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GREEN BOOK

2019, EIDOS

Per Platone, l'amicizia sfugge alla definizione perché essa è più un processo, che un oggetto. I veri amici si cercano l'un l'altro per avere vite più vere e piene, si relazionano in modo autentico e si educano a vicenda sui limiti delle loro credenze e i difetti del loro carattere. Green Book descrive un'amicizia nata da un duplice processo: da un lato il viaggio reale che i due protagonisti compiono nel sud degli Stati Uniti, dall'altro il viaggio mentale che entrambi intraprendono, interiormente, esplorando le proprie origini, di fronte al bisogno di attribuire la giusta dignità alla vita. Psicologicamente, l'amicizia è una qualità che mantiene psichicamente sana la materia umana. Espande le relazioni al di là dei vincoli familiari, usa l'affinità per rendere abitabile la differenza. L'amicizia è espressione di un rapporto paritario, fatto di attrazione e di curiosità. Il titolo del film deriva dal The Negro Motorist Green Book, la guida stradale che segnalava i (pochi) locali accoglienti nei confronti dei viaggiatori di colore, presenti nel sud degli USA. Green Book è, prima di tutto, quel che appare: un film su un rozzo bianco e un raffinato nero che diventano amici, in un viaggio assurdo ma reale, esilarante e doloroso, nell'America del 1962. Nel 1961, alla radio, lo scrittore James Baldwin affermava che «essere negro negli Stati Uniti ed esserne relativamente cosciente, significa essere sempre in collera». In quegli anni, il panorama era variegato: L'I have a dream di Martin Luther King nell'agosto '63; il Civil Rights Act del 1964 e, conseguentemente, la fine delle leggi segregazionistiche "Jim Crow"; JFK e Bob Kennedy; anche Malcolm X ma, come scrive lo storico George Fredrickson in Breve storia del razzismo (2002), «non fu prima del 1967 che una sentenza della Corte suprema dichiarò nulle le ultime leggi dello Stato che custodivano il simbolo primario di un regime razzista: il divieto di matrimoni misti». Inizialmente, Green Book dà l'impressione che il maggior lavoro di scrittura, fatto sul film, sia stato quello di scambiare il posto dei personaggi, mettendo un bianco alla guida, stipendiato da un nero sul sedile posteriore. Entrambi in viaggio, per una serie di concerti di alto profilo, in un territorio ad alto rischio come gli stati più razzisti,

Green book Alberto Angelini www.albertoangelini.it Per Platone, l’amicizia sfugge alla definizione perché essa è più un processo, che un oggetto. I veri amici si cercano l’un l’altro per avere vite più vere e piene, si relazionano in modo autentico e si educano a vicenda sui limiti delle loro credenze e i difetti del loro carattere. Green Book descrive un’amicizia nata da un duplice processo: da un lato il viaggio reale che i due protagonisti compiono nel sud degli Stati Uniti, dall’altro il viaggio mentale che entrambi intraprendono, interiormente, esplorando le proprie origini, di fronte al bisogno di attribuire la giusta dignità alla vita. Psicologicamente, l’amicizia è una qualità che mantiene psichicamente sana la materia umana. Espande le relazioni al di là dei vincoli familiari, usa l’affinità per rendere abitabile la differenza. L’amicizia è espressione di un rapporto paritario, fatto di attrazione e di curiosità. Il titolo del film deriva dal The Negro Motorist Green Book, la guida stradale che segnalava i (pochi) locali accoglienti nei confronti dei viaggiatori di colore, presenti nel sud degli USA. Green Book è, prima di tutto, quel che appare: un film su un rozzo bianco e un raffinato nero che diventano amici, in un viaggio assurdo ma reale, esilarante e doloroso, nell'America del 1962. Nel 1961, alla radio, lo scrittore James Baldwin affermava che «essere negro negli Stati Uniti ed esserne relativamente cosciente, significa essere sempre in collera». In quegli anni, il panorama era variegato: L'I have a dream di Martin Luther King nell'agosto '63; il Civil Rights Act del 1964 e, conseguentemente, la fine delle leggi segregazionistiche "Jim Crow"; JFK e Bob Kennedy; anche Malcolm X ma, come scrive lo storico George Fredrickson in Breve storia del razzismo (2002), «non fu prima del 1967 che una sentenza della Corte suprema dichiarò nulle le ultime leggi dello Stato che custodivano il simbolo primario di un regime razzista: il divieto di matrimoni misti». Inizialmente, Green Book dà l’impressione che il maggior lavoro di scrittura, fatto sul film, sia stato quello di scambiare il posto dei personaggi, mettendo un bianco alla guida, stipendiato da un nero sul sedile posteriore. Entrambi in viaggio, per una serie di concerti di alto profilo, in un territorio ad alto rischio come gli stati più razzisti, nell’America, a bassa tolleranza, degli anni ‘60. Invece Green Book si rivela un pezzo di cinema americano classico che, pur rifuggendo lo stesso oggetto della sua trama (l’approfondimento della questione razziale), rievoca dal passato tecniche e scritture, rendendole attuali con i suoi attori e vincendo, al di là della riflessione, ogni ritrosia sul piano umano. È un film cristallino e lieve, ma concreto; un road movie molto americano dove i luoghi, i volti, le persone, e persino il cibo, il pollo fritto, gli oggetti e i simulacri reinventano, tra il serio e il faceto, un'epoca e un intero, composito, paesaggio mentale, culturale e antropologico. Una nazione con le sue vergogne e crepe individuali e collettive. Un film che appare semplice, ma non semplifica: i due protagonisti sono complessi. Il punto di vista del personaggio di Viggo Mortensen sul mondo è articolato: la sua famiglia e i suoi amici chiassosi, la sensibilità della moglie, i due bicchieri buttati via di nascosto, perché toccati da due neri, la raffica di hot dog mangiati per aggiudicarsi dollari utili, le lettere sgrammaticate e pigre, poi trasformate in desiderio. Accanto vi è la solitudine e le tante implosioni del personaggio di Mahershala Ali, con un’omosessualità la cui dimensione è schivata con abilità. È un dettaglio che il film affronta esattamente con la noncuranza con la quale l’affronta l’autista Tony Vallelonga: una repentina tolleranza data dalla conoscenza maturata, associata al forte desiderio di dimenticare quel particolare il più in fretta possibile. Il musicista è alieno anche a se stesso e ciò più emerge quand’egli incontra i silenziosi e osservanti coltivatori neri. Spazio al loro lavoro durissimo, che si fa quasi cortometraggio a sé; parentesi come in sogno. Poi le miserabili qualità dei ricchi bianchi, che si dicono amanti dell’arte e invitano un musicista di colore, ricoprendolo di lodi, ma proibendogli poi di cenare al ristorante con loro e invitandolo a servirsi di una latrina in giardino. Questo personaggio, Don Shirley, contiene sofferenza e attrito. È presentato come un nero bianco; non c’è traccia in lui di cultura nera. Inoltre, questa sua formazione lo rende a tratti diffidente verso gli afroamericani, di cui commisera la povertà, l'ignoranza e la condizione. Il suo atteggiamento, il suo abbigliamento e il suo stile di vita sembrano quelli di un caucasico, risultando in una solitudine assoluta.  Per quanto semplice (oggi si direbbe “buonista”) possa apparire la morale di Green Book, il film sostiene che il razzismo sia più un costrutto sociale, che un qualcosa di incarnato nella cattiveria umana. Forse perché alla fine tutti balliamo le “musiche nere” per eccellenza (blues, soul, jazz) e a tutti piace il pollo fritto. Inoltre ognuno di noi è, usando le parole di Don, “troppo bianco” per alcuni e “troppo nero” per altri. La parabola di questa strana coppia tocca tutti i punti necessari per soddisfare la maggioranza. È un viaggio in cui le piccole umiliazioni sono sanate dall’amicizia e dal rispetto maturato da un uomo ignorante ma di buon cuore, partito razzista e tornato amico di un nero, nella notte di Natale. È un film di una Hollywood da anni ’50, o inizio ’80; materiale che si vede raramente, ma nelle cui pieghe sta l’umanità di cui è capace il cinema americano maggioritario, anche quando ha paura di turbare gli animi.