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Archeologia Sperimentale e alimentazione: il panorama italiano

2020, Archeologie Sperimentali. Temi, metodi e ricerche.

A quasi vent’anni dal convegno Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione in cui, forse per la prima volta, l’archeologia sperimentale applicata allo studio dell’alimentazione umana ha fatto il suo timido ingresso nel dibattito accademico italiano, è opportuno provare a valutare quanto questa metodologia di ricerca abbia trovato impiego, all’interno del panorama scientifico italiano, nelle ricerche sul sostentamento umano dalla preistoria all’età medievale. Il quadro che emerge, a partire dai casi studio individuati, è quello di una metodologia che, in Italia, sembra ancora faticare ad affermarsi nel campo dell’archeologia dell’alimentazione nonostante sia ormai una metodologia consolidata a livello internazionale e nonostante in altri paesi sia applicata con successo sia all’indagine archeologica tout court sia alla ricostruzione del cibo del passato anche con obiettivi divulgativi. Almost twenty years after the conference Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione in which, perhaps for the first time, experimental archeology applied to the study of human nutrition made its timid entry into the Italian academic debate, it’s appropriate try to evaluate how much this research methodology has been used, within the Italian scientific scenario, in investigations on human sustenance from prehistory to the medieval age. The panel that emerges, starting from the detected case studies, is that of a methodology which, in Italy, still seems in difficult to establish itself in the food archeology field despite being now, at an international level, a consolidated methodology and despite in others countries is successfully applied both to the archeological research tout court and to the ancient food reconstruction also with dissemination objectives.

Archeologie Sperimentali. Temi, Metodi, Ricerche. I 2020 Direttore Scientifico Vincent Serneels Direttore Editoriale Chiara Lebole Comitato Editoriale Chiara Lebole, Luca Bartoni, Valeria Cobianchi, Lara Comis, Giorgio Di Gangi, Yuri Godino, Marco Romeo Pitone. Comitato Scientifico Lorenzo Appolonia, Andrea Augenti, Federico Barello, Riccardo Belcari, Rosa Boano, Enrico Borgogno Mondino, Mauro Paolo Buonincontri, Aurora Cagnana, Federico Cantini, Claudio Capelli, Fabio Cavulli, Lara Comis, Mauro Cortelazzo, Adele Coscarella, Annalisa Costa, Paola Croveri, Gianluca Cuniberti, Giorgio Di Gangi, Fulvio Fantino, Alessandro Fichera, Francesca Garanzini, Enrico Giannichedda, Yuri Godino, Silvia Guideri, Chiara Lebole, Cristina Lemorini, Nicolò Masturzo, Valeria Meirano, Alessandra Pecci, Marco Romeo Pitone, Francesco Rubat Borel, Marco Sannazzaro, Vincent Serneels, Fabrizio Sudano, Florian Téreygeol, Nicoletta Volante. Archeologie Sperimentali. Temi, Metodi, Ricerche Dipartimento di Studi Storici Via S. Ottavio 20 – 10124 Torino www.archeologiesperimentali.it www.ojs.unito.it/index.php/archeologiesperimentali redazione@archeologiesperimentali.it Volume I 2020 Tutti i contributi sono sottoposti a peer review © Diritti riservati agli Autori e agli Editori (informazioni sul sito) Torino, settembre 2020 ISSN 2724-2501 In copertina: fibula in bronzo realizzata da Fabio Fazzini. Elaborazione grafica Studio Okapi Archeologie Sperimentali è una rivista scientifica digitale edita dall’Università di Torino e pubblicata con cadenza annuale. Nasce con l’intento di colmare il vuoto editoriale che caratterizza l’Archeologia Sperimentale italiana che, pur essendo riconosciuta come un valido strumento di conoscenza, non ha un luogo dedicato al dialogo tra l’archeologia, le scienze e la sperimentazione. La rivista si rivolge alla comunità scientifica internazionale per accogliere contributi innovativi e originali che approfondiscono la conoscenza delle culture antiche attraverso l’utilizzo dei metodi sperimentali. In particolare, l’attenzione è rivolta alle esperienze che operano nel campo dell’Archeologia Sperimentale, dell’Archeologia della Produzione, della Storia delle Tecnologie, dell’Artigianato Storico e dell’Esperienzialità. L’obiettivo è quello di diffondere l’adozione di approcci pratici, sperimentali e multidisciplinari allo studio del dato archeologico, promuovendo la ripresa del dibattito sui significati e sui metodi dell’Archeologia Sperimentale e creando un luogo di incontro tra ricercatori che operano all’interno di questo ambito. Archeologie Sperimentali aderisce alla "Dichiarazione di Berlino" promuovendo la diffusione online gratuita dei dati e favorendo la comunicazione e il dibattito scientifico; il progetto riconosce al lettore il diritto di accedere liberamente e gratuitamente ai risultati della ricerca scientifica. È possibile pubblicare sia in inglese sia in italiano con l’obbligo di inserire un riassunto nella lingua non utilizzata nel contributo. La rivista Archeologie Sperimentali è connessa ai principali repository e open libraries internazionali. I contributi inviati al comitato redazionale sono valutati secondo il metodo della doppia blind peer review, avvalendosi di una rete internazionale di referenti specializzati. Il dialogo tra studiosi è garantito, inoltre, dalle possibilità offerte dalla piattaforma informatica, grazie alla quale è possibile inserire contenuti multimediali allegati ai contributi; questa opportunità permette di integrare le informazioni con video e fotografie delle ricerche, consentendo, ad esempio, di presentare attività di scavo e di un laboratorio, fasi di protocollo sperimentale ed esperienze di artigianato e di etnoarcheologia. Nota per gli Autori Gli Autori possono proporre i loro contributi inviando il materiale a redazione@archeologiesperimentali.it Indice dei contenuti Editoriale “Fornire la pratica che sostiene la teoria”: una riflessione sull’Archeologia Sperimentale .................................................................................... 1 Y. Godino, C. M. Lebole, G. Di Gangi Saggi L’Archeologia Sperimentale di Alberto Carlo Blanc: appunti inediti di un pioniere della Preistoria italiana ............................................................................... 28 F. Altamura Archeologia Sperimentale e alimentazione: il panorama italiano .............................. 36 M. Indelicato Asce da lavoro, asce di prestigio, asce da combattimento. Ricerca e attività sperimentale sulla lavorazione della pietra verde nella Preistoria ................. 56 D. Delcaro Sperimentazioni dei processi produttivi del ferro: primi dati dal progetto di ricostruzione di Populonia ...................................................................... 76 G. Baratti, M. Briccola, M.S. Cammelli, M. Cominelli, A. Vandelli L’Archeologia Sperimentale e la metallurgia del bronzo in Italia: storia degli studi e problematiche .................................................................................... 100 F. Fazzini Medioevo in corso. Archeologia Sperimentale alla Rocca di San Silvestro (Campiglia Marittima – LI) ...................................................................................... 108 G. A. Fichera Schede Realizzazione di una punta ad alette e base concava foliata bifacciale dell’età del Bronzo antico su supporto laminare ..................................................... 125 P. Spinelli Vedere, Toccare, Ascoltare: il flauto di Pan del Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte dell’Università di Padova .................................................... 134 A. Menegazzi, S. Binotto SIRIO@UniTO Publishing Rivista 01 (2020) Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche http://www.archeologiesperimentali.it Archeologia Sperimentale e alimentazione: il panorama italiano Autore: Mario Indelicato* *Assegnista di Ricerca presso l'Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del C.N.R. E-mail: marioindelicato.k@gmail.com. Dedico questo contributo alla memoria della mia cara mamma che è stata la prima a leggerlo e ad apprezzarlo pochi giorni prima di lasciarci e trovare pace. Abstract A quasi vent’anni dal convegno Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione in cui, forse per la prima volta, l’archeologia sperimentale applicata allo studio dell’alimentazione umana ha fatto il suo timido ingresso nel dibattito accademico italiano, è opportuno provare a valutare quanto questa metodologia di ricerca abbia trovato impiego, all’interno del panorama scientifico italiano, nelle ricerche sul sostentamento umano dalla preistoria all’età medievale. Il quadro che emerge, a partire dai casi studio individuati, è quello di una metodologia che, in Italia, sembra ancora faticare ad affermarsi nel campo dell’archeologia dell’alimentazione nonostante sia ormai una metodologia consolidata a livello internazionale e nonostante in altri paesi sia applicata con successo sia all’indagine archeologica tout court sia alla ricostruzione del cibo del passato anche con obiettivi divulgativi. Almost twenty years after the conference Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione in which, perhaps for the first time, experimental archeology applied to the study of human nutrition made its timid entry into the Italian academic debate, it’s appropriate try to evaluate how much this research methodology has been used, within the Italian scientific scenario, in investigations on human sustenance from prehistory to the medieval age. The panel that emerges, starting from the detected case studies, is that of a methodology which, in Italy, still seems in difficult to establish itself in the food archeology field despite being now, at an international level, a consolidated methodology and despite in others countries is successfully applied both to the archeological research tout court and to the ancient food reconstruction also with dissemination objectives. Parole chiave: cibo, archeobotanica, storia dell’agricoltura, archeozoologia, litotecnica Il comportamento alimentare dello scimmione nudo sembra a prima vista una delle sue manifestazioni più variabili, opportunistiche e sensibili alla civiltà, ma anche in questo caso esistono diversi e fondamentali principi biologici.1 (D. Morris) 1 1. Per un’introduzione: l’alimentazione e l’uomo. Tra la metà degli anni ‘40 e la metà degli anni ‘50 del XX secolo, lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di “Hierarchy of Needs” (ovvero Gerarchia dei Bisogni) che venne enunciato Desmond Morris, La scimmia nuda, edizione italiana 2017, p. 201. 36 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 rinoceronti etc.). Nel Mesolitico, in cui si registrò un sostanziale riscaldamento del clima, le prede divennero più piccole (cervi, cinghiali, lepri etc.) e incrementò anche l’interesse per la pesca. Quindi nel Neolitico, agli albori della civiltà, con la nascita delle città, divennero fondamentali allevamento e agricoltura. È la cosiddetta “rivoluzione neolitica”3: questa fu la prima delle grandi formalmente nel suo libro Motivation and Personality del 1954. Per “bisogni” egli intendeva tutte le esigenze psico-biologiche irrinunciabili che vanno soddisfatte al fine di sopravvivere: crescere, esprimere i propri talenti, realizzare il proprio destino. Questa scala di bisogni fu suddivisa dal suo autore in cinque differenti livelli, dai più elementari ai più complessi, ed è internazionalmente conosciuta come Piramide di Maslow2 (fig. 1): • • • • • M. Indelicato Bisogni fisiologici; Bisogni di sicurezza; Bisogni di appartenenza; Bisogni di stima; Bisogni di realizzazione di sé. In questa sede, è solo il primo livello a destare l’interesse, ovvero i bisogni fisiologici che stanno alla base di questa piramide ideale, cioè: la respirazione, il nutrimento (acqua e cibo), l’eliminazione delle scorie, il riposo e la riproduzione. Nella scala delle priorità i bisogni fisiologici sono i primi a dovere essere soddisfatti in quanto alla base di essi vi è l’istinto di sopravvivenza, il più potente e universale motore dei comportamenti sia negli uomini che negli animali. Per soddisfare il primo dei bisogni fisiologici – quello di nutrirsi – per qualche milione di anni i frutti, le foglie e i semi hanno fornito all’uomo preistorico le calorie e le sostanze essenziali alla sopravvivenza; in questo i primi rappresentanti del genere Homo erano del tutto simili agli animali (FLANDRIN, MONTANARI 1997, p. 5). A questa alimentazione vegetale se ne affiancò, molto probabilmente un’altra di tipo carneo anche se non sappiamo con certezza se i primi ominidi fossero cacciatori o, piuttosto, mangiatori di carogne in competizione con altri predatori. Comunque sia, dal Paleolitico inferiore, in Europa, la caccia e il consumo di carni hanno cominciato a essere preponderanti: in quest’epoca, stando ai dati paleontologici, erano abbondanti i grossi mammiferi (orsi, elefanti, Figura 1: La Piramide di Maslow che illustra la gerarchia dei bisogni umani. rivoluzioni4 che si sarebbero succedute nella storia dell’umanità e ne avrebbero cambiato il corso. Oggi è comunemente accettato che queste innovazioni nelle tecniche agricole e di allevamento non ebbero luogo in un singolo momento, ma che, in realtà, il cambiamento fu progressivo: infatti, i cacciatori-raccoglitori, che erano già organizzati in bande nomadi di qualche decina di individui, con l’incremento della complessità sociale si costituirono in comunità stanziate in villaggi e, dopo un periodo di transizione, impararono a sfruttare attivamente il territorio. Questi fenomeni, come è noto, avvennero in periodi diversi in varie aree del mondo (fig. 2) e portarono alla transizione da un’economia di sussistenza basata su caccia e raccolta, all’addomesticazione di animali e alla selezione e coltivazione di piante5. Le più antiche tracce di questa transizione sono state trovate nel Vicino Oriente 2 Non sono mancate le critiche successive a questa scala di identificazione, perché, a detta di altri studiosi, semplificherebbe eccessivamente i bisogni dell’uomo e, soprattutto, il loro livello di importanza. Tuttavia, in questa sede, la piramide illustra bene la fondamentale importanza dell’alimentazione per la vita umana, naturale o associata. 3 Questa definizione, oggi anche controversa e rivisitata, fu introdotta dall’archeologo Vere Gordon Childe (The Dawn of European Civilization, 1925) che vedeva una spinta verso questo cambiamento alla nascita dei primi insediamenti stabili e ad un abbozzo di stratificazione sociale. 4 Le altre due grandi “rivoluzioni” che scandiscono il corso della storia sarebbero quella “urbana”, sempre nel Neolitico, e quella “industriale”, avvenuta tra XVIII e XIX secolo. 5 In realtà non sappiamo se, rispetto alla caccia-raccolta, fu davvero un vantaggio coltivare e allevare: interessanti spunti di riflessione possono venire dalla lettura del volume (2011) dello storico israeliano Yuval Noah Harari: Sapiens. Da animali a déi (edizione italiana del 2019, in particolare le pagine 57-85). 37 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 (nell’area della cosiddetta “mezzaluna fertile”) e risalgono al X millennio a.C. circa. Da questo momento in poi ogni popolo ha iniziato a compiere le proprie scelte alimentari spesso influenzate dalla disponibilità di cibo e, solo in un secondo momento, da forme primitive di religiosità (FLANDRIN, MONTANARI 1997, p. 8). M. Indelicato greco-romana, quindi, appare chiaro che l’agricoltura ha un ruolo preponderante, infatti «[…] capire che cosa e come si mangiasse in Grecia e a Roma significa dunque affrontare in un’ottica diversa e complementare la storia dell’agricoltura» (MARCONE 1997, p. 75). Principale attività economica del mondo antico (e sarà così almeno fino al XVII secolo) e base essenziale per la produzione alimentare, l’agricoltura non fu mai considerata una vera e propria arte da greci e romani. Nonostante ciò la pratica agricola costituì, nell’immaginario grecoromano, la virtuosa integrazione tra sapere pratico (τέχνη) e natura (φύσις) (LELLI 2010, p. VII). Mediante il lavoro agricolo l’uomo interagisce con la natura e si guadagna il proprio sostentamento. Anche Socrate, protagonista del dialogo di Senofonte Οἰκονομικός, dice: «[…] l’agricoltura è madre e nutrice delle arti»7. Lo stesso Senofonte, inoltre, ricorda8 il fondamentale ruolo dei regni orientali nella sperimentazione e nello sviluppo delle tecniche agricole più innovative e sofisticate facendo così risuonare, in epoca storica, un’eco delle più remote origini dell’agricoltura. L’importanza dell’agricoltura è testimoniata, infine, dall’intenso fiorire di una vera e propria letteratura agronomica in età classica, in particolare nel mondo romano che recepì gli insegnamenti agronomici dei popoli sottomessi, soprattutto punici e greci. Alcuni di questi testi, dimenticati a volte in età tardoantica, saranno riscoperti nel tardo medioevo e i loro precetti saranno letti e applicati fin quasi ai giorni nostri (MARCONE 1997, p. 205). Figura 2: Mappa del mondo che mostra, approssimativamente, i centri di origine dell’agricoltura tra 10000 e 4000 anni fa. La scoperta del fuoco, avvenuta tra 500.000 e 300.000 anni fa dopo un cammino di sperimentazione durato probabilmente oltre 50.000 anni, rese l’umanità capace di cucinare i cibi che la natura gli forniva6. Da allora, tutte le operazioni che si compiono sugli alimenti – cuocere, condire, marinare, macinare, affettare, macellare, per citarne alcune – hanno avuto la funzione primaria di rendere gli alimenti più digeribili e commestibili migliorandone il gusto (FLANDRIN, MONTANARI 1997, p. 9). Accanto alle operazioni ‘ai fornelli’, l’umanità affinò sempre più anche le proprie tecniche agricole in modo tale da raccogliere e produrre alimenti sempre più adatti al consumo umano e sempre più vicini al gusto e ai costumi alimentari delle varie popolazioni. Nel bacino del Mediterraneo questa tendenza alla specializzazione colturale ha portato, in estrema sintesi, al perfezionamento delle colture della cosiddetta triade mediterranea, ovvero cereali, vite e olivo. Questi prodotti hanno costituito il fondamento dello sviluppo della civiltà proto-urbana e anche la base tradizionale dell’economia e dell’alimentazione della Grecia prima e di Roma poi per giungere, in varie forme in area mediterranea, fino a epoca recente. Parlando di civiltà 2. Definire l’archeologia dell’alimentazione. Tutte le forme dell’alimentazione umana qui brevemente descritte hanno lasciato traccia nei giacimenti archeologici di tutto il mondo in vario modo. A queste tracce, da qualche tempo si è rivolta l’attenzione degli archeologi, anche in Italia, sebbene in modo non sistematico e continuativo. Come è noto, esiste da tempo una storia dell’alimentazione. Già alla fine del XIX secolo, infatti, Henri Boudreau asseriva che «per la scienza esatta dei fatti umani, il menu di un pasto è più istruttivo di una narrazione di fatti di guerra, un libro di cucina più di 6 Sul tema della cottura dei cibi e delle motivazioni profonde ad essa sottese può essere interessante leggere il capitolo dedicato all’alimentazione nel celebre libro (1967) dello zoologo inglese Desmond Morris, La scimmia nuda (edizione italiana del 2017, pp 201-215). 7 Senofonte, Oec. V,17. 8 Senofonte, Oec. IV,4-25. 38 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato storiografico il tema dell’alimentazione in termini specificatamente storici. Egli avviò uno studio minuzioso e preciso delle fonti e dimostrò una particolare attenzione alla dimensione sociale delle problematiche alimentari (MONTANARI 1984, pp. 130131). una raccolta di atti diplomatici, una statistica di alimenti più di una relazione di intrighi di corte» (BOUDREAU 1894, p. 5). A lungo, tuttavia, lo studio dell’alimentazione antica è stato relegato ai margini della ‘grande’ storia e mantenuto a distanza, sul piano dell’aneddotica e della curiosità di costume (MONTANARI 1984, p. 129). È solo a partire dai primi decenni del XX secolo che ha preso vita una linea di ricerca più consapevole nell’approccio alla storia dell’alimentazione: infatti, è dalla metà degli anni ‘20 che si comincia a dare alle stampe opere con un vero e proprio carattere storiografico sull’alimentazione. Del 1926 è l’Histoire de l’alimentation végétale: Depuis la préhistoire jusqu’à nos jours di A. Maurizio, stampata a Varsavia, in cui l’autore propone una storia dei prodotti del suolo che sono commestibili per l’uomo. Circa un decennio dopo, nel 1937, vede la luce, a opera degli inglesi Anne Wilbraham e J.C. Drummond il libro The Englishman’s Food: Five Centuries of English Diet un grande compendio su cinque secoli di storia dell’alimentazione del popolo inglese. Dello stesso anno è Wandlungen des Fleischverbrauchs und der Fleischversorgung in Deutschland seit dem ausgehenden Mittelalter9, di W. Abel il quale rifletteva sui cambiamenti sul consumo di carne in Germania nel corso della storia. Nello stesso periodo, in Francia, comincia a nascere l’interesse per le cucine regionali, su impulso di Lucien Le Febvre (MONTANARI 1984, p. 130) fondatore, nel 1929, insieme a Marc Bloch, della rivista storica Annales d’histoire èconomique et sociale. Questo tipo di interesse intendeva, rispettando il rigore storiografico, riscoprire e recuperare il valore etnografico delle tradizioni alimentari per lo studio non solo della storia ma anche, e soprattutto, delle società. In Italia l’interesse per la storia dell’alimentazione nasce precocemente anche rispetto a quanto appena illustrato nel panorama europeo. Infatti, è nel 1923 che Luigi Messedaglia10 pubblica il suo Il mais e la vita rurale italiana: si tratta di una magistrale sintesi di storia agraria, sociale e alimentare a cui fece seguito, nel 1932, la raccolta di saggi Per una storia dell’agricoltura e dell’alimentazione. Messedaglia, che proseguì costantemente i suoi studi fino agli anni ‘50, fu il primo ad affrontare con consapevolezza e rigoroso metodo Nel secondo dopoguerra, in Europa, due ulteriori iniziative hanno contribuito all’affermazione della storia dell’alimentazione. In primo luogo la creazione, a Varsavia, nel 1953, dell’Istituto e della Rivista di Storia della Cultura Materiale che hanno riservato all’alimentazione una parte di rilievo. In secondo luogo, l’avvio, nel 1961, da parte della rivista “Annales” di un’inchiesta sulle vie matérielle che è culminata con la pubblicazione, nel 1970, di uno studio sull’alimentazione della Provenza bassomedievale. La lezione maturata dalla cosiddetta scuola francese ha influenzato, maggiormente di quella polacca, gli storici italiani contribuendo alla rinascita dell’interesse, anche nel nostro paese, verso i temi dell’alimentazione. Fu quindi riscoperto Messedaglia e si cominciò a dare vita a un numero sempre maggiore di convegni e incontri sul tema dell’alimentazione (con particolare attenzione al medioevo) che hanno dimostrato la forte capacità aggregativa del tema e hanno evidenziato la necessità che su questo convergano studi e discipline diverse (MONTANARI 1984, p. 133). Ha preso vita, quindi, un vero e proprio movimento culturale che tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80 del XX secolo ha iniziato anche un percorso accademico per giungere, oggi, alla sua formalizzazione. In essa si sono concretizzati i confronti più serrati tra ricercatori di diversa formazione (storici, etnografi, etnologi, sociologi) (MARIOTTINI, SALVADORI 2012, p. 69). Questo campo di ricerca è ormai comunemente accettato, così da poter affermare che «la storia dell’alimentazione ha l’ambizione di toccare ogni aspetto dell’azione e del pensiero umano» (FLANDRIN, MONTANARI 1997, p. X). Nonostante gli storici facciano ormai abitualmente riferimento a studi sui costumi e sulle pratiche alimentari, oggi non si parla altrettanto normalmente di archeologia dell’alimentazione. A cominciare dal termine stesso, c’è ancora molta confusione nella 9 Contenuto in «Berichte über Landwirtschaft : Zeitschrift für Agrarpolitik und Landwirtschaft», n.s. 22/3, 1937, pp.411-452. Luigi Messedaglia (1874 -1956) dopo aver concluso gli studi liceali, durante i quali aveva maturato una viva attrazione per gli studi umanistici e storico-letterari, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia; dal primo dopoguerra abbandona la medicina per dedicarsi prima all’impegno politico in Veneto, in cui fu eletto sia deputato che senatore, e poi agli studi eruditi rivolgendo la propria attenzione, oltre che all’agronomia storica, in particolare al rapporto tra agricoltura e medicina sociale. 10 39 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato studio archeologico stricto sensu dell’alimentazione umana nella storia, solo per citare le principali: l’archeobotanica che consente di identificare e studiare le specie vegetali che, in vario modo, hanno contribuito a nutrire l’umanità si dalle sue più remote origini; l’archeozoologia che, attraverso lo studio dei resti zoologici, permette di conoscere e ricostruire lo sviluppo della capacità umana di mangiare altri animali e le tecniche impiegate per preparare e utilizzare i tessuti animali a uso alimentare; l’archeometria che, attraverso un’ampia serie di analisi chimico-fisiche consente di individuare e analizzare anche i più piccoli residui organici; l’etnografia che permette di vedere e studiare “dal vivo” comportamenti umani utili a comprendere gli analoghi comportamenti antichi (nel nostro caso alimentari). Accanto a queste discipline afferenti all’archeologia, anche l’archeologia sperimentale può giocare un ruolo importante nella ricostruzione, nell’interpretazione e nella comprensione dei modi di produrre il cibo nel passato. Oltre a quelle menzionate, però, l’archeologia sperimentale può servirsi di ulteriori discipline come la traceologia11 e la litotecnica12. Come è ovvio, non si può pensare che con la sperimentazione si possa rispondere all’enorme mole di domande che questa complessa materia pone. Tuttavia, attraverso l’archeologia sperimentale, praticata e documentata secondo un preciso e rigoroso metodo scientifico, si può ritenere possibile approfondire le tematiche sull’alimentazione antica e progettare molteplici ricerche nei numerosi ambiti di indagine che sono a disposizione. L’archeologia sperimentale, inoltre, permette di ottenere informazioni che ci aiutano a comprendere la funzione e le modalità d’uso degli oggetti, l’organizzazione delle pratiche e delle tecniche (di caccia, di allevamento, agricole, culinarie etc.) ma anche la programmazione della sussistenza e dello sviluppo delle comunità antiche (CARRA, CATTANI, DEBANDI, 2012, pp. 80-81). definizione della disciplina (MARIOTTINI, SALVADORI 2012, p. 69). Infatti, al pari della storia dell’alimentazione, non si tratta di una disciplina unica ma di un’ampia categoria di studi nella quale convergono diversi ambiti disciplinari spesso distinti – in parte o totalmente – sia nei metodi che nei materiali oggetto di studio. È chiaro che l’oggetto generale del suo studio deve essere l’alimentazione, però possono essere compresi al suo interno tutti quei settori di ricerca e d’indagine che producono informazioni in qualche modo attinenti all’alimentazione. Le varie discipline divengono, pertanto, gli strumenti di ricerca attraverso i quali studiare ed approfondire i caratteri dei costumi alimentari delle società antiche. Essa, quindi, dovrebbe indagare tutto ciò che l’alimentazione produce in quanto espressione antropologica – cioè culturale, economica, sociale e cultuale – e tutto ciò di cui rimangono le tracce materiali nei depositi archeologici che sono espressione di tali costumi, in altre parole, i resti della cosiddetta cultura materiale. Altre operazioni connesse all’alimentazione, tuttavia, sono più complesse da indagare. Ad esempio i residui delle attività agro-pastorali: le tracce di queste attività umane, infatti, sono estremamente difficili da indagare perché causano variazioni e modificazioni diffuse sul territorio (GIANNICHEDDA 2006, pp. 13-14). Ancora più difficili e più evanescenti nel record archeologico sono le testimonianze riferibili alla caccia-raccolta (GIANNICHEDDA 2006, p. 13). L’archeologia dell’alimentazione, ancora ben lungi dall’essere comunemente accettata e discussa, ha molte caratteristiche che possono farla diventare, tuttavia, «un contenitore in cui possono convergere grandi masse di dati e soprattutto i risultati ottenuti da ricerche e quantificazioni degli stessi» (MARIOTTINI, SALVADORI 2012, p. 72). 3. Il ruolo dell’archeologia sperimentale Come si è visto, la storia dell’alimentazione trae i propri dati dalle discipline più diverse (etnologia, etnografia, storia, sociologia). Allo stesso modo, numerose sono le discipline che hanno contribuito allo sviluppo dello 11 La traceologia, o analisi delle tracce, è un metodo utilizzato in archeologia per analizzare i segni lasciati dall’uso sugli strumenti costruiti dall’uomo e impiegati nelle più svariate tecniche. In particolare, l’analisi si basa sull’analogia tra le tracce riscontrate sui manufatti antichi e quelle riportate da strumenti ricostruiti e usati sperimentalmente. 12 La litotecnica studia e, nella maggior parte dei casi riproduce sperimentalmente, la tecnica di incisione, scheggiatura e lavorazione delle pietre, specialmente in riferimento alla costruzione di strumenti da taglio, caccia e raccolta delle culture preistoriche. 40 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 Numerose sono, da allora, le esperienze correlate all’alimentazione umana nate e condotte in ambito accademico in diverse università e enti di ricerca europei. Nel vasto repertorio bibliografico disponibile, è possibile spaziare dalle ricerche sulla cucina nella preistoria con gli interessanti studi sperimentali di Jacqui Wood, sulla cucina nella preistoria (WOOD 2001) e sul gusto nell’antichità (WOOD 2009) fino alle tecniche di coltivazione antiche su cui sono state realizzate diverse sperimentazioni: si ricordano, per citare gli esempi più rilevanti, le sperimentazioni in Inghilterra nella Butser Farm (REYNOLDS 1992), in Danimarca nel parco di Lejre (Lejre Experimental Centre saves endangered species), in Francia nel centro di Jales (WILLCOX 1999), o in Spagna nel sito medievale di l’Esquerda a Roda de Ter, Osona (OLLICH et alii 2011). Per l’età storica, invece, è possibile menzionare alcune grandi esperienze di studio delle tecniche agricole antiche e dei modi di produzione, ad esempio, del vino, soprattutto nel mondo romano. Infatti, l’interesse per le tecniche di coltivazione della vite è al centro delle ricerche del Musée Gallo-Romain St Romain en Gal nei pressi dell’odierna Vienne, sul Rodano13. Qui si trova una delle più grandi collezioni dedicate alla civiltà galloromana in Francia oltre a sette ettari di resti archeologici – portati alla luce a partire dal 1967 – della ricca zona residenziale dell’antica colonia romana di Vienna da dove transitavano merci tra il nord e le province del Mediterraneo. In questo eccezionale contesto archeologico il museo ha, pertanto, raccolto più di 300 vitigni di quindici diverse varietà che figurano tra le più antiche in Francia ed ha impiantato una vigna romana coltivata in sei diverse modalità di “allevamento” documentate in epoca romana. Anche in Spagna ha preso vita un parco archeologico denominato Cella Vinaria, costruito vicino nel sito archeologico di Vallmora in Catalogna. Le strutture qui scavate e documentate tra 1999 e il 2005 corrispondono a un centro romano di produzione di vino in funzione dal I secolo a.C. al V secolo d.C. Si è così sviluppato a partire dal 2003, un progetto che comprende sia il restauro dei resti archeologici sia lo studio funzionale e la ricostruzione in situ di due grandi presse da vino a leva romane. Il progetto include anche lo sviluppo sperimentale di una vigna romana in cui riprodurre le diverse tecniche di impianto e di coltivazione della vite (MARTIN OLIVERAS 2013). 4. Le esperienze italiane 4.1 – Uno sguardo all’Europa “Tra le forme di sperimentazione meno convenzionali vanno citate quelle sulle antiche tecniche di coltivazione e preparazione dei cibi […]”. Con queste parole, nel 2001, alcuni archeologi descrivevano brevemente l’esperienza italiana nello studio e nella produzione sperimentale di cibo antico (BELLINTANI et alii 2003, p. 84). L’occasione per questa brevissima riflessione fu il convegno Archeologie sperimentali: metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione tenutosi nel settembre 2001 a Comano Terme e Fiavè (TN). In quella che può essere considerata la prima riflessione ragionata sullo stato di salute dell’archeologia sperimentale nella realtà accademica italiana, trovava posto, in queste poche righe, anche l’archeologia dell’alimentazione. La brevità di queste considerazioni era data, forse, dallo scarso interesse allora dimostrato, nel nostro paese, per questo tipo di sperimentazioni. Oggi, a quasi vent’anni da quel convegno, è forse opportuno, oltre che possibile, provare a valutare quanto l’archeologia sperimentale abbia trovato impiego nelle ricerche sull’alimentazione umana nel panorama scientifico italiano. In sintesi, nonostante si siano moltiplicati, a livello universitario, i corsi di archeologia sperimentale ai vari livelli della formazione previsti dalle varie riforme, ancora pochi appaiono in Italia gli esperimenti archeologici finalizzati allo studio sperimentale dell’alimentazione antica. Diverso è il quadro in Europa: infatti, già dalla metà del XX secolo in molti paesi, soprattutto del nord del continente europeo, hanno preso il via studi legati all’alimentazione antica. Una panoramica su questo tipo di studi – oggi un po’ datata – fu redatta dal pioniere dell’archeologia sperimentale in Europa, John Coles, già sul finire degli anni ‘70 (COLES 1981, pp. 13-48). Egli distinse in diverse categorie i vari esperimenti archeologici relativi alla produzione di cibo: • • • • • 13 M. Indelicato Diboscamento e coltivazione; Aratura; Mietitura; Immagazzinamento del cibo; Preparazione e consumo del cibo. Un resoconto delle attività del museo si trova sul sito: http://musee-site.rhone.fr/ (ultima consultazione 26 febbraio 2020). 41 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 cucina (ricette antiche, tecniche di cottura, procedimenti e preparazioni, etc.). Da questa breve carrellata è possibile notare che è ampio l’interesse per questo tipo di studi e numerose altre sono le esperienze tentate dai più diversi enti e gruppi di ricerca sparsi un po’ ovunque nel continente europeo. È possibile ampliare ancora l’orizzonte giungendo alle ricerche più avanzate in Europa consultando il sito di EXARC (European Exchange on Archaeological Research and Communication) l’associazione che nell’ultimo ventennio si è occupata di censire, studiare e coordinare le attività di sperimentazione archeologica a livello europeo e, da un paio d’anni, anche a livello globale, vista l’autorevolezza scientifica a cui è giunta nel tempo14. 4.2 – Spunti per un’analisi Figura 4: Ripartizione delle finalità delle ricerche sperimentali sull’alimentazione antica. Intendendo, quindi, con alimentazione un vasto campo di indagine che spazia, come si è visto, tra le discipline e negli ambiti più diversi, si è provato, in questa sede, a costruire ed offrire un quadro di riferimento utile a comprendere quanti esperimenti archeologici possano, oggi, essere riferiti allo studio dell’alimentazione dal punto di vista dell’archeologia sperimentale nel contesto accademico-scientifico italiano. Sono stati tralasciati, in questo studio, gli aspetti legati alla convivialità. Non mancano infatti, in Italia, numerosi esempi di rievocazioni storiche, feste, eventi di ricostruzione gastronomica e culinaria che si rifanno a un passato più o meno antico ma che, tuttavia poco hanno a che fare con la ricerca scientifica in senso stretto o con la divulgazione scientifica (BOLDRINI 2015). Inoltre, è stato possibile appurare che le ricerche archeologiche e sperimentali nel campo dell’alimentazione, effettuate fino ad oggi in Italia sono poco frequenti e, molto spesso, conseguenza e corredo di studi più tradizionali. Seguendo, pertanto, questo quadro di riferimento, è stato possibile individuare una ventina di esempi di archeologia sperimentale applicata allo studio dell’alimentazione del passato. A parte qualche sparuta esperienza pioneristica condotta alla fine degli anni ‘80 e tra i primi anni ‘90 del XX secolo, la quasi totalità di queste esperienze è stata realizzata a partire dai primi anni del XXI secolo, in particolare a partire dal secondo decennio. Di questi esempi, in poco meno della metà dei casi l’archeologia sperimentale è la materia principale. In tutti i casi, comunque, gli esperimenti archeologici sono guidati o supportati da numerose altre discipline scientifiche tra le quali spiccano l’archeobotanica e l’archeozoologia (fig. 3). Non meno utilizzati come supporto alla ricerca sono anche lo studio delle fonti, la litotecnica e l’indagine archeologica. In due terzi dei casi, il tipo e le finalità della ricerca sono scientifici mentre negli altri casi la finalità principale è la didattica – o la divulgazione – a vari livelli (musei, parchi archeologici, associazioni etc.) (fig. 4). Tra gli enti Figura 3: Le discipline afferenti all’archeologia sperimentale ed utilizzate negli esperimenti sull’alimentazione antica. Per tracciare il quadro di riferimento per selezionare gli esperimenti archeologici che, in vari modi, hanno indagato (o stanno indagando) sull’alimentazione antica ci si è serviti, come linea guida, di alcune considerazioni già parzialmente emerse nell’introduzione. Come accennato, infatti, due aspetti sono rilevanti e guidano i comportamenti alimentari dell’uomo: da un lato il reperimento degli alimenti (caccia, raccolta, mietitura, conservazione, stoccaggio, pratiche agricole, tecniche di macellazione etc.) e dall’altro le pratiche e le tecniche di 14 M. Indelicato Si può consultare il seguente link: https://exarc.net/keywords/food (ultima consultazione il 26 febbraio 2020). 42 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato coinvolti, il ruolo delle Università è preponderante in oltre la metà dei casi (fig. 5): molto presenti appaiono anche i parchi archeologici che utilizzano il potenziale attrattivo delle pratiche sperimentali per coinvolgere il loro pubblico in vere e proprie esperienze di vita nel passato. Altri enti pubblici di ricerca si sono approcciati da poco a questo tipo di studi e spesso in collaborazione con esperti di associazioni esterne. Figura 6: Tipi di tecnica studiata negli esperimenti sull’alimentazione antica. Figura 5: Tipi di ente sull’alimentazione antica. coinvolti nelle Il quadro che emerge è quello di una metodologia d’indagine, l’archeologia sperimentale, che nel campo dell’archeologia dell’alimentazione sembra faccia ancora fatica ad affermarsi in ambito accademico nonostante sia ormai una metodologia consolidata a livello internazionale e nonostante sia applicata con successo sia all’indagine archeologia con finalità scientifiche sia alla ricostruzione del passato anche con obiettivi divulgativi. sperimentazioni La maggior parte degli studi (circa l’80%) si è concentrato sugli alimenti e soltanto pochi altri hanno puntato l’attenzione sugli aspetti relativi alla ricostruzione e allo studio della cucina antica. Oltre un terzo degli studi individuati, inoltre, hanno puntato l’attenzione sull’analisi delle pratiche e delle tecniche agricole del mondo antico (fig. 6). Invece, quasi due terzi di queste esperienze si sono interessati di epoca preistorica (fig. 7) e hanno interessato tutte le epoche e i contesti del Paleolitico, del Mesolitico, del Neolitico, delle età del Rame, del Bronzo e, in parte, del Ferro. Soltanto in un caso l’indagine, peraltro non esclusivamente sperimentale, ha interessato un arco di tempo molto ampio dalla preistoria all’età medievale. Solo due esperienze, di cui una molto recente, hanno interessato l’epoca medievale. Risultano, altresì, non essere studiate alcune epoche (come l’età del Rame) e alcune civiltà come quella etrusca o quella magnogreca. 4.3 – Gli studi Per chiarezza espositiva e per garantire una migliore semplicità di lettura gli esperimenti archeologici alimentari che sono stati individuati all’interno del panorama accademico italiano, vengono descritti di seguito seguendo l’ordine cronologico per il periodo storico (Preistoria, Età classica, Medioevo) a cui si riferisce la ricerca sperimentale. Per ciascuna epoca, inoltre, sarà distinto l’ambito di riferimento (alimenti o cucina). Figura 7: Epoche di riferimento delle esperienze archeologiche sull’alimentazione antica. 43 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 4.3.1 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – Paleolitico. M. Indelicato 2 – Il Museo delle Origini dell’Università La Sapienza di Roma ha messo a punto, a partire dalla fine del XX secolo, una serie di manufatti (falcetti, raschiatoi, punte di freccia etc.) realizzati e custoditi all’interno di una cosiddetta collezione di confronto che sono stati impiegati per effettuare vari tipi di attività didattiche e per lavorare materiali animali e vegetali (e anche minerali) a fini alimentari. Una prima serie di esperimenti, curati per l’esecuzione di alcune tesi di laurea (CRISTIANI 2001), è stata condotta per creare una base di partenza per la creazione di successivi approcci (MANFREDINI et alii 2003). Questa peculiare istituzione museale universitaria intendeva porsi come cardine nel rapporto tra pubblico e ricerca scientifica utilizzando l’archeologia sperimentale sia come strumento didattico nell’attività accademica, sia come strumento di divulgazione al pubblico non specialista. 1 – Alla metà degli anni ‘90, grazie ai materiali del sito Paleolitico di La Pineta (Isernia, Molise) è stata svolta un’approfondita ricerca sulle catene operative, le tecniche di macellazione e sulla fratturazione intenzionale delle ossa nel sito archeologico. Per la prima volta in Italia, si è qui tentato un approccio olistico al contesto archeologico. Sono stati effettuati esperimenti di macellazione su ossa animali (fig. 8) per confrontare le tracce d’uso sugli strumenti e le tracce di impatto sulle ossa e poter così risalire alle abitudini alimentari. La ricostruzione della catena operativa, infatti, in un primo momento fornisce dati molto utili per comprendere l’utilizzo degli attrezzi. La verifica sperimentale è servita, quindi, per mettere in relazione i manufatti con il loro effettivo utilizzo su vegetali e materie molli animali come desunto dall’analisi archeobotanica ed archeozoologica. Il tutto concorre all’interpretazione comportamentale delle strategie di sussistenza dei cacciatori-raccoglitori vissuti nella preistoria in quel territorio (CROVETTO et alii 1994, LONGO 1994, LONGO, IOVINO 2003). 4.3.2 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – Mesolitico. 1 – Gli archeologi del laboratorio di paletnologia dell’Università di Trento hanno portato avanti, agli inizi del XXI secolo una serie di esperimenti relativi ad alcuni particolari manufatti del periodo mesolitico. Infatti, le punte microlitiche del Mesolitico (in particolare quelle a due margini), vengono spesso considerate come punte di freccia per l’attività venatoria. La serie di prove messe in atto dal laboratorio è servita ad appurare le potenzialità balistiche di questi manufatti. Le prove eseguite hanno consentito agli sperimentatori di appurare che, molto probabilmente, queste punte, di dimensioni molto piccole, erano montate su frecce che non avevano finalità venatorie (data la loro scarsa capacità penetrativa) ma quella di ‘pungoli’ per spingere le prede nella direzione voluta dal gruppo di caccia (DALMERI, GRIMALDI 2002). 4.3.3 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – Neolitico. 1 – Sul finire degli anni ‘80 del XX secolo, dopo diversi decenni di scoperte e indagini sui cosiddetti “fondi di capanna” relativi a contesti del Neolitico soprattutto in Italia settentrionale, l’Istituto Italiano di Archeologia Sperimentale si era posto l’obiettivo di interpretare la funzione e definire l’utilizzo di queste sottostrutture, identificate, tra le altre ipotesi, come sistemi drenanti, fosse di combustione, rifiutaie o fosse di macellazione. Attraverso confronti etnografici e ricostruzioni sperimentali avvenute a Vhò di Piadena (CR) il gruppo di ricerca ha potuto verificare le proprie ipotesi Figura 8: Prova di macellazione per lo studio dell’industria litica del sito paleolitico di Isernia - La Pineta (foto Università di Ferrara; da Bellintani et al. 2003, p.80, fig. 6-a). 44 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato 4 – A Pozzuolo nel Friuli (UD), sulla base dei dati ottenuti dallo scavo del sito Neolitico di Sammardenchia, gli archeologi del gruppo di ricerche storiche Aghe di Poç coordinati dall’archeologo Andrea Pessina, da qualche anno tentano di replicare la modalità di coltivazione nel Neolitico attivando numerosi progetti di didattica con le scuole che hanno incluso due campi sperimentali (di 2 m x 5 m e 1 m x 5 m) in cui sono stati coltivati orzo (Hordeum vulgare L. 1753 var. kezibia), frumento tenero (Triticum aestivum L. var. pandas), farro (Triticum dicoccum L.) e spelta (Triticum spelta L. var. altgold rotkorn), forniti dall’Istituto Sperimentale per la cerealicoltura di Sant’Angelo Lodigiano (LO). Inoltre, un’ulteriore collaborazione con l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente di Pozzuolo del Friuli ha permesso lo studio botanico delle sementi condotto nei laboratori e nelle serre del medesimo Istituto, attraverso l’utilizzazione, tra le altre, di tecnologie di microscopia digitale per lo studio e l’analisi della germinabilità e la prova di coltivazione in vaso. Gli alunni hanno potuto sperimentare personalmente le attività di raccolta dei frutti spontanei e di erbe da intrecciare, di costruzione di essenziali strumenti in selce e in legno; hanno successivamente dissodato con questi attrezzi un terreno e realizzato due campi (di cui uno di controllo) per la coltivazione dei grani misti. Utilizzando tecniche e materiali congrui all’epoca indagata, hanno quindi curato la semina e la cura del campo a cui ha fatto seguito la mietitura. A tutte queste attività tecnico-pratiche, si sono aggiunte anche quelle digitali con la realizzazione di una ricostruzione multimediale dell’evoluzione paesaggistica del territorio dal Neolitico ai giorni nostri, come conseguenza della nascita e dello sviluppo dell’agricoltura17. avanzando e avvalorandone una più precisa identificazione come silos di stoccaggio di cereali (CAVULLI 2003, GIANNITRAPANI, SIMONE, TINÉ 1990). 2 – Un tentativo di approccio sperimentale alle colture neolitiche fu messo a punto, nei primi anni 2000, in Sicilia, e fu realizzato dall’allora Centro Internazionale di Sperimentazione, di Documentazione e di Studio per la Preistoria e l’Etnografia dei popoli primitivi che aveva sede a Siracusa. Durante le attività sperimentali organizzate e portate avanti dal centro, furono delimitate tre aree di 4 m x 4 m e furono seminati, su file variamente distanziate diverse specie di cereali: il farro (Triticum dicoccum L.), l’orzo tetrastico (Hordeum vulgare L. 1753 var. tetrastichum) e, nell’area C, del piccolo farro (Triticum monococcum L.). Da questo esperimento sono venuti importanti dati sulla produttività delle coltivazioni cerealicole relative ai primordi dell’agricoltura (FERLISI et alii 2003). 3 – Nell’Archeoparc Val Senales in Alto Adige, dai primi anni del XXI secolo i campi sperimentali comprendono sia coltivazioni di cereali (orzo, farro grande, farro piccolo) sia di leguminose (lenticchie, piselli) o altre specie come il lino e il papavero. Una grande spinta verso questo tipo di sperimentazioni è venuta dal ritrovamento (nel 1991) del cosiddetto “uomo del Similaun”15 che ha evidenziato come l’uomo nel tardo Neolitico (o prima età del rame) conoscesse già un gran numero di piante utili e/o commestibili. Infatti, tra i soli materiali vegetali impiegati per costruire i suoi oggetti si contano una ventina di essenze legnose. Nelle aree all’aperto presenti nell’Archeoparc sono oggi visibili esemplari di ciascuna specie individuata con le indagini archeobotaniche. Nei campi e negli orti sperimentali, utilizzati per la quasi totalità a scopo didattico, crescono, inoltre, cereali e legumi coltivati sin dai tempi di Ötzi: orzo, farro piccolo, farro grande, lenticchie, piselli, fave, papaveri, lino e altre specie da raccolto o coloranti 16. 5 – Si ha, infine qualche notizia di attività sperimentali relative al Neolitico presso il parco archeologico di Travo (PC)18 e presso il parco del Livelet (TV)19 entrambi 15 Comunemente noto come Ötzi, come fu soprannominato da un giornalista che coniò un vezzeggiativo derivandolo dal luogo del ritrovamento, Ötztal nel Tirolo del Nord. 16 Per approfondire, si veda: https://www.archeoparc.it/it/visita/da-vedere/ (ultima consultazione il 19 dicembre 2019). 17 Per saperne di più: http://www.aghedipoc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=43&Itemid=231 (ultima consultazione il 19 dicembre 2019). 18 Per conoscere meglio questa realtà si può consultare il sito: http://www.archeotravo.com/archeotravo-parco-museoarcheologico-ricostruzione (ultima consultazione il 19 dicembre 2019). 19 Per maggiori informazioni, si consulti il sito https://www.parcolivelet.it/il-parco/il-villaggio-palafitticolo/ (ultima consultazione il 19 dicembre 2019). 45 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato realizzato anche un modulo dedicato alla coltivazione sperimentale dei cereali con l’obiettivo di verificare le problematiche relative alla produzione agricola nell’età del bronzo, dalle modalità di semina e di mietitura fino alla conservazione delle derrate (CARRA, CATTANI, DEBANDI 2012). 2 – Gli scavi nella collinetta di Montale (MO), iniziati nella seconda metà dell’800 e ripresi dopo oltre un secolo nel 1996, hanno portato alla luce i resti di una terramara21. Dopo le campagne di scavo e studio, l’area degli scavi è stata resa visitabile in uno spazio museale compatibile con il paesaggio naturale e storico circostante. Nel settore all’aperto del museo sono state impiantate le colture sperimentali di alcune delle piante documentate dagli stessi scavi archeologici: cereali (compresi avena, segale e miglio), legumi (favino, lenticchia, cicerchia, piselli) e lino. Inoltre, gli abbondanti ritrovamenti di reperti botanici hanno fornito informazioni utili per ricostruire l’aspetto del territorio di Montale nei secoli a cavallo del II millennio a.C.22. 3 – I reperti lignei relativi all’arcieria rinvenuti alla fine degli anni ‘90 nella palafitta di Fiavè23 sono stati studiati con attenzione nell’ambito di alcune ricerche di tipo funzionale e sperimentale. In una prima fase il lavoro ha riguardato le principali problematiche relative all’arcieria nell’età del bronzo del nord Italia; successivamente si è proceduto ad una nuova analisi dei reperti mirata al miglioramento della conoscenza delle tecniche di fabbricazione e di uso venatorio dell’arco e delle frecce. La fase sperimentale ha comportato la realizzazione delle repliche dei reperti, le prove di tiro e alcune osservazioni in merito (fig. 10). Dalle indagini condotte è stato ragionevolmente possibile supporre che l’arco in corniolo di Fiavè sia stato realizzato probabilmente con legno non stagionato, per ottenere un’arma perfettamente efficiente in poche ore di lavoro (BELLINTANI, BENINI, GONZALES 2003). con spazi riservati a coltivazioni sperimentali, ma presumibilmente destinati più ad una funzione didattica che ad un uso prettamente sperimentale. 4.3.4 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – età del Bronzo. 1 – Nell’ambito delle ricerche condotte nell’abitato dell’età del bronzo di Solarolo (RA) dall’Università di Bologna ‘20 è stata realizzata una sperimentazione di coltivazione dei cereali con lo scopo di approfondire le problematiche della gestione economica ed in particolare della produttività agricola antica (fig. 9). La coltivazione di sementi geneticamente non modificate, quindi il più possibile analoghe a quelle di età protostorica, ha permesso agli studiosi di affrontare la discussione sui vari aspetti tecnici, metodologici ed etnoarcheologici dell’agricoltura nell’età del Bronzo. Inoltre, nell’ambito del laboratorio di archeologia sperimentale è stato Figura 9: Abitato dell’età del Bronzo di Solarolo (RA), la preparazione del terreno con solchi distanziati (da CARRA, CATTANI, DEBANDI 2012, p. 8, fig. 6-a). 20 In particolare, sono stati avviati uno scavo stratigrafico e un Laboratorio di Archeologia Sperimentale presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna. 21 Nei primi decenni dell’ottocento il nome “terramare” era utilizzato per indicare cave di terriccio organico scavate entro basse collinette, molto frequenti nel paesaggio della pianura padana. Le collinette non avevano un’origine naturale e il terreno che le costituiva, spesso venduto per concimare i campi, era ricco di resti archeologici. Per lungo tempo questi resti furono attribuiti ad abitati o necropoli di età romana o celtica. Solo quando in Italia cominciarono ad intensificarsi le ricerche scientifiche di preistoria, ci si rese conto che la vera origine di queste collinette era attribuibile a villaggi dell’età del bronzo e da allora il termine terramara fu utilizzato dagli archeologi per indicare questi abitati. 22 Per conoscere meglio questa realtà museale: http://www.parcomontale.it/it/il-parco-archeologico/museo-allaperto (ultima consultazione 19 dicembre 2019). 23 Nello specifico, si trattava di un arco e alcune aste di freccia. 46 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato all’interno di contenitori utilizzati per l’alimentazione umana. Per raggiungere gli obiettivi generali sono stati impiegati, in una delle fasi del progetto, alcune riproduzioni di manufatti ceramici. Per simulare l’uso di un contenitore ceramico nell’antichità sono state eseguite diverse prove in laboratorio utilizzando recipienti porosi modellati a mano – sul modello di quelli rinvenuti nei contesti di riferimento – e cotti a circa 900°. I vasi sono stati realizzati presso il laboratorio di archeologia sperimentale del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento. Dentro i contenitori, pertanto, è stata effettuata la cottura di alimenti (fig. 11) ritenuti importanti fonti di nutrimento nell’antichità come riportato anche dalle fonti letterarie ed etnografiche: ruminanti, equidi, conigli, latte e legumi. La bollitura è durata per circa due ore all’interno dei contenitori ceramici. Oltre a fornire preziose indicazioni sulle modalità di campionamento delle ceramiche antiche gli esperimenti di cottura sono serviti principalmente a ottenere dei riferimenti gas cromatografici dei bio-markers delle singole sostanze organiche (NOTARSTEFANO 2012). Figura 10: Realizzazione di una replica dell’arco di Fiavè. Foto: Ornella Michelon (archivio Sopr.Arch.TN) (da BELLINTANI, BENINI, GONZALES 2003, p. 183, fig. 7). Figura 11: Prove di cottura su recipienti dell’età del ferro riprodotti sperimentalmente (Notarstefano 2012, p. 42). 4.3.5 – La Preistoria: ricerche sulla cucina – età del Ferro. 4.3.6 – La preistoria: ricerche sugli alimenti – Altri studi. 1 – La collaborazione attivata all’inizio del secondo decennio del XXI secolo, tra il Dipartimento di Beni Culturali e il laboratorio di chimica organica del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali (Di.S.Te.B.A.) dell’Università del Salento ha dato vita a un ampio progetto di ricerca sull’alimentazione antica che ha affrontato, come primo obiettivo, lo studio e l’analisi funzionale dei contenitori ceramici provenienti da contesti archeologici diversi (in particolare dell’età del Ferro). Attraverso questo tipo di studi è, infatti, possibile, contribuire alla ricostruzione delle modalità di preparazione e consumo di cibo nell’antichità. Tra i primi obiettivi è da menzionare l’applicazione della gas cromatografia associata alla spettrometria di massa per identificare i residui organici 1 – Agli inizi degli anni 2000, presso l’Università La Sapienza di Roma, sono stati effettuati alcuni esperimenti archeologici (da parte di M. Massussi) di lancio con propulsori preistorici ricostruiti in base a confronti e modelli etnografici di provenienza australiana. Il fine ultimo di questa sperimentazione non era quello di indagare direttamente le strategie di caccia degli uomini della preistoria; si trattava, infatti, di esperimenti funzionali alla messa a punto un database utilizzato per l’archiviazione dei dati etnografici da poter utilizzare per le riproduzioni sperimentali di cui servirsi per ricostruire gli usi alimentari della preistoria (MASSUSSI, LEMORINI 2003). 47 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 2 – Numerosi sono, ormai da anni, gli studi di Vittorio Brizzi24 sull’arco preistorico e sulla sua funzionalità (BRIZZI 2006) che sono serviti per la corretta interpretazione di rinvenimenti archeologici in diversi contesti territoriali: dall’arco alpino alla Sardegna. La sperimentazione balistica tradizionale, che mirava a verificare i risultati degli impatti sui proiettili litici da utilizzare per il raffronto con materiali archeologici, è sempre stata effettuata mediante tiri su carcasse o bersagli sostitutivi collocati a distanza variabile (comprese tra i 10 e i 20 m). M. Indelicato principali materie prime commercializzate nel periodo romano. L’elevata richiesta doveva incoraggiare la produzione dell’industria mineraria presente nel territorio della città di Agrigento. Per avere una stima approssimativa del fabbisogno di zolfo di un vigneto, gli autori della ricerca hanno tentato di riprodurre la ricetta di Catone per una miscela di zolfo, usata come insetticida. Infatti, nel De agri cultura25 (95) catoniano è possibile trovare la ricetta esatta per produrre una miscela usata sulle viti per sconfiggere un particolare tipo di insetto. I risultati della sperimentazione hanno permesso di valutare un fabbisogno di zolfo stimabile in circa 250 kg per ettaro. Da questi dati sperimentali, quindi, risulta abbastanza evidente che la richiesta di zolfo doveva essere molto consistente, tanto quanto quella del bitume, soprattutto dalle zone con maggiore produzione di vino. Oltre a questo è stato possibile conoscere alcune tecniche usate dai viticoltori romani per la salvaguardia dei vigneti contro i parassiti e che garantivano loro una migliore produzione di uva da vino (ZAMBITO, SPECIALE, 2017). Questa pratica evidenzia alcuni limiti dal momento che non sono mai stati considerati gli impatti dovuti a tiri effettuati a breve distanza, ove la meccanica vibrazionale della freccia all’impatto genera fratture ritenute di solito incidentali. Inoltre, in secondo luogo, finora, non si è quasi mai tenuto conto delle modificazioni che intervengono nel proiettile durante le fasi successive all’impatto sul bersaglio vivo causate, per esempio, dalla fuga dell’animale colpito, dal trasporto della carcassa e dalle operazioni di rimozione del proiettile (BRIZZI, LOI 2012). I protocolli sperimentali adottati non sono mai stati compiutamente omologati e alcuni elementi fondamentali, ad esempio i criteri che definiscono una solida unione tra asta del proiettile e armatura, non sono mai stati fissati in modo univoco. Di recente, l’esame di un campione di reperti archeologici rinvenuti nel sito Neolitico di Monte Santa Vittoria, in Sardegna, ha permesso agli studiosi di rilevare come gli indici diagnostici macroscopici sulle punte di proiettile, considerati validi dalla letteratura, potrebbero essere integrati con quelli provenienti dall’applicazione dei protocolli sopracitati (BRIZZI, LOI 2010). Come è ovvio, questo tipo di studi aumenta di molto la nostra 2 – Alla fine degli anni ‘90, nel parco archeologico di Pompei presero vita alcuni esperimenti di coltivazione della vigna nell’ambito urbano della cittadina distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.. Sebbene lontane dalla moderna e codificata prassi sperimentale in archeologia, tra queste esperienze iniziali possiamo annoverare i tentativi di recupero e reimpianto delle vigne urbane della cittadina campana, reso possibile grazie al grandioso e pregevole studio sui giardini – le vigne in particolare – della città vesuviana di W. Jashemsky (JASHEMSKY 1979). Infatti, dopo un puntuale e ben documentato scavo archeologico avvenuto negli anni ‘60, è stato possibile, in questo caso con l’ausilio di aziende private, reimpiantare una vigna nei pressi dell’anfiteatro26. Qui, con le stesse tecniche di coltivazione precedenti alla grande eruzione, ovvero l’elevata densità di impianto, filari sorretti da pali in legno piantati esattamente sulle impronte dei paletti rintracciate in corso di scavo e individuate per mezzo di calchi in gesso, sono stati impiantati alcuni vitigni autoctoni e ogni anno si tiene una vendemmia aperta al pubblico (CARBONNEAU, ROTUNNO 2000). Oltre agli conoscenza delle tecniche di caccia a scopo alimentare utilizzate nella preistoria. 4.3.7 – L’età classica: ricerche sugli alimenti – Età romana. 1 – Una ricerca indipendente ma nata comunque nell’ambito delle Università del Salento e quella di Messina, si è occupata di studiare l’impiego dello zolfo nell’agricoltura romana. Lo zolfo, infatti, era una delle 24 Dell’Università di Ferrara e membro di Paleoworking, una rete di laboratori dedicati alla ricerca, didattica e divulgazione dell’archeologia attraverso lo studio e la riproduzione di tecnologie primitive. 25 Scritto intorno alla metà del II secolo a.C. 26 Regio II, insula V. 48 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 numerosi attrezzi agricoli (INDELICATO 2014, INDELICATO, MALFITANA, CACCIAGUERRA 2017). In una seconda fase, invece, è stato approfondito lo studio dell’enologia dei romani (cioè l’insieme di operazioni che trasformavano l’uva in vino). Le strutture necessarie per questi processi, infatti, erano una parte importante nelle fattorie e ville romane. A partire dall’analisi dei resti scavati in numerosi siti in Italia è stato possibile ricostruire varie fasi della lavorazione. Inoltre, le analisi condotte su materiali ceramici provenienti da alcuni siti produttivi hanno consentito di riprodurre le tecniche di rivestimento dei vasi vinari e valutarne efficacia e impatto sulla produzione e sul gusto del vino. I dati archeologici, ancora una volta, sono stati integrati con le indicazioni dei testi degli agronomi romani. A partire da tutti questi dati, infine, è stato preparato un protocollo sperimentale di vinificazione e, successivamente, è stato avviato, nel settembre 2017, un esperimento di prima generazione (pilota) che ha prodotto il primo vino romano (INDELICATO 2017, INDELICATO c.s.) (fig. 13). Questo esperimento pilota sarà la base di successive ricerche che sono ancora in atto. aspetti didattici e divulgativi, questi studi hanno consentito, soprattutto, di verificare l’affidabilità di quanto riportato delle fonti antiche. Questi dati possono essere, quindi, utili come ausilio nelle sperimentazioni archeologiche sia sulle tecniche agricole sia per studiare i procedimenti di preparazione di pietanze e bevande particolari come il vino. Figura 12: La piccola vigna ‘romana’ sperimentale che sorge alle pendici orientali dell’Etna. 3 – A partire dal 2013, dalla collaborazione tra la cattedra di Metodologia, cultura materiale e produzioni artigianali nel mondo classico dell’Università di Catania e l’allora Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBAM-CNR)27, ha preso il via un ampio progetto di ricerca sulla vitivinicoltura romana in Sicilia. Questo progetto, ispirato dalla lettura dell’agronomo romano Columella, ha l’obiettivo generale di migliorare la conoscenza del ciclo di produzione del vino nel mondo romano (in particolare nel periodo compreso tra il I sec. a.C. - II secolo d.C.) dal momento che, tuttora, non esiste in Italia e nel mondo, uno studio che ne analizzi – soprattutto dal punto di vista sperimentale – l’intero processo produttivo. In una prima fase sono state indagate sperimentalmente le tecniche di piantumazione messe in atto in un piccolo vigneto impiantato alle pendici dell’Etna in territorio di Mascali (CT) (fig. 12). Pratiche e tecniche atte a riprodurre, in questa fase, le modalità di impianto di un vigneto della prima età imperiale romana. Tra le altre cose, grazie alle istruzioni dell’agronomo Columella è stato possibile individuare, ricostruire e impiegare 27 M. Indelicato 4.3.8 – L’età classica: ricerche sulla cucina – Età romana. 1 – A partire da una precedente ricerca archeologica tradizionale sulle anfore di epoca romana di Adria e sul contenuto che trasportavano, grazie alla collaborazione della Soprintendenza Archeologica del Veneto e del Centro Didattica (CeDi) Beni Culturali di Rovigo, l’archeologa Alessandra Toniolo, agli inizi del XXI secolo, ha potuto studiare e mettere a punto alcune ricette e alcuni procedimenti di epoca romana soprattutto con intento didattico non tralasciando, tuttavia, l’indagine sugli aspetti alimentari e socioeconomici connessi al consumo di cibo nel mondo romano (TONIOLO 2000, TONIOLO 2003). Oggi divenuto Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC-CNR). 49 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato medicina et de virtute herbarum che non ci è pervenuta integra ma di cui si trovano ampi estratti in altre opere (la più completa è nel IV libro della cosiddetta Medicina Plinii un’anonima raccolta latina di rimedi medici risalenti agli inizi del IV secolo d.C.). L’esperimento, eseguito seguendo puntualmente la fonte, è parzialmente riuscito, dal momento che gran parte del garum ottenuto è andato a male (probabilmente per un problema di gestione della temperatura o per una sbagliata concentrazione degli ingredienti), tuttavia ha contribuito a gettare nuova luce su questa salsa, onnipresente nella cucina romana (COMIS, RE 2003). 4 – Un’ulteriore esperienza ha avuto luogo all’interno di più ampie ricerche archeobotaniche condotte per diversi anni dal laboratorio di ricerche applicate dell’allora Soprintendenza Archeologica di Pompei – diretto dalla compianta biologa ambientale Annamaria Ciarallo. Nel parco archeologico di Pompei nel 2012 è stata effettuata una piccola sperimentazione per verificare la veridicità di quanto riportato in alcune fonti classiche e, soprattutto, dall’iconografia tipica di Dioniso con il capo cinto di corone di edera. Alcuni autori latini28 infatti citano l’uso delle stesse corone e foglie di edera come rimedio per assorbire i fumi dell’alcool. All’epoca le conoscenze empiriche dei viticoltori romani avevano portato a ritenere, infatti, tra le altre cose, che il legno di edera assorbisse il vino e non l’acqua e, pertanto, si utilizzavano dei recipienti in questo materiale per verificare che il vino non fosse annacquato. Sono stati quindi riprodotti dei recipienti utilizzando il legno di questa pianta è stato possibile verificare la veridicità delle conoscenze riportate degli autori antichi (CIARALLO 2012). Grazie a questo piccolo esperimento è stato possibile, quindi, riportare alla luce, dopo parecchi secoli, un semplice metodo per la verifica della qualità del vino che, sicuramente, doveva essere molto usato dai venditori e compratori di vino nel mondo romano. Figura 13: I due piccoli recipienti ceramici utilizzati nell’esperimento pilota di vinificazione secondo le tecniche romane. 2 – Nel 2003, grazie alla collaborazione tra ricercatori italiani indipendenti e l’Università di Exeter, in Inghilterra, è nata una ricerca sperimentale sul garum, la tipica salsa di pesce di epoca romana la cui produzione, oltre ad aver avuto un ruolo fondamentale nella cucina, ha sicuramente avuto un altissimo impatto socioeconomico. In questa ricerca, dopo una breve descrizione della salsa e della sua storia e dopo un focus sull’importanza di questa pietanza nella cucina romana, gli autori hanno tentato un esperimento preliminare basato su una ricetta di un autore tardo antico. La fonte utilizzata proviene da una raccolta di opere di carattere vario realizzate in epoca medievale; il suo presunto autore è Gargilius Martialis il cui nome è citato anche da altri autori moderni che si sono occupati della medesima materia nel passato. Egli fu uno scrittore attivo nel III secolo d.C. ricordato per la sua opera principale il De 28 4.3.9 – Il Medioevo: ricerche sugli alimenti. 1 – Un protocollo di intesa tra vari enti locali, fondazioni, banche e enti di ricerca – tra i quali era capofila l’Università di Siena – ha ideato e messo in pratica il progetto Senarum Vinea, conclusosi nel 2012. Questo prevedeva la ricostruzione del paesaggio urbano di Siena caratterizzato, specialmente in età medievale, Catone, De agri cultura, III; Plinio il vecchio, Naturalis Historia, XIV, 89, 137 e 144; XXIII, 42. 50 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato (Prototipo di Orto con Tecniche Altomedievali), il quale si pone l’obiettivo di studiare argomenti di agricoltura altomedievale su vasta scala. L’orto diviene quindi il primo tema che si svilupperà attraverso la metodologia dell’archeologia sperimentale e con gli obiettivi dell’archeologia pubblica29. Esso è in fase di realizzazione nell’Archeodromo di Poggibonsi, in cui è stata ricostruita la curtis carolingia del IX-X secolo, nelle forme in cui sembra essere attestata negli scavi archeologici della cittadina di Poggibonsi (VALENTI 2015). dagli horti conclusi nei conventi dove, ancora oggi, sopravvivono alcuni vigneti. Questi ultimi sono remoti testimoni di un grande patrimonio di biodiversità vegetale sul quale si sono costruiti secoli di storia dell’alimentazione cittadina e, in particolare, del vino senese. Il progetto ha cercato di ricomporre una storia della viticoltura praticata per secoli dentro le mura della città di Siena, ma che si è interrotta negli ultimi sessant’anni con l’avanzare dell’agricoltura meccanizzata e dell’omologazione del gusto e del paesaggio. I ricercatori si sono pertanto impegnati nel recupero di antichi vitigni, di forme tradizionali di coltivazione per instaurare un rapporto con il paesaggio agrario circostante e con l’idea di produrre un vino della città. Il progetto è culminato nel marzo 2012 con la piantumazione di una vigna antica presso l’Orto de’ Pecci, un antico parco urbano della moderna Siena (CIACCI, GIANNACE 2012). In questa vigna hanno trovato posto le antiche varietà di vite che è stato possibile selezionare grazie ad un lavoro di mappatura del genoma delle viti utilizzate oggi in Toscana. 4.3.10 – Ricerche diacroniche 1 – I pressoi litici della Sardegna costituiscono una parte fondamentale della filiera produttiva del vino nell’antichità sarda. Considerati spesso reperti meno nobili di altri, questi manufatti hanno goduto nel passato, nell’isola, di scarso interesse scientifico. Inoltre, gli esemplari giunti fino a noi, il più delle volte lacunosi e scollegati dal contesto di provenienza, pongono notevoli difficoltà di interpretazione tipologica e di datazione. Per tentare di fare chiarezza su questo argomento, presso l’Università di Sassari è nato un progetto di ricerca volto principalmente alla definizione di un repertorio tipologico-funzionale dei pressoi litici in particolare attraverso metodi di indagine quali l’archeologia sperimentale, l’etnoarcheologia e l’archeologia della produzione. I dati di questo lavoro, portato avanti, come accennato, anche con tecniche di archeologia sperimentale, hanno consentito di aprire nuovi scenari di interpretazione di questi manufatti presenti non solo in Sardegna ma anche in tutto il bacino del Mediterraneo (LOI 2015, LOI 2017) (fig. 14). Infatti l’impiego dei palmenti non ha avuto sempre un’interpretazione univoca da parte degli studiosi, e anche se la funzione di spremitura dei grappoli d’uva e di pressatura delle vinacce sembra la più accreditata, nel corso degli anni sono stati proposti altri usi anche eterogenei quali, ad esempio, la lavorazione delle canapa/lino e la concia naturale delle pelli. Attraverso vari progetti di archeologia sperimentale si è cercato di verificare la fattibilità di queste produzioni in alcuni impianti sardi (LOI 2018). Figura 14: Studio della "chaine operatoire" della pigiatura e spremitura dell’uva: prova sperimentale effettuata all’interno di un palmento rupestre (LOI 2015). 2 – Alla metà del 2019, nel parco archeologico di Poggibonsi (SI), è iniziato un progetto di archeologia sperimentale dedicato all’agricoltura dell’Altomedioevo. Si tratta del progetto Orto di Gottfried che è una tesi di laurea magistrale dell’Università di Siena curata dallo studente Matteo Trivella. L’idea nasce dal progetto coevo denominato P.O.T.A. Project 29 Per maggiori informazioni su questo progetto ancora in divenire, si può consultare il sito: https://www.facebook.com/Ortodi-Gottfried-876181339418071/ (ultima consultazione 20 dicembre 2019) 51 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato stato aperto questo saggio: “una cucina volta più ad alimentare i bisogni simbolici dell’uomo contemporaneo che quelli fisiologici” (GALASSO 2016, p. 96). In parole povere, i prodotti tipici possono essere letti, al giorno d’oggi, non tanto dal punto di vista nutrizionale ma quanto come simboli locali di storia, tradizioni e costumi, che diventano fonte di attrazione turistica. Per questo i prodotti tipici, il turismo enogastronomico, e l’agriturismo possono rappresentare una risorsa per lo sviluppo socio-economico di un territorio. Nonostante questo rinnovato interesse della nostra società civile verso le tematiche del cibo e della storia gastronomica, nel nostro paese si accusa ancora un certo ritardo nell’affrontare con un approccio sperimentale sistematico e organizzato, a livello accademico, l’archeologia dell’alimentazione. Volendo trovare le motivazioni di questo ritardo si può supporre che vi siano ancora delle difficoltà nel pensare e costruire i team multidisciplinari di cui, come si è visto, l’archeologia dell’alimentazione è obbligata a servirsi per la sua stessa multiforme natura. L’utilizzo di un solo campo d’indagine, non solo non giova per ottenere risultati utili alla comprensione del cibo del mondo antico, ma rende le ricerche poco utili anche per successivi sviluppi. L’auspicio è che questo breve saggio e questa nuova rivista, che nasce anche grazie all’intraprendenza e alla competenza di alcuni giovani archeologi italiani, possano essere un nuovo punto di partenza anche per i ricercatori delle numerose discipline citate e non solo per gli archeologi. A questo scopo si è cercato di riunire la gran parte delle ricerche archeologiche sperimentali italiane sull’alimentazione umana comprendendo anche quelle che, a prima vista, sembrano parlarci di altro. 5. Conclusioni Questa breve panoramica sulle esperienze italiane per lo studio sperimentale dell’alimentazione umana ci permette di fare alcune brevi considerazioni conclusive. Da un lato, c’è sicuramente una certa distanza dalle parole sopra citate (BELLINTANI et alii 2003, p. 84) che relegavano – senza alcun tipo di malafede sia chiaro – questo tipo di ricerche a un ambito poco convenzionale e quasi a-scientifico. Da un altro lato è possibile notare invece come, tra le esperienze citate, soltanto pochissime siano consapevolmente interessate allo studio dei comportamenti alimentari umani nella storia mentre la stragrande maggioranza degli studi si occupa di alimentazione solo in modo, per così dire incidentale. Ad esempio gli studi di litotecnica o di balistica hanno altre finalità, gli studi sui rivestimenti ceramici indagano altro, gli studi di archeobotanica e archeozoologia spesso sono finalizzati a caratterizzare più gli aspetti economici. Infine, last but non least, come accennato sopra, sono del tutto assenti, in questo filone di indagine, alcuni contesti storici e alcune popolazioni che hanno abitato la nostra penisola nella storia. In contrasto con quanto emerso da questa breve analisi, da qualche tempo ormai si assiste nel nostro paese alla ripresa di interesse verso il mondo contadino e dei suoi ritmi nonché la riscoperta della natura e dei suoi frutti. Queste sensibilità si stanno sempre più consolidando e imponendo come dati interessanti nell’orizzonte culturale moderno. Si assiste a un vero e proprio “ritorno al luogo e al tempo delle origini” (GALASSO 2016, p. 95). In questo processo il cibo riveste una funzione sempre più rilevante. La cucina, infatti, è uno dei sistemi culturali giunti fino a noi con una storia e una serie di valori simbolici particolarmente ricche. Così l’uomo contemporaneo, riappropriandosi delle pratiche e dei saperi gastronomici, intende trovare il modo per inventarsi e rivivere la comunità stessa. Riscoprendo la cucina contadina e le ricette della tradizione, tenta di recuperare la storia e i prodotti della terra, che crescono con il ritmo delle stagioni, ricostruendo i frammenti sparsi dei ritmi alimentari di un mondo contadino ancora legato alla natura. In questo complesso di simboli, la ricerca su alimenti e cucina dell’antichità può divenire quindi un potente strumento che permette all’individuo di ancorarsi alla tradizione, ritrovando nei sapori del passato e nei prodotti locali, tratti affettivi, identitari e generatori di comunità e – per tornare all’analisi dei bisogni con cui è 52 Archeologie sperimentali. Temi, metodi, ricerche - Numero 01/2020 M. Indelicato CARRA M., CATTANI M., DEBANDI F. 2012, Coltivazioni sperimentali per una valutazione della produttività agricola dell’Età del Bronzo nell’area padana, in “IpoTESI di Preistoria”, 5, n. 1, pp. 79-100. Bibliografia BELLINTANI P., BENINI S., GONZALEZ O. P. 2006, L’arco e le frecce dell’abitato palafitticolo di Fiavè. Indagine sperimentale su aspetti ricostruttivi e funzionali, in BELLINTANI P., CAVULLI F. (a cura di), Catene operative dell’arco preistorico. 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