N. 8 – Giugno 2022
N. 8– Giugno 2022
SOMMARIO
L'infondatezza delle ragioni dell'aggressione nella prospettiva putiniana
Pag. 3
La situazione di stallo del Consiglio di Sicurezza e il ruolo vicario dell'Assemblea
Generale
Pag. 6
La giustizia internazionale e quella domestica
Pag. 9
BIBLIOGRAFIA
Pag. 11
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L'INFONDATEZZA DELLE RAGIONI DELL'AGGRESSIONE NELLA PROSPETTIVA
PUTINIANA
L'atto di aggressione sferrato dalla Russia contro l'Ucraina è stata giustificata in diverso modo da
Putin, dapprima come intervento umanitario per porre fine al presunto genocidio in corso nei
confronti delle minoranze russofone in Donbass. Tale asserito genocidio è stato smentito dalla Corte
internazionale di giustizia, secondo la quale è comunque illegittimo il ricorso unilaterale alla forza
finanche per prevenire un genocidio, poiché gli Stati devono sempre ricorrere agli organi competenti
dell'ONU. Ad ogni modo, la CIG ha categoricamente escluso che all'epoca fosse in atto un genocidio
nei confronti delle popolazioni russofone del Donbass. Del resto, è ancora oggi dubbio se l'intervento
umanitario sia ammesso dal diritto internazionale e lo stesso intervento umanitario in Kosovo fu
molto dibattuto in quanto si ritenne illegittimo da più parti e giustificato più da ragioni
extragiuridiche, come la doverosità morale.
In seguito, l'aggressione all'Ucraina è stata giustificata pubblicamente da Putin come un'azione
dall'intento "salvifico" di liberare il popolo ucraino da nazisti e drogati che sarebbero a capo del
governo di Kiev. Più recentemente, nell'ultimo discorso di Putin alla Nazione in occasione delle
sfarzose celebrazioni per la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, è stato sostenuto che l'intervento
armato sarebbe stato sferrato a titolo di legittima difesa preventiva contro una fantomatica minaccia
imminente da parte della NATO. Putin, accusando la Nato di accerchiamento, ha di fatto rinnegato
un documento storico firmato congiuntamente dagli alti rappresentati della Russia e della Nato nel
1997 a Parigi, ovvero l'"Atto fondatore" che doveva ridisegnare l'Europa. Si trattava di un accordo di
cooperazione e sicurezza tra la NATO e la Federazione Russa, con cui le due parti si impegnavano
per perseguire una pace durevole in Europa attraverso l'assunzione di una serie di impegni come la
prevenzione dei conflitti, la gestione delle crisi, la non proliferazione e il non impiego delle armi di
distruzione di massa. Pertanto, all'epoca NATO e Russia dialogavano e l'Accordo di Parigi aveva
delineato un nuovo assetto europeo e un nuovo ruolo per la NATO, a cui la Federazione Russa aveva
dato il suo assenso.
A ben vedere, l'operazione militare speciale di Putin, asseritamente messa in atto per liberare il
Donbass, altro non è che una manifesta violazione dell'art. 2, par. 4, della Carta dell'ONU, nonché di
una norma di diritto internazionale consuetudinario cogente che vieta il ricorso alla forza armata al di
fuori dei due soli casi ammessi, ovvero la legittima difesa e l'uso della forza dietro autorizzazione del
Consiglio di Sicurezza.
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Il divieto dell'uso della forza è stato ribadito da alcune dichiarazioni di principi dell'AG, tra le quali
spiccano la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, secondo
la quale la guerra d'aggressione è "crimine contro la pace implicante la responsabilità in base al diritto
internazionale". Questa formulazione significa che la guerra d'aggressione comporta non solo la
responsabilità internazionale dello Stato che l'ha pianificata, preparata o scatenata, ma anche la
responsabilità personale degli individui-organi che la pianifichino o attuino.
La natura imperativa del divieto della minaccia e dell'uso della forza è sancita dall'art. 52 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, secondo il quale qualsiasi trattato concluso
con la minaccia o con l'uso della forza è da ritenersi nullo.
Una definizione di aggressione è contenuta nella Dichiarazione sulla definizione di aggressione del
1974 dell'AG, annessa alla risoluzione n. 3314(XXIX) del 14 dicembre 1974. La Dichiarazione del
1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati e la risoluzione del 1974 sulla
definizione di aggressione, indicano una serie di comportamenti che costituiscono uso illecito della
forza armata in quanto atti d'aggressione. La prima proibisce anzitutto la guerra d'aggressione che
viene qualificata crimine contro la pace. Nella ris. del 1974 l'Assemblea Generale (AG) ha adottato
la definizione di aggressione per fornire una guida al Consiglio nel suo compito di determinare gli
atti di aggressione. Si tratta di una definizione che contiene una formula generale assieme ad una
enumerazione non esaustiva.
L'art. 1 della Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974 dell'AG, annessa alla risoluzione
n. 3314, definisce l'aggressione come "the use of armed forced by a State against the sovereignty,
territorial integrity or political independence of another State, or in any other manner inconsistent
with the Charter". La forza deve essere armata e la sovranità è menzionata insieme all'integrità
territoriale e all'indipendenza politica. Viene delineata, inoltre, una distinzione tra aggressione e
guerra di aggressione, poiché non ogni atto di aggressione costituisce un crimine contro la pace, ma
solo la guerra di aggressione.
L'art. 3 offre una elencazione di atti che, a prescindere da una dichiarazione di guerra, si qualificano
come atto di aggressione ai sensi dell'art. 2. Vi sono inclusi l'invasione, il bombardamento,
l'estensione di una occupazione militare senza il consenso dello Stato occupato, l'invio di bande
armate per supportare degli atti di forza contro un altro Stato, includendo tra gli atti di aggressione,
tra l'altro, l'invasione o l'attacco del territorio di uno Stato da parte di forze armate di un altro Stato,
ovvero qualsiasi occupazione militare, anche temporanea, risultante da tale invasione o tale attacco;
o ancora, qualsiasi annessione realizzata con l'impiego della forza del territorio o di una parte del
territorio di un altro Stato; il bombardamento da parte delle forze armate di uno Stato del territorio di
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un altro Stato o l'impiego di qualsiasi arma contro il territorio di uno Stato; il blocco dei porti o delle
coste di uno Stato da parte delle forze armate di un altro Stato; l'attacco da parte delle forze armate di
uno Stato contro le forze armate di un altro Stato; l'invio da parte di uno Stato di bande o gruppi
armati, forze irregolari o mercenari contro un altro Stato o il fatto di impegnarsi in modo sostanziale
in azioni di tale genere.
L'art. 4 riconosce espressamente la natura non esaustiva di questa elencazione, e la possibilità che il
Consiglio di sicurezza stabilisca che altri atti costituiscano aggressione secondo la Carta. L'art. 5
stabilisce che nessuna considerazione di qualsivoglia natura, sia politica che economica, militare o
altro, possa giustificare l'aggressione. Ciò significa che neppure una buona ragione può portare
all'esclusione dell'illegalità dell'atto. L'art. 5 sancisce che la guerra di aggressione è un crimine contro
il diritto internazionale che "gives rise to international responsibility".
Scopo della risoluzione era di offrire una definizione che fosse utile al Consiglio di sicurezza
nell'adempimento del suo delicato compito di determinare se e quando una certa situazione potesse
essere qualificata come un'aggressione di uno Stato a un altro Stato.
Lo Statuto di Roma ha inserito il crimine di aggressione nell'art. 5, qualificandolo come crimine
autonomo e implicitamente confermandone l'esistenza secondo il diritto internazionale
consuetudinario. Tuttavia, l'effettiva possibilità di esercitare la giurisdizione della Corte è stata
subordinata dalla conferenza diplomatica di Roma alla soluzione del problema legato alla sua
definizione.
La Conferenza di revisione dello Statuto ha avuto luogo nel 2010 a Kampala in Uganda e ha segnato
una tappa importante verso una precisazione della nozione di crimine di aggressione. Durante la
Conferenza, gli Stati Parti – con la partecipazione senza diritto di voto di alcuni Stati terzi tra i quali
la Cina, la Federazione Russa e gli Stati Uniti – hanno adottato l'art. 8-bis, par. 1, che definisce il
crimine di aggressione ricalcando l'art. 6, lett. a, dello Statuto del Tribunale di Norimberga e l'art. 5,
lett. a, dello Statuto del Tribunale di Tokyo, in termini di "pianificazione, preparazione, scatenamento
o esecuzione, da parte di una persona che sia effettivamente in grado di controllare o di dirigere
l'azione politica e militare dello Stato, di un atto di aggressione che, per carattere, gravità e portata,
costituisca una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite". L'art. 8-bis contiene sia una
definizione del crimine dell'individuo sia quella dell'atto dello Stato. Per "atto di aggressione" come
illecito dello Stato operante da presupposto del "crimine di aggressione" ai fini della responsabilità
penale dell'individuo di cui all'art. 8-bis, par. 1, l'art. 8-bis, par. 2 intende quanto stabilito dalla citata
Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974.
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Si intersecano l'esercizio della giurisdizione della Corte e il ruolo del CdS nella determinazione
dell'atto di aggressione.
Si è scelto di subordinare l'azione del Procuratore alla preventiva
determinazione, da parte del CdS, della sussistenza di un atto di aggressione. Nel caso in cui il
Consiglio non adotti questa determinazione entro un termine di sei mesi dalla comunicazione da parte
del Procuratore, questi può comunque proseguire nell'attività investigativa, alla sola condizione di
venire a ciò autorizzato dalla Pre-Trial Division della Corte. Dunque, il Procuratore può aprire
un'inchiesta di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato anche a prescindere dalla constatazione
dell'esistenza di un atto di aggressione da parte del CdS.
L'emendamento adottato a Kampala ha in seguito superato la soglia di 30 ratifiche per la sua entrata
in vigore. L'entrata in vigore effettiva dell'emendamento era, poi, subordinata ad un'ulteriore
decisione di "attivazione" della giurisdizione della Corte da adottarsi a maggioranza di due terzi dopo
il 1° gennaio 2017. Ed infatti, il 14 dicembre 2017, con risoluzione n. ICC-ASP/16/Res. 5,
l'Assemblea degli Stati Parti ha deciso di attivare la giurisdizione della Corte per il crimine di
aggressione dal 17 luglio 2018, precisando che in conformità dello Statuto di Roma, gli emendamenti
allo Statuto stesso riguardanti il crimine di aggressione entrano in vigore per quegli Stati Parti che li
hanno accettati un anno dopo il deposito del loro strumento di ratifica o accettazione e che in caso di
deferimento da parte di uno Stato (State referral) o di indagine proprio motu la Corte non eserciterà
la sua giurisdizione relativa al crimine di aggressione se commesso da un cittadino o sul territorio di
uno Stato Parte che non abbia ratificato o accettato tali emendamenti.
Pertanto, secondo il diritto internazionale, quello sferrato dalla Russia di Putin è un atto di aggressione
ed un uso illecito della forza armata. Il problema emerso, tuttavia, è stato quello di condannarlo da
parte dell'organo abilitato a ciò, ovvero il Consiglio di Sicurezza (CdS).
LA SITUAZIONE DI STALLO DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA E IL RUOLO VICARIO
DELL'ASSEMBLEA GENERALE
Poiché la Federazione russa è membro permanente del CdS, questo ha fino ad ora reso impossibile
l'adozione di misure efficaci in ragione del potere di veto di cui dispongono i cinque membri
permanenti. In altri casi analoghi di aggressioni armate contro la sovranità, l'integrità territoriale e
l'indipendenza politica di altri Stati, il Consiglio di Sicurezza è intervenuto efficacemente e
duramente, come è accaduto nel caso dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, avvenuta nel 1990,
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quando una coalizione di ben 35 Stati fu autorizzata dal CdS ad usare la forza a titolo di legittima
difesa collettiva contro Saddam Hussein. Questo non può verificarsi nei confronti della Russia, in
primo luogo per il prevedibile esercizio di veto di quest'ultima, ma soprattutto poiché la Russia è una
Potenza nucleare, ciò che non era l'Iraq, la cui forza militare non sarebbe stata in grado di scatenare
una terza guerra mondiale, ma solo la prima guerra del Golfo.
Il 25 febbraio, la risoluzione volta a condannare la Russia è stata rigettata proprio a causa del veto
della stessa. Questa risoluzione avrebbe permesso al Consiglio di assolvere il proprio compito,
infliggendo delle sanzioni, come avvenne nel 1991 contro l'Iraq dopo l'invasione del Kuwait, o
autorizzando un intervento militare, come avvenne nel 2011 contro la Libia di Gheddafi.
Questo impedimento non ha, tuttavia, impedito all'AG di adottare una risoluzione, il 2 marzo 2022,
con cui 141 Stati su 192 hanno chiesto alla Russia il ritiro immediato, completo e incondizionato delle
sue truppe dall'Ucraina.
A ben vedere, il CdS non è il solo organo delle NU con il potere di constatare un atto di aggressione,
potendo intervenire anche l'AG, in caso di paralisi del Consiglio determinata dalla mancanza di
unanime consenso tra i membri permanenti e dall'abuso del diritto di veto. Se il Consiglio non è in
grado di esercitare la sua responsabilità primaria, l'Assemblea prenderà in esame la situazione.
Rimane da chiedersi cosa resta di un organo, quale è il CdS, che secondo la Carta dell'ONU ha il
compito principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, se al suo interno
proprio uno dei membri permanenti è responsabile di un atto di aggressione che mina questa pace.
Questa è l'empasse in cui si trova attualmente quest'organo, che di fatto non può svolgere il proprio
mandato principale per il quale esso è stato creato.
Sintomo della situazione di stallo in cui si trova il CdS è il fatto che l'AG, che di regola non può
pronunciarsi su questioni di cui è investito il Consiglio, si sia eccezionalmente pronunciata sia sul
conflitto in Siria che su quello in Ucraina, in virtù della risoluzione n. 377/V, denominata Uniting for
Peace, che, in caso di blocco del CdS a causa del veto dei suoi membri permanenti, le consente di
intervenire.
Questa risoluzione, adottata dall'AG il 3 novembre 1950 durante la crisi coreana, con 53 voti a favore,
in primis Stati Uniti, 5 contrari, in testa Unione Sovietica, e 2 astensioni, stabiliva che se il CdS, a
causa della mancanza di unanimità dei membri permanenti, non esercita la sua responsabilità
principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale in casi in cui vi sia una
minaccia alla pace, una rottura della pace o un atto di aggressione, l'AG considererà immediatamente
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la questione al fine di fare raccomandazioni appropriate ai membri per misure collettive, incluso se
necessario in caso di rottura della pace o atto di aggressione l'uso della forza armata, per mantenere
o ripristinare la pace e la sicurezza internazionale. Secondo la dottrina, la piena competenza dell'AG
a raccomandare e ad intraprendere azioni a tutela della pace, conformemente alla risoluzione Uniting
for Peace, si sarebbe progressivamente consolidata per consuetudine attraverso la prassi. Coloro che
si oppongono a tale competenza ritengono che questa non possa essere sostenuta dalla prassi, che ha
visto un gruppo di Stati, quelli socialisti, opporsi a tale dottrina. In tempi recenti si è fatto ricorso alla
risoluzione Uniting for Peace in relazione alla dottrina della responsabilità di proteggere e
all'ammissibilità dell'intervento umanitario, cioé a protezione dei cittadini di un altro Stato per
proteggerli da gravi violazioni dei diritti umani commesse dal loro stesso governo. Sulla base di tale
dottrina, oggi la sovranità deve essere intesa come responsabilità verso i propri cittadini e non come
controllo, avendo gli Stato il dovere sia di prevenire le più gravi violazioni dei diritti umani sia di
proteggere i cittadini da tali violazioni da chiunque commesse. L'intervento militare, ove non
autorizzato dal CdS, secondo la ris. Uniting for Peace, potrà essere autorizzato dall'AG o da
organizzazioni regionali ai sensi del cap. VIII.
Le due risoluzioni adottate a larga maggioranza dall'AG contro la Russia, il 2 e 24 marzo 2022, non
possono tuttavia far passare in secondo piano il fallimento dell'ONU come organo di polizia
internazionale. L'abuso di potere di una grande Potenza come la Russia mina, infatti, la credibilità e
la fiducia della comunità internazionale nell'ONU. Come se non bastasse, il Segretario generale ha
atteso il 19 aprile per prendere un'iniziativa diplomatica, essendosi prima concentrato soprattutto
sull'aspetto umanitario della guerra, in ragione delle migliaia di morti e dei milioni di rifugiati scappati
dal conflitto.
Un segnale forte è arrivato proprio dall'AG che, nella seduta del 26 aprile scorso, ha adottato una
importante risoluzione, la n. 76/262, con la quale ha stabilito che essa si riunirà automaticamente
entro 10 giorni nell'ipotesi in cui il diritto di veto sia usato nel CdS da uno dei cinque membri
permanenti, paralizzandone di fatto ogni decisione su questioni importanti afferenti la pace e la
sicurezza internazionali.
Questa risoluzione segue l'insuccesso nell'approvazione della risoluzione del Consiglio, proprio a
causa del veto della Russia, che chiedeva il suo ritiro incondizionato dall'Ucraina. I membri
permanenti del Consiglio hanno la responsabilità primaria per il mantenimento della pace e della
sicurezza internazionali e per assolvere a questo dovere, devono adoperarsi sempre per attuare le
finalità e i principi contenuti nella Carta delle NU. Si tratta di una risoluzione che mira a sbloccare la
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capacità dell'Organizzazione di svolgere il proprio mandato di polizia internazionale, a causa
dell'abuso del potere di veto esercitato in seno al Consiglio, che aveva caratterizzato il periodo della
Guerra Fredda, quando le due super Potenze non comunicavano fra loro. La ratio di questa risoluzione
risiede dunque nell'obiettivo di ridonare vigore al multilateralismo, dando voce a tutti gli Stati membri
che compongono l'AG, in tutti quei casi in cui il CdS, come nel conflitto in Ucraina, risulti paralizzato.
LA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE E QUELLA DOMESTICA
Lo scatenamento di una guerra di aggressione chiama in causa non soltanto la responsabilità
internazionale dello Stato, ma anche la responsabilità penale internazionale di coloro che l'hanno
pianificata e attuata. Si tratta di due profili diversi di responsabilità. In Ucraina sono in corso indagini
da parte del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), anche se né l'Ucraina né la Russia
hanno sottoscritto lo Statuto della CPI. Questi due Paesi, pertanto, non hanno riconosciuto la sua
giurisdizione, benché l'Ucraina abbia, nel 2014 e una seconda volta nel 2015, con una dichiarazione
ad hoc, accettato la giurisdizione della Corte proprio perché indagasse sui crimini compiuti durante
le proteste di Maidan, in Crimea e nel Donbass. Purtroppo, relativamente all'Ucraina, la Corte può
procedere in relazione ai crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, ma non
per il crimine di aggressione, indubbia condotta criminosa perpetrata da Putin. Questo poiché il
presunto reo deve essere cittadino di uno Stato Parte allo Statuto della Corte (Stato nazionale) o perché
il crimine deve essere stato commesso sul territorio di uno Stato Parte (Stato territoriale). L'atto di
aggressione contro l'Ucraina non ricade in alcuna di queste due ipotesi. Inoltre, l'Ucraina avrebbe
dovuto accettare gli emendamenti allo Statuto di Roma che nel 2018 hanno conferito alla Corte anche
la giurisdizione sul crimine di aggressione. Vi sarebbe la possibilità, in questi casi, che la Corte sia
adita da parte del Consiglio di Sicurezza, come avvenne per i crimini commessi in Darfur o in Libia,
che non erano Stati Parti allo Statuto, ma tale potere sarebbe precluso al Consiglio dal prevedibile
esercizio del diritto di veto della Russia.
L'Unione Europea giocherà un ruolo importante nel coordinamento per l'acquisizione e conservazione
di prove dei crimini compiuti nel corso del conflitto, in collaborazione con 11 Stati membri e con la
Corte penale internazionale. Questo è stato l'impegno assunto dalla Presidente della Commissione
europea, Ursula von der Leyen, quando si è recata a Kiev per essere testimone dei crimini perpetrati
a Bucha.
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Oltre all'inchiesta internazionale, vi sono le inchieste condotte in Ucraina e in Russia contro i militari.
I 2400 prigionieri che si sono arresi a Mariupol è stato detto che saranno processati in Russia per
terrorismo. In realtà, più che terroristi, essi sono stati combattenti che, una volta catturati, devono
ricevere il trattamento che per legge va riservato ai prigionieri di guerra. Le accuse mosse da Putin al
Battaglione Azov sono quelle di essere dei nazisti e come prova di ciò essi vengono fatti spogliare ed
esibiti denudati al pubblico come trofei affinché mostrino i tatuaggi inneggianti al nazismo. Questi
militari, una volta caduti nelle mani del nemico, acquisiscono lo status di persone protette.
Diversamente dai tatuaggi, sono ben altre le prove che testimoniano i rallestramenti e le esecuzioni
dei cittadini di Bucha, riprese dai media internazionali, come il New York Times, quindi da organi
almeno in teoria imparziali, diversamente dai media controllati dal regime russo.
Il comportamento dei russi di disporre a piacimento di uomini ormai disarmati, sotto il loro totale
controllo e alla loro mercé dimostra che essi non rispettano le norme del diritto umanitario sui
prigionieri di guerra. Infatti, secondo la III Convenzione di Ginevra del 1949, in ogni circostanza i
prigionieri di guerra devono essere trattati con umanità, nel rispetto della loro dignità e della loro
persona. Quindi, questo compiuto dai russi è un crimine di guerra.
Inoltre, i russi hanno condotto le ostilità a Mariupol come si suol dire "senza quartiere", cioé con
l'intento e la finalità che, bombardando la città e le acciaierie Azostav, non ci fossero sopravvissuti.
Anche questa condotta integra un crimine di guerra, secondo il I Protocollo alle Convenzioni di
Ginevra, ma anche secondo l'art. 8 dello Statuto della CPI.
Vi è da sperare che i russi rispettino anche le norme del diritto umanitario che stabiliscono che le
potenze detentrici devono fornire informazioni sulle condizioni dei prigionieri assicurando un
contatto sia con i loro familiari che con lo Stato di nazionalità, il cui tramite sarà il Comitato
internazionale della Croce Rossa. In sostanza, deve potersi accertare che ad essi sia assicurato un
trattamento rispettoso degli standard previsti dalla III Convenzione di Ginevra, cioé che si provveda
al loro sostentamento e alla loro cura, e soprattutto che essi non siano sottoposti a tortura fisica e
morale. Infatti, sono frequenti gli episodi di ritorsione e vendetta da parte delle potenze detentrici una
volta che il nemico, o perché catturato o perché arresosi, sia caduto nelle loro mani.
D'altro canto, anche la condanna all'ergastolo del militare russo di 21 anni sembra essere piuttosto un
atto dimostrativo e un monito per i russi. Bisogna chiedersi se quel giovane si sia arruolato
volontariamente e con la consapevolezza di quello che avrebbe vissuto nel partecipare ad una guerra.
Circa le circostanze particolari, secondo quella che sarebbe stata la tesi difensiva sostenuta, egli
avrebbe ricevuto l'ordine di sparare. Se così fosse, avrebbe dovuto essergli riconosciuta quantomeno
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un'attenuante, che gli avrebbe ridotto la pena. Qui l'esecuzione di un ordine del superiore non potrebbe
essere considerata un'esimente poiché è evidente che l'ordine era illegittimo, poiché non vi è nessun
motivo per sparare ad un cittadino inerme che transita in sella ad una bici. Qui non sembra esserci
una giustificazione, però c'è da chiedersi se il giovane soldato avesse veramente la possibilità di
sottrarsi all'esecuzione dell'ordine o se fosse stato costretto psichicamente o dalla necessità o dal
timore di una grave sanzione.
Un dubbio sorge, tuttavia, circa la reale consapevolezza da parte di un uomo così giovane del senso
di una guerra e di ciò che realmente implica, una guerra a cui con molta probabilità non ha chiesto di
partecipare e a cui forse si sarebbe sottratto volentieri. Una pena come l'ergastolo, poi, preclude in
ogni modo la funzione rieducativa che è attribuita alla pena nei confronti di un individuo che, proprio
in considerazione della giovane età e dell'immaturità, potrebbe effettuare un percorso rieducativo che
lo porterebbe col tempo a redimersi. Il "fine pena mai" elimina qualsiasi possibilità di riscatto e di
rifarsi una vita e per questo ha il sapore della ritorsione, specie in tempo di guerra.
BIBLIOGRAFIA
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della Repubblica italiana, n. 103 ottobre 2008, XVI legislatura;
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Conforti B./Focarelli C, Le Nazioni Unite, CEDAM, 2020;
Focarelli C., Diritto internazionale, CEDAM, 2021;
Greppi E., I crimini dell'individuo nel diritto internazionale, UTET, 2014;
Pakhomenko S. et al., The Russian-Ukrainian War in Donbas: Historical Memory as an Instrument
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North Atlantic Treaty Organization, Le accuse della Russia: mettiamo le cose in chiaro, Aprile 2014;
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III Geneva Convention relative to the treatment of prisoners of war of August 1949;
Additional Protocol I to the Geneva Conventions, 1977;
Rome Statute.
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