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2021, Letteratura e Scienze, Atti del XXIII Congresso dell’ADI, a cura di A. Casadei, F. Fedi, A. Nacinovich, A. Torre, Roma, Adi editore
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La questione antropologica è sicuramente uno dei temi più dibattuti all'interno degli studi filosofici attorno all'opera di Primo Levi. L'obbiettivo del presente contributo è quello di offrire una lettura darwiniana del modo in cui lo scrittore torinese ha definito il complesso rapporto tra umano e non-umano. A mio parere, analizzare il pensiero antropologico di Levi a partire dalle tesi psicologico-evoluzioniste esposte da Darwin in The Descent of Man permette infatti di risolvere le contraddizioni e le aporie in cui sembrano cadere alcune interpretazioni post-umaniste e umaniste. L'ipotesi di un Primo Levi 'lettore di The Descent of Man' verrà qui indagata sia dal punto di vista filologico sia da quello argomentativo e concettuale.
L'articolo si propone come una riflessione sui legami che si istaurano tra il sommo poeta italiano e Primo Levi, un chimico diventato autore grazie alla voglia e alla necessità di narrare. I legami, in apparenza e a prima vista solo formali, tendono ad approfondire e ad assumere valori più grandi su vari piani fino ad arrivare a aspetti quali quello stilistico. La tesi è volta verso un'analisi approfondita sulla memoria di Dante nella collettività italiana.
"Esemplari umani". I personaggi nell'opera di Primo Levi , 2023
Fin da "Se questo è un uomo" e "La tregua", Primo Levi dispiega di fronte al lettore una costellazione di personaggi: personaggi «pescati» dal vivo, «riprodotti con un’impressione soggettiva»; personaggi «spaccati» e «ricombinati» (non solo da tipi umani esistenti ma anche dalla tradizione letteraria). Questo volume offre una prima mappatura critica dei personaggi leviani, e mira a dare avvio a indagini sulla loro costruzione, sulla loro configurazione narrativa e linguistica, così come sul loro statuto ontologico all’interno del mondo possibile dell’universo letterario. Studiare l’opera di Levi attraverso gli «esemplari umani» che la popolano si rivela un ingresso privilegiato: illumina da una nuova prospettiva i debiti verso la tradizione romanzesca del novecento (soprattutto tedesca e anglosassone), l’uso della prima persona e le strategie di proiezione dell’io, la dialettica tra scrittura testimoniale e racconto fantastico, la componente morale in rapporto all’uso di alcune tecniche narrative, prima tra tutte lo straniamento, e infine il rapporto, sempre controverso, tra presa diretta e «arrotondamento» finzionale.
in: Ricercare le radici. Primo Levi lettore - Lettori di Primo Levi. Nuovi studi su Primo Levi, a cura di Raniero Speelman, Elisabetta Tonello e Silvia Gaiga, Utrecht, Igitur Publishing, 2014, alle pp. 125-135. ISBN 9789067010382, 2014
Levi lettore è avido, erratico e multiforme, ma anche metodico e indagatore. È un forte interprete di ciò che legge, e anche dei testi che appartengono alla sua cultura di base. Se occorre insistere sulla forza della scrittura di Levi, sulla sua qualità letteraria in tutte le sue manifestazioni, è anche necessario soffermarsi sulla forza di pensiero, sulla forza esegetica della sua attività di lettore, nel tentativo di riflettere sulla natura umana e di mettere in luce i “rapporti fondamentali dell’uomo con il mondo”. Fin dall’intertesto biblico e dantesco della sua prima opera Levi rovescia completamente il senso di quei testi, introducendo una dimensione di umanesimo radicale che rappresenta una sorta di penetrazione nella materia prima, nell’Urstoff delle nostre condizioni di esistenza. Si tratta di un’antropologia rovesciata perché Levi non parte da ciò che è riconosciuto positivamente come ‘umano’, ma dalla perdita e dall’assenza dell’umano, dalla sua negazione e dal suo occultamento. La lettura è quindi spesso per lui un viaggio a ritroso, verso la materia stessa, per definire, in un dialogo sempre non convenzionale, uno spazio possibile dell’umano, e per accertarne i limiti. In questa mappa, che attende ancora una ricognizione esauriente, occupano una posizione di rilievo La ricerca delle radici e altre raccolte ponderate e maggiori, e tutte le prove di lettura minuta e quotidiana come le recensioni giornalistiche e altri scritti occasionali, ma anche le traduzioni dei volumi di Mary Douglas e Lévi-‐‑Strauss che si collocano in un momento di svolta fondamentale nella vita e nell’opera di Primo Levi.
L’umana scienza di Primo Levi: vizio di forma o smagliatura di sostanza?
Felice l'uomo che ha raggiunto il porto, Che lascia dietro di sé mari e tempeste, I cui sogni sono morti o mai nati, E siede a bere all'osteria di Brema, Presso al camino, ed ha buona pace. Felice l'uomo come una fiamma spenta, Felice l'uomo come sabbia d'estuario, Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte, E riposa al margine del cammino. Non teme né spera né aspetta, Ma guarda fisso il sole che tramonta.
Anima, corpo, relazioni. Storia della filosofia da una prospettiva antropologica, 2022
La collana Idee/Filosofia vuole offrire, nel dialogo tra saperi, un panorama delle idee che costituiscono i più importanti punti di riferimento per la filosofia e, più in generale, per la cultura contemporanea. Questo progetto editoriale ha l'intento di aprire vie che consentano uno sguardo sulla modernità alternativo rispetto alle interpretazioni sistematiche e compiute, al fine di porre al centro la "relazione", ripensandola come ritmo, nelle diverse forme assunte da una filosofia della mediazione. La collana si propone quindi di riscoprire le radici del nostro presente, stimolando percorsi in grado di ricondurre l'umano al centro dello sguardo filosofico. La scientificità della collana è garantita dal comitato scientifico e dal processo di peer review anonima, seguita da esperti anche internazionali di diversi settori, che tutti i testi devono seguire. I contributi filosofici che verranno accolti dovranno rispondere alle indicazioni metodologiche degli specifici settori filosofici scientifico-disciplinari.
Ambiguity, inconstancy, and unpredictability characterise Gedale Skidler, the violinist partisan of "If not now, when?" This essay analyses the way the character is shaped to show that Primo Levi identifies with Gedale's irrational character. To achieve this purpose, Levi enacts a double mimesis: on the one hand, he hides traces of himself in the ambiguity of his character's expressive codes, language (made up of antitheses, litotes, irony, and prophecies) and music; on the other hand, in the process of writing, he erases part of these traces, sometimes leaving their mark. The result is a multiple play of mirrors and concealments, rhetorical and intertextual, which makes Gedale a highly representative “human specimen” of Levi's writing.
Questo articolo offre una traccia di lettura di una delle più conosciute pagine bibliche: Gen 2,4-3,24. Trattandosi di un racconto, è necessario fare attenzione alla dinamica narrativa che ne articola lo svolgimento. Leggere un racconto come un racconto si rivela spesso utile per cogliere degli aspetti che altrimenti passano inosservati, e sono talvolta assai importanti ai fini dell'interpretazione. La traccia di lettura proposta dall'autore interesserà tutti coloro che si occupano di teologia del matrimonio.
2012
Un tentativo di pensare fino in fondo l’umano, di immergersi nell’abisso delle sue possibilità, nella problematicità e meraviglia di ogni sua parola. Una risposta all’appello del filosofo Emmanuel Lévinas e a una delle sue opere più enigmatiche, Altrimenti che essere (1974). L’avventura del pensare altrimenti prende avvio dall’esser prossimi, situazione ineludibile e mai garantita, attraverso cui è possibile lasciarsi stupire e interrogare dagli infiniti volti dell’umano, da ciò in cui la cosa più naturale diventa la più problematica. Con la prossimità e la sua carica di rottura e risveglio, ha inizio un cammino di esplosione e ri-pensamento che coinvolge il tempo, lo spazio, il corpo, il dire, l’etica, l’approssimarsi stesso. Si va alla ricerca dell’altrimenti nelle parole, nei pensieri, nel modo d’essere, perché, forse, c’è qualcosa di più oltre il puro esser così come si è, qualcosa di ben oltre il già pensato, già detto, già stato, persino oltre il non c’è più nulla da fare, da dire, da pensare.
In Animals and Animality in Primo Levi's Works del 2018, Damiano Benvegnù ha ricostruito in maniera molto efficace il dibattito venutosi a creare tra gli studiosi dell'opera di Primo Levi in merito all'annosa questione del rapporto tra umano e non-umano. 2 A detta dell'autore, sono rintracciabili due principali linee interpretative. La prima, più tradizionale e di lungo periodo, è una lettura umanista. Stando a quanto sostenuto da Joseph Farrell, uno dei maggiori esponenti di questa corrente 3 , «The question, "What does it mean to be human" is posed by the very title of his most celebrated work, as are also the opposite questions: What forces can undo a man? Or, alternatively, What conduct is incompatible with humanity?». 4 Come molti altri interpreti dell'opera leviana, Farrell trova la risposta a queste domande nel noto capitolo Il canto di Ulisse. Qui Levi, sulla scorta del testo dantesco, ricorre in maniera molto esplicita a una grammatica umanista, rivendicando il carattere irriducibile dell'umano rispetto alle necessità biologiche imposte dalla sopravvivenza («Considerate le vostra semenza/Fatti non foste per vivere come bruti,/Ma per seguir virtute e conoscenza» 5 ). Levi sembrerebbe dunque far sua una prospettiva dualista, all'interno della quale l'umano corrisponderebbe alle nobili facoltà della ragione e del linguaggio, mentre l'inumano a una condizione esistenziale simile a quella istintiva e conservativa dell'animale. Come sostenuto da Nicholas Patruno, Il canto di Ulisse altro non sarebbe che una «reply to Steinlauf», il protagonista del capitolo Iniziazione: la dignità umana non può essere infatti misurata «by the standard of personal hygiene», bensì «by more profound and extraordinary standards, more akin to those that a noble language and culture such as Dante's can instill in the individual». 6 Il secondo approccio, più recente e innovativo, è invece quello post-umanista. Interpreti come Jonathan Druker 7 , Charlotte Ross 8 e Federico Pianzola 9 hanno collocato la riflessione di Levi nel solco del pensiero anti-umanista novecentesco. Stando a questa lettura, l'antropologia leviana tenderebbe a superare i dualismi fondanti della nostra tradizione metafisica: mente e corpo, umano e animale, trascendenza e immanenza. Da Se questo è un uomo, passando per i cosiddetti racconti e saggi fantabiologici, sino a I sommersi e i salvati, Levi avrebbe infatti messo severamente in questione l'idea dell'eccezionalismo umano, ravvisando in Auschwitz non un luogo di 'revival umanista', bensì una sonora smentita storico-empirica di qualsiasi metafisica dell'umano. La «condizione umana», scrive Levi in Se questo è un uomo, «è nemica di ogni infinito». 10 Come sottolinea Benvegnù, questo secondo approccio si dimostra più solido, in quanto prende in considerazione l'opera complessiva dello scrittore torinese. All'opposto, la lettura umanista tende invece a focalizzarsi esclusivamente sui lavori dedicati alla Shoah, all'interno dei quali l'anti-dualismo di Levi risulta indubbiamente più smussato. Una tensione che ha ben messo a fuoco Stefano Bellin: «the more we move away from the Holocaust», scrive, «the more Levi seems to advance positions that are fundamentally anti-Cartesian and postanthropocentric». 11 Levi sarebbe dunque a un tempo un testimone umanista e un pensatore post-umanista. Seguendo la ricostruzione di Benvegnù, questa apparente contraddizione tra umanesimo testificativo e post-umanesimo strutturale emerge in tutta chiarezza se si considera l'altra faccia della riflessione antropologica di Levi, ossia il tema dell'animalità. A tal riguardo, la conferenza L'intolleranza razziale tenuta da Levi a Torino nel 1979 rappresenta uno dei luoghi più controversi della sua produzione letteraria:
Penso che il pregiudizio razziale sia qualcosa di assai poco umano, penso che sia preumano, che preceda l'uomo, che appartenga al mondo dell'animale, al mondo animalesco piuttosto che al mondo umano. Penso che sia un pregiudizio di tipo ferino, di tipo proprio degli animali feroci, e questo per due motivi: uno, perché lo si trova effettivamente negli animali social […], e l'altro perché non c'è rimedio […]. Con questo non voglio dire, anzi mi guardo bene dal dirlo, che sia un male non sradicabile; se siamo uomini è perché abbiamo imparato a metterci al riparo, a contravvenire, a ostacolare certi istinti che sono la nostra eredità animale. 12 Secondo Farrell, «this dialectical opposition between the 'animal' or the bestial and the 'human' is a recurrent and deeply significant theme in Levi, while the underlying fundamental, even fundamentalist reassertion of a basic humanistic credo in the values of being human contained in those words represents his enduring and authentic voice as writer and intellectual». 13 Farrell arriva persino a sostenere che tale contrapposizione tra umano e animale sia un vero e proprio «philosophical dogma» a cui Levi «tenaciously held all his life, even in the face of the atrocities he himself had endured and had seen perpetrated by human beings». 14 Tuttavia, Benvegnù sottolinea come l'interpretazione di Farrell sia fuorviante, in quanto manchevole di una precisa contestualizzazione. In essa, infatti, non vi è alcun riferimento all'influenza che su queste pagine ha esercitato lo studio da parte di Levi dell'etologia contemporanea (in particolare quella di Konrad Lorenz), la quale anima moltissimi dei suoi saggi e racconti «fantabiologici» (testi non minimamente considerati da Farrell) dove appunto l'essere umano è pensato e descritto nientemeno che come un «animale dagli istinti complessi». 15 Riassumendo: che cosa significano 'umano' e 'animale' per Primo Levi? Soprattutto, quale tipo di esistenza rappresenta il sommerso del Lager, l'immagine «di tutto il male del nostro tempo» 16 ? Si tratta di una condizione disumana, animale, come sostengono gli interpreti umanisti? Oppure, data la parzialità filologica della loro lettura, ha ragione Giorgio Agamben quando sostiene che il «mussulmano» con la sua stessa esistenza dimostra «che se si fissa un limite oltre il quale si cessa di essere uomini, e tutti o la maggior parte degli uomini lo attraversano, ciò non prova tanto l'inumanità degli umani, quanto, piuttosto, l'insufficienza e l'astrazione del limite proposto»? 17 Tuttavia, credo che anche una lettura post-umanista non sia in grado di rendere conto della tensione tra umano e animale che caratterizza il pensiero antropologico di Levi. Di fatto, se, da un lato, è vero che, da un punto di vista complessivo, il rapporto tra umanità e animalità sia strutturato da Levi in chiave anti-umanista; dall'altro lato, se si considerano solo le opere che direttamente o indirettamente rimandano alla Shoah, Levi chiaramente e insistentemente fa leva più sull'idea di una discontinuità tra animale e umano che su una continuità tra i due termini. Il pensiero antropologico dello scrittore torinese sembra dunque muoversi tra due livelli teorici: l'indagine etologica, dove l'essere umano è considerato un animale tra gli animali, e quella etico-politica, dove l'umano rappresenta invece una condizione capace di proteggere gli individui dalla bruta animalità che li costituisce.
Se le cose stessero così, la lettura umanista e quella post-umanista sarebbero entrambe corrette a seconda di quale sia il testo di Primo Levi preso in considerazione. La quarantennale riflessione dell'autore di Se questo è un uomo si dimostrerebbe il tal modo fragile e confusa proprio in merito al tema che, senza alcun dubbio, ne costituisce l'asse portante. 18 Non è di certo mia intenzione elaborare un'agiografia di Primo Levi, il cui pensiero, come ogni altro, contiene sicuramente aspetti quantomeno problematici che è bene evidenziare. Soprattutto quando l'oggetto in questione, il rapporto tra umano e non-umano, non solo è per sua natura controverso, ma viene declinato all'interno di un orizzonte concettuale particolarmente delicato come quello di Auschwitz. Sono però convinto che tale contraddizione sia solo apparente o, meglio, sia causata proprio dall'utilizzo di 'etichette' che, qualora applicate all'opera di Levi, finiscono con il genere più confusione che chiarezza. Tanto la lettura umanista, quanto quella post-umanista tendono, a mio avviso, a costringere il pensiero leviano all'interno di orizzonti culturali in cui l'autore stesso avrebbe sicuramente fatto fatica a riconoscersi. In altri termini, queste letture sembrano più voler assimilare il pensiero di Levi ai propri registri discorsivi che approfondirlo per così dall'interno. Di fatto, questo dibattito registra un'assenza molto importante: Charles Darwin. Come cercherò di mostrare, l'opera del biologo inglese può essere utilizzata come chiave ermeneutica per comprendere non solo le fonti proprie dell'antropologia leviana, ma anche l'originale posizione assunta dallo scrittore torinese all'interno del complesso dibattito novecentesco sul totalitarismo.
Jahrbuch Deutsche Einheit 2023, S. 225 - 250. , 2023
The Journal of Holocaust Research, 2024
In Jorge del Palacio Martín & Guillermo Graíño Ferrer (eds.), ¿Atenas y Jerusalén? Política, filosofía y religión desde 1945, Tecnos, 2022
The American Historical Review, 1996
American Journal of Tropical Medicine and Hygiene, 2012
Mapa d'Arquitectura i Paisatge Urbà Noucentistes, 2014
Frontiers in Marine Science, 2024
Minerva, 2013
The Journal of Urology, 2016
European Journal of Cardio-Thoracic Surgery, 2011
in Public authorities and complexity. An italian overview, 2023
International Journal of Operations and Quantitative Management, 2022
Proceedings of the 15th ACM international conference on Information and knowledge management - CIKM '06, 2006
American Anthropologist, 1998