossi nato,
è come non vivere"
(Cicerone)
Interessanti rapporti tra i Porcia-Brugnera e la Carinzia sono documentati già
nel XII secolorn. Un diploma del 7.9.1178 conferma la donazione al convento
benedettino di Millstatt di un podere di 1700 ettari situato a Fontanafredda. Nel
1449 tutte le proprietà carinziane del convento friulano di Moggio, pure benedettino, furono vendute a quello di Millstatt e quest'ultimo cedette i propri beni
posseduti in Friuli, tra i quali San Foca, al conte Bianchino di Porcia.
Oltre due secoli più tardi il prestigio della casata si affermò in Austria.
Giovanni Ferdinando di Porcia (1602-1665) ottenne nel 1657 l'onorificenza del
Toson d'oro ed il 17.2.1662 fu nominato principe con un decreto di 15 pagine
emesso motu proprio dall'imperatore Leopoldo. Suo figlio Giovanni Carlo divenne
nel 1666 capo del governo carinziano. L'acquisizione di una contea in Austria era
dunque divenuta un obbligo connesso con la nuova dignità e con la fondazione del
ramo austriaco dei Porcia, che durò 256 anni.
La contea di Ortenburg rappresentò una buona occasione: l'ultimo titolare, il
conte Giorgio di Salamanca, era morto 1'8.12.1639. Poichè non c'erano eredi, la
contea di Ortenburg ritornò all'imperatore. Questi la vendette nel 1640 ai baroni
Widmann, grandi commercianti in Venezia, per 300.000 fiorini. Nel settembre
131
1661 morì anche il cardinale Christoph Widmann-Ortenburg, che fu sepolto nella
chiesa di San Marco a Roma, e Giovanni Ferdinando di Porcia rilevò dai parenti di
quest'ultimo la contea omonima: .per 365.000 fiorini in data 8.X.1662. Per la
precisione i possedimenti che ne facevano parte erano i seguenti: Oberdrauburg,
Winklern, Mauthen, Spittal, Hermagor ed altri beni minori. Quanto alla somma
pagata, questa corrispondeva, a puro titolo indicativo, ai seguenti parametri: circa
mezzo milione di vitelli macellati, circa 7 .100.000 polli, 37 milioni di uova, 44
milioni di salsicce, 37 milioni di litri di birra, 37 milioni di tegole, 1.500 aratri, 16
milioni di anni di lavoro di un operaio specializzato (10 ore di lavoro al giorno).
Saranno in questa esposizione considerati i complessi di Spittal, Vienna,
Monaco di Baviera, Karlstadt (Karlovac) e Primano (Prem).
Il castello di Spittal
La costruzione, oggi nota come Castello Porcia, fu edificata tra il 1533 ed il
1539 per volontà di Gabriele di Salamanca, ministro delle finanze del re Ferdinando
I, che dal 1524 era anche signore di Ortenburg ed intendeva offrire alla sua seconda
moglie Elisabetta, diciassettenne figlia del margravio del Baden, una degna
residenza realizzata secondo la nuova concezione rinascimentale.
Dopo qualche tempo dall'acquisizione della contea da parte dei Porcia, e
precisamente negli anni 1667-68, il terzo principe Giovanni Francesco Antonio
dispose notevoli restauri e vi fece aggiungere lo stemma con le parole: PORTIA
AUT PORCIA EX SANGUINE REGUMTROIANORUM ET SICAMBRORUM
PROGENITUS. - A tale scritta si sarebbe ispirato Adamo Matteo de Sukovitz nel
1716 per la redazione della geneaologia dedicata al quinto principe Annibale
Alfonso, che appunto inizia con le medesime parole. Anche il nome Ascanio,
aggiunto a quello del quarto principe Gerolamo, doveva avere la medesima
funzione.
Il 29.4.1797 il castello subì un incendio e riportò un danno di ben 70.000
fiorini. Il tredicesimo principe Ferdinando fece eseguire gli affreschi esterni,
attualmente poco riconoscibili. Sempre a lui si deve il trasferimento nella sala del
primo piano di un soffitto a cassettoni proveniente dal convento di Millstatt. Il
fregio rinascimentale ed il camino in ceramica furono invece fatti venire dall'Italia.
Nel giardino c'è la fontana del XVII secolo, che prima si trovava al centro del
cortile. Quest'ultimo richiama elementi toscaneggianti per i suoi ordini di arcate
semicircolari ed anche esempi lombardi.
La costruzione è un palazzo e non un castello vero e proprio. Già Gabriele di
Salamanca lo considerava tale, se nel suo testamento ricorre un termine che traduce
132
PaCa.is Porcia in Wien
Palazzo Porcia a Vienna, allo sbocco della Herrengasse sulla piazza del Frejung,
costruito per la famiglia Salamanca, tesorieri di Carlo V imperatore, nel secolo
XVI e acquistato dai Porcia assieme a Spittalfu in loro possesso fino alla metà del
XVIII secolo: attualmente è sede del'Archivio del Ministero Austriaco delle
Finanze.
133
il significato veneziano di "Cà". Ne sono conferma le quattro trifore con balconate
del primo e secondo piano, caratterizzate con piccoli leoni. La suddivisione della
facciata mediante pilastri accenna nuovamente all'architettura veneta, eventualmente influenzata da quella lombarda.
Degne di nota sono le decorazio.ni in pietr~ ed in stucco. Tra le più significative
è doveroso ricordare le Meduse, Plutone con due cani infernali, Ercole e il leone,
Cronos con la falce, Marte, la Virtù, Giuditta, ed altri soggetti mitologici.
Determinante per la dimensione genealogico-storica della contea di Ortenburg è la sala degli stemmi. La serie di 33 blasoni fu commissionata al pittore Martin
Ladinig dal 13° principe Ferdinando alla fine del secolo scorso.
IL 22.4.1918 l'edificio fu venduto all'industriale serico di Prata barone
Klinger von Klongerstorff< 2>,dal quale l'Amministrazione comunale di Spittal lo
acquistò per 160.000 scellini. Ora è adibito a museo.
Il palazzo di Vienna
La costruzione sorge nella Herrengasse e fu acquistata nel 1666 dal secondo
principe Giovanni Carlo di Porcia un anno prima della sua morte.
Il palazzo è quasi soffocato dalle case vicine. La facciata è stata rifatta nel
1750. I due cortili hanno arcate rinascimentali sovrapposte, colonne toscane,
decorazioni con motivi riproducenti strumenti musicali, due stemmi nella balaustrata.
Nel 1773 il palazzo fu ceduto al Camerario di corte Bartolomeo von Tinti,
perchè il V principe Annibale Alfonso non aveva potuto pagare un debito di 39 .000
fiorini. Poi vi si insediò la biblioteca amministrativa del Cancellierato.
La modestia architettonica di questa costruzione dipende dal fatto che essa fu
edificata nel 1531, quando lo spavento per l'assedio turco di Vienna, risalente ad
un paio d'anni prima, era tutt'altro che dimenticato. Fu dopo il 1683, cioè con la
completa vittoria sul nemico, che la città si sviluppò. Inoltre la residenza ufficiale
dei principi di Porcia era Spittal e non Vienna, anche se il primo principe Giovanni
Ferdinando morì in questa città il 17.2.1665.
Il palazzo di Monaco
La costruzione sorge nella Kardinal-Faulhaber-Strasse al n. 12 e fu realizzata
nel 1693 da Enrico Zuccalli per i Fugger di Augsburg.
Dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale ci fu una ricostruzione nel
134
La fortezza di KARLOVAC, principale piazzaforte del "Militiirgrenze", la zona
militarizzata di confine con l'Impero Ottomano in Croazia. Nel palazzo indicato in
rosso nella fotograjìa della piazza principale risiedette dal 1704 al 1709 il
Principale Annibale Alfonso Emanuele di Porcia, come "capitano" della fortezza.
135
1952. La facciata originale è ancora conservata. La casa ha tre piani. Le finestre del
primo piano sono caratterizzate da colonnine laterali e dalla pronunciata copertura
semicircolare. Notevole è il portale e lo stesso dicasi per il balcone soprastante con
decorazioni in ferro battuto.
La residenza divenne proprietà dei Porcia per una strana coincidenza. Il
principe elettore di Baviera Karl Albrecht, che fu imperatore col nome di Carlo VII
dal 1740 al 1745, aveva avuto una relazione con Maria Josepha Topor-Morawitzka,
figlia di un generale di origine polacca e della contessa di Cemay. Dalla relazione
era nato un figlio. È il caso di ricordare che il principe elettore non era nuovo a simili
avventure. Già nel 1733 egli aveva infatti avuto una relazione con una damigella
di corte. In entrambi i casi la "liquidazione" per le signore fu concretizzata con un
buon matrimonio e con un palazzo come dono di nozze: lo sposo della damigella
di corte fu il conte Spreti e quello di Maria Josepha fu il sesto principe Giovanni
Antonio di Porcia. La prima coppia ebbe il palazzo Holstein, la seconda il palazzo
di Monaco. La costruzione del palazzo Holstein ed i restauri del palazzo Porcia,
effettuati nel 1736, sono opera del medesimo architetto.
La fortezza di Karlstadt
Fu costruita dall'arciduca Carlo nel 1378(3) su 9.000 teschi di turchi quali
macabre fondamenta. Nel 1704 il complesso fu venduto per 40 mila fiorini al quinto
principe Annibale Alfonso di Porcia.
Due possono essere stati i motivi di questa acquisizione:
1) allontanarsi dalle attenzioni della contessa Giuliana Lodron,
2) sfuggire alle pretese dei creditori, fratelli della suddetta ammiratrice.
Le doti militari di Annibale Alfonso erano scarse. Nel 1709 egli riebbe i suoi
40.000 fiorini e ritornò a Spittal. La fortezza fu attribuita al conte goriziano
Giuseppe Rabatta. Sono gli anni in cui la strategia di Eugeno di Savoia, rivelatasi
vincente, non ammetteva deroghe. - Sia consentito ricordare che il trionfo di questo
condottiero costituisce l'oggetto di un pregevole affresco del pittore veneto
Antonio Lazzarini (26.6.1672-16.4.1732), una delle opere più notevoli del palazzo
De Carlo (Fondazione M. Minucci) a Vittorio Veneto.
Il castello di Primano
È un maniero possente non lontano dal Timavo, appartenuto già ai Patriarchi
di Aquileia, ai Duinati, agli Svevi, agli Asburgo, ai Raunach.
136
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Il castello di ORTENBURG in Carinzia, lungo la Drava, che dava il nome alla
contea che aveva per centro Spittal, acquisita da Giovanni Ferdinando primo
principe (dal Merian).
Il castello di MITTERBURG (Pisino - Pasin) in Istria, della cui signoria, elevata
a Principato immediato dell'Impero , era stato investito Giovanni Ferdinando
primo Principe da Leopoldo I Imperatore, ma che fu revocata per l'opposi zione
della Dieta di Carniola (dal Valvasor).
137
Una baronessina von Raunach sposò nel 1894 Ferdinando, tredicesimo
(dodicesimo secondo un altro calcolo, che esclude Geronimo Ascanio) principe di
Porcia, il quale divenne così signore di Prem. In una stima<4> la rendita del
possedimento riguardava 5.000 fiorini annui.
Nei pressi del castello di Primano, a Bittigne, c'è un ponte sul Timavo che reca
lo stemma dei Porcia e l'iscrizione "Deus felicitas, homo miseria", che fu un motto
purliliese<5>.
Mitterburg - Pazin - Pisino
Donazione alla chiesa episcopale di Parenzo già al tempo degli Ottoni<6>,poi
al Patriarca di Aquileia, indi a Gorizia, ai duchi d'Austria, a famiglie feudali.
Il 3.8.1660 l'imperatore d'Austria rilasciò un diploma di tredici articoli per
l'attribuzione della contea di Mitterburg al conte Giovanni Ferdinando di Porcia,
non ancora nominato principe. Il costo della contea era di 550.000 fiorini, ma
furono pagati soltanto 350.000 fiorini per graziosa liberalità sovrana in quanto il
compratore era primo maggiordomo di corte, presidente del Consiglio intimo e
ministro di stato prima di Ferdinando III e poi di Leopoldo I.
Il 18.4.1662 Leopoldo I manifestò per iscritto
, il proposito di elevare Mitterburg al rango di contea principesca dell'Impero, come era stato fatto per Gradisca.
Più tardi l'imperatore ritirò la promessa e il principe di Porcia dimostrò scarso
interesse per il possedimento istriano. Quest'ultimo interessava però al principe
Gian Vicardo d' Auersperg, il quale mediante una specie di negozio fiduciario riuscì
ad acquisire Mitterburg per 550.000 fiorini nel 1665, due mesi dopo la morte del
precedente proprietario.
La rocca sorge su una rupe inaccessibile ed evidenzia l'aspetto di un' architettura feudale molto austera. Ampie erano le pertinenze: magazzini, stalle, cucine,
cisterne. Nel 1548 erano stati ultimati i lavori di ampliamento e consolidamento,
rendendo normale la ricettività del maniero<7>.
Attività culturale a corte
Due erano i motti dei Porcia. Il primo, risalente al tempo degli antenati da
Prata, dice: "Fiat pax in virtute tua et abundantia in turribus tuis". Sono parole
desunte dal Salmo 122 (e non 121, come risulta da una didascalia esistente sotto la
raffigurazione di un singolare duplice stemma sormontato dal pellicano). Il
secondo motto, risalente al principe Francesco Serafino, rammenta: "Deus felicitas, homo miseria".
138
:,):·
:1.
Il castello di Laiiterba ch in Baviera, presso Landshut, nel '700.
139
-·
Il castello di Senosecchia (Senosetsch - Senosece) sulla strada da Trieste a
Lubiana, ereditato da Gio. Sforza di Porcia dalla.famiglia della madre Maddalena
di Lamberg, che permise alftglio Giovanni Ferdinando, poi primo Principe, di
sedere nella Dieta del Ducato di Carnia/a (l'attuale Slovenia) (dal Valvasor "Die
Ehre des Erzogtum Crain" 1660 ).
140
'
'
I
Viene naturale chiedersi quali riflessi nella vita di corte abbiano esercitato i
suddetti concetti. In realtà il castello di Spittal era un centro culturale non
secondario. Il principe Gabriele incrementò specialmente la musica tra il 1750 ed
il 1756. Al posto dell'antica farmacia del castello fu ricavato un piccolo palcoscenico. Quasi certamente vi furono rappresentate commedie di Goldoni, poichè nel
1765 furono acquistati 19 volumi con le opere del celebre autore. Un inventario del
1776 evidenzia l'esistenza di costumi teatrali e di altri oggetti da usarsi per la
rappresentazione di commedie<8l. Anche il teatro delle marionette trovò favore a
Spittal: è documentato uno spettacolo in occasione della Pasqua del 1753.
Per una più rispondente dimensione dell'attività musicale a corte dei Porcia
vengono infine citati i seguenti dati inventariali:
1776: 1 violoncello, 4 violini, 1 viola da braccio, 2 comi, 2 trombe, 2 oboe,
4 flauti, 1 cimbalo boemo, 2 clarinetti inglesi, per un complesso di 19 orchestrali
di cui sono noti anche i nomi;
1785: 1 paio di tamburi, 1Otrombe, 4 oboe, 2 paia di clarinetti, 1 fagotto, 4 paia
di comi, 2 comi inglesi e alcuni strumenti a corda(9).
Si ha però motivo di ritenere che l'attività musicale a corte fosse già ridotta
verso la fine del XVIII secolo, poichè nell'elenco dei dipendenti del castello di
Spittal non risultano più i musici.
Note
1) H. Prasch - 800 Jahre Spittal a.d. D., 1990, pag. 356
2) H. Prasch - Opera citata, pag. 377.
3) H. Prasch - Opera citata, pag. 359
4) Gi.inther Probszt~Ohstorff - Die Porcia - Klagenfurt 1971, pag. 179.
5) Mario Lannes - Il castello di Primano, Trieste 1936.
6) Monumenta Germaniae Historica, Diplom. Reg. et Imper., t. Il, pag. 356-357; cod. dipl. Istr. anno
983, 2 giugno
7) Camilla De Franceschi - Storia documentata della contea di Pisino, Venezia 1964.
8) Spittal a.d.D. - Vom Markt zur Stadt - 1970 - pag. 139.
9) Rauter, Hofmusik, pag. 144.
Elenco delle località in Austria, Istria e Germania in cui si trovavano i principali possedimenti
dei Porcia-Brugnera.
1 - Afritz
2 - Flaschberg
3 - Goldstein
4- Gri.inburg
5 - Hermagor
6- Homeckh
7 - Homegg
8 - Karlstadt
9 - Klagenfurt
10 - Laibach
11 - Landshut
12 - Lauterbach
13 - Mattighofen
14- Mauthen
15 - Meillenhofen
16 - Mitterburg
17 - Modemdorf
18 - Mollbri.icke
19 - Mi.inchen
20 - Niederlauterbach
21 - Oberdrauburg
22 - Oberlauterbach
23 - Ortenburg
24 - Pittersbergam Gailberg
25 - Prem
26 - Senosetsch
27 - Spittal
28 - Tettensee
29 - Wien
30 - Winklem
141
Loredana Imperio
Elenco dei documenti nei quali figurano personaggi dei Prata e
P orcia-Brugnera
Pubblicati da Pietro KANDLER in:
CODICE DIPLOMATICO ISTRIANO,
riproduzione dell'edizione del 1862-1865 a cura del Lloyd Adriatico di Trieste
(1986) Tomi 5.
Ricerca a cura di Loredana IMPERIO
TOMO I.
Nessun documento d'interesse.
TOMO II
Anno 1222 pg. 416
22 giugno, indizione X, Venezia
Patti tra il Doge Pietro Ziani dei Veneziani e il Patriarca Bertoldo di Aquileja.
Actum apud Venetiam in hospitali Sanctae Mariae cruciferorum.
Tra i testi: Domini Gabrielis de Prata.
Anno 1230 pg. 436
mese di luglio, indizione III, San Germano
L'imperatore Federico II perpetua la memoria della rinuncia che Ottone duca di
143
Merania fa dei suoi diritti al Marchesato e Contea d'Istria, in favore del Patriarca
Bertoldo suo fratello e della Chiesa Aquileiese.
Tra i testi: Joannes de Porcia.
Anno 1254 pg. 501-504
mese di aprile, indizione XII, Venezia
Patti tra il Doge Raniero Zeno dei Veneziani e il Patriarca Gregorio di Aquileia.
Vi sono nominate le famiglie di Prata e di Porcia
..... illorum de Prata et de Porciglis
Anno 1264 pg. 556
13 luglio, Borgo Lauro o Muggia Nuova
Il Patriarca Gregorio Marchese d'Istria investe Enrico da Pisino e i suoi figli del
Castello di Lupoglau.
Tra i presenti: D. Meynardo de Prata -Artuico de Porciliis
Anno 1274 pg. 596-604
Sabato 24 agosto," .... in Civitate Austria (Cividale) in Curia patriarchali ...... "
Trattato di pace del Patriarca Raimondo di Aquileia con il conte Alberto di Gorizia
e d'Istria.
Tra i presenti: Gabriele ac Vezeleto fratribus de Pratta (sic) Artuico de Porcillis
Anno 1290 pg. 775
5 settembre, Indizione III, Trieste
Raimondo patriarca di Aquileia consiglia Marco Ranfo Rettore della città di Trieste
di far restituire ad alcuni mercanti di Fano e di Perugia le merci loro tolte, in
mare, dal corsaro Cocco e dalla sua ciurma con naviglio appartenente allo stesso
Marco Ranfo.
Tra i presenti: Pelgio de Purciliis
Anno 1294 pg. 810
Parenzo
Elenco delle persone che erano vassalli laici del vescovo e della Chiesa di Parenzo.
Tra gli altri: Dominus Henricus de Prata de duobus Castellis (Due Castelli sul
Leme)
Anno 1294 pg. 816
lOnovembre
I triestini inviano duecento fanti in aiuto di Giovanni di Zuccola in guerra contro
144
Artico di Castello.
Tra gli alleati di Giovanni di Zuccola figurano: ... illis de Prata ...
TOMO III
Anno 1327 pg. 1023
20 giugno, indizione X, Udine
Pagano, patriarca di Aquileia, secondo il parere dei Pari della Curia, dichiara che
a lui soltanto, e non al suo vicario, spetta la ricognizione dei feudi e dei diritti ad essi
annessi.
Tra i Pari della Curia aquileiese vi é Manfredo de Porcillis
Anno 1327 pg. 1024
20 giugno, Udine
Appellazione in materia feudale al Patriarca
Tra i presenti: Manfredo de Purciliis
Anno 1328 pg. 1036-1037
5 marzo, Aquileia
Pagano, Patriarca d'Aquileia, compra dalsoja da Prata, vedova di Guecellone da
Prata, e dai suoi figli Odorico, Ecelino e Rainerio, tutte le case, terre e possessi che
essi avevano ereditato nel territorio di Due Castelli, diocesi di Parenzo, in Istria.
I garanti della transazione erano i nobili signori: Nicolò da Prata,Biachino figlio del
fu signore Pileo da Prata, Morando di Porcia, Federico detto Brizalie e Artico di
Porcia.
Anno 1328 pg. 1038
7 marzo, Aquileia
Il Patriarca Pagano dichiara che l'acquisto da lui fatto dei beni dei Signori da Prata
in Istria non era per conto proprio, bensì per conto dei signori Sergio e N ascinguerra
da Castropola. Questa eredità veniva da Enrico Merlo, fratello di Jsoja da Prata e
zio di Odorico, Ecelino e del minore Rainerio.
Anno 1328 pg. 1051
3 agosto, Cividale
Sergio e N ascinguerra da Castropola protestano presso Pagano, Patriarca d'Aquileia,
per l'acquisto da lui fatto, a loro nome, dell'eredità dei Prata in Due Castelli sul
Leme.
145
Nominati nuovamente gli eredi: ..nobilibus viris dominis Odolrico et Izolino de
Prata et Raynerio eorumfratre et domina /soia matre sua ...
Anno 1336 pg. 1139
2 ottobre, indizione IV, Udine
Bartolomeo di Spilimbergo procuratore di Sergio da Castropola presenta una
cedula con l'elenco dei feudi che questi e i suoi predecessori avevano dalla Chiesa
Aquil.eiese. Tra i presenti: Venerando viro domino Morando de Purciliis Canonico
Aquilegense.
Anno 1339 pg. 1165
18 luglio, Udine
Davanti al patriarca viene stipulato un compromesso tra Speronella di Porcia,
vedova del nobile Pietro da Grisignana, per sé ed i suoi figli e con il consenso del
nobile Morando di Porcia canonico aquileiese e di Artico di Porcia suo fratello, con
il nobile Giovanni Francesco da Castello per le spese e la custodia del castello di
Grisignana.
Anno 1345 pg. 1207
3 gennaio, indizione XIII, Udine
Il nobile Ugo di Duino, prigioniero del Patriarca Bertrando, promette di presentarsi
dinanzi al presule nel giorno da questi indicato e di non recedere senza speciale
licenza.
Tra i presenti: Biaquino de Prata
Anno 1352 pg. 1254-1257
Il Patriarca Nicolò di Lussemburgo convoca il Consiglio del Friuli; per
soccorrere Albona, attaccata di sorpresa dai nemici, vengono fissate le tasse da
pagare in ogni terra della Chiesa Aquileiese e il numero e la specie di armati a carico
di ogni singolo vassallo. Si fa presente che , inoltre, Herchandus de Veisneter
capitano di Pordenone per il duca d'Austria spoliò indebitamente i signori da Prata,
fedeli del Patriarca, dei loro possessi in questa città e li derubò di molti armenti.
I signori da Prata devono fornire al Patriarca XVI elmi e V balestrieri come da
antica-imposizione.
I signori di Porcia anch'essi XVI elmi e V balestrieri.
Tra i consiglieri: Bianchinus de Prata
Anno 1366 pg. 1315
19 aprile, Aquileia
Elenco dei prelati, signori e comunità presenti alla prima messa del Patriarca
146
Marquardo di Randek e doni da loro fatti.
Tra i ...nobiles de Patria F orijulii Prata. D. Manfredus unam tacciam. A/ii Domini
unam Magnam Cuppam cum pede. Porcileae torcium unum cum denariis.
Anno 1381 pg. 1409
20 gennaio, indizione IV, Udine
Federico conte di Porcia, essendo vacante la sede aquileiese per la morte del
Patriarca Marquardo, in qualità di Vicedomino generale, annuncia agli istriani di
Albana, Rovigno, Due Castelli, Fianona, Dignano e Pola, di aver nominato Artico
di Udine capitano e Rettore dell'Istria.
TOMO IV
Anno 1411 pg. 1573
7 giugno, indizione IV, Venezia
Michele Steno, doge di Venezia, informa il Patriarca di Aquileia Antonio Panciera
della lega stipulata tra la signoria di Venezia, alcuni nobili friulani e i comuni di
Sacile, Aviano, Caneva e Muggia e fa presente che non tollererà alcuna offesa verso
i suoi alleati che, d'altra parte, non intendono molestare nè i familiari, nè altri
partigiani del Patriarca!
·
Tra i nobili alleati di Venezia figurano: Dominos Comites de Prata et de Porcileis.
Anno 1411 pg. 1574
8 giugno
Lettera del patriarca Antonio Panciera con la quale risponde al doge di Venezia
promettendo di non molestare i nobili friulani e i comuni in lega con i veneziani,
purché cessino dalle molestie, non gli impediscano la riscossione dei redditi, non
favoriscano i ribelli e lo riconoscano come loro Signore.
Nella lega sempre: i nobiles Comites de Prata et de Purcileis.
Anno 1452 pg. 1826-1827
20 agosto, Neustadt
L'imperatore Federico assegna, come Morgengabe o dono mattutino, alla sua sposa
Eleonora di Portogallo, il Castello, la terra e la contea di Pisino essendo l'ammontare di tale dono di 10.000 zecchini, calcolate le rendite di Pisino a 1000 zecchini
annui.
Nella nota si legge che: ...Pisino fu dato in feudo ai Walse, ai Chersainer, ai Flangini
Conti dell'Eldorado, agli Auesberg, ai Porcia e ai Montecuccoli.
147
In corsivo i 17 Principi
Gabriele
I
In neretto i personaggi nominati nelle relazioni
Guecello I0
(Vecelletto)
+ 1203
Federico DI PORCIA
+ 1230
Gabriele DA PRAT A
+ 1224
I
I
Guido
+ 1237
Guecello Il 0
(Vecellone)
+ dopo il 1248
I
Mainardo
+ 1273
Guecello Ill 0
+ dopo il 1288
I
Pileo
I
Artico DI PORCIA DI SOPRA
+ 1288
+ 1343
tomba a Prata
tomba a Prata
I
Beachino
Guglielmo
+ 1381
Nicolò
I
Jacopo+ 1538
letterato
Nicolò
Alberto
+ 1325
Pileo
cardinale
+ 1400
I
I
Federico
I
I
Silvio 1526-1603
condottiero
I
Nicolussio
Muzio
I
Albertino
Fulvio+ 1617
Enrico Ottavio + 1673
+ 1411
ultimo dei DA PRAT A
Fulvio+ 1711
Leandro Enrico Ottavio + 1736
cardinale
1673-1740
Leandro + 1779
Gio Artico
1678 - 1743
letterato
Antonio
1743 - 1832
Giuseppe
I
Guglielmo
I
RAMODI
PORDENONE
Giuseppe
I
Guecel/o
17° principe
1911 - ...... .
Gherardo
1944- ........
I
Guecello
1971- ........
148
I
Paolo
1946- ..... .
Teresa
1779-1854
sposa del pr.
Alfonso Gabriele
Silvio
Antonio
I
Silvio
RAMO DI
ODERZO
I
Renato
1882-1952
I
Gabriele
1932 - 1993
Silvio
1930- ..... .
I
Enrico
1966- ...... .
I
Renato
1970- ...... .
I
I
Federico
1974- ....... .
Gabriele DI PORCIA DI SOTIO
+ 1288
I
Bianchino
Ludovico
Guido
Brazzalea
Bianchino
Bartolomeo
Gio Battista
Brazzalea
+ 1576
ramo estinto
nel XVIII sec.
Bartolomeo
visit. apostolico
1546 - 1578
Antonio
Prosdocimo
Venceslao+ 1610
letterato
Antonio
I
Ascanio
I
Ermes
Alfonso
I
I
Gio Sforza
Fortunato Alfonso
I
RAMO
BAVARESE
Ferdinando Guido
Nicolò
1744 - 1818
.--------------.__
RAMO
BAVARESE
I
Gerolamo
4oprinc.
+ 1712
I ___
I
I
Gio. Ferdinando
Massimiliano I O princ. + 1665
+ 1689
RAMO
ITALIANO
__,I
Germanico
Annibale Alfonso
Emanuele
5° princ. + 1742
I
Gio. Carlo
2° princ. + 1667
I
Gio Francesco
Antonio
3° princ. + 1698
Alfonso Antonio
Luigi
Francesco Antonio
6° princ. + 1776
I
Giuseppe
I
Francesco Serafino
8° princ.
+ 1785
9° princ.
1753 - 1827
Gabriele
7° princ. + 1776
Ermes
Eugenio
Antonio
16° prin.
1905 - 1980
Antonio
Emanuele
Alfonso
Gabriele
10° princ.
1761 - 1835
Ferdinando
Giovanni
Ottone
I
Lajos
14° prin. 1838 - 1902
Alfonso
Serafino
11° princ.
1801 - 1876
Lepoldo
12° princ.
1901 - 1878
I
Aladar
15° prin. 1869- I 960
I
Ferdinando
13° princ.
1834 - 1896
RAMO UNGHERESE
149
Anno 1473 pg. 1992-1993
11 gennaio, indizione VI, Trieste
La tutrice del minore Giovanni Antonio Giraldo chiede al vescovo di Trieste,
Antonio de Goppo e ai conti consiglieri imperiali, l'investitura del feudo di
Calisedo.
Tra i consiglieri: Viro Dno. Ludovico Comite Purciliarum.
Anno 1479 pg. 2032-2033
4 febbraio, Graz
L'imperatore Federico nomina a suo familiare Michele Rusiz o de Prima, e gli
accorda protezione e favori. Nella nota a fine documento si legge:" Questo Michele
Rusiz, a giudicarne dal soprannome <de Prima> , dovrebbe dirsi oriundo dal
castello sul Timavo soprano, suddito in quest'ultimi tempi (si allude al 1862) della
Casa Principesca di Porcia, il quale castello può avere tratto il nome da stazione di
parte della Legione "Prima" ajutrice di custodia al Vallo , che é a brevissima
distanza. In tempi prossimi lo dissero volgarmente Premb, poi Prem ...
TOMOV
Nessun documento d'interesse.
150