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L'ecologismo alla luce della corretta dottrina della creazione

2020, in R. Cascioli - G. Crepaldi - S. Fontana (ed.), Ambientalismo e globalismo: Nuove ideologie politiche. XII Rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena

IL PROBLEMA DELL’ANNO Ambientalismo e globalismo: nuove ideologie politiche 3 L’ECOLOGISMO ALLA LUCE DELLA CORRETTA DOTTRINA DELLA CREAZIONE Mauro Gagliardi Sin dal sorgere della propria autocoscienza, l’essere umano si trova in relazione ad un “mondo esterno”, che è sia di tipo cosmico sia personale. Relazionandosi con esso, l’essere umano è capace anche di distinguere il proprio “Io” dal “Tu” dell’altro e dall’essere delle cose esistenti “là fuori”. Per l’essere umano, il rapporto con il cosmo e con gli altri uomini rappresenta un’esperienza primordiale1. Solo in seconda battuta, Ordinato Sacerdote dell’Arcidiocesi di Salerno nel 1999, è Professore ordinario di Teologia Dogmatica presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ed Invitato presso la Pontificia Università di san Tommaso d’Aquino (Angelicum). È stato Visiting Professor in Spagna e negli Stati Uniti. Autore di numerose pubblicazioni, tra cui l’ampio manuale sistematico La Verità è sintetica. Teologia dogmatica cattolica. 1 VIRGILIO possiede il celebre verso Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem (Ecl. IV, 60). Sebbene non lo citi, deve essersi ispirato ad esso H.U. VON BALTHASAR, quando scrive: «La nascita della parola ha il suo fondamento nella misteriosa nascita dell’autocoscienza, la quale primariamente non “sorge” ma “si sveglia” nella forza di interpretare un’immagine che appare come il richiamo di un tu: il sorridere della madre viene compreso dal bambino e dietro al mondo dell’immagine si illumina tutto il mondo dell’essere: nello stesso tempo nell’io e nel tu, nell’interno e fuori. […] Certamente questa origine si trova previamente nella conoscenza della contemporaneità di identità e differenza tra apparizione e ciò che appare: il sorriso è segno della presenza della madre. L’intuizione in questa unità differente è un vedere della verità, un Ur-teilen (giudicare) che mette insieme i Teile (parti). […] Si verifica 63 egli cerca di strutturare concettualmente il proprio rapporto con l’esistente oggettivo esterno a sé e di fornire tesi esplicative circa l’esistenza del mondo. Tra queste spiegazioni, alcune escludono totalmente un’origine esterna al mondo stesso: sono le spiegazioni immanentistiche e perlopiù ateistiche. Altre riconoscono la necessità dell’esistenza di un’Origine o Causa superiore o trascendente, ragion per cui ritengono che il mondo debba essere chiamato “creazione” o “creato”, vale a dire opera di un Creatore. All’interno di questa seconda interpretazione, si può operare un’ulteriore distinzione tra chi afferma esservi un Creatore originario che dà origine al cosmo materiale e poi si ritira nella propria trascendenza (è la posizione del deismo2) e chi invece ritiene che il Creatore continui a sostenere l’opera che ha fatto, essendo Colui che, dopo avergli dato inizio, continua anche in seguito ad intervenire nel creato (teismo in chiave di Provvidenza). *** La fede cristiana si riconosce chiaramente nell’ultimo paradigma, quello teistico-provvidenziale. Per i cristiani, non solo esiste un Dio creatore, ma questo Dio non si rende assente dalla creazione dopo averle dato inizio. Possiamo qui registrare, sin dall’inizio di queste note, un contrasto evidente nella cultura occidentale odierna. Si tratta del contrasto tra la visione teistica cristiana e la versione del deismo, che è diventata sempre più diffusa e radicata in Occidente, dall’Illuminismo in poi. La visione illuminista sulla creazione può essere esemplificata con l’immagine del “Dio orologiaio”3: Dio l’intelligenza elementare che io sono, cioè che sono nell’essere e mediante l’essere, ma non sono l’essere (ma “soltanto” un esistente)» (Teologica, vol. II: Verità di Dio, Jaca Book, Milano 1990, pp. 220-221). 2 Il deismo è stato condannato dal beato PIO IX, Syllabus, 08.12.1864, n. 2 (DS 2902), censurando la seguente proposizione come erronea: «Ogni azione di Dio sull’uomo e sul mondo deve essere negata». 3 Questa metafora fu introdotta – a sugello della mentalità illuminista – GDOO·HFFOHVLDVWLFRDQJOLFDQRDSRORJHWDHILORVRIRLQJOHVH:LOOLDP3DOH\QHOOD 64 avrebbe costruito un meccanismo pressoché perfetto, dotato di ingranaggi che ruotano assieme in un moto ordinato. Egli, inoltre, avrebbe dato la carica all’orologio, per poi ritirarsi in Cielo, lasciando il creato girare da sé. Un’altra nota immagine, che esemplifica la concezione deista, è quella del “calcetto” dato da Dio al mondo, affinché il cosmo inizi il proprio moto (perpetuo?) in modo autonomo, come farebbe un sassolino calciato giù da un dirupo. La visione illuminista classica esclude, in altre parole, il ruolo di Dio come Colui che interviene in modo provvidente nel mondo. Dio ha creato – questo sì; ma Egli poi si disinteressa della sua creazione, o almeno lascia alla “natura” il compito di portare avanti se stessa. Si ritiene, cioè, che il Creatore abbia impresso nella natura stessa, all’atto della creazione, delle forze che sono in grado di mantenere e far evolvere il cosmo in base a processi puramente naturali. Un orologio dal moto perpetuo, che si autoricarica ed è capace all’occorrenza anche di autoripararsi, e che aveva bisogno solo di essere assemblato e messo in azione. Basandosi su questa concezione, l’uomo occidentale moderno si è convinto di avere un ruolo fondamentale. Se Dio lascia alla natura di condurre se stessa e se l’uomo rappresenta l’apice del mondo creato, ebbene egli deve avere un ruolo di leader nel processo di autogestione del mondo naturale. A meno che – come da visioni più recenti – l’uomo non divenga sfruttatore della natura al punto che questa (quasi assurgendo al rango di persona) si ribelli, producendo catastrofi che mettono a rischio l’esistenza stessa dell’essere umano. Sia sua opera del 1802 Natural Theology: or Evidences of the Existence and Attributes of the Deity, Collected from the Appearances of Nature. Può essere forse significativo che lo stesso autore, nella precedente opera Principles of Moral and Political Philosophy (1785), aveva sostenuto il vegetarianismo etico, ritenendo che gli uomini avrebbero potuto fare a meno di uccidere altri animali a scopo nutritivo, dato che essi sono in grado di sopravvivere anche senza mangiare carne. Ancor più interessante è il fatto che al giovane studente del Christ’s College Charles Darwin fu chiesto di studiare entrambe queste opere di Paley e che Darwin rimanesse affascinato soprattutto dalla Natural Theology. 65 come sia, le cause di tutto ciò che avviene nel cosmo sarebbero cause immanenti (l’uomo, la natura). Dio rimane augusto osservatore nella sua splendid isolation. *** La visione che abbiamo denominato illuminista/deista, può essere anche meglio descritta ricorrendo al termine di “autonomia”4. A livello filosofico e teologico, l’«essere-legge-a-se-stesso» (greco autós nómos) indica che l’uomo e il cosmo possiedono una capacità di governarsi da sé, in base alle proprie forze naturali. È possibile fornire un’interpretazione dell’autonomia conciliabile con la visione cristiana, come pure una visione d’essa in contrasto con il Cristianesimo. Nel secondo caso, affermare che l’uomo ed il mondo sono autonomi, equivale a sostenere che essi non dipendono da Dio, che essi si auto-governano ed auto-realizzano e che Dio, ammesso che esista, non ha a che fare con simile autorealizzazione. Non è strettamente necessario essere affermativamente atei per sostenere simile modello di autonomia; è sufficiente pensare e vivere etsi Deus non daretur. Che Dio esista o meno, ciò in fondo non cambia nulla per l’uomo e per il mondo. Dio non è direttamente negato; Egli è “solo” ritenuto ininfluente. Simile approccio mentale si riscontra con evidenza nel metodo scientifico positivista del XIX secolo, che – pur rimaneggiato e aggiornato – resta di fatto immutato ancora al presente; metodo secondo cui, per dirla con Laplace, «l’ipotesi di Dio è superflua alla scienza»5. 4 Cfr. G. TANZELLA-NITTI, «Autonomia», in ID. – A. STRUMIA (ed.), Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, Filosofia e Teologia, Urbaniana University Press – Città Nuova, Città del Vaticano – Roma 2002, I, 153-168. 5 A riprova del fatto che simile visione non sia ancora da considerarsi datata, si vedano le seguenti affermazioni del contemporaneo R. DAWKINS: «Il Dio deista […] è senza dubbio meglio del mostro della Bibbia [sic!], ma purtroppo non ha molte più probabilità di esistere dell’altro. In qualsiasi forma, 66 Simile impostazione sfocia immancabilmente – che ci si renda conto o meno – in un approccio materialistico, che nega l’esistenza dello spirito e riduce tutto alla realtà corporeo-materiale. Per il materialismo (o monismo materialista)6, non esiste altro se non la materia ed il suo potere naturale. Sebbene alcuni filosofi antichi quali Democrito, Epicuro e Lucrezio potrebbero essere indicati come pensatori materialisti, in realtà il termine è stato coniato verso la fine del secolo XVII e la visione filosofica che esso indica è andata conquistando un numero consistente di pensatori solo in epoca moderna e contemporanea (cfr. i vari Feuerbach, Marx, Engels, Moleschott, Büchner, Haeckel, ecc.). Alla luce degli sviluppi successivi, una menzione particolare va riservata, tra essi, ad uno dei principali divulgatori del darwinismo, lo scienziato Thomas Huxley, secondo il quale l’intera vita spirituale dell’uomo si ridurrebbe ai meccanismi evolutivi7. Il materialismo si fonda, come accennato, sullo scientismo ottocentesco e sul conseguente meccanicismo e si propone di squalificare la religione come rappresentazione mitica, che oltre ad essere ingannevole per gli uomini, risulta anche inutile, dato che inutile sarebbe Dio stesso, come espresso dal menzionato detto di Laplace. Studiosi più recenti si collegano consapevolmente a questa visione atea. Richard Dawkins evidenzia con entusiasmo il fatto che l’eliminazione del concetto di Dio dall’orizzonte culturale dell’uomo contemporaneo abbia per conseguenza anche l’annullamento della teleologia. Egli ha creato al riguardo la metafora, oggi piuttosto nota tra gli addetti ai lavori, dell’«orologiaio cieco», titolo tra l’altro di un suo fortunato libro8. l’ipotesi di Dio è superflua» (L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, Milano 2017, p. 53). 6 Cfr. G. MORRA, «Materialismo», in G. TANZELLA-NITTI – A. STRUMIA (ed.), Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, 866-875. 7 Cfr. il suo Man’s Place in Nature, del 1864. 8 Cfr. R. DAWKINS, The Blind Watchmaker: Why the Evidence of Evolution Reveals a Universe Without Design, Norton & Co., New York 1986 (ediz. ital.: L’orologiaio cieco. Creazione o evoluzione?, Rizzoli, Milano 2000). 67 La visione materialista ha utilizzato e continua ad utilizzare ampiamente e in modo privilegiato la visione evoluzionista del mondo. Per quanto il darwinismo originario non sia oggi più professato dagli scienziati, molti di essi (non tutti!) seguono senza dubbio uno schema di pensiero neo-darwinista. In esso, la natura viene compresa come a sé stante e quindi non dipendente da un Creatore. Lo sviluppo delle specie e del cosmo deve essere spiegato esclusivamente in base a processi immanenti, che sono di tipo evolutivo e selettivo. Vi sono alcuni scienziati e pensatori evoluzionisti che affermano di essere cristiani9. Essi continuano la linea illuminista del deismo, ragion per cui riconoscono l’azione originaria di un Dio creatore, ma rigettano l’idea di un Dio provvidente, che continua ad operare nel cosmo che ha creato. Per i neo-darwinisti credenti, Dio ha posto all’inizio nella natura delle forze autonome, le quali non richiedono più l’intervento del loro autore una volta messe in moto. Il cosmo e, in esso, le specie animali evolvono in base alla propria potenza naturale, immessa all’inizio dal Creatore. Egli però, da quel primo istante in poi, non esercita più alcuna azione diretta sulla natura. Questa teoria viene proposta come se corrispondesse alle famose rationes seminales di cui parla sant’Agostino nel 9 Tra i contemporanei, riscuote un notevole successo Kenneth MILLER, un biologo cattolico statunitense, professore alla Brown University. Egli rigetta sia il creazionismo classico che la corrente contemporanea dell’Intelligent Design, ritenendo di poter mantenere la propria fede cattolica nonostante neghi il ruolo della Provvidenza nel mondo biologico. Miller ha esposto le proprie teorie in tre volumi: Finding Darwin’s God (2000), Only a Theory (2008) e The Human Instinct (2018). Ma il suo pensiero si è diffuso ancor più mediante un manuale di biologia ad uso delle scuole, pubblicato insieme a J. Levine a partire dal 1990 e che ha conosciuto molte riedizioni fino al presente: Biology: The Living Science. È da notare che negli USA molte scuole superiori e college, anche cristiani, adottano il testo (e la visione) di Miller, o di altri autori che propongono con forza la visione evoluzionista. È sintomatico il fatto che Miller abbia ricevuto, nel 2017, la Laetare Medal della Notre Dame University, la più importante università cattolica statunitense. 68 De Genesi ad litteram. Per questi evoluzionisti credenti, infatti, sant’Agostino sarebbe un evoluzionista ante litteram10. Da decenni questa visione materialista – tanto nella sua forma credente, quanto in quella agnostica, più frequente – è presentata non solo dai mass media, ma anche nelle scuole di ogni grado, come se si trattasse di un assunto indiscutibile. Il vero dogma dello scientismo occidentale contemporaneo è l’evoluzionismo neo-darwiniano nelle sue molteplici declinazioni. Per quanto non sia oggetto di queste brevi note entrare nei dettagli, è possibile qui almeno richiamare tre punti di carattere generale: 1) La visione cristiana prevede sia il Dio creatore sia il Dio provvidente11 (come diremo in seguito, la Provvidenza in uno dei suoi aspetti può chiamarsi anche creatio continua). Quindi uno scienziato o filosofo che desideri rimanere anche cristiano non può espungere dalla propria fede l’articolo che afferma che Dio non solo ha creato le cose, 10 Agostino formulò questa teoria allo scopo di conciliare Gen 1 con Sir 18,1. Nella versione latina da lui utilizzata, il Siracide diceva che Dio creò tutte le cose simul, allo stesso tempo (il testo greco del Siracide in realtà dice altro). In Genesi, invece, si parla dei sei “giorni” della creazione. Per appianare simile difficoltà, il Santo propose l’idea che Dio avesse creato tutto allo stesso tempo, ma ciò nel senso che avesse posto mediante un unico atto le rationes seminales di tutte le cose, affinché queste si sviluppassero in seguito, per l’onnipotenza di Dio. Questa teoria venne proposta da Agostino solo come ipotetica e passibile di correzioni. Gli evoluzionisti cristiani, però, l’hanno fatta propria, arruolando l’Ipponate tra le proprie schiere. Ma simile inquadramento è illegittimo, perché Agostino afferma altri tre punti fondamentali: 1) che tutto si svolge sempre sotto la Provvidenza divina; 2) che le rationes seminales non “sbocciano” per propria capacità naturale, ma perché l’onnipotenza divina le fa passare dalla seminalità all’atto; 3) che tutte le rationes seminales passano in atto entro il sesto “giorno” di cui parla Genesi, ragion per cui la creazione è comunque conclusa entro la settimana creativa e non prosegue indefinitamente nel tempo. Dunque, Agostino propone questa teoria all’interno di quella visione di teismo in chiave provvidenziale che è proprio ciò che viene escluso dai deisti, moderni o contemporanei che siano. Per un breve approfondimento e alcuni testi, cfr. http://disf.org/agostino-ippona-rationes-seminales. 11 Cfr. J.M. ARROYO, El tratado de la Providencia divina en la obra de Santo Tomás de Aquino, EDUSC, Roma 2007. 69 ma anche le accompagna con la sua opera, in ogni epoca12. 2) Per quanto non si senta molto parlare di questo, la visione evoluzionista è, al momento, ancora un’ipotesi esplicativa possibile, non una certezza definitivamente acquisita13. 3) Come si dirà, è possibile una parziale accettazione dell’evoluzionismo in ottica cristiana, per quanto non nelle forme materialistiche oggi in voga14. In poche parole, una visione del mondo prodotta etsi Deus non daretur è incompatibile non solo con la fede cristiana, ma anche con una cultura che sia sgorgata dal Cristianesimo e voglia definirsi cultura cristiana. *** Tornando per un momento al tema dell’autonomia, bisogna riprendere un filo lasciato in sospeso, percorrendo il quale si può giungere anche ad un concetto di essa accettabile in chiave cristiana. Il Concilio Vaticano II possiede alcuni passaggi di grande interesse al riguardo. Con particolare riferimento alla partecipazione dei fedeli laici al munus regale della Chiesa, la Costituzione Lumen Gentium sviluppa al 12 Al riguardo, basti citare la frase di Cristo: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco» (Gv 5,17). Quando, dunque, Gen 2,2 afferma: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto», ciò va inteso rispetto all’opera della creazione, che è compiuta; non a qualunque agire di Dio. Infatti, il successivo v. 3 ribadisce: «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando». L’opera di creazione è conclusa, ma l’opera provvidenziale rimane attiva, come si vede in tutto il resto della narrazione biblica, fino all’Apocalisse. 13 Un’ampia e solida trattazione, che tocca in modo competente sia gli aspetti scientifici, che filosofico-teologici, è quella offerta dal corso di studio in 13 lezioni (divise in 17 DVD) Foundations Restored: A Catholic Perspective on Origins, pubblicato nel 2019 a cura del KOLBE CENTER FOR THE STUDY OF CREATION & RESTORING TRUTH MINISTRIES. Il corso è estremamente ben fatto. Al momento è disponibile solo in lingua inglese, ma sarebbe auspicabile che fosse prodotto anche in altre lingue. 14 Cfr. D. ALEXANDER, Creation or Evolution. Do We Have to Choose?, Monarch Books, Oxford 2008. 70 n. 36 una breve, ma notevole trattazione del tema naturale/ soprannaturale e mondo/Chiesa. In breve, si può dire che il testo riconosce l’esistenza di fini naturali della creazione, che i cristiani in quanto uomini sono ugualmente chiamati a perseguire. Tali fini, però, non sono unici e neanche supremi. Il fine soprannaturale rimane non solo valido, ma necessario e rappresenta anzi il vero fine ultimo dell’uomo15. Si può quindi accettare l’idea di una relativa autonomia del mondo creato e dell’attività umana in esso. Non però un’autonomia assoluta, come se il mondo si realizzasse pienamente senza Dio e senza Cristo. Il filo del discorso viene ripreso al n. 39 della Costituzione Gaudium et Spes: «Benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio». Già prima, il n. 36 di questa Costituzione era dedicato esplicitamente al tema dell’autonomia creaturale, inquadrandolo nel contesto della visione cristiana sul mondo: «Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d’autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scien15 «La vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina»: CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes, n. 22. Si noti che il Concilio dice vocazione «ultima», non «unica». Il fine soprannaturale è quello supremo, ma non si escludono fini naturali. Cfr. M. GAGLIARDI, «La corretta interpretazione di Gaudium et Spes 22 e le sue conseguenze per l’antropologia e l’azione della Chiesa nell’Europa contemporanea», in ID. (ed.), Il mistero dell’Incarnazione e il mistero dell’uomo. Alla luce di Gaudium et Spes 22, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 99-113. 71 za o tecnica. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono. […] Se invece con l’espressione «autonomia delle realtà temporali» si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto, tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature. Anzi, l’oblio di Dio rende opaca la creatura stessa». La frase più celebre di questo passaggio è quella che afferma: «La creatura, senza il Creatore, svanisce». Meno fortunata nella storia della ricezione, ma pure ad effetto, è l’espressione finale: «L’oblio di Dio rende opaca la creatura stessa». In altri termini, le presunte o reali vittorie delle correnti materialiste, oggi imperanti – anche se in forma camuffata – nella cultura occidentale, sono vittorie di Pirro. Nel momento in cui la creatura si distacca dal Creatore rivendicando un’assoluta autonomia, essa non guadagna, bensì perde. E non è vero che la professione di una fede religiosa renda impossibile una scienza o una filosofia oggettive, né che sia di ostacolo alla costituzione di uno stato laico, se per laicità si intende non l’attuale laicismo occidentale, bensì la «legittima sana laicità dello stato», di cui parlava Pio XII16. Questa visione positiva dell’autonomia creaturale è resa possibile dalla fede della Chiesa nel Dio Creatore. Il cristiano 16 PIO XII, Discorso Alla vostra filiale, 23 marzo 1958, AAS 50 (1958), p. 220; cit. anche in Lumen Gentium, nota 116. 72 vede nel mondo l’opera fatta da Dio. Come opportunamente nota un teologo contemporaneo, «la nostra non è una fede nella creazione ma nel Creatore»17. Il primo articolo del Credo menziona, subito dopo la paternità divina, questo aspetto: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili». Ciò che segue nel Simbolo si basa su questo primo articolo: Dio è Padre (e quindi ha un Figlio) e Dio è Creatore (dunque, esiste una creazione, anche visibile: da essa il Figlio prenderà la natura umana allo scopo di redimerla e salvarla). È opportuno, pertanto, soffermarsi ora, per quanto in modo succinto, su alcuni elementi di teologia della creazione18. *** 1. La visione cristiana sulla creazione ritiene che il mondo ha un’origine esterna e superiore (trascendente), che esso è stato creato da Dio e non ha conferito a se stesso l’essere, bensì l’ha ricevuto da un Altro. Che Questi, poi, sia Dio, implica 17 S. SANZ, Alfa e Omega. Breve manuale di protologia ed escatologia, Fede & Cultura, Verona 2021. La citazione si trova all’inizio della prima parte del volume (non è possibile indicare il numero di pagina dato che, al momento della stesura di questo articolo, l’opera è ancora in corso di pubblicazione). 18 Cfr. M. GAGLIARDI, La Verità è sintetica. Teologia dogmatica cattolica, Cantagalli, Siena 20182, pp. 195-249. Inoltre: P.C. LANDUCCI, Il Dio in cui crediamo. Studio critico scientifico sul massimo problema del cosmo e dell’uomo, Pro Sanctitate, Roma 19686; J. AUER, Il mondo come creazione, Cittadella, Assisi 1977; G. MAY, Schöpfung aus dem Nichts: die Entstehung der Lehre von der creatio ex nihilo:DOWHUGH*UX\WHU%HUOLQ²1HZ<RUN J. RATZINGER, Creazione e peccato, Paoline, Cinisello Balsamo 1987; GIOVANNI PAOLO II, Io credo in Dio, Creatore del cielo e della terra. Catechesi del mercoledì, Piemme, Casale Monferrato 1987; J.L. RUIZ DE LA PEÑA, Teologia della creazione, Borla, Roma 1988; J. MORALES, El misterio de la creación, Eunsa, Pamplona 1994; P. CLAVIER, Ex Nihilo, 2 voll., Hermann, Paris 2011; J. RATZINGER – BENEDETTO XVI, Progetto di Dio. Meditazioni sulla creazione e la Chiesa, Marcianum Press, Venezia 2012; L. SCHEFFCZYK, La creazione come apertura alla salvezza. Dottrina sulla creazione, Lateran University Press, Città del Vaticano 2012; G.A. ANDERSON – M. BOCKMUEHL (ed.), Creation ex nihilo: Origins, Development, Contemporary Challenges, University of Notre Dame Press, Notre Dame 2018. 73 che il mondo creato riflette come un’immagine il proprio Fattore (cfr. sotto, il punto 3). Dunque, il cosmo è razionalmente ordinato, è buono e possiede un senso, ossia una finalità. 2. Con formula ben nota, la dottrina cristiana afferma che Dio creò tutte le cose ex nihilo sui et subiecti. Questa formula, chiaramente influenzata dalla filosofia scolastica, significa che la creazione non aveva alcuna possibilità ontologica di dare origine a se stessa e che ha ricevuto essenza ed esistenza da Dio. Come ricorda san Tommaso d’Aquino, solo Dio è capace di creare dal nulla19. La dottrina sulla creazione insegna perciò indirettamente anche quell’attributo divino che chiamiamo onnipotenza. Dio è l’Essere stesso sussistente (Ipsum Esse subsistens)20 che ha capacità di conferire l’essere per partecipazione21 al di fuori di Sé, mentre gli altri enti non hanno capacità né di far esistere se stessi, né di creare altri. Al riguardo, nella catechesi e nella predicazione, si utilizza spesso l’argomento per cui, sebbene l’uomo sia capace di conoscere la natura nei suoi minimi dettagli e persino di modificarla, se non manipolarla a proprio piacimento, egli non è in grado di creare alcunché dal nulla, neanche una formica. Con la sua scienza e la sua tecnica, l’uomo può arrivare sulla luna o creare embrioni umani in vitro; ma vi riesce solo operando su cose già esistenti. Anche quando presume di “creare” qualcosa di nuovo, in realtà egli opera sempre a partire da elementi 19 Summa Theologiae, I, 45, 5, ad 5: «Lo stesso creare dal nulla manifesta un’infinita potenza. […] Se infatti si richiede nell’agente tanta maggiore efficacia quanto la potenza è più lontana dall’atto, bisogna che l’efficacia di chi produce senza presupporre alcuna potenza, quale è l’agente che crea, sia infinita, poiché non esiste confronto tra l’assenza di ogni potenzialità e una qualche potenza, che l’efficacia di un agente naturale presuppone sempre; come [non può esserci confronto] tra il non ente e l’ente. E siccome nessuna creatura ha una potenza o un essere davvero infinto […], rimane stabilito che nessuna creatura può creare». Qualche delucidazione sulle implicazioni di questo brano si può trovare in R. SPIAZZI, Il Simbolo della fede. Catechesi dogmatica, vol. 1: La Fede – Dio Padre – Gesù Cristo, Paoline, Alba 1959, pp. 165-166. 20 Cfr. Summa Theologiae, I, 3, 4. 21 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalità secondo san Tommaso d’Aquino, Edivi, Segni 2010 (orig. 1960). 74 che già “sono”. L’uomo possiede una piccola partecipazione all’Essere e non è l’Essere in quanto tale, ciò che è solo Dio. Solo l’Essere sussistente, che è Dio, può dare l’essere a ciò che non esiste, ossia può creare “dal nulla”22. 3. Secondo la Scrittura, Dio ha creato tutto con/per mezzo della sua Parola eterna (Logos). Il Catechismo della Chiesa Cattolica conferma che «il Nuovo Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno» (n. 291). Stante l’ampio significato del termine greco Logos, il pensiero cristiano ha agevolmente compreso che la creazione – fatta con/per/dal Logos – è una creazione “logica”, ossia che essa rispecchia per partecipazione la connaturale razionalità trascendente di Dio. Anche in questo caso, come per l’essere, bisogna ragionare in termini di partecipazione. Siccome il mondo creato corrisponde analogicamente alla Ragione divina creatrice, esso ha una logica. L’ordine, e non il caos, è innanzitutto la sua regola (cfr. i primi due capitoli del Libro della Genesi). L’ordine razionale impresso dal Creatore nella sua opera si riscontra sia nelle leggi naturali investigate dalle scienze, sia nella legge morale naturale, su cui non dobbiamo qui soffermarci. 4. Altro punto dottrinale fondamentale consiste nella bontà del cosmo materiale23. Sin da tempi remoti, sono esistite correnti di pensiero che hanno considerato il mondo (particolarmente la sua componente materiale) come male, negatività. Si pensi all’antropologia platonica ed ancor più alle correnti gnostiche, il cui marcato dualismo contrappone spirito e materia come se fossero, rispettivamente, luce e tenebra. Ma per la dottrina cristiana il mondo non è cattivo e la materia non è creazione di un dio malvagio. Nel primo capitolo del 22 Cfr. Summa Theologiae, I, 44, 1. Dio creò «per sua bontà tutte le creature spirituali e corporali buone, naturalmente, perché hanno origine dal Sommo Bene, ma mutevoli, perché fatte dal nulla; [la Chiesa] afferma che non vi è natura cattiva in se stessa, perché ogni natura in quanto tale è buona»: CONCILIO DI FIRENZE, Cantate Domino, 04.02.1442 (DS 1333). 23 75 Libro della Genesi, lì dove si descrive la settimana creativa, l’autore biblico al termine di ogni giorno sottolinea la bontà di quanto Dio ha fatto. D’altro canto, Dio è il Sommo Bene, dal Quale non ci si può attendere che opere buone. Il mondo, opera di Dio, anche nella sua componente materiale, è uscito buono dalle mani di Dio. La bontà della materia viene confermata anche dall’Incarnazione del Verbo. Siccome il Verbo divino ha assunto una vera natura umana, completa di anima razionale e di corpo, è impossibile che la materia di cui il corpo è composto sia cattiva, dato che il Figlio non potrebbe assumere alcunché di malvagio nella sua Persona divina. 5. Un quinto spunto di riflessione concerne il tema del motivo della creazione. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, attingendo tanto alla Sacra Scrittura, quanto alla bimillenaria riflessione dei Padri e dei Teologi approvati, sintetizza la risposta in questi termini: «Dio ha creato il mondo per manifestare e comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create» (n. 319). Per quanto ad un “pensiero calcolante” questa risposta possa apparire vaga, se non addirittura poetica, essa implicitamente afferma un punto di estrema importanza, vale a dire che Dio non ha creato per propria necessità. Dio non ha alcun bisogno della creazione. La dottrina trinitaria mostra che Dio è pienamente felice e, se si passa il termine, “realizzato” nell’eterna comunione (pericoresi, per i greci; circuminsessio, per i latini) delle Persone divine, nell’unica natura. Dio non ha alcun bisogno di “uscire da Sé” e di creare il mondo. Il motivo ultimo della creazione consiste nella suprema bontà di Dio stesso. Dato che il bene tende a diffondere se stesso (bonum est diffusivum sui)24, Dio vuole manifestare e partecipare il suo essere, la sua bontà, la sua bellezza al di fuori di Sé. Le creature partecipano a tali caratteristiche divine solo perché Dio ha così deciso e senza che l’atto creativo implichi che Dio acquisisca, 24 76 Cfr. Summa Theologiae, I, 5, 4, ad 2. mediante esso, qualcosa di cui Egli avrebbe necessità o desiderio. Di qui che la Chiesa insegni la suprema libertà dell’atto creativo divino25. Ciò elimina alla radice tutte le spiegazioni filosofico-teologiche che postulano una qualche necessità di Dio di relazionarsi ad extra, ossia di porre il mondo come essere-distinto-da-Sé. A differenza dell’uomo, Dio non ha alcun bisogno di porre davanti a Sé un interlocutore rispetto al quale distinguersi, potendo di conseguenza affermare il proprio “Io” davanti ad un “Tu”. La relazionalità che permette a Dio di conoscersi e amarsi non è, come quella creaturale, ad extra, bensì ad intra, ed è l’eterna relazionalità delle Persone divine. Dal punto di vista speculativo, d’altro canto, Dio non avrebbe potuto neanche creare il mondo se Egli non fosse stato già in stato di identificazione, grazie alle relazioni intra-trinitarie. Ciò perché sarebbe impossibile (perché contraddittorio logicamente e non per mancanza di potenza divina) che Dio ponesse qualcosa-distinto-da-Sé se Dio non fosse già “prima” un, anzi il “Sé”26. Di passaggio, ciò implica che l’immagine 25 Cfr. CONCILIO VATICANO I, Dei Filius, 24.04.1870, cap. 1 (DS 3002), ove si trova anche la celebre espressione liberrimo consilio. 26 In termini più chiari, diremo che la dottrina trinitaria ci fa comprendere meglio non solo la libertà, ma anche la vera e propria possibilità della creazione. Creare significa porre nell’essere qualcosa che non c’era, come un qualcosa diverso da chi lo crea, ossia come un ente distinto dal suo creatore. Questo implica che colui che crea deve avere già la propria identificazione ed autocoscienza, cioè deve sapere di esistere, deve conoscere se stesso e identificare se stesso. Proprio così e solo così, egli potrà porre davvero in modo libero un “altro da sé”, identificandolo al tempo stesso esattamente come qualcosa di diverso da sé e non se stesso. Questa identificazione “previa” in Dio è garantita dal carattere trinitario della natura divina, per cui l’unico Dio già è, si conosce e si ama. Il conoscere ed amare Se stesso da parte di Dio avviene per la relazionalità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dal punto di vista logico, sarebbe impossibile per Dio creare qualcosa “altro da Sé”, se Egli non avesse “prima” la coscienza del proprio Sé. Se Dio non conoscesse il proprio Sé, come potrebbe creare qualcosa di distinto da Sé? Come opererebbe Dio tale distinzione? Non mancherebbe, certo, alla natura divina l’onnipotenza per creare dal nulla, ma mancherebbe la possibilità di creare “il distinto”; oppure questo distinto sarebbe necessario a Dio stesso per autoidentificarsi. 77 monoteista monolitica dell’Antico Testamento e dell’Islam presenta problemi speculativi riguardo all’azione creatrice ed al rapporto di Dio con le sue creature. La dottrina cristiana su Dio uno e trino, al contrario, scioglie tali aporie come neve al sole. 6. Secondo il Simbolo della fede, Dio è il Creatore di «tutte le cose: quelle visibili e quelle invisibili». È molto istruttiva l’interpretazione di questa formula fornita dal Concilio Ecumenico Lateranense IV, del 1215: «Crediamo […] che uno solo è il vero Dio […] unico Principio dell’universo, Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili, spirituali e materiali, che con la sua forza onnipotente fin dal principio del tempo creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre, e poi l’uomo quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo»27. La formula del Simbolo che riguarda le «cose visibili e invisibili» viene dunque compresa dalla Chiesa con riferimento alle sostanze spirituali ed a quelle corporee, angeli ed enti materiali. A livello antropologico, l’uomo viene visto come la creatura di Dio che contiene in sé tanto l’elemento materiale (che manca agli angeli), quanto quello spirituale di cui sono prive le creature materiali non animate. Tra le creature animate, poi, l’uomo si distingue al di sopra di tutte per essere l’unico ad essere dotato non semplicemente di un’anima sensibile, ma anche razionale. 7. Proprio la questione dell’anima razionale dell’essere umano risulta di particolare interesse nel contesto degli odierni dibattiti sull’origine e l’evoluzione del cosmo. Senza entrare nel dibattito, oggi molto vivo, sul cosiddetto mind/body problem, ci soffermiamo qui solo sull’aspetto strettamente dottrinale e teologico. Sant’Agostino annota: «L’uomo è fatto a immagine di Dio in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali privi di ragione. Orbene, questa facoltà è proprio 27 78 CONCILIO LATERANENSE IV, Firmiter (DS 800). la ragione o mente o intelligenza, o con qualunque altro nome voglia chiamarsi questa facoltà. Ecco perché l’Apostolo dice: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell’uomo nuovo» (Ef 4,23-24), che «si rinnova per la conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creato» (Col 3,10). Queste espressioni mostrano assai bene in rapporto a che cosa l’uomo è stato creato a immagine di Dio, e cioè non rispetto alle fattezze del corpo ma alla natura – per così dire – intellegibile dell’anima quando è stata illuminata»28. La tendenza neoplatonica dell’Ipponate emerge qui con una certa chiarezza, ma al di là di tale connotazione filosofica, ciò che egli afferma è – alla luce della divina Rivelazione – certo. L’uomo è distinto dalle creature inferiori per la componente “logica” della sua anima, che per l’appunto è un’anima razionale, creata ad immagine del Logos divino, partecipante ad Esso. L’uomo non è solo adam (da adamah, «terra [rossa], argilla»). Nella adamah plasmata (Ireneo parla appunto della plasmatio), Dio insuffla il nefesh, il «soffio vitale» o «respiro». Così l’uomo diviene «un essere vivente», il che implica che il solo corpo, la sola componente materiale non basti a fare l’uomo. Solo l’unione del nefesh con la adamah plasmata da Dio fa sorgere l’uomo vivente29. È su questo aspetto della presenza nell’uomo dell’anima razionale che da diversi decenni si svolge uno dei dibattiti più interessanti tra scienza e fede30, o più precisamente tra visione esclusivamente evoluzionista e visione creazionista. Ed è anche su questo terreno che si può delineare la possibilità di un’accettazione limitata, da parte della fede cristiana, di alcuni aspetti della visione evoluzionista, se inquadrati all’interno 28 AGOSTINO DI IPPONA, De Genesi ad litteram, III, 20, 30. «L’uomo non è solamente anima né solamente corpo; bensì sia corpo che anima»: AGOSTINO DI IPPONA, De civitate Dei, XIX, 3, 1. Circa il tema della plasmatio in sant’Ireneo, esso si incontra in molti luoghi del suo capolavoro Adversus haereses. 30 Per acquisire gli strumenti intellettuali necessari al riguardo, cfr. A. STRUMIA, Scienza e teologia a confronto. Aspetti epistemologici e fondazionali, Fede & Cultura, Verona 2014. 29 79 della cornice creazionista. Per la fede cristiana, non c’è dubbio che l’uomo non è frutto del caso, di un’evoluzione cieca. L’essere umano “emerge” perché c’è un piano di Dio su di lui. La visione creazionista non può fare a meno della dimensione teleologica, in assenza della quale viene a mancare anche la risposta alla domanda di senso: se non c’è uno scopo, non c’è un motivo perché via sia l’essere anziché il nulla. Benedetto XVI ha ripetuto chiaramente questo punto della visione cristiana: «Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario»31. La Rivelazione biblica mostra, tra l’altro, che la creazione dell’uomo, più che essere frutto di una lunga evoluzione a partire da organismi meno complessi, è un atto posto direttamente da Dio. Questo appare sia nella plasmatio della adamah, sia e ancor più per l’insufflazione dell’alito di vita (nefesh). Naturalmente, il Libro della Genesi ricorre ad antropomorfismi, ragion per cui non è del tutto escluso che ciò che il testo mostra con l’immagine della plasmatio (che deve essere per forza metaforica, dato che Dio, prima di incarnarsi, non aveva mani corporee…), possa suggerire un lavorio progressivo, che può essere durato anche molto tempo. Diverso è il caso dell’insufflazione dell’anima, che invece è presentata come un fatto immediato. Soprattutto, mentre l’elemento adamah è preesistente (era stato creato precedentemente da Dio) e viene ora solo plasmato, invece il nefesh non si trova in natura e viene, per così dire, “portato” direttamente da Dio. Alla luce di queste scarne osservazioni bibliche, si comprende meglio la posizione espressa da papa Pio XII: «Il Magistero della Chiesa non proibisce che, in conformità allo stato attuale delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa 31 BENEDETTO XVI, Omelia nella S. Messa di inizio del Ministero petrino, 24.04.2005. 80 fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente – ma la fede cattolica ci impone di ritenere che le anime sono create direttamente da Dio»32. Il Pontefice qui non esclude completamente la teoria evoluzionista – per quanto escluda che essa vada trattata come un dogma persino superiore ai dogmi rivelati33. Egli ammette la possibilità che, se la teoria fosse provata, l’idea di una certa evoluzione del corpo dell’uomo da altre specie si potrebbe conciliare con la fede cristiana. Questa evoluzione, però, non sarebbe cieca, in quanto guidata comunque dal Creatore – motivo per cui la teleologia sarebbe salva. Invece, la fede cristiana obbliga a ritenere che l’anima razionale non “emerge” dall’evoluzione naturale della materia e che al contrario essa è creata direttamente da Dio. Questo in base al principio per il quale lo spirito non può essere prodotto dalla materia, essendo distinto e superiore rispetto ad essa. I pontefici successivi hanno mantenuto la stessa linea. San Paolo VI professa, nel Credo del Popolo di Dio, che la Chiesa crede in Dio in quanto «Creatore in ciascun uomo dell’anima spirituale e immortale»34. San Giovanni Paolo II, in una Udienza del mercoledì, si allinea a Pio XII dicendo: «Dal punto di vista della dottrina della fede, non si vedono difficoltà nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi dell’evoluzionismo. Bisogna tuttavia aggiungere che 32 PIO XII, Humani generis, 12.08.1950 (DS 3896). «Questo [studio] deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa […]. Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela» (ibidem). Questo richiamo si applica bene al contemporaneo, morto cinque anni dopo la pubblicazione dell’enciclica, Pierre Teilhard de Chardin. 34 PAOLO VI, Credo del Popolo di Dio, 30.06.1968, AAS 60 (1968) 436. 33 81 l’ipotesi propone soltanto una probabilità, non una certezza scientifica. La dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale dell’uomo è creata direttamente da Dio. È cioè possibile, secondo l’ipotesi accennata, che il corpo umano, seguendo l’ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L’anima umana, però, da cui dipende in definitiva l’umanità dell’uomo, essendo spirituale, non può essere emersa dalla materia»35. Più brevemente, il Catechismo conferma che «la Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale» (n. 366). Riflessioni sulla stessa linea sono state condotte, per quanto connotate da una nota teologica inferiore rispetto ai testi precedenti, nell’incontro tenuto da Benedetto XVI con il clero ad Auronzo di Cadore, il 24 luglio 2007, alla cui lettura si può rimandare. 8. Se ci si è soffermati leggermente più a lungo sull’origine dell’anima razionale dell’uomo è perché la questione, oltre che in sé considerata, assume un valore particolare nell’economia di questo breve saggio. In primo luogo, l’esistenza di quelle che il Credo chiama «cose invisibili», particolarmente gli angeli e le anime umane, rende impossibile al cristiano accettare una visione materialista e meccanicista dei processi naturali. Le cose invisibili non sono materiali e, inoltre, esse sono create direttamente da Dio e sono teleologicamente orientate. In secondo luogo, la dottrina secondo cui le anime degli uomini sono create direttamente da Dio e da Lui infuse nel corpo richiama la prospettiva, già sopra accennata, dell’aspetto provvidenziale e non solo creativo degli interventi divini nel mondo. Creazione e Provvidenza non possono separarsi e ciò si mostra in modo particolarmente chiaro proprio rispetto al tema della creazione delle anime razionali umane. 35 82 GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 16.04.1986, n. 7 (corsivo nostro). Procedendo con ordine, evidenziamo innanzitutto cosa si intende con il termine Provvidenza. Esso genericamente afferma che Dio, pur essendo trascendente e pur non mescolandosi ontologicamente con le sue creature (il che corrisponderebbe alla visione panteista o panenteista), si impegna con loro e per loro: Dio interviene nel creato. Questo non solo all’origine, come nella visione deista, ma sempre. Di quest’azione provvidenziale si possono distinguere due tipi fondamentali: la Provvidenza intesa a livello cosmico/naturale e la Provvidenza intesa a livello storico/soprannaturale. In quest’ultima, Dio interviene come Salvatore, come Colui che stabilisce e realizza l’economia salvifica attraverso una serie di interventi nella storia della salvezza (Antico e Nuovo Testamento). Nel primo senso, la Provvidenza consiste nel mantenere nell’essere il cosmo che Dio ha creato. Per questo, tale forma di Provvidenza si può chiamare creatio continua. Già dalla mera espressione utilizzata, si intende che per la Chiesa si deve, certo, distinguere l’atto originario della creatio ex nihilo, dall’opera successiva della creatio continua, essendo che la prima dà l’essere che prima non c’era, mentre la seconda mantiene in esistenza l’essere già dato. D’altro canto, il sostantivo utilizzato – creatio – è il medesimo in entrambe le espressioni, mentre l’aggettivo continua manifesta il pensiero sotteso. V’è la creazione iniziale dal nulla, ma la creazione in qualche modo continua sempre, perché se Dio non continuasse a partecipare il proprio Essere alle creature, queste svanirebbero, come ricordato dalla già citata Costituzione Gaudium et Spes: «La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce». San Tommaso insegna che «alla luce della fede e della ragione, bisogna dire che le creature sono conservate nell’esistenza da Dio. […] Infatti l’essere di qualunque creatura dipende da Dio in maniera tale, che le creature non potrebbero sussistere nemmeno per un istante, ma ricadrebbero nel nulla, se non venissero conservate nell’essere dall’azione della 83 potenza divina»36. Andando ulteriormente a ritroso, non mancano nella Scrittura insegnamenti al riguardo. Ad esempio, l’espressione utilizzata da san Paolo all’Areopago, secondo cui «in Lui noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Il fatto che Dio crei dal nulla ogni giorno molte migliaia di anime umane (le stime attuali parlano di circa 240 mila nascite al giorno, il che implica un numero molto più alto di concepiti, dato che tra i concepimenti e le nascite si verifica un alto numero di aborti, volontari o spontanei) è segno evidente del fatto che la grande creazione dell’inizio non solo viene mantenuta nell’essere, ma anche si arricchisce di nuovi elementi, creati per così dire ex novo direttamente da Dio37. La Chiesa, 36 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, 104, 1. Oltre alla creazione diretta di ogni anima individuale, un altro punto teologico-dottrinale che rende impossibile l’accettazione del deismo è l’esistenza dei miracoli, segno efficace dell’agire provvidente continuo di Dio nella storia. Heimo DOLCH ha scritto al riguardo che «era per necessità intrinseca che si doveva arrivare al conflitto tra scienza naturale e teologia sul problema dei miracoli, uno dei punti “critici” della concezione deistica. Se, infatti, rispondesse a verità che Dio ha agito allora, agli inizi, e che in seguito ha riposato limitandosi a sostenere la sua opera, come può egli dunque intervenire concretamente hic et nunc? Questo intervento dovrebbe veramente essere inteso (se già non viene considerato come impossibile) come un’“azione di disturbo”, dato che le leggi naturali da lui poste sono valide una volta per tutte, per l’intero “arco di tempo” della creazione» («L’origine del mondo e dell’uomo alla luce della fede», in FACOLTÀ FILOSOFICA DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ SALESIANA DI ROMA [ed.], L’ateismo contemporaneo, vol. IV: Il Cristianesimo di fronte all’ateismo, SEI, Torino 1969, 171). È preoccupante che oramai la mentalità che oppone pensiero scientifico e fede nel miracolo sia penetrata anche in certi settori della Chiesa. Durante la pandemia da Covid-19, non è mancato un retropensiero di questo tipo, che ha determinato anche scelte concrete a livello ecclesiale. Il retropensiero è stato poi persino reso noto, lì dove – con riferimento ad alcuni sacerdoti che hanno cercato di garantire una qualche assistenza sacramentale ai fedeli durante il famoso lockdown – un documento CEI scrive che «è emerso un altro atteggiamento scomposto: la tentazione [!] del miracolo. Alcuni gesti, che poco hanno a che vedere con l’umile purezza della liturgia, svelano piuttosto la fatica di rimanere nel sepolcro, condividendo le domande e le ansie di ogni persona di fronte alla morte, accettando di rivolgersi con maturità e toni sommessi al Dio che è onnipotente nell’amore» (COMMISSIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, “È risorto il terzo giorno”. Una lettura biblico-spirituale dell’esperienza della pandemia, giugno 2020, 12). 37 84 infatti, sin dai tempi antichi ha rigettato la posizione, attribuita ad Origene (cfr. DS 403-404), secondo cui Dio avrebbe creato sin dall’inizio le anime di tutti gli uomini di tutti i tempi, infondendole poi nei corpi in epoche diverse. Per la fede cattolica, ogni anima umana viene creata direttamente da Dio e infusa nel corpo all’atto del concepimento38. La creazione non può essere allora solo un atto originario, da cui Dio poi si ritrarrebbe. Egli resta presente e attivo in essa. 9. Un ultimo punto, cui possiamo fare solo rapido cenno, è quello del ruolo di Gesù Cristo rispetto alla creazione. Si tratta di un tema molto ampio, che si estende dalla protologia all’escatologia, passando per la cristologia e la soteriologia. Qui menzioneremo solo la questione della redenzione del creato ad opera di Cristo. Stante il dogma, a tutti noto, del peccato di Adamo e delle sue conseguenze, anche cosmiche (cfr. Gen 3), san Paolo poté scrivere: «Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,18-23). Il sangue che Cristo ha versato nel sacrificio della croce, che viene ripresentato e rappresentato nell’Eucaristia, espia innanzitutto i peccati degli uomini; ma esso, oltre a rinnovare 38 L’insegnamento più importante in materia è quello del CONCILIO DI VIENNE, Fidei catholicae, 06.05.1312, che ha definito dogmaticamente che l’anima è «forma del corpo umano» (DS 902). Siccome la materia non può essere in-formata se non dalla propria forma, non appena c’è un corpo umano ci deve essere la sua forma, ossia l’anima. 85 l’adam decaduto, in qualche modo purifica anche l’adamah da cui fu tratto il protoparente. *** Nel contesto attuale, la visione cristiana sulla creazione si trova a confrontarsi non solo con la mentalità materialista neo-darwinista, ma anche con le correnti ecologiste, che presentano delle differenze rispetto allo scientismo evoluzionista, ma ne condividono l’assunto di fondo: espungere il Creatore dal mondo39. Perciò, quanto sopra si è detto riguardo al dibattito tra fede cristiana e materialismo neo-darwinista si applicherà bene, mutatis mutandis, anche al confronto con l’ecologismo attuale. L’ecologismo (o ambientalismo) contemporaneo è un fenomeno molto complesso e sfaccettato, di cui qui non si pretende di ricostruire né la storia né l’attuale configurazione e suddivisione in correnti, quali l’ecosocialismo, l’animalismo, il conservazionismo e via dicendo. Valutato nel suo complesso, esso rappresenta – se si consente il gioco di parole – una sorta di evoluzione dell’evoluzionismo. Quest’ultimo, come detto, 39 Per quanto non oggetto di questo saggio, non si può fare a meno di ricordare che la stessa lotta al Creatore è presente anche alla base dell’ideologia gender. Benedetto XVI ha fornito su questo problema un utile spunto di riflessione, colto e apprezzato dal suo successore: «In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste – lo dico chiaramente con “nome e cognome” – è il gender! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile. Parlando con Papa Benedetto, che sta bene e ha un pensiero chiaro, mi diceva: “Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. È intelligente! Dio ha creato l’uomo e la donna; Dio ha creato il mondo così, così, così…, e noi stiamo facendo il contrario. Dio ci ha dato uno stato “incolto”, perché noi lo facessimo diventare cultura; e poi, con questa cultura, facciamo cose che ci riportano allo stato “incolto”! Quello che ha detto Papa Benedetto dobbiamo pensarlo: “È l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. E questo ci aiuterà» (FRANCESCO, Discorso ai vescovi polacchi, 27.07.2016). 86 ha spianato la strada ad una concezione del mondo in cui Dio (che esista o meno) è irrilevante. Ma siccome l’esigenza religiosa è inestirpabile dall’essere umano, se si sradica il concetto di Dio, bisognerà sostituirlo con un surrogato, il che è ciò che esattamente propone l’ecologismo. Il nuovo dio di molti occidentali contemporanei è la Madre Terra e l’ecologismo è la loro nuova religione. Non è un’esagerazione: oggi esistono leader ambientalisti che assumono il ruolo che un tempo era del sacerdote e del profeta, anche del profeta apocalittico. E ci sono riti che vengono celebrati, come ad esempio un vero e proprio funerale, organizzato in Islanda per la “morte” di un ghiacciaio. Non mancano neppure i nuovi comandamenti, quali “non utilizzerai l’auto” o “separerai sempre l’immondizia”. Per i “peccatori” che feriscono l’ambiente, sono previste pubbliche reprensioni e penitenze commisurate. Ironizzando su una situazione che in realtà è drammatica, il famoso scrittore Michael Crichton, in un discorso del 2003 al Commonwealth Club di San Francisco, intitolato L’ambientalismo è una religione, disse: «Oggi, una delle religioni più potenti del mondo occidentale è l’ambientalismo. È la religione degli atei urbanizzati. C’è un Eden iniziale, un paradiso, uno stato di grazia e unità con la natura, c’è la caduta dalla grazia in uno stato di inquinamento risultato dell’aver mangiato dall’albero della conoscenza e c’è un giorno del giudizio che verrà per tutti noi. Siamo tutti peccatori di energia, destinati a morire, a meno che non cerchiamo la salvezza, che ora si chiama “sostenibilità”. La sostenibilità è la salvezza nella chiesa dell’ambiente. Proprio come il cibo biologico è la sua comunione»40. Come nota Crichton, l’ambientalismo è «la religione degli atei urbanizzati». In questo è in continuità con la visione del mondo scientista, la quale negli ultimi trecento anni ha progressivamente spianato la strada ad una cultura che, consapevolmente o meno, è “a-teistica”. Questo non nel senso che 40 Cit. nell’interessante articolo di G. MEOTTI, «L’ecologismo, una religione occidentale», 09.09.2019: https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/09/09/ news/lecologismo-una-religione-occidentale-272932/ [16.06.2020]. 87 la maggioranza delle persone sia atea in senso tecnico, ossia che ritenga di possedere argomenti per dimostrare che Dio non esista; bensì nel senso di una cultura erroneamente autonoma, che vede e gestisce il mondo etsi Deus non daretur. Più che ateismo in senso stretto, si tratta di “a-teismo”: di Dio si fa a meno tranquillamente, anche da parte di molti che dicono di continuare a credere in Lui. In realtà, però, Dio è stato sostituito da ideologie terrene. La svolta da una visione protoscientista all’attuale paradigma di parascientismo ambientalista, si è avuta nella seconda metà del sec. XX, quando si è trovato un modo per surrogare il divino all’interno della visione immanentistica tipica di questi movimenti. Un momento essenziale di questa svolta può essere individuato nel libro dello scienziato James Lovelock, Gaia: A New Look at Life on Earth, pubblicato nel 1979. In questo celebre volume, Lovelock propone per la prima volta in modo organico l’«Ipotesi Gaia». È significativo che il nome femminile sia stato scelto in riferimento a Gea (dal greco ghé, «terra»), divinità della mitologia greca che rappresenta la potenza divina della Terra. Rileggendo il mito in chiave moderna, Lovelock sostiene che le componenti geofisiche del nostro pianeta (la crosta terrestre, gli oceani, l’atmosfera, ecc.) si mantengano in un equilibrio capace di garantire la sussistenza della vita grazie al comportamento ed all’azione degli organismi viventi, sia animali che vegetali. Un elemento centrale di questa teoria è che Gaia riesce a mantenere la stabilità delle condizioni necessarie alla vita mediante dei processi di feedback gestiti dal pianeta stesso. I processi evoluzionistici, che Lovelock ugualmente riconosce, sono ricondotti all’interno di un sistema più grande, ossia al cambiamento di Gaia stessa. In questo modo, per quanto tale conclusione non venga tratta esplicitamente, Gaia sembra assumere delle caratteristiche quasi personali e coscienti. Essa è la grande madre di tutti gli organismi e di tutti i processi che avvengono sul pianeta. L’ipotesi in parola coniuga l’autonomia dei processi naturali, che si svolgono in base al 88 potere insito nella natura stessa, con l’idea di un controllo e di un coordinamento superiore – quello svolto da Gaia – che sostituisce l’azione della Provvidenza divina e immanentizza il riferimento religioso. Nell’ipotesi di Lovelock, le realizzazioni umane (urbanizzazione, sviluppo tecnologico, ecc.) non sono parte del sistema (cioè non sono controllate da Gaia), ma possono interferire con esso. Perciò, quando le azioni umane dovessero turbare l’equilibrio del pianeta, Gaia si ribellerebbe, essendo disposta a sacrificare anche parti del sistema (i ghiacciai, alcune specie animali, l’uomo stesso) pur di salvare l’insieme. Questa visione è stata poi divulgata, a volte anche con alcune correzioni, attraverso i consueti canali culturali: scuola e università, mass media, cinema, ecc. Da alcuni anni, anche la legislazione di molti Paesi ha preso notevolmente a cuore la questione ecologica. Attraverso questa ed altre teorie, si è realizzato uno strano connubio: quello tra le antiche religioni mitiche e lo scientismo moderno. Come detto più volte, quest’ultimo ha spianato la strada ad una concezione del mondo “a-teistica”. L’uomo, però, ha bisogno del divino. Agli intellettuali del secondo Novecento non è parso tuttavia opportuno tornare al Dio cristiano. Ecco, allora, arrivare in soccorso gli antichi dèi pagani. E vi è una ragione per tale scelta. Nella seconda metà del secolo XX, si è consolidata l’opinione secondo cui la responsabilità della crisi ecologica sarebbe da addossarsi soprattutto al Cristianesimo. Può essere vero che un danno notevole all’ambiente sia dipeso, nel passato, dall’incontrollato sviluppo industriale ottocentesco e del primo Novecento; ma, secondo la suddetta visione, il fatto che tale sviluppo sia stato condotto senza rispetto per l’ambiente sarebbe una conseguenza della visione cristiana sul mondo41. Il Cristianesimo, 41 Bisognerebbe però riflettere anche sul dato che, attualmente, circa i due terzi dell’inquinamento globale sono provocati dalla Cina, che in nessun modo può dirsi un Paese di cultura cristiana, o favorevole ad essa. Una rifles- 89 infatti, ha “de-numificato” il cosmo42, vale a dire che la fede in Dio Creatore ha spazzato via, dall’immaginario collettivo dei popoli evangelizzati, i numi tutelari che il paganesimo poneva a presidio dei boschi, dei laghi, o delle montagne. L’uomo pagano teme la natura, perché essa è protetta da varie divinità, che possono essere anche aggressive nei confronti di chi non rispettasse le cose sottoposte al loro patrocinio. È questo il motivo per cui la scienza in senso moderno è potuta nascere solo dopo che il Medioevo cristiano aveva definitivamente consolidato una cultura “de-numificata”43. Lo studio scientifico e la manipolazione tecnica del cosmo divennero possibili perché ormai, nella coscienza collettiva occidentale, si dava per scontato che le cose sono state create da Dio e che esse non sono protette da spiriti, ninfe o satiri. Dunque, il mondo naturale può essere studiato senza timore. Questo spiega, tra l’altro, come mai alcuni popoli abbiano raggiunto uno sviluppo tecnico-scientifico molto superiore ad altri: la differenza non si può giustificare in modo etnico o razziale, ma solo in base alle diverse culture. La cultura occidentale permise tale sviluppo, mentre culture pagane non lo permisero, o lo permisero in modo nettamente inferiore. Sia come sia, la visione “de-numificata” del cosmo facilitò non solo l’esito positivo dello sviluppo delle scienze moderne, ma anche un approccio non sempre rispettoso verso il creato. Dopo il consolidamento della cultura cristiana operato nel Medioevo, in epoca moderna l’uomo scientista si è convinto di poter manipolare il mondo a proprio piacimento e senza limiti, perché non ne aveva più sacro rispetto, non nutriva più sacro timore sione adeguata sulle politiche cinesi esula ovviamente dai limiti del nostro testo. 42 Il teologo protestante F. GOGARTEN parlava di Verweltlichung der Welt (mondanizzazione del mondo). Cfr. il suo Destino e speranza dell’epoca moderna. La secolarizzazione come problema teologico, Morcelliana Brescia 1972 (orig. tedesco 1953), 14. 43 Cfr. S.L. JAKI, The Origin of Science and the Science of Its Origin, ReJQHU\*DWHZD\:DVKLQJWRQ'&ID., The Savior of Science:LOOLDP% Eerdmans, Grand Rapids (MI) 2000. 90 verso di esso, avendo un approccio non solo “de-numificato”, ma anche – secondo le spiegazioni date – “a-teistico”. Questo atteggiamento viene ugualmente ritenuto dagli ambientalisti odierni una conseguenza inevitabile della cultura cristiana. È in base a questa ricostruzione dei fatti, che la scelta di un ritorno al paganesimo appare opportuna agli ecologisti attuali. Non è un caso se, nella nostra epoca ambientalista, si insinua all’interno della cultura occidentale anche un ritorno al paganesimo, in varie forme e modalità: dalla superstizione, alla consultazione di maghi e oroscopi, alla valorizzazione culturale delle divinità antiche dei popoli non cristiani; valorizzazione a volte proposta anche da uomini di Chiesa. Il grande storico delle religioni Mircea Eliade è stato tra i propugnatori di queste tesi. Egli scrive che «l’alienazione e l’estraniamento dell’uomo dalla terra sono sconosciuti e per di più inconcepibili in tutte le religioni di tipo cosmico, sia “primitivo” che orientale; in questo caso (vale a dire nella maggioranza delle religioni note alla storia), la vita religiosa consiste proprio nell’esaltare la solidarietà dell’uomo con la vita e la natura»44. Per quanto riguarda le accuse al CristianeVLPRHVVHVLWURYDQRQHJOLVFULWWLGLDXWRULFRPH/\QQ:KLWHH Carl Amery45. Dal canto suo, però, il Magistero della Chiesa ritiene che l’antropocentrismo eccessivo, che disprezza le altre creature e dà la stura al disastro ecologico moderno, più che dalla christianitas medioevale e dalla cultura cristiana più in generale, derivi da una riduzione di esse. Papa Francesco si esprime in questa linea nel paragrafo «Crisi e conseguenze 44 M. ELIADE, La nostalgia delle origini, Morcelliana, Brescia 1972, 79, nota 7. 45 Cfr. L. WHITE, «The Historical Roots of Our Ecological Crisis», Science 155 (1967), 1203-1207; C. AMERY, Das Ende der Vorsehung. Die gnadenlosen Folgen des Christentums, Rowohlt, Reinbek 1972. A p. 1205 del suo articolo, :KLWH VFULYHYD FKH ©GLVWUXJJHQGR O·DQLPLVPR SDJDQR LO &ULVWLDQHVLPR KD reso possibile lo sfruttamento della natura [By destroying pagan animism, Christianity made it possible to exploit nature]». Per questi altri riferimenti, cfr. il cap. IV del già citato volume di S. SANZ, Alfa e Omega. 91 dell’antropocentrismo moderno», ai nn. 115-121 dell’enciclica Laudato si’. Ciò che attrae l’attenzione è anche il fatto che le religioni si siano lasciate in molti casi affascinare dall’ambientalismo contemporaneo. Limitandoci al solo Cristianesimo, possiamo notare che l’attuale favore di cui l’ecologismo gode tra le Chiese e le Comunità cristiane può essere ricondotto ad almeno tre fattori: 1) A livello intraecclesiale, si pensa che la difesa del creato rappresenti un ottimo punto di incontro ecumenico, un tema su cui sarebbe molto più facile ritrovare l’unità tra i cristiani, dato che le discussioni sui dogmi sembrano aver raggiunto un punto di stagnazione. 2) Nei confronti della società, molte Chiese si rendono conto di essere ormai quasi irrilevanti a livello culturale e pensano che inserirsi nel grande movimento “verde” possa far riapprezzare l’importanza della religione cristiana all’uomo occidentale odierno. 3) A livello pastorale, da diversi decenni si assiste ad una marcata tendenza – non in tutti i settori delle Chiese, ma in molti – a valorizzare l’azione sociale più dell’elemento dottrinale e liturgico-spirituale, con il conseguente appiattimento sull’immanente della presenza ed azione cristiane nella società. A livello fenomenico, tuttavia, non sembra che l’inserimento convinto delle Chiese e Comunità cristiane nel grande magma ecologista abbia prodotto finora risultati soddisfacenti in termini di riscoperta della religione cristiana. Ha spesso ottenuto, questo è vero, apprezzamento da certi settori della società e da personalità di spicco, o semplicemente famose. Ma applaudire una Chiesa per il suo impegno ecologista non è lo stesso che aderire ad essa, cambiando la propria vita in base al suo credo46. 46 Con riferimento non alle posizioni ecologiste, ma più in generale a quel desiderio che investe larghi settori della Chiesa oggi, di voler compiacere il mondo anche a prezzo di un «obbligatorio auto-disprezzo», ha scritto il grande teologo L. SCHEFFCZYK: «Tuttavia, non si deve pensare che ‘il mondo’, che si desidera così tanto, si trovi ad essere seriamente impressionato da simili atteggiamenti. Anzi, sembra quasi che esso ormai agisca per lo più […] secondo un atteggiamento che ricorda da vicino il tema di un vecchio canto 92 Bisogna riconoscere che la dottrina cristiana sulla creazione e la fede cristiana nel Creatore presentano dei motivi per l’impegno dei credenti nel rispetto del creato. Si trovano elementi di sensibilità verso un discorso di ecologia cristiana in san Giovanni Paolo II e ancor più in Benedetto XVI, mentre Francesco nel 2015 ha dedicato un’intera, lunga enciclica, dal già citato titolo Laudato si’, al tema della «cura della casa comune». La fede cristiana nel Creatore autorizza senza dubbio lo sviluppo di un Magistero ecologico e di un’azione cristiana corrispondente alla dottrina rivelata sulla creazione. Elementi di sana spiritualità e di pratica virtuosa al riguardo si ritrovano sin dagli inizi del Cristianesimo e, in questo senso, non possiamo vantarci di aver creato noi, in quest’epoca, l’ecologismo cristiano. Il rapporto col creato entra sin dall’inizio nella liturgia: il ciclo cosmico settimanale coronato dalla domenica è un elemento imprescindibile anche del calendario cristiano, come lo sono le stagioni (si pensi alle quattro tempora). Sole e luna non vengono venerati per se stessi, ma entrano al servizio della preghiera al Dio Creatore e Salvatore stabilendo, anche con la loro simbologia, i momenti di veglia e di preghiera. Molti elementi naturali entrano nel culto divino, come l’acqua, l’olio, il pane e il vino per i sacramenti; ma anche la cera prodotta dalle api con cui la Chiesa confeziona le candele, e inoltre i rami di palma, le ceneri; ecc. I Padri della Chiesa utilizzavano i luoghi della terra come luoghi di preghiera: il deserto, le caverne, le isole, i picchi delpopolare [bavarese]: ‘adesso vado ad una fontanella, ma non bevo’ [Jetzt gang i ans Brünnele; trink aber net]. Se, dunque, da più parti ci si rivolge con una certa attenzione a questi tentativi di adeguamento [al mondo da parte della Chiesa], non si è, tuttavia, da essi realmente colpiti. Insomma, non è garantito che le simpatie, che così vengono suscitate nell’opinione pubblica, abbiano radici profonde e restino in modo consistente» (Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, Vita & Pensiero, Milano 2007 [orig. ted. 1977], p. 24). Sebbene Scheffczyk non vi faccia esplicito riferimento, sembra plausibile ritenere che – richiamando quel canto popolare bavarese – egli implicitamente volesse riferirsi all’immagine della Chiesa come «fontana del villaggio» (cfr. Discorsi, messaggi, colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1962, III, p. 9). 93 le montagne. Lì i monaci costruivano monasteri in cui si utilizzava la pace e l’isolamento garantiti dalla natura, che aveva riservato quei luoghi isolati per le anime contemplanti. San Francesco d’Assisi è, ovviamente, un altro testimone classico di un’ecologia veramente cristiana: il suo Cantico delle creature è non solo un capolavoro letterario, ma anche e soprattutto una preghiera che esalta Dio Creatore e lo ringrazia per le cose belle che Egli (e non l’evoluzione cieca) ha fatto. Si possono poi ricordare le azioni virtuose nella cura e gestione del creato: i monasteri ed i conventi hanno sempre svolto un ruolo importante, anche riguardo alle tecniche di coltura del suolo ed all’allevamento degli animali, mentre lo studio della natura, che in tali cenobi ugualmente si conduceva, portava alla scoperta di medicine, infusi e – perché no? – persino deliziose bevande, quali birra e liquori, tutti prodotti utilizzando sapientemente le piante che germogliano dalla terra. È necessario ricordare che santa Ildegarda di Bingen, Dottore della Chiesa, scrisse il Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, in cui espone tutto il sapere medico e botanico del suo tempo? Dobbiamo ricordare anche la sua teoria sulla viriditas nelle piante? La visione ildegardiana riconosce la relativa centralità dell’uomo nell’universo, in quanto creatura superiore all’interno un cosmo materiale fatto da Dio e nel quale Dio esercita continuamente la sua Provvidenza, diffondendo luce, energia e vita. Questi pochi esempi mostrano che una sana ecologia cristiana esiste da quando esiste il Cristianesimo stesso e che la Chiesa, magari senza metterla a tema in modo organico, l’ha sempre praticata. Il problema, o se si preferisce, la sfida odierna consiste nella necessità di continuare a calcare l’aggettivo che accompagna il sostantivo. Oggi la Chiesa deve sviluppare un’ecologia cristiana. Il rischio, altrimenti, è quello di dissolvere la propria identità riducendo il Cristianesimo ad essere l’ennesima corrente all’interno del flusso ambientalista di matrice immanentista. Perché un’ecologia sia veramente cristiana, essa deve mantenere e promuovere i punti 94 dottrinali che sono emersi in precedenza: la trascendenza e connotazione personale del Creatore; l’autonomia solo relativa delle creature; la continuità nell’azione provvidente di Dio nel cosmo; la redenzione della creazione ad opera di Cristo; l’orientamento teleologico del creato a livello naturale e la sua destinazione escatologica a livello soprannaturale. Bisogna ricordare che la Chiesa cristiana non esiste per condurre gli uomini al creato ma perché, anche a partire dal creato, essi giungano a Dio. Sarebbe davvero un misero guadagno se, per superare l’attuale irrilevanza (vera o apparente che sia) del Cristianesimo in Occidente, si barattasse la vera missione spirituale e soprannaturale della Chiesa, in cambio di qualche cenno di approvazione da parte dei nostri contemporanei. Questi ultimi, d’altro canto (e giustamente), non ci pensano proprio ad entrare nella Chiesa o, se ne fossero già membri, ad intraprendere un cammino di conversione più serio. Essi apprezzano che la Chiesa sostenga la loro visione ecologista, e – se facoltosi – sono anche disposti a finanziare qualche progetto ecclesiale in materia; ma nulla di più. La Chiesa però è stata istituita perché «il mondo creda» (Gv 17,21) e per favorire l’attrazione verso Cristo, Colui che fu «innalzato da terra» (Gv 12,32) per la nostra salvezza. La vera conversione in senso cristiano, quella a cui Cristo e gli apostoli richiamarono sin dall’inizio delle rispettive predicazioni (cfr. Mc 1,15; At 2,38), non può essere una “conversione alla terra”, né una conversione dai “peccati ecologici”. Essa è conversione a Cristo, per una salvezza che durerà molto più di quanto durerà Gaia e l’intero cosmo. In definitiva, una corretta ecologia cristiana eviterà di sovvertire la gerarchia di valori tra salvezza (sempre temporanea) del pianeta e salvezza eterna delle anime. 95