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Le pietre da costruzione del Piemonte

2005, Le Residenze Sabaude come cantieri di conoscenza. Ricerca storica, materiali e tecniche costruttive

In queste note si riferisce in maniera sintetica di quelle pietre, in grande prevalenza di provenienza regionale, impiegate nella costruzione e nella decorazione esterna degli edifici piemontesi. Vengono considerati cioè quei materiali che, a differenza delle pietre puramente da decorazione che vengono impiegate negli interni, possono presentare le più varie problematiche nei riguardi della conservazione per il fatto di essere maggiormente esposte agli agenti del degrado

La pietra grezza

Il ruolo della pietra nell'uso comune rimane sempre strettamente legato alla sua disponibilità sul posto; in questo contesto la pietra da costruzione assume anche le forme estremamente semplici dei ciottoli, della pietra grezza o della pietra concia. Rientrano in questa categoria materiali anche diversissimi tra loro, utilizzati in maniera variabile a seconda dei luoghi e del tempo. Il più semplice materiale lapideo da costruzione sono i ciottoli di fiume, da sempre utilizzati nelle zone di pianura povere di altre risorse. Le murature di epoca romana sono tra i primi esempi di questo utilizzo e ricorrono in tutta la regione, data la diffusione di ciottoli nelle pianure e nei fondovalle. Tali opere sono spesso caratterizzate dall'impiego di ciottoli che, per realizzare un para- In queste note si riferisce in maniera sintetica di quelle pietre, in grande prevalenza di provenienza regionale, impiegate nella costruzione e nella decorazione esterna degli edifici piemontesi. Vengono considerati cioè quei materiali che, a differenza delle pietre puramente da decorazione che vengono impiegate negli interni, possono presentare le più varie problematiche nei riguardi della conservazione per il fatto di essere maggiormente esposte agli agenti del degrado 1 . Per ogni pietra, le caratteristiche di composizione mineralogica, di tessitura e struttura, con le caratteristiche cromatiche costituiscono un insieme di parametri univoco e caratteristico, riferibile a un preciso luogo di provenienza. Per chi studia gli impieghi storici delle pietre nell'architettura, la precisa individuazione della loro provenienza può diventare un utile strumento di lettura delle opere in cui vennero utilizzate. Le cave, infatti, hanno prevalentemente operato in periodi storici definiti e i loro materiali possono essere stati destinati a differenti aree geografiche nelle diverse epoche di attività. Tali fattori fanno sì che le pietre dotate di migliori caratteristiche siano associabili a una più o meno ampia area di influenza. In tale contesto acquista significato la collocazione sul territorio delle cave e delle città con particolare riferimento alle vie di mento dall'aspetto regolare, venivano semplicemente spezzati e disposti con tale superficie a vista. Caratteristiche del Medioevo sono invece le tessiture a spina di pesce, mentre in epoca barocca a Torino i regolamenti cittadini prescrivevano per le murature destinate a essere intonacate, la disposizione dei ciottoli in filari legati da abbondante malta di calce regolarizzati, ogni quattro o cinque, con uno di mattoni.

Pietre da costruzione e da scultura Qualitativamente i migliori materiali di questa categoria sono i marmi. Tra i marmi bianchi piemontesi quello che vanta in assoluto la maggiore continuità di impiego dall'antichità fino al Settecento proviene della bassa val Varaita. Il suo nome cambia al variare delle epoche e se nei documenti cinquecenteschi si parla di marmo di Saluzzo, nel secolo successivo prende il nome da Venasca, per diventare poi nel Settecento marmo di Brossasco o, ancora successivamente, di Brossasco Isasca. È un marmo bianco a grana grossa, traslucido con venature sfumate di colore verde; se esposto all'aperto tende ad acquisire un aspetto dai leggeri toni rosati. Tra gli impieghi antichi, oltre a numerosi piccoli monumenti funerari, è degno di nota l'anfiteatro di Pollenzo: da quanto si può dedurre dagli elementi superstiti sembra che esso fosse in gran parte rivestito con questo marmo 2 . All'epoca medievale risalgono alcune opere locali tra cui il portale della trecentesca collegiata di Isasca, alcune tozze colonne di costruzioni quattrocentesche di Venasca, Saluzzo (palazzo Della Chiesa) e Savigliano (casa Pasero); al XV secolo risale invece il portale gotico della parrocchiale di Brossasco. È comunque dal Cinquecento che si sviluppa maggiormente il suo uso nell'architettura. Dopo un impiego costante da parte di Matteo Sanmicheli, basti l'esempio del portale di casa Cavassa a Saluzzo, sono in marmo della bassa val Varaita i tre portali scolpiti della chiesa di San Pietro a Savigliano su disegno attribuito a Ercole Negro di Sanfront sul finire del secolo, come anche le ventiquattro colonne e i pilastri angolari del chiostro attiguo. In questo periodo sono stati realizzati molti monumenti e numerose opere di decorazione in 'marmo di Saluzzo 3 . Sono poi da citare i documenti seicenteschi relativi al cantiere guariniano del castello di Racconigi, in cui provengono da Venasca i marmi del pavimento e delle colonne del salone centrale, del portale e dei sette balconi (modiglioni e balaustre) sulla facciata verso il parco 4 . Si riconosce lo stesso marmo anche negli stipiti a bugnato del portale di palazzo Reale a Torino 5 , nelle balaustre degli scaloni verso Po al castello del Valentino e in molti palazzi seicenteschi del centro storico. colonne sul cortile e la balaustra dello scalone; palazzo San Martino della Morra in via Botero da citare per le colonne e le balaustre del loggiato al primo piano nel cortile; o, ancora, palazzo Della Chiesa di Roddi in via San Tommaso per le colonne del portico ora tamponato sul cortile, oltre alla balaustra e alle colonnine della scala forse ancora cinquecentesca. Nel Settecento, il marmo di Brossasco compare assiduamente nei cantieri juvarriani 6 : oltre ai capitelli esterni della chiesa di Superga e al pronao della chiesa di San Filippo 7 è riconoscibile anche per decorazioni interne, come ad esempio nelle parti bianche del pavimento marmoreo della basilica di Superga, come anche nello scalone di palazzo Madama; le balaustre dello scalone delle segreterie di palazzo Reale, opera di Benedetto Alfieri del 1740, rappresenta uno degli ultimi impieghi noti.

La pietra di Gassino deve la sua fortuna alla vicinanza delle cave con la capitale sabauda. Non è un marmo propriamente detto, ma un calcare nodulare lucidabile. Non si può considerare una pietra di particolare pregio, ma la prossimità ai cantieri della capitale e la possibilità di trasporto sul Po hanno favorito un intenso sfruttamento delle cave in galleria scoperte all'inizio del Seicento. Contrariamente a quanto tramandato dalla bibliografia, presenta buone caratteristiche fisico-meccaniche e di durevolezza. È infatti un calcare molto compatto, costituito da noduli fossili legati da cemento carbonatico. L'unico difetto è la presenza occasionale di piccole sacche di riempimento marnoso meno coerente che, se esposte alle intemperie, si erodono profondamente 8 . L'impiego della pietra di Gassino in esterno ha inizio con il cantiere lanfranchiano di palazzo Civico circa a metà Seicento, ma è grazie alla scuola di Guarini che tale uso diventa prassi come si può evidenziare nelle costruzioni dei suoi collaboratori e successori, Garove e Baroncelli in particolare. Tra gli esempi seicenteschi torinesi più significativi va citata la facciata di palazzo Graneri con le colonne dell'atrio e le balaustre dello scalone, come la zoccolatura esterna e le paraste d'angolo, le colonne dell'atrio e la scala antica del Collegio dei Nobili o, ancora, il portale e le colonne dell'atrio con le balaustre dello scalone dell'ospedale San Giovanni Vecchio e tutti gli elementi del cortile del palazzo dell'Università in via Po. Ancora nel secolo successivo fu impiegata da Juvarra 9 , per cominciare poi un declino che la vedrà ampiamente utilizzata come pietra di supporto delle lastre sottili in marmi colorati negli altari. Le pietre a spacco naturale hanno favorito lo svilupparsi di tipologie costruttive originali che ne sfruttano le caratteristiche geometriche, particolarmente per coperture e pavimentazioni. Localmente l'arte del costruire si è perfezionata e differenziata nei secoli, spesso proprio in funzione delle diverse caratteristiche delle pietre disponibili. Si pensi alle differenze costruttive tra il tetto 'alla vigezzina', tipico delle valli ossolane, e quello 'alla piemontese'. Nel primo caso le lose erano di limitate dimensioni in pianta, di forma allungata e spessori fino a tre centimetri, che venivano montate su una limitatissima pendenza (con queste pietre, tenendo conto delle sovrapposizioni, sono necessari da tre a cinque metri quadrati di materiale per realizzare un metro quadrato di copertura). Nel secondo caso invece le rocce locali, a parità di spessore medio, producevano lastre di forma meno regolare ma di maggiori dimensioni in pianta (così per un metro quadrato di tetto erano sufficienti due o tre metri quadrati di materiale, cioè quasi la metà del caso precedente). Tale differenza si ripercuote sulla struttura lignea sottostante creando sistemi costruttivi palesemente differenti.