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SOMMARIO: 1. L'inarrestabile fuga della sovranità economica. -2. Lo Stato oltre i suoi confini e il "ruolo" del "pubblico". -3. Il miraggio della c.d. Europa sociale. -4. Fonti e giurisdizioni.

  Moti ascensionali della sovranità economica* di Giovanni Luchena** 11 ottobre 2016 SOMMARIO: 1. L’inarrestabile fuga della sovranità economica. – 2. Lo Stato oltre i suoi confini e il “ruolo” del “pubblico”. – 3. Il miraggio della c.d. Europa sociale. – 4. Fonti e giurisdizioni. 1. L’inarrestabile fuga della sovranità economica Il passaggio dallo Stato imprenditore/privilegiatore a quello formalmente neutrale ha trasformato non soltanto i rapporti economici fra soggetti pubblici e privati, ma ha anche inciso sulle dinamiche economico-sociali, oltre ad aver contribuito alla realizzazione di significative modifiche nei rapporti tra i livelli di governo al piano sia verticale sia orizzontale. Dopo che la “mano visibile” ha “occupato”, per decenni, importanti settori dell’economia, garantendo, in un certo qual modo, gli equilibri economico-sociali, lo Stato ha gradualmente rinunciato alla sua sovranità economica (e quindi anche a quella politica) sia a causa del processo della globalizzazione quale «insieme multidimensionale di processi oggettivi e soggettivi»1 (processo qui considerato principalmente nei suoi svolgimenti nell’economia) sia per effetto dell’integrazione europea, uno degli animatori della globalizzazione, la quale, anche in forza della sua azione politica verso l’esterno, ha favorito, tra l’altro, la costituzione di istituzioni multilaterali aventi l’obiettivo dello sviluppo del libero scambio. Il ciclo storico che attraversa la civiltà moderna sarebbe quello della fine dello Stato e, quindi, della sua sovranità2, i due concetti – Stato e sovranità – essendo strettamente connessi fra loro, riflesso l’uno dell’altra. Lo Stato ha smesso di agire quale soggetto promotore dell’equilibrio tra ordine e caos. Il globalismo economico ha favorito non soltanto l’apertura delle economie nazionali e, allo stesso tempo, anzi, forse, conseguentemente, anche la riduzione dello spazio regolativo pubblico a favore di quello privato, facendo emergere altri valori come il profitto, suo «simbolo» e «sostanza»3.                                                                                                                 * Relazione svolta in occasione dell’incontro di studio di presentazione dei risultati della ricerca, finanziata dalla Fondazione Caripuglia di Bari, dal titolo “La nuova dimensione istituzionale dei processi economico-sociali”, Bari, 8 giugno 2016. ** Professore associato di Diritto dell’economia, Università degli Studi di Bari Aldo Moro. 1 M.B. STEGER, La globalizzazione, trad. it. di R. MERLINI, Il Mulino, Bologna, 2016, 8. 2 A. CARRINO, Prefazione, in ID., Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione. Da Kelsen allo Stato-mercato, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, 8. 3 A. CARRINO, Prefazione, cit., 9.   1 Molti sono gli effetti della decomposizione della sovranità (anche) economica causata dai “fenomeni” sopra sommariamente evocati. Sono mutati i processi della decisione politica, ora prodotta in luoghi lontani e virtuali a tutto vantaggio delle cosiddette policrazie, «istituzioni sociali (…) forti, particolarmente legate alla produzione economica, ciascuna con proprie finalità e propri obiettivi»4. La protezione dei diritti è sempre più affidata alle “verità” delle Corti (in primis quelle “europee”). La giustizia subisce un processo di privatizzazione a favore di forme di risoluzione delle controversie di tipo stragiudiziale, a prevalente garanzia degli operatori economici. I diritti sociali acquistano sempre di più la condizione di diritti finanziariamente vincolati. Le politiche economiche sono rigidamente subordinate all’economia e a farne le spese, più d’ogni altro, è il lavoro che ora recede dinanzi ai moti della sovranità verso l’alto determinati dalle dinamiche globali. L’«unica risorsa residua a disposizione degli Stati è il ripiegamento su politiche di pura competitività economica, a detrimento delle classiche esigenze di coesione sociale»5. Si ritiene, a tale riguardo, che la globalizzazione/europeizzazione del diritto abbia (ri)prodotto la “medievalizzazione” della cultura giuridica europea6. Possono essere considerati segnali di tale approdo (o deriva, a seconda dei punti di vista) la “nuova politica monetaria europea” e la sostanziale dequotazione dei diritti sociali che hanno accelerato il tramonto dello Stato come comunità politica. La dottrina della fine dello Stato preconizza, dunque, la legittimazione di un nuovo ordine economico, fondato sopra una narrazione mitologica del mercato, un progetto di sostituzione di finalità con altri e diversi “interessi” i quali, dunque, sembra non coincidano (o non debbano coincidere) più con quelli tipici dello Stato. Il tempo presente, infatti, è contrassegnato dal sopravvento delle ragioni dell’economia rispetto a quelle della politica, la prima essendo considerata come una variabile indipendente rispetto alla seconda7, segno di una trasformazione anche della forma di Stato, che ha provocato l’inversione delle priorità stabilite dalle costituzioni sociali. Anche lo Stato monoclasse, pur formalmente neutrale, manifestava la sua presenza nell’economia, giustificata in termini di «eccezioni» alla regola dell’astensione8, in forme dirette ed indirette in molti settori come, ad esempio, nelle ferrovie, nell’industria, nei servizi pubblici, nelle opere pubbliche. Una presenza che diventa poi prevalente, rispetto alla mano privata, subito dopo la Grande guerra e a seguito della crisi del 1929 (è sufficiente ricordare a tale proposito il Piano Beveridge e il New Deal). Si tratta di un modello riparatore/interventista riproposto negli Stati Uniti dopo il 2008 e ignorato dalle istituzioni europee proprio quando se ne sentiva il bisogno e cioè al deflagrare della crisi economica. Con l’avvento dello Stato sociale l’intervento pubblico nell’economia si consolida e trova formale riconoscimento costituzionale per quel che concerne non                                                                                                                 4 R. MANFRELLOTTI, L’economia è la continuazione della politica con altri mezzi, in C. IANNELLO (a cura di), Sovranità ed economia nel processo di integrazione europea, Rass. Dir. Pubbl. Eur., n. 1, 2011, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 54. 5 A. CARRINO, Il diritto delle comunità locali tra processi di globalizzazione e crisi della sovranità, in ID., Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione, cit., 109. 6 P. GROSSI, Unità giuridica europea: un medioevo prossimo futuro?, in Quad. Fiorentini, 2002, Tomo, I, 39 ss. 7 M.B. STEGER, La globalizzazione, cit., 69. 8 M.S. GIANNINI, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Il Mulino, Bologna, 1986, 40 ss.   2   soltanto la gestione di determinati servizi, oggettivamente pubblici, o di determinati settori economici strategici, ma anche la predisposizione di mezzi e la fondazione di istituzioni volti a dare attuazione costituzionale al principio dell’eguaglianza sostanziale. In definitiva, le disposizioni costituzionali concernenti l’economia non si riferiscono soltanto al ruolo dello Stato quale detentore delle leve dell’economia ma anche quale garante di tutte quelle situazioni collettive meritevoli di tutela, verso le quali esso è “obbligato” in forza dell’art. 3, c. 2, Cost.9. 2. Lo Stato oltre i suoi confini e il “ruolo” del “pubblico” A ben vedere, subito dopo la seconda guerra mondiale, lo Stato non si è chiuso nel suo giardino dorato, cioè non ha mancato di “guardare oltre i suoi confini”. In effetti, una delle prime azioni di politica economica adottate dallo Stato italiano è stata quella relativa alla liberalizzazione degli scambi e all’inserimento dell’economia nazionale nell’area del mercato occidentale; tra l’altro, non si può fare a meno di ricordare come il primo programma economico nazionale quinquennale (1948/1953)10 auspicava lo sviluppo degli scambi internazionali, la realizzazione di rapporti di collaborazione con gli altri Stati e l’avvio di un’unione doganale a livello europeo11. Intanto, stava maturando l’idea della istituzione di un’entità a prevalente oggetto economico (senza, come, ovvio, trascurare il suo fondamentale contributo alla pace), realizzata, come è noto, nel 1957 (C.E.E.)12. In parallelo, molto forte è stata la presenza dello Stato nel settore industriale, riuscendo a “muovere” una massa enorme di sovvenzioni e di crediti agevolati, senza però la predisposizione di criteri selettivi, tanto che la disciplina sul controllo degli aiuti pubblici segna ancor oggi un punto di forza delle politiche eurounitarie della concorrenza. La progressiva assunzione in mano pubblica di numerose imprese, nei settori più vari, dall’energia ai servizi pubblici, dall’industria meccanica al settore radiotelevisivo, ha, poi, in un certo qual modo, “ingessato” le dinamiche concorrenziali mentre, a livello europeo, ci si preparava al “salto di qualità” determinato dall’assunzione di politiche spostate su un asse diverso e cioè quello della preminenza del mercato aperto e in libera concorrenza e, in una fase successiva, della politica monetaria. Non che la concorrenza sia stata subito assunta quale criterio-guida della politica economica italiana. Le prime inclinazioni o tendenze verso talune forme di liberalizzazione e di apertura ai mercati internazionali troveranno uno svolgimento compiuto solo dopo l’accelerazione del processo d’integrazione europea13 e, quindi, sotto la spinta di fattori esogeni all’ordinamento giuridico nazionale.                                                                                                                 9 G. DI GASPARE, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, 2^ ed., Cedam, Padova, 2015, 69 ss., passim. 10 La programmazione economica, come è noto, non si fermò solo a quello stadio ma, nel tempo, fu arricchita da numerose iniziative e/o esperimenti tutti tendenti al rafforzamento della guida pubblica delle attività economiche: basti pensare, a titolo di esempio, al Piano Vanoni, al progetto Giolitti, alla programmazione degli anni settanta e al cosiddetto Progetto 80. 11 P. DE CARLI, Lezioni ed argomenti di diritto pubblico dell’economia, Cedam, Padova, 1995, 95. 12 G. DI GASPARE, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, cit., 115 ss. 13 F. CAPRIGLIONE, Introduzione. Ordine giuridico e processo economico nell’analisi di law and economics, in M. PELLEGRINI (a cura di), Cedam, Padova, 2012,11.   3   Da un lato, dunque, l’integrazione economica ha spinto per l’implementazione delle politiche per la concorrenza, dall’altro, lo Stato nazionale “resisteva” nel fortino dei suoi “confini”: in effetti, lo Stato sociale ha potuto garantire i diritti sociali dalle tempeste del mercato aperto e concorrenziale non contrapponendosi alle norme costituzionali, le quali, come è noto, hanno lo scopo di conciliare le libertà economiche con l’intervento statale nell’economia per le esigenze di protezione dei poveri e degli emarginati. Le norme costituzionali sui rapporti economici insistono sul ruolo del “pubblico” nella sfera sociale, tali “rapporti” non essendo esclusivamente relazioni fra soggetti privati; il “pubblico”, il regolatore per eccellenza, deve, pertanto, con legge, svolgere il proprio ruolo nelle dinamiche economiche, a seconda dei casi, in modo attivo, in funzione di garanzia, di salvataggio, di gestione (diretta o indiretta) dei servizi pubblici, di impulso dell’economia, al fine di perseguire obiettivi di politica economica in chiave redistributiva e di giustizia sociale. Le linee di sviluppo tracciate dalla Costituzione mirano, cioè, a realizzare gli obiettivi rispondenti sia all’interesse pubblico sia a quello privato14 alla luce di un percorso che ponga le premesse per un progetto di società fondato sulla solidarietà tra gli individui (art. 2 Cost.) e sull’uguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2, Cost.). E’ il riconoscimento progressivo della responsabilità etica da parte dei consociati che consente di individuare un continuum tra l’art. 2 e l’art. 41, commi 2 e 3 Cost.; di più, è l’interposizione dell’art. 3, c. 2 Cost. che “attiva” le garanzie in favore della persona quando lo “strumento” dell’impresa diventa pervasivo ed assorbente, perché la legge modera ed attenua l’autonomia proprio per rendere possibile la convivenza tra libertà ed uguaglianza. L’assenza di regolazione, allora, significa assenza innanzi tutto di libertà e, conseguentemente, di uguaglianza: la legge, dunque, attenuerebbe i rapporti di forza e di potere insiti nella libertà di impresa e rafforzerebbe la prospettiva del conseguimento di obiettivi ostruiti dalla condizione originaria di disuguaglianza. 3. Il miraggio della c.d. Europa sociale La svolta da tempo auspicata, che, per la verità, appare ancora lontana, sarebbe rappresentata dalla c.d. Europa sociale, un auspicio o un manifesto che però non si è tradotto in politiche europee concrete di riduzione delle disuguaglianze, non essendo tramontata l’originaria impostazione volta a privilegiare la tutela del mercato aperto e in libera concorrenza e, soprattutto, non essendoci una politica finanziaria pubblica europea15. Il “manifesto” dell’art. 3, §3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea [d’ora in avanti: T.F.U.E.] – il quale stabilisce che l’Unione europea «[s]i adopera per lo sviluppo sostenibile […], basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente» promovendo, altresì, «il progresso scientifico e tecnologico», contrastando «l’esclusione sociale e le discriminazioni» e                                                                                                                 14 F. CAPRIGLIONE, Introduzione, cit., 13. R. ROMANO, Trattato di Lisbona e politica economica, in C. IANNELLO (a cura di), Sovranità ed economia nel processo di integrazione europea, cit., 94. 15   4   sostenendo «la coesione economica, sociale e territoriale» – ha dovuto “fare i conti” con il dato materiale della politica economica e monetaria stabilita dalle istituzioni comunitarie e dal Fondo monetario internazionale, che ha riportato in auge i principi della finanza neutrale, la cui massima espressione è rappresentata dalla regola aurea del bilancio in pareggio16. L’ultima disposizione citata, nell’affermare il modello dell’economia sociale di mercato, “stimola”, “suggerisce”, “consiglia” una certa apertura verso la socialità, dato che prevede che «nella direzione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana»17. In particolare, poi, l’art. 8 del T.F.U.E. stabilisce che «l’Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne»; l’art. 9, impegna l’Unione a promuovere «un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana» e, infine, l’art. 10 prevede che le istituzioni europee mirino a «combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, la religione o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale» Il Trattato di Lisbona, dunque, dichiara l’intenzione di allargare gli orizzonti della socialità in talune disposizioni provando a temperare i rigori del monetarismo. In realtà, questa propensione viene continuamente frustrata dalle politiche antideficit, dall’assenza di solidarietà fra gli Stati (il motto “uniti nella diversità”, uno dei simboli dell’Unione, ha finito gradualmente, ma ineluttabilmente, per diluirsi nelle paludi dei mercati finanziari), dal rigore economico e finanziario à la carte (taluni Paesi non sono sanzionati quando violano le norme comunitarie in tema di surplus commerciale o di disavanzi eccessivi), dai timidi approcci alle questioni sociali, non ostante le buone intenzioni del Piano Juncker promotrici di una nuova stagione all’insegna della c.d. flessibilità. L’economia sociale di mercato, il modello economico di riferimento dell’Unione europea, ammette l’esistenza di un governo economico che guidi l’azione statale verso le priorità dell’espansione E della crescita attraverso programmi di sviluppo al fine di orientare l’attività economica. Nell’Europa degli Stati integrati, invece, l’attuale “governo economico” è stato poco sensibile in concreto alle istanze di socialità privilegiando, in particolar modo nella fase della crisi economica, le note politiche di austerity, le quali hanno provocato depressione economica e deflazione. Un governo economico precario e instabile perché interessato al contingente e ad evenienze incidentali ed eccezionali, che, in definitiva, agisce quasi per tentativi18. Anche per effetto (o, potrebbe dirsi, grazie al pretesto) della crisi economica, dunque, è stata messa in questione «l’autonomia decisionale delle politiche statali»19                                                                                                                 16 In argomento, v. G. DI GASPARE, L’art. 81 della Costituzione, abdicazione della sovranità finanziaria dello Stato?, in Amministrazioneincammino, 29 dicembre 2014. 17 F. SCAGLIONE, Il mercato e le regole della concorrenza, Cedam, Padova, 2010, 9. 18 L. DI MAJO, A. GASPARRO, M. VITTORI, L’omogeneità di valori nell’Unione europea tra crisi economica e tutela dei diritti fondamentali: quali scenari?, in Federalismi.it, 15 ottobre 2014, 23. 19 A. CARRINO, Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione, in ID., Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione, cit., 168.   5   liberando l’economia dalle pretese regolative della politica, cioè confidando nella «autosostenibilità della società economica»20. Un’autonomia il cui recupero appare assai problematico se non si rivendicano «nuove forme di sovranità (…) plurali ed autorevoli»21. 4. Fonti e giurisdizioni L’introduzione delle norme diritto finanziario pubblico di derivazione eurounitaria e globale nell’ordinamento giuridico interno ingenera numerose problematiche perché, ad esempio, al di là dei toni spesso trionfalistici sull’integrazione economico-finanziaria, gli apparati apparentemente neutrali delle istituzioni dell’Unione non hanno tenuto conto, in alcuni casi, delle prospettive di lungo periodo che, proprio in tema di bilanci pubblici, avrebbero dovuto, al contrario, essere presi in più seria considerazione, valutando, cioè, le conseguenze in tema di diritti delle persone concrete. Si allude, tra l’altro, al modo di produzione europeo del diritto della finanza statale, e ovviamente ai suoi contenuti, che si inseriscono, in generale, in un processo di progressiva corrosione del primato statale sulle fonti del diritto, sia al suo interno sia nelle relazioni internazionali22. Si tratta di un indicatore del fenomeno della richiamata “crisi dello Stato”, il quale, dinanzi, ai processi associativi (Verbund), integrativi e globalizzanti ha ceduto parte della propria sovranità ad entità di varia natura e ambito geografico, fra le quali quelle che hanno come compito prioritario lo sviluppo dell’economia (e della finanza) su scala mondiale, senza barriere. E così, il sistema delle fonti del diritto, in origine improntato prevalentemente sul criterio gerarchico, consentiva il processo di integrazione fra le fonti sulla base della subordinazione di tutte le fonti alla Costituzione; oggi, invece, i criteri della competenza e della sussidiarietà23 sono divenuti, per così dire, gli arbitri delle antinomie, accanto all’adozione ininterrotta di fonti extra ordinem, atipiche e magari al di fuori del diritto dell’Unione europea, tanto che la dottrina si domanda se oggi si possa ancora parlare di sistema delle fonti24.                                                                                                                 20 M. FIORAVANTI, Cultura costituzionale e trasformazioni economico-sociali: l’esperienza del Novecento, in R. BIFULCO, O. ROSELLI (a cura di), Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica. La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio tra internazionalizzazione economica, processo di integrazione europea e sovranità nazionale, Giappichelli, Torino, 2013, 22. 21 A. CARRINO, Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione, cit., 171. Secondo G. GUARINO, Eurosistema. Analisi e prospettive, Giuffré, Milano, 2006, 187, «[l]a sovranità di cui l’eurosistema priva gli Stati non viene trasferita ad organi comunitari», alcuni dei quali eserciterebbero poteri «apparentemente politici», i quali «non esercitano una incidenza che vada al di là di quanto possono fare Consiglio, Commissione, BCE. E questi organi, nelle materie che formano oggetto dell’eurosistema, sono titolari di soli poteri di attuazione, discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica, o tecnico giuridica». 22 M. BARBERIS, Il custode delle fonti. Lo Stato dopo lo Stato e la sua legalità, in Lo Stato, n. 2, 2014, 13. 23 M. BARBERIS, Il custode delle fonti. Lo Stato dopo lo Stato e la sua legalità, cit., 26. 24 F. MODUGNO, E’ possibile parlare ancora di un sistema delle fonti?, in Rivista Aic, 2008. Un saggio autodefinito “controcorrente” rispetto alla dottrina maggioritaria che ritiene ormai inadeguato il criterio della gerarchia delle fonti è quello di G. PINO, Interpretazione e “crisi” delle fonti, Mucchi editore, Modena, rist. 2016.   6   A questo si aggiunga l’erompere delle giurisdizioni non statali che hanno contribuito alla destatalizzazione del controllo statale appunto sulla giurisdizione25. Sotto questo angolo visuale, il panorama delle giurisdizioni non statali è davvero ampio, con sistemi di giustizia creati nel quadro delle istituzioni della globalizzazione o del multilateralismo istituzionalizzato26 (si pensi all’Asian Pacific Economic Cooperation o al World Trade Organizaztion) o, ancora, in quello dei sistemi di cooperazione economica regionale creati nell’ambito di organizzazioni internazionali di natura diversificata che conglobano territori a varie latitudini, istituzioni che, in alcuni casi, riproducono il modello di giustizia comunitario o che ad esso comunque si ispira (si pensi, tra gli altri, al tribunale della Comunità di sviluppo dell’Africa australe, organizzazione istituita con il Trattato di Windhoek del 199227). A questo si aggiunga il modello di risoluzione delle controversie inaugurato nell’ambito dell’organizzazione della Banca Mondiale e oggi “progredito” nelle forme del forum shopping, o sarebbe meglio dire del forum catching, e nella tutela degli investimenti esteri. Le istituzioni dell’Unione europea hanno provato a studiare soluzioni per attenuare l’approccio così sbilanciato sull’economico, immaginando un ancor nebuloso e, forse, «introvabile»28 modello sociale europeo29. Le politiche dell’U.E. sono rimaste incagliate nelle secche del mercatismo, dentro una cornice giuridica ed istituzionale contrassegnata dal passaggio dal government alla governance, dalla regolazione pubblica al soft law e dall’arretramento dello Stato dalle sue funzioni tipiche di “attore” dell’economia, di “programmatore” o di “guida” dei processi economici. La crisi economica, poi, irrigidendo se non quasi sospendendo il processo d’integrazione europea, ha capovolto gli ordini di priorità degli Stati e favorito l’estensione dei moti ascensionali della sovranità economica. Basti pensare ai vari accordi di partenariato fra U.E. e Stati terzi e ai trattati a contenuto economico che proiettano l’U.E. e i suoi Stati verso spazi ignoti, e, per di più, in assenza di qualunque forma di partecipazione e di informazione30. La teorica della costituzionalizzazione e della istituzionalizzazione dell’ordinamento internazionale, dunque, sembra andare ben oltre il realismo giuridico. La pur fitta rete di cooperazione giuridica internazionale non può considerarsi idonea a giustificare la piena aderenza agli «elementi strutturali e fenomenici della coesistenza (…) interstatuale internazionale»: tali elementi si                                                                                                                 25 M. BARBERIS, Il custode delle fonti. Lo Stato dopo lo Stato e la sua legalità, cit., 27. M.B. STEGER, La globalizzazione, cit., 43 ss. 27 S. PUGLIESE, L’influenza del sistema giurisdizionale dell’Unione europea sul Tribunale della Comunità di sviluppo dell’Africa australe, in P. PENNETTA (a cura di), L’evoluzione dei sistemi giurisdizionali regionali ed influenze comunitarie, Salerno 1-2 ottobre 2009, Cacucci, Bari, 2010, 23 ss. 28 M. BENVENUTI, Libertà senza liberazione (a proposito dell’introvabile “dimensione sociale europea”), in AA.VV., Studi in onore di Francesco Gabriele, a cura di Anna Maria Nico, vol. I, Cacucci, Bari, 35 ss. 29 B.P. TER HAAR, The growing potential integration capacity of the acquis of the European Social Model, European Integration online Papers (EIoP), Vol. 13, Art. 26, reperibile in http://eiop.or.at/eiop/texte/2009-026a.htm, 1-31. 30 C. PANNACCIULLI Saturazione dell’informazione e disinformazione, in G. FERRI (a cura di), La democrazia costituzionale tra nuovi diritti e deriva mediale, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2015, 375 ss. 26   7   realizzano, cioè trovano consistenza, nell’agire concreto degli Stati in quanto soggetti di diritto internazionale. Gli Stati, svuotati della loro identità, dovrebbero essere parte di un supposto governo mondiale nel quale il loro ruolo sarebbe quello di attuazione di decisioni assunte altrove, magari anche contro le disposizioni costituzionali. Più che di un governo mondiale dell’economia si dovrebbe parlare, come pure è stato fatto, di una global governance solo «tendenzialmente condivisa» rispetto a «tematiche di interesse collettivo» e comunque «realizzata con gli strumenti politicogiuridici tipici della cooperazione interstatuale»31: summit, accordi intergovernativi, negoziazioni in sede di organizzazioni internazionali, in definitiva una rete di attori, nazionali e sovranazionali, i quali agiscono quasi in sostituzione degli Stati medesimi ai fini della realizzazione di obiettivi economici e finanziari transnazionali. Valga come esempio il progetto di coloro i quali vedono con particolare entusiasmo, non senza qualche forzatura, l’irruzione di fonti eteronome negli ordinamenti interni. Vengono in evidenza a questo proposito, tra gli altri, gli statement sui codes of conduct delle multinazionali (corporate codes), un «fenomeno giuridico emergente nella costituzionalizzazione di Private governance regimes»32 fino al punto da considerare queste espressioni di normazioni private come dotate di «elementi propriamente costituzionali» in quanto le multinazionali sarebbero «istituzioni di raccordo intrasistemiche». Il nucleo fondativo di tale teorica risiede in un concetto di costituzione che «non si limita alle norme fondamentali dello Stato, ma presuppone che, in determinate condizioni storiche, anche ordinamenti sociali non statali sviluppino autonomi processi di costituzionalizzazione»33. Insomma, si passerebbe da un’idea di Costituzione senza Stato, un’impresa che si sarebbe voluto realizzare con l’ormai nota Costituzione europea alla quale si poi dovuto rinunciare a seguito dei referendum di Francia ed Olanda del 2005, ad una Costituzione a carattere riflessivo, il cui potere costituente non è il popolo sovrano ma la sovranità delle imprese. Una sorta di post-modernità costituzionale che sembra andare oltre il neocostituzionalismo, il quale ultimo ha contribuito a rendere sempre più elastiche le costituzioni e massimamente le parti di essa concernenti la sfera dei rapporti economici, il ruolo dello Stato nell’economia e l’autonomia fiscale e di bilancio.                                                                                                                 31 P. BARGIACCHI, La globalizzazione tra «costituzionalizzazione» dell’ordinamento internazionale e standardizzazione giuridico-economica degli ordinamenti statali, in B. ANDÒ, F. VECCHIO (a cura di), Costituzione, globalizzazione e tradizione giuridica europea, Cedam, Padova, 2012, 121. 32 G. TEUBNER, “Codes of conduct” delle imprese multinazionali: effettività e legittimità, trad. it. B. LIVERANI, Editoriale scientifica, Napoli, 2009, 11. 33 G. TEUBNER, “Codes of conduct” delle imprese multinazionali: effettività e legittimità, cit., 22.   8