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Reconstructing - Interview with Elena Motisi (Pieterse 2018).pdf

Full citation: Pieterse, E. (2018) “Reconstructing / Ricostruendo. Edgar Pieterse in conversation with Elena Motisi”, in: Njami, S., Motisi, E. and Corraini, E. (eds.) African Metropolis. An Imaginary City. Rome: MAXXI, the National Museum of 21st Century Arts.

P. 178 Proje c t Sp ea k2 Tweet P. 180 Time Towe r Meschac Gaba P. 182 Bu reau d’éch a nge [ E xch a nge O f f ice ] François-Xavier Gbré P. 184 Wǒ shì fē ï z h o u /Je s u is a fric a in Hassan Hajjaj P. 186 157 LE SALON B I B LI OTH È QU E Youssef Limoud P. 188 L abyrinth Pefura P. 190 Non Stop Cit y Pascale Marthine Tayou P. 192 Falling H o u s e s Citation: Pieterse, E. (2018) “Reconstructing / Ricostruendo. Edgar Pieterse in conversation with Elena Motisi”, in: Njami, S., Motisi, E. and Corraini, E. (eds.) African Metropolis. An Imaginary City. Rome: MAXXI, the National Museum of 21st Century Arts. REC ONS TRUC TIN G Heba Y. Amin The exhibition African Metropolis. An imaginary city is an occasion to think on the multi-faceted cultural scene of the African continent in which personal visions and cultural traditions combine to give rise to impressive artistic and social “production”. Starting from this premise, to understand the general interest in the African continent, there are a number of pertinent factors: the growing development of its cities, urbanisation trends, the roles of religion, social development, and possible solutions in terms of independent and cultural movements. Africa incorporates over 50 countries, thousands of cities and millions of inhabitants with many different climate zones, cultures, religions and languages. It is impossible to present a comprehensive mapping of the African continent. For this reason, we can say that the social modifications, as well as the urban revolution, cannot be seen through a unique point of view but maybe this exhibition could be a starting point for a conversation upon the contemporary situation. Is it possible to talk about “Africa” as a unique theme? Can we identify one or more common elements that are univocally applicable for the continent? E D G A R P I E T E R S E It is always a conceit to invoke the “African condition” in the singular or speak of “the African city”. That said, it is also important to acknowledge the shared histories of colonial violence and the political, economic and cultural ruins in its wake. This shared history and its enduring effects demand some kind of negotiation to simply live, and infuse all aspects of formal rule as well as the mundane actions to sustain a livelihood and daily life. The enduring pressure that the ghosts of colonialism represent – manifested in distorted governance, profound economic dependence and vulnerability, and being rendered a pawn in larger geopolitical fights – is in fact a commonality that allows the invocation of a shared African experience, even though we know the precise manifestations of these dynamics are invariably unique in different countries and localities. This shared his- ELENA MOTISI RI C O S T RU I RE UNA C ONVERSA ZIO NE TR A E LE NA M OTI SI ED ED G A R PI E TERS E EL ENA MOTISI IN C ON VE RSATION WITH E D GAR PI E TE RSE Bili Bidjocka La mostra African Metropolis. Una città immaginaria è un’occasione per riflettere sulla sfaccettata scena culturale del continente africano, in cui le visioni personali si fondono con le tradizioni culturali per dar vita a una notevole produzione artistica e sociale. Partendo da questa premessa, bisogna tenere a mente diversi fattori per comprendere l’interesse generale per il continente africano: lo sviluppo crescente delle sue città, le tendenze urbanistiche, i vari ruoli giocati dalla religione, lo sviluppo sociale e le possibili soluzioni relative ai movimenti indipendenti e culturali. L’Africa è composta da oltre cinquanta Paesi, migliaia di città e milioni di abitanti, che vivono in diverse aree climatiche, hanno culture e religioni differenti, e parlano molte lingue diverse. È quindi impossibile fornire una mappatura esaustiva del continente africano e proprio per questo possiamo affermare che i cambiamenti sociali, così come la rivoluzione urbana, non possono essere considerati da un’unica prospettiva. Forse, però, questa mostra può essere un incipit per una conversazione sulla situazione contemporanea. È possibile parlare di “Africa” come tema unico? Possiamo identificare uno o più elementi comuni che caratterizzano l’intero continente? e d g a r p i e t e r s e Evocare la “condizione africana”, al singolare, o parlare della “città africana”, denota sempre un po’ di supponenza. Detto ciò, è importante riconoscere le storie condivise di violenza coloniale e delle rovine politiche, economiche e culturali che essa si è lasciata alle spalle. Questa storia e i suoi effetti duraturi richiedono un qualche tipo di negoziazione per poter sopravvivere, e permeano ogni aspetto delle norme formali e dei gesti più banali necessari alla vita. Il fantasma del colonialismo rappresenta una pressione perdurante – che si manifesta in governi deviati, in una profonda dipendenza e vulnerabilità economica e nel ruolo di pedina nelle lotte geopolitiche di più ampio respiro – ed è in realtà un aspetto comune che permette di parlare di un’esperienza africana condivisa, benché le manifestazioni di tali dinamiche siano necessariamente specifiche a seconda dei Paesi e delle diverse località. elena motisi AF RI CA N M E TROP O L I S Edgar Pieterse 158 159 societies and cultures with corrosive paternalism. A side-effect of the inflated “Africa Rising” narrative, however, is creating more room for (publicly) funded cultural activities such as literary, music and performance festivals, art bienales and related pedagogic interventions. These in turn create novel spaces where cultural producers and urbanists can engage each other for mutual benefit. E M In the megalopolis, the inhabitants constantly change and are changed by the context they live in but in the African case they are also influenced by many elements surrounding national narrative. What are these possible elements affecting identity such as religion, language and colonial linguistic heritage, conflicts? E P A constant imperative in most African cities is to continuously adapt and recalibrate. Most African countries and cities are a reflection of the resultant conflicts of arbitrary boundaries and dualistic systems of rule established during colonial times that found ways of morphing and consolidating into postcolonial rule. Thus patent differences in ethnic origins, racial categories, linguistic preferences and other markers of identity are often mobilised politically to foster blocks of power to control resources and opportunities. Importantly, it seems the inherent logics of liberal democracy as manifested in multi-party elections and forms of government have exacerbated rule and control through difference, often producing violent conflicts and simmering tensions. However, in most African cities marked by such politicisation of difference, there is often a massive gap between these logics and how people co-exist in everyday settings. Urban residents may be expected to perform their ethnic or religious identities in terms of voting blocs or honouring patronage agreements but simultaneously nurture the inevitable interdependency of making a livelihood and being in the know. Such acts demand a constant transgression of difference through collaboration, exchange, accommodation, and paying particular attention to REC ONS TRUC TIN G culture africane con un paternalismo corrosivo. Tuttavia la narrazione esagerata di un’“Africa che sorge” determina un ulteriore effetto: la creazione di nuovi spazi per attività culturali sostenute da finanziamenti pubblici come festival letterari, musicali e performativi, biennali d’arte e relativi interventi pedagogici. Ciò può a sua volta creare nuovi ambiti in cui i produttori di cultura e gli urbanisti possono confrontarsi e trarre benefici reciproci. e m Gli abitanti delle megalopoli cambiano senza sosta e sono influenzati dal contesto in cui vivono, ma nel caso dell’Africa sono condizionati anche da molti elementi che caratterizzano la narrazione nazionale. Quali possono essere gli elementi che potenzialmente influiscono su aspetti identitari come religione, lingua, eredità linguistico-coloniale e conflitti? e p Un imperativo costante nella maggior parte delle città africane è quello di adattarsi e ricalibrarsi. Quasi tutti i paesi e le città africani sono un riflesso dei conflitti sorti a causa di confini arbitrari e sistemi di governo dualistici che hanno avuto origine in epoca coloniale e che sono riusciti ad adattarsi e consolidarsi nei governi postcoloniali. Evidenti differenze per quanto riguarda origini e categorie etniche, preferenze linguistiche e altri aspetti identitari vengono spesso mobilitate a livello politico per favorire blocchi di potere, al fine di controllare risorse e opportunità. È importante notare che apparentemente le logiche intrinseche della democrazia liberale, così come si sono manifestate in elezioni e forme di governo pluripartitiche, hanno esacerbato il governo e il controllo sfruttando le differenze e dando luogo spesso a conflitti violenti e a tensioni che ribollono sotto la superficie. Tuttavia nella maggior parte delle città africane segnate da questa “politicizzazione della differenza”, spesso c’è un grande divario tra tali logiche e il modo in cui le persone coesistono negli ambienti quotidiani. È plausibile che i residenti urbani esprimano le proprie identità etniche o religiose come blocchi elettorali o rispettando il clientelismo, ma allo stesso tempo alimentano l’inevitabile RI C O S T RU I RE tory, and the imperative to act against its enduring effects, is indeed what unites Africa. E M Interest in the African continent over the last few decades made it a center of international attention. It seems Africa was recently given a tabula rasa role, but in some circles, it continues to be considered as an “exotic territory”. Where does this attention come from? Could it also be considered as a place of “hope”, a place where everything could happen? Do you think these thought patterns on Africa are capable of influencing institutional practices in the international arena? E P This attention can be traced to Orientalism as theorised by Edward Said, which continues to mark non-African perceptions about the continent. There is something foundational in the thought structures of the West that renders Africa as inherently different, strange, mystical and profoundly “other”. This legitimates not only thought patterns about innate difference, always racially coded, but also institutional practices that combine paternalism with exploitation. This is most manifest in the unequal terms of trade and exchange between African countries and the rest of the world as mediated by the rules of the World Trade Organisation and other mediators of the global economic regime. More insidiously, it also legitimises the profound political inaction with regard to the situation of African migrants who navigate the treacherous waters of the Mediterranean Sea to make a life in Europe. Western actors also have a proclivity to project unsubstantiated desires onto the supposedly undifferentiated canvas that is Africa. Thus, during the past decade, there has been an unmistakable discourse proclaiming “Africa is Rising!” This bestows a speculative belief that the next “big thing” in fashion, or music, or dance, or technology, or artistic brilliance, will come from Africa. Such sentiment operates on the basis of the next “viral” insight taught by a collective consciousness driven by social media. This often misplaced euphoria is as dangerous as the Orientalist mentality that treats African AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E Sono proprio questa storia comune e l’imperativo di contrastarne gli effetti duraturi, a unire l’Africa. e m Negli ultimi decenni il continente africano si è trovato al centro dell’attenzione. Sembra quasi che l’Africa sia stata investita di recente del ruolo di tabula rasa ma che, in alcuni ambienti, venga ancora considerata un “territorio esotico”. Da dove nasce questa attenzione? L’Africa può essere considerata un luogo di “speranza” in cui tutto può succedere? Secondo te questi schemi mentali sono in grado di influenzare le pratiche istituzionali nella scena internazionale? e p Quest’attenzione può essere ricollegata all’Orientalismo, teorizzato da Edward Said, che ancora oggi contraddistingue le percezioni che gli stranieri hanno del continente. Gli schemi mentali dell’Occidente considerano l’Africa diversa, strana, mistica e caratterizzata da una profonda alterità. Ciò legittima non solo delle visioni stereotipate su una differenza innata che è sempre codificata a livello etnico, ma anche delle pratiche istituzionali che uniscono paternalismo e sfruttamento. Emerge soprattutto negli scambi ìmpari tra l’Africa e il resto del mondo, mediati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio e da altri mediatori del regime economico globale. Inoltre legittima – ed è un aspetto più insidioso – la profonda inazione politica in merito ai migranti africani che attraversano le pericolose acque del Mediterraneo per farsi una vita in Europa. Gli attori occidentali hanno anche la tendenza a proiettare desideri infondati sulla tela – presumibilmente uniforme – dell’Africa. Nello scorso decennio, quindi, si è diffuso un assunto inequivocabile: “l’Africa sta sorgendo!”. Da qui deriva la convinzione – che in realtà è una congettura – che il prossimo “fenomeno” nell’ambito della moda, della musica, della danza, della tecnologia, del genio artistico arriverà dall’Africa. Tale opinione si fonda sul concetto di fenomeno “virale” veicolato da una consapevolezza collettiva, generata dai social media. Questa euforia, spesso malriposta, è pericolosa tanto quanto la mentalità orientalista che tratta le società e le 160 161 as cannot be improved in an effective manner unless the residents of these areas are directly involved and empowered to lead improvement processes. Most urban governments will pay lipservice to participatory development approaches. However, such development is often rendered ineffective because grassroots organisations are expected to play out a certain script that legitimates predetermined technical solutions. A focus on the cultural lives and needs of slum communities can enrich these processes by surfacing diverse needs and aspirations and making explicit the importance of aesthetic considerations in design solutions. Moreover, it underscores that a formal policy response has to be tailored to specific needs of a given community. When culture becomes a priority, this kind of sensitivity will become commonplace. Lastly, a cultural awareness will connect the improvement requirements of households with the broader common space of the community. E M Talking about spaces for the community, the capitalist expansion and the process of gentrification are now affecting urban areas globally. Trying to describe the reconstruction (or better the constant re-making) of African cities, what are the key characteristics of this development? In particular, I was wondering whether gentrification is a major problem in rapidly changing African cities and whether there might be specific features of this spatial process as it unfolds? E P This is a large and complex question. In simple terms, gentrification refers to the process whereby the (income) composition, character, atmosphere and form of an area changes to the extent that lower-income households are displaced by the arrival of wealthier households. The effect of this process over time is that property values rise and, in some cases, the cost of living of incumbent households become too expensive. This kind of change tends to follow the location decisions of independent art and culture spaces, with some exceptions, that often seek out affordable sites. Their presence af- REC ONS TRUC TIN G e m Parlando di cultura popolare in un contesto in cui la maggior parte della popolazione vive negli slum, probabilmente a causa della mancanza di risorse istituzionali e politiche e di una politica di pianificazione, la cultura può essere una priorità? e p Sì, certo. È fondamentale che gli urbanisti e chi gestisce le città riconoscano che le zone informali o gli slum non possono essere migliorati in modo significativo se gli abitanti di queste aree non vengono coinvolti direttamente e incaricati di guidare i processi di miglioramento. La maggior parte dei governi urbani si impegna a parole a adottare approcci di sviluppo partecipativo, tuttavia questo sviluppo viene spesso invalidato perché ci si aspetta che le organizzazioni seguano dal basso un determinato copione che legittima soluzioni tecniche predeterminate. Un’attenzione per le vite e i bisogni culturali delle comunità degli slum può arricchire questi processi, facendo emergere bisogni e aspirazioni differenti ed esplicitando l’importanza delle considerazioni estetiche nelle soluzioni progettuali. Sottolinea inoltre che una reazione politica deve essere pensata su misura per adattarsi ai bisogni specifici di una determinata comunità. Quando la cultura diventa una priorità, questo tipo di sensibilità è la normalità. Infine, una consapevolezza culturale unirà le necessità di migliorare gli spazi privati e quelle degli spazi più ampi della comunità. e m Parlando di spazi per la comunità, l’espansione capitalista e il processo di gentrificazione stanno modificando le aree urbane a livello globale. Provando a descrivere la ricostruzione (o, meglio, la costruzione continua) delle città africane, quali sono le caratteristiche fondamentali di tale sviluppo? La gentrificazione può essere considerata un problema rilevante nelle città africane in rapido mutamento? Questo processo spaziale in evoluzione ha delle caratteristiche precise? e p Si tratta di una domanda ampia e complessa. Per semplificare, con “gentrificazione” si intende il processo con cui la composizione (valutata anche in base al reddito), l’indole, l’atmosfera e la forma di RI C O S T RU I RE effective co-existence. The gap between formal rhetorics of difference and everyday practices demands an art of co-presence that is constitutive of the cultural complexity of everyday life in the African city. This is not a frictionless situation but rather actively produced through social acts of co-existence that can range from indifference to joint action when the need arises. E M Do you think that some cultural outputs such as poetry, arts, architecture, are shifting culture and economy? Could these be considered as mirroring society and resulting from the cultural consciousness of the community? E P It is difficult to answer these questions without reference to specific places and concrete moments of artistic production. That said, there can be no doubt that youth cultures in many African cities are proving vital to stimulate creative industries and art spaces, often related to bourgeoning digital cultures and communities. African youth seem determined to participate in cultural globalisation but also become trend-setters, which generates a certain swag that injects confidence into cultural institutions. Due to the size and dynamism of urban youth culture, it is undeniable that something profound is afoot. This creates a fantastic opportunity for art and cultural institutions to instigate imaginative new programming that speaks to local desires but also resonates globally as cultural representations become more important mediators of dialogue, exchange and learning. Popular culture is the most effective mirror for societal dynamics but the real opportunity for exploring emergent cultural consciousness lies in zones of overlap between the popular and artistic. E M Talking about popular culture in a context where the majority lives in slum conditions, probably due to the lack of the institutional and political resources and planning policy, could culture become a priority? E P Yes, absolutely. It is crucial that urban planners and managers recognise that informal or slum are- AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E interdipendenza necessaria per guadagnarsi da vivere e appartenere a determinate cerchie. Tali gesti richiedono un costante superamento delle differenze attraverso la collaborazione, lo scambio, l’adattamento e una particolare attenzione per una efficace coesistenza. Il divario tra la retorica formale della differenza e le pratiche quotidiane esige un’arte della compresenza essenziale per la complessità culturale della vita quotidiana nelle città africane. Non si tratta di una situazione priva di attriti, ma si sviluppa in modo piuttosto attivo attraverso atti sociali di coesistenza che possono spaziare dall’indifferenza ad azioni congiunte, qualora ce ne sia bisogno. e m Pensi che alcune produzioni culturali – come per esempio la poesia, l’arte e l’architettura – stiano modificando la cultura e l’economia? Si potrebbe dire che rispecchino la società e nascano da una nuova consapevolezza culturale della comunità? e p È difficile rispondere a queste domande senza riferirsi a luoghi specifici e a momenti concreti di produzione artistica. Detto ciò, non c’è dubbio che le culture giovanili si stiano dimostrando essenziali in molte città africane per stimolare industrie creative e spazi artistici, spesso legati a culture e comunità digitali promettenti. La gioventù africana sembra decisa a partecipare alla globalizzazione culturale, ma anche a diventare un trendsetter, il che crea un certo swag, uno stile che infonde sicurezza nelle istituzioni culturali. Considerando la portata e il dinamismo della cultura giovanile urbana, è innegabile che sia in atto qualcosa di profondo. Ciò crea un’opportunità fantastica per l’arte e le istituzioni culturali, che possono promuovere una nuova programmazione che risponde ai desideri locali, ma ha anche echi globali: le rappresentazioni culturali stanno infatti diventando mediatori di dialogo, scambio e apprendimento sempre più importanti. La cultura popolare è lo specchio più affidabile delle dinamiche della società ma la vera opportunità di esplorare la consapevolezza culturale che sta emergendo risiede nelle aree in cui l’elemento popolare e quello artistico si sovrappongono. 162 163 dependency or genuine partnership to strengthen the autonomy and relative power of African nations and the region as a political bloc. However, these economic actors are clearly more adept at working with the informal economies and systems that predominate African cities. This fosters novel interdependencies and potentialities. A key variable will be the success of the reinvigorated efforts of the African Union to establish a common trading zone, a shared currency and open skies policy. There seems to be real momentum recently behind these initiatives, which would grant African countries leverage in their incorporation into various security, diplomatic, economic and cultural systems at the global scale. E M The cultural issues related to exhibitions cannot ignore the logic of the market as closely linked to the globalization, politics and perhaps the official languages of the different African countries caused some privileged channels of communication between nations with common idioms. Does it have any impact on the balance between the countries? How can it be traced and materialised in the cultural and academic domains? E P Postcolonial Africa reflects unmistakable linguistic clusters associated with colonial inheritances and these shape profound economic, cultural, academic and professional attachments with closer links to former (colonial) metropoles than fellow African countries or organisations. In the cultural and academic domains, this can be traced to the nature of external funding that supports institutions and programming, which are almost exclusively structured along linguistic contours. A consequence of this political economy of funding and exchange is that intra-Africa partnerships are hard to establish and change. That said, there are important counter-trends on the horizon and the emergence of youth-fuelled digital cultures and communities of practice around coding, app development and maker-spaces. These emergent practices tend to be less constrained and more open to REC ONS TRUC TIN G tà di centri di potere con economie fondamentali nel Sud del mondo – come per esempio la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia, l’Indonesia, la Corea del Sud – considerati importanti snodi di influenza e potere economico. Nel contesto africano la Cina ha giocato un ruolo predominante, creando un’ampia rete di punti di riferimento e incentivi. È una situazione che si verifica spesso perché questi agenti sono molto meno condizionati nell’ampliare i finanziamenti per le infrastrutture e per il supporto tecnico, e agiscono quindi con maggiore decisione rispetto ai centri di potere globali del passato. Non è ancora chiaro se questi nuovi agenti e le loro necessità istituzionali rappresentino nuove forme di dipendenza o partnership genuine capaci di rafforzare l’autonomia e il relativo potere dei Paesi africani e dell’area intesa come blocco politico. È chiaro però che sono molto più adatti a lavorare con le economie e i sistemi informali che predominano nelle città africane e che questo genera nuove interdipendenze e potenzialità. Una variabile fondamentale sarà l’eventuale successo dei rinnovati sforzi dell’Unione africana per stabilire una zona di scambio comune, una moneta condivisa e una politica dei cieli aperti. Negli ultimi tempi sembra che dietro a queste iniziative ci sia un reale slancio, e questo darebbe la possibilità ai Paesi africani di entrare a far parte dei vari sistemi di sicurezza, diplomazia, economia e cultura su scala globale. e m Tornando alle questioni culturali legate alle mostre, queste non possono ignorare la logica di mercato dato che esso è strettamente legato alla globalizzazione e alla politica. Probabilmente le lingue ufficiali dei diversi paesi africani hanno creato dei canali di comunicazione privilegiati tra le nazioni che condividevano lo stesso idioma. Questo influenza l’equilibrio tra i Paesi? Come può essere individuato questo aspetto nell’ambito culturale e accademico? e p L’Africa postcoloniale riflette gruppi linguistici inconfondibili associati a eredità coloniali, e questo influenza profondi legami economici, culturali, acca- RI C O S T RU I RE fects the character and desirability of an area, especially for speculative property developers. It is difficult to argue that these processes are taking place at a large scale in African cities; there is no sheer volume and scale of shift from working-class to mixed-income and creative. The bulk of the built fabric is makeshift, informal and autoconstructed. That said, in very poor African cities there are definitely pockets of “creativity” in the old urban core where creatives, maker collectives, artists and other cultural actors aggregate and catalyse new residential and commercial offerings. However, these pockets are few and modest in scale and unlike as applied in Western cities. In cities of middle-income countries, however, the phenomenon is evident especially in North Africa and South Africa. These cases mirror Western dynamics a bit more closely but the opportunity for creative cross-over experiments in art, culture and commerce is important. It would be an error to simply dismiss these processes as gentrification. E M The centre of gravity for the cultural and economic community has moved from Europe toward new horizons, with the rise of China, India and Brazil for instance posing new challenges to traditional systems of influence in Africa. What are the risks of such transformations given the reality of global security and international political and economic integration? E P Africa is caught up in the larger geopolitical shifts towards a multiplicity of power centres with key Southern economies – e.g. China, India, Brazil, Turkey, Indonesia, South Korea – as key nodes of influence and economic power. China has been the dominant player in the African context, installing a wide net of reference points and incentives. It is common cause these actors are a lot less conditional in terms of extending infrastructural finance and technical support and consequently act more decisively than historical global power centres. It is still unclear whether these new actors and their institutional requirements represent new forms of AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E una zona cambiano al punto che i nuclei abitativi meno abbienti vengono soppiantati da altri, più benestanti. Nel tempo questo processo genera un aumento del valore degli immobili e, in alcuni casi, il costo della vita diventa troppo oneroso per i residenti. Anche se ci sono delle eccezioni, di solito questo tipo di cambiamento si verifica dopo che gli spazi indipendenti di arte e cultura, in cerca di luoghi accessibili a livello economico, operano una precisa scelta di location. La loro presenza influenza il carattere e la desiderabilità di una determinata zona, soprattutto per gli speculatori edilizi. È difficile dimostrare che questi processi siano in atto su larga scala nelle città africane; non conosciamo il volume e la portata del passaggio dalla classe operaia ai nuclei di reddito medio e ai creativi. Gran parte del tessuto edilizio è improvvisato, informale e autocostruito. Detto ciò, nelle città africane più povere esistono senza dubbio delle sacche di “creatività” nel vecchio nucleo urbano dove si aggregano i creativi, i collettivi, gli artisti e altri agenti culturali, catalizzando nuove offerte residenziali e commerciali. Queste sacche, tuttavia, sono poche, di piccole dimensioni e meno attive rispetto a quelle delle città occidentali. Tuttavia, il fenomeno è evidente soprattutto nel Nord e nel Sudafrica nelle città dei Paesi dal reddito nazionale medio. Si tratta di esempi che rispecchiano di più le dinamiche occidentali, ma le possibilità per gli esperimenti creativi e transdisciplinari tra arte, cultura e commercio sono importanti. Sarebbe un errore etichettare questi processi come semplice gentrificazione. e m Sicuramente il centro di gravità della comunità culturale ed economica si è spostata dall’Europa verso nuovi orizzonti: gli sviluppi di Cina, India e Brasile, per esempio, pongono nuove sfide ai tradizionali meccanismi di influenza africani. Quali sono i rischi di simili trasformazioni, considerando la realtà della sicurezza globale e dell’integrazione politico-economica a livello internazionale? e p L’Africa si trova coinvolta in cambiamenti geopolitici di ampio respiro, che tendono a una molteplici- 164 165 actively inhibited by unjust terms of trade. In these terms, the borders are all too real and pressing. However, by keeping both the borderless nature of African cultural influence in mind alongside the constraints of economic and political borders, it is important to highlight the underlying condition: extreme marginalisation of Africa in global decision-making forums and power. This is especially true with regards economic and geopolitical questions. This context reveals some important dimensions of the conditions that circumscribe African artists but also offers up generative opportunities to exploit. E M In this extremely mobile and heterogenous “Africa” context, is it possible to identify a nucleus that has maintained its cultural specificity by inhabiting the continent, and which we could identify as expressing itself in an “African language” in a broader sense? E P The predominant condition on display in most African cities is one of intense hybridisation or creolisation. African popular culture is distinctive in its endless capacity to incorporate exogenous influences and styles while remaining firmly rooted in “traditional” and ancient beliefs and aesthetics. This cultural folding and refolding is compelling because it is an effortless capacity that is taken for granted. It manifests in styles and surfaces but also in the intricacies of rituals, cuisine, linguistic invention, humour, art and the double-edged capacity to stay grounded and also grab the first opportunity to move. This split capacity is not contradictory but indicative of a cultural range that undergirds popular practices. In this sense, I think an African language or sensibility is very widely distributed in our societies but not necessarily seen or theorised. E M At the core of appreciating heterogeneous African production, the difficulty is to trace an evolutionary line of languages and cultural currents that, for obvious reasons, have not developed in ways akin to the West. Also the linguistic hybridisation and the contamination REC ONS TRUC TIN G A un livello più profondo sappiamo anche che gli esseri umani contemporanei hanno avuto origine nel continente africano e che, da questo punto di vista, siamo tutti africani. I demografi sostengono inoltre che, alla fine del XXI secolo, gli africani costituiranno il 41% della popolazione globale. Riesci a immaginare che significato avrà questo fatto culturale, considerando che la cultura africana è già potente e dominante ora che gli africani costituiscono meno del 20% della popolazione globale? Quindi sì, il mondo è interamente africano e lo diventerà sempre di più, dato che i confini e le limitazioni tradizionali sono stati privati di significato almeno negli ultimi quattrocento anni di schiavitù. Allo stesso tempo le fortune delle economie africane continuano a essere menomate dai mercati relativamente piccoli rappresentati dalle economie nazionali e dalle modalità che inibiscono, attraverso condizioni di scambio inique, il commercio all’interno dell’Africa. Da questo punto di vista, i confini sono fin troppo reali e pressanti. Tuttavia, tenendo a mente la natura priva di confini dell’influenza culturale africana e i vincoli imposti dai confini economici e politici, è importante sottolineare ciò che si cela al di sotto di essi: l’estrema emarginazione dell’Africa nei forum decisionali e di potere globali. Ciò vale soprattutto per le tematiche economiche e geopolitiche. Questo contesto mostra le limitazioni cui sono sottoposti gli artisti africani, ma offre anche delle opportunità generative da sfruttare. e m In questo contesto “africano” estremamente mobile ed eterogeneo, è possibile individuare un nucleo che ha mantenuto la propria specificità culturale nel continente e si esprime in una “lingua africana”? e p La condizione predominante che vediamo nella maggior parte delle città africane è di intensa ibridazione o creolizzazione. La cultura popolare africana è peculiare nella sua infinita capacità di incorporare influenze e stili esogeni pur rimanendo ancorata a convinzioni ed estetiche “tradizionali” e antiche. Questi intrecci culturali sono stimolanti poiché in- RI C O S T RU I RE crossing inherited divides. An example from the work of African Centre for Cities, where I am based, is in the domain of applied urban research. The African Urban Research Initiative is a loose network of 18 academic centres on the African continent including Francophone, Lusophone, Maghreb and Anglophone universities and cities. The potential of advancing such transgressions is evident from attending AURI joint meetings. Exhibitions and related art practices can certainly pave the way to demonstrate the potential of such collaborations. E M It seems the cultural world of Africa cannot be considered as permanent or necessarily residing on the continent itself. Flows and migratory movements within and without the continent have characterised a history of conquests, colonialism, deportation and the consequent black diaspora. Such movements also underscore reflections on the identity of artists. Therefore, can we speak of “borders of Africa”? E P Africa is everywhere and nowhere. It is everywhere because of the legacy of slavery associated with colonialism and imperialism. Black bodies were forcibly dragged to virtually every point of the globe, instantiating a black presence and sensibility always infused with violence and resistance. At a deeper level, we also know that modern humans originate on the African continent and, in that sense, we are all Africans. Demographers also tell us that by the end of the 21st Century, Africans will account for 41% of the global population. Can you imagine what that cultural fact will mean considering African culture is already powerful and dominant with Africans less than 20% of the global population? So, yes, the world is thoroughly African and will only become increasingly so since conventional borders and boundedness have been rendered meaningless for at least the last 400 years of slavery. At the same time, the fortunes of African economies remain highly truncated due to the relatively small markets that national economies represent and the ways in which intra-Africa trade is AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E demici e professionali più vicini alle ex metropoli (coloniali) che ai Paesi e alle organizzazioni africani. In ambito culturale e accademico, ciò può essere ricondotto alla natura dei finanziamenti esterni che sostengono le istituzioni e la programmazione, la cui struttura segue quasi esclusivamente i confini linguistici. Una conseguenza di questa economia politica di finanziamento e scambio è che le partnership tra paesi africani sono difficili da istituire e modificare. Detto ciò, all’orizzonte ci sono importanti controtendenze, e stanno anche emergendo culture digitali e comunità guidate da giovani nell’ambito della programmazione, dello sviluppo delle app e dei makerspace. Queste pratiche emergenti sono tendenzialmente meno limitate e più aperte al superamento delle divisioni ereditate. Un esempio è costituito dall’operato dell’African Centre for Cities, dove lavoro, nell’ambito della ricerca urbana applicata. L’African Urban Research Initiative è un ampio network di diciotto centri accademici presenti sul continente africano, tra cui università e città francofone, lusofone, anglofone e magrebine. Il potenziale insito nel portare avanti tali trasgressioni emerge con chiarezza durante gli incontri condivisi dell’AURI. Le mostre e le relative pratiche artistiche possono sicuramente spianare la strada per dimostrare il potenziale di simili collaborazioni. e m Sembra che il mondo culturale del continente non possa essere considerato permanente o necessariamente “residente” sul continente. I flussi e i movimenti migratori da e verso il continente hanno caratterizzato una storia di conquiste, colonialismo, deportazione e la conseguente diaspora nera. Tali movimenti inoltre sottolineano riflessioni sull’identità degli artisti. Si può parlare di “confini dell’Africa”? e p L’Africa è ovunque e in nessun luogo. È ovunque per via dell’eredità della schiavitù associata al colonialismo e all’imperialismo. Corpi neri sono stati trascinati con la forza in qualsiasi angolo del pianeta o quasi, istituendo una presenza e una sensibilità nere intrise per sempre di violenza e resistenza. 166 167 cultural policy even if in a deeply problematic way; it alters the terms of struggle and creates the possibility of critique and subversion. Official attempts to script and mobilise history for nationalistic purposes are deploying the tools of new media and global visual culture but this should be no surprise. New media and global visual culture invite sanitised narratives that revel in spectacle and exceptionalism. It is completely predictable that official cultural machines will deploy these instruments for greater reach and to dovetail with broader ambitions to commodify heritage, culture and the arts for the so-called creative economy. I am not surprised by this but rather interested in the opportunities these trends offer for critique, parody, subversion and playfulness. E M In your opinion, in what measure can African public art or more generally the participatory culture, contribute to the reconfiguration of the models of influence on the international cultural and artistic scene? Can public art in African cities be local and global at the same time? E P Public art in African cities needs to be enaged with questions of publicness, spatiality and enrolment of urban dwellers. Given the vicissitudes of everyday life, artists are cognisant they cannot make onerous demands on their potential audiences but rather need to insinuate themselves into the cultural reference points and circulation patterns of ordinary city dwellers. This calls for an artistic invention that is hyper-vigilant of local context, engaged with both pragmatic and spiritual concerns but refracted through an aesthetic of seduction, intrigue, playfulness and respite. Given these dispositions, African public art can in some ways be seen as uniquely cutting-edge and transgressive, speaking to both artistic imperatives and fostering inclusive publics with attention to locale. This offers a grammar for thinking imaginatively about fostering participatory cultures, which can be enormously influential beyond the African context - if these spaces are open to listening and engaging as equals. REC ONS TRUC TIN G di nuove rivendicazioni e richieste di memoria, reintegrazione e giustizia. e m Sembra che oggi la dimensione simbolica della cultura dell’Africa contemporanea assuma la forma di una “politica estetica” che domina le pratiche di elaborazione della memoria storica e dell’immaginazione collettiva. Possiamo dire che la reinvenzione delle tradizioni, la capitalizzazione della cultura e la creazione di una “liturgia” politica dell’Africa postcoloniale trovano il loro strumento d’azione nei nuovi media e nella cultura visiva globale? e p È evidente che c’è una tendenza crescente a creare delle istituzioni ufficiali per definire i parametri della cultura nazionale, la memoria storica e gli aspetti della storia collettiva che meritano riconoscimento e venerazione. In contesti in cui in passato non è stata prestata pressoché alcuna attenzione a queste dimensioni della vita pubblica e delle eredità collettive, è importante riconoscere che i governi nazionali stanno finalmente prestando attenzione alla politica culturale, anche se in modo profondamente problematico; ciò modifica i termini della lotta e crea la possibilità che si verifichino critiche e sovversione. I tentativi ufficiali di scrivere e mobilitare la storia per scopi nazionalistici sfruttano gli strumenti offerti dai nuovi media e dalla cultura visiva globale, ma ciò non dovrebbe stupire. I nuovi media e la cultura visiva globale esortano narrative “ripulite” che prosperano nello spettacolo e nell’eccezionalismo. È assolutamente prevedibile che le macchine culturali ufficiali utilizzino questi strumenti per ottenere una risonanza maggiore e adattarsi ad ambizioni più ampie per mercificare eredità, cultura e arte, in nome della cosiddetta economia creativa. La cosa non mi stupisce e anzi mi interessano le opportunità di critica, parodia, sovversione e gioco offerte da tali tendenze. e m Secondo te in quale misura l’arte pubblica africana o, più in generale, la cultura partecipativa, può contribuire alla riconfigurazione dei modelli di influenza sulla scena culturale e artistica internazionale? L’arte pubblica nelle città africane può essere considerata locale e insieme globale? RI C O S T RU I RE of popular elements in the contemporary African arts is related to the evolution of the traditions ... can this contamination become a political or cultural demand/ claim? Do hybrid cultural practices carry a dominant political charge? E P At a time of unmistakable resurgence in anti-colonial thought, coupled with radical black traditions, there are a number of movements afoot to connect traditional African thought and practices with radical political claims. The new generation of radical activists clamouring for free education, democratic political reform and cultural autonomy are all (re-)reading Fanon, Malcolm X, Steve Biko, and key anti-colonial leaders such as Kwame Nkrumah and Robert Sobukwe while Kendrick Lamar is dominating the playlist. Inevitably, nostalgia and desire enter the frame and provoke new political claims for a return to an uncontaminated past or a liberated future, or something that can somehow straddle these imagined landscapes of autonomy. Reflections on the roots and routes of language, spiritualisms, and cultural practices carry enormous potential in the formulation of new claims and demands for memory, restoration and justice. E M It seems that nowadays the symbolic dimension of the culture of contemporary Africa takes the form of an “aesthetic policy” that governs the practices of elaboration of historical memory and of the collective imagination. Can we say that the reinvention of traditions, the capitalisation of culture and the creation of political “liturgy” of postcolonial Africa, find their instrument of action in the new media and in the global visual culture? E P It is evident there is a growing tendency to structure official institutions to define the parameters of national culture, historical memory, and what aspects of collective history deserve acknowledgement and veneration. In contexts where hardly any attention was paid to these dimensions of public life and collective inheritances, it is important to acknowledge it is significant that national governments are finally paying some attention to AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E carnano una capacità naturale che viene data per scontata. Si manifesta negli stili e nelle superfici, ma anche nelle complessità di rituali, ricette, invenzioni linguistiche, senso dell’umorismo, arte e nella duplice capacità di restare ancorati a un luogo ma anche di saper cogliere la prima possibilità che si presenta di trasferirsi. Questa doppia capacità non è contraddittoria ma indica una varietà culturale che incoraggia le pratiche popolari. Da questo punto di vista credo che una lingua o sensibilità africana sia molto ben distribuita nelle nostre società, ma non necessariamente rilevata o teorizzata. e m Nella produzione eterogenea africana emerge la difficoltà di tracciare una linea evolutiva delle lingue e delle correnti culturali che, per ovvie ragioni, non si sono sviluppate allo stesso modo che in Occidente. Anche l’ibridazione linguistica e la contaminazione di elementi popolari nelle arti contemporanee africane sono legate all’evoluzione delle tradizioni… Questa contaminazione potrebbe diventare una richiesta o una rivendicazione politica o culturale? Le pratiche culturali ibride hanno un peso politico dominante? e p In un periodo di innegabile ritorno del pensiero anticoloniale, abbinato a tradizioni nere radicali, molti movimenti stanno cercando di collegare il pensiero e le pratiche tradizionali africani a rivendicazioni politiche radicali. La nuova generazione di attivisti radicali che si batte per un’istruzione gratuita, per una riforma politica democratica e per l’autonomia culturale sta (ri)leggendo Fanon, Malcolm X, Steve Biko e leader anticolonialisti come Kwame Nkrumah e Robert Sobukwe, mentre Kendrick Lamar domina le playlist. Com’è inevitabile, la nostalgia e il desiderio entrano in gioco e generano nuove rivendicazioni politiche che invocano il ritorno a un passato incontaminato o un percorso verso un futuro liberato, o qualcosa che in qualche modo riesca a stare a cavallo di questi due paesaggi immaginati di autonomia. Le riflessioni sulle radici e sui percorsi delle lingue, sugli spiritualismi e sulle pratiche culturali hanno un enorme potenziale sulla formulazione 168 169 which in turn might be causing important changes in African cities? E P A number of institutional specificities mark many African cities. Owing to the limited provision of public infrastructure and services, in turn linked to limited resources and/or political neglect, most urban households have to become active agents in various systems that deliver basic services. These include water, waste collection, sanitation, energy, mobility and communications, which are structured around modest and irregular incomes. So most urban households are not merely consumers of collective goods but always part-producers and part-consumers. This requires intense and persistent social action to be in the right networks with sufficient social capital. Simultaneously, non-governmental organisations (NGOs) are pervasive in most African cities, encouraging the urban poor to organise themselves and hold the state accountable through collective political agency. Often participation in more formal social formations that interact with the developmental machineries is an essential strategy, even if residents do not necessarily buy all of the ideological precepts of these NGO efforts. Over and above these, urban households also invest considerable time and resources to remain active in religious and cultural structures that afford pleasure, respite and opportunity. There are also various collective spaces for connections into political parties (and traditional authorities) that mediate access to services, land, and other public programme opportunities. Again, urban dwellers are in no position to turn away from these systems of enrolment and reciprocity. These various social categories of collective action and socialisation are pertinent because urban change does not arise from discrete mobilisations or the work of specific social movements – despite their episodic successes – but rather a slow accretion of multiple social attachments and practices that continuously seek to shift the terms of urban be- REC ONS TRUC TIN G cui le pratiche religiose e le convinzioni spirituali modellano e strutturano identità, rapporti sociali e comportamenti di gruppo. Considerando l’influenza pervasiva delle istituzioni religiose, è plausibile che anche le altre istituzioni urbane, in un modo o nell’altro, orientino le proprie strategie in base alle pratiche religiose dominanti. Mi riferisco per esempio alla dimensione del quotidiano, al ruolo svolto dalle associazioni di prestito e risparmio che aiutano a mitigare le ansie legate a redditi incerti, alla mediazione dei conflitti generazionali, all’accesso a opportunità economiche. La religione nella città africana è ovunque e richiede una ricerca strategica sensoriale per essere misurata e per ragionare sui ruoli che svolge. e m Quindi, in generale, quando si parla di creatività africana è importante analizzare le trasformazioni influenzate dalle tradizioni del continente. L’attivismo politico e il senso della comunità interagiscono tra loro, dando vita a un corpus di opere variegato e stimolante. Nell’ambito dell’autoproduzione o delle associazioni indipendenti, c’è un movimento che potrebbe essere rilevante nel cambiamento del volto delle città e delle metropoli? Mi parleresti delle forme di vita collettiva che plasmano le azioni e le sfere politiche che a loro volta potrebbero generare dei cambiamenti importanti nelle città africane? e p Molte città africane sono caratterizzate da numerose specificità istituzionali. A causa della presenza limitata di infrastrutture e servizi pubblici, a sua volta collegata alle risorse limitate e/o all’incuria politica, gran parte delle famiglie che vivono in città devono assumere un ruolo attivo in diversi sistemi che forniscono servizi basilari, tra cui acqua, raccolta della spazzatura, servizi igienici, energia, mobilità e comunicazioni, strutturati attorno a redditi modesti e irregolari. Quindi quasi tutte le famiglie non sono semplici consumatori di beni collettivi, ma una via di mezzo tra produttori e consumatori. Per far parte dei network giusti, dotati di capitale sociale sufficiente, è necessaria un’azione sociale intensa e costante. Allo stesso tempo le organizza- RI C O S T RU I RE E M Many contemporary artworks link to archaic, or religious, or traditional issues in the broader sense. Can we say that the religion plays a key role in the lives and in the evolution of urban African cities? E P Religion is probably the most profound and important social-cultural practice that shapes the lifeworlds and aspirations of urban Africans. Interestingly, this cuts across class divides. Urban élites and the urban poor are equally likely to be devout participants in contemporary forms of Pentecostal Christianity or traditionalist Muslim congregations. We understand very little about these lifeworlds and institutions because academics and artists tend to be dismissive of religion as a belief system and cultural practice. As a result, we have limited empirical and analytical knowledge of the myriad ways in which religious practices and spiritual beliefs shape and structure identities, social relations and network behaviours. Given the pervasive influence of religious institutions, it is likely all other urban institutions in one forms or another orient their strategies in relation to dominant religious practices. That is: the scale of the everyday, the role of savings associations in buttressing the stresses of uncertain incomes, the mediation of generational conflicts, accessing economic opportunities. Religion is everywhere in the African city and requires a fully-fledged sensorial research strategy to fully take its measure and speculate about its roles. E M It is important to analyse the contemporary social, urban and cultural transformations influenced by the traditions of the continent, when dealing with African creativity. It is probable that political activism and the sense of community combine and interact, giving rise to a variegated and stimulating body of work. Is there any relevant movement in terms of auto-production or independent associations that could be relevant in the view of changing the face of the cities and the metropolis? Could you tell us something about the forms of collective life that shape political actions and spheres, AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E e p L’arte pubblica nelle città africane deve confrontarsi con tematiche che riguardano il carattere pubblico, la spazialità e il coinvolgimento dei residenti urbani. Considerando le vicissitudini della vita quotidiana, gli artisti sanno di non poter fare richieste onerose ai loro pubblici potenziali ma devono insinuarsi nei punti di riferimento culturali e negli schemi di circolazione degli abitanti delle città. Ciò richiede un’inventiva artistica estremamente consapevole del contesto locale, con preoccupazioni pragmatiche e spirituali, che si rispecchia attraverso un’estetica di seduzione, intrigo, gioco e tregua. Con questi presupposti, l’arte pubblica africana può essere considerata, da un certo punto di vista, come all’avanguardia e trasgressiva poiché parla agli imperativi artistici e alimenta pubblici inclusivi con un’attenzione per l’elemento locale. Ciò offre uno strumento per trovare soluzioni creative che alimentino le culture partecipative, il che può avere un’influenza enorme anche al di fuori del continente africano, se si parla di spazi disponibili all’ascolto e al confronto tra pari. e m Molte opere d’arte contemporanee rimandano a tematiche arcaiche, religiose o tradizionali in senso ampio. Possiamo dire che la religione gioca un ruolo fondamentale nelle vite e nell’evoluzione delle città africane contemporanee? e p Probabilmente la religione è la pratica socio-culturale più profonda e importante che influenza il mondo vitale e le aspirazioni degli africani che abitano in città. È interessante notare che questo aspetto trascende le divisioni di classe. Le élite e i poveri delle città hanno le stesse probabilità di essere devoti osservanti delle forme contemporanee del cristianesimo pentecostale che delle congregazioni musulmane tradizionaliste. Capiamo molto poco di questi mondi vitali e di queste istituzioni poiché gli accademici e gli artisti tendono a etichettare la religione come un sistema di valori e una pratica culturale. Il risultato è che abbiamo una conoscenza empirica e analitica limitata delle miriadi di modi in 170 17 1 ists and radical ideas circulate within and around these spaces and Chimurenga uses its publications and music platforms as occasions to convene and collide these actors. Chimurenga also regularly interacts with African curators and artists to experiment with dialogues across artistic and literary fields. The work is always in a radical, subversive vein and therefore irreverent and generative yet paying homage to forebears, in a delicate curation. It seems similar kinds of experimental contact zones are emerging in a variety of cultural, artistic and academic fields of humanities and design disciplines. E M Several development crises associated with urbanisation processes in Africa can largely be attributed to external forces but, at the same time, these dynamics can increase the citizen’s need of “having a voice”. Are there any tools available to facilitate the quality of citizen’s engagement in relation to the policy development? E P Over the last decade, there has been an explosion of citizen-driven development processes to improve the opportunity structure for the urban poor and enhance deliberative processes aimed at optimal investment of public resources that also enhances existing livelihoods. These processes are either framed through a strong human rightsbased discourse, or as sound development practice. This creates a vast store of knowledge about how best to nurture autonomous civic action while improving local economies, services, social infrastructures and cultural spaces. There are various frameworks and tools to advance meaningful citizen engagement and empowerment.2 E M Regarding urban condition, development and inequalities, are there any trends that could help us to understand the complex dynamics of urbanisation in different parts of the South? E P To fully appreciate the differential nature of urbanisation in different parts of the global South, it is important to relate the challenges associated with urban growth to the changing nature of eco- See Chapter 6 on participatory governance in: UN-Habitat (2016) World Cities Report 2016. Urbanisation and Development. Emerging Futures. Nairobi: UN-Habitat; and Chapter 5 in: A.M. Simone, and E. Pieterse, New Urban Worlds. Inhabiting Dissonant Times. (Cambridge: Polity 2017). 2 1 1 See: https://www.chimurenga.co.za Si veda: https://www.chimurenga.co.za REC ONS TRUC TIN G sto contesto, l’identità è una risorsa essenziale, ma anche una piattaforma attraverso cui esprimere desideri, espressione estetica e risignificazione dei principi associati ai flussi culturali globali. In altre parole è assolutamente concepibile che l’identità venga mobilitata come fonte di resistenza, ma lo stesso indicatore può anche essere una risorsa per affermare la globalizzazione. Questa malleabilità è importante e merita una considerazione più approfondita. Un esempio valido di come si manifesti è fornito dal ruolo giocato dagli spazi artistici indipendenti che valorizzano specificità locali articolandosi in circuiti di dibattito globalizzati. e m Nell’ambito di pensatori indipendenti e di possibili strategie “che nascono dal basso”, c’è un esempio di eccellenza di cui puoi parlarci? In termini geografici, è possibile individuare delle “aree fondamentali o di contatto”? e p Alcune delle opere più provocatorie sono nate dalla scuderia di Chimurenga1, stanziata a Città del Capo ma deterritorializzata grazie al suo sistema operativo e collaborativo fondato sul network. Il fondatore e agent provocateur in carica, Ntone Edjabe, collabora strettamente con una serie di omologhi spazi autonomi sparsi sul continente, per esempio Kwani a Nairobi, RAW a Dakar e CasavaRepublic Press a Lagos. Un network di artisti e idee radicali circola all’interno e intorno a questi spazi, e Chimurenga sfrutta le proprie pubblicazioni e piattaforme musicali come occasioni per riunire e far confrontare questi personaggi. Chimurenga inoltre interagisce regolarmente con curatori e artisti africani per sperimentare con dibattiti in campo artistico e letterario. Le produzioni seguono sempre una vena radicale e sovversiva, e sono quindi irriverenti e generative ma rendono anche omaggio agli antenati con una particolare attenzione. Sembra che simili aree di contatto sperimentali stiano emergendo in diversi campi culturali, artistici e accademici di discipline umanistiche e di progettazione. e m Le crisi dello sviluppo, associate ai processi di urbanizzazione, possono essere ricondotte a forze esterne RI C O S T RU I RE longing. These processes need careful ethnographic tracking and extrapolation. E M In many contemporary works, “identity” appears as a central theme, but what amazes us is the balance between the traditional matrix and contemporary influences. Can this claim of identity as a specificity in opposition to the dynamics of globalisation be defined as a cultural product of resistance? Could the matrix be found in an independent movement? E P Resistance is too strong a word. Indeed, identity functions as a key index of belonging and circulation due to the nature of multiple and highly distributed networks of social organisation and attachment; networks that are inherently fluid and always undergoing recalibration. In this context, identity is a key resource but it is also a platform to express desire, aesthetic expression, and the resignification of tenets associated with global cultural flows. In other words, it is certainly conceivable that identity gets mobilised as a source of resistance but the very same marker can also be a resource for affirming globalisation. This malleability is significant and worthy of further consideration. A good example of how this manifests is the role that independent art spaces play to valorise local specificities while articulating into globalised circuits of debate. E M Talking about independent thinkers and possible strategies “coming from the underground”, is there an example of excellence you can share with us? In geographic terms, is it possible to identify any “key or contact zones”? E P Some of the most provocative work has come out of the Chimurenga1 stable, which is anchored in Cape Town but truly deterritorialised in terms of its network-based system of operation and collaboration. The founder and lead agent provocateur, Ntone Edjabe, collaborates closely with a number of equivalent autonomous spaces on the continent, e.g. Kwani in Nairobi, RAW in Dakar, and CasavaRepublic Press in Lagos. A network of art- AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E zioni non governative sono pervasive nella maggior parte delle città africane, e incoraggiano i poveri a organizzarsi e a ritenere lo stato responsabile attraverso l’azione politica collettiva. Spesso la partecipazione in formazioni sociali più formali che interagiscono con gli apparati di sviluppo è una strategia essenziale, anche se i residenti non credono necessariamente a tutti i precetti ideologici che motivano gli sforzi di queste ONG. Inoltre le famiglie investono notevoli quantità di tempo e risorse per continuare a essere attive nelle strutture culturali e religiose che offrono piacere, svago e possibilità. Esistono anche diversi spazi collettivi per creare dei legami all’interno dei partiti politici (e delle autorità tradizionali) che mediano l’accesso ai servizi, al territorio e ad altre opportunità legate ai programmi pubblici. Ancora una volta, gli abitanti delle città non sono nella posizione di allontanarsi da questi sistemi di adesione e reciprocità. Queste categorie sociali di azione collettiva e socializzazione sono pertinenti poiché il cambiamento urbano non nasce dalle mobilitazioni discontinue o dal lavoro di movimenti sociali specifici – benché di tanto in tanto abbiano successo –, ma da un lento accrescimento di numerosi legami e pratiche sociali che cercano continuamente di modificare i termini dell’appartenenza urbana. Tali processi necessitano di essere rilevati ed estrapolati accuratamente a livello etnografico. e m In molte opere contemporanee l’“identità” è una tematica centrale, ma ciò che stupisce è l’equilibrio tra la matrice tradizionale e le influenze contemporanee. Questa rivendicazione dell’identità come specificità, contrapposta alle dinamiche della globalizzazione, può essere definita come un prodotto culturale di resistenza? La matrice potrebbe risiedere in un movimento indipendente? e p “Resistenza” è un termine troppo forte. L’identità è un indice fondamentale dell’appartenenza e della circolazione per via della natura dei network molteplici e altamente capillari dell’organizzazione e del legame sociali; network intrinsecamente fluidi che affrontano una ricalibrazione costante. In que- Si veda il Capitolo 6 sulla governance partecipativa: UN-Habitat (2016) World Cities Report 2016. Urbanisation and Development. Emerging Futures. Nairobi: UN-Habitat; e il Capitolo 5 di: A.M. Simone ed E. Pieterse, New Urban Worlds. Inhabiting Dissonant Times, Polity, Cambridge 2017. 2 172 173 various management consultancy firms and IT companies, all play an aggressive part in persuading urban leaders to follow common principles to achieve a “smart, networked, sustainable, inclusive and democratic” urban development. African governments are not exempt from these policy circulations. But Africa has a unique opportunity to “leapfrog” over energy-intensive industrial solutions to urban infrastructure and building standards in favour of low-carbon and resource-efficient technologies. These standards are typically associated with planning norms that favour compaction, densification, mixed uses and a commitment to public space. However, very few policy agendas are able to address the profound material and financial disjuncture between these policy ideas and the lived reality of most African cities. Most cannot explain how one can shift the vested interests that drive the path dependencies associated with sprawl and dualism that characterise African cities. In this chasm between policy fantasies and the realpolitik of urban management, all that remains is the auto-constructed efforts of urban dwellers and the manoeuvres of urban elites. In this sense, autoconstruction is a compensation for the ineffective local state, but it is also so much more. It is probably prototypical of adaptive urban strategies that can work with the grain of makeshift practices while tapping useful ideas from new urban policy to fashion experiments in systemic change. At least, that is my hope but it depends on paying attention to what is emergent in these cities. E M As per some of your texts, the continent is 40% urbanised now and only Asia has more people living in cities. Considering also that Africa’s demographic transition will give birth to thousands of new town by 2030 (data from the UNDESA 2011), what could an hypothesis be on the future of the progressive urban development in the country? E P In my reading of the near future, we only have one hope to advance progressive urban develop- REC ONS TRUC TIN G Settanta e i Novanta non sono una via percorribile in un’epoca di finanzializzazione acuta, automazione incombente e profonde limitazioni ambientali. Il risultato è che nella maggior parte delle città africane e asiatiche c’è una predominanza di lavoro informale unito a stipendi bassi e irregolari. A queste dinamiche macroeconomiche si possono sovrapporre dinamiche socioculturali profondamente diverse che si attuano nelle città e modellano identità politiche e culturali. Questi elementi chiave, insieme ad altri, generano paesaggi urbani molto diversi, flussi metabolici e aspettative culturali che intensificano la differenziazione e la divergenza negli urbanismi del Sud globale. e m L’Africa tra il 2005 e il 2010 (fonte: UN-Habitat 2010) ha avuto il più rapido tasso di urbanizzazione del mondo causando nuove dinamiche nella gestione dei territori urbani. Questa maggiore richiesta edile ed energetica legata anche alla segregazione spaziale influenza la condivisione di idee e movimenti culturali? Possiamo dire che i prodotti dell’autocostruzione e gli strumenti di sperimentazione sono nati dall’informalità, vista l’assenza di un forte stato locale nel continente africano? e p È vero che si sta diffondendo, su scala globale, un modello specifico di sviluppo e gestione urbani. Agenzie di sviluppo internazionali come UN-Habitat e il suo World Urban Forum biennale sono luoghi strategici in cui questi modelli vengono diffusi e socializzati tra i policy maker. Altri agenti come il Forum economico mondiale, diverse agenzie di management consulting e società informatiche giocano un ruolo aggressivo nel convincere i leader delle città a seguire dei principi comuni per arrivare a uno sviluppo urbano “smart, fondato sui network, sostenibile, inclusivo e democratico”. I governi africani non sono avulsi dalla circolazione di queste politiche, ma l’Africa ha una possibilità unica nel suo genere di “scavalcare” le soluzioni industriali ad alto consumo energetico per le infrastrutture urbane e per gli standard edilizi, in favore di tecnologie a basse emissioni di CO2 ed efficienti nell’impiego delle RI C O S T RU I RE nomic value add and employment, and different temporalities. For example, Latin America started to urbanise rapidly since the 1930s and achieved an urbanisation level of 70% by 1970 and has plateaued since then. By contrast, both Africa and Asia had less than 15% of their populations in urban areas in the 1930s and both have not yet reached the tipping point of 50%. Asia is anticipated to get there by 2020, and Africa by 2035, according to UN projections. But the economic growth paths that were available to Latin America in the 1950s and 1960s (industrialisation based on import substitution) and Asia during the 1970s-1990s are simply not an option in an era of heightened financialisation, looming automation, and profound environmental constraints. As a result, in most cities of Africa and Asia there is a predominance of informal work combined with low and irregular wages. These macro-economic dynamics can be overlaid with vastly different social-cultural dynamics that play out in cities, shaping both political and cultural identities. These drivers, among others, produce very different urban landscapes, metabolic flows and cultural expectations that intensify differentiation and divergence in urbanisms across the global South. E M Africa had the fastest rate of urbanisation of all regions in the word between 2005/2010 (UN-Habitat 2010) and globalisation is creating new dynamics in the management of urban territories. Does this greater demand for building and energy due to the spatial segregation influence the sharing of the ideas and cultural movements? Can we say that auto-construction products and experimentation tools came from informality in absence of a strong local state in the African country? E P It is true that a specific model of urban development and management is being proliferated at a global scale. International development agencies such as UN-Habitat, and its biennial World Urban Forum, are key strategic sites where these models are propagated and socialised among policy makers. Other actors like the World Economic Forum, AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E ma, allo stesso tempo, possono incrementare il bisogno di “far sentire la voce” da parte dei cittadini. Esistono degli strumenti per agevolare la qualità del coinvolgimento dei cittadini in rapporto alle politiche di sviluppo? e p Negli ultimi dieci anni c’è stata un’esplosione dei processi di sviluppo guidati dai cittadini allo scopo di migliorare la struttura di opportunità per i poveri delle città e accrescere i processi deliberativi mirati all’investimento ottimale delle risorse pubbliche, che a sua volta migliora i mezzi di sostentamento esistenti. Questi processi possono essere visti come elementi di un forte dibattito fondato sui diritti umani o come una valida pratica di sviluppo. Ciò crea un ampio bacino di conoscenza sul modo migliore con cui alimentare l’azione civica autonoma mentre si migliorano infrastrutture economiche, terziarie e sociali, e spazi culturali locali. Esistono diversi strumenti e cornici per migliorare il coinvolgimento e l’empowerment significativi dei cittadini2. e m Parlando dello sviluppo e delle disuguaglianze urbane, ci sono delle tendenze che potrebbero aiutarci a capire le complesse dinamiche dell’urbanizzazione nelle diverse parti del Sud globale? e p Per apprezzare appieno la natura differenziale dell’urbanizzazione in diverse zone del Sud globale, è importante mettere in relazione le sfide associate alla crescita urbana e la natura mutevole del valore economico aggiunto, l’occupazione e le diverse temporalità. L’America Latina, per esempio, ha iniziato a urbanizzarsi rapidamente a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, raggiungendo il 70% di urbanizzazione nel 1970, e da allora è rimasta stabile. Al contrario negli anni Trenta meno del 15% della popolazione di Africa e Asia viveva in zone urbane, e nessuno dei due continenti ha ancora raggiunto il punto critico del 50%. Le previsioni delle Nazioni unite sostengono che l’Asia lo raggiungerà nel 2020 e l’Africa nel 2035. I percorsi di crescita economica che erano disponibili in America Latina negli anni Cinquanta e Sessanta (l’industrializzazione fondata sulla sostituzione dell’importazione) e in Asia tra i 174 175 REC ONS TRUC TIN G sione urbane e i danni ambientali. Tuttavia è impossibile farlo senza la ricerca, l’analisi e il coinvolgimento delle università locali delle varie città e dei vari Paesi. Vedo quindi un ricentramento radicale degli accademici e delle ricerche africani, che stanno avviando dibattiti dalle solide fondamenta, complessi e propositivi sulla situazione problematica in cui ci troviamo e su come modificare le traiettorie dei nostri territori urbani attraverso una varietà di interventi. Le università africane, inoltre, insieme ai produttori culturali, possono creare narrative accessibili e valide a livello culturale che osservano i “fatti” e spianano la strada alla sperimentazione. C’è uno spazio infinito per questo genere di cose. Ogni settore legato alle infrastrutture deve essere rivisto come un mix progettato di tacita conoscenza associato a pratiche informali e conoscenza sistematica inserita in soluzioni tecnocratiche che derivano dal sapere accademico e professionale. Sperimentando con adattamenti locali, pratiche e incentivi nuovi, gli atteggiamenti e le culture possono contribuire a rendere le città luoghi meno diseguali, meno insostenibili, per trasformarle in spazi più equi. La mia ipotesi si fonda sull’impegno a costruire dei laboratori di apprendimento basati sulla città che siano trasparenti, responsabili e inseriti nel tessuto culturale. Non esiste altro modo per stimolare l’innovazione e la trasformazione urbane. Può accadere soltanto in loco e dev’essere gestito da agenti locali interessati a soluzioni locali che potrebbero – ma non è detto – avere un’eco di più ampio respiro. RI C O S T RU I RE ment across African cities. It starts with a polemical flourish. Agenda 2063, the long-term vision of the African Union for the continent’s transformation, provides a potentially interesting entry point to reflect on where our cities and urban systems could be going. It provides a rationale to confront the structural drivers that reproduce urban inequality, exclusion and environmental damage. However, such a confrontation is not possible without the research, analysis and animation of local African universities in each city and country. So I see a radical recentring of African scholars and research in opening up grounded, difficult and propositional discussions about the mess we are in and how to shift the trajectories of our urban territories through a multiplicity of interventions. Furthermore, African universities, in concert with cultural producers, can create accessible and culturally resonant narratives that confront “facts” and set the stage for experimentation. There is endless room for it. Every single infrastructure sector must be reconsidered as a designed blend of tacit knowledge associated with informal practices and systematic knowledge embedded in technocratic solutions deriving from academia and professional knowledge. By experimenting with local adaptations, new practices and incentives, ways of doing and cultures can help transform cities into less unequal, less unsustainable and more just spaces. My hypothesis rests on a commitment to building city-based learning laboratories that are transparent, accountable and culturally embedded. There is no other way to stimulate urban innovation and transformation; it can only happen in situ, driven forward by local actors invested in local solutions that may, or may not, have a larger resonance. AF RI CA N M E TROP O L I S UNA CONVERSA ZIONE TRA ELENA MOTISI ED EDGAR PIE TERSE E L E NA MOT IS I IN C O NV ERSAT IO N WI T H ED G A R PIE T ERSE ED G A R PI E TERS E risorse. Questi standard sono solitamente associati a normative progettuali che favoriscono la compattazione, l’addensamento, gli usi misti e un impegno verso lo spazio pubblico. Tuttavia, solo pochi programmi politici sono in grado di relazionarli alla profonda disgiunzione materiale e finanziaria che c’è tra queste idee politiche e la realtà vissuta della maggior parte delle città africane. Molti non sanno spiegare come si possano modificare i secondi fini che guidano i percorsi di dipendenza associati all’estensione e al dualismo che caratterizzano le città africane. In questo abisso tra fantasie politiche e la realpolitik della gestione urbana, restano soltanto gli sforzi autocostruiti degli abitanti delle città e le manovre delle élite urbane. Da questo punto di vista, l’autocostruzione compensa la scarsa efficienza dello Stato locale, ma non si limita a questo. Probabilmente è tipico delle strategie urbane adattive il fatto di poter seguire le pratiche improvvisate attingendo allo stesso tempo alle idee fornite delle politiche urbane per creare esperimenti di cambiamento sistemico. O, almeno, questa è la mia speranza, ma dipende dall’attenzione che si presta a ciò che sta emergendo in queste città. e m Stando ad alcuni dei tuoi testi, al momento appena il 40% del continente è urbanizzato e soltanto l’Asia ha più abitanti che risiedono in città. Tenendo presente che la transizione demografica dell’Asia darà vita a migliaia di nuove città entro il 2030 (fonte: UNDESA 2011), quale potrebbe essere un’ipotesi circa il futuro dello sviluppo urbano progressivo nel continente? e p Nella mia interpretazione del futuro prossimo, abbiamo una sola speranza di migliorare lo sviluppo urbano progressivo nelle città africane. E comincia con un gesto polemico. Agenda 2063, la visione a lungo termine dell’Unione africana circa la trasformazione del continente, offre un punto di partenza potenzialmente interessante per riflettere sulla strada che prenderanno le nostre città e i nostri sistemi urbani. Fornisce una base logica per gestire i motori strutturali che generano la disuguaglianza e l’esclu-