LUCIA BASTIANINI
Alchimia e chimica nel Romanzo storico: fonti inattese
In
Letteratura e Scienze
Atti delle sessioni parallele del XXIII Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti)
Pisa, 12-14 settembre 2019
a cura di Alberto Casadei, Francesca Fedi, Annalisa Nacinovich, Andrea Torre
Roma, Adi editore 2021
Isbn: 978-88-907905-7-7
Come citare:
https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/letteratura-e-scienze
[data consultazione: gg/mm/aaaa]
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Letteratura e scienze
LUCIA BASTIANINI
Alchimia e chimica nel Romanzo storico: fonti inattese
Nella prima parte del Romanzo storico, Manzoni esplica il rapporto tra il testo narrativo misto di storia e d’invenzione e la
storia, argomentando una sua somiglianza con la relazione insita tra l’alchimia e la chimica. La consultazione di un’opera di
Benedetto Varchi, presente nella biblioteca manzoniana, e dell’Encyclopédie, come possibili fonti che possono aver suggerito tale
corrispondenza, permette di acquisire significati sull’alchimia e sulle sue relazioni con la chimica che, forse, possono aprire nuove
riflessioni anche sulle interconnessioni tra romanzo storico e storia, così come Manzoni abbia voluto intenderle.
Nel 1850 Manzoni pubblica Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione:1
ampio saggio critico di riflessione teorica. È un trattato partorito dopo un lungo travaglio, formato
da due parti: la prima è di impianto concettuale e l’altra è il tratteggio di una sorta di storia della
letteratura, utile alla comprensione di quanto precedentemente teorizzato. Testo dalla complessa
struttura argomentativa, sembrerebbe sconfessare il valore della narrazione offerta dal romanzo
storico seguendo i criteri della verosimiglianza, a favore di uno scritto più marcatamente aderente al
vero, suscitando, a una prima lettura, non pochi problemi di inconciliabilità tra quanto teorizzato e la
pratica scrittoria dei Promessi sposi.
Ma lasciando di esprimere alcune considerazioni su questo argomento ad una trattazione, come si
conviene, più ampia e articolata, viene proposta ora una riflessione su un breve passaggio del trattato.
Nella prima parte, mentre sta cercando di chiarire il complesso, e non scontato, rapporto tra romanzo
storico e storia, Manzoni, per esplicare meglio quanto sta sostenendo, imposta quella che può apparire
una vera e propria proporzione matematica (Romanzo : storia = Alchimia : chimica):
L’intento d’un’arte è condizionato alla materia, o a ciascheduna delle materie che adopra, e aver
veduto quali siano le condizioni ingenite e necessarie d’una materia, in un’arte qualunque, è
averlo veduto per tutte l’arti esistenti e possibili, che vogliano servirsi della materia medesima.
Poiché il romanzo storico prende come parte della sua materia quella che è la propria e natural
materia della storia, bisogna bene che, per questa parte, sia messo a paragone con essa. Non è
per cagione del titolo, né della forma, né dell’assunto dell’opera, che della verità storica non si
può far altro di bono, se non rappresentarla più distintamente che si può; è per la natura della
verità storica. Anche l’alchimia aveva un suo intento, diverso in parte da quello della chimica:
non le mancava altro, che d’ottenerlo, anch’essa supponeva che ci dovessero essere i mezzi
adattati a quell’intento: non le mancava altro, che di trovarli. E nulla è stato più a proposito che
l’opporle gli esperimenti e i raziocini della chimica, in quanto lavoravano tutt’e due sui metalli.
E si veda come sarebbe parso strano se quella avesse risposto: Codesto anderà bene per la
chimica, ma io mi chiamo l’alchimia. (DRS, I, §§ 67-69)
In sostanza, la riflessione qui offerta verte sulla considerazione che il romanzo storico (arte)2 si
serve della storia come parte della sua materia: questa è una condizione sufficiente perché il testo
narrativo venga giudicato, per questa parte, secondo le sue (della storia) proprie leggi. È possibile
comprendere, forse con difficoltà, ma con una certa chiarezza, che la narrazione offerta dalla tipologia
di romanzo in questione non può coincidere completamente con quella di un testo più propriamente
Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione esce nel fascicolo VI delle Opere varie che
Manzoni fece stampare da Redaelli in Milano tra 1845 e il 1855; l’opera intera consta di otto fascicoli. Testo di
riferimento: A. MANZONI, Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione, premessa di
G. Macchia, introduzione di F. Portinari, testo a cura di S. De Laude, Milano, Centro Nazionale Studi
Manzoniani, 2000, 1-85. Abbreviato in DRS; segue l’indicazione della parte prima (I) o seconda (II) e i paragrafi.
2 Nella proporzione stabilita il romanzo storico ha la stessa posizione dell’alchimia che, quindi, a buona ragione,
può essere definita un’arte, come vedremo anche infra.
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storico; piuttosto il narratore può servirsi, comunque, degli strumenti offerti dalla storia per
raggiungere i propri fini. Come aiuto per trovare una chiarificazione e padroneggiare meglio questo
concetto, già ostico, viene suggerito un parallelo con i rapporti che intercorrono tra l’alchimia e la
chimica. È auspicabile, dunque, capire perché Manzoni abbia deciso di suggerire questa relazione per
esplicare un concetto di poetica: quali connessioni si debbano instaurare tra vero storico e narrazione
romanzesca in un componimento misto di storia e di invenzione e quindi se la storia sia da mettersi
in competizione e da preferirsi all’ormai ‘obsoleto’ romanzo storico.
Un lettore erudito incontrando la parola alchimia subito andrà, aiutato dalla memoria, al XXIX
canto dell’Inferno di Dante dove sono dannati due alchimisti, non tanto in quanto praticanti l’arte
alchemica, ma piuttosto perché si servirono indebitamente di tale scienza per falsare i metalli. Nella
decima bolgia dell’ottavo cerchio dedicata appunto ai ‘falsatori’, vessati da plurime e putrescenti
malattie, incontriamo Griffolino d’Arezzo e Capocchio che espiano la colpa della loro pratica;3 in
modo esauriente Landino chiosa la confessione di Griffolino: «me per l’alchìmia che nel mondo
usai/dannò Minòs, a cui fallar non lece» (vv. 119-120):
.
Et benchè meritamente el poeta danni l’alchimia la quale è operatione d’arte ne’ metalli ad
imitatione di natura, nientedimeno è da notare che non ogni alchimia è al tutto illecita. Imperochè
sono due spetie, l’una vera et l’altra sophistica; la vera è lecita, la sophistica è illecita. Et è
ragionevole che la vera si possa usare. Imperochè epsa produce el metallo in perfectione. […]
Ma l’alchimia sophistica induce falsità et fa parere argento o oro quel che non è. Il che si conosce
alla pruova del fuocho. Il perchè è vietata, perchè inganna l’huomo chon suo gravissimo danno,
pigliando per oro quello che non è.4
È stato così chiarito che esistono due tipi di alchimia: una lecita e una sofistica, distinzione che può
scaturire da una riflessione offerta già da San Tommaso nella Summa theologiae:5
Minus enim cetera sunt pensanda in re quam rei species substantialis. Sed propter defectum
speciei substantialis non videtur reddi venditio rei illicita, puta si aliquis vendat argentum vel
aurum alchimicum vero pro, quod est utile ad omnes humanos usus ad quos necessarium est
argentum et aurum, puta ad vasa et ad alia huiusmodi. Ergo multo minus erit illicita venditio si
sit defectus in aliis.
Il testo, ancora una volta, non entra nel merito della liceità della pratica alchemica, ma piuttosto
sull’inganno perpetrato vendendo il falso (ottenuto con tale pratica) per il vero; questo concetto viene
chiarito in modo più esplicito in un passaggio successivo sempre inerente alla trattazione dell’articulus
secundus:
Et ideo si aurum vel argentum ab alchimicis factum veram speciem non habeat auri et argenti,
est fraudulenta et iniusta venditio. Praesertim cum sint aliquae utilitates auri et argenti veri,
3
Inferno XXIX rispettivamente vv. 118-120 e 136-139.
D. ALIGHIERI, Dante con l’espositione di Christoforo Landino et d’Alessandro Vellutello. Sopra la sua Comedia dell’Inferno,
del Purgatorio, & del Paradiso. Con Tavole, Argomenti, & Allegorie, & riformato, riveduto, & ridotto alla sua vera Lettura,
per Francesco Sansovino Fiorentino, Appresso Gio. Battista & Gio. Bernardo Sessa, Fratelli, In Venetia, 1596, 143(v).
Testo disponibile in The Dartmouth Dante Project (DDP).
5 THOMAS AQUINENSIS, Summa theologiae, Secunda Secundae, Quaestio LXXVII: De Fraudolentia quae committitur
in emptionibus et venditionibus, articulus secundus: Utrum venditio reddatur iniusta et illicita propter defectum rei venditae, da
cui sono tratte le citazioni a testo. A san Tommaso (discepolo di sant’Alberto Magno considerato, per alcuni
aspetti, un alchimista) venivano anche attribuiti (oggi con molti dubbi e incertezze) tre testi alchemici: Aurora
consurgens; De alchemia; De lapide philosophico (1269-72).
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secundum naturalem operationem ipsorum, quae non conveniunt auro per alchimiam
sophisticato, sicut quod habet proprietatem laetificandi, et contra quasdam infirmitates
medicinaliter iuvat. Frequentius etiam potest poni in operatione, et diutius in sua puritate
permanet aurum verum quam aurum sophisticatum. Si autem per alchimiam fieret aurum verum,
non esset illicitum ipsum pro vero vendere, quia nihil prohibet artem uti aliquibus naturalibus
causis ad producendum naturales et veros effectus; sicut Augustinus dicit, in III de Trin., de his
quae arte Daemonum fiunt.6
Bisogna altresì, per chiudere velocemente questo quadro, segnalare che nel 1317 l’alchimia fu
condannata, con la decretale Spondent pariter, da papa Giovanni XXII, ma anche in questo testo la
disapprovazione e la conseguente condanna dell’esercizio sono rivolte, in particolare, agli alchimisti
fraudolenti.7
La riflessione fin qui proposta potrebbe già essere interessante perché invita a valutare come non
sia reperibile una condanna esplicita, da parte dei documenti ecclesiali, alla pratica alchemica di per
sé, e induce a non sovrapporre, quindi, automaticamente la nostra accezione negativa di alchimia
(legata ad immagini esoteriche di alambicchi, streghe e fattucchiere) a quella, più complessa e
articolata, che poteva essere presente, anche alla luce di quanto suggerito, nella mente di Manzoni.
Utile dubitare dunque che egli denigrasse l’alchimia, tout court, di fronte alla nascente chimica; tale
questione diviene poi fondamentale perché da questa dipende (per la proprietà della proporzione
matematica) quale sia il valore che il nostro autore abbia voluto conferire al romanzo storico, rispetto
a un trattato più prettamente storico.Una chiarificazione importante alla riflessione sul tema
complesso dell’alchimia gli può essere stata suggerita da un testo, presente nella sua biblioteca di via
del Morone, pubblicato nel 1827: Questione sull’alchimia di Benedetto Varchi.8 Il libretto viene offerto, dal
6
AGUSTINUS HYPPONENSIS, De Trinitate, liber III, VIII. Vale la pena ricordare che in questo passaggio Agostino
argomenta: «Deus creator omnium rerum, mali angeli non sunt creatores in magicis artibus». «Sed nec boni
haec nisi quantum Deus iubet, nec mali haec iniuste faciunt nisi quantum iuste ipse permittit».
7 «Spondent pariter quas non exhibent divitias pauperes Alchymistae»: così l’incipit; proseguendo si comprende
come la preoccupazione è rivolta particolarmente a condannare i falsari di monete come si evince da questo
passaggio: «iidemque [Alchymistae] verbis dissmulant falsifitatem, ut tandem quod non est in rerum natura,
esse verum aurum, vel argentum Sophistica Transmutatione consingant eoque eorum temeritas damnata &
damnanda progreditur, ut fidis metallis cudent publicae monetae characteres fidis oculis, & non alias
Alchymicum fornacis ignem vulgum ignorantem eludant». Il testo è di difficile reperimento perché non rientra
tra le Extravagantes di Giovanni XXII inserite nel Corpus iuris canonici, pertanto ne segnaliamo la consultazione
in N. L. DUFRESNOY, Discours preliminaire ou histoire des trasmutatios metallique, 1-120: 11 (in nota), in ID., Histoire
de la philosophie hermetique: accompagnée d’un catalogue raisonné des ecrivanis de cette science, Tome
second, Paris, Coustelier, Libraire, Quay des Augustinus, 1742. La condanna qui espressa viene del resto ribadita
dallo stesso Pontefice anche in una successiva decretale: De crimini falsi del 1322, ascritta nelle Extravagantes
Johannis XXII nel Corpus iuris Canonici al Titulus X.
8 B. VARCHI, Questione sull’Alchimia di Benedetto Varchi, Codice inedito, a cura di D. Moreni, Firenze, Stamperia
Magheri, 1827. A testo i riferimenti delle citazioni. «L’opera, scritta nel 1544, cioè nel periodo dell’ascesa
dell’influenza culturale del Varchi [Firenze 1503-ivi 1565] nella corte di Cosimo e nell’Accademia Fiorentina,
appare dunque, più che un atto di omaggio al commissionario dell’opera Don Pedro da Toledo – o un grazioso
pensiero verso l’amico di vecchia data Bartolomeo Bettini, dedicatario dello scritto, ricco mercante fiorentino
residente a Roma e console di Cosimo – una vera e propria offerta al proprio principe, una dimostrazione di
competenza e condivisione di interesse per un argomento caro a Cosimo ed a molti del suo entourage»: M.
MARRA, Introduzione, 5-16: 9, in B. VARCHI, Questione sull’Alchimia 1544 nell’edizione di Domenico Moreni.
Introduzione di M. Marra, Milano, La Vita Felice, 2019.
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curatore Domenico Moreni, 9 «All’eruditissimo Sig. Abate Michele Vannucci» 10 come esempio di
buon toscano, essendo il Varchi «uno scrittore, come ognun ben sa, forbìto e terso, e il cui nome
suona pur anco glorioso per l’Italia» (p. III). Un bel dono per il destinatario, di origine lucchese, che
è «esimio coltivatore delle Toscane lettere, le quali da lunga stagione, e con tanto vostro onore
professate a Milano» (p. IV). Nella dedica Moreni dichiara di aver «a sollievo della enorme impresa
degli Accademici della Crusca […] reso di pubblica ragione questo piccolo Trattato di Benedetto
Varchi» (p. III) e prende le distanze dallo scomodo argomento trattato per poi giungere a dichiarare,
nell’Avviso al savio lettore, che il Varchi ha offerto «sobriamente però, qualche tributo di lode, e di
possibilità all’Arte Ermetica, se poi a ragione, o a torto, dicanlo altri di me assai più esperti, e dotti»
(p. XVI).
Sostanzialmente nel trattato cinquecentesco, che è incompiuto, dedicato «Al molto magnifico, et
onorando mess. Matteo Bettini, suo amicissimo»,11 «nel protestare insistentemente la sua neutralità
nella questione, il Varchi espone i contro e i pro in favore dell’alchimia, uno dopo l’altro, smontando
però, nei fatti, tutte le opposizioni contro la scienza delle trasmutazioni, pur senza assumere una
posizione dichiarata».12 Sarebbe più corretto argomentare che la novità della sua posizione, rispetto a
quanto sopra già acquisito, è nell’aver indicato un superamento della questione, suggerendo tre
tipologie di alchimia: la vera, la sofistica e la falsa. La prima, e più innovativa, si ha quando con questa
arte 13 l’uomo aiuta la trasformazione della natura a favore del proprio benessere, affidandosi a
procedimenti simili a quelli praticati in agricoltura e in medicina.14 L’arte alchemica diviene, invece,
9
«Il testo del Varchi fu studiato per la prima volta in maniera più approfondita proprio dallo studioso che ne
curò la presente edizione. Erudito e bibliofilo di statura eccezionale, Domenico Moreni esplorò come pochi la
cultura e la storia letteraria toscana. […] Ordinato sacerdote, nel 1788 egli è canonico a Firenze, ed a partire dal
1791, inizia la sua attività letteraria pubblicando diversi saggi sulla storia della chiesa fiorentina. […] A partire
dal 1789 è socio dell’Accademia Colombaria e, dal 1819, socio dell’accademia della Crusca. Il suo nome è
indissolubilmente legato alla Biblioteca Moreniana, annessa alla Riccardiana di Firenze, che raccoglie la
vastissima collezione che la sua passione di bibliofilo ha radunato lungo l’intera sua vita. Muore a Firenze il 13
marzo 1835»: MARRA, Introduzione, 15-16.
10 Intellettuale di spicco nella Milano di primo ’800; cfr. due necrologi: in «Il nuovo Ricoglitore», VI (1830), 5359 e in «Antologia», XXXVII (1830), 179.
11 L’opera, che si ascrive alla cerchia di Cosimo I de’ Medici, alla cui corte vi era una spiccata sensibilità per i
temi alchemici, «appare dunque, più che un atto di omaggio al commissionario dell’opera Don Pedro da Toledo
- o un grazioso pensiero verso l’amico di vecchia data Bartolomeo Bettini, dedicatario dello scritto, ricco
mercante fiorentino residente a Roma e console di Cosimo - una vera e propria offerta al proprio principe, una
dimostrazione di competenza e condivisione di interesse per un argomento caro a Cosimo ed a molti del
suo entourage»: MARRA, Introduzione, 9.
12 I i, 9-10.
v
13 «L’Archimia è un’arte, la quale è dubbio se si trovi, o no, e se pur si trova, è impossibile che l’esser suo sia
naturale, perché l’arte quando vuole assomigliare alcuna cosa alla natura, non può conseguirlo interamente» (p.
18). È possibile ipotizzare da dove Manzoni possa aver tratto la definizione di alchimia come arte rendendo
fecondo l’accostamento alla pratica scrittoria del romanzo storico; cfr. nota 3.
14 «Tramuta e trasforma un metallo in un altro non solamente quanto alli accidenti, com’è il colore, l’odore, il
sapore, la durezza, il peso, e tutte l’altre qualità, ma ancora quanto alla sostanza, di maniera che abbia tutte le
medesime virtù e proprietà che i metalli naturali; e questo non si può fare, se non si corrompe prima la spezie,
e forma di quel metallo che si debbe trasformare, e si riduce nella prima materia e primi principii de’ metalli;
poi, mediante l’arte, si prepara, e dispone in modo che vi s’ introduce dalla natura quella forma di metallo che
l’artefice ha disegnato et ordinato, di maniera che non l’arte o l’Archimista genera e produce l’oro, ma la natura,
disposta però et aiutata dall’Archimista e dall’arte, non altramente che la sanità in un corpo malato non si rende
né dalla medicina, né dal medico, ma dalla natura, disposta però e aiutata dal medico e dalla medicina» (p. 21).
«Ora, chi non vede che di queste parole si cava manifestamente che l’Archimia può essere possibile, essendo
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capziosa e ingannevole (sofistica) quando, mutando gli accidenti e non la sostanza dei metalli, produce
frode: è quella praticata dai falsari. 15 Infine, è manifestatamente falsa «quella che promette non
solamente di volere e poter seguitare et imitare la natura, ma di potere ancora e voler vincerla e
trapassarla» (p. 26); è talmente palese il suo inganno che può essere creduta solo dalle persone
sciocche o dai malvagi.16 L’autore sembra essere stato chiamato a proporre una visione di alchimia,
che aprisse una terza via e uscisse dall’ormai obsoleta e improduttiva impasse di arte vera o falsa,
esplorando una qualche utilità benefica di questa arte. Questo sarà il suo contributo riconosciuto
come indubbiamente innovativo: «è senz’altro da annoverare il carattere di utilità pratica, collettiva
che, secondo una certa nuova immagine della scienza, la ricerca deve poter rivestire. Emerge chiaro
il ruolo svolto da questo criterio di valutazione nel dibattito sull’alchimia anche solo accennando al
significativo atteggiamento di chi - come Benedetto Varchi, - pur riprendendo il filo di un discorso
che per certi aspetti, nel contemporaneo fiorire di nuovi approcci alla tematica alchemica, ha
connotati arcaici, tuttavia motiva la riproposta di una questio de alchimia sulla base dell’“utilità
grandissima e quasi infinita, che si trarrebbe di cotal arte quando ella fosse vera”».17
Questo sottile ragionare18 avrà catturato l’attenzione di Manzoni ed in qualche modo avrà attivato
in lui la ricerca di maggiori informazioni sull’argomento; soprattutto egli sarà stato incuriosito dalla
riflessione sull’alchimia vera, ovvero dalla celebrazione della capacità dell’uomo, qui sottolineata, di
aiutare la natura a percorrere strade possibili. Benedetto Varchi è, del resto, un autore ritenuto
autorevole da Manzoni: riportato sia nei Promessi sposi al capitolo XXVIII19 sia, ripetutamente, citato
senz’alcun dubbio di quelle arti che aiutano la natura non altrimenti che si faccia o la medicina o l’agricoltura?»
(p. 29).
15 «La seconda spezie dell’Archimia, che si domanda Sofistica, cioè, apparente ma non vera, è quella la quale non
muta veramente e trasforma la sostanza, ma li accidenti soli, e così non fa i metalli veri, ma somiglianti, ora
diminuendo in parte e talvolta spogliando del tutto li accidenti separabili de’ metalli, introducendovi entro dei
nuovi mediante varie conce e mescolamenti di diverse materie con fuochi, forni, vasi, et altri arnesi atti a ciò»
(p. 24). «E perché da questa insieme col falsare delle monete e varie sorti di veleni possono e sogliono
procedere mille gherminelle, et altre brutture e cattività, però è più che meritamente e dai buoni Principi e dalle
Repubbliche bene ordinate sbandita, e perseguitata col fuoco» (p. 25).
16 «Promettono di fare olii da guarire subitamente qualunche persona da qualunche infirmità, e far gli uomini
poco meno, che immortali, ritornandogli nel primo fiore della loro giovinezza; la qual cosa, come ciascuno sa,
è più che impossibile, sebbene è possibile far medicine potentissime, e prolungare per qualche tempo la vita
umana, e render l’uso di quelle operazioni che l’infermità n’aveva o tolto o impedite. Promettono ancora di
poter fare statue di bronzo che favellino, et altre sciocchezze così fatte, non meno ridicole che impossibili, se
non se a chi credesse la negromanzia. E perché questi tali peccano tutti necessariamente o per troppa semplicità,
per non dir follia, o per troppa semplicità, anzi astutezza, per non dir vocabolo peggiore, quinci è avvenuto
ancora che tutti gli Archimisti, di qualunche sorte si siano, sentono, secondo i più, o dello scemo o del cattivo»
(pp. 26-27).
17 C. CRISCIANI, La ‘quaestio de alchimia’ fra Duecento e Trecento, «Medioevo» II (1976), 119-168: 162-163.
18 Simile del resto a quello posto in atto nell’apertura del Romanzo storico: prima l’esposizione delle due critiche
al romanzo storico, che sembrano suggerire un’apparente ragionevolezza, e poi la confutazione delle medesime,
aprendo una terza via.
19 Citato come fonte della descrizione della peste scoppiata a Firenze in seguito all’assedio di Carlo V del 1530:
cfr. A. MANZONI, I promessi sposi, saggio introduttivo, revisione del testo critico e commento a cura di S. S.
Nigro. Collaborazione di E. Paccagnini per la Storia della Colonna infame, t. II, Milano, Mondadori, 2002, XXVIII
§§ 68-69.
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come fonte negli studi sulla lingua italiana;20 si aggiunga anche questa testimonianza: «E passando,
senza uscir dall’argomento alla lingua italiana, citò il Varchi».21
Siamo indotti a pensare che, stimando l’opera del Varchi e avendo a disposizione il suo testo
sull’alchimia, Manzoni lo abbia letto con attenzione per trovarvi il toscano che andava cercando
(anche se la delicatezza della materia trattata, lo rendeva una fonte non citabile),22 ma anche sollecitato
da un argomento non estraneo ai suoi interessi. La non mai appagata curiosità di Manzoni lo spingeva,
infatti, a esplorare, senza banali pregiudizi, campi non necessariamente sempre ordinari. Dalla
testimonianza di Stefano Stampa sappiamo che fu interessato al magnetismo animale tanto da
chiedere l’intervento di un guaritore per salvare l’amico Grossi: «Dopo ciò che, durante due anni, il
Manzoni aveva visto ed esperimentato in campagna intorno ai fenomeni magnetici ed alla possibilità
di guarire con questo mezzo, c’è da stupirsi se egli lo propose, come anche i medici propongono o
lasciano volentieri che si esperimentino persino rimedi delle donnicciuole nei casi disperati?». Allo
stesso si deve anche la narrazione di una pratica di mesmerismo praticata in casa Manzoni su una
domestica a cui lo stesso scrittore assisté, stupito, con la moglie Teresa.23 Un testo sull’alchimia avrà,
dunque, sicuramente attratto la sua attenzione, soprattutto se scritto in ‘buona lingua’, da un erudito
toscano già stimato.
Tuttavia, i riferimenti reperiti e le riflessioni, fin qui condotte, possono avere una loro utilità, ma
non chiariscono quali rapporti egli ritenesse intercorrere tra l’alchimia e la chimica: il nodo su cui si
basa la succitata proporzione.
Quando Manzoni scrive, la chimica, che nasce intorno al XVII, ma solamente «a cominciare
dall’inizio del XVIII secolo, il termine ‘chimica’ era ormai entrato nel linguaggio dei ‘dottori’ e la
chimica era diventata un insegnamento ufficiale in molte Università tedesche», 24 era una scienza
molto recente,25 molto in auge (proprio come la storia),26 mentre l’alchimia, come i generi misti di
storia e di invenzione a cui appartiene il romanzo storico, affondava la sua nascita nella notte dei
tempi. Per cercare di dipanare un poco questa questione, e trovare un possibile riferimento che possa
aver dato luogo alla suggestione manzoniana, bisognerà volgere l’attenzione verso una possibile fonte
che rifletta su questi elementi, ossia l’alchimia e la chimica, ma soprattutto definisca l’intreccio dei
loro rapporti e, se possibile, li riconduca all’ambito della poetica.
20
Cfr. D. MARTINELLI, Dalle orecchie di lettura ai collettori: nel cantiere manzoniano delle postille di lingua, in Manzoni e
altri grandi postillatori tra Sette e Ottocento, «Prassi Ecdotiche della Modernità Letteraria», III (2018), 233-263: 256260 [web: https://riviste.unimi.it/index.php/PEML/article/view/10549].
21 N. TOMMASEO, G. BORRI, R. BONGHI, C. FABRIS, Colloqui col Manzoni, Milano, Ceschina, 1954, 239.
22 Il testo appartenuto a Manzoni non mostra segni particolari di lettura, tuttavia è stato sfogliato e riposto negli
scaffali in alto, dove egli era solito porre i libri che non gradiva essere letti dai figli (a testimonianza di quanto
ritenesse l’argomento ‘scottante’); per questa indicazione, e non solo, ringrazio la dottoressa Jone Riva.
23 S. STAMPA, Alessandro Manzoni. La sua famiglia. I suoi amici. Appunti e memorie, Hoepli, Milano, 1885, 159-160 e
cfr. 152-159.
24 S. CALIFANO, Storia dell’alchimia. Misticismo ed esoterismo all’origine della chimica moderna, II edizione riveduta e
ampliata, Firenze, University Press, 2016, 108.
25 La sistemazione della tavola periodica degli elementi sarà, ad esempio, conclusa ad opera di Dmitrij Ivanovič
Mendeleev nel 1869.
26 «L’histoire paraît enfin, devenir une science»: A. MANZONI, Lettre à M.r C*** sur l’unité de temps et de lieu dans
la tragedie, a cura di C. Riccardi, Roma, Salerno Editrice, 2008, § 287, 216.
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Un testo molto consultato al tempo di Manzoni che conteneva informazioni per chi volesse
cimentarsi, anche da profano, nel mondo delle scienze era sicuramente l’Encyclopédie27 di Diderot e
D’Alembert; potrebbe risultare, così, interessante consultarne le voci di pertinenza, dopo aver
premesso che «per molto tempo gli storici della scienza hanno pensato che, già nella seconda metà
del diciassettesimo secolo, l’alchimia avesse perso gran parte della sua legittimità scientifica e che
durante l’età dei Lumi non ci fossero che tracce marginali della sua influenza. In realtà, la posizione
espressa da Diderot e da molti philiosophes era tutt’altro che secondaria, e la ricerca della pietra
filosofale e delle tecniche di trasmutazione dei metalli vili in oro fu un’occupazione ancora molto
diffusa tra i chimici parigini fino alla seconda metà del Settecento».28 È necessario anche acquisire
che: «i due termini [alchimia e chimica], però, almeno fino alla metà del XVIII sec., in generale
possono essere considerati equivalenti, tanto è vero che la monumentale antologia alchemica di JeanJacques Manget, pubblicata nel 1702, si intitola Bibliotheca chemica curiosa». 29 È utile, inoltre, alla
comprensione di quanto tratteremo, sapere che Diderot affidò inizialmente la compilazione di queste
due voci (alchimia e chimica) a Paul-Jacques Malouin (1701-1778), un chimico autorevole, ma
piuttosto anziano dell’Académie Royale des Sciences, ma in un secondo tempo incaricò della trattazione
della voce Chimie, Gabriel François Venel (1723-1775),30 uno studioso più innovativo e più vicino alle
sue posizioni sulla chimica. La lettura della voce alchimia, senza questi chiarimenti, riserverebbe
sicuramente delle sorprese:
ALCHIMIE, s. f. est la chimie la plus subtile par laquelle on fait des opérations de chimie
extraordinaires, qui exécutent plus promptement les mêmes choses que la nature est longtemps
à produire; […]
Le mot alchimie est composé de la préposition al qui est Arabe, & qui exprime sublime ou
par excellence, & de chimie, dont nous donnerons la définition en son lieu. Voyez Chimie. De sorte
qu’alchimie, suivant la force du mot, signifie la chimie sublime, la chimie par excellence. (I, 248)
Malouin non sembra avere dubbi, sottoscrivendo una sorta di panegirico, sulla superiorità
dell’alchimia rispetto alla chimica (spesso figlia ingrata);31 del resto quest’ultima è una scienza ‘nuova’,
mancante ancora di una sistematizzazione e, pertanto, agli occhi del prestigioso scienziato, sarà
apparsa indubbiamente meno autorevole. Ma se pensiamo di attribuire questa definizione ad
un’impostazione un po’ da passatista dell’eminente, ma forse agée, scienziato, siamo fuori strada
perché una identica viene fornita dallo stesso Diderot che cura la voce AL nel medesimo dizionario:
* AL, particule qui signifie dans la Grammaire Arabe le ou la. Elle s’emploie souvent au
commencement d’un nom pour marquer l’excellence. Mais les Orientaux disant les montagnes de
Dieu pour désigner des montagnes d’une hauteur extraordinaire, il pourroit se faire que al fût
D. DIDEROT-J. B. LE ROND D’ALEMBERT, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers,
Paris, Briasson, 1751-1772. Direttamente accanto alla citazione saranno date le seguenti indicazioni: s. v. (se
necessario), tomo e pagina. I corsivi sono nel testo, se non dichiarato diversamente. Si segnala che tutta
l’Encyclopédie (testi, tavole ad alta risoluzione e supplementi) è disponibile on-line sul sito
http://encyclopedie.uchicago.edu/
28 F. ANTONELLI-M. BERETTA, Introduzione, in Alchimia e chimica nel Settecento. Antologia di testi, a cura di ID.,
Milano, Editrice Bibliografica, 2018, 7-55: 21-22.
29 D. KAHN, La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza, in Storia della Scienza (s. v. Alchimia), Treccani online,
2002.
30 Cfr. ANTONELLI-BERETTA, Introduzione, rispettivamente: p. 15 e p. 17.
31 «La chimie use avec ingratitude des avantages qu’elle a reçûs de l’alchimie : l’alchimie est maltraitée dans la
plûpart des livres de chimie» (s. v. Alchimie I, 248).
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employé par les Arabes dans le même sens; car en Arabe alla signifie Dieu: ainsi Alchimie ce
seroit la Chimie de Dieu, ou la Chimie par excellence. (I, 242)
Del resto, anche lo stesso Venel nella lunga trattazione della voce Chymie ad un certo punto
riconosce i debiti della chimica rispetto all’alchimia:
Quant à l’art de transmuer les métaux, ou à l’Alchimie, on peut le regarder comme ayant toûjours
été accompagné de science, & ne pas séparer le système de la pratique alchimique. Le titre de
philosophe, de sage, ambitionné en tout tems par les chercheurs de la pierre divine, le secret,
l’étude, la manie d’écrire, &c. tout cela annonce les savans, les gens à théorie. Les plus anciens
livres alchimiques de quelque autenticité, contiennent une théorie commune à la Chimie secrette
ou Alchimie, & à la Chimie positive; & quelque frivole qu’on la suppose, elle n’a pû naître que
chez des savans, des philosophes, des raisonneurs, &c. (III, 425)
Possiamo riflettere, modificando forse non poco la nostra prospettiva, sul fatto che l’alchimia
godeva di ottima stima32 presso gli enciclopedisti, e che probabilmente era questa la concezione
condivisa da Manzoni (anche grazie ai suggerimenti di Varchi) quando impostava la sua proporzione.
Del resto, trattando la definizione della voce Alchimiste, Malouin si avvale ancora della distinzione tra
i veri e i falsi alchimisti, tralasciando il biasimo per la possibile fraudolenza legata alla vendita dei
ritrovati alchemici, e suggerendo, piuttosto, l’uso consapevole e scientificamente corretto da parte
degli alchimisti dei principi chimici; ma soprattutto egli pone in evidenza l’utilità che gli uomini
possono trarre dalle scoperte così ottenute:33
On doit distinguer les Alchimistes en vrais & en faux, ou fous. Les utiles Alchimistes vrais sont
ceux qui, après avoir travaillé à la Chimie ordinaire en Physiciens, poussent plus loin leurs
recherches, en travaillant par principes & méthodiquement à des combinaisons curieuses &, par
lesquelles on imite les ouvrages de la nature, ou qui les rendent plus propres à l’usage des
hommes, soit en leur donnant une perfection particuliere, soit en y ajoûtant des agrémens qui,
quoique artificiels, sont dans certains cas plus beaux que ceux qui viennent de la simple nature
dénuée de tout art, pourvû que ces agrémens artificiels soient fondés sur la nature même, &
l’imitent dans son beau. (I, 249)
Contrariamente il falso alchimista non affidandosi all’esattezza delle leggi chimiche, produce
oggetti inutili se non dannosi:
Ceux au contraire qui sans savoir bien la Chimie ordinaire, ou qui même sans en avoir de teinture,
se jettent dans l’Alchimie sans méthode & sans principes, ne lisant que des Livres énigmatiques
qu’ils estiment d’autant plus qu’ils les comprennent moins, sont de faux Alchimistes, qui perdent
leur tems & leur bien, parce que travaillant sans connoissance, ils ne trouvent point ce qu’ils
cherchent, & font plus de dépense que s’ils étoient instruits, parce qu’ils employent souvent des
choses inutiles, & qu’ils ne savent pas sauver certaines matieres qu’on peut retirer des opérations
manquées. (I, 249)
32
Nella stessa Encyclopédie molti simboli alchemici furono ad esempio usati per rappresentare elementi chimici
e lo stesso Diderot «aveva tenuto un atteggiamento molto ambiguo nei confronti dell’alchimia tanto che,
accanto alle numerose illustrazioni del laboratorio e degli strumenti di chimica pubblicate nel ventesimo volume,
aveva affiancato una rappresentazione della Grande Opera tratta dell’opera alchemica di Libavius»:
ANTONELLI-BERETTA, Introduzione, 18.
33 Evidente la consonanza con la definizione di ‘alchimia vera’ di Varchi.
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Nella chiusa della voce possiamo ravvisare, di nuovo, una profonda stima verso la scienza
alchemica:
Dire que l’Alchimie n’est qu’une science de visionnaires, & que tous les Alchimistes sont des fous
ou des imposteurs, c’est porter un jugement injuste d’une science réelle à laquelle des gens sensés
& de probité peuvent s’appliquer: mais aussi il faut se garantir d’une espece de fanatisme dont
sont particulierement susceptibles ceux qui s’y livrent sans discernement, sans conseil & sans
connoissances préliminaires, en un mot sans principes. (I, 249)
Oltre quanto già sottolineato, i passi proposti sembrano contenere indicazioni interessanti se,
mutatis mutandis, le accostiamo al rapporto tra romanzo storico e storia: l’alchimista, che si avvale dei
principi scientificamente validati dalla chimica e non si abbandona a formule fantastiche e
inconcludenti, ‘andando più in là’, procura, per gli uomini, ritrovati meglio fruibili e legittimati perché
fondati sulla natura stessa. Necessita ricordare che già a partire dalla Lettre Manzoni si interroga sui
rapporti di forza tra vero e falso nell’atto narrativo, sottolineando come un’opera letteraria che non
si basa, nel dare luogo alla rappresentazione, sul principio della verità storica, sia per se stessa inutile
e/o dannosa;34 il concetto viene ripreso più volte anche nel Romanzo storico.35
Ma è proprio la definizione dell’alchimista offerta dallo stesso Malouin che ci legittima a perseverare
nell’accostamento tra il processo alchemico e l’atto della creazione poetica:
ALCHIMISTE, s. m. celui qui travaille à l’Alchimie. […]. Quelques anciens Auteurs Grecs se sont
servis du mot χρυσοποιητής, […]. On lit dans d’autres Livres Grecs 36, ποιητής, fictor, faiseur,
Alchimiste, qui signifie aussi Auteur de vers, Poëte. En effet, la Chimie & la Poësie ont quelque
conformité entr’elles. (I, 249)
Ancora più chiaro il prosieguo, dove egli riprende una definizione di Diderot:
M. Diderot dit, pag. 8 du Prospectus de ce Dictionnaire: la Chimie est imitatrice & rivale de la
nature; son objet est presqu’aussi étendu que celui de la nature même: cette partie de la Physique
est entre les autres, ce que la Poësie est entre les autres genres de littérature; ou elle décompose
les êtres, ou elle les revivifie, ou elle les transforme, &c. (I, 249) 37
«Ce fond général de nature humaine, sur lequel se dessinent, pour ainsi dire, les individus humains, on n’a eu
ni le temps ni la place de le déployer; et le théâtre s’est rempli de personnages fictifs, qui y ont figuré comme
types abstraits de certaines passions, plutôt que comme des êtres passionnés»: A. MANZONI, Lettre à M.r C***
…, 2-228: § 204, 162.
35 Le argomentazioni qui addotte sono molto articolate e complesse, rimandiamo comunque, per una prima
chiarificazione, alla lettura dei §§ 21-57 della Prima parte.
36 Il riferimento è chiarito da Venel: «C’est dans le Minerva mundi, [un testo esoterico presumibilmente di età
alessandrina attribuito a Ermete Trismegisto, il cui titolo originale era Kore Kosmou] que la Chimie est
appellée ποιητική; ce qui peut avoir donné lieu aux anciens Chimistes, aux premiers philosophes ou Adeptes,
de s’appeller κατ’ἐξοχὴν ποιηταὶ, ouvriers par excellence; & de donner à leur art, ainsi que le savantissime Thomas
Reinesius nous l’assûre, variarum lect. l. II. c. v. le nom de ποιησις, que Kircher a traduit littéralement par poésie».
Il commento aggiunto da Venel a questa informazione ci mostra il cambiamento di prospettiva che di lì a poco
gli scienziati assumeranno: «mais nous ne tenons pas tellement à cette qualité, que nous ne puissions la céder
aux poëtes sans coup férir. Si la Chimie perd le nom d’art par excellence, elle trouvera de quoi s’en dédommager
dans un autre qui lui a été donné dès les commencemens, & qu’elle mérite bien de conserver, celui d’ἱερᾶς καὶ
μεγάλης τέχνης, d’art grand & sacré» (s. v. Chymie, III, 426-427).
37 L’affermazione, oltre che nel Prospectus (Piano dell’opera) redatto da Diderot nel 1750, p. 8, è presente anche
nel Discours préliminaire des éditeurs di d’Alembert: «La Chimie est imitatrice & rivale de la Nature: son objet est
presque aussi étendu que celui de la Nature même: ou’elle décompose les Êtres; ou elle les revivifie; ou elle
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Manzoni può, dunque, aver colto un parallelismo tra l’azione insita nella scrittura del romanzo
storico e quella presente nei processi operati dall’alchimia: ambedue le arti danno luogo, grazie
all’intervento dell’uomo, a trasformazioni, che devono essere realizzate non con strumenti magici,
ma ‘scientifici’ e dunque aderenti ai principi del vero. In fondo potremmo riflettere sul fatto che
anche dall’autore del romanzo storico gli accadimenti e i personaggi vengono prima sezionati e
studiati, poi ‘rischierati in battaglia’, e dunque trasformati da veri a verosimili.
Il rapporto tra alchimia e chimica appare, del resto, da quanto argomentato, chiaro: l’alchimia è
un’arte che persegue un suo scopo che è quello di offrire, agli uomini, ritrovati che possano migliorare
le loro esistenze. Per perseguire questo fine il buon alchimista si deve servire anche delle scoperte
offerte dalla chimica e attenersi ai suoi principi, pertanto non gli è lecito affermare: «Codesto anderà
bene per la chimica, ma io mi chiamo l’alchimia»; ugualmente lo scrittore del romanzo storico
persegue il suo fine che è quello di «rendere più verosimili le sue idealità coi propri elementi del vero»
(DRS, I, § 24-25) e dunque, solamente servendosi con correttezza del dato storico, può suggerire al
fruitore della sua opera la possibilità della riflessione morale, per aiutare, in definitiva, l’uomo a essere
migliore.
Appare dunque evidente, risolvendo la supposta proporzione matematica da cui siamo partiti, che
la chimica e la storia sono due scienze i cui principi devono essere utilizzati, rispettivamente, dalle
due arti: l’alchimia e il romanzo storico, in modo appropriato e corretto. Pertanto, come non può
esistere un buon alchimista che non usi correttamente i principi delle leggi chimiche, così uno scrittore
di romanzi storici non può permettersi di usare gli strumenti offerti dalla storia non rispettandone gli
assunti, perché altrimenti non raggiungerà il proprio scopo.
Si potrà obiettare che tra quanto scritto nell’Encyclopédie e la consegna alle stampe del Romanzo
storico passano quasi cento anni in cui la chimica si afferma in modo progressivo relegando l’alchimia
ad un ruolo secondario. Sarà sufficiente ricordare questa riflessione teorica di Carlo Cattaneo che, in
un trattato, tra i tanti da lui scritti, a favore della chimica, che «nata da pochi anni, invade e rinova
[sic] tutte le arti, spiega i secreti dell’agricultura e delle miniere, apre e chiude le fonti della prosperità
privata e delle pùbliche finanze», così sintetizza l’operato della scienza alchemica: «in questo intervallo
l’alchimia aveva continuato le tenebrose sue veglie in cerca dell’oro e della gioventù immortale, pur
sempre seminando d’ùtili scoperte il fantàstico suo sentiero».38
La riflessione di Manzoni non sembra, tuttavia, partecipare mai all’esaltazione delle nuove scienze
come depositarie di verità assolute; così come nel Romanzo storico egli è poco incline a sottoscrivere
l’elogio della storia come custode di certezze39, altrettanto sarà stato poco persuaso a celebrare le sorti
stellari della nascente chimica. La sua riflessione sembra piuttosto essere tesa a determinare l’eterno
les transforme,» (I, l); manca qui il paragone esplicito, che dunque sembra suggerito dallo stesso Diderot, tra la
poesia e l’alchimia. Per comprendere appieno le affermazioni di Diderot è necessario rimandare alla
definizione dei termini (qui usati) data in generale nel Prospectus e in particolare alla pagina Systême figuré des
connoissances humaine. Dopo questa consultazione appare facilmente comprensibile anche la sinonimia spesso
usata, dagli stessi enciclopedisti, tra alchimia e chimica. Il Prospectus, mai pubblicato integralmente in Italia, è
leggibile in anastatica in D. DIDEROT, Prospectus dell’Encyclopédie o Dizionario Ragionato delle Scienze, delle Arti e dei
Mestieri, presentazione di G. Dioguardi, introduzione di L. Canfora, traduzione dall’originale francese di F.
Franconeri, «I quaderni di varia cultura», 01, Fondazione Gianfranco Dioguardi, Arti Grafiche Favia di
Modugno, Bari, 2011.
38 C. CATTANEO, Varietà chìmiche pei non Chìmici*, «Il Politecnico», V, 26 (1842), 97-147, rispettivamente § 1 e §
6. Il testo è consultabile in https://areeweb.polito.it/strutture/cemed/sistemaperiodico/s12/e12_1_01.html
39 Cfr. L. BASTIANINI, Il romanzo tripartito: per una lettura sistemica dei «Promessi sposi», Tesi di dottorato, Università
Cattolica, Milano, 2019 (consultabile in DOCTA), in particolare pp. 62-63 e pp. 189-191.
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valore dell’arte che, in ogni tempo e in ogni luogo, si serve delle diverse conoscenze, padroneggiate
in quel momento dal lettore, come strumenti utili a raggiungere il suo fine che è comunque ‘oltre’,
legato sempre a contribuire alla crescita morale dell’uomo. Avrà probabilmente riflettuto con Varchi
(sulla suggestione del pensiero di Aristotele) che:
Alcune altre materie non hanno quel movimento e principio naturale mediante il quale elle si
possono muovere da per loro a quel fine che intende e cerca l’arte, e queste non si possono fare
se non dall’arte, come una casa, una nave, et infinite altre cose somiglianti; perciocché sebbene
un sasso et un legno si può muovere naturalmente, non si può però muovere in quel modo che
si ricercherebbe a fare una casa, o una nave. E per dare il medesimo esempio d’Aristotile, 40 altra
cosa è il muoversi, et altra il ballare, sebbene chiunche balla si muove. (p. 28-29)
È difficile ipotizzare quanto Manzoni abbia letto, dei passaggi qui proposti, per suggerire questo
accenno fugace, ma non per questo privo di importanza, dove è forse possibile ravvisare un indizio,
generato dalla corretta comprensione dei rapporti impliciti tra l’alchimia e la chimica (ovvero tra l’arte
e la sua materia). Può essere un utile contributo per, eventualmente, ripensare alle complesse e per
nulla scontate argomentazioni contenute nel Romanzo storico, sulle relazioni tra la narrazione dei generi
misti di storia e d’invenzione e la storia, con uno sguardo più attento a svelare e a riscoprire, per
quanto è dato, che cosa egli avesse veramente avuto in mente di teorizzare.
40
Il rimando suggerito da Varchi è: «Aristotile nel settimo libro della prima Filosofia al Capitolo nono», Varchi,
1827, 28.
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