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ADEGUAMENTO DEL CONTRATTO E STATUS DI CONTRAENTE DEBOLE

2017, Diritto e Processo

in Diritto e Processo, 2017, pp. 165-238 (http://www.rivistadirittoeprocesso.eu/upload/Articoli/10-Cerri.pdf) The essay analyses the issue of contract retention in the light of contingencies disturbing the balance between the interests objectified in the stipulation. In particular, it will be examined the institutions of ius variandi and “contract renegotiation”, instruments capable of safeguarding a contract become no longer efficient.

silvio PieTro Cerri (*) ADEGUAMENTO DEL CONTRATTO E STATUS DI CONTRAENTE DEBOLE AbstrAct: The essay analyses the issue of contract retention in the light of contingencies disturbing the balance between the interests objectiied in the stipulation. In particular, it will be examined the institutions of ius variandi and “contract renegotiation”, instruments capable of safeguarding a contract become no longer eficient. sommario: 1. La conservazione contrattuale come eficiente conduzione del rapporto. – 2. Ius variandi e autonomia contrattuale. – 3. Forma e modi di esercizio del ius variandi. – 4. Ius variandi: natura e proili funzionali. – 5. Clausola rinegoziativa: origini e scopo. – 6. Clausola rinegoziativa e bona ides in executivis. – 7. Clausola rinegoziativa: ipotesi tipiche. – 8. Risoluzione per eccessiva onerosità e per impossibilità sopravvenuta. – 9. Obbligo rinegoziativo: orientamenti. – 10. Un caso emblematico: la ricomposizione della crisi da sovraindebitamento. 1. — La conservazione contrattuale come eficiente conduzione del rapporto. La revisionabilità dei rapporti contrattuali costituisce materia oggetto di studio da molti secoli: ricorda in proposito la dottrina come dalla tomistica e dallo studio del diritto canonico si siano introdotte «nuove idee di giustizia commutativa volte ad assicurare un giusto prezzo, un giusto equilibrio tra le prestazioni», con conseguente ricerca di mezzi adeguati al «rispetto dall’assioma del giusto prezzo» all’interno del Digesto, da cui era possibile trarre soluzioni che avrebbero poi conseguito, proprio nel Medioevo, l’istituzionalizzazione della rescissione contrattuale per lesione e della c.d. clausola rebus sic stantibus (1). (*) Università degli Studi di Perugia Cfr. P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 2011, p. 804. Si tratta di istituti tra loro certamente legati da una radice comune dal momento che, (1) 166 diriTTo e ProCesso Il tema della rilevabilità, ai ini invalidatori ovvero di riduzione ad equità, del rapporto contrattuale colpito da squilibrio, non pare avere richiamato molta attenzione da parte degli studiosi, sia intermedi che moderni: si pensi a come tale mancata speciicità risulti ancora nel primo codice di matrice europea, il quale costituisce uno dei primi tentativi di disciplinare, in modo organico, il fenomeno delle sopravvenienze perturbative degli equilibri contrattuali, il c.d. Codex Maximilianeus Bavaricus Civilis del 1756 (2). Seppure in assenza di non eccessivo approfondimento medievale in ordine alla tematica delle sopravvenienze, possiamo comunque affermare come a fronte della necessità di equilibrio tra prestazioni ai ini della validità di un contratto, di validità persistente si sarebbe potuto parlare solo alla luce di un persistente equilibrio sino al momento esecutivo del contratto medesimo, di talché si sarebbe ritenuto opportuno distinguere tra contratti qui unico momento periciuntur (cioè a dire ad esecuzione immediata) e contratti qui habent tractum successivum (ad esecuzione differita) (si tratta di una distinzione probabilmente dovuta a Bartolo: cfr. G. osTi, v. Clausola rebus sic stantibus, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1957, p. 356). Nel primo caso, in caso di mancato equilibrio al momento della stipula, vi sarebbe stato invalidabilità contrattuale per lesione; nel secondo, sarebbe stato necessario un equilibrio tra prestazioni perdurante sino al momento esecutivo (sul punto, F.A. duBoin, Collezione progressiva e per ordine di materie delle Decisioni dei Supremi Magistrati degli Stati di terraferma del Re di Sardegna, III, Torino, 1832, p. 650 ss.: ove vi fosse lesione sopravvenuta, si dava seguito a riconduzione del contratto ad equità), con rischio, in caso contrario, di caducabilità totale ovvero, in ottica maggiormente conservativa e, soprattutto, in applicazione della citata clausola rebus sic stantibus, una reductio ad aequitatem (cfr., per riferimenti, P. gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, Cap. III, par. 3. (2) Il par. 12 del Tit. IV, Cap. 15, in particolare, afferma che «Poiché (…) tutti i vincoli racchiudono tacitamente in sé la clausola rebus sic stantibus, essi divengono invalidi anche per il mutamento della cosa dedotta in obbligazione, ma solamente quando si veriichino i seguenti tre requisiti: 1° che tale mutamento non abbia occasione né da mora, né da culpa aut facto debitoris; 2° che non fosse facile da prevedere; 3° che sia di tal natura, che, se il debitore lo avesse saputo prima, secondo l’opinione disinteressata e onesta delle persone intelligenti non avrebbe consentito ad obbligarsi: rimanendo tuttavia, pur in tali circostanze, da valutare secondo l’apprezzamento giuridico, se l’obbligazione debba essere tolta di mezzo completamente, o solo ridotta in proporzione dell’avvenuto mutamento»: con conseguente ampia discrezionalità giudiziale per determinare sia il discrimen tra suficienza o meno del mutamento circostanziale ai ini della ricorribilità ai suddetti strumenti rimediali, sia, in caso di acclarata ricorribilità, la decisione in ordine al rimedio maggiormente eficiente per entrambe le parti contrattuali. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 167 sino all’Ottocento, quantomeno, si sia ingenerata una idea di generale ammissibilità di detti istituti rimediali volti a rendere il contratto, divenuto non più eficiente a causa di eccessiva onerosità sopravvenuta, riequilibrabile ovvero, nella peggiore delle ipotesi, caducabile. Nel periodo successivo e per circa un secolo, invece, l’interesse per la ricomponibilità dell’assetto degli interessi contrattuali in dificoltà ha riscontrato poco interesse negli ordinamenti giuridici, in particolare di common law (3), particolarmente improntati ad escludere l’effetto liberatorio dell’impossibilità all’adempimento contrattuale, sia di tipo originario (common mistake) che sopravvenuto (impossibility) (4): ciò, in “smisurata” osservanza del principio pacta sunt servanda, ora divenuto ingiustamente scevro del comparto concettuale dovuto agli studi sulla teoria del mutamento delle circostanze. Motivo per cui assume notevole importanza, in detto periodo, la dottrina dell’errore, e le prime deroghe al pacta sunt servanda basano la propria ratio sulla volontà presunta delle parti ovvero sulle condizioni contrattuali implicite. Al contrario, nel Novecento, i conlitti mondiali e il conseguente inlazionismo porterà «ad un ripensamento dell’intera questione della sopravvenienza contrattuale» (5), e non a caso «a partire dagli anni Novanta (…) la dottrina ha iniziato ad auspicare una maggior lessibilità, tale da scongiurare la rigida alternativa tra conservazione immutata del contratto e risoluzione. In questa prospettiva si è evidenziata la maggiore razionalità delle tecniche di conservazione del contratto imperniate sulla rinegoziazione e sulla revisione giudiziale del contratto, rispetto a quelle puramente ablative», tutto ciò intrecciandosi «con una progressiva rivalutazione dei proili equitativi del contratto. Non si ritiene in altre parole più suficiente che l’accordo sia stato concluso, ma si richiede, afinché l’accordo possa essere considerato valido, che sia il più possibile giusto ed equo» (6). (3) Cfr. P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 805. Cfr. P. gallo, v. Eccessiva onerosità sopravvenuta e problemi di gestione del contratto in diritto comparato, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IV, Torino, 1991, p. 246 ss. (4) (5) Cfr. P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 806. In questi termini ancora P. gallo, Dai rimedi ablativi a quelli conservativi in materia contrattuale, in a. donaTi, a. garilli, s. mazzarese, a. sassi (a cura di), Diritto privato. Studi in (6) 168 diriTTo e ProCesso Si è osservato come l’introduzione della c.d. clausola rinegoziativa all’interno di un contratto «potrebbe far sorgere il dubbio che il contratto manchi di completezza e quindi anche di vincolatività compiuta» (7), e tuttavia deve subito sottolinearsi, in proposito, come il principio di vincolatività contrattuale (pacta sunt servanda) non sempre si presti ad una sola interpretazione. In una prima accezione, infatti, si potrebbe tradurre in una idea d’inammissibilità del potere di sciogliersi dal vincolo contrattuale in senso unilaterale: idea in ordine alla quale è oggi possibile contrapporre il diritto positivo sancito dal legislatore nelle previsioni in tema di recesso unilaterale, nonché le ipotesi di ius poenitendi di origine comunitaria (8). Inoltre, connessa alla questione dello scioglimento contrattuale per volontà unilaterale è possibile rinvenire quella relativa al conlitto tra il principio pacta sunt servanda ed il potere unilaterale di modiica (ius variandi unilaterale) (9), potere che s’incarna in un diritto potestativo il quale pur manifestandosi, in via di principio, in contrasto con l’altro principio di bilateralità del contratto (10), costituisce un onore di Antonio Palazzo, 3, Proprietà e rapporti obbligatori, Torino, 2009, p. 290; ma v. anche id., Sopravvenienza contrattuale e gestione del contratto, cit.; Id., La revisione del contratto, in Dig. disc. priv., Sez. civ., xVII, Torino, 1998. Sul punto, v. S. landini, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, in Contr. e impr., 2016, p. 200. (7) G. veTTori, La vincolatività, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, Il contratto in generale, xIII, t. 5, Torino, 2002, p. 3; C. Pilia, accordo debole e diritto di recesso, Milano, 2008, p. 414; A. sCarPello, La modiica unilaterale del contratto, Milano, 2010, p. 110; già molto prima in L. Barassi, Teoria generale delle obbligazioni, I, La struttura, Milano, 1948, p. 170, la previsione contrattuale trovava la propria base concettuale nella determinazione unilaterale del prezzo nel contratto di vendita ex art. 1322 c.c.: in proposito, mentre da una parte ha evidenziato come la modiica unilaterale sia tipica di alcuni contratti come, ad esempio, mandato e somministrazione (A. fiCi, Il contratto «incompleto», Torino, 2005, p. 54), dall’altra si è sottolineato il rischio, in ipotesi di sopravvenienze, dei «contratti troppo completi che non riescono ad avere lessibilità» (così D. valenTino, Il contratto «incompleto», in Riv. dir. priv., 2008, p. 526). (8) Cfr. S. landini, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, loc. cit. (9) G.A. resCio, Clausola di modiica unilaterale del contratto e bancogiro di somma erroneamente accreditata, in Banca borsa tit. cred., 1987, II, p. 98. In ordine, poi, alla questione se la determinazione ex art. 1349 c.c. sia estendibile alla determinazione di parte, v. A. sCarPello, La modiica unilaterale del contratto, cit., p. 75, il quale sostiene come l’art. 1349 c.c. debba intendersi (10) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 169 modus operandi il quale – al di là ovviamente dei casi di ius variandi in civitate positum – ove risultante da precedente accordo, e dove non incarni situazioni di abuso, deve ritenersi di ormai acclarata validità nel nostro ordinamento. Altra possibile lettura del principio di vincolatività contrattuale è quella di “forza di legge” di cui all’art. 1372 c.c., in ordine a cui la dottrina decide da tempo di rinvenire una «metafora avente carattere enfatico» (11), a meno che non la si declini come “serietà del volere”, come “tener fede agli impegni presi” (12), come attualità del volere, ovvero in termini di possibilità per il volere di tradursi in azione (13): ed è partendo da tali ultime osservazioni che pare corretto affermare come l’introduzione di obblighi rinegoziativi costituisca concreta espressione del principio di vincolatività garantendo infatti, con la propria attuazione, una stabilità al vincolo che, incontrando nel tempo eventuali sopravvenienze perturbative dei propri originari equilibri, s’imbatte in «situazione simile a quella del c.d. contratto incompleto, in cui le parti hanno concordato la riserva di determinazione di alcuni aspetti» (14). Quando si parla di “contratto incompleto”, deve distinguersi tra incomcome non complanare al potere unilaterale di modiica del contratto: la S.C., in proposito, dichiarava la nullità della clausola di un contratto di agenzia che prevedeva la facoltà, in capo al preponente, di apportare modiiche alle provvigioni: cfr. Cass., Sez. lav., 8 novembre 1997, n. 11003, in Contratti, 1998, p. 255, con nota di R. lener, Clausola modiicativa delle provvigioni per i promotori, in Nuova giur. civ. comm., 1999, p. 338 ss., con nota di A. sCarPello, Determinazione dell’oggetto, arbitraggio, jus variandi, in Giust. civ., 1998, I, p. 2889 ss., con nota di S. PaglianTini, Indeterminabilità dell’oggetto, giudizio di nullità e contratto di agenzia: verso l’ineficacia delle clausole di modiicazione unilaterale del contratto? In questi termini F. ferrara, Teoria dei contratti, Napoli, 1940, p. 287; ma v. anche F. messineo, v. Contratto, in Enc. dir., Ix, Milano, 1961, p. 957. (11) Sul punto, D. ruBino, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Napoli, rist. 1978, p. 242, nonché P. sChlesinger, L’autonomia privata e i suoi effetti, in Giur. it., 1999, p. 230; m. BarCellona, Libertà contrattuale, in Enc. dir., xxVI, Milano, 1974, p. 487; G. alPa, Libertà contrattuale e tutela costituzionale, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 35 ss.; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 139; M. Bessone, Dogma della volontà, principio di buona fede e integrazione del contratto, in Giur. it., 1978, c. 97. (12) (13) V. D. BarBero, v. Condizione (dir. civ.), in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1967, p. 1101. (14) Cfr. e. del PraTo, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2016, p. 805. 170 diriTTo e ProCesso pletezza economica ed incompletezza in senso più prettamente giuridico: nel primo caso ci si riferisce, ad esempio, ad una transazione che non tenga in debito conto una circostanza potenzialmente incidente sui guadagni attesi dalle parti (15); nel secondo caso ci si riferisce, invece, a quella regola del rapporto non suficientemente deinita dalle parti, in tal modo prestandosi a correzioni ed integrazioni (16). A tale proposito, per come risulta analizzata dalla dottrina italiana, la questione concernente la ipotizzabilità di un valido contratto incompleto incarna, sostanzialmente, un problema di rappresentazione dell’oggetto contrattuale. Rimanendo, quindi, la possibilità di riconoscere validità ad un contratto incompleto, connessa ad una concezione stretta di determinabilità dell’og(15) In ordine all’idea di connessione dello strumento contrattuale con le teorie d’incompletezza economica, cfr. A. sChWarTz, Relational Contracts in the Courts: An Analysis of Incomplete Agreement and Judicial Strategies, in Journ. of Legal St., 1992, 21, 2, p. 271 ss.; A. sChWarTz, J. WaTson, The Law and Economics of Costly Contracting, in Journ. Law Econ. Org., 2004 (2), p. 20; R.E. sCoTT, The Law and Economics of incomplete contracts, in Annual Rev. of Law and Social Science, 2006 (2), p. 279. Sul punto v. anche r. Pardolesi, Regole di default e razionalità limitata: per un (diverso) approccio di analisi economica al diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1996, p. 451 ss.; g. BellanTuono, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000; R. lanzillo, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. e impr., 1985, p. 317 ss.; inine, secondo d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto positivo italiano, in Contr. e impr., 2013, p. 974 s., «La necessità di sottoporre a veriica il principio della assoluta vincolatività del contratto viene sostenuta nell’ambito della teoria gius-economica degli incomplete contracts. La suddetta teorizzazione contrattuale pone in primo piano le esigenze di lessibilità del regolamento contrattuale in un contesto, come quello del commercio internazionale, nel quale la rapidità dello svolgimento dei trafici economici, la celerità delle vicende economiche e l’intensiicazione delle interconnessioni tra i soggetti del sistema economico rendono i rischi di futuri perturbamenti degli originari equilibri contrattuali soggetti ad una costante implementazione, sia in senso qualitativo che in senso quantitativo». Sul punto G. BellanTuono, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, cit., p. 67, nonché A. fiCi, Il contratto incompleto, cit., passim. Sull’ammissibilità della categoria del contratto incompleto nell’ordinamento italiano, imprescindibile la giurisprudenza concernente l’art. 1346 c.c., tra cui Cass., 29 febbraio 2008, n. 5513, in Rep. Foro it., 2008, v. Contratto in genere, n. 57, e ancor prima Cass., 19 marzo 2007, n. 6519, in Foro it., 2007, c. 1699, con nota di G. BellanTuono, Indeterminatezza dell’oggetto e incompletezza contrattuale; ancora, Cass., Sez. lav., 8 novembre 1997, n. 11003, cit. (16) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 171 getto (17), è possibile rinvenire nella introduzione di clausole rinegoziative Osserva in proposito D. valenTino, Il contratto «incompleto», cit., p. 510, come «continuare oggi a dibattere sul signiicato che deve avere un elemento, concettualmente non presente in tutti gli ordinamenti europei (quale è l’oggetto)» faccia «perdere di vista che si tratta di strumenti elaborati per tutelare interessi meritevoli di tutela e, se si vuol ancora investire nel processo di convergenza degli ordinamenti, si dovrebbe consentire che gli strumenti della nostra tradizione possano “cedere il passo” ad altri meccanismi egualmente eficaci e “testati” in altri contesti». Con riferimento, poi, ai c.dd. Relational Contracts (accordi di tipo informale, generalmente irmati tra società, e inalizzati a costituire rapporti futuri, con il vantaggio di permettere di stabilire in modo graduale – alla luce degli sviluppi del rapporto in fatto e in diritto – la regola del rapporto medesimo), può sottolinearsi come rimangano ben distinti dai contratti propriamente detti, incarnando accordi giuridicamente non vincolanti, almeno in via di principio, dispiegandosi, piuttosto, in ambito “metagiuridico”: tale categoria, in sostanza, nasce dalla dottrina nordamericana nell’analisi sociologica dello scambio, prima ancora di approdare all’ambito propriamente giuridico. In detti contratti la logica cooperativa tendente a realizzare gli interessi sottesi alla stipula si sovrappone alla logica “egoistica”, tipica dello scambio isolato (indicato in ambito anglosassone, proprio in antitesi al modello del long-term contract, come discrete transaction), normalmente ad eficacia istantanea: cfr. F. maCario, Revisione e rinegoziazione del contratto, in Enc. dir., Annali, Milano, 2008, 2, pp. 1071, 1081; ma v. anche id., Razionalità limitata e tecniche normative nella gestione del rischio contrattuale: nuove prospettive per la correzione dello squilibrio, in Riv. Scuola Sup. econ. e in., 3, 2005, p. 119 ss. Gli studiosi che, soprattutto nei sistemi di common law nordamericano, si sono improntati a tale conigurazione dei rapporti contrattuali, si sono detti favorevoli all’intervento giudiziale in ambito contrattuale, in caso di sopravvenienze perturbative dell’originario equilibrio tra prestazioni dedotte in stipula. La categoria dei relational contracts, recepita, inine, anche dalla dottrina italiana, in seno a quest’ultima ha contribuito alla valorizzazione del principio di buona esecutiva. Per l’impostazione, invece, critica verso tale categoria, vi è chi ritiene come tutte le problematiche mediante detta categoria posti in luce siano stati, in realtà, già da tempo considerati dalla dottrina giuridica dei Paesi di civil law, per quanto partendo dalla categoria dei contratti di durata: cfr. A. frignani, m. Torsello, Il contratto internazionale. Diritto comparato e prassi commerciale, Padova, 2010, p. 266 s. In risposta a tale critica, si parla in termini di pregiudizio, nella negazione di rilevanza giuridica ad un modello di scambio caratterizzato da prospettiva, di tipo sociologico, isolata sul piano del mero fatto e dell’osservazione empirica, non ancorata ad un’analisi di tipo giuridico del rapporto promanante da contratto, e si afferma anche come l’erroneità di detta disamina, affetta da pregiudizi, sia rinvenibile nella lettura dei contributi della dottrina di common law, protesi ad una valutazione delle dimensioni contrattuali “implicite”, a mezzo dello studio dei modelli di scambio sia relazionale che di rete: cfr. F. maCario, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 1081, ove si richiama d. CamPBell, h. Collins, J. WighTman (eds.), Implicit Dimensions of Contract. Discrete, Relational, and Network Contracts, Oxford, 2003. Quanto alle origini dei relational contracts, (17) 172 diriTTo e ProCesso non elementi che privino l’accordo di eficacia vincolante quanto, piuttosto, che ne consolidino il vincolo, anche a fronte di eventuali sopravvenienze, nel tempo (18). È anche consentito all’autonomia contrattuale stabilire che ad una, ovvero ad entrambe le parti, sia attribuito il potere di modiicare unilateralmente il rapporto contrattuale, non potendo rinvenirsi alcuna contrarietà, sul punto, da parte dell’art. 1372 c.c.: si parla, in questo caso, del c.d. ius variandi. Com’è noto, solo nell’ipotesi in cui sia normativamente attribuito a una o entrambe le parti il potere di modiica unilaterale del rapporto contrattuale, i principi d’intangibilità e di autonomia privata possono incontrare una deroga; al contrario, vi è esercizio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. nell’ipotesi in cui siano le parti medesime ad attribuirsi un ius variandi, che rimodula il concetto d’intangibilità contrattuale di cui all’art. 1372 c.c. in prospettiva di riassetto – ove si renda, o ritenga, necessario – degli equilibri sottesi alla stipula. Tra i casi di conferma di quanto appena detto può portarsi ad esempio l’arbitraggio di parte, nel quale è rinvenibile un interesse, in capo alle parti, alla previsione di un momento, successivo a quello della stipula ma parallelo a quello dell’esecuzione contrattuale, nel quale una parte sia nel diritto di determinare unilateralmente le condizioni contrattuali. Si tratta, quindi, di un’ipotesi di conferma della possibile coesistenza tra consenso contrattuale e unilateralità d’intervento modiicativo. Altro esempio e rinvenibile nel Codice del Consumo, il quale espressamente prevede e disciplina l’esercizio del diritto di modiica nell’ambito del rapporto contrattuale tra consumatore e professionista. Inoltre, pur non essendo norme a carattere cogente, non può non evidenv., ex multis, S. maCaulay, Non-contractual Relations in Business: A Preliminary Study, in Am. Soc. R., 1963, vol. 28, n. 1, p. 55; I.R. maCneil, The New Social Contract: An Inquiry into Modern Contractual Relations, New Haven, Yale University Press, 1980; C.J. goeTz, r.e. sCoTT, Principles of Relational Contracts, in Va. L. Rev., 1981, vol. 67, n. 6, p. 1089; A. sChWarTz, Relational Contracts in the Courts: An Analysis of Incomplete Agreements and Judicial Strategies, cit., p. 271 ss. In tal senso, S. landini, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, cit., p. 202. (18) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 173 ziarsi come i Principi Unidroit rappresentino, nella prassi arbitrale internazionale sempre più un punto di riferimento di natura giuridica, dal momento che, ispirandosi a concreti riscontri della prassi contrattuale, esplicitamente prevedono un potere unilaterale di modiica in capo a una parte contrattuale. Le norme transnazionali, a loro volta, costituiscono fonte di rilessione per talune codiicazioni europee, tra cui il recente codice olandese, nonché per il diritto tedesco delle obbligazioni, nella cui Relazione inale della Commissione per la relativa riforma vi è proprio esplicito richiamo all’importanza dei “principi di codiicazione europea”. Potrebbe porsi la questione se sia ammissibile l’esercizio unilaterale del ius variandi non solo a ini modiicativi, bensì ai ini della costituzione ex novo di un rapporto giuridico. Può tuttavia dirsi, con certezza ascrivibile a coerenza sistematica, che l’impulso unilaterale non è idoneo a realizzare un nuovo rapporto contrattuale, e ciò a fronte di un impianto normativo esplicito: a) l’art. 1372, 1° comma c.c. stabilisce che ai ini dello scioglimento del rapporto contrattuale è necessario il consenso delle parti; b) l’art. 1230, 1° comma c.c. impone l’accordo tra le parti ai ini dell’estinzione di un’obbligazione e contestuale costituzione di una nuova; c) l’art. 1373, 1° comma c.c. consente, alle parti, di prevedere autonomamente la facoltà di recesso contrattuale. Di ius variandi volto ad estinguere un rapporto giuridico contrattuale ed a contestualmente costituirne uno nuovo, non può, quindi, correttamente parlarsi. È opportuna, quindi, una disamina riguardante i limiti del potere convenzionale di modiica del rapporto, in ossequio a quanto stabilito ex art 1322 c.c., e ciò è possibile, anzitutto, attraverso l’analisi delle norme che esplicitamente riconoscono il potere di modiica a una o più parti, e anche alla luce delle quali è possibile circoscrivere il raggio di apponibilità di clausole attributive di ius variandi di origine convenzionale. Vi sono in proposito, codiicate, due principali categorie di fattispecie: A) quelle attributive di ius variandi caratterizzato da ampia e media discrezionalità di esercizio: a) nel primo caso, la modiica è esercitabile dal titolare senza necessità di preventiva veriica di ricorrenza di determinate circostanze, ovvero senza necessaria esplicitazione delle ragioni di esercizio del diritto potestativo, come nel caso di appalto (art. 1661, 1° comma c.c.), trasporto (art. 1685, 174 diriTTo e ProCesso 1° comma c.c.), mandato (art. 1711, 2° comma c.c.), spedizione (art. 1739, 1° comma c.c.), agenzia (art. 1746 c.c.) e rapporto lavorativo (art. 2103 c.c.); b) nel secondo caso, il ius variandi è esercitabile a fronte di adeguata giustiicazione, ovvero entro limiti normativamente stabiliti, come nel caso dei contratti bancari (art. 118 t.u.b.) e del contratto di subfornitura, per il quale è stata imposta una ine alla prassi di uso indiscriminato del diritto di modiica unilaterale, mantenendo al contrario salvi «gli accordi che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro i termini e limiti contrattualmente preissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura» (cfr. art. 6, l. n. 192/1998); B) quelle ove l’esercizio del ius variandi rimane subordinato alla ricorrenza di circostanze esterne sopravvenute alla stipula: vi è quindi il potere unilaterale di conduttore (art. 1577 c.c.), di afittuario di fondi rustici (artt. 1635, 1° comma e 1636 c.c.), di afittuario nell’afitto a coltivatore diretto (art. 1648 c.c.), di assicuratore (artt. 1897 e 1898 c.c.), di viaggiatore, organizzatore e venditore di viaggi (artt. 39-42 cod.tur. (19)). Tra le clausole di ius variandi rinvenibili nella prassi degli affari si richiama, in particolare, quelle: a) dei contratti di compravendita, riguardo ai quali pare abbastanza consolidato il ricorso al ius variandi, come ad esempio nel caso di clausole con prezzo “scalare” ovvero con prezzo “circa”, nel caso della vendita on call, nel caso della clausola con prezzo “in vigore alla consegna” ovvero “ancorato a criteri obiettivi”; b) dei contratti di borsa “a premio”, ove gli operatori stipulano accordi in base a cui una parte può, al momento della esecuzione differita del rapporto e a fronte di pagamento di premio, scegliere unilateralmente le concrete modalità con cui dare attuazione al contratto; c) dei contratti di approvvigionamento di fattori di produzione, ovvero di fornitura di beni e servizi, nei quali paiono facilmente inseribili – per via analogica con quanto disciplinato in materia di appalto – clausole di richiamo agli artt. 1560 e 1561 c.c.; d) dei contratti di catering, in cui la clausola attributiva di ius variandi è strutturata in base alla particolare causa della fatti(19) Anche se, a breve, è previsto che l’attuale “Codice del turismo” (d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79) venga sostituito da nuovo d.lgs., di recepimento della direttiva UE 2015/2302 sui pacchetti turistici, in cui dovrebbero anche rinvenirsi novità proprio riguardo all’esercizio del ius variandi. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 175 specie; e) di alcuni contratti internazionali, come il caso dell’engineering; f) dei contratti associativi, come nel caso dei contratti di multiproprietà azionaria; g) dei contratti di distribuzione commerciale e franchising. Ma nella contrattualistica sono rinvenibili anche altre importanti ipotesi dimostrative di come gli strumenti convenzionali di adeguamento del rapporto siano sintomatici della volontà, in capo all’autonomia privata, di dotarsi di strumenti sempre più solidi ed eficaci per una concreta conservazione dell’impianto contrattuale. Tra gli esempi di maggiore spessore vi è: a) l’adozione di clausole d’indicizzazione inalizzate alla difesa del contratto da possibili svalutazioni, nonché di clausole di revisione, salvaguardia e forza maggiore; b) nel contratto di assicurazione, l’inserimento di clausole di limitazione della propria obbligazione di copertura del rischio, in caso di speciiche circostanze oggettive; c) l’adozione di clausole c.dd. di hardship le quali, tipiche della prassi contrattuale internazionale, predispongono, per determinate sopravvenienze, l’applicazione di rimedi come, ad esempio, la sospensione dell’esecuzione contrattuale e, soprattutto, la c.d. rinegoziazione: queste ultime, in particolare, trovano esplicito riconoscimento nei Principi Unidroit, come anche nel progetto di «Codice Europeo del Diritto dei Contratti» della Commissione Ole Lando, nonché nel Code Européen des contrats dell’Accademia dei Giusprivatisti Europei, ma la clausola di rinegoziazione è da ritenersi certamente valida anche nell’ordinamento italiano, nel quale parte della dottrina propende per l’approfondimento di alcune questioni di indubbia importanza, come quella relativa alla ravvisabilità, nella clausola generale di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., di una fonte di diritto-dovere di rinegoziazione dei contratti di durata (20). Cfr. P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 812 ss., il quale inoltre sottolinea (p. 814) come sia in materia di contratti di durata a porsi, in modo particolare, «il problema della rinegoziazione e della revisione (…); si pensi per esempio al contratto di appalto (art. 1664 c.c.), ai contratti di somministrazione, ai contratti internazionali, e così via. Si tratta in effetti di rapporti che normalmente richiedono molto tempo per essere instaurati, nonché investimenti speciici per la loro attuazione; ne consegue che tali contratti racchiudono un valore in sé e per sé che rischierebbe di andare irrimediabilmente perso in caso di scioglimento; senza contare le spese già effettuate in vista dell’adempimento ed il mancato guadagno. Di qui dunque la necessità di scongiurare il più possibile l’eventualità (20) 176 diriTTo e ProCesso In taluni casi tuttavia le parti contrattuali potrebbero preferire, alla conservazione del contratto, lo scioglimento del medesimo in presenza di speciiche circostanze. Ciò, in quanto non sempre è realizzabile una ricomposizione dell’originario equilibrio d’interessi sotteso alla stipula a mezzo dell’esercizio del potere unilaterale di modiica e, per ciò che concerne la rinegoziazione, non sempre la previsione del relativo obbligo assicura, in ogni momento dell’esecuzione contrattuale, la presenza di una effettiva capacità di gestione delle sopravvenienze. 2. — Ius variandi e autonomia contrattuale. L’art. 1372, 1° comma c.c. stabilisce come il contratto abbia «forza di legge tra le parti», e non possa sciogliersi «che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge»: apparentemente il rapporto contrattuale potrebbe, quindi, sciogliersi esclusivamente a fronte di un contrarius actus, ovvero nelle ipotesi previste ex lege (21) e non vi sarebbe spazio, nel nostro ordinamento giuridico, per un generalizzato potere unilaterale di modiica del rapporto contrattuale (22). In realtà, il 1° comma dell’art. 1372 c.c., in combinato disposto con il 1° comma dell’art. 1322 c.c. consente di stabilire, in via principale, come le parti debbano “semplicemente” considerarsi libere di stipulare un contratto della risoluzione del contratto. Esito che le parti possono raggiungere anche in virtù di apposite clausole di irresolubilità, riferibili non solo all’eccessiva onerosità sopravvenuta, ma anche all’impossibilità sopravvenuta ed all’inadempimento; con conseguente necessità di rinegoziare in ogni caso i termini dell’accordo al ine di garantirne la sopravvivenza». Sul punto cfr. G. sTolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, p. xIV ss., il quale sottolinea come l’art. 1372 c.c. sia la base giuridica della sovranità della volontà individuale. (21) (22) Sostengono, in quanto derogatoria a quanto statuito ex art. 1372 c.c., l’eccezionalità della normativa in tema di ius variandi, G. de nova, Il contratto ha forza di legge, in P. Cendon (a cura di), Scritti in onore di Rodolfo Sacco. La comparazione giuridica alle soglie del 3° millennio, II, Diritto civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto pubblico, diritto penale, Milano, 1994, p. 24; C. di sinno, Le clausole di determinazione degli interessi nei contratti bancari, Napoli, 1995, p. 224; F. marTorano, Il credito al consumo, in a. BronzeTTi, v. sanToro (a cura di), Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento italiano, Milano, 1991, p. 182 ss. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 177 di cui abbiano stabilito il contenuto, magari inserendovi proprio l’attribuzione, a una o più parti, del potere di modiicare il rapporto contrattuale in via unilaterale. Ritenere che il contratto sia lontano «dalla sfera individuale dei suoi autori e a questa sovraordinata» (23) impedirebbe, infatti, di elevare a fonte del rapporto contrattuale una regola ispirata ad esigenze di lessibilità del rapporto medesimo (24). Tra gli elementi comunemente rinvenibili nelle fattispecie di ius variandi, due rivestono particolare importanza, in quanto al diritto de quo: a) corrisponde mera soggezione (senza alcun bisogno di accettazione) dell’altra parte contrattuale; b) corrisponde la libertà del relativo esercizio, e ciò anche ove si tratti di fattispecie necessitanti di determinate condizioni di esercitabilità, come la sopravvenienza di determinate circostanze, ovvero la presenza di determinate cause giustiicative. Si è già sottolineato come il potere unilaterale di modiica contrattuale, potendo incidere direttamente sul rapporto contrattuale, sia collocabile all’interno della categoria dei diritti potestativi e, in particolare, dei c.dd. diritti potestativi “modiicativi” (da tenere distinti da quelli “costitutivi” – come l’occupazione di res nullius, l’acquisto di proprietà di cose smarrite da parte dell’inventore, il diritto di ottenere comunione di muro o servitù –, nonché da quelli “estintivi” – come il potere di revoca di donazioni e mandato, il recesso da società e l’esclusione del socio, il diritto di divisione di cosa comune (25)) tra cui è possibile rinvenire, ad esempio, anche il diritto di apposizione di termini, la costituzione in mora, nonché la riduzione d’ipoteca (26). In questi termini D. ruBino, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., p. 280, seguito da E. redenTi, La causa del contratto secondo il nostro codice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, p. 898, e da L. ferri, L’autonomia privata, Milano, 1959, p. 56 ss. V. inoltre, con riferimento agli ordinamenti di common law, G. gorla, La «logica-illogica» del consensualismo e dell’incontro dei consensi, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 255. (23) Cfr. g. iorio, Le clausole attributive dello ius variandi, Milano, 2008, p. 5. Con particolare riferimento alle ipotesi in cui vi è determinazione del contenuto contrattuale posteriore alla stipula del negozio, cfr. A. fiCi, Il contratto «incompleto», cit. (24) (25) Cfr. g. iorio, Le clausole attributive dello ius variandi, cit., p. 136. (26) Cfr. G. messina, Diritti potestativi, in Nuovo Dig. it., II, Torino, 1938, p. 873. 178 diriTTo e ProCesso Nell’esercizio del ius variandi vi è certamente una manifestazione unilaterale di volontà: tale unilateralità non può che ritenersi complanare all’impianto strutturale dei diritti potestativi (cioè a dire, per l’appunto, l’iniziativa unilaterale (27)), e la ratio di una simile impostazione del potere di modiica unilaterale è certamente nella sempliicazione degli strumenti di gestione contrattuale (28). Con l’esercizio del ius variandi avviene dunque una modiicazione del rapporto negoziale e l’effetto potrà, nel concreto, assumere inalità: a) negative, cioè a dire di eliminazione di uno o più elementi contrattuali accessori (29); b) positive, ove la volontà sia di produzione effetti sostitutivi ovvero integrativi di quanto inserito originariamente in stipula. In ogni caso, l’esercizio del potere unilaterale di modiica è ascrivibile ad atti o dichiarazioni di volontà di talché, ex art. 1324 c.c., sarà impugnabile per incapacità e vizi del consenso (con maggiore tutela per la parte subente modiica – come osserva parte della dottrina (30) – rispetto ad una concezione di esercizio di ius variandi quale atto giuridico in senso stretto), e in caso di pronuncia giudiziale di accoglimento dell’impugnazione proposta dal titolare del potere unilaterale di modiica non vi sarà, naturalmente, annullamento dell’intero contratto, ma del solo atto di modiica del rapporto. (27) V. sul punto B. CarPino, Diritti potestativi, in Enc. giur., xI, Roma, 1988, p. 9. (28) In proposito, e con particolare riferimento alla regola del “minimo mezzo” nell’ambito del diritto civile sostanziale, v. P. Perlingieri, Produzione scientiica e realtà pratica: una frattura da evitare, in Riv. dir. comm., 1969, I, p. 473; R. CiCala, Gli «studi sull’accollo» di Pietro Rescigno (accollo e stipulazione a favore di terzo), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1961, p. 1427 ss.; P. resCigno, Delegazione (diritto civile), in Enc. dir., xI, Milano, 1962, p. 930; G. CrisCuoli, La nullità parziale del negozio giuridico, Milano, 1959, p. 113 ss. Contra, nel senso di ritenere che tutti i negozi modiicativi debbano ascriversi – essendo inalizzati a determinare «la costruzione giuridica di situazioni nuove» – alla categoria dei negozi a contenuto positivo, T. monTeCChiari, I negozi unilaterali a contenuto negativo, Milano, 1996, p. 35. (29) (30) nt. 290. In tal senso, M. gamBini, Fondamento e limiti dello ius variandi, Napoli, 2000, p. 166, adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 179 3. — Forma e modi di esercizio del ius variandi. L’esercizio del potere unilaterale di modiica contrattuale può trovarsi sottoposto, in base a fonte legale ovvero convenzionale, a speciici requisiti anche di tipo formale. In particolare, le norme legali di previsione di ius variandi hanno in comune l’elemento della esercitabilità non meramente discrezionale né tantomeno arbitraria, e rappresentano testimonianza della volontà di un recupero della forma in termini di mezzo volto a rispettare il c.d. diritto ad una corretta informazione (31). Possono farsi, in proposito, alcuni esempi. Nel caso dei contratti del consumatore, si presumono vessatorie (quindi, nulle ex artt. 33 e 34 cod.cons., il contratto rimanendo, per il resto, valido ex art. 36, 1° comma cod.cons.) le clausole a mezzo delle quali al professionista sia consentito, senza giustiicato motivo indicato nel contratto, «modiicare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire» (art. 33, 2° comma, lett. m) cod.cons.), ed è previsto che ove le clausole siano proposte al consumatore per iscritto, le medesime debbano redigersi in modo trasparente e comprensibile (art. 35, 1° comma cod.cons.) (32). Riguardo ai contratti di viaggio vi è, poi, una generale formalizzazione del rapporto negoziale, in quanto i contratti di vendita di pacchetto turistico debbono essere redatti per iscritto e rispettando criteri di chiarezza (31) Riguardo alle conseguenze della violazione di regole in materia di trasparenza e informazione contrattuale, G. de nova, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 708 ss. Inoltre, pur rinvenendosi in determinate ipotesi una regolamentazione legale per dette conseguenze (ad es., per le rispettive categorie contrattuali, si avrà nullità ex art. 36 cod.cons., ovvero ineficacia ex art. 118 t.u.b.), precisa M. gamBini, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 227, che, con particolare riferimento «alla violazione degli obblighi di trasparenza connessi all’esercizio dello ius variandi, la sanzione dell’ineficacia derivata della modiica unilaterale sembra costituire, nel silenzio della legge al riguardo, il rimedio più congruo alla ratio delle norme che impongono in materia l’adozione di particolari misure informative». (32) In proposito, sottolinea come tale norma costituisca «espressione del principio di trasparenza», V. rizzo, Sub 2469-quater, in C.m. BianCa, f.d. Busnelli (a cura di), Commentario al capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore, Padova, 1999, p. 1176. 180 diriTTo e ProCesso e precisione (art. 35, 1° comma cod.tur.). Sempre in ordine all’importanza della forma scritta, è necessario che venditore od organizzatore forniscano per iscritto le condizioni generali, e ciò prima della stipula (art. 37, 1° comma cod.tur.), mentre in base all’art. 38, 2° comma cod.tur. le informazioni concernenti le condizioni generali applicabili vincolano organizzatore e venditore, con riferimento alle rispettive responsabilità, ad eccezione della circostanza in cui «le modiiche delle condizioni ivi indicate non siano comunicate per iscritto al turista prima della stipulazione del contratto o vengano concordate dai contraenti, mediante uno speciico accordo scritto, successivamente alla stipulazione». Anteriormente alla partenza, inine, l’organizzatore ovvero l’intermediario (33) che intenda modiicare uno o più elementi contrattuali in modo notevole deve darne avviso in modo immediato e per iscritto al turista, con indicazione sia del tipo di modiica che della conseguente variazione di prezzo (art. 91, 1° comma cod.cons.). Nel caso della subfornitura, inoltre, è prevista la stipula «in forma scritta a pena di nullità» (art. 2, 1° comma, l. n. 192/1998), e in caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, la medesima forma è prevista anche per la comunicazione, al fornitore, degli ordinativi riguardanti le singole forniture (art. 2, 3° comma, l. n. 192/1998). Si tratta, quindi, della base normativa necessaria alla comprensione della ratio della forma scritta per l’esercizio del ius variandi previsto, in favore del committente, dal 1° comma del successivo art. 6 della medesima legge, in base a cui deve ritenersi «nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi ad uno di essi la facoltà di modiicare unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura. Sono tuttavia validi gli accordi contrattuali che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente preissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura». Quanto ai contratti bancari, inine, oltre ad essere previsto ex art. 117 t.u.b. come debbano ad substantiam redigersi per iscritto, è necessario ex art. 118 t.u.b. che anche l’esercizio del ius variandi, oltre ad essere accompagnato (33) Anteriormente, ex abrogato art. 91, 1° comma cod.cons., si parlava in termini di «venditore». adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 181 da un preavviso di almeno 60 giorni ed esercitato a fronte di giustiicato motivo, avvenga in forma scritta ovvero a mezzo di altro supporto concordato col cliente. Con riferimento, poi, alla forma dell’atto di esercizio del ius variandi di fonte convenzionale, pare opportuno rinvenire il principio di riferimento nella necessità di una omogeneità formale (34), di talché l’atto di esercizio del ius variandi dovrà rivestire, come la relativa clausola attributiva, la medesima forma del contratto cui il diritto in questione si riferisce (35) e ciò dal momento che, nel modiicare il rapporto si ha, in sostanza, esercizio di un diritto previsto ex contractu. Vale la pena notare, ancora, come il carattere dell’atto di esercizio del potere unilaterale di modiica debba ritenersi ragionevolmente di tipo recettizio, pertanto, alla luce della disciplina generale dei contratti, l’atto unilaterale di modiica potrà spiegare i propri effetti, ex art. 1334 c.c., solo dal momento in cui sia conosciuto dal soggetto cui sia destinato. A tal proposito, non può non parlarsi delle ipotesi in cui l’esercizio del ius variandi avvenga a mezzo di facta concludentia, e vi sono alcuni casi normativamente previsti tra cui quello del contratto di viaggio, nel quale, ove una parte essenziale dei servizi prestati dal contratto non sia effettuabile posteriormente alla partenza, l’organizzatore deve assicurare alternative idonee alla prosecuzione del viaggio, ovvero rimborsare il turista per la parte prevista e non goduta (cfr. art. 41, 4° comma cod.tur.), e in caso d’impossibilità di ricorrere a tali due soluzioni dovrà predisporre per il turista un mezzo di trasporto equivalente per il ritorno, con restituzione della differenza tra i costi di prestazioni previste ed effettuate sino al rientro (art. 41, 5° comma cod.tur.). Sul punto, T. monTeCChiari, La forma degli atti giuridici unilaterali, Milano, 1998; v. inoltre F. venosTa, La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997. (34) Contra, sul punto, Cass., 24 giugno 1982, n. 3839, in Giust. civ., 1983, I, p. 553, in base a cui all’onere del requisito di forma si sottraggono le determinazioni concernenti le modalità esecutive delle attribuzioni contrattuali: «L’obbligo della forma scritta ad substantiam, con riguardo al contratto avente ad oggetto il trasferimento o la promessa di trasferimento di bene immobile, non investe anche gli elementi non essenziali del contratto stesso, quali quelli inerenti alle modalità di esecuzione, che possono essere regolamentati con accordi autonomi, soggetti alla comune disciplina probatoria». (35) 182 diriTTo e ProCesso L’esercizio del ius variandi deve avvenire nel rispetto, ovviamente, anche del principio di buona fede ex art. 1375 c.c., e ciò a prescindere da originari squilibri giuridico-economici tra le parti dal momento che, a fronte di sopravvenienze modiicative del rapporto, sarà necessario conferire adeguata e costante tutela all’afidamento di una parte contrattuale in ordine all’esercizio, da parte dell’altra, del ius variandi convenzionalmente o normativamente previsto. In proposito è utile il richiamo, a titolo esempliicativo, al caso analogo del diritto potestativo di recedere ad nutum dal rapporto contrattuale: la Cassazione ha infatti avuto modo di sottolineare, sul punto, come la facoltà di recedere ad nutum non implichi «totale insindacabilità del modo di esercizio del diritto potestativo di recesso», di talché ogni qualvolta risulti uno squilibrio economico originario tra le parti di un contratto, al principio di buona fede dovrà improntarsi l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente in posizione giuridicamente ed economicamente più forte (36). (36) Cfr. Cass., Sez. un., 2 novembre 1979, n. 5688, cit., la quale rinviene nel principio di correttezza «ampia operatività (…) in quanto da esso sono desumibili regole di azione sia rispetto all’esercizio di un potere che rispetto all’adempimento di un dovere». Ma v. anche, in proposito, Cass., 19 settembre 2000, n. 12405, in Dir. e prat. soc., 2001, 4, p. 69, nonché in Foro it., 2001, I, c. 2326, in base a cui «La dichiarazione di fallimento non può essere il frutto di una condotta abusiva da parte del singolo creditore e deve ritenersi quindi preclusa ogni qual volta lo stato d’insolvenza sia stato determinato da un suo comportamento improntato a mala fede, in quanto contrario al dovere di cooperare per la realizzazione degli interessi della controparte»; Cass., 18 dicembre 1985, n. 6475, in Giur. it., 1986, I, 1, c. 1650, con nota di C. di loreTo, Il riiuto sistematico del proponente di concludere gli affari proposti dall’agente, secondo cui «Il termine “esecuzione” previsto dagli artt. 1748 e 1749 c.c., che contemplano il diritto dell’agente alla provvigione rispettivamente per gli affari che abbiano avuto regolare esecuzione e per quelli che non abbiano avuto esecuzione per causa imputabile al preponente, va inteso in senso tecnico, e quindi presuppone che i contratti promossi dall’agente siano stati conclusi; pertanto, l’art. 1749 c.c. non si applica nel caso di affari proposti dall’agente ma non conclusi per mancata accettazione del preponente; quest’ultimo, nell’esercizio della libertà d’impresa, non è vincolato dall’attività dell’agente e può legittimamente riiutare le sue proposte, ma il riiuto deve essere conforme al principio di buona fede sancito dall’art. 1375 c.c. in tema di esecuzione del contratto; conseguentemente, il riiuto pregiudiziale di dar corso alle proposte promosse dall’agente (cosiddetto riiuto sistematico), violando predetto principio, è fonte di risarcimento del danno». adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 183 4. — Ius variandi: natura e proili funzionali. Con riferimento alla possibile funzione del potere unilaterale di modiica contrattuale, alcuni studiosi hanno potuto rinvenirne l’essenza in una sorta di parziale “trasformazione” dell’assetto degli interessi sottesi alla stipula, nella fondamentale intenzione della conservazione degli originari equilibri ovvero in una proporzionata ed equa modiica dei medesimi, con l’aggiunta, tuttavia, dell’osservazione in base a cui deve ritenersi necessaria, nella concreta fattispecie, la veriica di liceità e meritevolezza di tutela giuridica della modiica che s’intenda effettuare, di talché, «dovendo l’esercizio dell’autonomia negoziale risultare, comunque, conforme ai principi generali del nostro ordinamento giuridico, i negozi unilaterali di esercizio dello ius variandi saranno sottoposti al giudizio di liceità e di meritevolezza degli interessi con gli stessi in concreto perseguiti, di cui all’art. 1322, comma 2, c.c.» (37). A proposito di detto giudizio di meritevolezza, può anzitutto considerarsi come sia il medesimo legislatore a sottolineare che una delle forme di esercizio del diritto è rinvenibile nel compimento di atti o negozi giuridici (38), cioè a dire mezzi di gestione del diritto generalmente inteso. Ed è ingente la quantità di diritti esaurentisi nel potere di compimento di un determinato atto favorevole al relativo titolare: si tratta, in sostanza, dei più volte citati diritti potestativi. Ma al ine di veriicare se vi sia o meno un’autonoma causa del potere unilaterale di modiica è necessaria la disamina delle relative fonti, e a prescindere dalle modalità di esercizio, rivestendo queste ultime solo il “momento dinamico” del diritto (39). (37) Cfr. M. gamBini, Fondamento e limiti dello ius variandi, cit., p. 191. V. in argomento R. saCCo, L’esercizio del diritto, in aa.vv., La parte generale del diritto civile, 2, Il diritto soggettivo, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2001, p. 286 ss. (38) Il proilo causale rimane, quindi, estraneo all’atto unilaterale a mezzo del quale viene esercitato il potere unilaterale di modiica, e ciò in quanto l’atto di esercizio di un diritto soggettivo non può ingenerare questioni concernenti il proilo funzionale (cfr. G. messina, Diritti potestativi, cit., p. 879); ciò porta, inoltre, alla mancata conigurabilità di ipotetiche questioni relative alla “atipicità” degli atti unilaterali con cui si disponga di propri diritti, atti unilaterali produttivi di effetti giuridici che incarnano l’esercizio del potere dispositivo relativo al contenuto di un diritto (F. galgano, Diritto civile e commerciale, II, 2, Padova, 2004, p. 285). (39) 184 diriTTo e ProCesso Nulla quaestio, ovviamente, con riferimento alla fonte di rango legale, ove la meritevolezza degli interessi perseguiti deve darsi per acclarata, cosa che, al contrario, non necessariamente accade per le clausole attributive di ius variandi (40). In dottrina, sotto il proilo della disamina del proilo causale, si è avuto modo di evidenziare come la generalità delle clausole attributive di ius variandi sia annoverabile nella categoria delle tecniche convenzionali di “lessibilizzazione”, in ottica conservativa del contratto, tra cui si rinviene l’adeguamento automatico (attraverso il ricorso a parametri oggettivi), l’adeguamento del terzo (a mezzo di arbitraggio), nonché il ricorso ad accordo successivo, rinegoziativo o, comunque, modiicativo (41). In sostanza, nelle suddette ipotesi la clausola attributiva di ius variandi è potenzialmente idonea a realizzare l’interesse, meritevole di tutela giuridica, alla lessibilità contrattuale in ottica conservativa­riequilibrativa (42). Ma solo potenzialmente, almeno in via di principio: non può ritenersi meritevole di tutela, infatti, la clausola attributiva di ius variandi al titolare d’impresa che vi faccia ricorso solo in base alle proprie esigenze di gestione imprenditoriale, in quanto l’idea di lessibilità del rapporto non è idonea a “sostituire”, in questa particolare ipotesi, una malcelata illiceità insita in un abnorme potere unilaterale. Sarà necessario, quindi, valutare l’effettiva meritevolezza delle singole fattispecie concrete di clausola attributiva di ius variandi in base all’art. 1322, 2° comma c.c., e ciò sarà possibile anche attraverso un raffronto con le fattispecie di ius variandi di fonte legale (43), in particolare, con quelle ove il (40) V. G.B. ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 394 s. Cfr. A. fiCi, Osservazioni in tema di modiicazione unilaterale del contratto («jus variandi»), in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 401 ss. (41) Ancora A. fiCi, Osservazioni in tema di modiicazione unilaterale del contratto («jus variandi»), cit., p. 406. (42) (43) Quanto alle ipotesi di fonte legale, ed all’idea di un acclarato presunto controllo a monte della relativa meritevolezza di tutela giuridica cfr., ex multis, le osservazioni di F. galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 2004, p. 227; G. siCChiero, Tramonto della causa del contratto?, in Contr. e impr., 2003, p. 107; A. CaTaudella, I contratti. Parte generale, Torino, 1990, p. 184; R. sCognamiglio, Dei contratti in generale. Disposizioni preliminari. Dei requisiti del contratto. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 185 potere di modiica unilaterale risulti esercitabile in assenza di qualsivoglia discrezionalità (come, ad es., nel caso di locazione: art. 1577 c.c.; afitto di fondo rustico: artt. 1635, 1° comma e 1636 c.c.; afitto a coltivatore diretto: art. 1648 c.c.; assicurazione: artt. 1897 e 1898 c.c.). Tale controllo potrà essere effettuato, da parte dell’interprete, in base alle norme regolatrici di casi simili e di materie analoghe ovvero, in mancanza, in base ai principi generali dell’ordinamento giuridico (44). Certamente, alla luce della normativa, della giurisprudenza nonché dei progetti di codiicazione civile europea, non può non notarsi come l’esigenza che le prestazioni contrattuali rimangano tra loro equilibrate risponda ad un principio di ordine pubblico economico (45); non essendo possibile Artt. 1321-1352 c.c., in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 42. Contra, G.B. ferri, Il negozio giuridico, 2a ed., Padova, 2001, p. 109 ss.; id., Meritevolezza degli interessi ed utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 91 ss.; id., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 129 ss.; F. Carresi, Il contratto, I, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1987, p. 245; C. sCognamiglio, Interpretazione del contratto e interesse dei contraenti, Padova, 1992, p. 245. (44) La giurisprudenza di legittimità, mentre in un primo momento (Cass., 6 giugno 1967, n. 1248, in Mass. Foro it., 1976; Cass., 4 giugno 1954, n. 1825, in Giur. it., 1955, I, c. 518; Cass., 27 maggio 1971, n. 1574, ivi, 1972, I, 1, c. 1510) era propensa a considerare bastevole la mera veriica inalizzata all’accertamento che contratti non tipizzati non risultassero violativi di norme legali, posteriormente, come sottolinea R. saCCo, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it. Vassalli, VI, t. 2, Torino, 1975, p. 591, si è “spinta” in misura sempre maggiore a veriicare l’effettivo perseguimento, da parte dei soggetti coinvolti nella stipula, di interessi meritevoli di tutela e, nell’ottica di tutelare la parte debole del contratto, sinanche giungendo alla disamina dell’impianto causale di contratti tipici: cfr. Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, p. 1718, con nota di F. rolfi, La causa come «funzione economico sociale»: tramonto di un idolum tribus?, in Giur. it., 2007, p. 2203, con nota di richiami di G. BosCheTTi, in Contratti, 2007, p. 621, con nota di F. rimoldi, La causa quale ragione in concreto del singolo contratto, e in Guida al dir., 2006, 31, p. 55, la quale osserva che «La causa quale elemento essenziale del contratto non deve essere intesa come mera ed astratta funzione economico sociale del negozio, bensì come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del singolo, speciico contratto, a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto, fermo restando che detta sintesi deve riguardare la dinamica contrattuale e non la mera volontà delle parti». In generale, sulle varie teorie in tema di causa, V. roPPo, Il contratto, in Tratt. dir. priv. Iudica-Zatti, Milano, 2001, pp. 361-395. (45) In proposito, U. Carnevali, Patto commissorio, in Enc. dir., xxxII, Milano, 1982, p. 186 diriTTo e ProCesso una proiezione, del motivo oggettivato nella stipula (46), ad oggettivi criteri di 501, il quale, in tema di patto commissorio, la l’illiceità della relativa causa sia spiegabile facendo riferimento al principio di ordine pubblico economico «qual è quello che commisura la soggezione del patrimonio del debitore all’ammontare del debito». (46) Sulla moderna concezione di causa e, in particolare, di “causa in concreto” quale interesse rilevante penetrato nell’atto, si v. A. Palazzo, a. sassi, Trattato della successione e dei negozi successori, 1, Categorie e specie della successione, Torino, 2012, spec. p. 294 ss.; A. Palazzo, Contenuto e forma, in id. (a cura di), I contratti di donazione, in Tratt. Rescigno-Gabrielli, 11, Torino, 2009, p. 45 ss.; id., Le donazioni. Artt. 769-809, in Comm. Schlesinger, 2a ed., Milano, 2000, p. 5 ss.; id., Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. Sacco, Torino, 2000, pp. 75 ss., 120 ss.; id., La causalità della donazione tra ricerca storica e pregiudizio dogmatico, in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 245 ss.; id., Promesse gratuite e afidamento, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 181 ss.; id., Proili di invalidità del contratto unilaterale, ivi, 2002, I, p. 587 ss., spec. pp. 591, nt. 15, 594 ss. e 598 s. In precedenza, si v. lo studio fondamentale di G. gorla, Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, I, Lineamenti generali, Milano, 1955, p. 227 ss., il quale, tuttavia, non rileva l’importanza dei motivi oggettivati che reggono l’eficacia dell’atto come, invece, fa Palazzo nelle opere sopra citate: cfr. R. saCCo, Recensione ad Antonio Palazzo, Le donazioni. Artt. 769809 [1a ed., 1991], in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 545 ss.; F. gazzoni, Recensione ad Antonio Palazzo, Le donazioni. Artt. 769-809 [1a ed., 1991], in Riv. not., 1994, p. 202 ss.; M. Paradiso, Recensione ad Antonio Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 173 ss. In giurisprudenza, Cass., 9 ottobre 1991, n. 10612, in Giust. civ., 1991, I, p. 2895, con nota di f. gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare; e più di recente, Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, cit.; Cass., 16 febbraio 2010, n. 3589, in Contratti, 2010, p. 500, nonché in Giur. it., 2011, p. 307, con nota di C.A. nigro, Collegamento contrattuale legale e volontario, con particolare riferimento alla (vecchia e nuova) disciplina del credito ai consumatori; in tema di revocatoria fallimentare, Cass., Sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538, in Foro it., 2010, I, c. 2460, con nota di F.S. CosTanTino, Adempimento di debito altrui, fallimento del solvens e revocatoria al vaglio delle Sezioni Unite (con chiose su «causa concreta» e vantaggi compensativi nelle operazioni di gruppo), nonché in Giur. it., 2010, p. 2080, con nota di M. sPioTTa, La «causa concreta» del pagamento da parte del fallito di un debito altrui, in Contratti, 2010, p. 1000, con nota di A. di Biase, La rilevanza della «causa concreta» nella revocatoria fallimentare del pagamento del debito altrui, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 748, con nota di M. giuliano, Adempimento di debito altrui: la causa concreta quale criterio di individuazione della gratuità od onerosità dell’atto, e in Fallimento, 2010, p. 799, con nota di G. minuToli, Onerosità e gratuità dell’adempimento del terzo, vantaggio compensativo ed onere della prova. Si v. inoltre, con particolare riferimento alla clausola rinegoziativa, d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto positivo italiano, cit., p. 980 s., il quale evidenzia che, acclarata l’idoneità del «concetto di causa (…) a ricomprendere anche gli scopi atipici degli autori del negozio, occorre pur sempre stabilire quali di quegli scopi in concreto, di volta in volta perseguiti, possano nell’elemento causale essere ricompresi. L’elemento scriminante è l’individuazione di criteri per stabilire rispetto a quali, tra tutti gli scopi concretamente avuti di mira dalle parti, la nozione di causa si estenda ovvero, più utilmente ai adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 187 equivalenza tra prestazioni (47), può comunque farsi riferimento al principio ini che qui interessano, a quali tra loro il negozio debba reputarsi funzionalizzato ai sensi dell’ordinamento positivo. La considerazione della causa in senso individuale consente di far emergere dall’indifferenza giuridica interessi ulteriori rispetto a quelli tipici del contratto, evidenziando che la causa intesa come funzione individuale, al pari della causa concepita come funzione sociale, non può giustiicare la rilevanza di inalità non sorrette da corrispondenti precetti contrattuali». In argomento v., in dottrina, F. galgano, Il negozio giuridico, III, 1, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1988, p. 598, il quale sottolinea come siano di ostacolo, al sindacato giurisdizionale sulla equivalenza tra prestazioni dedotte in contratto, i principi di cui agli artt. 1322, 1° comma e 1372, 1° comma c.c.; R. lanzillo, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, cit., p. 274 ss.; M. TimoTeo, Nuove regole in materia di disparità contrattuale: un’analisi comparativa dell’art. 3.10 dei Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, in Contr. e impr./Europa, 1997, p. 141. Di recente, v. E. luCChini guasTalla, Rilessioni in tema di clausola penale, in Riv. dir. civ., 2014, p. 97, il quale osserva in proposito come «d’altra parte, sarebbe curioso se, ogni volta che un contraente riuscisse a spuntare un prezzo più conveniente, dovesse sottoporsi al sindacato del giudice. La norma stessa dell’art. 1384 c.c.» deponendo a favore di tale orientamento, dal momento che, «se il principio generale fosse quello dell’equilibrio delle prestazioni, il giudice non dovrebbe intervenire esclusivamente nel caso di penale manifestamente eccessiva, ma anche in caso di penale eccessivamente modesta o irrisoria, così come è previsto dalla normativa codicistica francese, soluzione, quest’ultima che (…) non può, rebus sic stantibus, avere ingresso nel nostro ordinamento»; ma v. anche f. TruBiani, La rinegoziazione contrattuale nel diritto privato europeo, in Obbl. e contr., 2012, p. 140 s. In giurisprudenza, v. Cass., 13 luglio 1984, n. 4114, in Mass. Giur. it., 1984, secondo cui «L’eccessiva onerosità sopravvenuta che, ai sensi dell’art. 1467 c.c., giustiica la risoluzione dei contratti ad esecuzione differita, non è ravvisabile nella mera variazione del prezzo della cosa promessa in vendita, rientrante nella normale alea contrattuale, ma solo in quella che comporta una notevole alterazione del rapporto originario fra le prestazioni, determinando nel loro ambito una situazione di squilibrio dei rispettivi valori con aggravio che alteri l’iniziale rapporto di equivalenza, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra»; Cass., 26 marzo 1996, n. 2635, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 476, con nota di A. aCCornero, Errore sul prezzo ed errore sul valore: due concetti distinti ma non ancora riconosciuti dalla giurisprudenza, e in Corr. giur., 1997, p. 91, con nota di G. Comandè, Erronea emissione di ricevuta a saldo da parte del creditore: imputet sibi, ove di evidenzia che «Un notevole squilibrio economico tra le prestazioni di due contraenti non determina arricchimento senza causa qualora tale squilibrio derivi da un contratto validamente concluso dagli stessi», di talché «l’errore sul prezzo della prestazione, pattuito dai contraenti», pur potendo «dare luogo all’azione di rescissione per lesione», «non costituisce errore essenziale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1428 c.c., e non è causa di annullabilità del contratto, qualunque sia l’entità della sproporzione tra le reciproche prestazioni, salvo che non si traduca in un errore su di una qualità essenziale della cosa», e ciò anche alla luce del (47) 188 diriTTo e ProCesso generale di necessaria, costante proporzione tra prestazioni: ciò è particofatto che l’irrilevanza di suddetto errore deriva dal mancato riconoscimento, da parte dell’ordinamento italiano, di un principio di necessaria equivalenza tra prestazioni, e l’eventuale squilibrio economico di queste, quando non rientrante in altre igure portanti all’invalidità del contratto (come la rescissione), non può ritenersi iniciantene la validità. In proposito, vale la pena ricordare come lo stesso legislatore del ‘42 – che non ha accolto il postulato della subordinazione della vincolatività contrattuale all’oggettiva equivalenza delle prestazioni – non disconosca completamente la questione della garanzia di equità in capo al sinallagma: emblematica di ciò può ritenersi certamente la disciplina di cui all’art. 1448 c.c., alla luce di cui la parte danneggiata può chiedere la rescissione del contratto non equilibrato, ove il disequilibrio promani dallo stato di bisogno, di una parte, di cui, per trarre vantaggio, l’altra abbia approittato: sul punto, cfr. f. galgano, Sull’aequitas delle prestazioni contrattuali, in Contr. e impr., 1993, p. 419, il quale sottolinea come «Se non intervengono fonti di integrazione del contratto, limitatrici dell’autonomia contrattuale, come la determinazione autoritativa del prezzo o delle tariffe da parte dell’autorità pubblica, o come la determinazione del corrispettivo secondo criteri di legge (…) l’autonomia contrattuale» debba intendersi «in linea di principio, insindacabile e incensurabile». L’oggettivo squilibrio tra prestazioni rilevava, inoltre, alla luce dell’art. 1815, 2° comma c.c. in tema di mutuo, molto prima della riforma di cui alla l. 7 marzo 1996, n. 108 («Disposizioni in materia di usura»), di talché, in caso di accordo su «interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti nella misura legale»: da notare come l’art. 1815, 2° comma c.c. non faccia riferimento né a stato di bisogno, né a relativo approittamento. La nullità della clausola contenente interessi usurari sembrerebbe pertanto determinata dall’oggettivo squilibrio tra le due prestazioni: in realtà, giurisprudenza e parte della dottrina hanno ravvisato la necessità – ai ini applicativi della norma e di determinazione dell’interesse usurario – della presenza delle medesime «condizioni richieste dalla legge penale per la sussistenza del delitto di usura»: in proposito, Cass., 12 giugno 1973, n. 1693, in Foro it., 1974, c. 476; Cass., 26 agosto 1993, in Arch. civ., 1994, p. 31; Trib. Palermo, 9 marzo 1992, in Temi Sic., 1992, p. 14; in dottrina, g. miraBelli, Usura e rescissione, in Dir. e giur., 1947, p. 49; a. Candian, Contributo alla dottrina della usura e della lesione nel diritto positivo italiano, Milano, 1946, p. 56. Detto orientamento, tuttavia, trova ostacolo in altra parte della dottrina (g. sCherillo, In tema di usura e lesione, in Giur. it., 1948, I, c. 53; e. quadri, Proili civilistici dell’usura, in Foro it., 1995, V, c. 344; ma v. anche g. giamPiCColo, Comodato e mutuo, in Tratt. dir. civ. diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Milano, 1972, p. 90, che sottolinea come l’art. 1815, 2° comma c.c. non faccia riferimento ad un’”attività” usuraria quanto, piuttosto, ad un “compenso” usurario, concetto diverso in quanto indicante il vantaggio esorbitante che risulti conseguito anche senza approittamento di debolezza di altri). Ancor più rilevante, in ogni caso, la disciplina introdotta nel 1996 in materia di usura: nel revisionato art. 644 c.p. scompare, infatti, il riferimento all’approittamento dello stato di bisogno, con ravvisabilità del reato di usura alla luce della stipulazione di un contratto con cui una parte si faccia dare, ovvero promettere, interessi od altri vantaggi usurari, cioè a dire si sia in presenza di una controprestazione sproporzionata (su cui g. meruzzi, Usura, in Contr. e impr., 1996, p. 770, il quale sottolinea come adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 189 larmente visibile nell’ambito dei c.dd. contratti di durata, riguardo ai quali i rischi contrattuali legati alle sopravvenienze perturbative portano alla ricerca di strumenti rimediali adeguati e soprattutto – si perdoni il calembour – “adeguanti”, sia di matrice legale che pattizia. E proprio alla luce di tale principio di ordine pubblico economico, di mantenimento dell’equilibrio tra le prestazioni, la tutela va assicurata alla stessa operazione economica sottesa alla stipula, con un occhio di riguardo, pertanto, non ad una igura contrattuale connotata da speciiche caratteristiche (come accade, ad esempio, nel caso della tutela del consumatore (48)), ma al generale interesse, che è della totalità delle parti contrattuali coinvolte, a vedersi garantito un rapporto contrattuale equilibrato. In conseguenza a quanto sinora detto, dovrà ritenersi meritevole di tutela giuridica la clausola attributiva di ius variandi la quale consenta, in caso di sopravvenienze perturbative degli equilibri contrattuali, d’intervenire ex uno latere al ine di riportare l’equilibrio tra le prestazioni (49). 5. — Clausola rinegoziativa: origini e scopo. L’esercizio dell’autonomia privata in funzione integrativa di quanto già predisposto dall’ordinamento mira, in via di principio, ad una tutela quanl’espressa menzione del requisito della mancata proporzionalità tra le prestazioni costituisca «uno dei punti di emersione, a livello normativo, di una tendenza, tanto legislativa che dottrinale, già da tempo in atto, e diretta a limitare il dogma dell’autonomia contrattuale, inteso come libera pattuizione, da parte dei contraenti, del contenuto dell’accordo, a favore di una tutela del contraente più debole, per il tramite dell’imposizione di un sostanziale equilibrio economico tra le prestazioni corrispettive delle parti»; ma v. anche a. riCCio, Le conseguenze civili dei contratti usurari: è soppressa la rescissione per lesione ultra dimidium?, in Contr. e impr., 1998, p. 1033). Per una disamina più recente in materia di tutela civile nelle diverse ipotesi di usura pecuniaria e di usura reale, v. la pregevole disamina di A. sassi, La tutela civile nei contratti usurari, in a. Palazzo, a. sassi, f. sCaglione, Permanenze dell’interpretazione civile, cit., p. 329 ss. Cfr. M. Bessone, Economia del diritto e ordine pubblico economico a tutela dei consumatori, in Giur. it., 1984, IV, c. 92. (48) Cfr. F. BoChiCChio, Impegni di una delle parti nelle trattative e conclusione del contratto a condizioni diverse, in Contr. e impr., 2006, p. 905. (49) 190 diriTTo e ProCesso to più concreta degli interessi dedotti in stipula e che si trovano, pertanto, alla base del motivo oggettivato: la regola legale, infatti, spesso costituisce il risultato di un giudizio precostituito su basi al contempo di prassi, giurisprudenza e studio, tuttavia dificilmente potrà mai essere costantemente in linea con i continui cambiamenti propri della pratica degli affari che, per sua stessa natura, è in continua evoluzione. Nel diritto dei contratti, che ad oggi contiene anche l’allargamento a fattispecie di promanazione internazionale, si è sempre più imposto un atteggiamento di conservazione “estrema” del rapporto negoziale, non più semplice fattispecie di origine e gestione autonoma, ma fattispecie di origine autonoma, con gestione alimentata non solo dal principio di buona fede: è in tale contesto che, da ormai qualche decennio, è possibile scorgere nel panorama internazionale del diritto dei contratti la ricerca di strumenti di gestione e soprattutto conservazione degli interessi sottesi alla stipula, soprattutto di fronte a possibili sopravvenienze perturbative degli equilibri contrattuali propri della genesi negoziale. Il riferimento è quindi alla c.d. clausola rinegoziativa del contratto (50), nata (50) In tema di clausola rinegoziativa del contratto la dottrina è pressoché ampia: A. frignani, Factoring, leasing, franchising, venture capital, leveraged buy-out, hardship clause, countertrade, cash and carry, merchandising, know how, securitization, Torino, 1996; id., Arbitrato e hardship clause: una prassi internazionale nuova per una diversa allocazione e gestione del rischio contrattuale, in Rass. arbitrato, 1980, p. 1 ss.; id., Il contratto internazionale, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da Galgano, xII, Padova, 1990; id., Le clausole di hardship, in u. draeTTa, C. vaCCà (a cura di), Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, p. 323; id., La hardship clause nei contratti internazionali e le tecniche di allocazione dei rischi negli ordinamenti di civil e common law, in Riv. dir. civ., 1979, p. 680; id., v. Hardship clause, in Noviss. Dig. it., App., Torino, 1982, p. 1180; U. draeTTa, Il diritto dei contratti internazionali. La patologia dei contratti, Padova, 1988; A. gorni, Le clausole di rinegoziazione, in C. vaCCà (a cura di), Il conlitto del Golfo e i contratti di impresa. Esecuzione, adattamento e risoluzione in uno scenario di crisi. Quaderni per l’arbitrato e per i contratti internazionali, Milano, 1992, p. 37; F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, passim; id., Modiicazioni del mercato e disciplina dei contratti di fornitura di energia, Rimini, 1991, passim; T. galleTTo, v. Clausola rebus sic stantibus, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, p. 389; P. TarTaglia, L’adeguamento del contratto alle oscillazioni monetarie, Milano, 1987, p. 77 ss.; C.G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti. Artt. 1467-1469, in Cod. civ. Comm. Schlesinger, Milano, 1995, p. 145; V. kurkdJian, Le clausole di adeguamento nei contratti di lunga durata, in Comm. internaz., 1992, 2, p. 83; C. rossello, Soprav- adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 191 venienze impreviste e adattamento del contratto nel diritto inglese e statunitense, in Dir. comm. int., 1988, p. 465; M.J. Bonell, Force majeure e hardship nel diritto uniforme della vendita internazionale, ivi, 1990, p. 543; S.M. CarBone, R. luzzaTo, I contratti del commercio internazionale, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 11, Torino, 1984, p. 171; M.E. kleCkner, La patologia del contratto internazionale. I contratti in generale, in Giur. sist. civ. e comm. fondata da Bigiavi, 1991, I, p. 993; P. gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, cit.; M. TimoTeo, Contratto e tempo. Note a margine di un libro sulla rinegoziazione contrattuale, in Contr. e impr., 1998, p. 619; d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto positivo italiano, cit., p. 951 ss.; M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 411 ss.; S. landini, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, cit., p. 179 ss.; F.P. PaTTi, Collegamento negoziale e obbligo di rinegoziazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 120 ss.; e. del PraTo, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, cit., p. 801 ss. (rinvenibile anche in id., Lo spazio dei privati. Scritti, Bologna, 2016, p. 469 ss., nonché in g. alPa (a cura di), Le clausole dei contratti del commercio internazionale. Seminario del 20 giugno 2014, Milano, 2016); C. Crea, Connessioni tra contratti e obblighi di rinegoziare, Napoli, 2013; L. CasTelli, L’obbligo di rinegoziazione, in Contratti, 2016, p. 185 ss.; A. Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Napoli, 2017. Con riferimento alla dottrina straniera riguardante i contratti stipulati tra soggetti eterogenei si v., in particolare, B. oPPeTiT, L’adaptation des contrats internationaux aux changements de circonstances: la clause de «hardship», in Journ. dr. int., 1974, p. 794 ss.; P. kahn, Force majeure et contrats internationaux de longue durée, ivi, 1975, p. 467 ss.; M. fonTaine, Les clauses de hardship, aménagement conventionnel de l’imprévision dans les contrats internationaux à long terme, in Dr. prat. comm. int., 1976, p. 7 ss.; id., Droit des contrats internationaux. Analyse et rédaction de clauses, Paris, 1989, p. 249 ss.; P. fouChard, L’adaptation des contrats à la conjoncture économique, in Rev. arb., 1979, p. 67 ss.; C.M. sChmiTThoff, Hardship and intervener clauses, in Journ. bus. l., 1980, p. 82 ss.; A. ghozi, La modiication de l’obligation par la volonté des parties, Paris, 1980; P. van ommeslaghe, Les clauses de force majeure et d’imprévision (hardship) dans les contrats internationaux, in Rev. de dr. int. et de dr. comp., 1980, p. 15; R. faBre, Les clauses d’adaptation dans les contrats, in Rev. trim. dr. civ., 1983, I, p. 1; G. rouheTTe, La révision conventionnelle du contrat, in Rev. int. dr. comp., 1986, p. 369 ss.; G.R. delaume, Change of circumstances and force majeure clauses, in Transnational law, 1981, p. 333; D.M. PhiliPPe, Changement des circonstances et bouleversement de l’économie contractuelle, Bruxelles, 1986; M. BarTels, Contractual adaptation and conlict resolution, Antwerp-Boston-London-Frankfurt a.M., 1985; N. horn (ed.), Adaptation and Renegotiation of Contracts in International Trade e Finance, Antwerp-Boston-London-Frankfurt a.M., 1987; W. PeTer, Arbitration and renegotiation of international investment agreements, London, 1995; G. feChT, Neuverhandlungspltchten zur Vertragsänderung unter besonderer Berücksichtigung des bundesdeutschen Recht und der UN-Kodizes über Technologietransfer und das Verhalten transnationaler Unternehmen, München, 1988; A. nelle, Neuverhandlungsplichten. Neuverhandlungen zur Vertragsanpassung und Vertragsergänzung als Gegenstand von Plichten und Obliegenheiten, München, 1994; H. eidenmüller, Neuverhandlungsplichten bei Wegfall der Geschäftsgrundlage, in Zip, 1995, p. 1063. 192 diriTTo e ProCesso e sviluppatasi nel panorama contrattuale internazionale (51), per poi approdare anche a livello di contrattualistica maggiormente “localizzata”: per sua natura, non incanalabile in modo perfetto all’interno della totalità degli schemi contrattuali e, pertanto, adattanda di volta in volta alle concrete fattispecie. Lo scopo perseguito con la stipula di una clausola rinegoziativa è la regolamentazione del fenomeno delle sopravvenienze a mezzo d’imposizione, alle parti, di rinegoziare l’assetto degli interessi sottesi alla stipula, e ciò attraverso la preigurazione, in sede di stipula medesima, di un’alternativa alla mera estinzione del rapporto contrattuale al sopraggiungere di circostanze risolutorie. L’esigenza principale, in questo senso, è quella di prevedere quante più possibili variazioni veriicabili nel corso del rapporto negoziale, individuandone l’incidenza quali-quantitativa sull’assetto degli interessi. A fronte della dificoltà d’individuare dette variabili, tuttavia, spesso viene fatto riferimento al fenomeno rinegoziativo in senso più “metodologico” che non di “risposta precisa” ad ogni possibile evento sopravvenuto: rinegoziazione intesa, pertanto, in termini di strumento a mezzo del quale le parti, in ottica (ri)costruttiva, debbano sentirsi vincolate ad una “rinnovazione” del rapporto contrattuale, in stretta connessione con il mantenimento degli originari equilibri. Il rapporto contrattuale va conservato e difeso dalla sua risoluzione, la quale a sua volta spesso non costituisce solo un fallimento dell’operazione economica, bensì anche un inutile dispendio di mezzi economici e di tempo dificilmente recuperabili con altra trattativa il più delle volte nata, per l’appunto in prima istanza, intuitu personae (52). È alla luce di ciò che nella pratica internazionale degli affari è nata la tendenza ad apprestare metodi e strumenti volti a gestire i rischi propri (51) Tra i contributi di maggiore interesse in ordine alla disamina dell’espansione a livello internazionale della clausola rinegoziativa, v. M. hervoChes, B.F. lefeBvre, Contrats internationaux: dificultés d’exécution, in Bull. eur. et int., 1995, p. 15; M. fonTaine, Droit des contrats internationaux. Analyse et rédaction de clauses, cit., p. 254; A. gorni, Le clausole di rinegoziazione, cit., p. 36; A. frignani, Le clausole di hardship, cit., p. 324; S.M. CarBone, R. luzzaTo, I contratti del commercio internazionale, cit., p. 170. P. kahn, Force majeure et contrats internationaux de longue durée, cit., p. 475; A. frignani, Le clausole di hardship, cit., p. 324. (52) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 193 dell’esecuzione contrattuale e la rinegoziazione costituisce, in tale sfondo, lo strumento principe (53): trova in tal modo maggiori ostacoli il concetto d’immutabilità contrattuale a fronte di sopravvenienze perturbative degli originari equilibri stipulatori con maggiori aperture, per contro, al concetto di contratto “autoimmune”, proteso ad autoplasmarsi in vista di una concreta gestione del rapporto (54). Come infatti sottolinea, in proposito, avveduta dottrina, «La volatilità dei mercati inanziari, l’incertezza dell’andamento dell’economia, l’emersione di nuovi rischi impongono di rilettere su come gestire l’inatteso. Anche le relazioni contrattuali si trovano a fronteggiare queste condizioni, in particolare le relazioni contrattuali di durata per le quali diviene importante introdurre clausole che consentano di adeguare il contenuto del contratto alle sopravvenienze in modo da garantire la stabilità e la durata del vincolo» (55). Nell’ordinamento italiano vi sono, tra i mezzi di “riequilibrio” general(53) La clausola rinegoziativa potrebbe in teoria trovare un’alternativa di sé nella c.d. “indicizzazione”, grazie a cui vi è la possibilità di controllare i rischi monetari, a mezzo, in particolare, della connessione della prestazione monetaria ad indici, monetari e non monetari, maggiormente stabili: la clausola d’indicizzazione, tuttavia, incontra diversi limiti quantitativi sotto il proilo del campo applicativo (concerne esclusivamente prestazioni di tipo pecuniario), né la prassi di utilizzo pare “rivestita” di particolare successo, con conseguente alta probabilità di incorrere nel fenomeno della risoluzione contrattuale. Sul punto, per la dottrina si v. P. TarTaglia, Eccessiva onerosità ed appalto, Milano, 1983, p. 94; C.M. BianCa, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, p. 403; T. galleTTo, v. Clausola rebus sic stantibus, cit., p. 389. In giurisprudenza, v. Cass., 29 giugno 1981, n. 4249, in Foro it., 1981, I, c. 2132, con nota di R. Pardolesi, Indicizzazione contrattuale e risoluzione per eccessiva onerosità. Contra, D. ruBino, Svalutazione della moneta e risoluzione per eccessiva onerosità, in Foro it., 1947, I, c. 701, il quale propende per la risolvibilità esclusivamente in assenza di esplicita clausola d’indicizzazione: impostazione seguita, in giurisprudenza, da Cass., 21 giugno 1985, n. 3730, in Mass. Giust. civ., 1985. Cfr. in proposito R. CiCala, Saggi. Sull’obbligazione e le sue vicende, Napoli, 1990, p. 178; nonché i più risalenti studi di R. del marmol, Rélexion sur l’utilisation des techniques contractuelles dans la vie des affaires, in Jour. (Belge) des Tribunaux, 1973, p. 69; M. fonTaine, Droit des contrats internationaux. Analyse et rédaction de clauses, cit., p. 279; A. frignani, Le clausole di hardship, cit., p. 369. (54) In questi termini S. landini, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, cit., p. 179. (55) 194 diriTTo e ProCesso mente previsti in sede convenzionale, le clausole d’indicizzazione (56), revisione, salvaguardia e forza maggiore (57). Ma è in particolare a livello sovranazionale che sono rinvenibili diversi tentativi d’istituzionalizzare il fenomeno rinegoziativo (58). Nella pratica internazionale degli affari spesso si parla delle già citate hardship clauses, cioè a dire clausole di adeguamento le quali, in presenza di sopravvenienze perturbative degli originari equilibri contrattuali, mirano a salvaguardare il rapporto, talvolta a mezzo della mera sospensione delle attività inalizzate ad adempiere agli obblighi negoziali, talaltra a mezzo di una vera e propria rinegoziazione del contratto (59). In particolare, l’obbligo di rinegoziare sarà da rinvenirsi in Cfr., ex multis, F. CarBoneTTi, Clausole di indicizzazione, in n. irTi (a cura di), Dizionari del diritto privato, I, Diritto civile, Milano, 1980, p. 125 ss.; B. inziTari, Clausole monetarie, in La moneta. La valuta, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da F. Galgano, VI, Padova, 1983, p. 139 ss.; E. quadri, Le clausole monetarie, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 7, Torino, 1983, p. 485; id., Clausole di garanzia monetaria (diritto civile), in Enc. giur., VI, 1988, p. 3 ss.; id., Indicizzazione, interessi ed usura (nuove prospettive per un vecchio problema), in Rass. dir. civ., 1982, p. 523 ss.; T. asCarelli, Obbligazioni pecuniarie. Artt. 1277-1284 c.c., in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1968, p. 280 ss.; A. di maJo, Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., xxIx, Milano, 1979, p. 249 ss. (56) Cfr. in proposito C.G. Terranova, Appalto privato e rimedi dell’onerosità sopravvenuta, in aa.vv., L’appalto privato, in Trattato diretto da M. Costanza, Torino, 2000, p. 273, nonché, per un interessante esempio di clausola di richiamo alla “forza maggiore” rinvenibile nella prassi contrattuale internazionale, M. BianChi, Dizionario delle clausole contrattuali nei contratti internazionali, Milano, 2006, p. 145. (57) V. sul punto M. fonTaine, Droit des contrats internationaux. Analyse et rédaction de clauses, cit., p. 254. (58) Cfr. V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000, p. 110, nt. 88. Orientamento dominante, sia in dottrina che in giurisprudenza, propende per escludere che le c.dd. clausole rinegoziative possano caratterizzarsi per vessatorietà: in giurisprudenza v., ad es., Cass., 25 settembre 1978, n. 4296, in Foro it., 1979, 1, c. 1380; Cass., 22 ottobre 1976, n. 2854, in Mass. Giust. civ., 1976; per la dottrina, v. L. Pierallini, Condizioni generali di contratto e clausole di indicizzazione. Diritto monetario, in n. irTi, g. giaCoBBe (a cura di), Dizionari del diritto privato, Milano, 1987, p. 149; E. simoneTTo, Coeficienti rivalutativi e condizioni generali di contratto, in Arch. civ., 1984, p. 24; E. quadri, Le clausole monetarie. Autonomia e controllo nella disciplina dei rapporti monetari, cit., p. 89; F. CarBoneTTi, Clausole di indicizzazione, cit., p. 125. Sul punto si v. inoltre d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto (59) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 195 capo alla parte avvantaggiata dalla sopravvenuta carenza di equilibrio nel rapporto contrattuale, e il correlativo diritto è “sancito”, ad esempio: A) nei Principi Unidroit (di cui le disposizioni maggiormente rilevanti in materia di hardship sono certamente rinvenibili agli artt. 6.2.1, sull’obbligatorietà del contratto, nonché 6.2.2 e 6.2.3, riportanti la deinizione stessa di “hardship” e i relativi effetti). L’Istituto internazionale per il diritto privato, elaborando gli ormai ben noti “Principi”, testimonia l’intenzione di creare una vera e propria disciplina, sovraordinata ai contesti giuridici nazionali, inalizzata a sempliicare la gestione del rapporto contrattuale a livello internazionale (60): sempliicazione quantomeno necessaria, dal mopositivo italiano, cit., p. 956 s., il quale sottolinea come nel ricercare «con rigore sistemico, un trait d’union tra clausola di hardship e clausola di rinegoziazione, ed atteso il dato concreto della loro presenza nei rapporti contrattuali di lunga durata, le tipologie contrattuali di mutazione della regolamentazione» appaiano coincidenti «nei presupposti: per la rinegoziazione preventivamente pattuita spesso coincidono o, comunque, risultano analoghe le circostanze comunemente inserite nelle hardship. Ma, passata l’iniziale lettura combinata delle clausole, spesso fallace rispetto alla reale potenzialità applicativa, le clausole di rinegoziazione sono dotate di raggio d’applicazione certamente più ampio: la relativa ratio non è quella di sopperire a situazioni di inattesa sperequazione tra le prestazioni, ma di regolare le modalità di esecuzione del contratto, garantendo a quest’ultimo la necessaria lessibilità. Di guisa, esse consentono la correzione degli effetti sviluppati dagli eventi produttivi di hardship ma, al contempo, anche in assenza di eventi o effetti così devastanti da far scattare la tutela prevista per i casi di eccessiva onerosità dovuta alle sopravvenienze, forniscono alle parti uno strumento giuridico volto a consentire l’evoluzione del rapporto mediante la gestione concordata della nuova situazione, al ine ultimo di perfezionare e completare il risultato contrattuale». I Principi Unidroit, approvati nel 1994 dall’Istituto internazionale per l’uniicazione del diritto privato sono articolati in sette Capitoli, come di seguito indicato: disposizioni generali; formazione del contratto; validità; interpretazione; contenuto; adempimento; inadempimento. Sul punto, G. de nova, Unidroit Principles of International Commercial Contracts, in Contratti, 1994, p. 501. In generale si tratta di un insieme di regole le quali, pur prive di eficacia vincolante, esercitano un’utilità subordinata alla propria capacità persuasiva verso operatori del diritto ed alla pratica degli affari in genere, in campo contrattuale internazionale: ciò, proprio in forza del fatto che tali principi si rifanno, in buona parte, a schemi normativi già adottati in seno a vari ordinamenti giuridici, garantendo strumenti di sempliicazione redazionale del contratto internazionale, di risoluzione di questioni concernenti l’individuazione del diritto applicabile, (60) 196 diriTTo e ProCesso mento che la disciplina del contratto internazionale non può seguire, in modo eficiente, le sole norme nazionali di un ordinamento ovvero di un altro, questi ultimi rimanendo, per lo più, ancorati a retaggi storico-giuridico-culturali di respiro certamente meno ampio di quanto non sia necessario per la gestione contrattuale di scambi a livello internazionale (61). In sostanza l’Unidroit – sullo sfondo della sempre maggiore importanza che ha assunto negli ultimi anni il percorso d’internazionalizzazione di diritto ed economia (62) – ha dato concreta esistenza a paradigmi normativi inanonché d’interpretazione del diritto internazionale uniforme: G. de nova, I Principi Unidroit come guida nella stipulazione dei contratti internazionali, in Contratti, 1995, p. 5; A. di maJo, I Principi dei contratti commerciali internazionali dell’Unidroit, in Contr. e impr./Europa, 1996, p. 287 ss.; E. ferrari, I “Principi per i contratti commerciali internazionali” dell’Unidroit ed il loro ambito di applicazione, ivi, 1996, p. 300 ss.; G. alPa, Prime note di raffronto tra i Principi dell’Unidroit ed il sistema contrattuale italiano, ivi, 1996, p. 316 ss.; M.J. Bonell, Il progetto dell’“Unidroit” per la rielaborazione dei principi per i contratti commerciali internazionali, in aa.vv., Scritti in onore di Rodolfo Sacco, Milano, I, 1994, p. 180; id., I Principi Unidroit. Un approccio moderno al diritto dei contratti, in Riv. dir. civ., 1997, p. 231; G.B. ferri, Il ruolo dell’autonomia delle parti e la rilevanza degli usi nei Principi dell’Unidroit, in Contr. e impr./Europa, 1996, p. 825; S.E. Cirielli, Clausola di hardship e adattamento nel contratto commerciale internazionale, in Contr. e impr./Europa, 1998, p. 733. Cfr. M.J. Bonell, I principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali: origini, natura e inalità, in Dir. comm. int., 1995, p. 3, il quale sottolinea in proposito come «la coesistenza di diversi diritti nazionali» dia adito naturalmente a problemi «di conlitto di leggi nel senso che in occasione di ogni singolo contratto internazionale sarà necessario stabilire quale tra i vari ordinamenti, in qualche modo interessati a regolarlo, risulterà alla ine competente a trovare concreta applicazione. A causa delle differenti norme di diritto internazionale privato dei vari Stati, le parti corrono il rischio di rimanere nell’incertezza in ordine al diritto applicabile al loro contratto sino a quando non venga stabilito il foro competente; ed anche allora (…) lo stesso contratto può essere assoggettato al diritto dello Stato A o al diritto dello Stato B», alla luce delle norme di conlitto vigenti presso l’adito foro. (61) (62) Si richiama l’attenzione, in proposito, alla Convenzione del 1994 dell’Organizzazione degli Stati Americani la quale, (derogando in parte la Convenzione di Roma del 1980), consente al giudice statale di applicare usi, prassi e principi generali propri della disciplina del commercio internazionale alle fattispecie contrattuali commerciali stipulate tra parti eterogenee. Sempre in tema di sopravvenienza perturbativa di equilibrio contrattuale, non meno importante appare il richiamo alla Convenzione internazionale di La Haye del 1° luglio 1964, il cui 1° comma dell’art. 74 stabilisce come, in caso di temporaneo inadempimento alla propria prestazione, la parte inadempiente, in caso di modiicazione contrattuale, po- adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 197 lizzati ad una omogeneizzazione del diritto commerciale internazionale. Indubbiamente, la inalità conservativa del contratto emerge dai Principi Unidroit in più di un proilo di regolamentazione tra cui, ad esempio, il tema della formazione del contratto, quello della sua invalidità, nonché i proili d’impatto delle sopravvenienze perturbative del rapporto che ne rendano eccessivamente onerose le prestazioni (63): di talché, la parte che subisca uno svantaggio dalle circostanze disequilibrative dell’originario assetto d’interessi sottesi alla stipula, potrà esercitare il diritto alla rinegoziazione del contratto con possibilità, in caso di rinegoziazione non andata a buon ine, di rivolgersi al giudice, quest’ultimo con il compito di “salvare” il rapporto ove si dimostri adeguabile alle nuove circostanze, ovvero di dichiararne, deinitivamente, lo scioglimento (64); steriore a rinegoziazione, talmente ampia «da dar luogo all’esecuzione di una prestazione completamente differente da quella stabilita nel contratto», possa ritenersi «deinitivamente esonerata dalla propria obbligazione». In proposito sostiene la poca adattabilità, nel corso del tempo, delle convenzioni internazionali alle fattispecie concrete, M.J. Bonell, I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali: un approccio nuovo alla disciplina dei contratti internazionali, in m.J. Bonell, f. Bonelli (a cura di), Contratti commerciali internazionali e Principi Unidroit, Milano, 1997, p. 10. (63) Pertanto, l’eccessiva onerosità sopravvenuta assume i connotati di presupposto di azionabilità della trattativa inalizzata alla rinegoziazione del contratto, al contrario di quanto accade nel nostro ordinamento, in cui ha inalità risolutiva del rapporto contrattuale. Quanto alla c.d. “forza maggiore”, la Commissione vi fa corrispondere quella che nel nostro ordinamento assume i caratteri dell’impossibilità oggettiva e sopravvenuta della prestazione, ed è disciplinata nella parte generale concernente l’inadempimento: cfr. P. Bernardini, Hardship e force majeure, in m.J. Bonell, f. Bonelli (a cura di), Contratti commerciali internazionali e Principi Unidroit, Milano, 1997, p. 199, ove si sottolinea l’importanza di tenere distinti, in via di principio, i concetti di hardship e forza maggiore. In ordine all’hardship v. in particolare la seconda sezione: cfr. art. 6.2.1 (Obbligatorietà del contratto), in base a cui ove l’adempimento contrattuale divenga più oneroso per una parte, quest’ultima rimane obbligata ad adempiere le sue obbligazioni, salvo quanto disposto in tema di hardship ex art. 6.2.2 (Deinizione di hardship). Sul favor contractus quale valore fondamentale emergente dai Principi Unidroit, cfr. M.J. Bonell, I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali: origini, natura e inalità, cit., p. 14; G. alPa, Prime note di raffronto tra i Principi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, cit., p. 317. V. inoltre P. Bernardini, Hardship e force majeure, cit., p. 202 ss., il quale, dopo avere os(64) 198 diriTTo e ProCesso B) nei Principles of European Contract Law elaborati dalla European Commission of Contracts presieduta da Ole Lando (65), ove è previsto che, in caso di prestazione divenuta eccessivamente onerosa a causa del mutamento di circostanze, le parti debbano apprestare «trattative per modiicare o sciogliere il contratto», e a condizione che «a) il mutamento delle circoservato come la generica formulazione dei Principi non contenenti indicazione dettagliata delle ipotesi rilevanti non impedisce alle parti di dettagliare, a loro volta, le ipotesi da ritenersi rilevanti, nonché la relativa portata sul rapporto negoziale, evidenzia (p. 208) come la parte che subisca la sopravvenuta onerosità della prestazione abbia l’onere di notiicarla, in modo tale da: attivare il procedimento rinegoziativo, con contestuale possibilità di ricorso a giudice od arbitro in caso di mancato pervenimento ad accordo rinegoziativo in tempi ragionevoli; rendere la rinegoziazione retroattiva; legittimare la parte avvantaggiata dalle sopravvenienze, in particolari ipotesi, a non adempiere la propria prestazione. Ove la notiica risulti tardiva, il Commento uficiale all’art. 6.2.3 rende comunque possibile alla parte di chiedere di rinegoziare il contratto: cfr. tuttavia, sul punto, S.E. Cirielli, Clausola di hardship e adattamento nel contratto commerciale internazionale, cit., p. 775, che sottolinea come detta interpretazione della norma trovi ostacolo nella prassi contrattuale internazionale, propensa piuttosto a rinvenire una decadenza, della parte onerata da sopravvenienza, dal diritto di proporre la rinegoziazione; ma v. anche M.C.A. Prado, La théorie du hardship dans les Principes de l’Unidroit relatifs aux contrats du commerce international. Une approche comparative des Principes et les solutions adoptées par le droit français et par le droit américain, in Dir. comm. int., 1997, p. 368, secondo cui detta notiica tardiva è giudizialmente sanzionabile a mezzo di esclusione della retroattività in capo al negozio di revisione. In generale, la vicenda rinegoziativa deve comunque improntarsi ad una collaborazione tra le parti basata su uno dei valori d’ispirazione dei Principi Unidroit, cioè a dire la regola generale di buona fede: cfr. S.E. Cirielli, Clausola di hardship e adattamento nel contratto commerciale internazionale, cit., p. 777. (65) In ordine alle attività della Commissione presieduta da Ole Lando, e il rinvenimento di dificoltà di strutturare un impianto codicistico comune, da applicarsi da parte di ordinamenti tra loro molto distanti in senso giuridico-culturale, v. le interessanti osservazioni di V. zeno zenCoviCh, Il «codice civile europeo», le tradizioni giuridiche nazionali e il neo-positivismo, in Foro it., 1998, V, p. 60; C. CasTronovo, Il diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti, codice o «restatement?», in Europa e dir. priv., 1998, p. 1018; id., I «principi di diritto europeo dei contratti» e l’idea di codice, in Riv. dir. comm., 1995, p. 21; D. anniBaleTTi, Il futuro codice europeo delle obbligazioni e dei contratti: un incontro di studio a Pavia, in Jus, 1992, p. 83; M.J. Bonell, Verso un codice europeo dei contratti?, in Europa e dir. priv., 1998, p. 171; G. gandolfi, Sul progetto di un «codice europeo dei contratti», in Rass. dir. civ., 1996, p. 105; G. alPa, Il codice civile europeo: “e pluribus unum”, in Contr. e impr./Europa, 1999, II, p. 695; H.W. miCkliTz, Prospettive di un diritto privato europeo: ius commune praeter legem?, ivi, 1999, I, p. 35. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 199 stanze si veriichi dopo la conclusione del contratto; b) il mutamento di circostanze non fosse una possibilità ragionevolmente suscettibile di essere presa in considerazione al momento della conclusione; c) il rischio del mutamento delle circostanze non sia uno di quelli che, in relazione al contratto, la parte che lo subisca possa essere tenuta a sopportare». In mancanza di raggiungimento di accordo, peraltro, il giudice potrà sciogliere ovvero modiicare il contratto al ine di determinare una redistribuzione «giusta ed equa», tra le parti, di perdite e vantaggi (66). Detti Principi quindi statuiscono come, in caso di sopravvenienze, possa correttamente farsi riferimento a circostanze analoghe a quelle di cui si è poc’anzi dato conto riguardo ai Principi Unidroit: la parte che subisca meri effetti negativi dalle sopravvenienze perturbative degli originari equilibri contrattuali potrà, infatti, condurre l’altra parte alla trattativa rinegoziativa la quale, in caso di esito infausto, darà la possibilità, sempre alla parte svantaggiata, di adire l’autorità giudiziaria che potrà addirittura condannare la parte che abbia riiutato, od anche solo condotto in modo non corretto, la procedura di rinegoziazione contrattuale (67); Cfr. C. CasTronovo, Un contratto per l’Europa, in id. (a cura di), Principi di diritto europeo dei contratti, Milano, 2001, p. xIII ss. (66) (67) Si v., in proposito, l’art. 6:111 del progetto di codice, per la disciplina degli effetti del mutamento di circostanze: «1) Ciascuna parte è tenuta ad adempiere le sue obbligazioni anche quando la prestazione sia divenuta più onerosa o perché il costo ne sia aumentato o perché sia diminuito il valore della prestazione alla quale ha diritto. / 2) Se però la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per il mutamento delle circostanze, le parti sono tenute ad intavolare trattative per modiicare o sciogliere il contratto, nel caso in cui: a) il mutamento di circostanze si veriichi dopo la conclusione del contratto, b) il mutamento di circostanze non fosse una possibilità ragionevolmente suscettibile di essere presa in considerazione al momento della conclusione del contratto, e c) il rischio di mutamento delle circostanze non sia uno di quelli che, in relazione al contratto, la parte che lo subisce possa essere tenuta a sopportare. / 3) Se le parti non riescono a raggiungere un accordo in un tempo ragionevole, il giudice può: a) sciogliere il contratto a far data da un termine e alle condizioni che il giudice stesso stabilirà, o b) modiicare il contratto in modo da distribuire tra le parti in maniera giusta ed equa le perdite e i vantaggi derivanti dal mutamento di circostanze. Nell’un caso e nell’altro il giudice può condannare al risarcimento dei danni per la perdita cagionata dal riiuto di una parte di intavolare trattative o dalla rottura di esse in maniera contraria alla buona fede e alla correttezza». 200 diriTTo e ProCesso C) nel Code Européen des contrats redatto dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei guidata dal 1990 da Giuseppe Gandoli (68), nonché D) nel progetto di codiicazione, promanante dalla Commission on Transnational Corporations presso l’Economic and Social Council dell’ONU, inalizzata alla disciplina di una corretta gestione contrattuale riguardante le «transnational corporations» (69). Inoltre, per ciò che concerne la partecipazione di istituzioni e associazioni di categoria, non può non citarsi il caso del Consiglio della Camera di Commercio Internazionale, il quale ha adottato un regolamento contenente un modello di clausola rinegoziativa, ed ha istituito un Comitato permanente per la nomina di arbitri cui spetta effettuare, nel concreto, l’adeguamento di cui il rapporto contrattuale – arrivato ad uno stallo irrisolvibile anche da parte dei soggetti direttamente coinvolti nel procedimento rinegoziativo – abbia dimostrato di necessitare per mano di terzi (per l’appunto, l’arbitro). Si tratta, pertanto, di un procedimento rinegoziativo non eccessivamente eficiente sotto il proilo della garanzia di un pronto e certo recupero degli equilibri negoziali in itinere perduti: infatti, la circostanza in base a cui le parti possano anche trovarsi non concordi sulla perfetta sovrapponibilità delle fattispecie astrattamente preigurate in sede di stipula, con quelle concretamente veriicatesi, dà conto del fatto che, seppure in presenza della ulteriore possibilità di deferimento ad arbitri, la clausola rinegoziativa già si dimostrerebbe poco eficiente, soprattutto a fronte delle inalità per cui viene stipulata (70). Non a caso quindi, per quanto innovativa, l’idea non ha (68) Cfr. G. gandolfi, Sul progetto di un «codice europeo dei contratti», cit., p. 105 ss. In proposito, G. marasCo, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell’equilibrio negoziale, Padova, 2006, p. 82 s. In tale progetto di codiicazione si prevede come nei contratti tra i Governi e multinazionali debbano essere inserite clausole di revisione o di rinegoziazione, ovvero, in ipotesi di loro mancanza, come, in caso di sopravvenienze perturbative, l’uso di strumenti come revisione o rinegoziazione costituiscano un obbligo, in capo alla parte dalle sopravvenienze medesime avvantaggiata, basato su buona fede. (69) (70) Tra i principi su cui si basa il regolamento approvato dal Consiglio C.C.I. il 20 giugno 1978, possono citarsi i seguenti: istituzione presso C.C.I. di un comitato permanente per riportare ad equilibrio i rapporti negoziali a mezzo della nomina, su istanza delle parti, di uno adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 201 prodotto risultati concreti alla luce delle inalità perseguite, non avendo mai avuto applicazione da parte degli operatori di commercio, ed avendo portato la C.C.I. ad escludere il richiamo a detto Comitato in un documento pubblicato nel 2003 (C.C.I., Force Majeure and Hardship, doc. n. 650), nel quale è rinvenibile il suggerimento per l’applicazione di un nuovo schema di clausola di hardship, sostitutivo di un precedente modello citato in un documento risalente al 1985 (C.C.I., Force Majeure and Hardship, doc. n. 421), ed all’interno del quale risultava espressamente richiamato il Comitato permanente. Di notevole interesse è, inine, l’apporto di alcune associazioni di categoria tra cui ad esempio la FIDIC (Fédération Internationale des Ingenieurs-Conseil) la quale ha ipotizzato una clausola rinegoziativa espressamente inalizzata alla gestione di contratti aventi ad oggetto opere civili, attraverso la previsione di tipici “rischi speciali” (71): anche in questo caso tuttavia le parti hanno facoltà, in caso di mancato accordo sul punto, di demandare a terzi la veriica dell’effettiva corrispondenza tra sopravvenienza perturbativa ed ipotesi contrattualmente prevista. 6. — Clausola rinegoziativa e bona ides in executivis. Anche nell’ordinamento italiano la clausola rinegoziativa deve considerarsi in termini di strumento rimediale meritevole di tutela giuridica (72), tanto o tre soggetti aventi il compito di revisionare, in totale imparzialità, il contratto (cfr. artt. 1 e 6), seguendo regole di procedura tra cui un effettivo contraddittorio (cfr. art. 9.4), decisioni in termini brevi, obbligo di motivare il provvedimento inale che potrà assumere i connotati, oltre che di una vera e propria decisione, di una “mera” raccomandazione (cfr. art. 11). Con le medesime inalità l’UNIDO, altra organizzazione internazionale intergovernativa, nello studio di un modello di contratto “turn-key”, ha stabilito di adottare un’idea di forza maggiore complanare al caso di hardship, dando vita ad un vero e proprio obbligo di rinegoziare (cfr. art. 34) in caso di sopravvenienza perturbativa degli equilibri contrattuali propri della fase genetica del rapporto (cfr. il Modern Form of Turnkey Lump Sum Contract for the Construction of a Fertilizer Plant del 7 giugno 1983). (71) Si v. in proposito le interessanti osservazioni di G. marasCo, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contr. e impr., 2005, p. 545, secondo il quale (72) 202 diriTTo e ProCesso che, di fronte alla prassi contrattuale, gli studiosi hanno avuto modo di avanzare alcune teorie relative alla possibile esistenza di una fonte legale dell’obbligo di rinegoziare un contratto carente di un equilibrio complanare a quello presente al momento della relativa genesi (73): si è pertanto avanzata l’ipotesi che, nei contratti di durata, possa costituire una possibile fonte di obbligo rinegoziativo, in capo alla parte avvantaggiata dalle citate sopravvenienze, la regola della buona fede esecutiva di cui all’art. 1375 c.c. (74), la quale, come è noto, impone un generale dovere di correttezza nella gestione del rapporto il quale consenta, ove necessario, anche l’integrazione del contratto (75). l’art. 1467 c.c. costituisce elemento sintomatico della poca adeguatezza «degli strumenti preordinati alla soluzione della problematica delle sopravvenienze: tale disposizione, infatti, riconosce la possibilità di richiedere la revisione del contratto divenuto iniquo solo alla parte che, in teoria, avrebbe meno interesse al riequilibrio (la avvantaggiata)». Sul punto v., tuttavia, e. del PraTo, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, cit., p. 807, il quale sottolinea come non possa in assoluto sostenersi che «con l’obbligo di rinegoziare, le parti intendano preservare l’equilibrio originario», essendo «anzi, verosimile il contrario, perché, se le parti avessero voluto perseguire l’equilibrio originario, avrebbero previsto un adeguamento automatico», e pur dovendosi aggiungere anche come «Questa prospettiva» non sia, tuttavia, «generalizzabile: possono ipotizzarsi casi in cui un adeguamento automatico non è originariamente preventivabile o richiederebbe previsioni troppo complesse». (73) Sul punto, F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 320, che sottolinea come «necessari, tutti i riferimenti al principio di buona fede, sia nell’interpretazione sia nell’esecuzione del contratto, potendosi innanzitutto ipotizzare, ex art. 1366 c.c., che le parti avrebbero comunque trattato per la conclusione del contratto (…), ma sulla base delle attuali condizioni, dal momento che sarebbe non solo svantaggiosa, ma del tutto irragionevole, una negoziazione impostata su una situazione di mercato non rispondente alla realtà»; ma v. anche E. sCodiTTi, Mutui a tasso isso: inserzione automatica di clausole o integrazione giudiziale del contratto?, in Foro it., 2001, I, c. 919, il quale ritiene rinvenibile un obbligo rinegoziativo fondato su clausola generale di buona fede con particolare riferimento al contratto di mutuo oneroso. Contra, G. siCChiero, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 807; M. BarCellona, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Europa e dir. priv., 2003, p. 480 ss.; A. genTili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 710 ss.; F. gamBino, I problemi del rinegoziare, Milano, 2004, p. 55 ss.; id., Revisione del contratto e autonomia privata, in Riv. dir. priv., 2007, p. 347; id., Rischio e parità di posizioni nei rimedi correttivi degli scambi di mercato, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 347. (74) Cfr. G. alPa, Appunti sulla buona fede integrativa nella prospettiva storica del commercio internazionale, in Contratti, 2001, p. 723. Ma v. anche G.M. uda, Integrazione del contratto, solidarietà (75) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 203 Il riferimento alla buona fede esecutiva è certamente utile alla circoscrivibilità della libertà negoziale nella vicenda rinegoziativa. In proposito, dottrina e giurisprudenza hanno in più occasioni rilevato l’importanza della clausola generale di buona fede nella gestione del rapporto contrattuale, valutandone i più vari proili di operatività: oltre a chi rinviene nella buona fede la sopracitata funzione integrativa del contratto (volta a dettagliarne, ove necessario, il contenuto (76)), altro orientamento conferisce alla buona fede la mera funzione di strumento giudiziale di valutazione di condotta contrattuale, con esclusione di funzione integrativa sia alla luce della natura tassativa delle fonti integrativo-contrattuali di cui all’art. 1374 c.c., sia in considerazione del tenore letterale della disposizione in materia di buona fede che la rende applicabile solo posteriormente al momento perfezionativo del negozio (77); altra impostazione, intermedia tra le due appena citate, rinviene nella buona fede un valore precettivo da osservarsi sia quale norma comportamentale rivolta ai contraenti che come modello decisorio per l’interpresociale e corrispettività delle prestazioni, in Riv. dir. comm., 1990, I, p. 330; conferisce valore di ordine pubblico alla buona fede contrattuale, in quanto «uno dei principi portanti del nostro ordinamento sociale», C.M. BianCa, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, p. 501 ss.; F. volPe, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, Napoli, 2004; U. PerfeTTi, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005. Cfr. s. rodoTà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 112 ss.; C.M. BianCa, Diritto civile, 4, L’obbligazione, cit., p. 89; id., La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., I, 1983, p. 205; L. mengoni, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni di “mezzi”, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 282; F. galgano, Degli effetti del contratto. Artt. 1372-1386, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, p. 93; V. roPPo, Il contratto, cit., pp. 457-471; And. d’angelo, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 261; G.M. uda, L’esecuzione del contratto secondo buona fede, in Nuova giur. civ. comm., 1992, II, p. 203; in giurisprudenza, v. Cass., 24 aprile 1981, n. 2452, in Foro it., 1982, I, c. 34; Cass., 6 agosto 1992, n. 9349, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1255; Cass., 23 luglio 1997, n. 6900, in Giust. civ., 1997, I, p. 2727. (76) Cfr. U. naToli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, Milano, 1974, p. 27; U. BreCCia, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, p. 60; L. Bigliazzi geri, Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1988, p. 170; ead., L’interpretazione del contratto. Artt. 1362-1371, in Cod. civ. Comm. Schlesinger, Milano, 1991, p. 201; M. BarCellona, Un breve commento sull’integrazione del contratto, in Quadr., 1988, p. 549 ss.; U. maJello, Custodia e deposito, Napoli, 1958, p. 471. (77) 204 diriTTo e ProCesso te (78); vi è poi l’orientamento il quale propende per cogliere nella buona fede un limite normativo alla discrezionalità dei contraenti in sede esecutiva contrattuale (79); ancora, vi è chi coglie nella buona fede esecutiva uno strumento legale inalizzato ad ostacolare il contraente infedele nell’approittamento di possibilità alternative a quanto già stabilito in stipula, di cui altrimenti verrebbe vaniicato il relativo assetto d’interessi (80); inine, deve darsi conto della impostazione di chi sostiene come ad obbligo rinegoziativo consegua Cfr. M. Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, rist. 1975, p. 340; S. rodoLe clausole generali, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 1991, II, p. 405; P. BarCellona, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Milano, 1966, p. 155; C. messina, L’interpretazione dei contratti, in id., Scritti giuridici, V, Milano, 1948, p. 149. (78) Tà, V. Cass., 9 marzo 1991, n. 2503, in Foro it., 1991, I, c. 2077, con nota di D. BellanBuona fede nell’esecuzione del contratto e acquisto di fondo rustico, e in Corr. giur., 1991, p. 789, con nota di a. di maJo, Principio di buona fede e dovere di cooperazione contrattuale; Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, 1, c. 1296, in Giust. civ., 1994, p. 2159, con nota di M.R. morelli, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti, e in Giur. it., 1995, I, 1, c. 852, con nota di L. PiCardi, Tutela dell’avviamento, discrezionalità e buona fede contrattuale, in una complessa vicenda di afitto d’azienda. In dottrina, v. L. nanni, Scelte discrezionali dei contraenti e dovere di buona fede, in Contr. e impr., 1994, p. 475; A. di maJo, Le forme di tutela contro i cosiddetti poteri privati, in Foro it., 1980, c. 440; id., Delle obbligazioni in generale. Artt. 1173-1176, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 300; id., Libertà contrattuale e dintorni, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 22; V. CarBone, La buona fede come regola di governo della discrezionalità contrattuale, in Corr. giur., 1994, p. 570; L. PiCardi, Tutela dell’avviamento, discrezionalità e buona fede contrattuale, in una complessa vicenda di afitto d’azienda, in Giur. it., 1995, I, 1, c. 852; M.R. morelli, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti, in Giust. civ., 1994, I, 1, p. 2169. (79) Tuono, Cfr. le osservazioni di S.J. BurTon, Breach of contract and the Common Law duty to perform in good faith, in Harvard Law Rev., 1980, p. 369, in base a cui alla luce del fatto che di discrezionalità in capo alle parti è possibile parlare solo ove sia espressamente prevista in contratto, ovvero quest’ultimo risulti d’interpretazione non univoca, e la veriica del rispetto del principio di buona fede esecutiva potrà basarsi esclusivamente su criteri oggettivi (comportamento tenuto dalle parti rispetto alle previsioni convenzionali) e soggettivi (aspettative ragionevoli, rispetto alla situazione concretamente rivestita in ambito contrattuale). Per la traduzione del contributo di Burton, v. S. di Paola, R. Pardolesi, L’esecuzione del contratto secondo buona fede, in Riv. crit. dir. priv., 1984, II, 1, p. 26. (80) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 205 obbligo di trattare in buona fede, non esaurendosi quindi nella mera attività di promuovere o aderire al procedimento inalizzato al riequilibramento dell’assetto d’interessi (81). L’orientamento che rinviene la fonte dell’obbligo rinegoziativo in capo a detta clausola generale pone, come base concettuale del proprio pensiero, l’idea che l’esistenza di un rapporto negoziale duraturo sia suscettibile di obbligare i contraenti a trattare l’adeguamento contrattuale anche a prescindere dalla contemporanea rinvenibilità dei requisiti di cui all’art. 1467 c.c., di talché, trattandosi di sopravvenienze “atipiche” (cioè a dire non rientranti, per l’appunto, nell’ambito applicativo della disciplina sull’eccessiva onerosità sopravvenuta), e in base anche a quanto statuito ex art. 1366 c.c., dovrebbe ritenersi legittimamente presumibile, riguardo ai c.dd. long term contracts, una comune intenzione delle parti – in caso di condizioni pattuite non ulteriormente rispondenti «alla logica economica sottesa alla conclusione del contratto» (82) – di adeguare l’assetto d’interessi sotteso alla stipula a variazioni sopravvenute. Rimane fermo come il principio di buona fede si traduca, più concretamente, in quello di generale salvaguardia di ciascuna parte nei riguardi dell’utilità dell’altra, alla luce del principio di solidarietà (83) (il quale, a sua volta, costituisce prodromo del dovere extracontrattuale di non ledere l’altrui diritto (84)), nei limiti in cui la condotta contrattuale non comporti apprezzabile sacriicio per sé stessi, nonché nei limiti della ragionevolezza, cioè a dire compatibilmente con l’imprescindibile intento lucrativo che è alla base di ogni operazione economica (85). (81) Così F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 345. (82) Così F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 313. Sul punto, R. CiPPiTani, Il principio di solidarietà nei rapporti di diritto privato, in a. doa. garilli, s. mazzarese, a. sassi (a cura di), Diritto privato. Studi in onore di Antonio Palazzo, 1, Fondamenti etici e processo, Torino, 2009, p. 165 ss., spec. p. 184. (83) naTi, Cfr. s. rodoTà, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 160 ss., ove opportunamente si sottolinea come i concetti di correttezza ed alterum non laedere non possano ritenersi – seppure entrambi promananti dal principio di solidarietà – come sovrapponibili. (84) (85) Così g. CrisCuoli, Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., 1984, I, pp. 714 ss., 750 206 diriTTo e ProCesso È stato correttamente sottolineato come sia «la congruità dell’agere contrattuale con l’equilibrio economico raggiunto dagli interessati il criterio alla cui stregua orientarsi per concretamente riempire di contenuto l’obbligo della salvaguardia, come pure, in relazione al momento dell’attuazione del rapporto, per poter valutare la legittimità o meno dell’exceptio doli» (86). Il limite fondamentale dell’attività adeguativa del contratto turbato da sopravvenienze rimane pur sempre, pertanto, quello dell’esecuzione in piena coerenza con quanto negozialmente statuito, nel rispetto dei relativi equilibri economici, in vista del conseguimento delle inalità stabilite. Il contratto, ora rivelantesi non più adeguato a pienamente soddisfare gli interessi in esso dedotti, “risolleva” le proprie sorti muovendo le parti – in ossequio al dovere di comportamento secondo buona fede, ed alla luce di un più universale principio di solidarietà – al recupero di un equilibrio economico perduto, e la cui assenza ostacola una delle parti, a fronte della prestazione cui è tenuta, nel ricevere «quel vantaggio in considerazione del quale è stata, in fase genetica, determinata l’entità della prestazione medesima» (87). Come correttamente osservato da altra parte della dottrina, pertanto, «è evidente che il successo della igura giuridica di conio dottrinale dell’obbligo di rinegoziare dovrà transitare anche attraverso decisioni giurisprudenziali (…) consapevoli dell’esigenza di collocare la vicenda contrattuale nel contesto socio-economico in cui effettivamente va svolgendosi, senza preclusioni di ordine (soltanto apparentemente) dogmatico, in un momento nel quale l’intero diritto dei contratti, in virtù della crescente valorizzazione della clausola generale di buona fede, sta assumendo forma e sostanza per molti versi innovative» (88). ss., il quale sostiene come le nozioni di buona fede oggettiva e di ragionevolezza possano ritenersi sostanzialmente equivalenti, e come nella ragionevolezza sia rinvenibile un parametro della correttezza. (86) d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto positivo italiano, cit., p. 983. Cfr. d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto positivo italiano, cit., p. 984. (87) (88) Così F.P. PaTTi, Collegamento negoziale e obbligo di rinegoziazione, cit., p. 125, che richiama adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 207 7. — Clausola rinegoziativa: ipotesi tipiche. Con riferimento alle fattispecie contrattuali ad esecuzione non immediata, già alla sua entrata in vigore l’impianto codicistico si è trovato a dover decidere in ordine alla rilevanza delle sopravvenienze perturbative degli equilibri contrattuali attraverso un tentativo di contemperamento tra due alternative, cioè a dire, da una parte, il principio del pacta sunt servanda e correlata intangibilità del contratto e, dall’altra, l’intervenibilità sul rapporto contrattuale a mezzo di strumenti rimediali, riadeguativi di situazioni non più in linea con quanto voluto dalle parti attraverso il motivo oggettivato in stipula (89). Come correttamente osservato in dottrina, infatti, «l’imposizione in proposito anche un’importante ordinanza del Tribunale di Bari del 14 giugno 2011 (consultabile in Contratti, 2012, p. 571, con nota di id., Obbligo di rinegoziare, tutela in forma speciica e penale giudiziale) la quale, oltre a stabilire come debba ritenersi sussistente, in base alla clausola generale di buona fede, l’obbligo rinegoziativo di contratto affetto da rilevanti e sopravvenuti mutamenti, in ordine alla situazione di fatto o di diritto, rispetto a quella rinvenibile dalla stipula, afferma che: «In base alla clausola generale di buona fede sussiste l’obbligo di rinegoziare il contenuto del contratto, in presenza di un mutamento rilevante della situazione di fatto o di diritto, rispetto a quella contemplata dal regolamento originario, potendo il giudice, in caso di inadempimento dell’obbligo, costituire con sentenza gli effetti del contratto modiicativo che sarebbe risultato all’esito della rinegoziazione condotta secondo buona fede o, nell’ambito di un procedimento cautelare, condannare l’inadempiente ad eseguire la prestazione cui la parte sarebbe tenuta in forza della rinegoziazione, e corroborare la condanna mediante una penale giudiziale». Può con ragionevole certezza sostenersi come, ad oggi, tale decisione rappresenti il primo caso, nel panorama giurisprudenziale italiano, in cui vengono esaminati in questi termini i proili della rinegoziazione contrattuale attuata alla luce di sopravvenienze; vale la pena, in ogni caso, citare anche la risalente Cass., 16 gennaio 1954, n. 86, in Rep. Giur. it., 1954, v. Obbligazioni e contratti, n. 207, in cui si sottolinea come il creditore abbia il dovere di cooperazione, ex art. 1175 c.c., con il debitore, al ine di porre rimedio agli ostacoli promananti da un assetto contrattuale rivelatosi non più attuabile secondo i dettami della stipula originaria. Quanto all’ambito arbitrale, non può non farsi menzione del c.d. “lodo Alpa” del 15 luglio 2004 (consultabile in Contr. e impr., 2005, p. 539), in base al quale alla luce del principio della bona ides in executivis, ove una parte, risultando avvantaggiata dal mutamento dell’assetto economico contrattuale, opponga un ingiustiicato riiuto a procedere alla rinegoziazione, il collegio arbitrale può autonomamente ridurre il prezzo stabilito, in vista di uno suo adeguamento alle mutate condizioni di mercato. (89) p. 58. Cfr. V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit., 208 diriTTo e ProCesso dell’adempimento incondizionato, a fronte di una situazione economicamente incongrua rispetto alle pattuizioni originarie, può avere l’effetto di impedire deinitivamente la realizzazione di un investimento nel suo complesso e quindi, in ultima analisi, risolversi in un danno per più parti, le quali hanno contrattato, avendo di mira il buon ine dell’operazione economica e non soltanto il proprio utile (posto che questo dipende, di norma, dal successo dell’operazione)» (90). Di talché l’interesse meritevole di tutela sarà, più che il «pedissequo adempimento delle obbligazioni contrattuali tout court (…) quello all’esecuzione del contratto come mezzo per realizzare il risultato inale perseguito dalle parti. Nella prospettiva di un rapporto commerciale di lunga durata, infatti, la parte che si ostini a pretendere l’esecuzione del contratto alle condizioni originariamente pattuite, nonostante queste siano divenute oggettivamente inique, pone in essere un comportamento evidentemente opportunistico e quindi incompatibile con il principio di buona fede. L’obbligo di rinegoziare, in deinitiva, comporta il dovere, in presenza dei presupposti che lo rendono necessario, di raccogliere positivamente l’invito a rinegoziare accettando le modiiche proposte o proponendo soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza economica, consentono di riequilibrare il sinallagma contrattuale» (91). Il legislatore, in particolare, ha inteso come meritevoli di tutela gli interessi sottesi alla modiica contrattuale solo ove la stessa risulti giustiicata da sopravvenienze non prevedibili in sede di stipula (92): non vi è tuttavia, da una parte, traccia d’istituzionalizzazione di alcun obbligo, per le parti, di addivenire a trattativa rinegoziativa in caso di sopravvenienza perturbativa, né, (90) Così F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 324 s. (91) L. CasTelli, L’obbligo di rinegoziazione, cit., p. 188. (92) D’altra parte, individuano nella revisione contrattuale l’opzione migliore per risolvere i problemi determinati dalle sopravvenienze, M. andreoli, Revisione delle dottrine sulla sopravvenienza contrattuale, in Riv. dir. civ., 1938, p. 162; G. segré, Sulla clausola autorizzante la sospensione dell’esecuzione nei contratti di somministrazione ad una Pubblica Amministrazione, in Riv. dir. comm., 1920, II, p. 216; A. monTel, La revisione dei contratti ad opera del giudice, in Giur. it., 1937, IV, c. 227. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 209 dall’altra, di un potere giurisdizionale d’ingerimento all’interno della vicenda negoziale, al ine di riassicurarle gli originari equilibri. In generale quindi l’ordinamento ha inteso assicurare, alla parte svantaggiata dalla sopravvenienza, la mera alternativa tra conservazione del rapporto e risoluzione per eccessiva onerosità: in sostanza nella disciplina generale dei contratti, in termini di principio generale di conservazione, tertium non datur. Ciò, a dispetto di alcune eccezioni rinvenibili tra fattispecie contrattuali c.dd. “di durata” in cui viene, al contrario, attenuato il principio d’immutabilità contrattuale, in linea con un’“apertura” alla modiicabilità inalizzata alla conservazione e, quindi, all’attuazione degli interessi sottesi alla stipula. Sin dalla sua entrata in vigore il legislatore ha infatti contemplato diverse ipotesi nelle quali risulta possibile effettuare un adeguamento contrattuale a ini conservativi, rendendo possibile riportare il rapporto tra le prestazioni dedotte in contratto ad una situazione di equità: si pensi all’appalto (cfr. art. 1664 c.c.) (93), al contratto con obbligazioni in capo ad una sola parte (cfr. art. 1468 c.c.), all’afitto (cfr. art. 1623 c.c.), all’assicurazione (cfr. art. 1897 e s. c.c.), all’eniteusi (cfr. l’abrogato art. 962 c.c.), alla clausola penale (cfr. art. 1384 c.c.), alla normativa in tema di contratti di fornitura pubblica (cfr. r.d. 13 giugno 1940, n. 901, conv. in l. 26 ottobre 1940, n. 1676), alla normativa in tema di adeguamento automatico del canone di locazione (cfr. art. 24, l. 27 luglio 1978, n. 382), alla normativa riguardante la “scala mobile” in ambito di rapporto lavorativo subordinato, ed alla disciplina in tema di adeguamento nel caso del contratto di subfornitura (cfr. art. 3, 5° comma, l. n. 18 giugno 1998, n. 192) (94), al caso in cui il contratto di appalto risulti ab origine affetto da squilibrio tra prestazioni (95) (cfr. art. 1664, 2° comma c.c.) (96), al Cfr. F. maCario, La rinegoziazione delle condizioni nell’appalto, in G. iudiCa (a cura di), Appalto pubblico e privato, Padova, 1997, p. 299. (93) V. F. maCario, Equilibrio delle posizioni contrattuali e autonomia privata nella subfornitura, in Aa.Vv., Studi in onore di Ugo Majello, II, Napoli, 2005, p. 111. (94) (95) Cfr. P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 818. Sottolinea in proposito M. BarCellona, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione della sopravvenienza, in Europa e dir. priv., 2003, p. 495, come tale norma debba intendersi applicabile alla totalità dei rapporti contrattuali di durata. (96) 210 diriTTo e ProCesso riducibilità del prezzo nella vendita immobiliare, in caso di misura effettiva del fondo inferiore a quanto stabilito (cfr. artt. 1537 e s. c.c.) (97), al contratto concluso in stato di pericolo (cfr. art. 1447 c.c.), ipotesi in cui l’organo giudicante può, nel rescindere il contratto, stabilire un equo compenso alla luce della prestazione effettuata dall’altro contraente (98). Vale la pena ricordare, tuttavia, come il legislatore abbia tentato di garantire l’adeguamento dei valori economici delle prestazioni alle variazioni conseguenti all’incedere temporale anche in ambiti di tipo non strettamente contrattuale: si pensi, ad esempio, alle disposizioni in materia di revisione periodica di assegno alimentare, di cui agli artt. 155 e 440 c.c. ove si stabilisce che, potendo per vari motivi (condizioni economiche di obbligato o beneiciario, inlazione, etc.) modiicarsi le condizioni economiche a fronte di cui vi sia stata determinazione giudiziale dell’assegno alimentare, ciascuna parte ha facoltà di far rideterminare, sempre per via giudiziale, misura e modalità della prestazione alimentare medesima (99). Si tratta indubbiamente di ipotesi che consentono di confermare come il legislatore si dimostri, pur a fronte di una disciplina generale dei contratti molto rigida in tema di gestione delle sopravvenienze, consapevole, tuttavia, dell’importanza d’ingenerare nelle parti di un contratto il valore della revisionabilità di un rapporto negoziale non più equilibrato. Alla luce di tali ipotesi tipizzate di rinegoziazione contrattuale, quindi, parrebbe già maggiormente sempliicato il percorso verso un tentativo d’istituzionalizNorme che secondo P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 818, insieme a quelle di cui agli «artt. 1480, 1492, 1537 e 1538 c.c. in materia di vendita assolvono alla duplice funzione di conservazione del contratto e di garantire una qualche corrispondenza tra le reciproche prestazioni». (97) (98) Cfr. P. gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 807. Sul punto A.T. de mauro, Principio di adeguamento nei rapporti giuridici privati, Milano, 2000. Ma v. in proposito anche A. TraBuCChi, Alimenti (diritto civile), in Noviss. Dig. it., App., 5, Torino, 1980, p. 234; T.A. auleTTa, Alimenti (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, p. 2; D. vinCenzi amaTo, Gli alimenti, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 4, Torino, 1982, p. 826; G. TamBurrino, Alimenti (diritto civile), in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 25; M. doglioTTi, Doveri familiari e obbligazione alimentare, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, Milano, 1994, p. 168. (99) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 211 zazione dell’obbligo rinegoziativo, lo stesso legislatore dimostrando infatti, sottoforma di diritto positivo, una innegabile propensione al mantenimento in vita del contratto: l’uso della clausola rinegoziativa può a ragione ritenersi, quindi, espressione d’interessi meritevoli di tutela giuridica da parte dell’ordinamento giuridico (100). 8. — Risoluzione per eccessiva onerosità e per impossibilità sopravvenuta. Quanto ai requisiti di validità delle clausole rinegoziative di fonte convenzionale, deve rilevarsi come nella pratica degli affari le medesime debbano, anzitutto, risultare compatibili con la disciplina legale in materia di eventi sopravvenuti. Di compatibilità o meno con la normativa in materia di risoluzione contrattuale per sopravvenuta eccessiva onerosità dovrà parlarsi, ovviamente, solo ove si prospetti una sovrapponibilità dei presupposti applicativi delle due fattispecie: in caso contrario, infatti, sarebbe suficiente la mera constatazione della relativa diversa operatività, legale da una parte ed autonoma dall’altra (101). (100) Sostengono come la clausola rinegoziativa debba ritenersi meritevole di tutela M. CosTanza, Clausole di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, in u. draeTTa, C. vaCCà (a cura di), Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, p. 315; A. frignani, Le clausole di hardship, cit., p. 313; A. gorni, Le clausole di rinegoziazione, cit., p. 38; F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 333, il quale ascrive l’obbligo di rinegoziazione, pur presentando caratteristiche peculiari, alla categoria dei pacta de contrahendo; si v. inine, in ordine al rapporto tra clausola rinegoziativa ed accordi preparatori, le osservazioni di R. sPeCiale, Contratti preliminari e intese precontrattuali, Milano, 1990, p. 241 ss. Cfr. anche C.G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, cit., p. 244, il quale sostiene come il contratto ad esecuzione prolungata costituisca il prodromo ad un rapporto contrattuale in costante evoluzione, da adattarsi alle eventuali sopravvenienze perturbative dell’equilibrio, tra gli interessi, presente in fase di stipula. Così V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 71; ma v. in proposito anche F. MaCario, Adeguamento e rinegoziazione, cit., p. 226, il quale sottolinea la non facile individuabilità dei termini del rapporto tra strumenti adegua(101) 212 diriTTo e ProCesso In caso di clausola rinegoziativa speciica dal punto di vista dei presupposti operativi, cioè a dire individuativa delle circostanze ritenute rilevanti ai ini dell’innesco del meccanismo rinegoziativo, non pare, quindi, di dover porre questioni di compatibilità con quanto statuito ex art. 1467, 1° comma c.c. (102) dal momento che tale disposizione presuppone, invece, una circostanza straordinaria ed imprevedibile (103): conseguentemente, in ipotesi di avveramento di quanto dedotto in clausola si avvierà la trattativa rinegoziativa, nel caso del cui mancato buon ine non dovrebbe potersi agire, “in subordine”, al ine di ottenere la risoluzione per eccessiva onerosità dal momento che il giudice dovrebbe, in caso contrario, rigettare la domanda per infondatezza, non trattandosi di evento non prevedibile. Secondo parte della dottrina, tuttavia, neppure il caso di clausola generica nell’individuazione della sopravvenienza prodromica alla rinegoziazione del rapporto sembrerebbe arrecare, in via di principio, problemi di compatibilità con il citato art. 1467, 1° comma c.c. (104). In ordine alla validità della clausola rinegoziativa quale strumento alternativo alla risoluzione in caso di sopravvenuta eccessiva onerosità sono rinvenibili diversi argomenti. tivi autonomi e regole legali riguardanti la risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità, osservando quindi come possa ritenersi codiicato, nella disciplina di cui all’art. 1467 c.c., «il punto di congiunzione fra il rispetto del tralaticio principio che si esprime nella formula pacta sunt servanda e l’esigenza, manifestata dagli interpreti di ogni tempo e anch’essa apparentemente radicata nel dogma della sovranità della volontà, di delineare i contorni e l’operatività concreta della teoria della clausola “rebus sic stantibus”», ma sottolineando anche come (p. 225, nt. 3) la questione della convivenza di diversi strumenti adeguativi delle condizioni contrattuali non si ponga solo alla luce delle regole di fonte negoziale, ciò trovando dimostrazione nel fatto che anche riguardo alla strumentazione di fonte legale gli interpreti hanno posto dubbi in merito all’applicabilità degli artt. 1467 ss. c.c. in caso d’interventi legislativi, sulla stipula, volti «a issare autoritativamente la soglia minima di tutela di una delle parti, adempiendo così ad una funzione perequativa legale e “speciale”». (102) Cfr. M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., p. 416. Cfr. F. Bonelli, Criteri per l’individuazione dei casi di eccessiva onerosità sopravvenuta, in u. draeTTa, C. vaCCà (a cura di), Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, p. 284. (103) (104) Così M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., p. 416. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 213 Il favor del legislatore verso alternative alla risoluzione in caso di eventi straordinari ed imprevedibili è certamente rinvenibile già nella possibilità, accordata alla parte che sia convenuta in giudizio per eccessiva onerosità, di proporre la reductio ad aequitatem di cui all’art. 1467, 3° comma c.c. La clausola rinegoziativa – per fare un parallelo con tale ultima ipotesi – costituisce infatti un veicolo autonomo, alternativo al ricorso all’autorità giudiziaria, per neutralizzare il rimedio risolutorio che, pertanto, si rivela sempre più per ciò che deve essere inteso: una extrema ratio a fronte di più tentativi conservativi del rapporto contrattuale caduto in disequilibrio (105). Inoltre, vale la pena ricordare come le sopravvenienze straordinarie ed imprevedibili assumano rilevanza – in tema di risoluzione di cui all’art. 1467, 1° comma c.c. come, a questo punto, di rinegoziazione – ove eccedenti l’“alea normale”, da intendersi, sotto un proilo oggettivo, come «il rapporto di valore tra le prestazioni frutto di una valutazione delle parti liberamente determinata» e, sotto un proilo soggettivo, quale «limite di consapevolezza o, se si vuole, di rischio assunto da ciascuno dei contraenti» (106). Inoltre, è utile osservare che mentre l’equilibrio tra le prestazioni trova tutela legale ove si sia in presenza di determinati presupposti esterni al contratto, «straordinari e imprevedibili», che – superando l’alea normale ed esulando, pertanto, dallo spazio operativo dell’autonomia negoziale – alteriCfr. M. CosTanza, Clausole di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, cit., p. 314, la quale, pur rilevando come sia la clausola di hardship che la riduzione ad equità si muovano sulla base dei medesimi presupposti, e ciò pur mantenendo l’esigenza di conseguire diverse inalità: la prima, quella di evitare in generale lo scioglimento contrattuale, la seconda quella di evitare che il contratto si risolva. (105) In tal senso M. ZaCCheo, Risoluzione e revisione, Milano, 2000, p. 259; ma v. anche F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 240, il quale osserva in proposito come l’alea normale non costituisca solo un limite applicativo alla normativa sulla risoluzione contrattuale ma sia, piuttosto, il fondamento giuridico di connessione, dell’operazione economica sottesa alla stipula, con il mercato: in sostanza, l’alea normale non viene a mancare alla luce della mera circostanza «che i contraenti, nell’esercizio della loro facoltà di autoregolamentazione, si siano accordati su una misura “convenzionale” di alea; quest’ultima, di regola ben delimitata, lungi dall’eliminare quella “normale”, è intesa a issare una soglia entro la quale non vi è spazio per aggiustamenti (quelli che deriverebbero dall’applicazione di una clausola di indicizzazione), né a fortiori per la risoluzione del contratto». (106) 214 diriTTo e ProCesso no il rapporto liberamente determinato (107) (ipotesi per la quale è prevista la risolvibilità del contratto, con la conservabilità del medesimo esclusivamente in caso di accoglimento giudiziale dell’offerta di reductio ad aequitatem (108)), la rinegoziazione convenzionale, al contrario, opera all’interno della isiologia del rapporto negoziale, trovando soluzione ad un sopraggiunto squilibrio economico tra le prestazioni dedotte in stipula. Appurati, quindi, detti differenti piani di operatività, deve a questo punto sottolinearsi come, al ine di stabilire se sia o meno lecito regolare convenzionalmente situazioni eccedenti detta alea normale, sia necessario stabilire, ancor prima, quale sia l’effettiva natura della disciplina legale in tema di risoluzione per eccessiva onerosità: se abbia, in sostanza, natura dispositiva ovvero imperativa. Ove si stabilisse di “conferire” all’art. 1467 c.c. natura di norma inderogabile dovrebbe conseguentemente ritenersi affetta da nullità, in quanto contraria a norma imperativa, la clausola rinegoziativa che escludesse la risoluzione contrattuale, ovvero che ne subordinasse l’operatività al fallimento delle trattative rinegoziative (109). Ma è lo stesso legislatore a riconoscere, all’autonomia privata, piena libertà di autodeterminazione nel gestire l’alea contrattuale, consentendo alle parti di derogare alle regole legali riguardanti proprio l’eccessiva onerosità sopravvenuta. Il contratto aleatorio (cfr. art. 1469 c.c.) costituisce, infatti, un possibile strumento per disporre dell’alea contrattuale: allo stesso modo, la clausola rinegoziativa potrebbe validamente riconoscere alle parti il potere di stabilire, in modo alternativo alle regole legali, il livello d’incidenza qualiquantitativa degli eventi sopravvenuti, straordinari ed imprevedibili, sugli Cfr. A. Boselli, La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, Torino, 1956, p. 6 ss.; T. GalleTTo, v. Clausola rebus sic stantibus, in Dig. disc. priv., Sez. civ., xxx, Torino, 1988, p. 383 ss., spec. p. 389, sottolinea in proposito che alla luce della disciplina legale concernente l’eccessiva onerosità rilevano le sopravvenienze perturbative dell’equilibrio contrattuale a tal punto da rendere il negozio non ulteriormente complanare all’assetto degli interessi sotteso alla stipula, nonché alla relativa distribuzione dei rischi; v., inoltre, G.B. Ferri, Dalla clausola rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadr., 1988, p. 73. (107) (108) M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., p. 417. (109) M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., p. 418. adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 215 equilibri tra gli interessi sottesi alla stipula (110). Come correttamente sottolineato, quindi, «la circostanza che il legislatore abbia previsto la categoria del contratto aleatorio per volontà delle parti, e lo abbia sottratto al regime dell’art. 1467 c.c., offre utile argomento per riconoscere natura dispositiva alla norma in esame» (111), ed è proprio alla luce di ciò che può correttamente riconoscersi la possibilità di stabilire convenzionalmente l’obbligo di rinegoziare anche riguardo all’ipotesi di eccessiva onerosità della prestazione dovuta a sopravvenienze straordinarie ed imprevedibili (112), di talché, a differenza che nel caso di riconduzione del contratto ad equità, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta sarebbe evitabile direttamente in executivis, e non in ambito processuale (113). (110) Come correttamente osserva parte della dottrina, escludere in convenzionale la fattispecie risolutoria non porta automaticamente a convertire il contratto da commutativo ad aleatorio, e ciò in quanto derogare alla risoluzione per eccessiva onerosità non coincide necessariamente con la facoltà di stipulare contratti aleatori, trattandosi di ipotesi autonome e distinte: in questi termini G. de nova, Il contratto ha forza di legge, cit., p. 351; r. niColò, v. Alea, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 1027; F. delfini, Autonomia privata e rischio contrattuale, Milano, 1999, p. 199; D. ruBino, L’appalto, in Tratt. dir. civ. it. Vassalli, 3, Torino, 1946, p. 704; nel medesimo senso, in giurisprudenza in materia di appalto, v. Cass., 26 gennaio 1993, n. 948, in Contratti, 1993, p. 301; Cass., 20 settembre 1984, n. 4806, in Mass. Giust. civ., 1984; Cass., 23 aprile 1981, n. 2403, in Foro it., 1983, I, c. 202. (111) M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., p. 417. Sostiene V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 75, come in seno al legislatore del ‘42 sia rinvenibile la natura dispositiva, e non imperativa, della disciplina riguardante la risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità, di talché può ritenersi come vi sia spazio per l’autonomia negoziale protesa ad affrontare in modo (ri)costruttivo – pertanto, conservativo – le sopravvenienze perturbative dell’equilibrio contrattuale, sottraendole al mero campo della risoluzione. Così anche R. Sacco, in R. SaCCo, g. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, II, Torino, 2004, p. 695; F. Delfini, Autonomia privata e rischio contrattuale, cit., p. 199; M. CosTanza, Clausole di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, cit., p. 315. (112) Cfr., in tal senso, V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 75, secondo il quale dalla lettera degli artt. 1453 e 1467 c.c. può legittimamente inferirsi «il potere dispositivo ai ini del conseguimento dell’effetto risolutorio», risultando in entrambe le ipotesi, la scelta risolutoria, «tipizzata nel testo normativo attraverso la previsione di un potere facoltativo (…) in alternativa con la domanda esecutiva nel primo caso, e con la opzione di controparte per la conservazione del rapporto contrattuale nel secondo caso». (113) 216 diriTTo e ProCesso Con particolare riferimento al caso del fallimento di trattative rinegoziative correttamente condotte può porsi, inine, il dubbio se la disciplina sulla risoluzione per eccessiva onerosità torni o meno ad essere eficace. In giurisprudenza, tale questione è stata affrontata riguardo alla clausola di adeguamento del prezzo, ingenerandosi due fondamentali correnti di pensiero: mentre in una non recente pronuncia di legittimità si è stabilito che «La stipulazione di una clausola di adeguamento del prezzo contrattuale non esclude, a fronte di sopravvenienze talmente eccezionali nella loro natura o entità da rendere concretamente inoperante l’indicizzazione divisata dalle parti, l’applicabilità della disciplina in tema di eccessiva onerosità» (114), poco dopo si è sottolineato come «Con riguardo ad un contratto di somministrazione, per il quale le parti abbiano espressamente contemplato determinati criteri di perequazione del prezzo, in relazione ad avvenimenti che sopravvengano dopo la stipulazione e nel corso dell’esecuzione» debba «escludersi l’invocabilità dell’art. 1467 c.c., in tema di risoluzione per eccessiva onerosità, anche nel caso in cui i suddetti criteri risultino in concreto inidonei ad assicurare il riequilibrio delle contrapposte prestazioni, poiché nell’indicata previsione negoziale è implicita la volontà di assumere l’alea di quegli eventi sopravvenuti per la parte non compensata dai meccanismi di adeguamento» (115). In proposito, è opinione di chi scrive che la rinegoziabilità di fonte convenzionale, proprio in quanto “isiologica” rispetto a quanto dall’ordinamento garantito al potere di autodeterminazione, consenta alle parti – anche alla luce della sopracitata natura dispositiva dell’art. 1467 c.c. – di escludere l’eficacia della risoluzione per eccessiva onerosità, ma solo ove detta esclusione risulti da espressa previsione contrattuale. Anche in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione si pone la questione se sia possibile prevedere una clausola rinegoziativa la quale si ponga in valida alternativa allo scioglimento del rapporto contrattuale (116). (114) Cfr. Cass., 29 giugno 1981, n. 4249, cit. (115) Cfr. Cass., 21 giugno 1985, n. 3730, in Mass. Giust. civ., 1985. Parte della dottrina sottolinea come, a prescindere dalla qualiicazione della natura risolutiva, debba escludersi lo scioglimento automatico del rapporto negoziale, l’automaticità dell’eficacia risolutiva potendo ostacolarsi a mezzo del fatto che il creditore intenda (116) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 217 Secondo parte della dottrina (117), le parti possono «distribuire i rischi della impossibilità sopravvenuta della prestazione in modo diverso da quanto previsto dalla disciplina codicistica»: si tratta di una impostazione seguita anche dalla giurisprudenza (118). Altra parte della dottrina (119) ritiene, invece, che il legislatore non coneseguire la controprestazione richiamandosi al subingresso nei diritti spettanti al debitore verso i terzi responsabili della impossibilità sopravvenuta: cfr. C.M. BianCa, Il debitore e i mutamenti del destinatario del pagamento, Milano, 1963, p. 143; P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento. Artt. 1230-1259, cit., p. 441; A. Pavone la rosa, Responsabilità civile (rassegna di giurisprudenza), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, p. 1062. Si v. in proposito anche le rilessioni di d. sCarPa, Ricostruzione ermeneutica della hardship clause nel diritto positivo italiano, cit., p. 977 s., secondo cui, «Acquisito il dato ermeneutico che alla assoluta impossibilità della prestazione deve essere equiparata la ineseguibilità della stessa quando la sua esecuzione richiederebbe l’impiego di mezzi o il sacriicio di interessi del debitore che non possono essere pretesi secondo buona fede, l’impossibilità sopravvenuta si deve valutare secondo parametri qualitativi; il giudizio di onerosità si avvale, naturaliter, di parametri meramente quantitativi, ciò in omaggio alle ragioni della buona fede e della solidarietà contrattuale che suggeriscono di valorizzare il momento dell’equilibrio contrattuale globalmente inteso. In tema, nasce l’esigenza di una rilessione sistemica: subordinare la risoluzione alla circostanza che la prestazione di uno dei contraenti sia divenuta più gravosa, prescindendo da ogni comparazione con la controprestazione, cosicché il contratto possa risolversi pur quando l’aggravio dell’una sia controbilanciato dal plusvalore conseguito dall’altra, equivale a ritenere che la norma, la quale si occupa dei contratti c.d. commutativi (art. 1467 c.c.), e la norma, la quale si occupa dei contratti con obbligazioni a carico di una soltanto delle parti (art. 1468 c.c.), siano ispirate a motivazioni non omogenee. Le modiiche atte a ripristinare l’equità del contratto cui ha riguardo l’ultimo comma dell’art. 1467 c.c., sono ivi contemplate con tale ampiezza che, verosimilmente, non si esauriscono nella sola riduzione dell’entità della prestazione divenuta più onerosa, potendo, al contrario, consistere anche in un incremento dell’entità della controprestazione. E risulta chiaro come ciò sia coerente con l’importanza attribuita all’economia del rapporto e non al valore della prestazione in sé». In tal senso R. saCCo, Il contratto, cit., p. 654; A. luminoso, I contratti tipici ed atipici, in Tratt. dir. priv. a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1995, p. 77; F. messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, p. 309; F. delfini, Autonomia privata e rischio contrattuale, cit., p. 65 ss.; contra, A. TraBuCChi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1985, p. 693. (117) V. Cass., 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., 1995, I, c. 173; Cass., 18 febbraio 1961, n. 349, ivi, 1961, I, c. 153; Cass., 29 gennaio 1976, n. 275, in Giur. it., 1976, I, c. 1306; Trib. Roma, 7 novembre 1994, in Gius, 1995, p. 448. (118) (119) Cfr. M. zaCCheo, Patti sul rischio e sopravvenienza, ed. provv., Roma, 1994, p. 69, il 218 diriTTo e ProCesso senta alle parti di prevedere in modo autonomo effetti alternativi dell’impossibilità sopravvenuta. In particolare si è sostenuto che, mentre nel caso di cui all’art. 1453 c.c. (risoluzione per inadempimento) la scelta risolutoria è normativamente presente sottoforma di potere facoltativo in alternativa alla istanza di esecuzione, nell’ipotesi di cui all’art. 1467 c.c. (risoluzione per eccessiva onerosità) l’opzione risolutoria è normativamente prevista in alternativa alla opzione, di controparte, inalizzata al mantenimento in vita del contratto (120): l’art. 1463 c.c. (impossibilità totale) eliminerebbe qualsivoglia quale ha sostenuto l’indisponibilità della disciplina dell’impossibilità sopravvenuta, in considerazione del dato letterale e dell’unilateralità del contratto, originariamente bilaterale, potenzialmente indotta dal patto di esclusione della risoluzione. V. inoltre F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 397, che sottolinea l’importanza di rinvenire la vincolatività dell’obbligo rinegoziativo a seconda della concreta esigibilità delle prestazioni dedotte in contratto, il quale ultimo, pertanto, non dovrà essersi risolto in maniera automatica, come in caso d’impossibilità totale sopravvenuta e conseguente risoluzione di cui all’art. 1463 c.c. (120) In ordine alla natura della disciplina riguardante la risoluzione contrattuale per inadempimento, è possibile rinvenire tre iloni principali di pensiero: a) anzitutto quello che, con varia motivazione, è propenso ad escludere che le parti convenzionalmente possano stabilire la irrisolvibilità contrattuale in caso d’inadempimento, e ciò, nonostante la lettera della norma: cfr. G. auleTTa, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 490; U. Carnevali, Della risoluzione per inadempimento, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 107; G. sCalfi, Corrispettività e alea nei contratti, Milano, 1960, p. 145; id., Risoluzione del contratto (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, xxVII, Roma, 1991, p. 4; A. Belfiore, v. Risoluzione del contratto, in Enc. dir., I, Milano, 1989, p. 1311; Cass., 30 ottobre 1965, n. 2324, in Foro it., 1966, I, c. 1459; Coll. Arb., 24 giugno 1987, in Foro pad., 1987, I, c. 507; b) vi è poi un orientamento mediano, in base a cui il tutto dipende dal rapporto con cui la vicenda risulti connessa alla esecuzione in forma speciica: ove, infatti, l’esclusione della risoluzione risulti accompagnata all’esclusione della esecuzione in forma speciica – entrambe unite dall’esclusione del risarcimento del danno – il rapporto negoziale dovrà ritenersi connotato non come rapporto a prestazioni corrispettive, bensì con obbligazioni a carico di una sola parte, mentre nel caso in cui le parti escludano ogni rilevanza all’ipotesi di risoluzione, mantenendo in vita la possibilità di agire per l’adempimento contrattuale ed ottenere risarcimento, la clausola non dovrebbe potersi ritenere nulla: in questi termini, G. de nova, Il contratto ha forza di legge, cit., p. 349; ma v. anche F. BenaTTi, Clausole di esonero dalla responsabilità, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, p. 400, il quale, annoverando il patto d’irresolvibilità tra le clausole limitative di responsabilità di cui all’art. 1229 c.c., detto patto dovrebbe considerarsi valido ove l’inadempimento risulti dovuto a colpa semplice, nullo se dovuto a dolo o colpa grave; c) inine vi è l’orientamento propenso a rinvenire, in capo alla disciplina sulla adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 219 ipotesi di facoltatività in capo alle parti, con conseguente obbligo di queste ultime di risolvere il rapporto negoziale (121). A tali argomentazioni si aggiunge anche quella propensa a rinvenire la ratio degli artt. 1463 e ss. c.c. nella tutela di un principio di ordine pubblico, di talché eventuali patti in deroga a quanto statuito dalle norme citate dovrebbero ritenersi illeciti. In realtà, è agevole rilevare come ogni ipotesi risolutiva normativamente individuata (tra cui, ovviamente, anche quella di cui all’art. 1463 c.c.) rinviene la propria ratio non in un principio di ordine pubblico, bensì nel “semplice” mantenimento dell’equilibrio tra interessi di natura squisitamente privata (122). Conseguentemente, potrà rinvenirsi parte della materia dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione anche nel potere, in mano all’autonomia delle parti, di eventualmente disciplinare per via convenzionale il fenomeno delle sopravvenienze perturbative degli equilibri negoziali, al ine di mantenere in vita il rapporto contrattuale (123). risoluzione per inadempimento, natura di tipo dispositivo: cfr. B. grasso, Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, Napoli, 1993, p. 24 ss.; Cass., 18 giugno 1980, n. 3866, in Mass. Giust. civ., 1980. Sul punto v. G. de nova, Il contratto ha forza di legge, cit., p. 349, il quale sottolinea come il principio di derogabilità ex artt. 1463 e 1464 c.c. debba intendersi «nel senso che le parti possono regolare diversamente dalla legge gli effetti dello scioglimento. Se, invece, si vuole ritenere che può essere esclusa la risoluzione, non si capirebbe perché si debba dubitare della validità della clausola di irresolubilità per inadempimento ed, invece, ammettere la irresolubilità in caso di impossibilità, quando non sussiste neppure il temperamento dell’azione di adempimento e dell’azione di risarcimento». (121) Cfr. R. saCCo, Il contratto, cit., p. 662; V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 86. (122) (123) Ancora più ragionevole in proposito sarà allora ritenere come, in ipotesi d’impossibilità temporanea, le parti debbano considerarsi obbligate, in applicazione di apposita clausola inalizzata alla revisione contrattuale, ad attendere che il fatto impeditivo venga meno, con conseguenti operazioni rinegoziative e, pertanto, di riequilibrio dell’assetto d’interessi sotteso alla stipula: del resto, in alcune ipotesi il legislatore ammette la conservazione negoziale anche alla luce di sopravvenienze produttive d’impossibilità sopravvenuta di una prestazione, introducendo ad esempio: a) per il contratto di mutuo, l’art. 1818 c.c., in base a cui ove si tratti di variazione di cose diverse da denaro e vi sia impossibilità di restituzione per causa non imputabile a debitore, quest’ultimo non potrà domandare risoluzione del rapporto, dovendo anzi – avuto riguardo a tempo e luogo di restituzione che doveva ese- 220 diriTTo e ProCesso 9. — Obbligo rinegoziativo: orientamenti. Il procedimento rinegoziativo è innescabile in diversi modi i quali si connotano, a loro volta, delle peculiarità proprie del modello negoziale cui risulta ispirata la fattispecie concreta. Generalmente, tra le modalità con cui una parte intenda rendere nota, all’altra, l’intenzione di dare avvio alla rinegoziazione al sopraggiungere di un evento perturbativo degli equilibri negoziali, vi è quella della “proposta di rinegoziare”, la quale può assumere i connotati di un semplice “invito” ad addivenire ad una nuova trattativa, come, in altri casi, di una vera e propria proposta dettagliata riguardo a condizioni e criteri (124). A seguito di tale proposta l’altra parte, alla luce di un mero atto ricognitivo della effettiva corrispondenza tra sopravvenienza dedotta in contratto ed evento concretamente veriicatosi, dovrà esclusivamente ritenersi obbligata ad aderire a suddetta proposta la quale porterà, quindi, al dovere di entrambe le parti di condurre – in adempimento di vera e propria obbligazione contrattuale – la trattativa rinegoziativa nel rispetto dei doveri d’informazione e trasparenza (questi ultimi da ritenersi, quindi, propri non solo della fase precon- guirsi – effettuare il pagamento; b) per il contratto di permuta, l’art. 1553 c.c., il quale, in caso di evizione di cosa permutata consente al permutante, nonostante l’inadempimento impossibilitante, la realizzazione del sinallagma funzionale corrispondendo il valore di cosa evitta. Sul punto v. anche F. delfini, Autonomia privata e rischio contrattuale, cit., p. 100, ove una disamina esaustiva riguardante le disposizioni inalizzate a garantire, nonostante la sopravvenuta impossibilità, il mantenimento in vita del contratto. In proposito, sia dottrina che giurisprudenza tedesche (N. horn, Die Vertragsdauer als schuldrechtliches Regelungsproblem: Empiehlt sich eine zusammenfassende Regelung der Sonderprobleme von Dauerschuldverhältnissen und langfristigen Verträgen?, in Bundesministerium der Justiz (Hrsg.) Gutachten und Vorschläge zur Überarbeitung des Schuldrechts, I, Köln, 1981, p. 638; A. nelle, Neuverhandlungsplichten. Neuverhandlungen zur Vertragsanpassung und Vertragsergänzung als Gegenstand von Plichten und Obliegenheiten, cit., p. 279; BGH, 19 settembre 1979, in VM, 1979, p. 1176; OLG Celle, 30 giugno 1982, in ZIP, 1982, p. 940) evidenziano come la clausola rinegoziativa possa anche imporre alla parte interessata, piuttosto di effettuare una semplice dichiarazione di disponibilità a trattare, di presentare a controparte una concreta e dettagliata offerta di revisione contrattuale. (124) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 221 trattuale (125)), nonché secundum bonam idem in executivis ex artt. 1175 e 1375 c.c. A fronte della richiesta di una parte di addivenire a rinegoziazione, può tuttavia accadere: a) da un lato, che l’altra parte opponga un riiuto il quale pertanto corrisponderà, ove in presenza di effettiva corrispondenza tra la circostanza concreta e quella di cui alla clausola rinegoziativa (126), ad un vero e proprio inadempimento contrattuale (127); b) dall’altro, che l’altra parte, di fronte alla proposta di rinegoziare, mantenga un comportamento di tipo omissivo, il quale avrà giuridica rilevanza esclusivamente nel caso in cui possa ragionevolmente considerarsi in termini di comportamento concludente In proposito, cfr. F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 360, il quale evidenzia come gli obblighi informativi reciproci possano qualiicarsi in termini di obblighi «di ricerca delle notizie e di comunicazione delle stesse alla controparte. In tal caso dovrà essere descritto dagli accordi tra i contraenti l’ambito delle informazioni rilevanti rispetto alle quali non potrà essere trascurato l’obbligo di ricerca. Per questa tipologia di obblighi informativi si rende necessaria la concessione di un certo tempo che consenta al debitore di compiere quanto necessario per acquistare quelle informazioni che dovranno poi essere a disposizione del creditore». Con riferimento all’ordinamento tedesco, si sottolinea l’importanza di detti obblighi informativi e di trasparenza ai ini di una conclusione producente della rinegoziazione: in dottrina, G. feChT, Neuverhandlungspltchten zur Vertragsänderung unter besonderer Berücksichtigung des bundesdeutschen Recht und der UN-Kodizes über Technologietransfer und das Verhalten transnationaler Unternehmen, cit., p. 137; N. horn, Neuverhandlungsplicht, cit., p. 284; A. nelle, Neuverhandlungsplichten. Neuverhandlungen zur Vertragsanpassung und Vertragsergänzung als Gegenstand von Plichten und Obliegenheiten, cit., p. 275; E. sTelndorff, Vorvertrag zur Vertragsänderung, in BB, 1983, p. 1130; in giurisprudenza, BGH, 24 novembre 1972, in VM, 1973, p. 464; BGH, 5 febbraio 1981, in VersR, 1981, p. 622. (125) In caso d’ingiustiicato riiuto di procedere alla trattativa rinegoziativa, seppure a fronte dell’esistenza dei presupposti rinegoziativi, M. fonTaine, Droit des contrats internationaux. Analyse et rédaction de clauses, cit., p. 267, sottolinea come controparte possa eccepire l’inadempimento contrattuale; eccezione che, tuttavia, F. maCario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 395, vede come strumento utilizzabile solo dopo attenta ponderazione alla luce del iltro dei principi di correttezza e buona fede. (126) Sul punto, M. fonTaine, Droit des contrats internationaux. Analyse et rédaction de clauses, cit., p. 266, il quale riporta a titolo esempliicativo una clausola rinegoziativa contenente l’obbligo per le parti, in caso d’incertezza sul diritto di controparte di procedere a rinegoziazione, di effettuare adeguata veriica su detto diritto; tuttavia, v. anche A. nelle, Neuverhandlungsplichten. Neuverhandlungen zur Vertragsanpassung und Vertragsergänzung als Gegenstand von Plichten und Obliegenheiten, cit., p. 270, il quale esclude che una clausola di rinegoziazione possa estendersi sino ad imporre detto obbligo di veriica. (127) 222 diriTTo e ProCesso e, pertanto, giuridicamente rilevante (128): a parere di chi scrive, detta giuridica rilevanza deve intendersi ascrivibile al comportamento della parte che, seppure a fronte della proposta rinegoziativa, rimanga inerte (ovvero assuma un contegno complanare, fattivamente, alle nuove condizioni offerte da controparte) (129), e ciò può dirsi anche in ossequio alla regola della buona fede esecutiva contrattuale, in base a cui solo l’ipotesi del dissenso richiede espressa manifestazione, dovendosi ritenere di rinvenenire, in caso di mero silenzio di controparte, la manifestazione del consenso ad adeguare il rapporto contrattuale ai relativi necessari equilibri. Tra gli ambiti che maggiormente hanno impegnato dottrina e giurisprudenza vi è, certamente, quello riguardante la corretta individuazione dell’oggetto dell’obbligo rinegoziativo, cioè a dire se il medesimo incarni un obbligo di addivenire alla trattativa rinegoziativa, ovvero un obbligo a stipulare in ogni caso un negozio modiicativo di quello rinegoziando. In tal senso: in dottrina, v. S. PaTTi, Proili della tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978, p. 94; id., In tema di modiica tacita del contenuto del contratto, in Dir. e giur., 1980, p. 395; C.M. BianCa, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, p. 211; R. saCCo, Il contratto, cit., p. 81; in giurisprudenza, cfr. Cass., 15 aprile 1998, n. 3803, in Foro it., 1998, I, c. 2133; Cass., 14 giugno 1997, n. 5363, in Giur. it., 1998, c. 1117; Cass., 9 giugno 1983, n. 3957, in Mass. Giust. civ., 1983, p. 1412; Cass., 30 ottobre 1981, n. 5743, ivi, 1983; Cass., 15 gennaio 1973, n. 126, in Giur. it., 1974, I, 1, c. 1575. (128) In caso di adeguamento per facta concludentia, pertanto, il negozio adeguativo può considerarsi perfezionato ex art. 1327 c.c., come anche sostenuto in Cass., 22 luglio 1993, n. 8191, in Giur. it., 1994, I, c. 1562, la quale sottolinea come il silenzio, pur non costituendo di per sé manifestazione negoziale, «potendo acquistare tale signiicato soltanto qualora peculiari circostanze o situazioni, oggettive o soggettive, siano tali da renderlo signiicativo come sintomo rivelatore della volontà dell’altro soggetto», lo stesso possa, tuttavia, assumere valere di «consenso ed acquistare eficacia giuridica non solo nei casi di conclusione o rinnovazione del contratto previsti dall’ordinamento, ma anche nel caso di modiiche di un contratto in corso tra le parti». Sul punto v., in dottrina, le osservazioni di G. BellanTuono, Sulla conclusione del contratto mediante esecuzione, in Foro it., 1994, I, c. 1848; A.M. sinisCalChi, Inizio di esecuzione e silenzio. Spunti in tema di modiicazione del rapporto contrattuale, in Rass. dir. civ., 1994, p. 526; D. Peiranis, Il silenzio, seguito da esecuzione, ha lo stesso valore nella conclusione di un contratto nuovo e nel rinnovo, con modiiche, di un contratto esistente?, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1561; F. addis, Lettera di conferma e silenzio, Milano, 1999, p. 257; R. rolli, Antiche e nuove questioni sul silenzio come tacita manifestazione di volontà, in Contr. e impr., 2000, p. 206; G. mazzoni, Il silenzio come comportamento modiicativo del rapporto contrattuale, in Giur. it., 1974, I, c. 1573. (129) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 223 Sul punto possono ravvisarsi due fondamentali linee di pensiero le quali, partendo dalla possibile concezione della buona fede esecutiva, vi riconoscono: a) il mero ruolo di regolare sul piano formale il corretto svolgimento della trattativa; b) una vera e propria capacità di obbligare le parti contrattuali – sinanche determinandone le scelte – ad addivenire alla stipula di un negozio adeguativo (130). Quanto al primo orientamento, con il quale chi scrive ritiene più corretto allinearsi, si tratta sostanzialmente dell’impostazione tradizionale, la quale tende ad escludere la conigurabilità di un vero e proprio obbligo a contrarre a condizione che le parti non abbiano indicato, nella clausola rinegoziativa, parametri determinativi dotati di rigidità, lasciandosi al contrario liberi di gestire la sopravvenienza a mezzo di una nuova trattativa, caratterizzata da autonomia sia riguardo all’an che al quomodo, di talché la rinegoziazione si prospetterebbe in termini di modalità e contenuti potenzialmente più svariati (131). La clausola rinegoziativa, in sostanza, alla medesima stregua delle norme imperative imporrebbe una mera condotta, cioè a dire quella di prestarsi allo svolgimento di trattative adeguative in linea con la buona fede con la conseguenza che, anche in presenza di mancata adesione ad accordo modiicativo, ove quest’ultimo risulti da trattativa leale della totalità delle parti coinvolte, non potrebbe conigurarsi un’ipotesi d’inadempimento né, tantomeno, un ipotetico diritto al risarcimento esercitabile dalla parte che risulti svantaggiata dalla sopravvenienza perturbativa degli originari equilibri contrattuali (132). Ovviamente, meno lineare si proila il caso in cui una delle parti si comporti, nel corso della trattativa, in modo poco ragionevole o, comunque, non (130) Su cui M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., pp. 418-423. Cfr. F. GamBino, v. Rinegoziazione (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, xV, 2007, p. 10, il quale sottolinea in proposito di non si debba cadere nell’equivoco di ritenere la clausola rinegoziativa come mezzo conservativo del contratto in mera contrapposizione alla risoluzione per eccessiva onerosità, in quanto detta clausola si connota, piuttosto, per il fatto che le parti – alla luce della imponderabilità della trattativa rinegoziativa riguardo alla propria conclusione, essendo lasciato all’autonomia negoziale «il potere di non concludere l’accordo» – possono con essa avere piena gestione delle sopravvenienze. (131) (132) Cfr. M.P. Pignalosa, Clausole di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, cit., p. 419. 224 diriTTo e ProCesso si disponga in vista della corretta ricerca dei prodromi di un accordo adeguativo del contratto iniciato dalle sopravvenienze, eventualmente anche interrompendo, ingiustiicatamente, trattative anche correttamente iniziate. In tali evenienze, infatti, è certamente ravvisabile una violazione della buona fede in senso oggettivo, sanzionabile, in taluni casi, anche in termini di vera e propria ipotesi di abuso del diritto (133). Seppure non sia dubitabile che tali condotte incarnino ipotesi d’inadempimento dell’obbligo rinegoziativo quale obbligo di trattare, in buona fede, le nuove condizioni contrattuali adeguative della stipula originaria, parte della dottrina (134) ritiene di prospettare l’ipotesi che l’inadempimento medesimo risulti privo di conseguenti effetti risarcitori positivi, sostenendo che, non essendovi alcun obbligo di conclusione di negozio adeguativo, dificilmente risulti conigurabile un danno risarcibile in termini di conseguenza, immediata e diretta, del comportamento non corretto tenuto dalla parte avvantaggiata da sopravvenienza perturbativa dell’originario assetto contrattuale. Come è stato osservato, un danno è indeterminabile ove, quale unica fonte d’informazioni, vi sia il risultato della comparazione tra situazione economica attuale e situazione economica ascrivibile ad una situazione contrattuale risultante dalla potenziale buona riuscita di trattative rinegoziative dal contenuto imprevedibile, mancando, in capo alla clausola, parametri di determinazione dell’accordo modiicativo: di talché, da una mera ipotesi contrattuale sarebbe inferibile esclusivamente una mera (133) Di “rinegoziazione maliziosa”, cioè a dire di trattative «condotte senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell’accordo» parlano anche L. CasTelli, L’obbligo di rinegoziazione, cit., p. 188, e, ancora prima, G. marasCo, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, cit., p. 560. In proposito, v. anche e. del PraTo, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, cit., p. 807, il quale opportunamente deinisce tali ipotesi come di «disponibilità a rinegoziare “di facciata”», che incarna un sostanziale inadempimento contrattuale; F. TruBiani, Un’ipotesi di utilizzo scorretto della risoluzione: un nuovo caso di abuso del diritto?, in Obbl. e contr., 2011, p. 263 ss. Più in generale, sul punto, L. BerTino, Le trattative prenegoziali e i terzi, Milano, 2009, p. 20 ss., nonché G. meruzzi, La trattativa maliziosa, Padova, 2002, passim. V., in tal senso, B. grasso, Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, cit., p. 35 ss. (134) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 225 ipotesi di danno (135), non essendo neppure richiamabile quanto previsto ex art. 1126 c.c. che, nel prevedere il parametro della valutazione di tipo equitativo, comporta di dover dare prova dell’ammontare del danno lamentato (136). Di talché in tali casi, seppure a fronte d’inadempimento contrattuale, sarebbe da ritenersi risarcibile – complanarmente a quanto accade per il caso della responsabilità precontrattuale – il mero danno negativo (137). Quanto all’orientamento propenso a rinvenire nella clausola rinegoziativa un vero e proprio obbligo a contrarre (138), il quale consenta al negozio di Cfr. A. GenTili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, cit., p. 720. (135) In tal senso, in giurisprudenza, Cass., 10 luglio 2003, n. 10850, in Urb. e app., 2003, p. 1182, con nota di G. de marzo, Derogabilità del sistema del cd. prezzo chiuso, e in Arch. civ., 2004, p. 685, ove si sottolinea che «Al criterio di determinazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. è consentito ricorrere soltanto in presenza di una impossibilità, o motivata grande dificoltà, di procedere alla esatta quantiicazione del danno, non già per surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore nella determinazione del ritardo o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza». (136) (137) Per un’idea di rinvenimento, in capo all’obbligo rinegoziativo di fonte negoziale, d’incoercibilità in positivo, v. A. GenTili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, cit., p. 721. Contra, F. TruBiani, La rinegoziazione contrattuale tra onere ed obbligo per le parti, in Obbl. e contr., 2012, p. 453, che sottolinea come il giudice, nel quantiicare e liquidare il danno, debba «basarsi sulle prescrizioni contrattuali iniziali, cercando, per quanto possibile, di tener conto dell’equilibrio originario e del proitto che si sarebbe realizzato per la parte adempiente nel caso in cui non vi fossero state sopravvenienze inaspettate», con ricorribilità, per un sindacato giudiziale alla luce dei valori di mercato, alla disciplina di cui all’art. 1226 c.c. Cfr., in dottrina, V.M. Cesàro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 57; evidenzia inoltre R. SaCCo, Il contratto, cit., p. 724, come l’obbligo rinegoziativo incarna sostanzialmente un obbligo di disponibilità a trattare le condizioni che potranno risultare eque alla luce dell’assetto d’interessi sotteso alla stipula originaria, con rivisitazione in base alle sopravvenienze perturbative degli originari equilibri contrattuali; v., ancora, F. Grande STevens, Obbligo di rinegoziazione nei contratti di durata, in N. LiPari (a cura di), Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1998, p. 195. In giurisprudenza, v. Trib. Bari (ord.), 14 giugno 2011, cit., secondo cui «In base alla clausola generale di buona fede sussiste l’obbligo di rinegoziare il contenuto del contratto, in presenza di un mutamento rilevante della situazione di fatto o di diritto, rispetto a quella contemplata dal regolamento originario, potendo il giudice, in caso di inadempimento dell’obbligo, costituire con sentenza gli effetti del contratto modiicativo che sarebbe risultato all’esito della rinegoziazione (138) 226 diriTTo e ProCesso ritrovare il proprio originario equilibrio, deve osservarsi come, secondo tale impostazione, il carattere obbligatorio della trattativa rinegoziativa s’imporrebbe in termini di vera e propria limitazione alla discrezionalità delle parti nell’espletamento della trattativa medesima, rinvenibile nella buona fede esecutiva di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., da tenersi ben distinta da quella relativa alla trattativa precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c. (139), caratterizzata, al contrario dell’impronta cooperativa della prima (e seppure a condizione dell’assenza di un apprezzabile sacriicio, in capo alle parti, nell’attuazione di detta collaboratività), dal confronto tra interessi contrapposti (140). condotta secondo buona fede o, nell’ambito di un procedimento cautelare, condannare l’inadempiente ad eseguire la prestazione cui la parte sarebbe tenuta in forza della rinegoziazione, e corroborare la condanna mediante una penale giudiziale»; Trib. Bari (ord.), 31 luglio 2012, in Foro it., 2013, I, 1, c. 375, e in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 117, con nota di F.P. PaTTi, Collegamento negoziale e obbligo di rinegoziazione, cit., in base a cui si conferma, a distanza di un anno, come debba ritenersi sussistente «l’obbligo di rinegoziare il contratto, in base alla clausola generale di buona fede, nel caso di contratti collegati in cui la sopravvenienza, che si sostanzia nel mancato perfezionamento di un contratto previsto in funzione di garanzia, incida sul complessivo equilibrio dell’operazione negoziale». Con riguardo ai casi di responsabilità precontrattuale relativa ad ingiustiicato recesso dalle trattative, v. P.G. monaTeri, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, p. 656 ss.; P. viTuCCi, Responsabilità precontrattuale e inadempimento, in Riv. arb., 1995, p. 117 ss.; G. visinTini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, passim; più di recente, V. roPPo, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv., 2004, p. 747 ss. (139) (140) Così Cass., 9 marzo 1991, n. 2503, cit.; Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, cit.; Cass., 9 dicembre 2003, n. 18743, in Guida al dir., 2004, 5, p. 78, in Arch. civ., 2004, p. 1198, e in Gius, 2004, p. 2220, ove si evidenzia che «Il dovere di correttezza si presenta nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita e, quindi, concorre alla relativa conformazione nel senso di ampliarne o restringerne la isionomia apparente, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacriicio della giustizia sostanziale e non risulti disatteso il dovere inderogabile di solidarietà affermato dalla Costituzione (articolo 2): dovere che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto e gli effetti e deve, a un tempo, orientarne l’interpretazione e l’esecuzione»; Cass., 15 marzo 2004, n. 5240, in Riv. dir. civ., 2005, p. 603, con nota di F. asTone, Ritardo nell’esercizio del credito, Verwirkung e buona fede, in Foro it., 2004, I, c. 1397, in Gius, 2004, p. 2971, e in Corr. giur., 2004, p. 587, secondo cui «La clausola generale di buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 227 10. — Un caso emblematico: la ricomposizione della crisi da sovraindebitamento. Tra gli elementi sintomatici della citata, naturale propensione dell’ordinamento alla ricerca di sempre più eficienti strumenti di conservazione del contratto alla luce di sopravvenienze perturbative dell’equilibrio tra gli interessi dedotti in stipula è rinvenibile, certamente, la recente normativa in materia di ricomposizione della crisi da sovraindebitamento. La ricerca di strumenti di risoluzione di detta crisi, come noto non costituisce più, da tempo, un problema tipico dell’impresa: ciò ha fatto sì che, per quanto concerne soggetti di diritto che, in qualità di consumatori, incorrano in situazione di sovraindebitamento, alla poca adeguatezza dell’impostazione inquisitoria e liquidatoria della disciplina fallimentare di cui al r.d. di speciici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; in virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta da un lato ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l’utilità della controparte, e, dall’altro, a tollerare anche l’inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. Ad un tale riguardo il semplice ritardo di una parte nell’esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l’inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle inalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte»; per le decisioni di merito, v. Trib. Reggio Emilia, 21 febbraio 2013, in Contratti, 2013, p. 545, con nota di F. TosChi VesPasiani, Recesso, risoluzione per inadempimento del preliminare ed abuso del diritto, e in Notariato, 2013, p. 247, ove, in tema di esecuzione contrattuale, si evidenzia che «la buona fede si atteggia come impegno di cooperazione od obbligo di solidarietà, imponendo a ciascun contraente di tenere quei comportamenti che, a prescindere da speciici obblighi contrattuali o dal dovere extracontrattuale del principio del neminem laedere, sono idonei a preservare gli interessi della controparte, senza peraltro che ciò possa rappresentare un apprezzabile sacriicio per chi li pone in essere: in sostanza, il principio sancito dall’art. 1375 c.c. ha la portata di ampliare ovvero di restringere gli obblighi letteralmente assunti con il contratto, nei casi e nella misura in cui farli valere nel loro tenore letterale contrasterebbe con detto principio, senza peraltro che possa essere impedito di avvalersi di tutti gli strumenti apprestati dall’ordinamento per porre rimedio all’inadempimento di controparte ed al pregiudizio che ne deriva. L’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto non ha allora un contenuto prestabilito, e quindi anche la mera inerzia può costituirne inadempimento, poiché l’osservanza del dovere di correttezza si pone nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica contrattuale soggettiva, per evitare che l’ossequio alla legalità formale si traduca in un sacriicio della giustizia sostanziale che scade nell’abuso del diritto». 228 diriTTo e ProCesso 16 marzo 1942, n. 267, si sia fatto ricorso a strumenti rimediali di tipo preventivo, nonché a procedure non liquidatorie che tutelassero, a prescindere dalla imprenditorialità del soggetto coinvolto, gli interessi sia del debitore che del creditore. Pertanto, dopo un periodo di tempo caratterizzato da assenza, pur alla luce di comunanza di fenomeni rispetto alle imprese fallibili, di accessibilità per le imprese non fallibili a misure inalizzate a superare l’eccessivo indebitamento, con la l. 27 gennaio 2012, n. 3 (141) si è inalmente giunti a prevedere (141) In ordine ai nuovi strumenti di risanamento delle crisi da sovraindebitamento la dottrina può già dirsi, ad oggi, pressoché sterminata: A. rossi, La legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa: una prima lettura, in Società, 2017, p. 1375 ss.; G. seliCaTo, Composizione delle crisi da sovraindebitamento e transazione iscale, in Dir. fall., 2017, p. 1401 ss.; L. sTanghellini, La proposta di direttiva UE in materia di insolvenza, in Fallimento, 2017, p. 873 ss.; M. giorgeTTi, S. nadin, La gestione della crisi da sovraindebitamento e la conservazione dell’immobile di abitazione, in Imm. e propr., 2017, p. 508 ss.; P. farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. Le problematiche della domanda e dell’automatic stay, in Dir. fall., 2017, p. 43 ss.; R. BoCChini, Proili civilistici della disciplina del sovraindebitamento del consumatore, in Giur. it., 2016, p. 2129 ss.; M. CaTaldo, La soggezione dell’impresa in crisi al regime di allerta e composizione assistita, in Fallimento, 2016, p. 1021 ss.; N. soldaTi, Il sovraindebitamento alla prova della riforma del diritto fallimentare, in Contratti, 2016, p. 628 ss.; A. BerTolini, La tutela del debitore inadempiente nella disciplina europea dei mutui ipotecari. Eterogenesi dei ini, errori prospettici ed aporie alla luce dell’analisi economica del diritto, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 327 ss.; P. zagami, La disciplina italiana della crisi da sovraindebitamento tra best practices internazionali e trust, in Trusts, 2015, p. 556 ss.; F. Cilluffo, Gli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Coop. e enti non proit, 2015, 10, p. 11 ss.; M. del linz, Spunti critici sulle nuove procedure di sovraindebitamento e ordinamenti a confronto, in Dir. fall., 2015, p. 482 ss.; R. guidoTTi, L’esdebitazione del fallito: proili sostanziali, in Contr. e impr., 2015, p. 1073 ss.; S. masTurzi, La composizione delle crisi da sovraindebitamento mediante accordo di ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti, in Dir. fall., 2014, p. 676 ss.; M. di PaCe, Liquidazione dei beni per le piccole cooperative sovra indebitate, in Coop. e enti non proit, 2014, 1, p. 25 ss.; id., L’accordo di ristrutturazione dei debiti per le piccole cooperative sovraindebitate, ivi, 3, p. 31 ss.; s. BonfaTTi, g. falCone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, Milano, 2014, passim; a. sarCina (a cura di), Il sovraindebitamento civile e del consumatore. Sistemi giuridici europei alla prova del dialogo, Lecce, 2014, passim; D. vaTTermoli, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, in Dir. fall., 2013, p. 762 ss.; R. BaTTaglia, I nuovi procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento dopo il maquillage della l. n. 3/2012, in Fallimento, 2013, p. 1433 ss.; M. monTanari, La protezione del patrimonio nel concordato preventivo, in Dir. fall., 2013, p. 634 ss.; F. dami, I proili iscali della disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Rass. trib., 2013, p. 615 ss.; R. TisCini, adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 229 e disciplinare procedure di composizione di crisi da sovraindebitamento a favore di categorie soggettive ben più ampie (142). Sono quindi oggi rinvenibili strumenti rimediali di inedita caratura al sovraindebitamento, a favore sia delle imprese non fallibili (143) che di soggetti, imprenditori o meno, i quali non siano tuttavia incorsi nell’eccessivo indebitamento esercitando l’impresa ovvero svolgendo attività di lavoro autonomo. Mantenere gli strumenti di esdebitamento programmato limitati all’esclusiva area di procedure concorsuali e paraconcorsuali riservate ai soggetti fallibili avrebbe costituito, anche sotto un proilo squisitamente sistematico, I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, in Riv. dir. proc., 2013, p. 649 ss.; A. gallaraTi, La crisi del debitore “civile” e “commerciale” tra accordi di ristrutturazione e trust, in Contr. e impr., 2013, p. 104 ss.; P. CelenTano, Fallimento e moratorie in favore delle vittime dell’usura o di attività estorsive, in Fallimento, 2013, p. 25 ss.; M. luPoi, Il contratto di afidamento iduciario, in Trusts, 2012, p. 585 ss.; R. marino, M. CarminaTi, Le soluzioni negoziali della crisi dell’imprenditore agricolo, in Fallimento, 2012, p. 633 ss.; F. maCario, La nuova disciplina del sovraindebitamento e dell’accordo di ristrutturazione per i debitori non fallibili, in Contratti, 2012, p. 229 ss.; M. faBiani, Crescita economica, crisi e sovraindebitamento, in Corr. giur., 2012, p. 449 ss.; G. Bersani, La composizione della crisi da sovraindebitamento per le imprese non fallibili nella l. n. 3/2012, in Fisco, 2012, p. 1960 ss. Con riferimento alla tipizzazione degli strumenti in esame v. g. lo CasCio, La composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2012, p. 1021 ss.; id., L’ennesima modiica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (l. 27 gennaio 2012, n. 3), ivi, 2013, p. 813 ss.; riguardo, in particolare, ai proili tributari, f. dami, I proili iscali della disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Rass. trib., 2013, p. 615 ss.; a.f. uriCChio, Gli aspetti iscali nella procedura da sovraindebitamento, in a. sarCina (a cura di), Il sovraindebitamento civile e del consumatore. Sistemi giuridici europei alla prova del dialogo, cit., p. 197 ss. (142) (143) Con riferimento ai requisiti di fallibilità, deve oggi farsi riferimento a quanto statuito dall’art. 1 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (come modiicato, da ultimo, ex art. 1 del d.lgs. n. 169/2007), il cui 2° comma sottolinea come non siano «soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori (…) i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila». 230 diriTTo e ProCesso un atto inutilmente discriminatorio verso i soggetti non richiamati dal 1° comma dell’art. 1 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Nel “superare” quindi la mera normativa in materia d’impresa, e soprattutto nell’ottica di rinvenire strumenti manutentivi del contratto in situazioni d’indebitamento prive di apposita regolamentazione di promanazione legale, si è voluto introdurre nell’ordinamento – coerentemente con quanto emerso in seno al dibattito parlamentare relativo all’approvazione della legge citata – uno strumento di ristrutturazione debitoria che giungesse in aiuto di soggetti la poca coerenza sistematica della cui mancata anteriore contemplazione risultava sia di assoluta (imprese non fallibili) che di relativa evidenza (consumatori). In particolare, con la normativa introdotta dalla citata l. n. 3/2012, così come modiicata ex art. 18 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. “Decreto crescita-bis”, a sua volta convertito con l. 17 dicembre 2012, n. 221), si è inteso principalmente soddisfare l’esigenza di portare alla luce uno strumento che, in aggiunta ai consueti rimedi dell’autonomia negoziale, consentisse di affrontare in modo costruttivo le situazioni di sovraindebitamento derivante da eventi che prescindono, in via di principio, dalla volontà del privato, come ad esempio la perdita del lavoro, malattie, crisi della famiglia. Si è quindi provveduto, sulle orme della normativa già da tempo rinvenibile in altri ordinamenti europei, a prevedere e disciplinare sia le forme di composizione del sovraindebitamento, sia i requisiti soggettivi e oggettivi per la valida accessibilità a tali strumenti rimediali. Partendo dal presupposto che vi sia una situazione di «sovraindebitamento», deinito in termini di «perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte», che comporta la «rilevante dificoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la deinitiva incapacità di adempierle regolarmente» (art. 6), il Capo Secondo della l. n. 3/2012 individua gli ambiti soggettivo ed oggettivo di applicabilità di tre procedure inalizzate alla esdebitazione programmata: a) accordo del debitore (art. 7, 1° comma): proponibile da parte di qualsiasi soggetto non fallibile (tra cui sono rinvenibili, quindi, imprese non fallibili, startup innovative ed imprese agricole (144)), (144) Per ciò che concerne le imprese agricole, in particolare, va ricordato come in via adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 231 compreso il consumatore persona isica, ha ad oggetto sia la ristrutturazione debitoria che la soddisfazione creditoria alla luce di un piano approvato da una maggioranza qualiicata di creditori, vincolante anche per i dissenzienti; b) piano del consumatore (art. 7, 1° comma-bis): riservato al debitore persona isica che abbia assunto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, prevede, analogamente all’accordo del debitore, la ristrutturazione debitoria e la soddisfazione creditoria a prescindere da un preventivo accordo con i creditori, con mera soggezione alla omologazione giudiziale (che garantisce a sua volta il bilanciamento dei contrapposti interessi e, pertanto, la tutela – più sostanziale che formale – del ceto creditorio); c) liquidazione del patrimonio (art. 14-ter), la quale può veriicarsi in alternativa ovvero, in alcuni casi, conseguentemente ad entrambe le procedure citate. Proponibile da parte della totalità dei debitori non fallibili: 1) consiste, in maniera simile a quanto accada con la liquidazione fallimentare, nella liquidazione della totalità dei beni del debitore, compresi i beni sopravvenuti nei successivi quattro anni, tranne quelli personali, ed è eseguita da un liquidatore a mezzo di procedure competitive; 2) prescinde, come per il piano del consumatore, da un accordo con i creditori, in quanto soggetto alla mera omologazione giudiziale. Al ine di accedere a detti mezzi di risanamento della situazione debitoria è previsto, anzitutto, che vi sia meritevolezza dell’accesso al credito, ravvisadi principio le stesse debbano ritenersi sottratte alle procedure concorsuali di cui al r.d. n. 267/1942; tuttavia, ex art. 23, 43° comma del d.l. n. 98/2011, tali imprese sono comunque ammesse ad accedere anche all’accordo di ristrutturazione debitoria di cui all’art. 182-bis, nonché alla transazione iscale di cui all’art. 182­ter l. fall. (cfr. agenzia delle enTraTe, Circ. n. 19/E del 6 maggio 2015, in base a cui «Una posizione particolare attiene agli imprenditori agricoli i quali, se in stato di sovraindebitamento, possono proporre ai creditori un accordo di composizione della crisi ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, della legge n. 3 del 2012 oppure, se “in stato di crisi o di insolvenza”, a mente dell’articolo 23, comma 43, del DL n. 98 del 2011 (…), possono accedere alla procedura degli accordi di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F. e alla transazione iscale. In deinitiva, l’imprenditore agricolo, anche se escluso dal fallimento a norma dell’articolo 1 della L.F., può alternativamente fruire della procedura di composizione della crisi in esame o degli accordi di ristrutturazione e della transazione iscale»). 232 diriTTo e ProCesso bile nella presenza contestuale di più requisiti: uno di tipo oggettivo, cioè a dire la sussistenza di esigenze particolarmente meritevoli di tutela giuridica documentate dall’attendibilità della documentazione allegata all’atto introduttivo delle procedure; altri requisiti, di tipo, di tipo soggettivo, costituiti da: a) diligenza, in capo al debitore, nell’assunzione delle obbligazioni che hanno poi portato alla situazione di eccessivo indebitamento: diligenza acclarabile, in sostanza, alla luce di una ragionevole prospettiva di potenziale adempimento ad obbligazioni che a loro volta risultino, quindi, proporzionate alle capacità del debitore medesimo; b) accesso al credito non causato da colpa del debitore; c) mancanza di atti dispositivi del patrimonio posti in essere dal debitore in modo fraudolento (145). Pur permanendo, ancora oggi, alcuni dubbi applicativi in ordine alla procedura adottanda con riferimento a soggetti sovraindebitati per debiti di varia natura (in parte di natura imprenditoriale/professionale, in parte di natura estranea a dette attività), comprese le ipotesi di “stratiicazione debitoria”, avvenuta nel tempo anche a seguito di cessazione d’impresa o di professione (146), l’elemento di distinzione fondamentale tra i mezzi possibili Così Trib. Milano, 18 novembre 2016, in www.leggiditalia.it, il quale sottolinea in proposito come «La disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento» appaia come strumento «in controtendenza rispetto alla scelte operate dal legislatore in materia di concordato preventivo, essendo il tribunale chiamato a più riprese e sotto diversi proili a veriicare la meritevolezza del soggetto sovraindebitato», ciò trovando dimostrazione anche nella «previsione secondo cui l’O.C.C. deve indagare sulle cause dell’indebitamento, sulla diligenza del debitore nell’assunzione delle obbligazioni, sulle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte, sull’attendibilità della documentazione allegata all’atto introduttivo delle procedure, sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni e dunque, in sintesi, sulla condotta tenuta dal debitore nel periodo antecedente l’accesso alla procedura». (145) Cfr., in proposito, la recente Cass., 1° febbraio 2016, n. 1869, in Foro it., 2016, V, 1, c. 1804, in Giur. it., 2016, p. 817, con nota di A. CaPoCCeTTi, La nozione di “consumatore”nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 989, con nota di F. TruBiani, Gli angusti orizzonti della nozione di consumatore nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2016, p. 661, con nota di F. Pasquariello, La Cassazione delinea il proilo del consumatore sovraindebitato, nonché in Dir. fall., 2016, p. 1257, con nota di F. Cerri, La Suprema Corte deinisce la nozione di consumatore nella composizione della crisi da sovraindebitamento, ove si sottolinea che «La nozione di consumatore di cui alla l. 27 gennaio 2012, n. 3, secondo la quale deve ritenersi tale esclusivamente il debitore persona isica che abbia contratto obbligazioni per far (146) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 233 è rinvenibile nella particolare rilevanza rivestita, dalle cause d’indebitamento fronte ad esigenze personali o familiari o comunque derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità, non esclude coloro che esercitino o abbiano esercitato attività di impresa o professionale, dal momento che l’art. 6, 2° comma, lett. b, esige solo che nella sua insolvenza inale non compaiano obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero che esse non risultino più attuali. Al ine dell’accesso ai beneici di cui alla l. n. 3 del 2012 deve, pertanto, considerarsi consumatore solo il debitore che, persona isica, risulti aver contratto obbligazioni (non soddisfatte al momento della proposta di piano) per far fronte alle predette esigenze, salvo gli eventuali debiti di cui all’art. 7, 1° comma, terzo periodo (costituenti risorse proprie dell’Unione europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate) che sono da pagare in quanto tali, sulla base della veriica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui all’art. 12-bis, 3° comma, l. n. 3 del 2012». In ordine alla nozione di consumatore rilevante per accedere ai beneici di cui alla l. n. 3/2012, pertanto si stabilisce che «Proprio con tale disciplina, il nostro ordinamento ha (…) riuniicato la composizione delle situazioni d’insolvenza attorno ad un criterio d’ispirazione concorsuale e, per quanto in contesti organizzativi frammentati soggettivamente e dunque in una pluralità di procedure, mediante una diversa connotazione relazionale con la giurisdizione lato sensu esecutiva. Nella versione più basica di tale allestimento procedurale dei debiti, la nozione di consumatore – tra le altre, invece e per lo più deinite in negativo, per la sottrazione alla concorsualità comune – quale posta nel nuovo art. 6, 2° comma, lett. b, risulta paciicamente più speciica di quella di cui all’art. 3, 1° comma, lett. d del Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), dato che essa esige che i debiti della “persona isica” derivino “esclusivamente” (e non più prevalentemente, come nel d.l. n. 212 del 2011, art. 1, 2° comma, lett. b, per il quale rilevava il sovraindebitamento dovuto prevalentemente all’inadempimento di obbligazioni contratte dal consumatore, come deinito dal Codice del consumo) da atti compiuti “per scopi estranei all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta”. Si tratta di una deinizione che fa leva su elementi dinamici e in apparenza di tipo soggettivo complesso, poiché essa – pur dovendosi adattare al riferimento positivo alla persona isica, e dunque escludendo persone giuridiche ed enti, comunque strutturati – non censisce in realtà solo l’organizzazione del debitore (secondo il quesito di chi sia o sia stato consumatore), o comunque non lo fa in modo assoluto, ma si dà carico di inquadrarla in termini innanzitutto utili alla procedura in esame (e ai suoi scopi), in ragione di una peculiare scelta pratica di meritevolezza della composizione inale, nello schema del concorso, della massa passiva. Le obbligazioni assunte esclusivamente per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale, a propria volta, costituiscono un limite relativo: pur prestandosi l’impianto ad una lettura non univoca, ai ini della l. n. 3 del 2012, consumatore potrebbe infatti in astratto anche essere un imprenditore (che rientri, per ragioni di coerenza rispetto al collegamento tipologico in negativo rispetto ai requisiti del r.d. n. 267 del 1942, e di quelli speciali dedicati all’imprenditore commerciale, all’interno delle soglie dimensionali del sistema concorsuale minore in oggetto e per le regole temporali di accesso ivi previste) ovvero un professionista (non importa se ordinistico o meno), come si ricava dalla previsione di eventualità dell’esercizio di simile attività tratteggiata nel cit. art. 6». 234 diriTTo e ProCesso e dalla diligenza debitoria, nel solo caso dell’esame della proposta di piano del consumatore (cfr. art. 6, 3° comma-bis, l. n. 3/2012, in base a cui, nell’individuare il contenuto della relazione predisposta dall’organismo di composizione della crisi, da allegarsi alla proposta di piano del consumatore, è necessaria l’illustrazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere volontariamente le obbligazioni), approfondimento non richiesto, al contrario, nella formulazione della proposta di accordo con i creditori riguardo ad obbligazioni non soddisfatte da imprenditore non fallibile (cfr. art. 6, 1° e 2° comma, l. n. 3/2012). In generale si tratta, quindi, di un piano del consumatore, ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti civili, entrambi inalizzati a conseguire, nel contempo, sia una moratoria di azioni esecutive che una ripartizioneprogrammazione dei crediti da soddisfare, e ciò anche a mezzo dell’operato di organismi qualiicati, iscritti in appositi albi. Vi è poi, in un’ottica di comunicabilità con detti rimedi compositivi del sovraindebitamento, la previsione e disciplina della procedura di liquidazione dei beni del consumatore, afidata ad un soggetto terzo che, denominato “gestore”, connota la fase liquidatoria di elementi di concettuale vicinanza con trust ed afidamento iduciario. Va osservato come, essendo la inalità della normativa in parola di rendere possibile ai soggetti insolventi di rivestire nuovamente un attivo ruolo economico a mezzo della eliminazione programmata del sovraindebitamento può dirsi come si tratti, in sostanza, di una novità assoluta nell’ordinamento: può infatti ora gestirsi, mediante un procedimento di estinzione controllata in sede giudiziale, le obbligazioni del soggetto sovraindebitato non fallibile, quando prima era ravvisabile una mera suddivisione della categoria debitoria in due situazioni fondamentali: a) imprenditori commerciali medio-grandi, la cui crisi è sottoponibile al meccanismo fallimentare; b) altri soggetti, per i quali non era rinvenibile alcuna soluzione in assenza del consenso della totalità dei creditori. Per sovraindebitamento s’intende, in accordo con l’art. 6, 2° comma, lett. a) della l. n. 3/2012, «la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante dificoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la deinitiva incapacità di adempierle regolarmente»: è rinvenibile, in adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 235 tale deinizione, il requisito oggettivo della fattispecie in esame, cioè a dire, in via principale, uno squilibrio di tipo strutturale tra obbligazioni assunte e patrimonio del debitore, sostanziantesi nella incapienza dei beni rispetto al ripianamento, anche in un arco temporale medio-lungo, delle passività. Pertanto, mentre per ciò che concerne l’imprenditore fallibile è fatto riferimento, dalla normativa per l’appunto fallimentare, al criterio dell’insolvenza intesa in senso dinamico, cioè a dire l’incapacità del debitore di affrontare, attraverso la propria attività, le obbligazioni assunte, la l. n. 3/2012 si riferisce piuttosto ad una idea d’incapienza “statica”, riferita al patrimonio del debitore-consumatore presente al momento dell’istanza di accesso all’esdebitamento programmato. Quanto al proilo causale, in accordo con parte della dottrina si ritiene come gli strumenti in esame siano annoverabili in termini di mezzi di rinegoziazione contrattuale (147). Come è stato correttamente osservato, infatti, nel diritto delle obbligazioni non è previsto il ricorso a rimedi manutentivi del rapporto obbligatorio con speciico riguardo al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore, piuttosto rinvenendosi, in ossequio al ruolo centrale dal legislatore attribuito alla tutela delle ragioni creditorie, il mero apprestamento, in caso di pericolo nel conseguimento della prestazione, strumenti di rafforzamento di tutela, ovvero di apertura a forme di autotutela, in capo al soggetto creditore (148). Di talché, può ravvisarsi come nell’ottica della l. n. 3/2012 il dissesto patrimoniale del debitore crei i presupposti per l’apprestamento di innovativi strumenti di conservazione contrattuale, contraddistinti dal superamento del classico e rigido schematismo di contrapposizione tra adempimento e inadempimento (149), e dall’accoglimento di comportamenti, tradizionalmente letti in termini di mero inadempimento (ad es., ritardo e adempimento Cfr. E. PelleCChia, L’obbligo di veriica del merito creditizio del consumatore: spunti di rilessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”, in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 1088 ss. (147) (148) V. P. resCigno, v. Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., xxIx, Milano, 1979, p. 174. E. PelleCChia, L’obbligo di veriica del merito creditizio del consumatore: spunti di rilessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”, cit., p. 1090 ss. (149) 236 diriTTo e ProCesso inesatto) alla stregua, oggi, di possibili modalità esecutive della prestazione dedotta in contratto (150). È possibile parlare, pertanto, di accordo di secondo grado inalizzato a soddisfare sia l’interesse del debitore all’esdebitamento che l’interesse, del creditore, a soddisfare il proprio credito anche se in forme, tempi e misure differenti da quelli originariamente stabiliti, anche in ossequio ai principi di buona fede esecutiva e di solidarietà. Per ciò che concerne, inoltre, la meritevolezza di tutela giuridica dei mezzi di ripianamento debitorio in esame, può farsi riferimento sia agli interessi dei soggetti coinvolti che alle fattispecie in sé considerate. Quanto agli interessi dei soggetti coinvolti può sottolinearsi anzitutto come, seppure a fronte della nota preminenza assegnata, dal diritto delle obbligazioni, all’interesse creditorio, il legislatore non abbia incontrato ostacoli nel giungere ad attribuire il giusto rilievo anche agli interessi riferibili a parte debitoria: parte della dottrina, in proposito, sostiene come la l. n. 3/2012 abbia infatti apportato rilevanti innovazioni proprio in ordine all’interesse creditorio all’adempimento (151), evidenziando come il soggetto eccessivamente indebitato, potendo oggi mirare al raggiungimento di un accordo con una porzione qualiicata di creditori ovvero, ove speciicamente consumatore, sottoporre direttamente al giudice un piano di complessiva ristrutturazione della propria situazione debitoria, arricchisca di contenuto gli interessi potenzialmente esprimibili nel rapporto obbligatorio. Viene in tal modo collocato, sul medesimo piano dell’interesse alla soddisfazione del credito e dell’interesse alla liberazione dal vincolo, l’interesse del sovraindebitato a ricomporre la propria esposizione debitoria (152), anche evitando di Cfr. S. PaglianTini, Il debito da eccezione a regola, in Nuovi proili del diritto dei contratti. Antologia di casi e questioni, Torino, 2014, p. 169. (150) E. PelleCChia, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, p. 209 ss. (151) In questi termini E. PelleCChia, L’interesse del debitore alla ristrutturazione dei debiti, in Contr. e impr., 2015, p. 1132, la quale sottolinea come con la l. n. 3/2012 «la costellazione di interessi che possono trovare espressione nel rapporto obbligatorio si arricchisce», venendo ora ad accostarsi, agli interessi «del creditore (presidiato dalla responsabilità per inadempimento, dalla garanzia patrimoniale generica e dalle procedure esecutive)» e del debitore ad essere liberato, nell’ipotesi in cui «abbia offerto una prestazione esatta riiutata (152) adeguamenTo del ConTraTTo e status di ConTraenTe deBole 237 subire procedure esecutive espropriative suscettibili, per loro stessa natura, di causare alle parti coinvolte maggiori danni – sia in termini di tempo che economici –, rispetto ai valori del debito originario (153). Anche il soddisfacimento degli interessi di parte creditoria avverrà così, di volta in volta, in maniera integrale seppure dilazionata o rateizzata, ovvero ridotta, ma andando a garantirsi, in ogni caso, tempi maggiormente stretti e certi rispetto a quelli, per loro natura poco prevedibili, di un’azione esecutiva. L’accesso al credito da parte del debitore nasce, perciò, dal bilanciamento con il diritto soggettivo del creditore, il quale, proprio nell’interesse legittimo del debitore alla “ristrutturazione debitoria”, rinviene un limite esterno, sfociante in una consequenziale riduzione delle possibilità di effettuare scelte, cioè a dire non solo mantenendo un comportamento formalmente corretto, bensì anche sostanzialmente congruo rispetto ai bisogni di controparte, ora in situazione di particolare dificoltà economica. Dalla comparazione tra i contrapposti interessi delle parti coinvolte potrà di volta in volta formularsi un giudizio di prevalenza, il cui esito potrà alternativamente manifestarsi in termini di necessaria riconduzione dell’esercizio del credito su di un piano di “incontro” rispetto alle legittime esigenze di parte debitoria, ovvero di legittimo sacriicio degli interessi di quest’ultima. In ordine alla legittimità dei motivi di parte debitoria, dovrà aversi riguardo anche alla concreta realizzabilità del piano, illustrata da apposita relazione senza motivo legittimo (tutelato tramite la mora del creditore)», quello del soggetto sovraindebitato a ricomporre lo stato di eccessivo indebitamento; ma v. anche id., Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, cit., p. 209 ss. Tale impostazione trova seguito in F. di marzio, v. Ristrutturazione dei debiti, in Enc. dir., Ann., VI, Milano, 2013, p. 812, nonché da A. di maJo, Debito e patrimonio nell’obbligazione, in G. grisi (a cura di), Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica. Italia e Spagna a confronto, Napoli, 2014, p. 38. (153) La rilevanza dell’interesse di parte debitoria si trova acclarata, di recente, anche ex art. 13, 1° comma, lett. a) del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, ove si dispone come all’art. 480, 2° comma c.p.c. debba aggiungersi il seguente periodo: «Il precetto deve altresì contenere l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore». 238 diriTTo e ProCesso tecnica redatta, su base di dati contabili debitamente riscontrati, dall’organismo di composizione della crisi. È con tale relazione, infatti, che viene formalmente espressa una valutazione sia di fattibilità del piano che in ordine alle effettive capacità, del debitore, di onorarne la realizzazione, di talché: a) viene ad essere assolta una fondamentale funzione prodromica all’esercizio dei poteri di controllo, del tribunale, in sede di omologazione; b) vengono forniti, al ceto creditorio, dati necessari ad una valutazione riguardante la convenienza o meno della proposta compositiva dello stato di sovraindebitamento. Quanto, inine, alla meritevolezza giuridica delle fattispecie oggettivamente considerate, può prospettarsi l’ormai inveterata questione riguardante l’alternativa tra ravvisabilità della meritevolezza nella mera non contrarietà del negozio ai presupposti di causa lecita di cui all’art. 1343 c.c., nella non contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, ovvero nel perseguimento di un interesse che travalichi la mera individualità dei soggetti e sia complanare, quindi, alla utilità pubblica. Con riferimento alla l. n. 3/2012, sembra opportuno intendere la valutazione di meritevolezza in termini di bilanciamento di valori e, in particolare, di preminenza di quelli costituzionalmente garantiti, di talché potrà ritenersi meritevole di tutela l’interesse perseguito dal debitore in sede di esdebitazione, ove risulti sia complanare che, in quel dato momento – nonché in base ad un principio di bilanciamento d’impronta costituzionale –, prevalente rispetto alla categoria degli interessi creditori (154). (154) Tra le possibili esigenze garantite a livello costituzionale alla base della posposizione del soddisfacimento della pretesa creditoria vi possono essere, ad esempio, l’accesso al credito del debitore per cause promananti dalla dificoltà economica propria del momento della perdita del lavoro, dalla esigenza di affrontare impreviste spese per cure mediche, nonché per i bisogni della famiglia.