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Il Mediterraneo Occidentale
dalla fase fenicia all’egemonia cartaginese
Dinamiche insediative, forme rituali e cultura materiale
nel V secolo a.C.
a cura di Andrea Roppa, Massimo Botto, Peter van Dommelen
Edizioni Quasar
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In copertina: Sant’Antioco (Sulky). Sepolcro 11 PGM: settore sinistro della camera
funeraria in corso di scavo (dal contributo di P. Bernardini in questo volume)
ISBN 978-88-5491-079-9
Roma 2021, Edizioni Quasar di S. Tognon srl
via Ajaccio 41-43, I-00198 Roma
tel. 0685358444, fax 0685833591
email: qn@edizioniquasar.it
www.edizioniquasar.it
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Il Mediterraneo Occidentale
dalla fase fenicia all’egemonia cartaginese
Dinamiche insediative, forme rituali e cultura materiale
nel V secolo a.C.
a cura di Andrea Roppa, Massimo Botto, Peter van Dommelen
Edizioni Quasar
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A. Roppa, M. Botto, P. van Dommelen, Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE
7
INTRODUZIONE
S.F. Bondì, Il V secolo nel mondo punico: il problema e le prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . .
13
C. Tronchetti, La Sardegna e il mondo greco nel V sec. a.C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
V. Bellelli, Note sulle importazioni etrusche in Sardegna nel periodo tardo-arcaico e classico (fine
VI-IV sec. a.C.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
DINAMICHE INSEDIATIVE E CULTURA MATERIALE
M. Botto, F. Candelato, Pani Loriga fra Fenici e Cartaginesi: analisi di un insediamento interno del Sulcis e delle sue trasformazioni nel passaggio dall’età fenicia all’egemonia cartaginese . . . . . .
53
I. Oggiano, T. Pedrazzi, Il V secolo in Sardegna può ancora definirsi invisibile? Il contributo
degli scavi dell’abitato punico di Pani Loriga (Area A) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
67
M. Castiglione, P. Cavaliere, M. Quartararo, Ceramica punica dall’Area A di Pani Loriga.
Prime evidenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
81
J. Bonetto, Nora nel V secolo: dall’emporio fenicio alla colonia cartaginese . . . . . . . . . . . . . .
91
S. Finocchi, L. Tirabassi, Nora: alcune osservazioni sulla città e sul territorio nel V sec. a.C. . . . . .
107
M. Guirguis, Sulcis in transition: le fasi punico-arcaiche dell’abitato di Monte Sirai (Carbonia,
Sardegna) tra luci e ombre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
117
E. Pompianu, A. Unali, Sant’Antioco: ricerche nell’area del Cronicario. La problematica del V
secolo tra dati stratigrafici e cultura materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127
G. Salis, La Sardegna centro-orientale tra radici locali e contatti punici. . . . . . . . . . . . . . . .
139
F. Corrias, Neapolis (Guspini, Sardegna). La ceramica attica a vernice nera e il V secolo a.C. . . . . .
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Indice
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R. Docter, B. Bechtold, Fifth-Century Carthage . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
163
L.I. Manfredi, Il V secolo a.C. a Iol-Caesarea (Cherchel, Algeria) . . . . . . . . . . . . . . . . . .
183
F. Spatafora, Declino e vitalità nella Sicilia occidentale del V secolo a.C. . . . . . . . . . . . . . . .
191
A. Orsingher, «Il Secolo breve»: Mozia tra le due battaglie di Himera . . . . . . . . . . . . . . . .
203
A. Mª Niveau de Villedary y Mariñas, Gadir in the 5th century BC. Restructuring city and territory. .
215
P. Bueno Serrano, El Cerro del Castillo, Chiclana (Cádiz, España). Un asentamiento agrícola
fenicio-púnico en la campiña gaditana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
229
E. Ferrer-Albelda, F.J. García-Fernández, Godless cities: the 5th-century BC crisis in Turdetania . . . .
239
C. Sanna, P. Aguayo de Hoyos, Las Béticas Occidentales y el problema histórico-arqueológico de
su inclusión en la Turdetania del siglo V a.C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
255
A. Arancibia Román, B. Mora Serrano, A. Sáez Romero, Malaka in the 5th Century BC: a
Major Punic Port-City in the East of the ‘Circuit of Gadir’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
265
J.L. López Castro, Ancient Baria and the 5th century: Phoenician traditions and Mediterranean
connections . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
285
J.L. López Castro, B. Alemán Ochotorena, L. Moya Cobos, Abdera and its territory during
the 5th century BC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
301
J. Vives-Ferrándiz Sánchez, El siglo V a.C. en la costa oriental de la Península Ibérica . . . . . . .
311
L. Gelabert Batllori, El primer vino consumido en Mallorca: dinámicas de consumo (siglos V y
IV BC) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
325
RITUALI E NECROPOLI
G. Garbati, Sotto l’egida di Cartagine? Note sulle forme cultuali di Sardegna tra la fine del VI
e il V sec. a.C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
337
V. Melchiorri, Il “problema del V secolo” e i tofet della Sardegna punica . . . . . . . . . . . . . .
355
M. Guirguis, La “nuova” necropoli punica di Monte Sirai (Carbonia-Sardegna). Il problema del
V sec. a.C. dalla prospettiva funeraria (scavi 2009-2016) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
373
P. Bernardini, Aspetti del V secolo nella necropoli punica di Sant’Antioco. . . . . . . . . . . . . . .
389
A.M.G. Calascibetta, Contesti funerari del V secolo a.C. Nuove evidenze dalla necropoli di Solunto . . .
403
J.H. Fernández, A. Mezquida, Enterramientos del siglo V a.C. en la necrópolis del Puig des Molins . . .
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LA SARDEGNA E IL MONDO GRECO NEL V SEC. A.C.
Carlo Tronchetti
Alla Memoria di Brian Shefton
(1920-2012)
Abstract: From a historical perspective, the 5th century is fundamentally split between the first two decades and the remaining ones, as the former remained strongly attached to and in consonance with the Archaic period. Overall, the 5th century is
characterized by a wide distribution of settlements, both urban and rural, and a clear differentiation between settlements and
burial ground – as well as among settlements. With respect to the role of Carthage, it is quite evident that Sardinian connections with the Greek world were channeled through the North African city.
Il tema che mi è stato assegnato in questo Convegno è abbastanza complesso, e per questo sinora non avevo
avuto l’animo di affrontarlo. Uno dei motivi principali di questa remora si trova ben espressa nella presentazione stessa del Convegno, dove si fa esplicito riferimento al “problema” del V secolo, in generale riferito al
mondo punico. È chiaro che il rapporto con il mondo greco è solo uno degli aspetti di questo “problema”,
che se da un lato può contribuire a meglio lumeggiarlo, dall’altro è fortemente influenzato nelle sue modalità
dalla situazione generale del Mediterraneo punico e punicizzato, senza dimenticare le intrigate vicende di
quella parte del Mediterraneo in cui è più forte e presente l’impronta ellenica: penso soprattutto alla Sicilia
di cui ci parleranno Francesca Spatafora e Adriano Orsingher.
È senza dubbio da considerarsi una tautologia l’osservazione che i modi della presenza cartaginese in
Sardegna condizionano il rapporto con il mondo greco, e dovremo anche cercare di percepire se si tratta di
un rapporto diretto o mediato attraverso la metropoli africana. Per inquadrare il V secolo sarà utile anche un
confronto della sua facies ricostruibile con quella del secolo successivo, maggiormente interessata da studi,
anche nel settore specifico di rapporti con l’area ellenica. In questo modo si potranno individuare continuità,
somiglianze, differenze, che, pur nella sostanziale frammentarietà dei dati a disposizione, ci consentano di
proporre un quadro sufficientemente corretto.
Ho accennato alla frammentarietà dei dati a disposizione, e questo è un punto che va subito chiarito.
Per il V secolo abbiamo gli scavi editi e inediti di poche necropoli: fondamentalmente Nora, Cagliari, Bithia,
Sulci, Monte Sirai. Notizie sporadiche da Senorbì, Tharros, Othoca. Di altri siti le necropoli, nella quasi
totalità delle testimonianze, sembrano decorrere dallo scorcio del V se non proprio dagli inizi del secolo
successivo. Per gli insediamenti urbani la situazione è anche più ridotta: solo un settore scavato di Cagliari,
Nora, Sulci, Pani Loriga. Tharros rimane ancora largamente scoperta. Riguardo ad Olbia sappiamo che le
testimonianze iniziano a farsi consistenti solo a partire dal IV. Per gli insediamenti rurali il quadro appare
abbastanza desolante, e questo è un dato che conforta l’ipotesi, ormai ampiamente riconosciuta come altamente verosimile, che l’occupazione del territorio, senza assolutamente voler dare a questo termine un senso
militare, avviene prevalentemente nel IV secolo, nelle sue diverse modalità ben descritte ed analizzate da
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Fig. 1. Distribuzione dei materiali arcaici di importazione in
Sardegna.
Fig. 2. Distribuzione della ceramica attica di V sec. a.C. in Sardegna.
diversi autori, come van Dommelen, Roppa e Finocchi1. Questo, naturalmente, non significa che testimonianze del secolo precedente non esistano, come vedremo in seguito.
Per meglio inquadrare gli aspetti del V secolo, da questo punto di vista, è opportuno osservare anche
il secolo precedente, perché abbiamo di fronte fenomeni generali abbastanza interessanti.
Se, infatti, andiamo ad osservare la diffusione di materiali esotici arcaici nel territorio sardo (fig. 1),
vediamo un’ampia distribuzione in diversi centri del Campidano a vocazione preminentemente agricola,
in cui si hanno prevalentemente ceramiche etrusche ed in misura minore greche, sempre accompagnate da
materiale fenicio. Questa facies prosegue, con un forte incremento di vasellame greco, genericamente “ionico” senza che si possa sinora distinguere se della madre patria o coloniale e, dallo scorcio del VI, attico, sino
ai primi decenni del V secolo. Successivamente (fig. 2) si percepisce una sostanziale continuità di vita degli
insediamenti rispetto al periodo precedente, ma se ci confrontiamo con il periodo arcaico possiamo agevolmente vedere che in quel periodo le importazioni, greche ed etrusche, sono diffuse comunque in modo assai
più ampio rispetto al vasellame attico di V secolo, che costituisce, come già riconosciuto da diversi studiosi,
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Finocchi 2002; Roppa 2013; van Dommelen 1998; 2003; van Dommelen/Finocchi 2008.
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Fig. 3. Castulo cups nel Mediterraneo e nella Spagna
meridionale.
praticamente quasi l’interezza delle importazioni ceramiche. Nel IV secolo, come è noto, la situazione cambia nuovamente, avendosi una vastissima diffusione, rappresentata da quantità anche relativamente notevoli
sia in ambiti urbani che rurali, sia in abitati che in necropoli, pur con le distinzioni che conosciamo.
Il confronto della facies del V con quelle del VI e IV è fondamentale per avere un quadro articolato
della situazione sarda. Infatti si può vedere come il V non offra quello che ci si potrebbe aspettare, a seguito
dell’inserimento dell’isola nella sfera del dominio cartaginese, e cioè un incremento delle testimonianze di
traffici, anche se è meglio attendere quanto ci dirà Bellelli riguardo al materiale etrusco2.
Una serie di studi sulla ceramica attica in ambito occidentale, abbastanza recenti, consente di individuare alcuni aspetti generali quale, ad esempio, la diffusione della Castulo cup. La proposta interpretativa di
Brian Shefton3, che vede in questa coppa, pesante e resistente, un prodotto ideato e destinato in massima parte
al commercio occidentale (fig. 3) ha trovato una concreta conferma nella recente analisi di Florinda Corrias4,
da cui si percepisce assai bene quali siano i mercati privilegiati, fra cui spicca sicuramente la penisola iberica;
studi di alcuni anni fa sulle Castulo cups nella parte meridionale della Spagna5, in particolare nella zona dello
Stretto, hanno evidenziato la amplissima diffusione di questo vaso, sia in ambito di abitato che funerario, con
qualche presenza anche in ambito santuariale. Per dare una idea della quantità di questi vasi in alcuni contesti
basterà citare il caso del Cancho Roano, dove ne sono stati ritrovati 374 esemplari6. Considerando sia che la
forbice cronologica della coppa, nelle sue varianti, copre l’intero V secolo dalla fine dell’epoca arcaica in poi,
sia che la sua diffusione è abbastanza vasta, la Castulo cup risulta essere un fossile-guida del periodo (fig. 4).
2
3
4
5
6
Bellelli in questa sede.
Shefton 1996.
Corrias 2012.
Gracia Alonso 1991; Martìn Ruiz et al. 1995.
Buxeda et al. 1999.
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Fig. 5. Presenze percentuali dei vasi attici di V sec. a.C. in Sardegna.
Fig. 4. Castulo cups in Sardegna.
Riprendendo quanto ho già detto altrove7, alla luce del progresso degli studi, un trend che prosegue nel
V quanto già notato per il VI secolo, è la mancata considerazione del mondo punico sardo riguardo alla decorazione figurata dei vasi. La percentuale dei vasi attici a figure rosse è minima. È stato calcolato dalla Corrias8
che questi vasi non raggiungono il 25% del totale della ceramica attica di V secolo (fig. 5). E quello che è forse
più interessante è esaminare la diversa distribuzione tra necropoli ed abitato sempre della ceramica figurata.
Nelle necropoli dominano le lekythoi, i vasetti per olio profumato che hanno appunto prevalentemente, ma non esclusivamente, una destinazione funeraria (circa il 70% proviene da necropoli), mentre skyphoi,
coppe, askoi, crateri, sono attestati in maggior numero presso gli abitati. Ma sempre, è fondamentale ricordarlo, senza poter individuare una facies omogenea tra i diversi centri sardi, al di là di considerazioni molto
generali. Il confronto tra le necropoli di Nora e Cagliari è illuminante. Nelle 40 tombe norensi di V e IV, per
il V secolo abbiamo una buona quantità di ceramica attica in generale e figurata in particolare, ma è bene far
presente che la totalità dei vasi figurati di V secolo proviene dalla tomba 31, che ne ha restituito nove esemplari (fig. 6); nella necropoli abbiamo poi solo altri quattro vasi (tre lekythoi ed uno skyphos Saint-Valentin)
con decorazione geometrica oppure fitomorfa.
Ho già altrove ipotizzato9 che, a mio parere, con la tomba 31 siamo di fronte alla sepoltura di una donna di
stirpe greca, considerando sia che tutti i vasi del corredo sono greci, sia che sono presenti forme strettamente legate
7 Tronchetti 2003; 2009.
8 Corrias 2005.
9 Tronchetti 2009.
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al mondo femminile, come le lekanides. Nelle oltre 150
tombe dello stesso periodo scavate da Taramelli a Cagliari, troviamo solo nove vasi attici di V secolo, di cui solo
uno decorato a figure rosse. I più recenti scavi, ancora
sostanzialmente inediti, condotti da Donatella Salvi non
è che abbiano mutato il quadro, anzi direi che lo hanno rafforzato. Osservando i rispettivi abitati si vede però
che il discorso si inverte. Negli scavi del Foro di Nora10
i materiali a figure rosse sono in numero molto ridotto,
in tutto dieci, mentre a Cagliari11 sono assai più abbondanti e comprendono anche forme di grandi dimensioni, come crateri. A Sant’Antioco le figure rosse sono in
quantità minima, sia nell’abitato che nella necropoli, che
mostra, come già detto altrove, una forte dissomiglianza da quella delle altre città puniche. Un recentissimo
riesame dei materiali dei vecchi scavi12 ha confermato,
infatti, una presenza fortemente minoritaria di ceramica greca. Il nucleo principale di quella figurata appare
concentrata soprattutto nella fase arcaica, con esemplari
di lekythoi ed una coppa-skyphos a figure nere. Successivamente l’unico pezzo figurato è una lekythos ariballica,
mentre i restanti pezzi sono a vernice nera. È da rilevare
il fatto che sono attestate quattro lekanides, distribuite in
quattro tombe diverse ed una di queste, la tomba 3A è
Fig. 6. Parte del corredo della Tomba 31 di Nora.
quella che ha restituito il maggior numero di vasi attici
dell’intera necropoli. Non si vuole affermare che vi si
trovasse deposta una donna di stirpe greca, ma è comunque interessante che in quattro distinti ipogei la defunta
si caratterizzasse con un oggetto tipicamente ellenico. L’abitato, in contrasto con la facies della necropoli, ha una
gamma più ampia di forme (fig. 7), riferite al vasellame da mensa13, con prevalenza di skyphoi, come peraltro a Cagliari e, anche se decontestualizzati, a Neapolis; sono presenti anche alcuni esemplari di lekythoi ariballiche figurate.
Se passiamo ad esaminare più in dettaglio la ceramica attica della Sardegna, basandoci sui dati forniti
dal bel lavoro di Florinda Corrias14, possiamo meglio inquadrare alcuni aspetti, già in parte anticipati altrove,
confrontandoli con l’aspetto che offre il successivo IV secolo.
Come ho già scritto, questo secolo vede uno standardizzarsi delle forme presenti in Sardegna, accentrate sul servito da mensa, con una percentuale minoritaria riferibile all’illuminazione ed a quella che
chiamerò in questa sede, per intenderci, toilette. Se osserviamo il V, facendo per il momento astrazione dei
primi due decenni che appartengono all’età arcaica, e non solo cronologicamente come cercherò di spiegare
meglio, vediamo subito alcuni fattori che balzano all’occhio. In primo luogo la forte differenza quantitativa:
il V secolo ha un numero di oggetti che è la metà di quelli presenti nel IV. Il secondo punto è, come detto,
riferibile alla standardizzazione: rispetto al IV il V secolo è caratterizzato da una gamma più ampia di for10 Rendeli 2009.
11 Chessa 1992.
12 Tronchetti c.s.
13 Tronchetti 2008.
14 Corrias 2005.
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Fig. 7. Confronto tra i vasi attici dagli abitati di Cagliari e Sulci.
Fig. 8. Ceramica attica di Sardegna distinta per funzioni: V e
IV sec. a.C.
me. Questa considerazione necessita di una spiegazione, perché osservare il dato puro e semplice potrebbe
trarre in inganno; la forte differenza tra il V ed il IV si percepisce non tanto dalle singole forme, quanto
dalla funzione del vasellame (fig. 8), come i grafici evidenziano in modo chiaro. Nel V secolo, proseguendo
sostanzialmente il trend del periodo tardo-arcaico, vengono coperte pressoché tutte le funzioni riferite alla
mensa: dalla presentazione, al versare, al consumare; poi l’illuminazione con lucerne, infine la toilette con
vasetti per olio profumato e lekanides. Nel IV l’assoluta predominanza è data dal vasellame per consumare,
seguito da lucerne e vasetti per l’olio da illuminazione, ed infine le lekythoi per l’olio profumato. Mancano
del tutto, sinora, i vasi per contenere, presentare e servire.
Un aspetto interessante, ma ancora da approfondire, è quello delle imitazioni della ceramica greca,
sinora affrontato concretamente solo per i secoli successivi. Dai dati a disposizione si può dire che durante
il V secolo le imitazioni sono abbastanza rare nella ceramica da mensa; io ho presente solo qualche coppetta
ed alcune lucerne a forma aperta che potrebbero essere riportabili a forme di V, ma non si può escludere
il IV. Praticamente le uniche “imitazioni” con qualche modifica, sicure e attestate, sono i rari esemplari
di brocche da Tuvixeddu che riprendono la forma dell’oinochoe attica, aggiungendo una piccola protome
femminile all’attacco superiore dell’ansa, sul bordo. Sinora eccezionale è la “imitazione” di una Castulo cup
da Sant’Antioco, proveniente dall’abitato15. Più concreto, invece, appare l’influsso ellenico nella ceramica
15
Campanella 2008, 163-165.
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da cucina. Un recente studio della Giardino16 su ceramiche comuni moziesi tra VI e V sec. a.C. evidenzia
come forme di tegami e successivamente di pentole derivate da modelli greci, identificabili come prototipi
ad Atene e abbondantemente diffusi nei centri greci sicelioti, compaiano omogeneamente e repentinamente
nel repertorio formale dei centri punici siciliani e siano ben attestate anche a Cartagine ed in Sardegna. Qui
trova confronti con i centri di Nora, Sulci e Tharros, cioè praticamente con tutti quelli in cui sia stato edito
materiale da abitato, e individua in Sardegna un certo attardamento nella ricezione di queste nuove forme,
cosa che, aggiungo io, potrebbe indicare come questa “moda” sia provenuta attraverso la mediazione della
città africana.
Tornando ad esaminare più in dettaglio il V secolo, se andiamo a vedere il periodo tardo-arcaico, i
cui ultimi venti anni ricadono cronologicamente in questo ambito cronologico, ci troviamo di fronte ad un
problema, secondo me, fondamentale nell’ottica di questa relazione.
Gli ultimi decenni del VI ed i primi del V secolo rappresentano un periodo di forti trapassi e mutamenti.
La battaglia di Alalia, databile verso il 530 a.C., segna la fine della presenza greca in Corsica e ad Olbia; il primo
trattato romano-cartaginese del 509 ci segnala come almeno parte del Mediterraneo occidentale centro-meridionale venisse, quantomeno a parole, spartito tra le due potenze. Queste sono date che si riferiscono ad eventi
che hanno una influenza diretta sulla Sardegna, ma, a mio avviso, dobbiamo prenderne in considerazione anche
un’altra, successiva. La battaglia di Cuma del 474 vede i Siracusani sconfiggere una flotta etrusca, segnando,
anche in questo caso, quella che possiamo convenzionalmente chiamare la fine di un’epoca. Ovviamente, è bene
ricordarlo, non è che siano le battaglie ed i trattati che segnano la fine o il principio di qualche cosa: sono effetti,
non cause, degli avvenimenti storici e delle situazioni che mutano e si trasformano.
Mi sembra di poter dire che, anche riguardo alla Sardegna, i primi due decenni del V si distaccano
abbastanza marcatamente dal restante secolo, presentando una facies distinta che è legata ancora strettamente
a quanto visto nella seconda metà del VI sec. a.C. Un relativamente cospicuo apporto di ceramica greca,
principalmente, ma non unicamente, attica, figurata, anche con isolate attestazioni di vasi di buon livello
ed oggetti di alto pregio provenienti dall’Etruria. In uno studio, ormai antico17, esaminando alcuni vasi
attici di Tharros, avevo prospettato l’ipotesi che si trattasse di oggetti giunti nell’isola attraverso l’Etruria,
lasciando aperte le due ipotesi di un commercio diretto etrusco ovvero di ritorno punico. Ritengo che l’idea
di un tramite etrusco di questi materiali, ed anche degli altri greci rinvenuti in epoca arcaica e tardo-arcaica,
eccezion fatta per quelli di Olbia e del suo immediato hinterland, sia ancora sostanzialmente sostenibile,
mentre riguardo l’identità dei vettori abbiamo lo studio della Martelli18 inerente le placchette in osso o avorio
figurate etrusche, che sostiene l’ipotesi del vettore punico; i suoi argomenti mi sembrano convincenti e non
ho difficoltà ad inserire anche il vasellame attico tra i carichi di ritorno delle navi puniche che frequentavano
le coste etrusche.
Dopo la battaglia di Cuma, per usare questo evento come punto convenzionale dirimente, la situazione invece cambia. Materiali greci, come abbiamo visto, giungono nell’isola in quantità non rilevantissime ma
abbastanza consistenti. La Sardegna in questo periodo, lo ha illustrato con la consueta chiarezza Sandro Bondì, è terra gestita secondo gli interessi della metropoli africana, il che non significa un dominio manu militari
di tutto il territorio isolano, e si articola in una serie di insediamenti di tipo urbano costieri e più interni.
I rapporti del mondo punico con il mondo greco sono notissimi, a partire dalla Sicilia, con eventi conflittuali di forte impatto: la battaglia di Himera del 480 (una data prossima a quella del 474 di Cuma), ma
anche con una forte interazione culturale, come si evince dalla documentazione archeologica della cultura
materiale, ed anche della produzione artistica, basti pensare all’auriga di Mozia.
16 Giardino 2013.
17 Tronchetti 1979.
18 Martelli 1985.
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Indubbi legami si possono poi individuare nella plastica fittile, in special modo, ma non solo, nelle
maschere femminili, di tradizione tardo arcaica. Già la Bisi e Sandro Bondì19, a questo riguardo, hanno rilevato l’importazione di matrici siceliote in ambito punico. Potremmo pensare a contatti diretti della Sardegna
con la Sicilia ellenizzata? O non sarà più congruo ritenere che questi motivi stilistici entrano nel repertorio
formale punico della Sicilia e di là si diffondono a Cartagine ed altrove? Secondo la Ciasca “L’area di elaborazione delle tipologie occidentali … si può immaginare decisamente concentrata nel ristretto circuito fra
le coste tunisine dell’Africa e la Sicilia occidentale e meridionale”20. Considerando la distribuzione dei ritrovamenti la Ciasca metteva in risalto il concentramento nelle regioni “di cui sono storicamente ben noti gli
stretti contatti con Cartagine”, e quindi questo porterebbe ad ipotizzare una mediazione della città africana
nei confronti della Sardegna, ovviamente a livello di modelli, non di importazione degli oggetti, anche se in
alcuni casi questo sembra essere documentato.
Non dobbiamo dimenticare, comunque, la concreta possibilità di contatti diretti di individui sardi
con il mondo ellenico siceliota. Una piccola quantità di monete di zecche greche della Sicilia sono state rinvenute in Sardegna21. La più antica, datata fra il 465 ed il 425 è di zecca siracusana; le altre (una di Camarina
e nove di Himera) sono tutte databili più tardi, alla fine del secolo: 413-405 l’esemplare di Camarina, 413408 quelli di Himera; altre due monete siracusane si datano dal 425 in poi. La loro presenza nell’isola è stata
convincentemente riferita dalla Polosa all’attività in Sicilia di mercenari sardi, rientrati poi in patria. Si tratta,
con ogni evidenza, di episodi sostanzialmente sporadici.
Come anche non rilevanti sembrano essere i rapporti testimoniati da anfore commerciali. Neapolis
gode di un’analisi approfondita22, ma i reperti attribuibili ad una provenienza dal mondo greco sono assai
pochi e molto variegati: quattro anfore magno greche sicuramente di V, due databili con ampia forbice nel
V-IV, due di Mende, e due corinzie, con pezzi che possono anche scivolare nel secolo successivo. Altre anfore
magno-greche vinarie sono attestate dai centri costieri maggiori, come Nora, Tharros, Olbia, tutte databili
fra lo scorcio del V ed il IV sec. a.C. Si tratta di presenze non rilevanti, come già ha notato Sourisseau23
specificamente per le anfore vinarie prodotte nei centri greci d’Occidente. La Bechtold24 tende a collegare la
presenza di tali anfore nelle città sarde alle relazioni commerciali di queste con Cartagine.
La metropoli africana ha contatti diretti con il mondo greco ed Atene in particolare25, e non sarà fuor
di luogo ricordare alcuni punti importanti. Tucidide (VI, 88, 6) ricorda che gli Ateniesi, tra il 415 ed il 414
a.C., inviarono una trireme a Cartagine, in occasione della spedizione in Sicilia, “per alleanza, per vedere
se potevano ottenere aiuto”. Gomme, Andrewes e Dover26, nel loro commento storico, ritengono possibile
l’ipotesi che i vantaggi di una collaborazione con Cartagine siano stati discussi ad Atene già da almeno un
decennio. Una iscrizione frammentaria di Atene (IG I2, 47) risulta essere parte di un decreto concernente
problematiche afferenti la Sicilia, verosimilmente un’alleanza, e vi appaiono i nomi di Imilkon e Geskion:
Imilkon operò nell’isola assieme ad Annibale figlio di Geskion nel 407-406 a.C., e l’iscrizione viene datata
appunto alla fine del V sec. a.C. E comunque anche la Sardegna ad Atene era nota, tanto da essere citata due
volte da Aristofane nelle sue commedie (Cavalieri del 424, Vespe del 422).
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Bisi 1990; Bondì 2009.
Ciasca 1988, 366.
Polosa 2006.
Garau 2006.
Sourisseau 2011.
Bechtold 2008.
Intrieri 2016.
Gomme et al. 1970.
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Se confrontiamo i dati recentemente editi da Babette Bechtold27 sugli ultimi scavi in un settore urbano di Cartagine possiamo vedere un sostanziale riscontro tra la tipologia delle forme ceramiche ateniesi
attestate a Cartagine ed in Sardegna, ed anche un simile rapporto proporzionale tra il vasellame attico di V e
quello di IV sec. a.C. La sua funzione come centro redistributore appare più evidente nel periodo successivo,
di IV secolo, potendo contare anche sul relitto di El Sec, dove vasi greci hanno graffiti punici, interpretati
come segni commerciali della seconda fase del viaggio dei vasi, per dir così, gestita da vettori di ambito cartaginese. Una recente pubblicazione28 di una coppa attica della prima metà del IV sec. a.C. rinvenuta nel porto
di Ibiza mostra sul fondo esterno del vaso due lettere graffite: un’alfa greca ed una mem punica, interpretate
come la testimonianza di un commercio di seconda mano. A Cartagine, poi, si trovano vasi attici figurati
di IV secolo che in Sardegna sono sinora, a quanto conosco, assenti, come gli skyphoi del Gruppo Fat-Boy
e i crateri del Pittore del Tirso Nero, che sono invece attestati nella penisola iberica. La città africana appare
quindi come un centro in cui convergono i traffici con Atene, e che successivamente redistribuisce i materiali
pervenuti, a seconda della richiesta che proveniva dalle diverse zone del Mediterraneo “punicizzato”.
Penso di poter sostenere con buona verosimiglianza che questo ruolo di Cartagine non appare improvvisamente nel IV secolo, ma che è la prosecuzione di quanto già avveniva quantomeno durante il V.
Quindi come conclusioni, ovviamente intendendo la parola tra virgolette perché in effetti non c’è
alcunché di conclusivo, io penso di poter proporre questa sintesi.
Il V secolo va distinto tra periodo tardo arcaico ed il rimanente, essendo i primi due decenni del secolo
strutturalmente legati al periodo precedente, con l’arrivo di una buona quantità di ceramica greca, anche
figurata, verosimilmente in massima parte veicolata tramite il rapporto con il mondo etrusco, che si attesta
anche in centri interni.
Monte Sirai ha restituito alcuni esemplari delle tarde figure nere e almeno una coppa a vernice nera,
sempre inseribili entro i primi venti anni del V secolo29.
L’insediamento punico di Pani Loriga (Santadi), attualmente in corso di scavo30, ha ricavato dati
cronologici per la sua fondazione da alcuni frammenti attici che si collocano tra il 500 ed il 460 a.C.: il più
antico appartiene alle tarde figure nere (produzione afferente alla cerchia del Pittore di Haimon); gli altri
rientrano nel vasellame a vernice nera e sono pertinenti a vasi potori.
Successivamente la ceramica attica è dominante, con una diffusione territoriale che mostra una forte
concentrazione negli abitati costieri punici, ed ancora una interessante presenza nell’interno.
Ad esempio l’insediamento di Senorbì, nelle vicinanze di Cagliari, ha restituito, sia pure da ricognizioni superficiali, materiali attici di V secolo ed alcune tombe della sua necropoli, che rivelano una lunga fase
di utilizzo, restituiscono vasi attici di V31.
È interessante, in conclusione, ribadire alcune considerazioni. Anzitutto la scarsissima attenzione dimostrata nel mondo punico alla grande ceramica attica a figure rosse. Solo pochi esemplari, e sostanzialmente di routine, modesti skyphoi e lekythoi. Non si può che confermare come il vasellame attico figurato e le sue
iconografie non avessero valenza ideologica nell’abito della società punica.
In secondo luogo si considera la diversa distribuzione del vasellame greco tra abitato e necropoli, al
di là delle osservazioni di dettaglio delle singole situazioni. I vasi con decorazione figurata, pur non molto
frequenti, sembrano trovare una maggiore attestazione negli abitati, da dove provengono crateri, skyphoi e
lekythoi ariballiche; nelle necropoli, invece, appaiono essere in minoranza, e si nota la mancanza di vasi di
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Bechtold 2007.
Ramon Torres/Hermanns 2012.
Guirguis et al. 2017, 286-287; Tronchetti c.s.
Botto 2017.
I dati sono per lo più inediti; ringrazio lo scavatore Antonio Maria Costa per l’autorizzazione a citare questi materiali.
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grandi dimensioni, come appunto i crateri. Non si individua un “servito da mensa” standardizzato, con il
vaso per presentare il vino (cratere), quello per versarlo (oinochoe) e quelli per consumarlo (coppe, skyphoi).
Indubbiamente il vino veniva consumato, come attestato anche dalle anfore, sia importate che prodotte
localmente, ma ci dobbiamo chiedere se l’adozione di ceramica greca significa l’adesione all’ideologia del
simposio ellenico32. Direi che i dati a nostra disposizione non ci indirizzano verso questa direzione; con ogni
evidenza la ceramica attica non rivestiva un ruolo significativo e funzionale ad un consumo del vino “alla
greca”33, e la sua valenza appare limitata all’essere un oggetto “esotico”, qualificante chi lo adoperava.
Nel secolo successivo la situazione appare parzialmente mutata, soprattutto considerando la vastissima
diffusione in grande quantità su tutto il territorio sardo. Questo fenomeno va riguardato, comunque, anche
nell’ottica del centro produttore, che vede un incremento della fabbricazione dei vasi a vernice nera durante
il IV secolo, che trovano nel mondo punico di Occidente un mercato privilegiato34. Ma anche se il numero
di vasi si incrementa notevolmente, mancano alcune forme ideologicamente strettamente collegate al banchetto ed al consumo del vino, come i crateri, e le forme deputate a servire la bevanda.
Penso di poter affermare, quindi, che la presenza del vasellame attico è una costante nel mondo punico sardo, allineandosi alla facies cartaginese ed in generale al mondo punico e punicizzato del Mediterraneo
occidentale.
I dati che abbiamo a disposizione tendono a farmi ritenere che sia proponibile l’ipotesi che ricostruisce il rapporto della Sardegna con il mondo greco, ed Atene in particolare, in massima prevalenza, se
non proprio esclusivamente, mediato attraverso Cartagine, che funge da punto di passaggio, elaborazione e
redistribuzione.
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