Archeologie Sperimentali.
Temi, Metodi, Ricerche.
I
2020
Direttore Scientifico
Vincent Serneels
Direttore Editoriale
Chiara Lebole
Comitato Editoriale
Chiara Lebole, Luca Bartoni, Valeria Cobianchi, Lara Comis, Giorgio Di Gangi, Yuri Godino, Marco Romeo Pitone.
Comitato Scientifico
Lorenzo Appolonia, Andrea Augenti, Federico Barello, Riccardo Belcari, Rosa Boano, Enrico Borgogno Mondino,
Mauro Paolo Buonincontri, Aurora Cagnana, Federico Cantini, Claudio Capelli, Fabio Cavulli, Lara Comis, Mauro
Cortelazzo, Adele Coscarella, Annalisa Costa, Paola Croveri, Gianluca Cuniberti, Giorgio Di Gangi, Fulvio Fantino,
Alessandro Fichera, Francesca Garanzini, Enrico Giannichedda, Yuri Godino, Silvia Guideri, Chiara Lebole, Cristina
Lemorini, Nicolò Masturzo, Valeria Meirano, Alessandra Pecci, Marco Romeo Pitone, Francesco Rubat Borel,
Marco Sannazzaro, Vincent Serneels, Fabrizio Sudano, Florian Téreygeol, Nicoletta Volante.
Archeologie Sperimentali. Temi, Metodi, Ricerche
Dipartimento di Studi Storici
Via S. Ottavio 20 – 10124 Torino
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Volume I 2020
Tutti i contributi sono sottoposti a peer review
© Diritti riservati agli Autori e agli Editori (informazioni sul sito)
Torino, settembre 2020
ISSN 2724-2501
In copertina: fibula in bronzo realizzata da Fabio Fazzini.
Elaborazione grafica Studio Okapi
Archeologie Sperimentali è una rivista scientifica digitale edita dall’Università di Torino e pubblicata con
cadenza annuale. Nasce con l’intento di colmare il vuoto editoriale che caratterizza l’Archeologia
Sperimentale italiana che, pur essendo riconosciuta come un valido strumento di conoscenza, non ha un
luogo dedicato al dialogo tra l’archeologia, le scienze e la sperimentazione.
La rivista si rivolge alla comunità scientifica internazionale per accogliere contributi innovativi e originali
che approfondiscono la conoscenza delle culture antiche attraverso l’utilizzo dei metodi sperimentali. In
particolare, l’attenzione è rivolta alle esperienze che operano nel campo dell’Archeologia Sperimentale,
dell’Archeologia della Produzione, della Storia delle Tecnologie, dell’Artigianato Storico e
dell’Esperienzialità.
L’obiettivo è quello di diffondere l’adozione di approcci pratici, sperimentali e multidisciplinari allo studio
del dato archeologico, promuovendo la ripresa del dibattito sui significati e sui metodi dell’Archeologia
Sperimentale e creando un luogo di incontro tra ricercatori che operano all’interno di questo ambito.
Archeologie Sperimentali aderisce alla "Dichiarazione di Berlino" promuovendo la diffusione online
gratuita dei dati e favorendo la comunicazione e il dibattito scientifico; il progetto riconosce al lettore il
diritto di accedere liberamente e gratuitamente ai risultati della ricerca scientifica.
È possibile pubblicare sia in inglese sia in italiano con l’obbligo di inserire un riassunto nella lingua non
utilizzata nel contributo. La rivista Archeologie Sperimentali è connessa ai principali repository e open
libraries internazionali. I contributi inviati al comitato redazionale sono valutati secondo il metodo della
doppia blind peer review, avvalendosi di una rete internazionale di referenti specializzati.
Il dialogo tra studiosi è garantito, inoltre, dalle possibilità offerte dalla piattaforma informatica, grazie
alla quale è possibile inserire contenuti multimediali allegati ai contributi; questa opportunità permette
di integrare le informazioni con video e fotografie delle ricerche, consentendo, ad esempio, di presentare
attività di scavo e di un laboratorio, fasi di protocollo sperimentale ed esperienze di artigianato e di
etnoarcheologia.
Nota per gli Autori
Gli Autori possono proporre i loro contributi inviando il materiale a redazione@archeologiesperimentali.it
Indice dei contenuti
Editoriale
“Fornire la pratica che sostiene la teoria”: una riflessione
sull’Archeologia Sperimentale .................................................................................... 1
Y. Godino, C. M. Lebole, G. Di Gangi
Saggi
L’Archeologia Sperimentale di Alberto Carlo Blanc: appunti inediti di un
pioniere della Preistoria italiana ............................................................................... 28
F. Altamura
Archeologia Sperimentale e alimentazione: il panorama italiano .............................. 36
M. Indelicato
Asce da lavoro, asce di prestigio, asce da combattimento. Ricerca e
attività sperimentale sulla lavorazione della pietra verde nella Preistoria ................. 56
D. Delcaro
Sperimentazioni dei processi produttivi del ferro: primi dati dal
progetto di ricostruzione di Populonia ...................................................................... 76
G. Baratti, M. Briccola, M.S. Cammelli, M. Cominelli, A. Vandelli
L’Archeologia Sperimentale e la metallurgia del bronzo in Italia: storia
degli studi e problematiche .................................................................................... 100
F. Fazzini
Medioevo in corso. Archeologia Sperimentale alla Rocca di San Silvestro
(Campiglia Marittima – LI) ...................................................................................... 108
G. A. Fichera
Schede
Realizzazione di una punta ad alette e base concava foliata bifacciale
dell’età del Bronzo antico su supporto laminare ..................................................... 125
P. Spinelli
Vedere, Toccare, Ascoltare: il flauto di Pan del Museo di Scienze
Archeologiche e d’Arte dell’Università di Padova .................................................... 134
A. Menegazzi, S. Binotto
SIRIO@UniTO Publishing
Rivista 01 (2020)
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche
http://www.archeologiesperimentali.it
Archeologia Sperimentale e
alimentazione: il panorama italiano
Autore: Mario Indelicato*
*Assegnista di Ricerca presso l'Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del C.N.R.
E-mail: marioindelicato.k@gmail.com.
Dedico questo contributo alla memoria della mia cara
mamma che è stata la prima a leggerlo e ad apprezzarlo
pochi giorni prima di lasciarci e trovare pace.
Abstract
A quasi vent’anni dal convegno Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione
e simulazione in cui, forse per la prima volta, l’archeologia sperimentale applicata allo studio dell’alimentazione umana ha
fatto il suo timido ingresso nel dibattito accademico italiano, è opportuno provare a valutare quanto questa metodologia di
ricerca abbia trovato impiego, all’interno del panorama scientifico italiano, nelle ricerche sul sostentamento umano dalla
preistoria all’età medievale. Il quadro che emerge, a partire dai casi studio individuati, è quello di una metodologia che, in
Italia, sembra ancora faticare ad affermarsi nel campo dell’archeologia dell’alimentazione nonostante sia ormai una
metodologia consolidata a livello internazionale e nonostante in altri paesi sia applicata con successo sia all’indagine
archeologica tout court sia alla ricostruzione del cibo del passato anche con obiettivi divulgativi.
Almost twenty years after the conference Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione,
comunicazione e simulazione in which, perhaps for the first time, experimental archeology applied to the study of human
nutrition made its timid entry into the Italian academic debate, it’s appropriate try to evaluate how much this research
methodology has been used, within the Italian scientific scenario, in investigations on human sustenance from prehistory to
the medieval age. The panel that emerges, starting from the detected case studies, is that of a methodology which, in Italy,
still seems in difficult to establish itself in the food archeology field despite being now, at an international level, a consolidated
methodology and despite in others countries is successfully applied both to the archeological research tout court and to the
ancient food reconstruction also with dissemination objectives.
Parole chiave: cibo, archeobotanica, storia dell’agricoltura, archeozoologia, litotecnica
Il comportamento alimentare dello scimmione nudo
sembra a prima vista una delle sue manifestazioni più
variabili, opportunistiche e sensibili alla civiltà, ma
anche in questo caso esistono diversi e fondamentali
principi biologici.1 (D. Morris)
1
1. Per un’introduzione: l’alimentazione e l’uomo.
Tra la metà degli anni ‘40 e la metà degli anni ‘50 del XX
secolo, lo psicologo statunitense Abraham Maslow
concepì il concetto di “Hierarchy of Needs” (ovvero
Gerarchia dei Bisogni) che venne enunciato
Desmond Morris, La scimmia nuda, edizione italiana 2017, p. 201.
36
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
rinoceronti etc.). Nel Mesolitico, in cui si registrò un
sostanziale riscaldamento del clima, le prede divennero
più piccole (cervi, cinghiali, lepri etc.) e incrementò
anche l’interesse per la pesca. Quindi nel Neolitico, agli
albori della civiltà, con la nascita delle città, divennero
fondamentali allevamento e agricoltura. È la cosiddetta
“rivoluzione neolitica”3: questa fu la prima delle grandi
formalmente nel suo libro Motivation and Personality del
1954. Per “bisogni” egli intendeva tutte le esigenze
psico-biologiche irrinunciabili che vanno soddisfatte al
fine di sopravvivere: crescere, esprimere i propri talenti,
realizzare il proprio destino. Questa scala di bisogni fu
suddivisa dal suo autore in cinque differenti livelli, dai
più elementari ai più complessi, ed è internazionalmente
conosciuta come Piramide di Maslow2 (fig. 1):
•
•
•
•
•
M. Indelicato
Bisogni fisiologici;
Bisogni di sicurezza;
Bisogni di appartenenza;
Bisogni di stima;
Bisogni di realizzazione di sé.
In questa sede, è solo il primo livello a destare
l’interesse, ovvero i bisogni fisiologici che stanno alla
base di questa piramide ideale, cioè: la respirazione, il
nutrimento (acqua e cibo), l’eliminazione delle scorie, il
riposo e la riproduzione. Nella scala delle priorità i
bisogni fisiologici sono i primi a dovere essere
soddisfatti in quanto alla base di essi vi è l’istinto di
sopravvivenza, il più potente e universale motore dei
comportamenti sia negli uomini che negli animali.
Per soddisfare il primo dei bisogni fisiologici – quello di
nutrirsi – per qualche milione di anni i frutti, le foglie e i
semi hanno fornito all’uomo preistorico le calorie e le
sostanze essenziali alla sopravvivenza; in questo i primi
rappresentanti del genere Homo erano del tutto simili
agli animali (FLANDRIN, MONTANARI 1997, p. 5). A
questa alimentazione vegetale se ne affiancò, molto
probabilmente un’altra di tipo carneo anche se non
sappiamo con certezza se i primi ominidi fossero
cacciatori o, piuttosto, mangiatori di carogne in
competizione con altri predatori. Comunque sia, dal
Paleolitico inferiore, in Europa, la caccia e il consumo di
carni hanno cominciato a essere preponderanti: in
quest’epoca, stando ai dati paleontologici, erano
abbondanti i grossi mammiferi (orsi, elefanti,
Figura 1: La Piramide di Maslow che illustra la gerarchia dei bisogni
umani.
rivoluzioni4 che si sarebbero succedute nella storia
dell’umanità e ne avrebbero cambiato il corso. Oggi è
comunemente accettato che queste innovazioni nelle
tecniche agricole e di allevamento non ebbero luogo in
un singolo momento, ma che, in realtà, il cambiamento
fu progressivo: infatti, i cacciatori-raccoglitori, che erano
già organizzati in bande nomadi di qualche decina di
individui, con l’incremento della complessità sociale si
costituirono in comunità stanziate in villaggi e, dopo un
periodo di transizione, impararono a sfruttare
attivamente il territorio. Questi fenomeni, come è noto,
avvennero in periodi diversi in varie aree del mondo
(fig. 2) e portarono alla transizione da un’economia di
sussistenza
basata
su
caccia
e
raccolta,
all’addomesticazione di animali e alla selezione e
coltivazione di piante5. Le più antiche tracce di questa
transizione sono state trovate nel Vicino Oriente
2
Non sono mancate le critiche successive a questa scala di identificazione, perché, a detta di altri studiosi, semplificherebbe
eccessivamente i bisogni dell’uomo e, soprattutto, il loro livello di importanza. Tuttavia, in questa sede, la piramide illustra
bene la fondamentale importanza dell’alimentazione per la vita umana, naturale o associata.
3
Questa definizione, oggi anche controversa e rivisitata, fu introdotta dall’archeologo Vere Gordon Childe (The Dawn of
European Civilization, 1925) che vedeva una spinta verso questo cambiamento alla nascita dei primi insediamenti stabili e ad
un abbozzo di stratificazione sociale.
4
Le altre due grandi “rivoluzioni” che scandiscono il corso della storia sarebbero quella “urbana”, sempre nel Neolitico, e
quella “industriale”, avvenuta tra XVIII e XIX secolo.
5
In realtà non sappiamo se, rispetto alla caccia-raccolta, fu davvero un vantaggio coltivare e allevare: interessanti spunti di
riflessione possono venire dalla lettura del volume (2011) dello storico israeliano Yuval Noah Harari: Sapiens. Da animali a déi
(edizione italiana del 2019, in particolare le pagine 57-85).
37
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
(nell’area della cosiddetta “mezzaluna fertile”) e
risalgono al X millennio a.C. circa. Da questo momento
in poi ogni popolo ha iniziato a compiere le proprie
scelte alimentari spesso influenzate dalla disponibilità
di cibo e, solo in un secondo momento, da forme
primitive di religiosità (FLANDRIN, MONTANARI 1997, p.
8).
M. Indelicato
greco-romana, quindi, appare chiaro che l’agricoltura ha
un ruolo preponderante, infatti «[…] capire che cosa e
come si mangiasse in Grecia e a Roma significa dunque
affrontare in un’ottica diversa e complementare la storia
dell’agricoltura» (MARCONE 1997, p. 75). Principale
attività economica del mondo antico (e sarà così almeno
fino al XVII secolo) e base essenziale per la produzione
alimentare, l’agricoltura non fu mai considerata una
vera e propria arte da greci e romani. Nonostante ciò la
pratica agricola costituì, nell’immaginario grecoromano, la virtuosa integrazione tra sapere pratico
(τέχνη) e natura (φύσις) (LELLI 2010, p. VII). Mediante il
lavoro agricolo l’uomo interagisce con la natura e si
guadagna il proprio sostentamento. Anche Socrate,
protagonista del dialogo di Senofonte Οἰκονομικός,
dice: «[…] l’agricoltura è madre e nutrice delle arti»7. Lo
stesso Senofonte, inoltre, ricorda8 il fondamentale ruolo
dei regni orientali nella sperimentazione e nello
sviluppo delle tecniche agricole più innovative e
sofisticate facendo così risuonare, in epoca storica,
un’eco delle più remote origini dell’agricoltura.
L’importanza dell’agricoltura è testimoniata, infine,
dall’intenso fiorire di una vera e propria letteratura
agronomica in età classica, in particolare nel mondo
romano che recepì gli insegnamenti agronomici dei
popoli sottomessi, soprattutto punici e greci. Alcuni di
questi testi, dimenticati a volte in età tardoantica,
saranno riscoperti nel tardo medioevo e i loro precetti
saranno letti e applicati fin quasi ai giorni nostri
(MARCONE 1997, p. 205).
Figura 2: Mappa del mondo che mostra, approssimativamente, i
centri di origine dell’agricoltura tra 10000 e 4000 anni fa.
La scoperta del fuoco, avvenuta tra 500.000 e 300.000
anni fa dopo un cammino di sperimentazione durato
probabilmente oltre 50.000 anni, rese l’umanità capace
di cucinare i cibi che la natura gli forniva6. Da allora,
tutte le operazioni che si compiono sugli alimenti –
cuocere, condire, marinare, macinare, affettare,
macellare, per citarne alcune – hanno avuto la funzione
primaria di rendere gli alimenti più digeribili e
commestibili migliorandone il gusto (FLANDRIN,
MONTANARI 1997, p. 9).
Accanto alle operazioni ‘ai fornelli’, l’umanità affinò
sempre più anche le proprie tecniche agricole in modo
tale da raccogliere e produrre alimenti sempre più adatti
al consumo umano e sempre più vicini al gusto e ai
costumi alimentari delle varie popolazioni. Nel bacino
del Mediterraneo questa tendenza alla specializzazione
colturale ha portato, in estrema sintesi, al
perfezionamento delle colture della cosiddetta triade
mediterranea, ovvero cereali, vite e olivo. Questi
prodotti hanno costituito il fondamento dello sviluppo
della civiltà proto-urbana e anche la base tradizionale
dell’economia e dell’alimentazione della Grecia prima e
di Roma poi per giungere, in varie forme in area
mediterranea, fino a epoca recente. Parlando di civiltà
2. Definire l’archeologia dell’alimentazione.
Tutte le forme dell’alimentazione umana qui
brevemente descritte hanno lasciato traccia nei
giacimenti archeologici di tutto il mondo in vario modo.
A queste tracce, da qualche tempo si è rivolta
l’attenzione degli archeologi, anche in Italia, sebbene in
modo non sistematico e continuativo.
Come è noto, esiste da tempo una storia
dell’alimentazione. Già alla fine del XIX secolo, infatti,
Henri Boudreau asseriva che «per la scienza esatta dei
fatti umani, il menu di un pasto è più istruttivo di una
narrazione di fatti di guerra, un libro di cucina più di
6
Sul tema della cottura dei cibi e delle motivazioni profonde ad essa sottese può essere interessante leggere il capitolo
dedicato all’alimentazione nel celebre libro (1967) dello zoologo inglese Desmond Morris, La scimmia nuda (edizione italiana
del 2017, pp 201-215).
7
Senofonte, Oec. V,17.
8
Senofonte, Oec. IV,4-25.
38
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
storiografico il tema dell’alimentazione in termini
specificatamente storici. Egli avviò uno studio
minuzioso e preciso delle fonti e dimostrò una
particolare attenzione alla dimensione sociale delle
problematiche alimentari (MONTANARI 1984, pp. 130131).
una raccolta di atti diplomatici, una statistica di alimenti
più di una relazione di intrighi di corte» (BOUDREAU
1894, p. 5). A lungo, tuttavia, lo studio
dell’alimentazione antica è stato relegato ai margini
della ‘grande’ storia e mantenuto a distanza, sul piano
dell’aneddotica e della curiosità di costume
(MONTANARI 1984, p. 129). È solo a partire dai primi
decenni del XX secolo che ha preso vita una linea di
ricerca più consapevole nell’approccio alla storia
dell’alimentazione: infatti, è dalla metà degli anni ‘20
che si comincia a dare alle stampe opere con un vero e
proprio carattere storiografico sull’alimentazione. Del
1926 è l’Histoire de l’alimentation végétale: Depuis la
préhistoire jusqu’à nos jours di A. Maurizio, stampata a
Varsavia, in cui l’autore propone una storia dei prodotti
del suolo che sono commestibili per l’uomo. Circa un
decennio dopo, nel 1937, vede la luce, a opera degli
inglesi Anne Wilbraham e J.C. Drummond il libro The
Englishman’s Food: Five Centuries of English Diet un
grande compendio su cinque secoli di storia
dell’alimentazione del popolo inglese. Dello stesso anno
è
Wandlungen
des
Fleischverbrauchs
und
der
Fleischversorgung in Deutschland seit dem ausgehenden
Mittelalter9, di W. Abel il quale rifletteva sui
cambiamenti sul consumo di carne in Germania nel
corso della storia. Nello stesso periodo, in Francia,
comincia a nascere l’interesse per le cucine regionali, su
impulso di Lucien Le Febvre (MONTANARI 1984, p. 130)
fondatore, nel 1929, insieme a Marc Bloch, della rivista
storica Annales d’histoire èconomique et sociale. Questo tipo
di interesse intendeva, rispettando il rigore
storiografico, riscoprire e recuperare il valore
etnografico delle tradizioni alimentari per lo studio non
solo della storia ma anche, e soprattutto, delle società.
In Italia l’interesse per la storia dell’alimentazione nasce
precocemente anche rispetto a quanto appena illustrato
nel panorama europeo. Infatti, è nel 1923 che Luigi
Messedaglia10 pubblica il suo Il mais e la vita rurale
italiana: si tratta di una magistrale sintesi di storia
agraria, sociale e alimentare a cui fece seguito, nel 1932,
la raccolta di saggi Per una storia dell’agricoltura e
dell’alimentazione.
Messedaglia,
che
proseguì
costantemente i suoi studi fino agli anni ‘50, fu il primo
ad affrontare con consapevolezza e rigoroso metodo
Nel secondo dopoguerra, in Europa, due ulteriori
iniziative hanno contribuito all’affermazione della storia
dell’alimentazione. In primo luogo la creazione, a
Varsavia, nel 1953, dell’Istituto e della Rivista di Storia
della Cultura Materiale che hanno riservato
all’alimentazione una parte di rilievo. In secondo luogo,
l’avvio, nel 1961, da parte della rivista “Annales” di
un’inchiesta sulle vie matérielle che è culminata con la
pubblicazione,
nel
1970,
di
uno
studio
sull’alimentazione della Provenza bassomedievale.
La lezione maturata dalla cosiddetta scuola francese ha
influenzato, maggiormente di quella polacca, gli storici
italiani contribuendo alla rinascita dell’interesse, anche
nel nostro paese, verso i temi dell’alimentazione. Fu
quindi riscoperto Messedaglia e si cominciò a dare vita
a un numero sempre maggiore di convegni e incontri sul
tema dell’alimentazione (con particolare attenzione al
medioevo) che hanno dimostrato la forte capacità
aggregativa del tema e hanno evidenziato la necessità
che su questo convergano studi e discipline diverse
(MONTANARI 1984, p. 133). Ha preso vita, quindi, un
vero e proprio movimento culturale che tra gli anni ‘60
e gli anni ‘80 del XX secolo ha iniziato anche un percorso
accademico per giungere, oggi, alla sua formalizzazione.
In essa si sono concretizzati i confronti più serrati tra
ricercatori di diversa formazione (storici, etnografi,
etnologi, sociologi) (MARIOTTINI, SALVADORI 2012, p. 69).
Questo campo di ricerca è ormai comunemente
accettato, così da poter affermare che «la storia
dell’alimentazione ha l’ambizione di toccare ogni
aspetto dell’azione e del pensiero umano» (FLANDRIN,
MONTANARI 1997, p. X).
Nonostante gli storici facciano ormai abitualmente
riferimento a studi sui costumi e sulle pratiche
alimentari, oggi non si parla altrettanto normalmente di
archeologia dell’alimentazione. A cominciare dal
termine stesso, c’è ancora molta confusione nella
9
Contenuto in «Berichte über Landwirtschaft : Zeitschrift für Agrarpolitik und Landwirtschaft», n.s. 22/3, 1937, pp.411-452.
Luigi Messedaglia (1874 -1956) dopo aver concluso gli studi liceali, durante i quali aveva maturato una viva attrazione per
gli studi umanistici e storico-letterari, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia; dal primo dopoguerra abbandona la
medicina per dedicarsi prima all’impegno politico in Veneto, in cui fu eletto sia deputato che senatore, e poi agli studi eruditi
rivolgendo la propria attenzione, oltre che all’agronomia storica, in particolare al rapporto tra agricoltura e medicina sociale.
10
39
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
studio archeologico stricto sensu dell’alimentazione
umana nella storia, solo per citare le principali:
l’archeobotanica che consente di identificare e studiare
le specie vegetali che, in vario modo, hanno contribuito
a nutrire l’umanità si dalle sue più remote origini;
l’archeozoologia che, attraverso lo studio dei resti
zoologici, permette di conoscere e ricostruire lo sviluppo
della capacità umana di mangiare altri animali e le
tecniche impiegate per preparare e utilizzare i tessuti
animali a uso alimentare; l’archeometria che, attraverso
un’ampia serie di analisi chimico-fisiche consente di
individuare e analizzare anche i più piccoli residui
organici; l’etnografia che permette di vedere e studiare
“dal vivo” comportamenti umani utili a comprendere
gli analoghi comportamenti antichi (nel nostro caso
alimentari).
Accanto a queste discipline afferenti all’archeologia,
anche l’archeologia sperimentale può giocare un ruolo
importante nella ricostruzione, nell’interpretazione e
nella comprensione dei modi di produrre il cibo nel
passato. Oltre a quelle menzionate, però, l’archeologia
sperimentale può servirsi di ulteriori discipline come la
traceologia11 e la litotecnica12. Come è ovvio, non si può
pensare che con la sperimentazione si possa rispondere
all’enorme mole di domande che questa complessa
materia pone. Tuttavia, attraverso l’archeologia
sperimentale, praticata e documentata secondo un
preciso e rigoroso metodo scientifico, si può ritenere
possibile approfondire le tematiche sull’alimentazione
antica e progettare molteplici ricerche nei numerosi
ambiti di indagine che sono a disposizione.
L’archeologia sperimentale, inoltre, permette di ottenere
informazioni che ci aiutano a comprendere la funzione e
le modalità d’uso degli oggetti, l’organizzazione delle
pratiche e delle tecniche (di caccia, di allevamento,
agricole, culinarie etc.) ma anche la programmazione
della sussistenza e dello sviluppo delle comunità antiche
(CARRA, CATTANI, DEBANDI, 2012, pp. 80-81).
definizione della disciplina (MARIOTTINI, SALVADORI
2012, p. 69). Infatti, al pari della storia
dell’alimentazione, non si tratta di una disciplina unica
ma di un’ampia categoria di studi nella quale
convergono diversi ambiti disciplinari spesso distinti –
in parte o totalmente – sia nei metodi che nei materiali
oggetto di studio. È chiaro che l’oggetto generale del suo
studio deve essere l’alimentazione, però possono essere
compresi al suo interno tutti quei settori di ricerca e
d’indagine che producono informazioni in qualche
modo attinenti all’alimentazione. Le varie discipline
divengono, pertanto, gli strumenti di ricerca attraverso i
quali studiare ed approfondire i caratteri dei costumi
alimentari delle società antiche. Essa, quindi, dovrebbe
indagare tutto ciò che l’alimentazione produce in quanto
espressione antropologica – cioè culturale, economica,
sociale e cultuale – e tutto ciò di cui rimangono le tracce
materiali nei depositi archeologici che sono espressione
di tali costumi, in altre parole, i resti della cosiddetta
cultura materiale.
Altre operazioni connesse all’alimentazione, tuttavia,
sono più complesse da indagare. Ad esempio i residui
delle attività agro-pastorali: le tracce di queste attività
umane, infatti, sono estremamente difficili da indagare
perché causano variazioni e modificazioni diffuse sul
territorio (GIANNICHEDDA 2006, pp. 13-14). Ancora più
difficili e più evanescenti nel record archeologico sono le
testimonianze
riferibili
alla
caccia-raccolta
(GIANNICHEDDA
2006,
p.
13).
L’archeologia
dell’alimentazione, ancora ben lungi dall’essere
comunemente accettata e discussa, ha molte
caratteristiche che possono farla diventare, tuttavia, «un
contenitore in cui possono convergere grandi masse di
dati e soprattutto i risultati ottenuti da ricerche e
quantificazioni degli stessi» (MARIOTTINI, SALVADORI
2012, p. 72).
3. Il ruolo dell’archeologia sperimentale
Come si è visto, la storia dell’alimentazione trae i propri
dati dalle discipline più diverse (etnologia, etnografia,
storia, sociologia). Allo stesso modo, numerose sono le
discipline che hanno contribuito allo sviluppo dello
11
La traceologia, o analisi delle tracce, è un metodo utilizzato in archeologia per analizzare i segni lasciati dall’uso sugli
strumenti costruiti dall’uomo e impiegati nelle più svariate tecniche. In particolare, l’analisi si basa sull’analogia tra le tracce
riscontrate sui manufatti antichi e quelle riportate da strumenti ricostruiti e usati sperimentalmente.
12
La litotecnica studia e, nella maggior parte dei casi riproduce sperimentalmente, la tecnica di incisione, scheggiatura e
lavorazione delle pietre, specialmente in riferimento alla costruzione di strumenti da taglio, caccia e raccolta delle culture
preistoriche.
40
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
Numerose sono, da allora, le esperienze correlate
all’alimentazione umana nate e condotte in ambito
accademico in diverse università e enti di ricerca
europei. Nel vasto repertorio bibliografico disponibile, è
possibile spaziare dalle ricerche sulla cucina nella
preistoria con gli interessanti studi sperimentali di
Jacqui Wood, sulla cucina nella preistoria (WOOD 2001)
e sul gusto nell’antichità (WOOD 2009) fino alle tecniche
di coltivazione antiche su cui sono state realizzate
diverse sperimentazioni: si ricordano, per citare gli
esempi più rilevanti, le sperimentazioni in Inghilterra
nella Butser Farm (REYNOLDS 1992), in Danimarca nel
parco di Lejre (Lejre Experimental Centre saves endangered
species), in Francia nel centro di Jales (WILLCOX 1999), o
in Spagna nel sito medievale di l’Esquerda a Roda de
Ter, Osona (OLLICH et alii 2011).
Per l’età storica, invece, è possibile menzionare alcune
grandi esperienze di studio delle tecniche agricole
antiche e dei modi di produzione, ad esempio, del vino,
soprattutto nel mondo romano. Infatti, l’interesse per le
tecniche di coltivazione della vite è al centro delle
ricerche del Musée Gallo-Romain St Romain en Gal nei
pressi dell’odierna Vienne, sul Rodano13. Qui si trova
una delle più grandi collezioni dedicate alla civiltà galloromana in Francia oltre a sette ettari di resti archeologici
– portati alla luce a partire dal 1967 – della ricca zona
residenziale dell’antica colonia romana di Vienna da
dove transitavano merci tra il nord e le province del
Mediterraneo. In questo eccezionale contesto
archeologico il museo ha, pertanto, raccolto più di 300
vitigni di quindici diverse varietà che figurano tra le più
antiche in Francia ed ha impiantato una vigna romana
coltivata in sei diverse modalità di “allevamento”
documentate in epoca romana. Anche in Spagna ha
preso vita un parco archeologico denominato Cella
Vinaria, costruito vicino nel sito archeologico di
Vallmora in Catalogna. Le strutture qui scavate e
documentate tra 1999 e il 2005 corrispondono a un
centro romano di produzione di vino in funzione dal I
secolo a.C. al V secolo d.C. Si è così sviluppato a partire
dal 2003, un progetto che comprende sia il restauro dei
resti archeologici sia lo studio funzionale e la
ricostruzione in situ di due grandi presse da vino a leva
romane. Il progetto include anche lo sviluppo
sperimentale di una vigna romana in cui riprodurre le
diverse tecniche di impianto e di coltivazione della vite
(MARTIN OLIVERAS 2013).
4. Le esperienze italiane
4.1 – Uno sguardo all’Europa
“Tra le forme di sperimentazione meno convenzionali
vanno citate quelle sulle antiche tecniche di coltivazione
e preparazione dei cibi […]”. Con queste parole, nel
2001, alcuni archeologi descrivevano brevemente
l’esperienza italiana nello studio e nella produzione
sperimentale di cibo antico (BELLINTANI et alii 2003, p.
84). L’occasione per questa brevissima riflessione fu il
convegno Archeologie sperimentali: metodologie ed
esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e
simulazione tenutosi nel settembre 2001 a Comano Terme
e Fiavè (TN). In quella che può essere considerata la
prima riflessione ragionata sullo stato di salute
dell’archeologia sperimentale nella realtà accademica
italiana, trovava posto, in queste poche righe, anche
l’archeologia dell’alimentazione. La brevità di queste
considerazioni era data, forse, dallo scarso interesse
allora dimostrato, nel nostro paese, per questo tipo di
sperimentazioni. Oggi, a quasi vent’anni da quel
convegno, è forse opportuno, oltre che possibile,
provare a valutare quanto l’archeologia sperimentale
abbia trovato impiego nelle ricerche sull’alimentazione
umana nel panorama scientifico italiano. In sintesi,
nonostante si siano moltiplicati, a livello universitario, i
corsi di archeologia sperimentale ai vari livelli della
formazione previsti dalle varie riforme, ancora pochi
appaiono in Italia gli esperimenti archeologici finalizzati
allo studio sperimentale dell’alimentazione antica.
Diverso è il quadro in Europa: infatti, già dalla metà del
XX secolo in molti paesi, soprattutto del nord del
continente europeo, hanno preso il via studi legati
all’alimentazione antica. Una panoramica su questo tipo
di studi – oggi un po’ datata – fu redatta dal pioniere
dell’archeologia sperimentale in Europa, John Coles, già
sul finire degli anni ‘70 (COLES 1981, pp. 13-48). Egli
distinse in diverse categorie i vari esperimenti
archeologici relativi alla produzione di cibo:
•
•
•
•
•
13
M. Indelicato
Diboscamento e coltivazione;
Aratura;
Mietitura;
Immagazzinamento del cibo;
Preparazione e consumo del cibo.
Un resoconto delle attività del museo si trova sul sito: http://musee-site.rhone.fr/ (ultima consultazione 26 febbraio 2020).
41
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
cucina (ricette antiche, tecniche di cottura, procedimenti
e preparazioni, etc.).
Da questa breve carrellata è possibile notare che è ampio
l’interesse per questo tipo di studi e numerose altre sono
le esperienze tentate dai più diversi enti e gruppi di
ricerca sparsi un po’ ovunque nel continente europeo. È
possibile ampliare ancora l’orizzonte giungendo alle
ricerche più avanzate in Europa consultando il sito di
EXARC (European Exchange on Archaeological Research
and Communication) l’associazione che nell’ultimo
ventennio si è occupata di censire, studiare e coordinare
le attività di sperimentazione archeologica a livello
europeo e, da un paio d’anni, anche a livello globale,
vista l’autorevolezza scientifica a cui è giunta nel
tempo14.
4.2 – Spunti per un’analisi
Figura 4: Ripartizione delle finalità delle ricerche sperimentali
sull’alimentazione antica.
Intendendo, quindi, con alimentazione un vasto campo
di indagine che spazia, come si è visto, tra le discipline e
negli ambiti più diversi, si è provato, in questa sede, a
costruire ed offrire un quadro di riferimento utile a
comprendere quanti esperimenti archeologici possano,
oggi, essere riferiti allo studio dell’alimentazione dal
punto di vista dell’archeologia sperimentale nel contesto
accademico-scientifico italiano.
Sono stati tralasciati, in questo studio, gli aspetti legati
alla convivialità. Non mancano infatti, in Italia,
numerosi esempi di rievocazioni storiche, feste, eventi
di ricostruzione gastronomica e culinaria che si rifanno
a un passato più o meno antico ma che, tuttavia poco
hanno a che fare con la ricerca scientifica in senso stretto
o con la divulgazione scientifica (BOLDRINI 2015). Inoltre,
è stato possibile appurare che le ricerche archeologiche
e sperimentali nel campo dell’alimentazione, effettuate
fino ad oggi in Italia sono poco frequenti e, molto spesso,
conseguenza e corredo di studi più tradizionali.
Seguendo, pertanto, questo quadro di riferimento, è
stato possibile individuare una ventina di esempi di
archeologia sperimentale applicata allo studio
dell’alimentazione del passato. A parte qualche sparuta
esperienza pioneristica condotta alla fine degli anni ‘80
e tra i primi anni ‘90 del XX secolo, la quasi totalità di
queste esperienze è stata realizzata a partire dai primi
anni del XXI secolo, in particolare a partire dal secondo
decennio. Di questi esempi, in poco meno della metà dei
casi l’archeologia sperimentale è la materia principale.
In tutti i casi, comunque, gli esperimenti archeologici
sono guidati o supportati da numerose altre discipline
scientifiche tra le quali spiccano l’archeobotanica e
l’archeozoologia (fig. 3). Non meno utilizzati come
supporto alla ricerca sono anche lo studio delle fonti, la
litotecnica e l’indagine archeologica. In due terzi dei
casi, il tipo e le finalità della ricerca sono scientifici
mentre negli altri casi la finalità principale è la didattica
– o la divulgazione – a vari livelli (musei, parchi
archeologici, associazioni etc.) (fig. 4). Tra gli enti
Figura 3: Le discipline afferenti all’archeologia sperimentale ed
utilizzate negli esperimenti sull’alimentazione antica.
Per tracciare il quadro di riferimento per selezionare gli
esperimenti archeologici che, in vari modi, hanno
indagato (o stanno indagando) sull’alimentazione antica
ci si è serviti, come linea guida, di alcune considerazioni
già parzialmente emerse nell’introduzione. Come
accennato, infatti, due aspetti sono rilevanti e guidano i
comportamenti alimentari dell’uomo: da un lato il
reperimento degli alimenti (caccia, raccolta, mietitura,
conservazione, stoccaggio, pratiche agricole, tecniche di
macellazione etc.) e dall’altro le pratiche e le tecniche di
14
M. Indelicato
Si può consultare il seguente link: https://exarc.net/keywords/food (ultima consultazione il 26 febbraio 2020).
42
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
coinvolti, il ruolo delle Università è preponderante in
oltre la metà dei casi (fig. 5): molto presenti appaiono
anche i parchi archeologici che utilizzano il potenziale
attrattivo delle pratiche sperimentali per coinvolgere il
loro pubblico in vere e proprie esperienze di vita nel
passato. Altri enti pubblici di ricerca si sono approcciati
da poco a questo tipo di studi e spesso in collaborazione
con esperti di associazioni esterne.
Figura 6: Tipi di tecnica studiata negli esperimenti sull’alimentazione
antica.
Figura 5: Tipi di ente
sull’alimentazione antica.
coinvolti
nelle
Il quadro che emerge è quello di una metodologia
d’indagine, l’archeologia sperimentale, che nel campo
dell’archeologia dell’alimentazione sembra faccia
ancora fatica ad affermarsi in ambito accademico
nonostante sia ormai una metodologia consolidata a
livello internazionale e nonostante sia applicata con
successo sia all’indagine archeologia con finalità
scientifiche sia alla ricostruzione del passato anche con
obiettivi divulgativi.
sperimentazioni
La maggior parte degli studi (circa l’80%) si è
concentrato sugli alimenti e soltanto pochi altri hanno
puntato l’attenzione sugli aspetti relativi alla
ricostruzione e allo studio della cucina antica. Oltre un
terzo degli studi individuati, inoltre, hanno puntato
l’attenzione sull’analisi delle pratiche e delle tecniche
agricole del mondo antico (fig. 6). Invece, quasi due terzi
di queste esperienze si sono interessati di epoca
preistorica (fig. 7) e hanno interessato tutte le epoche e i
contesti del Paleolitico, del Mesolitico, del Neolitico,
delle età del Rame, del Bronzo e, in parte, del Ferro.
Soltanto in un caso l’indagine, peraltro non
esclusivamente sperimentale, ha interessato un arco di
tempo molto ampio dalla preistoria all’età medievale.
Solo due esperienze, di cui una molto recente, hanno
interessato l’epoca medievale. Risultano, altresì, non
essere studiate alcune epoche (come l’età del Rame) e
alcune civiltà come quella etrusca o quella magnogreca.
4.3 – Gli studi
Per chiarezza espositiva e per garantire una migliore
semplicità di lettura gli esperimenti archeologici
alimentari che sono stati individuati all’interno del
panorama accademico italiano, vengono descritti di
seguito seguendo l’ordine cronologico per il periodo
storico (Preistoria, Età classica, Medioevo) a cui si
riferisce la ricerca sperimentale. Per ciascuna epoca,
inoltre, sarà distinto l’ambito di riferimento (alimenti o
cucina).
Figura 7: Epoche di riferimento delle esperienze archeologiche
sull’alimentazione antica.
43
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
4.3.1 – La preistoria: ricerche sugli alimenti –
Paleolitico.
M. Indelicato
2 – Il Museo delle Origini dell’Università La Sapienza di
Roma ha messo a punto, a partire dalla fine del XX
secolo, una serie di manufatti (falcetti, raschiatoi, punte
di freccia etc.) realizzati e custoditi all’interno di una
cosiddetta collezione di confronto che sono stati
impiegati per effettuare vari tipi di attività didattiche e
per lavorare materiali animali e vegetali (e anche
minerali) a fini alimentari. Una prima serie di
esperimenti, curati per l’esecuzione di alcune tesi di
laurea (CRISTIANI 2001), è stata condotta per creare una
base di partenza per la creazione di successivi approcci
(MANFREDINI et alii 2003). Questa peculiare istituzione
museale universitaria intendeva porsi come cardine nel
rapporto tra pubblico e ricerca scientifica utilizzando
l’archeologia sperimentale sia come strumento didattico
nell’attività accademica, sia come strumento di
divulgazione al pubblico non specialista.
1 – Alla metà degli anni ‘90, grazie ai materiali del sito
Paleolitico di La Pineta (Isernia, Molise) è stata svolta
un’approfondita ricerca sulle catene operative, le
tecniche di macellazione e sulla fratturazione
intenzionale delle ossa nel sito archeologico. Per la
prima volta in Italia, si è qui tentato un approccio olistico
al contesto archeologico. Sono stati effettuati
esperimenti di macellazione su ossa animali (fig. 8) per
confrontare le tracce d’uso sugli strumenti e le tracce di
impatto sulle ossa e poter così risalire alle abitudini
alimentari. La ricostruzione della catena operativa,
infatti, in un primo momento fornisce dati molto utili
per comprendere l’utilizzo degli attrezzi. La verifica
sperimentale è servita, quindi, per mettere in relazione i
manufatti con il loro effettivo utilizzo su vegetali e
materie molli animali come desunto dall’analisi
archeobotanica ed archeozoologica. Il tutto concorre
all’interpretazione comportamentale delle strategie di
sussistenza dei cacciatori-raccoglitori vissuti nella
preistoria in quel territorio (CROVETTO et alii 1994,
LONGO 1994, LONGO, IOVINO 2003).
4.3.2 – La preistoria: ricerche sugli alimenti –
Mesolitico.
1 – Gli archeologi del laboratorio di paletnologia
dell’Università di Trento hanno portato avanti, agli inizi
del XXI secolo una serie di esperimenti relativi ad alcuni
particolari manufatti del periodo mesolitico. Infatti, le
punte microlitiche del Mesolitico (in particolare quelle a
due margini), vengono spesso considerate come punte
di freccia per l’attività venatoria. La serie di prove messe
in atto dal laboratorio è servita ad appurare le
potenzialità balistiche di questi manufatti. Le prove
eseguite hanno consentito agli sperimentatori di
appurare che, molto probabilmente, queste punte, di
dimensioni molto piccole, erano montate su frecce che
non avevano finalità venatorie (data la loro scarsa
capacità penetrativa) ma quella di ‘pungoli’ per spingere
le prede nella direzione voluta dal gruppo di caccia
(DALMERI, GRIMALDI 2002).
4.3.3 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – Neolitico.
1 – Sul finire degli anni ‘80 del XX secolo, dopo diversi
decenni di scoperte e indagini sui cosiddetti “fondi di
capanna” relativi a contesti del Neolitico soprattutto in
Italia settentrionale, l’Istituto Italiano di Archeologia
Sperimentale si era posto l’obiettivo di interpretare la
funzione e definire l’utilizzo di queste sottostrutture,
identificate, tra le altre ipotesi, come sistemi drenanti,
fosse di combustione, rifiutaie o fosse di macellazione.
Attraverso confronti etnografici e ricostruzioni
sperimentali avvenute a Vhò di Piadena (CR) il gruppo
di ricerca ha potuto verificare le proprie ipotesi
Figura 8: Prova di macellazione per lo studio dell’industria litica del
sito paleolitico di Isernia - La Pineta (foto Università di Ferrara; da
Bellintani et al. 2003, p.80, fig. 6-a).
44
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
4 – A Pozzuolo nel Friuli (UD), sulla base dei dati
ottenuti dallo scavo del sito Neolitico di
Sammardenchia, gli archeologi del gruppo di ricerche
storiche Aghe di Poç coordinati dall’archeologo Andrea
Pessina, da qualche anno tentano di replicare la
modalità di coltivazione nel Neolitico attivando
numerosi progetti di didattica con le scuole che hanno
incluso due campi sperimentali (di 2 m x 5 m e 1 m x 5
m) in cui sono stati coltivati orzo (Hordeum vulgare L.
1753 var. kezibia), frumento tenero (Triticum aestivum L.
var. pandas), farro (Triticum dicoccum L.) e spelta
(Triticum spelta L. var. altgold rotkorn), forniti dall’Istituto
Sperimentale per la cerealicoltura di Sant’Angelo
Lodigiano (LO).
Inoltre, un’ulteriore collaborazione con l’Istituto
Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente di Pozzuolo
del Friuli ha permesso lo studio botanico delle sementi
condotto nei laboratori e nelle serre del medesimo
Istituto, attraverso l’utilizzazione, tra le altre, di
tecnologie di microscopia digitale per lo studio e
l’analisi della germinabilità e la prova di coltivazione in
vaso. Gli alunni hanno potuto sperimentare
personalmente le attività di raccolta dei frutti spontanei
e di erbe da intrecciare, di costruzione di essenziali
strumenti in selce e in legno; hanno successivamente
dissodato con questi attrezzi un terreno e realizzato due
campi (di cui uno di controllo) per la coltivazione dei
grani misti. Utilizzando tecniche e materiali congrui
all’epoca indagata, hanno quindi curato la semina e la
cura del campo a cui ha fatto seguito la mietitura. A tutte
queste attività tecnico-pratiche, si sono aggiunte anche
quelle digitali con la realizzazione di una ricostruzione
multimediale
dell’evoluzione
paesaggistica
del
territorio dal Neolitico ai giorni nostri, come
conseguenza della nascita e dello sviluppo
dell’agricoltura17.
avanzando e avvalorandone una più precisa
identificazione come silos di stoccaggio di cereali
(CAVULLI 2003, GIANNITRAPANI, SIMONE, TINÉ 1990).
2 – Un tentativo di approccio sperimentale alle colture
neolitiche fu messo a punto, nei primi anni 2000, in
Sicilia, e fu realizzato dall’allora Centro Internazionale
di Sperimentazione, di Documentazione e di Studio per
la Preistoria e l’Etnografia dei popoli primitivi che aveva
sede a Siracusa. Durante le attività sperimentali
organizzate e portate avanti dal centro, furono
delimitate tre aree di 4 m x 4 m e furono seminati, su file
variamente distanziate diverse specie di cereali: il farro
(Triticum dicoccum L.), l’orzo tetrastico (Hordeum vulgare
L. 1753 var. tetrastichum) e, nell’area C, del piccolo farro
(Triticum monococcum L.). Da questo esperimento sono
venuti importanti dati sulla produttività delle
coltivazioni
cerealicole
relative
ai
primordi
dell’agricoltura (FERLISI et alii 2003).
3 – Nell’Archeoparc Val Senales in Alto Adige, dai primi
anni del XXI secolo i campi sperimentali comprendono
sia coltivazioni di cereali (orzo, farro grande, farro
piccolo) sia di leguminose (lenticchie, piselli) o altre
specie come il lino e il papavero. Una grande spinta
verso questo tipo di sperimentazioni è venuta dal
ritrovamento (nel 1991) del cosiddetto “uomo del
Similaun”15 che ha evidenziato come l’uomo nel tardo
Neolitico (o prima età del rame) conoscesse già un gran
numero di piante utili e/o commestibili. Infatti, tra i soli
materiali vegetali impiegati per costruire i suoi oggetti si
contano una ventina di essenze legnose. Nelle aree
all’aperto presenti nell’Archeoparc sono oggi visibili
esemplari di ciascuna specie individuata con le indagini
archeobotaniche. Nei campi e negli orti sperimentali,
utilizzati per la quasi totalità a scopo didattico, crescono,
inoltre, cereali e legumi coltivati sin dai tempi di Ötzi:
orzo, farro piccolo, farro grande, lenticchie, piselli, fave,
papaveri, lino e altre specie da raccolto o coloranti 16.
5 – Si ha, infine qualche notizia di attività sperimentali
relative al Neolitico presso il parco archeologico di
Travo (PC)18 e presso il parco del Livelet (TV)19 entrambi
15
Comunemente noto come Ötzi, come fu soprannominato da un giornalista che coniò un vezzeggiativo derivandolo dal luogo
del ritrovamento, Ötztal nel Tirolo del Nord.
16
Per approfondire, si veda: https://www.archeoparc.it/it/visita/da-vedere/ (ultima consultazione il 19 dicembre 2019).
17
Per saperne di più: http://www.aghedipoc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=43&Itemid=231 (ultima
consultazione il 19 dicembre 2019).
18
Per conoscere meglio questa realtà si può consultare il sito: http://www.archeotravo.com/archeotravo-parco-museoarcheologico-ricostruzione (ultima consultazione il 19 dicembre 2019).
19
Per maggiori informazioni, si consulti il sito https://www.parcolivelet.it/il-parco/il-villaggio-palafitticolo/ (ultima
consultazione il 19 dicembre 2019).
45
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
realizzato anche un modulo dedicato alla coltivazione
sperimentale dei cereali con l’obiettivo di verificare le
problematiche relative alla produzione agricola nell’età
del bronzo, dalle modalità di semina e di mietitura fino
alla conservazione delle derrate (CARRA, CATTANI,
DEBANDI 2012).
2 – Gli scavi nella collinetta di Montale (MO), iniziati
nella seconda metà dell’800 e ripresi dopo oltre un
secolo nel 1996, hanno portato alla luce i resti di una
terramara21. Dopo le campagne di scavo e studio, l’area
degli scavi è stata resa visitabile in uno spazio museale
compatibile con il paesaggio naturale e storico
circostante. Nel settore all’aperto del museo sono state
impiantate le colture sperimentali di alcune delle piante
documentate dagli stessi scavi archeologici: cereali
(compresi avena, segale e miglio), legumi (favino,
lenticchia, cicerchia, piselli) e lino. Inoltre, gli
abbondanti ritrovamenti di reperti botanici hanno
fornito informazioni utili per ricostruire l’aspetto del
territorio di Montale nei secoli a cavallo del II millennio
a.C.22.
3 – I reperti lignei relativi all’arcieria rinvenuti alla fine
degli anni ‘90 nella palafitta di Fiavè23 sono stati studiati
con attenzione nell’ambito di alcune ricerche di tipo
funzionale e sperimentale. In una prima fase il lavoro ha
riguardato le principali problematiche relative
all’arcieria nell’età del bronzo del nord Italia;
successivamente si è proceduto ad una nuova analisi dei
reperti mirata al miglioramento della conoscenza delle
tecniche di fabbricazione e di uso venatorio dell’arco e
delle frecce. La fase sperimentale ha comportato la
realizzazione delle repliche dei reperti, le prove di tiro e
alcune osservazioni in merito (fig. 10). Dalle indagini
condotte è stato ragionevolmente possibile supporre che
l’arco in corniolo di Fiavè sia stato realizzato
probabilmente con legno non stagionato, per ottenere
un’arma perfettamente efficiente in poche ore di lavoro
(BELLINTANI, BENINI, GONZALES 2003).
con spazi riservati a coltivazioni sperimentali, ma
presumibilmente destinati più ad una funzione didattica
che ad un uso prettamente sperimentale.
4.3.4 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – età del
Bronzo.
1 – Nell’ambito delle ricerche condotte nell’abitato
dell’età del bronzo di Solarolo (RA) dall’Università di
Bologna ‘20 è stata realizzata una sperimentazione di
coltivazione dei cereali con lo scopo di approfondire le
problematiche della gestione economica ed in
particolare della produttività agricola antica (fig. 9). La
coltivazione di sementi geneticamente non modificate,
quindi il più possibile analoghe a quelle di età
protostorica, ha permesso agli studiosi di affrontare la
discussione sui vari aspetti tecnici, metodologici ed
etnoarcheologici dell’agricoltura nell’età del Bronzo.
Inoltre, nell’ambito del laboratorio di archeologia
sperimentale
è
stato
Figura 9: Abitato dell’età del Bronzo di Solarolo (RA), la preparazione
del terreno con solchi distanziati (da CARRA, CATTANI, DEBANDI 2012, p.
8, fig. 6-a).
20
In particolare, sono stati avviati uno scavo stratigrafico e un Laboratorio di Archeologia Sperimentale presso il Dipartimento
di Archeologia dell’Università di Bologna.
21
Nei primi decenni dell’ottocento il nome “terramare” era utilizzato per indicare cave di terriccio organico scavate entro
basse collinette, molto frequenti nel paesaggio della pianura padana. Le collinette non avevano un’origine naturale e il terreno
che le costituiva, spesso venduto per concimare i campi, era ricco di resti archeologici. Per lungo tempo questi resti furono
attribuiti ad abitati o necropoli di età romana o celtica. Solo quando in Italia cominciarono ad intensificarsi le ricerche
scientifiche di preistoria, ci si rese conto che la vera origine di queste collinette era attribuibile a villaggi dell’età del bronzo e
da allora il termine terramara fu utilizzato dagli archeologi per indicare questi abitati.
22
Per conoscere meglio questa realtà museale: http://www.parcomontale.it/it/il-parco-archeologico/museo-allaperto
(ultima consultazione 19 dicembre 2019).
23
Nello specifico, si trattava di un arco e alcune aste di freccia.
46
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
all’interno di contenitori utilizzati per l’alimentazione
umana.
Per raggiungere gli obiettivi generali sono stati
impiegati, in una delle fasi del progetto, alcune
riproduzioni di manufatti ceramici. Per simulare l’uso di
un contenitore ceramico nell’antichità sono state
eseguite diverse prove in laboratorio utilizzando
recipienti porosi modellati a mano – sul modello di
quelli rinvenuti nei contesti di riferimento – e cotti a
circa 900°. I vasi sono stati realizzati presso il laboratorio
di archeologia sperimentale del Dipartimento di Beni
Culturali dell’Università del Salento. Dentro i
contenitori, pertanto, è stata effettuata la cottura di
alimenti (fig. 11) ritenuti importanti fonti di nutrimento
nell’antichità come riportato anche dalle fonti letterarie
ed etnografiche: ruminanti, equidi, conigli, latte e
legumi. La bollitura è durata per circa due ore all’interno
dei contenitori ceramici. Oltre a fornire preziose
indicazioni sulle modalità di campionamento delle
ceramiche antiche gli esperimenti di cottura sono serviti
principalmente a ottenere dei riferimenti gas
cromatografici dei bio-markers delle singole sostanze
organiche (NOTARSTEFANO 2012).
Figura 10: Realizzazione di una replica dell’arco di
Fiavè. Foto: Ornella Michelon (archivio Sopr.Arch.TN)
(da BELLINTANI, BENINI, GONZALES 2003, p. 183, fig. 7).
Figura 11: Prove di cottura su recipienti dell’età del ferro riprodotti
sperimentalmente (Notarstefano 2012, p. 42).
4.3.5 – La Preistoria: ricerche sulla cucina – età del
Ferro.
4.3.6 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – Altri
studi.
1 – La collaborazione attivata all’inizio del secondo
decennio del XXI secolo, tra il Dipartimento di Beni
Culturali e il laboratorio di chimica organica del
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed
Ambientali (Di.S.Te.B.A.) dell’Università del Salento ha
dato vita a un ampio progetto di ricerca
sull’alimentazione antica che ha affrontato, come primo
obiettivo, lo studio e l’analisi funzionale dei contenitori
ceramici provenienti da contesti archeologici diversi (in
particolare dell’età del Ferro). Attraverso questo tipo di
studi è, infatti, possibile, contribuire alla ricostruzione
delle modalità di preparazione e consumo di cibo
nell’antichità. Tra i primi obiettivi è da menzionare
l’applicazione della gas cromatografia associata alla
spettrometria di massa per identificare i residui organici
1 – Agli inizi degli anni 2000, presso l’Università La
Sapienza di Roma, sono stati effettuati alcuni
esperimenti archeologici (da parte di M. Massussi) di
lancio con propulsori preistorici ricostruiti in base a
confronti e modelli etnografici di provenienza
australiana. Il fine ultimo di questa sperimentazione non
era quello di indagare direttamente le strategie di caccia
degli uomini della preistoria; si trattava, infatti, di
esperimenti funzionali alla messa a punto un database
utilizzato per l’archiviazione dei dati etnografici da
poter utilizzare per le riproduzioni sperimentali di cui
servirsi per ricostruire gli usi alimentari della preistoria
(MASSUSSI, LEMORINI 2003).
47
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
2 – Numerosi sono, ormai da anni, gli studi di Vittorio
Brizzi24 sull’arco preistorico e sulla sua funzionalità
(BRIZZI 2006) che sono serviti per la corretta
interpretazione di rinvenimenti archeologici in diversi
contesti territoriali: dall’arco alpino alla Sardegna. La
sperimentazione balistica tradizionale, che mirava a
verificare i risultati degli impatti sui proiettili litici da
utilizzare per il raffronto con materiali archeologici, è
sempre stata effettuata mediante tiri su carcasse o
bersagli sostitutivi collocati a distanza variabile
(comprese tra i 10 e i 20 m).
M. Indelicato
principali materie prime commercializzate nel periodo
romano. L’elevata richiesta doveva incoraggiare la
produzione dell’industria mineraria presente nel
territorio della città di Agrigento. Per avere una stima
approssimativa del fabbisogno di zolfo di un vigneto, gli
autori della ricerca hanno tentato di riprodurre la ricetta
di Catone per una miscela di zolfo, usata come
insetticida. Infatti, nel De agri cultura25 (95) catoniano è
possibile trovare la ricetta esatta per produrre una
miscela usata sulle viti per sconfiggere un particolare
tipo di insetto. I risultati della sperimentazione hanno
permesso di valutare un fabbisogno di zolfo stimabile in
circa 250 kg per ettaro. Da questi dati sperimentali,
quindi, risulta abbastanza evidente che la richiesta di
zolfo doveva essere molto consistente, tanto quanto
quella del bitume, soprattutto dalle zone con maggiore
produzione di vino. Oltre a questo è stato possibile
conoscere alcune tecniche usate dai viticoltori romani
per la salvaguardia dei vigneti contro i parassiti e che
garantivano loro una migliore produzione di uva da
vino (ZAMBITO, SPECIALE, 2017).
Questa pratica evidenzia alcuni limiti dal momento che
non sono mai stati considerati gli impatti dovuti a tiri
effettuati a breve distanza, ove la meccanica
vibrazionale della freccia all’impatto genera fratture
ritenute di solito incidentali. Inoltre, in secondo luogo,
finora, non si è quasi mai tenuto conto delle
modificazioni che intervengono nel proiettile durante le
fasi successive all’impatto sul bersaglio vivo causate, per
esempio, dalla fuga dell’animale colpito, dal trasporto
della carcassa e dalle operazioni di rimozione del
proiettile (BRIZZI, LOI 2012). I protocolli sperimentali
adottati non sono mai stati compiutamente omologati e
alcuni elementi fondamentali, ad esempio i criteri che
definiscono una solida unione tra asta del proiettile e
armatura, non sono mai stati fissati in modo univoco. Di
recente, l’esame di un campione di reperti archeologici
rinvenuti nel sito Neolitico di Monte Santa Vittoria, in
Sardegna, ha permesso agli studiosi di rilevare come gli
indici diagnostici macroscopici sulle punte di proiettile,
considerati validi dalla letteratura, potrebbero essere
integrati con quelli provenienti dall’applicazione dei
protocolli sopracitati (BRIZZI, LOI 2010). Come è ovvio,
questo tipo di studi aumenta di molto la nostra
2 – Alla fine degli anni ‘90, nel parco archeologico di
Pompei presero vita alcuni esperimenti di coltivazione
della vigna nell’ambito urbano della cittadina distrutta
dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.. Sebbene lontane
dalla moderna e codificata prassi sperimentale in
archeologia, tra queste esperienze iniziali possiamo
annoverare i tentativi di recupero e reimpianto delle
vigne urbane della cittadina campana, reso possibile
grazie al grandioso e pregevole studio sui giardini – le
vigne in particolare – della città vesuviana di W.
Jashemsky (JASHEMSKY 1979). Infatti, dopo un puntuale
e ben documentato scavo archeologico avvenuto negli
anni ‘60, è stato possibile, in questo caso con l’ausilio di
aziende private, reimpiantare una vigna nei pressi
dell’anfiteatro26. Qui, con le stesse tecniche di
coltivazione precedenti alla grande eruzione, ovvero
l’elevata densità di impianto, filari sorretti da pali in
legno piantati esattamente sulle impronte dei paletti
rintracciate in corso di scavo e individuate per mezzo di
calchi in gesso, sono stati impiantati alcuni vitigni
autoctoni e ogni anno si tiene una vendemmia aperta al
pubblico (CARBONNEAU, ROTUNNO 2000). Oltre agli
conoscenza delle tecniche di caccia a scopo alimentare
utilizzate nella preistoria.
4.3.7 – L’età classica: ricerche sugli alimenti – Età
romana.
1 – Una ricerca indipendente ma nata comunque
nell’ambito delle Università del Salento e quella di
Messina, si è occupata di studiare l’impiego dello zolfo
nell’agricoltura romana. Lo zolfo, infatti, era una delle
24
Dell’Università di Ferrara e membro di Paleoworking, una rete di laboratori dedicati alla ricerca, didattica e divulgazione
dell’archeologia attraverso lo studio e la riproduzione di tecnologie primitive.
25
Scritto intorno alla metà del II secolo a.C.
26
Regio II, insula V.
48
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
numerosi
attrezzi
agricoli
(INDELICATO 2014,
INDELICATO, MALFITANA, CACCIAGUERRA 2017).
In una seconda fase, invece, è stato approfondito lo
studio dell’enologia dei romani (cioè l’insieme di
operazioni che trasformavano l’uva in vino). Le
strutture necessarie per questi processi, infatti, erano
una parte importante nelle fattorie e ville romane. A
partire dall’analisi dei resti scavati in numerosi siti in
Italia è stato possibile ricostruire varie fasi della
lavorazione. Inoltre, le analisi condotte su materiali
ceramici provenienti da alcuni siti produttivi hanno
consentito di riprodurre le tecniche di rivestimento dei
vasi vinari e valutarne efficacia e impatto sulla
produzione e sul gusto del vino. I dati archeologici,
ancora una volta, sono stati integrati con le indicazioni
dei testi degli agronomi romani. A partire da tutti questi
dati, infine, è stato preparato un protocollo sperimentale
di vinificazione e, successivamente, è stato avviato, nel
settembre 2017, un esperimento di prima generazione
(pilota) che ha prodotto il primo vino romano
(INDELICATO 2017, INDELICATO c.s.) (fig. 13). Questo
esperimento pilota sarà la base di successive ricerche che
sono ancora in atto.
aspetti didattici e divulgativi, questi studi hanno
consentito, soprattutto, di verificare l’affidabilità di
quanto riportato delle fonti antiche. Questi dati possono
essere, quindi, utili come ausilio nelle sperimentazioni
archeologiche sia sulle tecniche agricole sia per studiare
i procedimenti di preparazione di pietanze e bevande
particolari come il vino.
Figura 12: La piccola vigna ‘romana’ sperimentale che sorge alle
pendici orientali dell’Etna.
3 – A partire dal 2013, dalla collaborazione tra la cattedra
di Metodologia, cultura materiale e produzioni
artigianali nel mondo classico dell’Università di Catania
e l’allora Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali
del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBAM-CNR)27,
ha preso il via un ampio progetto di ricerca sulla
vitivinicoltura romana in Sicilia. Questo progetto,
ispirato dalla lettura dell’agronomo romano Columella,
ha l’obiettivo generale di migliorare la conoscenza del
ciclo di produzione del vino nel mondo romano (in
particolare nel periodo compreso tra il I sec. a.C. - II
secolo d.C.) dal momento che, tuttora, non esiste in Italia
e nel mondo, uno studio che ne analizzi – soprattutto dal
punto di vista sperimentale – l’intero processo
produttivo.
In una prima fase sono state indagate sperimentalmente
le tecniche di piantumazione messe in atto in un piccolo
vigneto impiantato alle pendici dell’Etna in territorio di
Mascali (CT) (fig. 12). Pratiche e tecniche atte a
riprodurre, in questa fase, le modalità di impianto di un
vigneto della prima età imperiale romana. Tra le altre
cose, grazie alle istruzioni dell’agronomo Columella è
stato possibile individuare, ricostruire e impiegare
27
M. Indelicato
4.3.8 – L’età classica: ricerche sulla cucina – Età
romana.
1 – A partire da una precedente ricerca archeologica
tradizionale sulle anfore di epoca romana di Adria e sul
contenuto che trasportavano, grazie alla collaborazione
della Soprintendenza Archeologica del Veneto e del
Centro Didattica (CeDi) Beni Culturali di Rovigo,
l’archeologa Alessandra Toniolo, agli inizi del XXI
secolo, ha potuto studiare e mettere a punto alcune
ricette e alcuni procedimenti di epoca romana
soprattutto con intento didattico non tralasciando,
tuttavia, l’indagine sugli aspetti alimentari e socioeconomici connessi al consumo di cibo nel mondo
romano (TONIOLO 2000, TONIOLO 2003).
Oggi divenuto Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC-CNR).
49
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
medicina et de virtute herbarum che non ci è pervenuta
integra ma di cui si trovano ampi estratti in altre opere
(la più completa è nel IV libro della cosiddetta Medicina
Plinii un’anonima raccolta latina di rimedi medici
risalenti agli inizi del IV secolo d.C.). L’esperimento,
eseguito seguendo puntualmente la fonte, è
parzialmente riuscito, dal momento che gran parte del
garum ottenuto è andato a male (probabilmente per un
problema di gestione della temperatura o per una
sbagliata concentrazione degli ingredienti), tuttavia ha
contribuito a gettare nuova luce su questa salsa,
onnipresente nella cucina romana (COMIS, RE 2003).
4 – Un’ulteriore esperienza ha avuto luogo all’interno di
più ampie ricerche archeobotaniche condotte per diversi
anni dal laboratorio di ricerche applicate dell’allora
Soprintendenza Archeologica di Pompei – diretto dalla
compianta biologa ambientale Annamaria Ciarallo. Nel
parco archeologico di Pompei nel 2012 è stata effettuata
una piccola sperimentazione per verificare la veridicità
di quanto riportato in alcune fonti classiche e,
soprattutto, dall’iconografia tipica di Dioniso con il capo
cinto di corone di edera. Alcuni autori latini28 infatti
citano l’uso delle stesse corone e foglie di edera come
rimedio per assorbire i fumi dell’alcool. All’epoca le
conoscenze empiriche dei viticoltori romani avevano
portato a ritenere, infatti, tra le altre cose, che il legno di
edera assorbisse il vino e non l’acqua e, pertanto, si
utilizzavano dei recipienti in questo materiale per
verificare che il vino non fosse annacquato. Sono stati
quindi riprodotti dei recipienti utilizzando il legno di
questa pianta è stato possibile verificare la veridicità
delle conoscenze riportate degli autori antichi
(CIARALLO 2012).
Grazie a questo piccolo esperimento è stato possibile,
quindi, riportare alla luce, dopo parecchi secoli, un
semplice metodo per la verifica della qualità del vino
che, sicuramente, doveva essere molto usato dai
venditori e compratori di vino nel mondo romano.
Figura 13: I due piccoli recipienti ceramici utilizzati nell’esperimento
pilota di vinificazione secondo le tecniche romane.
2 – Nel 2003, grazie alla collaborazione tra ricercatori
italiani indipendenti e l’Università di Exeter, in
Inghilterra, è nata una ricerca sperimentale sul garum, la
tipica salsa di pesce di epoca romana la cui produzione,
oltre ad aver avuto un ruolo fondamentale nella cucina,
ha sicuramente avuto un altissimo impatto socioeconomico. In questa ricerca, dopo una breve
descrizione della salsa e della sua storia e dopo un focus
sull’importanza di questa pietanza nella cucina romana,
gli autori hanno tentato un esperimento preliminare
basato su una ricetta di un autore tardo antico. La fonte
utilizzata proviene da una raccolta di opere di carattere
vario realizzate in epoca medievale; il suo presunto
autore è Gargilius Martialis il cui nome è citato anche da
altri autori moderni che si sono occupati della medesima
materia nel passato. Egli fu uno scrittore attivo nel III
secolo d.C. ricordato per la sua opera principale il De
28
4.3.9 – Il Medioevo: ricerche sugli alimenti.
1 – Un protocollo di intesa tra vari enti locali, fondazioni,
banche e enti di ricerca – tra i quali era capofila
l’Università di Siena – ha ideato e messo in pratica il
progetto Senarum Vinea, conclusosi nel 2012. Questo
prevedeva la ricostruzione del paesaggio urbano di
Siena caratterizzato, specialmente in età medievale,
Catone, De agri cultura, III; Plinio il vecchio, Naturalis Historia, XIV, 89, 137 e 144; XXIII, 42.
50
Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
(Prototipo di Orto con Tecniche Altomedievali), il quale
si pone l’obiettivo di studiare argomenti di agricoltura
altomedievale su vasta scala. L’orto diviene quindi il
primo tema che si svilupperà attraverso la metodologia
dell’archeologia sperimentale e con gli obiettivi
dell’archeologia pubblica29. Esso è in fase di
realizzazione nell’Archeodromo di Poggibonsi, in cui è
stata ricostruita la curtis carolingia del IX-X secolo, nelle
forme in cui sembra essere attestata negli scavi
archeologici della cittadina di Poggibonsi (VALENTI
2015).
dagli horti conclusi nei conventi dove, ancora oggi,
sopravvivono alcuni vigneti. Questi ultimi sono remoti
testimoni di un grande patrimonio di biodiversità
vegetale sul quale si sono costruiti secoli di storia
dell’alimentazione cittadina e, in particolare, del vino
senese. Il progetto ha cercato di ricomporre una storia
della viticoltura praticata per secoli dentro le mura della
città di Siena, ma che si è interrotta negli ultimi
sessant’anni
con
l’avanzare
dell’agricoltura
meccanizzata e dell’omologazione del gusto e del
paesaggio. I ricercatori si sono pertanto impegnati nel
recupero di antichi vitigni, di forme tradizionali di
coltivazione per instaurare un rapporto con il paesaggio
agrario circostante e con l’idea di produrre un vino della
città. Il progetto è culminato nel marzo 2012 con la
piantumazione di una vigna antica presso l’Orto de’
Pecci, un antico parco urbano della moderna Siena
(CIACCI, GIANNACE 2012). In questa vigna hanno trovato
posto le antiche varietà di vite che è stato possibile
selezionare grazie ad un lavoro di mappatura del
genoma delle viti utilizzate oggi in Toscana.
4.3.10 – Ricerche diacroniche
1 – I pressoi litici della Sardegna costituiscono una parte
fondamentale della filiera produttiva del vino
nell’antichità sarda. Considerati spesso reperti meno
nobili di altri, questi manufatti hanno goduto nel
passato, nell’isola, di scarso interesse scientifico. Inoltre,
gli esemplari giunti fino a noi, il più delle volte lacunosi
e scollegati dal contesto di provenienza, pongono
notevoli difficoltà di interpretazione tipologica e di
datazione. Per tentare di fare chiarezza su questo
argomento, presso l’Università di Sassari è nato un
progetto di ricerca volto principalmente alla definizione
di un repertorio tipologico-funzionale dei pressoi litici
in particolare attraverso metodi di indagine quali
l’archeologia
sperimentale,
l’etnoarcheologia
e
l’archeologia della produzione. I dati di questo lavoro,
portato avanti, come accennato, anche con tecniche di
archeologia sperimentale, hanno consentito di aprire
nuovi scenari di interpretazione di questi manufatti
presenti non solo in Sardegna ma anche in tutto il bacino
del Mediterraneo (LOI 2015, LOI 2017) (fig. 14). Infatti
l’impiego dei palmenti non ha avuto sempre
un’interpretazione univoca da parte degli studiosi, e
anche se la funzione di spremitura dei grappoli d’uva e
di pressatura delle vinacce sembra la più accreditata, nel
corso degli anni sono stati proposti altri usi anche
eterogenei quali, ad esempio, la lavorazione delle
canapa/lino e la concia naturale delle pelli. Attraverso
vari progetti di archeologia sperimentale si è cercato di
verificare la fattibilità di queste produzioni in alcuni
impianti sardi (LOI 2018).
Figura 14: Studio della "chaine operatoire" della pigiatura e
spremitura dell’uva: prova sperimentale effettuata all’interno di un
palmento rupestre (LOI 2015).
2 – Alla metà del 2019, nel parco archeologico di
Poggibonsi (SI), è iniziato un progetto di archeologia
sperimentale
dedicato
all’agricoltura
dell’Altomedioevo. Si tratta del progetto Orto di Gottfried
che è una tesi di laurea magistrale dell’Università di
Siena curata dallo studente Matteo Trivella. L’idea nasce
dal progetto coevo denominato P.O.T.A. Project
29
Per maggiori informazioni su questo progetto ancora in divenire, si può consultare il sito: https://www.facebook.com/Ortodi-Gottfried-876181339418071/ (ultima consultazione 20 dicembre 2019)
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Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
stato aperto questo saggio: “una cucina volta più ad
alimentare i bisogni simbolici dell’uomo contemporaneo
che quelli fisiologici” (GALASSO 2016, p. 96). In parole
povere, i prodotti tipici possono essere letti, al giorno
d’oggi, non tanto dal punto di vista nutrizionale ma
quanto come simboli locali di storia, tradizioni e
costumi, che diventano fonte di attrazione turistica. Per
questo i prodotti tipici, il turismo enogastronomico, e
l’agriturismo possono rappresentare una risorsa per lo
sviluppo socio-economico di un territorio.
Nonostante questo rinnovato interesse della nostra
società civile verso le tematiche del cibo e della storia
gastronomica, nel nostro paese si accusa ancora un certo
ritardo nell’affrontare con un approccio sperimentale
sistematico e organizzato, a livello accademico,
l’archeologia dell’alimentazione. Volendo trovare le
motivazioni di questo ritardo si può supporre che vi
siano ancora delle difficoltà nel pensare e costruire i team
multidisciplinari di cui, come si è visto, l’archeologia
dell’alimentazione è obbligata a servirsi per la sua stessa
multiforme natura. L’utilizzo di un solo campo
d’indagine, non solo non giova per ottenere risultati utili
alla comprensione del cibo del mondo antico, ma rende
le ricerche poco utili anche per successivi sviluppi.
L’auspicio è che questo breve saggio e questa nuova
rivista, che nasce anche grazie all’intraprendenza e alla
competenza di alcuni giovani archeologi italiani,
possano essere un nuovo punto di partenza anche per i
ricercatori delle numerose discipline citate e non solo
per gli archeologi. A questo scopo si è cercato di riunire
la gran parte delle ricerche archeologiche sperimentali
italiane sull’alimentazione umana comprendendo anche
quelle che, a prima vista, sembrano parlarci di altro.
5. Conclusioni
Questa breve panoramica sulle esperienze italiane per lo
studio sperimentale dell’alimentazione umana ci
permette di fare alcune brevi considerazioni conclusive.
Da un lato, c’è sicuramente una certa distanza dalle
parole sopra citate (BELLINTANI et alii 2003, p. 84) che
relegavano – senza alcun tipo di malafede sia chiaro –
questo tipo di ricerche a un ambito poco convenzionale
e quasi a-scientifico. Da un altro lato è possibile notare
invece come, tra le esperienze citate, soltanto pochissime
siano consapevolmente interessate allo studio dei
comportamenti alimentari umani nella storia mentre la
stragrande maggioranza degli studi si occupa di
alimentazione solo in modo, per così dire incidentale.
Ad esempio gli studi di litotecnica o di balistica hanno
altre finalità, gli studi sui rivestimenti ceramici indagano
altro, gli studi di archeobotanica e archeozoologia
spesso sono finalizzati a caratterizzare più gli aspetti
economici. Infine, last but non least, come accennato
sopra, sono del tutto assenti, in questo filone di
indagine, alcuni contesti storici e alcune popolazioni che
hanno abitato la nostra penisola nella storia.
In contrasto con quanto emerso da questa breve analisi,
da qualche tempo ormai si assiste nel nostro paese alla
ripresa di interesse verso il mondo contadino e dei suoi
ritmi nonché la riscoperta della natura e dei suoi frutti.
Queste sensibilità si stanno sempre più consolidando e
imponendo come dati interessanti nell’orizzonte
culturale moderno. Si assiste a un vero e proprio
“ritorno al luogo e al tempo delle origini” (GALASSO
2016, p. 95). In questo processo il cibo riveste una
funzione sempre più rilevante. La cucina, infatti, è uno
dei sistemi culturali giunti fino a noi con una storia e una
serie di valori simbolici particolarmente ricche. Così
l’uomo contemporaneo, riappropriandosi delle pratiche
e dei saperi gastronomici, intende trovare il modo per
inventarsi e rivivere la comunità stessa. Riscoprendo la
cucina contadina e le ricette della tradizione, tenta di
recuperare la storia e i prodotti della terra, che crescono
con il ritmo delle stagioni, ricostruendo i frammenti
sparsi dei ritmi alimentari di un mondo contadino
ancora legato alla natura.
In questo complesso di simboli, la ricerca su alimenti e
cucina dell’antichità può divenire quindi un potente
strumento che permette all’individuo di ancorarsi alla
tradizione, ritrovando nei sapori del passato e nei
prodotti locali, tratti affettivi, identitari e generatori di
comunità e – per tornare all’analisi dei bisogni con cui è
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Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020
M. Indelicato
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M. Indelicato