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PDF TESI DI LAUREA TRIENNALE LA CHIESA DI S. PASSERA

2019, La chiesa di S. Passera a Roma: da monumento funebre romano all’oratorio cristiano

This study aims to analyze the monumental complex of S. Passera located in the Portuense district, more precisely in via della Magliana. We will start from an analysis of the historical and topographical context; from the origins, passing for the imperial age and we will finally arrive at the medieval age in order to understand the more crucial issues that concerned the transformation from a imperial sepulcher to Christian oratory.

La chiesa di S. Passera a Roma: da monumento funebre romano all’oratorio cristiano Facoltà di Lettere e Filosofia Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo Corso di laurea in Studi storico-artistici Alessia Rosati Matricola 1696645 Relatore Fabio Betti A.A. 2018-2019 1 Ai miei genitori, punto di riferimento costante nella mia vita. 2 Indice Introduzione Capitolo I - Contesto storico e topografico: la via Campana-Portuense durante l’età romana e il Medioevo I.I Le origini………………………………………………………………………9 I.II Età imperiale…………………………………………...…………………....11 I.III Età medievale…...…………………………………………………………..15 Capitolo II - La chiesa di S. Passera: tra storia e leggenda II. I A chi era dedicata in origine la chiesa?........................................................19 II.II Ss. Abbaciro e Giovanni: due medici anargiri………………………………20 II.III L’iscrizione marmorea…………………………………………………….26 Capitolo III -Descrizione del complesso monumentale III.I Il sepolcro imperiale……………………………………………………….27 III.II Primo livello. Stanza ipogea………………………………………………31 III.III Secondo livello. L’ambiente intermedio………………………………….32 III.IV Terzo livello. L’oratorio…………………………………………………..34 III.V Piante e sezioni…………………………………………………………….39 3 Capitolo IV- Le strutture murarie IV.I Analisi delle strutture murarie d’età carolingia……………………………43 IV.II Le mensole di reimpiego presso l’abside………………………………………47 Capitolo V – Il materiale scultoreo V.I Il materiale scultoreo d’età romana………………………………………...51 V.II Il materiale scultoreo d’età medievale…………………………..................55 Capitolo VI - Gli affreschi VI.I Affreschi nell’ipogeo………………………………………………………..58 VI.I Affreschi nell’ambiente intermedio……………………………………………....65 VI.III Affreschi nell’oratorio……………………………………………………..69 -La decorazione dell’abside……………………………………………………..70 -La decorazione dell’arco absidale……………………………………………...78 -La decorazione della parete laterale sinistra……………………………………….81 Capitolo VII - Conclusioni……………………………………………………..88 Bibliografia……………………………………………………………………91 4 Introduzione Il presente studio ha come obiettivo l’analisi del complesso monumentale di S. Passera situato nel quartiere Portuense, più precisamente in via della Magliana, non lontano da Ponte Marconi in direzione della basilica di S. Paolo fuori le Mura. Si partirà da un’analisi del contesto storico e topografico; dalle origini, passando per l’età imperiale e si arriverà, infine, all’età medievale al fine di comprendere le problematiche più cruciali che hanno riguardato la trasformazione da sepolcro imperiale a oratorio cristiano. La chiesa di S. Passera si trova in un’area extra moenia e che presenta dunque caratteristiche profondamente diverse da quelle che vanno ad animare le aree centrali della capitale. Si affronteranno poi le questioni riguardanti l’originaria intitolazione dell’edificio religioso e a cercare di comprendere cosa si nasconde dietro questa strana distorsione onomastica. Solo grazie a un’attenta analisi delle fonti si potranno infine conoscere le circostanze che hanno portato a identificare la dedicazione originaria della chiesa ai Ss. Ciro e Giovanni, poi dimenticata, confusa e alterata nel corso dei secoli. Successivamente si analizzeranno i livelli del complesso monumentale che si compone di una camera ipogea, un ambiente intermedio, e infine l’oratorio cristiano, che assunsero forme e funzioni diverse nel corso delle diverse epoche: da luogo di culto per i defunti e le divinità, in età romana, gli ambienti si trasformano in un santuario cristiano dedicato alla memoria delle spoglie dei due santi martiri; Ciro e Giovanni. Nella seconda parte della tesi si porrà l’attenzione sugli aspetti materiali della fabbrica a partire dall’analisi delle strutture murarie del sepolcro romano e degli adattamenti subiti dal monumento al momento delle trasformazioni d’uso successive. Infine verrà analizzato il materiale scultoreo d’età romana e l’unico reperto scultoreo altomedievale; la transenna. Si concluderà con un approfondimento che riguarda gli affreschi i quali si estendono in tutti gli ambienti del complesso. 5 Attraverso lo studio di questi ultimi insieme ai dati raccolti precedentemente, si è potuti arrivare a un’ipotesi di datazione riguardo l’avvio del cantiere carolingio e delle vicende che hanno riguardato l’intitolazione originaria della chiesa di S. Passera. 6 Capitolo I Contesto storico e topografico: La via Campana-Portuense durante l’età romana e il Medioevo La chiesa di S. Passera si colloca lungo la strada consolare della Portuense l’antico asse di collegamento fra la città di Roma e lo scalo marittimo di Porto. La presenza del fiume Tevere ha caratterizzato fin dalle origini l’intera area, qualificata dalla presenza di strutture portuali, magazzini e banchine per l’attracco delle imbarcazioni, presenti lungo le vie d’acqua e di terra. Seguire un percorso cronologico per comprendere i cambiamenti subiti dal territorio nel corso dei secoli sarà determinante per comprendere il contesto storico e topografico nel quale la chiesa viene ad inserirsi. 7 I.I Le origini La storia di Trastevere e del territorio circostante risale agli inizi della fondazione di Roma; la tradizione storica antica attribuisce l’occupazione del Gianicolo, al re Anco Marcio1: il colle costituiva la testa di ponte sulla riva destra del Tevere, di fronte al ponte Sublicio ed era quindi fondamentale per la difesa della città, anche se in un primo tempo l’area fu soprattutto sfruttata dal punto di vista agricolo2. Durante l’età repubblicana, infatti, Trastevere non faceva parte del territorio urbano, anche se le alture del Gianicolo e l’accesso all’isola Tiberina erano considerate strategiche per il controllo della città ed erano quindi al centro degli interessi dei re e delle magistrature repubblicane. La mancanza di un riconoscimento formale non impedì però la formazione di aree abitative e lavorative importanti per l’economia della città3. All’epoca il sistema viario era garantito dalla via Campana e dalla via Aurelia4. La via Campana deriva il suo nome dal Campus Salinarum Romanum dove si trovavano le antiche saline situate alla foce del Tevere, in una zona nota oggi come lo stagno di Maccarese e aveva la sua origine nel Foro Boario dove erano collocati depositi per il sale5. Questa via è molto antica: è stata accertata con certezza una fase risalente IV-III sec. a.C., grazie al rinvenimento di alcune fosse rituali riferibili a un cerimoniale di fondazione; la sua effettiva fondazione, tuttavia, è da far risalire al VIII sec. a.C., all’epoca del re Servio Tullio. Nelle fonti documentarie la via Campana scompare a partire dal III sec d.C.; per molto tempo si ritenne che questa ricalcasse il tracciato dell’odierna via della Magliana, dove sorge la chiesa di Santa Passera, ma questa ipotesi deve essere corretta poiché la via Campana deve essere COARELLI 1974, pp.308-310. Si ricordano i Prata Mucia, attribuiti a Muzio Scevola, e dei Prata Quinctia, tra il Gianicolo e il Tevere appartenuti al non meno celebre Cincinnato. (Ibidem, p.308). 3 Commercianti, artigiani, lavoratori portuali, operai delle fornaci di laterizi e delle cave di tufo aperte lungo i versanti di Monteverde e dei Colli Portuensi, popolavano densamente la zona (BATELLI VACCA 1984, pp. 18-20). 4 Anche la via Portuense era fondamentale per la viabilità di questa zona ma lo fu maggiormente in età imperiale e per questo verrà trattata nel paragrafo seguente. 5 CIOFFARELLI 1993, pp. 10-30. 1 2 8 identificata con l’antica via di alaggio, che costeggiava le rive del Tevere e che veniva utilizzata per il trasporto lungo il fiume delle chiatte, che risalivano il corso del fiume controcorrente e che per tale ragione venivano trainate da schiavi o da buoi6. Via della Magliana invece è molto più tarda, probabilmente rinascimentale, e fu realizzata in seguito alla costruzione del castello della Magliana, utilizzata come residenza estiva dai papi7. I ritrovamenti archeologici presso la via Campana sono cospicui e anche di una certa importanza. Attraverso la Forma Urbis d’età severiana si è venuti a conoscenza dell’esistenza di due luoghi di culto: quello della Fors Fortuna e il santuario di Dea Dia, legato al collegio dei Frates Arvales, (Fig.1), fondato secondo la tradizione da Romolo8. Il tempio doveva comporsi di più edifici, che sono stati identificati dalle campagne di scavo condotte dall’École Française de Rome e dovevano estendersi su un’area compresa tra la sponda destra del Tevere e il Monte delle Piche, dove trovava posto il bosco sacro (lucus Deae Diae) con l’annesso santuario9. In un frammento della pianta marmorea si vede rappresentato un tratto della strada nella zona prospiciente la Porticus Aemilia: è fiancheggiata da grandi magazzini e da un edificio rotondo su base quadrata, da identificare forse con un sepolcro10. Poiché la corrente del Tevere rendeva impossibile la risalita per remi o a vela l’utilizzo le imbarcazioni dovevano essere trainate da buoi o da schiavi; è lo stesso Procopio a fornirci dettagli interessantissimi su questa pratica: “Fin da principio i Romani costruirono una strada da Porto a Roma, piana e priva di ostacoli. Apposta si vedono sempre ormeggiate in porto molte chiatte, e lì vicino ci sono parecchi buoi sempre pronti: quando i mercanti con le loro navi arrivano in porto, levano il carico, lo mettono nelle chiatte e navigano lungo il Tevere alla volta di Roma, senza fare uso di vele o di remi; infatti le navi non posso essere sospinte da nessun vento, perché spesso il fiume fa molte curve e non procede dritto, e i remi servono poco, incontrando via via ostacolo nella corrente contraria. Invece attaccano corde dalle chiatte al collo dei buoi e fanno trascinare le chiatte come carri, fino a Roma”. (Procopio, Bellum Gothicum, I, 26). 7 SERRA 2007, pp. 1-9. 8 Gli Arvali erano inizialmente rappresentati dai dodici figli del pastore Faustolo e di Acca Laurenzia, la nutrice che allevò i gemelli fondatori di Roma (Web, 1° Marzo 2019, https://www.comune.roma.it/webresources/cms/documents/Scheda_Santuario_e_Fratelli_Arvali.pdf). 9 Per approfondimenti, J. SCHEID, Recherches archéologiques à La Magliana (Rome). Le balneum des Frères Arvales, Rome 1987. 10 10 COARELLI 1974, p. 310. 6 9 Fig. 1 Ricostruzione 3D del tempio dei Frates Arvales (da https://www.romanoimpero.com/2013/05/i-fratelliarvali.html) I.II Età imperiale L’area in esame nella prima età imperiale corrispondeva alla XIV regione, costituta in seguito alla riforma amministrativa della città di Roma, attuata da Augusto. L’estensione della XIV regione nota con il nome di Transtiberim (Fig.2) non è ancora del tutto certa ma con ogni probabilità andava dall’altezza di Ponte Flaminio a Porta Portese e arrivava a comprendere i colli del Gianicolo e del Vaticano11. 11 BATELLI-VACCA 1984, p. 56. 10 Fig. 2 Planimetria generale di Trastevere (da F. Coarelli 1974) Fondamentale sotto l’aspetto commerciale, soprattutto per la vicinanza al porto fluviale e dalla presenza dalla via Portuense e dalla via Campana, il quartiere fu abitato fin dalle origini da comunità provenienti da tutte le regioni dell’impero che crearono qui insediamenti più o meno stabili conferendo al quartiere quel carattere multietnico, come testimoniato dalla presenza di diversi santuari, estranei al Pantheon tradizionale romano-greco, dedicati a divinità orientali ed egiziane: Dea Syria, Hadad, Sol, Cibele e Iside12. 12 COARELLI 1974, pp. 314-316. 11 Se la via Campana era nota già in età repubblicana, la via Portuense al contrario è molto più recente e acquisì una certa importanza solo a partire dalla prima età imperiale, quando divenne la strada di comunicazione privilegiata con il porto di Claudio, costruito intorno alla metà del I sec. d.C. e successivamente soprattutto con il nuovo bacino esagonale realizzato al tempo dell’imperatore Traiano. Intorno a questi due nuovi impianti portuali nacque un insediamento urbano piuttosto esteso, la città di Portus; la fondazione del nuovo scalo si rese necessaria in particolare per l’approvvigionamento granario, per il quale si rivelò del tutto insufficiente l’antico porto fluviale di Ostia. Il nuovo scalo marittimo fu oggetto di diversi interventi edilizi ma è partire da Settimio Severo che divenne fondamentale; tuttavia, fu solo dal IV secolo con Costantino che Portus ottenne piena autonomia rispetto alla più antica città di Ostia, e venne elevata al rango di civitas con il nome di Civitas Flavia Costantiniana Portuensis, con diocesi autonoma13. La via Portuense viene menzionata nelle fonti a partire dal III sec. d.C. ma conosciamo tre fasi costruttive assegnabili rispettivamente alla fine del IV- inizi del III sec a.C. e all’età claudia e traianea. Lungo la via Portuense nei pressi della città di Roma furono costruiti una serie di edifici a carattere commerciale, gli horrea, magazzini per il deposito di merci. Nel tratto del fiume che scorre nei pressi di della chiesa di Santa Passera sono stati rinvenuti resti di banchine e argini predisposti per l’attracco delle imbarcazioni che risalivano il corso del Tevere da Porto14. Nel corso delle esplorazioni archeologiche sono emersi numerosi frammenti marmorei con decorazione a carattere funerario, ricavati dai monumenti funebri romani presenti lungo la via consolare; tali reperti costituiscono una testimonianza dell’attività di spoglio a cui era sottoposta l’intera area durante il Medioevo. I materiali una volta prelevati erano oggetto di commercio e venivano depositati lungo la banchina del porto in attesa di essere imbarcati15; si fa presente in proposito che anche nell’area dove L’importanza della diocesi di Porto è testimoniata anche dal fatto Felice contemporaneo di Gregorio Magno fu presente al concilio di Costantinopoli III del 680. 14 MOCHEGGIANI CARPANO 1977, pp. 240-262. 15 Ibidem, p.262. 13 12 sorge la chiesa di S. Passera sono venuti alla luce lapidi e cippi funerari risalenti ad età romana16. La relazione tra la via Portuense e la via Campana non è mai stata ben chiara ma ormai si può affermare con certezza che per ben due miglia a partire dalla porta S. Paolo esse seguivano il medesimo percorso. All’altezza di pozzo Pantaleo (Fig.3) nei pressi dell’odierno cavalcavia Ennio Quirino Majorana, le strade si biforcavano e la Portuense procedeva verso una zona più collinosa corrispondente all’attuale quartiere di Monteverde per poi ricongiungersi con la Campana all’altezza dell’XI Fig. 3 La via Portuense che attraversa la zona di Pozzo Pantaleo (da Frutaz 1962) Ricordiamo inoltre il rinvenimento di un’ara funeraria e che sembrerebbe appartenere ad un personaggio della Gens Valeria, un “legatus legionis” della legione scitica. 16 13 miglio presso Ponte Galeria17 per procedere insieme verso Portus, destinazione finale della Portuense ma non della via Campana che proseguiva in direzione delle antiche saline presso l’area meridionale dello stagno di Maccarese18. Riguardo le tracce materiali, le indagini archeologiche hanno consentito il riconoscimento di un lungo tratto di basolato da identificare con la via Campana all’altezza del cavalcavia Majorana, costituito da elementi squadrati di selce con solchi scavati dalle ruote dei carri. Poco oltre, nell’area compresa tra via Portuense e via Belluzzo sono state scavate alcune tombe databili tra il I e il III sec. d.C., inglobate in edifici moderni, molto probabilmente resti di una necropoli di cui oggi restano solo queste modeste tracce19. L’ipotesi più condivisa dagli storici vede l’utilizzo della via Campana soprattutto come via di alaggio, mentre la via Portuense veniva preferita dai viaggiatori. I.III Età medievale La via Portuense come ogni altra via consolare romana conserva testimonianze della cristianità dei primi secoli. Nel I sec. d. C. quando il Cristianesimo comincia a diffondersi trova in Trastevere un terreno molto fertile, essendo presente qui fin dalle origini una numerosa comunità ebraica. Qui sorsero in età paleocristiana ben tre chiese titolari: il titulus Calisti, il titulus Chrysogoni ed il titulus Caecilie situato quest’ultimo in corrispondenza dell’antica via Campana-Portuense20. Grazie agli itinerari di pellegrini che si recavano in visita presso i santuari martiriali, alcuni dei quali risalenti al VII secolo, sappiamo, inoltre, dell’esistenza del cimitero di S. Felice, detto anche ad infulatos, della catacomba di Ponziano, Buona parte degli studiosi sostiene quest’ipotesi ma recenti scavi hanno messo in luce come il tratto di ricongiunzione delle due vie deve aversi in una direzione molto più vicina a Portus. 18 Lo stagno di Maccarese è noto con il nome di Stagnum Maius in alcuni documenti medievali per poi scomparire con la bonifica ottocentesca (SERRA 2007). 19 Si tratta di cinque tombe a camera, due dei quali preceduti dal recinto, sono in parte scavati dal tufo, in parte costruiti in muratura, il loro impiego è documentato sin dal IV secolo. (CIOFFARELLI 1993, pp.24-26). 20 SALVETTI-VACCA 1984, pp. 17-20. 17 14 delle catacombe ebraiche di Monteverde ed infine della catacomba di Generosa ad sextum Philippi, all’incirca al V-VI miglio dell’antica Portuense. Per il periodo tardoantico e altomedievale non si hanno a disposizione molte notizie storiche; un primo momento di crisi della zona, si può far risalire alle incursioni subite dalla città al tempo delle invasioni barbariche; i visigoti di Alarico nel 408-410 e i Vandali di Genserico nel 455; questi ultimi, provenendo via mare dall’Africa appena sottomessa, saccheggiarono Portus (Fig.4) e poi, risalendo il Tevere, Roma e la campagna circostante. Con la guerra greco-gotica (535-553) Portus divenne un punto nevralgico per la difesa dell’Urbe. Lungo la via Portuense presso il VII miglio si stabilì l’insediamento di Totila, ricordato da papa Gregorio Magno e da Procopio. Fig. 4 Porto nella copia medioevale della perduta Tabula Peutingeriana (da http://www.ancientportsantiques.com/a-few-ports/portus/) Una ripresa economica dell’area circostante il centro cittadino si ebbe solo a partire dall’VIII secolo; la fervida stagione edilizia inaugurata sotto papa Zaccaria 15 (741-752)21 riguardò innanzitutto la realizzazione di alcune domuscultae nel suburbio, poi incrementata soprattutto da Adriano I (772-795)22 e di cui abbiamo informazioni dettagliate grazie al Liber Pontificalis; queste nuove fondazioni, sorta di grandi fattorie a gestione pubblica dipendenti direttamente dall’amministrazione pontificia, che approvvigionavano le istituzioni caritatevoli della città dedite all'assistenza ai pellegrini e alla cittadinanza in genere, contribuirono notevolmente allo sviluppo economico della città. La peculiarità di queste aziende, generalmente molto estese, anche per centinaia di ettari, consisteva nelle modalità di gestione. A differenza dei patrimoni della Chiesa romana nel Lazio e in altre regioni italiane, che erano per lo più affittati con contratti a lunga scadenza, a persone che coltivavano contadini dipendenti, i raccolti e il bestiame prodotti nelle domuscultae erano utilizzati direttamente dalla casa papale, oppure destinati ai consumi di determinati uffici ecclesiastici o di istituzioni dedite all'assistenza dei bisognosi, come le diaconie o gli ospedali. Oltre al vettovagliamento diretto, probabilmente divenuto necessario per la difficoltà di importare derrate alimentari da lontano, le domuscultae consentivano il controllo del territorio e della popolazione rurale, garantendo una presenza capillare nel territorio. Zaccaria costruisce quattro domuscultae rispettivamente lungo il quinto miglio della via Tiburtina, la domusculta sanctae Caeciliae, a quattordici miglia da Roma, nel territorio della Tuscia e nelle proprietà di Antius e Formia, lungo il litorale tirrenico. Per quanto riguarda la domusculta Lauretum, il Liber Pontificalis non fornisce indicazioni topografiche precise, ma la citazione della massa Fontiniana, quae cognominatur Pannaria, ci permette di posizionare Lauretum nel settore sudovest dell’Urbe, quello compreso tra via Laurentina e via Appia23. “Treccani-Enciclopedia dei papi, Zaccaria, Santo, di P. Delogu Web, 10 Maggio 2019, http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-zaccaria_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/. 22 “Treccani-Dizionario Biografico degli Italiani”, Adriano I, papa di O. Bertolini Web, 10 Maggio 2019, http://www.treccani.it/enciclopedia/papa-adriano-i_(Dizionario-Biografico)/. 21 […]domum cultam Lauretum noviter ordinavit (LP, I, p.75); […] situm quinto ab hac Romana urbe miliario, via Tiburtina… domum cultam beato Petro eumdem locum in oeroetuo statuit permanendum: 23 16 Un importante impulso al fenomeno che stiamo trattando, sia qualitativo che quantitativo, viene dato da papa Adriano I, il quale fonda ben quattro nuove domuscultae che vanno ad accrescere il sistema della gestione diretta caratteristico di queste aziende agricole24. Riguardo al territorio che qui interessa il suburbio sud-occidentale si segnala in questo caso la fondazione di ben due domuscultae: la Galeria aurelia e la Galeria portuensis, che prendono il nome dalle vie consolari presso le quali furono costruite e situate con precisione rispettivamente al decimo miglio della via Aurelia e al dodicesimo miglio della via Portuense. quae domus culta sanctae Caeciliae usque in hodiernum diem vocatur (LP, I, p.81); Constituit etiam aliam domum cultam in XIIII miliario ab hac Romana urbe, patrimonio Tusciae (LP, I, p. 82); Hic massas, quae vocantur Antius et Formias, suo studio iuri beati Petri adquisivit: quas et domos cultas statuit (LP, I, pp.82-83). 24 Hic beatissimus preasul fecit atque confluivit noviter domos cultas quatuor. Unam quidem, quae vocatur Capracorum, positam in territorio Vegetano, miliario ad urbe Roma plus minus XV ex qua primitus fundum ipsum Capracorum cum aliis pluribus fundis ei cohaerentibus, ex hereditaria parentum suorum successione tenere videbatur, eius proprii olim existentes (LP, I, p.202); Alias vero tres domos cultas, videlicet Galeria, posita via Aurelia, miliario ab urbe Roma plus minus decimo ad sanctam Rufinam, cum fundis et casalibus, vineis, olivetis, aquimolis, vel omnibus ei pertinentibus (LP, I, p. 204); Reliquas vero duas, id est aliam Galeriam, positam via Portuensi miliario ab urbe Roma plus minus duodecimo, cum fundis et casalibus, vineis, acquimolis (Ibidem); Verum etiam et aliam domum cultam, quae vocatur Calvisianum, cum fundis et casalibus, vineis, olivetis, aquimolis et omnibus ei parentibus, posita via Ardeatina, miliario ab urbe Roma plus minus quintodecimo (Ibidem). 17 Capitolo II La chiesa di S. Passera: tra storia e leggenda II.I A chi era dedicata in origine la chiesa? Secondo la tradizione, la chiesa fu costruita presso le rive del Tevere nel luogo in cui, agli inizi del V secolo, i resti di due santi alessandrini, Ciro e Giovanni, furono sbarcati, provenienti dall'Egitto, per essere trasferiti nella città di Roma. Dal secolo XI in poi appartenne al monastero di Santa Maria in Via Lata, e, nei documenti dell'XI-XIII secolo è chiamata Sancti Abbacyri oppure Sancti Cyri et Iohannis, in ricordo dei due santi per i quali fu costruita la chiesa. Nel XIV secolo al nome di Abbaciro si sostituì quello di Santa Pacera o Passera: così in un documento del 1317 si parla di un appezzamento posita extra portam Portuensem in loco qui dicitur S. Pacera. Questo appellativo sarà poi prevalente nei secoli successivi. Sull'origine del nome "Passera", santa che non è mai ricordata nei martirologi romani l'ipotesi è che esso derivi dal titolo Abbàs Cyrus ("padre Ciro"), da cui il nome Abbaciro: dalla storpiatura popolare di questo termine sarebbero derivati Appaciro, Appàcero, Pàcero, Pàcera e infine Passera25. A confondere ulteriormente l'onomastica della chiesa si aggiunge inoltre l'errore popolare che volle arbitrariamente assimilare la fantomatica "santa Passera" con santa Prassede e festeggiarne in tal luogo la ricorrenza il 21 di luglio in concomitanza con le celebrazioni di quest'ultima martire. Oggi possiamo confermare con certezza come questa chiesa insieme ad altre un tempo esistenti a Roma dedicate a S. Abbaciro furono vittime di una corruttela del nome26 da Abbas Cirus, poi Appaciro e Appacira, Pacero e Pacera, Passero e Passera. Mi riferisco alla chiesa S. Abbaciro De Valeriis (sul Celio), S. Abbaciro De Militiis (nei pressi di largo Magnanapoli), S. Abbaciro in Trastevere (nei pressi 25 26 ARMELLINI 1891, pp.946-947. IEZZI, 1983 p.208. 18 di San Benedetto in Priscinula) e S. Abbaciro ad Elephantum (nel foro Olitorio) ormai scomparse. Queste chiese erano tutte dedicate a S. Abbacyro e poi durante il Medioevo assunsero il nome di Passera o Pacera27. II.II SS. Abbaciro e Giovanni: due medici anargiri. Sono ricordati nel Martirologio Romano alla data del 31 gennaio. Nello stesso giorno sono commemorati anche dai Greci nei cui libri si trovano molte notizie sulla loro vita e sui loro miracoli, mescolate anche a leggende. I principali dati sui due martiri sono molto vaghi e generici e si basano su testimonianze incerte. Secondo questi racconti, Giovanni fu soldato e Ciro fu monaco dopo aver esercitato l'arte medica: ad Alessandria d’Egitto si mostrava, incorporata alla chiesa dei «Tre Fanciulli», la camera dove Ciro riceveva i clienti. Questa leggenda si è formata, senza dubbio, quando i miracoli da lui operati a Menouthis aumentarono la sua fama di guaritore. Ciro e Giovanni, avendo un giorno saputo che quattro cristiane di Canopo, Teodosia (o Teodota), Teotista, Eudossia, e la loro madre Atanasia erano state arrestate si portarono a Canopo per incoraggiarle a non venire meno alla loro fede, ma furono anch'essi arrestati e condannati a morte, come avveniva contemporaneamente per le quattro cristiane. Gli uni e le altre furono decapitati verso il 303, sotto Diocleziano. Al principio del sec. V le reliquie dei ss. Ciro e Giovanni risposavano nella chiesa di S. Marco ad Alessandria. La leggenda sulla vita dei due santi insieme alla vicenda della traslazione venne scritta ai tempi di papa Innocenzo III (1161-1216) da un certo Gualtiero e racconta come S. Cirillo trasportò i corpi dei due martiri in un borgo a Menouthis (odierna Abukir) ma una volta diventato vescovo di Alessandria li fece trasportare in città per paura delle incursioni. Ed è anche grazie al suo contributo che si conosce di più sulla loro vita. Infatti in due dei suoi discorsi tenuti rispettivamente a Canopo e a Menouthis sono condensate le loro vite e i loro miracoli. I suoi discorsi avevano finalità edificanti al fine di allontanare le cure di matrice pagana in particolare il 27 ARMELLINI 1891, pp.946-947. 19 culto che si praticava presso un famoso tempio dedicato alla dea Cyra Menouthis dalla quale deriva il nome della località. Quindi alla base degli intenti del patriarca Cirillo vi era la volontà di sconfiggere i fanatismi pagani in città e di eliminare i riti “osceni” compiuti in nome del culto della dea ed infine di avvicinare i fedeli alle cure cristiane anche di tipo taumaturgico. Questo portò fama e notorietà ai due santi medici da renderli veneratissimi presso il santuario loro dedicato in città infatti sappiamo che anche Giovanni Crisostomo decretò loro insieme a SS. Cosma e Damiano, Panteleimon e Ermolao santi senza argento άγιοι ἀνάργυροι28. Per capire come sono giunte a noi le reliquie facciamo di nuovo affidamento alla leggenda che racconta come al tempo degli imperatori Arcadio e Onorio sotto il pontificato di Innocenzo I, due monaci di nome Grimoaldo e Arnolfo furono avvisati in sogno di trasportare le reliquie dei due martiri a Roma temendo che le invasioni arabe avrebbero raso al suolo la loro memoria. Approdati a Roma attraverso Costantinopoli e Bari ricevettero ospitalità da una nobile romana di nome Teodora alla quale sempre attraverso un sogno rivelatore venne consigliato di portare i corpi nella chiesa da lei fatta costruire fuori porta Portese in onore di S. Prassede in quanto aveva ricevuto una sua reliquia dal sommo pontefice. La leggenda narra come Innocenzo I celebrò l’arrivo delle reliquie dei due santi nella chiesa con una processione solenne; queste sarebbero state poi riposte in grande segretezza dove nessuno le avrebbe mai trovate. La data della traslazione dei corpi e di conseguenza la costruzione della chiesa sembrava risalire al V secolo ma l’occupazione saracena dell’Egitto risale almeno al 620-650 circa, tale circostanza indurrebbe a spostare in avanti l’evento. Dobbiamo aggiungere inoltre che la fonte più antica dove viene menzionata la chiesa risale all’VIII secolo nella Vita Gregorii di Giovanni Diacono che recita “Cumque presbyter monachus Lucido Episcopo tam dirum nuncium revelare timeret, tacere autem penitus non audaret: monastero se tandem proripuit ed ad domum Episcopi, non longe a flumine Tiberi, Sarebbe a dire uomini che nella loro vita non hanno richiesto compensi in denaro per il loro operato (CAVAZZI 1908 p. 277). 28 20 regione videlicet iuxcta basilicam sanctorum Cyri et Ioannis positam, somnium nunciaturus accessit”29. La presenza o meno delle reliquie dei martiri all’interno dell’ipogeo di S. Passera fu al centro di diverse discussioni in quanto il racconto di Gualtiero ricordiamo essere un racconto leggendario e dunque con un margine di credibilità alquanto fallace. Per questo motivo venne scavata a più riprese rispettivamente nel 1606 e poi nel 170630. Il fatto che emersero alcune ossa umane, in particolare di tre teschi, potrebbe andare ad avvalorare quest’ipotesi. Però il ritrovamento può essere giustificato anche dal fatto che la chiesa si inserisce in un sepolcro romano di II sec d.C.; si deve tenere conto, inoltre, che la Portuense essendo via consolare conserva resti di numerosi sepolcri e di necropoli che nulla hanno a che fare con la chiesa di S. Passera. Purtroppo le indagini archeologiche svolte nel secolo scorso non sono state documentate e non è possibile avere alcun tipo di riscontro con le notizie ricavabili dagli scavi più antichi. Come già detto nel capitolo precedente, Trastevere era un quartiere caratterizzato dalla presenza di diverse etnie e fra i tanti immigrati che vi si stabilirono infatti si ricorda la presenza di una comunità di egiziani che si fece erigere nei pressi della basilica di S. Paolo un piccolo oratorio dedicato a S. Menna31. Tornando ai Ss. Ciro e Giovanni la data di inizio del loro culto risulta essere incerta però la devozione si può far risalire al momento della traslazione che si ricorda essere non al V secolo come sostiene la leggenda ma bensì all’VIIII secolo circa all’epoca dell’invasione saracena poiché i due santi erano ancora venerati nel corso del VII secolo nella chiesa degli Evangelisti presso Menouthis. Secondo lo storico Sinthern invece la traslazione è da far risalire ad un periodo compreso tra il IX e il X secolo, un arco di tempo dove erano numerosi gli episodi di traslazione 29 Vita Sancti Gregorii Magni lib IV, cap. XCI. Ricerche effettuate dal canonico Boldetti deputato da una commissione di canonici, disse che delle ossa furono trovate ma “ossa esse aliquorum fidelium quorum corpora ibidem tumulata fuissent antiquim temporibus, non vero sanctorum, ideoque iterum in eodem loco eadem reponi curavimus, et novo paciment, ecclesiam instaurare fecimus sub quo modo iacent ut prius, conceptamque piam spem omnino deponere coacti fuimus” (CAVAZZI 1908, p. 291). 31 VENDITTI 1984, p. 31 30 21 che comportarono la costruzione di adeguate cripte per la collocazione delle reliquie32. Possiamo comunque affermare con certezza che nel corso dell’Alto Medioevo a Roma vi era una forte devozione nei confronti dei due santi medici dovuta alla presenza in città di una comunità di egiziani, favorita ulteriormente dalla presenza al soglio pontificio di pontefici di origine greca che diffusero la devozione per santi dell’Oriente mediterraneo sin dal VII secolo. Tutto ciò si riflette nella fondazione di diversi oratori loro dedicati, cui si accompagna nelle decorazioni pittoriche, quando conservate, la raffigurazione iconica dei due santi martiri, come nel caso della celebre chiesa di S. M. Antiqua al foro Romano dove a destra del presbiterio nella cappella detta dei Santi medici, SS. Abbaciro e Giovanni vengono rappresentati insieme a una schiera di santi vicino a Cristo e alla Vergine. Sempre a S. Maria Antiqua, inoltre, all’interno di una nicchia che si apre nella muratura dell’atrio, lato est, dove un tempo era collocato un altare vediamo, è dipinto un ritratto di S. Abbaciro, ancora discretamente conservato, rappresentato con una lunga barba bianca e dal naso lungo e sottile dai tipici stilemi bizantini mentre nelle mani tiene una cassetta che rimanda alla sua professione di medico (Fig.5). Il ritratto risale all’epoca di papa Paolo I (757-767), venendo ad attestare come alla metà dell’VIII il culto dei santi egiziani fosse ormai piuttosto diffuso. A conferma di ciò si può ricordare come in S. Angelo in Pescheria presso il portico d’Ottavia su un altare dedicato ad Abbaciro si sarebbero conservate alcune reliquie del martire; un altro oratorio dedicato ad Abbaciro si trovava al Celio nelle immediate vicinanze di S. Stefano Rotondo o ancora un luogo dedicato alla memoria dei due santi è la diaconia di S. Maria in Aquiro fondata da papa Agatone nel 67833. Si è già parlato in precedenza delle diverse chiese ormai inesistenti Nell’ 824 risale la traslazione delle reliquie di S. Marco provenienti da Alessandria a Venezia, op. cit, p. 33. 33 Il titolo cardinalizio era conosciuto anche come Santa Maria in Acyro o Santa Maria in Ciro (“Wikipedia” S. Maria in Aquiro, Web 5 Aprile 2019, https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Maria_in_Aquiro 32 22 dedicate a Ciro e Giovanni le si ricorda di nuovo in elenco: la chiesa S. Abbaciro De Valeriis (sul Celio), S. Abbaciro De Militiis (nei pressi di largo Magnanapoli), S. Abbaciro in Trastevere (nei pressi di San Benedetto in Priscinula) e S. Abbaciro ad Elephantum (nel foro Olitorio). Fatte queste considerazioni la data di traslazione delle reliquie dei SS. Ciro e Giovanni andrebbe collocata molto probabilmente nel corso dell’VIII secolo in concomitanza della diffusione del culto dei due santi egiziani in gran parte dei territori italiani. 23 Fig. 5 Roma, chiesa di S. Maria Antiqua, nicchia con ritratto di S. Ciro 24 II.III L’iscrizione marmorea La scoperta di un’iscrizione sull’architrave d’accesso alla chiesa inferiore (Fig.6) rese per molto tempo indiscutibile la presenza delle reliquie dei martiri nella chiesa portuense; il testo scolpito riporta quanto segue: “CORPORA SANCTA CYRI RENITENT HIC ATQUE IOHANNIS QUAE QUONDAM ROMAE DEDIT ALEXANDRIA MAGNA” Le caratteristiche paleografiche dell’iscrizione conducono comunque verso una datazione da collocare non oltre degli anni venti XIII secolo. S. Manacorda ha analizzato l’epigrafe e sulla scorta di A. Petrucci34 ha proposto di identificarla con un tipico esempio di capitale romanica35 caratterizzata dal contrasto sempre più pronunciato dei tratti, dal fitto inserimento di lettere più piccole in altre, dal segno abbreviativo semicircolare al centro. Sebbene l’epigrafe in base a tali caratteristiche risulti effettivamente classificabile come capitale romanica, si evidenziano comunque alcune caratteristiche che denotano una fase di passaggio verso forme più schiettamente gotiche. Questo fenomeno non è affatto isolato se consideriamo che a Milano è attestato l’utilizzo della capitale gotica già a partire dagli anni Settanta del XII secolo36. Il protrarsi di tale scrittura in altre regioni italiane, che a Roma si protrae fino agli ultimi decenni del XIII secolo può tranquillamente suffragare l’ipotesi della Manacorda e legare la realizzazione dell’epigrafe alle vicende legate alla traslazione dei corpi ai tempi di papa Innocenzo III (1161-1216), come riportato dal racconto leggendario di Gualtiero, già precedentemente menzionata. PETRUCCI 1992, p.44. “Si noti i segni abbreviazione con archetto semicircolare al centro, le lettere piccole sovrapposte nelle abbreviazioni, la D onciale, la Q onciale con occhiello per l’abbreviazione di “que”, mentre la Q capitale si trova a inizio parola; anche la E si trova sia in forma capitale, sia in forma di epsilon, la A presenta l’asta centrale ad angolo acuto, la G si sviluppa in un ricciolo.” (MANACORDA 1994, p.54). 36 DE RUBEIS 2007, p.34. 34 35 25 Fig. 6 Roma, chiesa di S. Passera, iscrizione marmorea sopra l’architrave d’accesso all’ambiente intermedio e ipogeo (da Municipio XI) Capitolo III Descrizione del complesso monumentale In questo capitolo verrà descritto e analizzato in dettaglio il complesso monumentale nelle sue varie articolazioni e trasformazioni subite nel coso dei secoli; da monumento funebre in età romana a edificio religioso nel corso Medioevo, quando i vari ambienti furono interessati a diversi interventi di restauro e di rinnovo, riguardanti in particolare l’inserimento di decorazioni dipinte e cicli di affreschi presenti un po’ ovunque lungo le pareti. III.I Il sepolcro imperiale Il sepolcro appartiene alla tipologia a tempietto con podio e cella inferiore, in questo caso arricchito da un piccolo ipogeo, che venne aggiunto solo in un secondo 26 momento. La differenza di livello sul lato meridionale del terreno verso la riva del Tevere era stata precedentemente compensata dal podio, ora non più visibile perché completamente coperto dalla terrazza moderna. Grazie ai lavori di restauro eseguiti dalla Soprintendenza del Lazio tra il 1961 e il 1974 è venuta alla luce l’antica facciata del mausoleo. Anche della parete laterale sinistra che ha subito ingenti rifacimenti, dovuti alla trasformazione in chiesa della struttura, non ci resta quasi nulla. Tuttavia, sul lato sinistro a circa settanta cm sopra il pavimento della terrazza a quella medievale si scorgono ancora gli originali mattoni rossi a vista. Il dettaglio più interessante le monofore che si aprono sul prospetto, caratterizzate sugli stipiti da cornici in cotto decorate da astragali e bucrani (Fig. 7-8). Questo tipo di decorazione si può datare alla metà del II sec. d.C.; un esempio fra i più famosi si rintraccia alla villa di Adriano a Tivoli ed è testimonianza della produzione di elementi decorativi in terracotta che si diffondono a partire da questo periodo. Al di Fig. 7 Roma, chiesa di S. Passera, facciata, lato destro, monofora che accoglie la decorazione in terracotta sotto delle due finestre troviamo due incavi dovevano rettangolari contenere che una decorazione a rilievo in terracotta, solo parzialmente conservata, composta da una ghirlanda con una rosetta nel mezzo; un esemplare ancora integro di tale tipologia di decoro si riscontra nel Fig. 8 Roma, chiesa di S. Passera, facciata, lato sinistro, monofora che accoglie la decorazione in terracotta cosiddetto “Tempio della Fortuna Muliebre” presso la via Appia Antica nell’attuale via Bisignano, 27 dove si ripeteva verosimilmente lungo tutte le pareti esterne dell’edificio; si deve immaginare che anche nel caso in esame dovesse essere adottata all’esterno una simile disposizione delle cornici decorative in cotto (Fig.9). Fig. 9 Roma, Tempio della fortuna Muliebre, particolare della decorazione a rilievo (da De Rossi 1967) Resta ancora da chiarire come doveva avvenire l’accesso alla cella inferiore, forse in origine dotata di un ingresso del tutto indipendente, posto di lato o posteriormente, ma oggi non più conservato. La possibilità che vi fosse una scala già al momento della costruzione del monumento funebre corrispondente a quella attuale non è tuttavia da escludere ma secondo Batelli la mancanza presso il passaggio a sud di spallette con relativo arco e piattabanda di coronamento testimonia un momento successivo di costruzione che non può essere collegato con quello del sepolcro37. Si può portare a testimonianza come confronto anche in questo caso il “Tempio della Fortuna Muliebre”, che era dotato di una scalinata esterna che conduceva al livello superiore mentre una porta collocata presso il lato sud consentiva l’accesso all’ambiente inferiore38. Non è escluso che tale disposizione potesse essere presente anche a S. Passera dove le indagini effettuate 37 38 BATELLI-VACCA 1984, p. 24. DE ROSSI 1967 pp. 16-20. 28 presso la moderna terrazza e in alcuni ambienti interni hanno potuto dimostrare la presenza di una scala esterna che conduceva al livello superiore dove avvenivano i riti per il culto funerario o per l’agape. La forte somiglianza che si riscontra tra questo tempio e quello posto sulla antica via Appia noto con il nome “Cenotafio di Annia Regilla” (Fig.10), sia per l’utilizzo della stessa tecnica muraria a mattoni policromi sia per la conformità della tipologia edilizia, fa sì che il sepolcro romano di S. Passera possa essere tranquillamente datato nel corso del II sec. d.C., inserendosi in una ben nota categoria di monumenti sepolcrali riferibili allo stesso periodo. Fig. 10 Roma, cenotafio di Annia Regilla sulla via Appia 29 III.II Primo livello. La stanza ipogea Dall’ambiente intermedio, attraverso una scaletta in ferro si accede all’ambiente ipogeo (Fig.11), scoperto nel 1904, dopo che nel XVIII secolo era stato riempito completamente di terra. Come già evidenziato, l’ipogeo venne inglobato nel sepolcro in un secondo momento forse dovuto alla necessità di ricavare altro spazio per le sepolture e questo spiega forse la presenza di una scala per l’accesso; C.S. Batelli sostiene che ci fosse una scala mobile per superare il dislivello, ma è più probabile che in realtà ne esistesse una fissa posta nello stesso punto dove oggi si trova quella moderna; ciò attesterebbe la continuità d’uso dell’ipogeo come luogo di sepoltura39 o, in alternativa, anche come luogo di devozione dedicato alla memoria dei due santi martiri. Originariamente la cella doveva essere più ampia e doveva corrispondere molto probabilmente alle misure del vano nord dell’ambiente intermedio superiore; la presenza di un muro che chiude l’ambiente sul lato nord, del tutto diverso dalle Fig. 11 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente ipogeo (da Municipio XI) 39 BATELLI-VACCA 1984 pp.22-23. 30 murature d’ambito, fornisce un valido indizio a questa ipotesi ricostruttiva; anche gli affreschi presenti sulle pareti interne del vano sono relative a due fasi distinte. III.III Secondo livello. L’ambiente intermedio Questa parte del sepolcro si divide in tre distinti vani collegati tra di loro mediante arcate poste tra massicce mura divisorie40. Il primo ambiente che troviamo dopo aver visitato la stanza ipogea è un ambiente stretto e lungo, preceduto da un piccolo ingresso quadrangolare, aggiunto in una fase successiva, quando l’intera struttura fu riadattata ad uso religioso cristiano. Sull’architrave del portale di accesso è collocata la celebre epigrafe che narra l’episodio della traslazione dei corpi dei Ss. Ciro e Giovanni. Le vicende dei due santi vennero narrate intorno al 1200 da Gualtiero ed è molto probabile che l’intervento di ristrutturazione possa risalire a quest’epoca. Attraverso un arco con ghiera si accede ad un corridoio trasversale largo circa 1,75 m. (Fig.12). Fig. 12 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente intermedio, scala che conduce all’ambiente ipogeo 40 VENDITTI 1984, p. 46. 31 Questo vano è chiuso a sud dal muro originario, ad una distanza di 1,70 m. dallo stipite della porta; mentre a nord risulta chiaramente tamponato con una muratura molto grossolana, posta a 2,50 m. sempre dalla porta. Inoltre, a 1.70 m. dove si presume dovesse essere il muro originario corrispondente a quello conservato si nota sulla parete est una sporgenza e su quella ovest una muratura aggettante che consente di riconoscere i resti della volta che doveva coprire in origine il locale41. Il rifacimento che l’ala nord subì, probabilmente al momento della riconversione in chiesa, è evidente anche nel passaggio tra questo vano e l’ultimo, dove risulta essere molto diverso il trattamento della ghiera e anche la scelta dei materiali 42. Questo vano è di forma approssimativamente quadrangolare; lo spazio è voltato a botte ed è costituito da una gettata di calcestruzzo con un telaio in stuoia di paglia la cui impronta è ancora chiaramente leggibile, mentre le murature presentano un’alternanza di mattoni e malta con modulo di 24 cm. 41 42 BATELLI-VACCA 1984, p. 24. op. cit p. 24. 32 Al lato opposto all’ingresso si nota un grande nicchione di forma rettangolare (Fig.13) tamponato nel Medioevo quando vennero eseguiti gli affreschi, ormai quasi del tutto perduti. Fig. 13 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente intermedio, nicchione quadrangolare particolare III. IV. Terzo livello. L’oratorio Al piano della chiesa (Fig. 14-18) si accede attraverso una doppia rampa di scale che immettono su una terrazza quadrangolare dove sono collocati due cippi sepolcrali. La chiesa è ad aula unica con arco absidale conclusa da un’abside semicircolare sulla quale al centro si apriva una finestra, poi tamponata in seguito alla realizzazione degli affreschi43. L’attuale tetto è sostenuto da travi in legno rifatto più volte nei secoli e non vi è ragione alcuna per escludere che questo poteva 43 VENDITTI 1984, pp. 40-51. 33 essere la copertura originaria dell’oratorio. Le uniche fonti di luce sono costituite attualmente da due finestre che si aprono rispettivamente sulla parete laterale sinistra, alla quale ne corrispondeva una identica sulla parete opposta poi tamponata, e in facciata sopra il portale d’ingresso (Fig.14). Attraverso un passaggio posto presso la parete sinistra si accede agli ambienti della sagrestia e di servizio dove si può osservare l’antica muratura originaria. Da notare sulla porzione esterna sud del monumento la presenza di quattro arcate continue (Fig.17) oggi murate che ha fatto pensare ai probabili resti di un porticato medievale realizzato per consentire ai pellegrini di stazionare in attesa della venerazione delle reliquie dei due santi44. Fig. 14 Roma chiesa di S. Passera, facciata (da Croberto68 - Own work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7164435) 44 Ibidem, p.49. 34 Fig. 16 Roma, chiesa di S. Passera, abside prospiciente su via della Magliana (da Municipio XI Fig. 15 Roma, chiesa di S. Passera, parete laterale sinistra vista dal vicolo di S. Passera (da Municipio XI) 35 Fig. 17 Roma, chiesa di S. Passera, serie delle quattro arcate continue lungo la parete laterale sinistra 36 Fig. 18 Roma, chiesa di S. Passera, facciata e la doppia rampa di scale (da By Croberto68 - Own work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7164425) 37 III.IV Piante e sezioni Fig. 19 Roma, chiesa di S. Passera, pianta dell’ipogeo e del livello inferiore (da BatelliVacca 1984) 38 Fig. 20 Roma, chiesa di S. Passera, sezione longitudinale (foto da Batelli-Vacca 1984) 39 Fig. 21 Roma, chiesa di Santa Passera, pianta livello superiore (da Batelli-Vacca 1984) 40 Fig. 22 Roma, chiesa di S. Passera, vista assonometrica (da Batelli-Vacca 1984) 41 Capitolo IV Le strutture murarie IV.I Analisi delle strutture murarie d’età carolingia Gran parte delle murature del complesso architettonico appartengono alla fase romana del monumento. La facciata attuale della chiesa corrisponde a quella del sepolcro romano; solo ai limiti estremi del prospetto sono visibili gli innesti di una muratura diversa che continua per tutto il perimetro dell’edificio45. L’analisi condotta da P. Rovigatti Spagnoletti ha messo in luce le caratteristiche di questa muratura: la cortina è costituita da filari di mattoni di varia lunghezza e spessore, disposti in modo piuttosto ondulato: filari di tufelli o tufelli isolati sono inseriti senza un preciso ordine. Sul muro sinistro si apre una finestra (in origine erano tre) coronata da una ghiera non ben girata: i mattoni, di cui alcuni spezzati, sono posti quasi tutti verticalmente, in modo che la ghiera stessa risulta sfrangiata verso l’alto46; identiche caratteristiche sono evidenziabili anche nelle murature dell’abside dove a partire dalla zona inferiore si contano sette corsi alternati di tufelli e mattoni, cui segue una fascia di quattordici filari di soli mattoni e poi altri 4 corsi di tufelli e mattoni (Fig.23-25); nella parte intermedia e superiore fino al coronamento prevale l’uso del laterizio con inserimento di tufelli, a filari o isolati, ma disposti in maniera irregolare. Si riportano qui di seguito le misure dei moduli dei materiali usati nella realizzazione della muratura47. Modulo 3: da 14 a 17 cm. Modulo 5: da 25 a 29 cm. Altezza mattoni: 2-3 cm. BERTELLI-GUIDOBALDI 1977, pp.157-159. Analoga disposizione dei mattoni si riscontra nelle ghiere delle finestre della cella campanaria dei SS. Quattro Coronati e in quelle della fiancata di S. Giorgio al Velabro e di S. Pellegrino in Naumachia, Ivi p.158. 47 BERTELLI-GUIDOBALDI 1977, p. 158. 45 46 42 Lunghezza mattoni: da 12 a 25 cm. Lunghezza tufelli: da 14 a 28 cm Altezza malta: da 1 a 4 cm. Altezza tufelli: da 7 a 9 cm. Fig. 23 Roma, chiesa di S. Passera, dettaglio della muratura dell’abside dove si riscontra l’alternanza tra tufelli e laterizi 43 Fig. 24 Roma, chiesa di S. Passera, abside, particolare Fig. 25 Roma, chiesa di S. Passera, muro perimetrale, particolare 44 I mattoni sono di colore giallo e rosso48 (Fig.26), tutti di reimpiego e ricavati molto probabilmente dallo stesso monumento romano; la malta è piuttosto tenace di colore grigio chiaro non presenta rifiniture e non sembra essere stata tirata a filo coi mattoni. L’ampio ricorso a tufelli che è sicuramente una costante nelle chiese di IX secolo è dovuto molto probabilmente all’ubicazione della chiesa extra moenia, dove il materiale laterizio era meno reperibile rispetto al centro della città, dove invece l’uso del laterizio nei cantieri delle chiese carolinge è del tutto prevalente se non anche esclusivo. Fig. 24 Roma, chiesa di S. Passera, dettaglio della muratura dove si riscontra l’utilizzo di mattoni gialli L’utilizzo di mattoni policromi è caratteristico di edifici sepolcrali romani come il già citato tempio di Annia Regilla presso la via Appia. 48 45 IV.II Le mensole di reimpiego presso l’abside Altra caratteristica degna di nota è lo sfruttamento di mensole di reimpiego presso l’abside (Figg.27-28). Questa soluzione ha una duplice funzione: una è architettonica perché le mensole hanno l’importante compito di sostenere la calotta absidale mentre l’altra è puramente decorativa. Questo tipo di impiego delle mensole è molto frequente nelle chiese romane di IX secolo49; nel caso di S. Passera però queste non risultano particolarmente ricche dal punto di vista ornamentale, con una lavorazione a semplici foglie d’acqua che emergono dal corpo della mensola, al contrario di quanto accade, invece, nei cantieri delle maggiori chiese in urbe come ad esempio nella basilica dei Ss. Nereo e Achilleo dove la fabbrica di committenza papale poteva permettersi di utilizzare materiale di pregio, proveniente da edifici romani ricchi di rilievi marmorei finemente lavorati. Un caso analogo a quello di S. Passera è illustrato dal piccolo oratorio di S. Leone a Capena, attribuibile alla metà del IX secolo, dove anche in questo caso l’esterno della calotta absidale è contraddistinto dalla presenza di mensole romane di reimpiego con una decorazione a semplice rilievo a foglie d’acqua molto simile a quelle presenti nell’oratorio della via Portuense50. Questo trova raffronto in maniera diversificata nelle chiese di SS. Nereo e Achilleo, S. Martino ai Monti, S. Prassede, SS. Quattro Coronati, S. Cecilia e S. Giorgio al Velabro dove le mensole si alternavano a lastre decorate a mascheroni o a motivi vegetali (GUIGLIA-PENSABENE 2005-20006, pp. 2-76). 50 GUIGLIA-PENSABENE 2005-2006 p. 72. 49 46 Fig. 25 Roma, chiesa di S. Passera, corona absidale sinistra, particolare delle mensole Fig. 28 Roma, chiesa di S. Passera, corona absidale destra, particolare delle mensole 47 Per la colonnina posta al centro della bifora che si pare nell’abside, al contrario, si può ipotizzare una realizzazione ex novo (Fig. 29). Questo si può evincere dal capitello corinzio di coronamento (Fig.30), la cui lavorazione sembra appartenere al periodo altomedievale. Il pulvino che lo accompagna, invece, è privo di decorazione ed è lavorato in maniera grossolana. Fig. 29 Roma, chiesa di S. Passera, la bifora dell’abside 48 Fig. 30 Roma, chiesa di S. Passera, capitello che decora la bifora, particolare 49 Capitolo V Il materiale scultoreo V.I Il materiale scultoreo d’età romana La chiesa di S. Passera conserva sia al suo interno che all’esterno materiale scultoreo d’età romana principalmente a carattere funerario; se alcuni di questi reperti sono ancora presenti, altri non sono più in loco o perché trafugati o perché sono stati trasferiti presso la chiesa di S. Maria in via Lata. Il materiale che è ivi conservato non è necessariamente legato alle vicende del monumento poiché molti dei reperti rinvenuti sono stati qui portati dagli abitanti del quartiere per salvaguardarli dalle ricorrenti piene del Tevere e portati al sicuro all’interno della chiesa. Tra i resti rinvenuti si fa menzione di un cippo sepolcrale con iscrizione dedicatoria. Questo reperto (Fig.31) è conservato presso la terrazza d’accesso all’edificio, il suo stato di conservazione è fortemente degradato ma è ancora possibile leggere con chiarezza l’iscrizione funeraria che ricorda compianto dei il genitori per la precoce perdita del figlio. Si riporta di seguito il testo: “D.M Fabiae Paulinae/ vixit ann XIIX M. III et/ Fabiae Pollittae / Vixit ann XIII Fabius Fig. 31 Roma, chiesa di S. Passera, cippo sepolcrale conservato presso la terrazza della chiesa. Onessimus et / Fabiae Pollittae/ et Fabia Thallus 50 Parentes / filialibus pientissimis / fecerunt”51. Sempre presso la medesima terrazza si conserva un altro cippo funebre; se in questo caso l’iscrizione è andata persa52 qui invece la decorazione risulta ancora ben leggibile: a rilievo tra motivi floreali trovano posto due figure alate, in atto di sostenere un vaso su treppiede. Accomuna i due cippi la presenza ai lati dei motivi dell’anfora e del piattino; utensili che venivano generalmente utilizzati per i riti offertoriali o durante le cerimonie in onore delle divinità53. Molto del materiale reimpiegato proveniva dal sepolcro imperiale e non era affatto insolito lo sfruttamento di colonne come sostegno per acquasantiere o l’inserimento di lastre di sarcofagi all’interno di elementi architettonici; questo è il caso del gradino dell’altare (Fig.32) dove per la sua realizzazione è stata impiegata un’iscrizione dedicatoria che recita: “(Ca)rianae L. L. Matri / (Ca)rianae S. P. F. Secund(ae) Sonori / (g) Boviano C. F. CLV Proculo Secun(do) (Hy)blaeo Divi Augusti Ama(nu)”. Quest’iscrizione dal carattere funerario era Fig. 32 Roma, chiesa di S. Passera, lastra funebre di reimpiego presso l’altare La dicitura D. M. presente in entrambi i ceppi vuole significare Dis Manibus cioè agli Dei Mani, questo dimostra l’origine pagana dei due reperti. 52 Un tempo l’iscrizione recitava “D.M. / L. Ancharii Priscian / Vixit an II M. X. Die XXIX et / Anchariae Felicissimae / Vixit a. XI M. X. D. XV Fil dulicissimi fecer / et Ancharia Felicula sibi et suis Libertis Libertasque Posterisque Eorum” (IEZZI p.211). 53 VENDITTI 1984, pp. 42-45. 51 51 probabilmente dedicata a quattro personaggi di cui Secondo Ibleo quando era in vita fu amanuense dell’imperatore. Altra iscrizione dedicatoria è quella che si trova ancor oggi presso la chiesa di S. Maria in via Lata in via del Corso. E’un’iscrizione greca che recita “Qui sono degli antichi padri morti le immagini, e delle spose e dei figli e nipoti, dei parenti e congiunti; pose Dionigio affinché di tutti quelli un ricordo fosse conservato tra i vivi”. Prospicenti su via della Magliana sono due grossi blocchi in travertino con decorazione a rilievo (Figg. 33-34); il primo presenta un motivo ad alternanza di metope e triglifi (Fig. 33): le metope accolgono tre distinti motivi il primo rappresenta una sorta di spazzola per capelli dalla quale discendono fili di perle, il secondo è un grosso rosone a sei petali a forma di cuore mentre l’ultimo presenta due lance incrociate poste dietro a quella che sembra essere una pelta54. Fig. 33 Roma, chiesa di S. Passera, primo blocco in travertino conservato all’esterno della chiesa 54 KAMMERER-GROTHAUS 2001, p. 348. 52 L’altro blocco (Fig. 34) è caratterizzato dalla presenza di un motivo floreale: una successione di palmette alternate ad un motivo ornamentale a forma di cuore vengono racchiusi circolarmente da un tralcio di loto stilizzato continuo, al di sotto invece doveva trovare posto un’iscrizione dedicatoria di cui si ignora il testo per lo stato di degrado in cui esso versa. Sicuramente per il primo blocco si può parlare di un tipico esempio di fregio dorico appartenente all’età repubblicana facente parte della decorazione di un altare funerario55. Mentre per il secondo reperto analizzato considerando anche la familiarità stilistica con reperti presenti lungo la via Portuense si può ipotizzare una sua decorazione per un monumento funebre. Fig. 34 Roma, chiesa di S. Passera, secondo blocco di travertino conservato all’esterno della chiesa Contenuti sobri che vogliono evitare ogni forma di ridondanza o sovrapposizione agli elementi strutturali, cosa che accomuna podi o altari con fregio dorico dei quali è inutile rimarcare la sottintesa idea di sacralità. Per averne un’idea si prende ad esempio il monumento di L. Alfius Statius (ORTALLI 2004, pp. 5-10). 55 53 V.II Il materiale scultoreo d’età medievale Ultimo reperto ad essere analizzato è la transenna di finestra (Fig.35) che è l’unica testimonianza a livello scultoreo che possediamo per il periodo altomedievale. La sua importanza non è da sottovalutare poiché risulta perfettamente conservata rispetto a molte delle transenne marmoree presenti in urbe. Consuetudine tipica per il periodo carolingio romano, la transenna poteva assumere forme diverse. Nella transenna di finestra di S. Passera la decorazione si svolge tra due forme principali: il cerchio in alto e il rombo in basso da cui si dipartono linee verticali e orizzontali che vanno a formare altrettanti motivi geometrici. Difficile provare a fare accostamenti tra le transenne di IX secolo poiché appaiono estremamente diverse le une dalle altre, ma una relazione convincente può essere proposta con la transenna della già citata chiesa di S. Leone presso Capena (Fig. 36) dove si riscontra lo stesso motivo geometrico basato principalmente sul cerchio e il rombo. Fig. 35 Roma, chiesa di S. Passera, facciata, transenna di finestra Fig. 36 Capena, chiesa di S. Leone, transenna di finestra 54 Capitolo VI Gli affreschi In questo capitolo finale verranno analizzati gli affreschi presenti nei tre ambienti esaminati nei capitoli precedenti (Fig.37). Seguire un percorso cronologico degli affreschi potrà essere difficoltoso in quanto gli interventi finali di XIV secolo sono andati a sovrapporsi a quelli di IX secolo; l’analisi di quest’ultimi infatti è determinante per chiarire in parte la questione cronologica che riguarda l’inizio del cantiere carolingio. Bisogna aggiungere inoltre che l’affannosa ricerca dei corpi dei martiri comportò notevoli danni non solo alla chiesa ma anche agli affreschi che oggi risultano parzialmente perduti, questo in particolare per quello che riguarda l’ambiente intermedio e in parte per l’ipogeo. Si partirà dunque dall’analisi di quest’ultimo ambiente che conserva decorazioni sia a carattere pagano sia cristiano questi ultimi emersi da nuove ricerche che hanno messo in luce la presenza di pitture appartenenti al XIV secolo. Si proseguirà poi, con l’analisi degli affreschi dell’ambiente intermedio, ormai quasi del tutto perduti e analizzabili solo attraverso documentazione antica56. Per ovviare alla scomparsa, infatti, gli studiosi hanno fatto affidamento, oltre a fototografie storiche anche alle cronache del segretario del capitolo canonico Annibale Greco57, che in occasione delle ricerche delle reliquie ha descritto gli ambienti e gli affreschi della chiesa. Infine si analizzerà l’ambiente superiore, quello dell’oratorio vero e proprio, soffermandosi in particolar modo sulla decorazione absidale per poi concludere la descrizione con l’analisi della parete laterale sinistra che conserva un prezioso registro pittorico risalente al IX secolo. Bisogna constatare che in questo ambiente la perdita è totale poiché non restano tracce di intonaco dipinto. Ciò impedisce una lettura esauriente della decorazione pittorica qui presente. 57 CAVAZZI 1908, p.330. 56 55 Fig. 37 Ricostruzione 3D degli ambienti della chiesa di S. Passera con relativo posizionamento degli affreschi (da Pennesi 2006) 56 VI.I Affreschi nell’ipogeo Sicuramente gli affreschi dell’ipogeo sono quelli che hanno sofferto di più dello stato di abbandono. Oggi dell’antica decorazione non resta quasi nulla; non solo la decorazione descritta dal canonico Greco ma anche degli affreschi studiati nel 1984 da M. Salvetti non resta traccia. Quando nel 1706 iniziarono le ricerche dei corpi dei martiri il canonico scrisse che sulle pareti del piccolo vano si potevano scorgere le figure della Vergine con il Bambino, con Ciro alla sinistra e Giovanni alla destra; alla destra di Giovanni invece era S. Prassede. Quando nel 1904 l’ipogeo venne riportato alla luce di questi affreschi non vi era più traccia fatta eccezione per S. Prassede che si presentava ancora ben conservata sotto la scala d’ingresso all’ipogeo (Figg. 38-39). La santa era stata rappresentata con la corona in capo, un vaso nella mano sinistra e un libro sulla destra58. La figura priva di qualsiasi elemento bizantineggiante sembra appartenere al mondo figurativo tardo-gotico59. Una pennellata sottile ne delineava le ciocche dei capelli e ne disegnava la fisionomia; da notare in particolare il naso dritto e fino privo di curvature, caratteristica che avvicina la figura di S. Prassede alla cultura artistica trecentesca60. 58 SALVETTI 1984, pp. 38-40. MANACORDA 1994, pp.39-40. 60 Ibidem, p. 40. 59 57 Fig. 38 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente ipogeo, ricostruzione 3D (da Pennesi 2006) 58 Fig.39 Roma, chiesa di S. Passera, affresco perduto raffigurante S. Passera nell’ambiente ipogeo (da Cavazzi 1908) 59 Le altre pareti e la volta invece conservavano altre interessanti pitture: sulla parete opposta a quella d’ingresso inserite in quadrati di diversa misura delimitati da una linea rossa, trovavano posto tre diverse figure. Partendo da sinistra si poteva scorgere un uccello in volo (Fig. 40), poi una figura femminile stante con bilancia in mano (Fig. 41), forse da identificare con l’immagine simbolica della Giustizia, ed infine la figura di un uomo atletico da riconoscere molto probabilmente con un pugile o un lanciatore di giavellotto (Fig. 42). Sotto la scala sempre inquadrata dal riquadro rosso era possibile ammirare un agnello. Parzialmente visibile è il cielo decorato da stelle a otto punte a altri motivi decorativi (Fig. 43). Elementi come l’uccello, la pecora sono soggetti molto frequenti nelle pitture tombali romane e gli esempi che si possono portare a testimonianza come confronti sono numerosi. Fra i casi sicuramente più interessanti, soprattutto per la vicinanza alla chiesa, si possono citare alcune testimonianze dipinte presenti nelle tombe della necropoli dell’Isola Sacra con le quali si possono istituire interessanti paragoni stilistici. Non bisogna dimenticare che ogni singolo soggetto non si risolve semplicemente nella sua funzione rappresentativa ma conserva un’interpretazione molto più complessa e strettamente legata alla funzione che l’ipogeo assume nel mondo pagano come custode dei corpi dei propri cari. Questo è il caso dell’uccello che si trova spesso rappresentato negli ipogei romani in diverse forme e colori senza dimenticare che è anche portatore di un messaggio trascendentale: rappresenta il volo dell’anima verso il cielo61. 61 VACCA 1984, p.40. 60 Fig. 40 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente ipogeo, uccello in volo 61 Fig. 40 Roma, chiesa di S. Passera, affresco rappresentante un uccello in volo nell’ipogeo (da Batelli-Vacca 1984). Fig. 41 Roma, chiesa di S. Passera, affresco rappresentante forse un pugile nell’ambiente ipogeo (da Batelli-Vacca 1984) 62 Fig. 42 Roma, chiesa di S. Passera, affresco rappresentante la Dea Giustizia nell’ambiente ipogeo (da Batelli Vacca 1984) 63 Fig. 43 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente ipogeo, affreschi a bande rosse con stelle nella volta e lungo le pareti VI.II Affreschi nell’ambiente intermedio I lacerti di affreschi che si trovavano nell’ambiente intermedio in corrispondenza della parete di fondo, assumono una certa importanza alla luce del valore funzionale assunto dal culto dei due martiri orientali. Il tamponamento della porta precedentemente esaminata sembra essere posteriore alla campagna decorativa di questo ambiente, ciò si evince sia dal differente materiale edilizio impiegato sia dalla decorazione della porta che conservava i resti di una cornice dipinta con un motivo decorativo a gattoni rovesciati che sormontava l’apertura e ne seguiva il profilo62. Nell’intradosso invece rimanevano tracce di colore di quello che sembrava essere secondo S. Manacorda un fascione ornamentale, che precede una figura in piedi, nimbata e barbata da riconoscere con il ritratto di S. Ciro. Nell’intradosso opposto trovava posto invece la figura di S. Giovanni martire, con 62 MANACORDA 1994, p. 40 64 il motivo a piccoli rombi che si ritrova anche nella tunica dello stesso personaggio e di S. Michele dipinti nell’oratorio superiore. Sicuramente la testimonianza pittorica più interessante era quella conservata alla destra della porta (Fig. 44). Nella parte inferiore dell’affresco si scorgeva una figura in ginocchio con le mani giunte rivolte verso la porta; al di sopra di questa inquadrata da una linea nera e una fascia rossa era una scena frammentaria rappresentante cinque personaggi (Fig.45): tre erano in primo piano; due di questi per il loro abbigliamento con pallio e mitra possono essere identificati come vescovi. Nelle loro mani stringevano uno un libro mentre l’altro in atto benedicente, un rotulo. La terza figura è stata identificata con la matrona Teodora colei che fece portare i corpi dei martiri nella chiesa. In secondo piano si scorgevano invece le teste di altre figure. Una era forse quella di un vescovo mentre l’altra testa corrispondeva a un altro personaggio, probabilmente un laico. Una scena speculare a questa si trovava nell’altra metà della parete come è dimostrato dai pochi lacerti pittorici che un tempo occupavano la parete. Secondo Cavazzi la scena rappresentava il momento della traslazione delle reliquie dei Ss. Ciro e Giovanni nella chiesa di S. Passera come narrato dalla leggenda duecentesca. Un’altra ipotesi, invece, vede nei tre vescovi muniti di un testo liturgico o di quella che sembra essere una bolla pontificia un episodio di consacrazione o riconsacrazione di un altare. Questa interpretazione può essere avvalorata dal fatto che il percorso dei pellegrini per raggiungere l’ipogeo e dunque le spoglie dei martiri, dovesse passare anche per l’ambiente intermedio; la scena dunque si inserirebbe all’interno di un percorso narrativo predisposto per i fedeli che si accingevano a raggiungere e venerare le spoglie dei due martiri orientali. La realizzazione di questi affreschi, in base soprattutto ad alcuni dettagli dell’architettura dipinta ormai di stampo pienamente gotico, sembra potersi collocare cronologicamente al tardo Medioevo. A S. Passera si nota, tuttavia, un certo impaccio nella resa delle figure, un linguaggio troppo semplificato da rendere forzata un’ipotesi di rapporto diretto con le grandi maestranze del periodo, operanti a Roma in questo periodo. Nonostante ciò si deve constatare la capacità da parte 65 della bottega di assolvere il compito narrativo richiesto dalla decorazione63. Una datazione ai primi anni del XIV secolo sembra essere quella più convincente per questo ciclo pittorico supportata anche dalle figure vescovili che trovano confronti con alcuni cicli pittorici romani come ad esempio quello che si svolge nel portico della basilica di S. Lorenzo fuori le Mura o con quello di S. Stefano che permette secondo S. Manacorda di ipotizzare un comune ambito stilistico fatto di toni vivaci e narrativi che animano le più note vicende martiriali nella capitale64. Fig. 44 Roma, chiesa di S. Passera, ambiente intermedio, ricostruzione 3D (da Pennesi 2006) 63 64 MANACORDA 1994, pp.39-40. Ibidem, p. 40. 66 Fig. 45 Roma chiesa di S. Passera, affresco con i cinque personaggi collocati a destra dell’apertura nell’ambiente intermedio (da Cavazzi 1908) 67 VI.III. Affreschi nell’oratorio Gli affreschi conservati all’interno dell’ultimo livello, quello dell’oratorio si concentrano nella zona dell’abside e dell’arco (Fig. 46). Una parte seppur frammentaria si conserva invece sulla parete laterale sinistra. Anche qui le condizioni generali degli affreschi non appaiono certo ottimali a causa dell’umidità che di una ridipintura della fine del XVII secolo che ne ha trasformato molti dei particolari e allo stesso tempo ha causato ingenti danni agli affreschi65. Grazie ai lavori di restauro i dipinti sono ritornati alla luce restituendo in parte la loro originaria composizione; inoltre, il ritrovamento nella collezione di Cassiano del Pozzo alla Royal Library di Windsor di disegni che riproducono in maniera minuziosa la decorazione absidale ha permesso agli studiosi di proporre una coerente analisi stilistica per gli affreschi della chiesa di S. Passera66. Fig.46 Roma, chiesa di S. Passera, gli affreschi dell’oratorio (foto da http://www.neldeliriononeromaisola.it/2019/01/257869/) 65 66 BATELLI-VACCA 1984, pp. 31-40. Si tratta dei disegni 8936, 9197, 9198 e 9920 (MOREY 1915 p. 57). 68 - La decorazione dell’abside L’analisi degli affreschi dell’abside comincia dalla zona superiore, quella della calotta dove è collocato l’evento della Traditio Legis (Figg. 47-48). Fig. 47 Roma, chiesa di S. Passera, calotta absidale, Traditio Legis (foto da http/://www.neldeliriononeromamaisola.it) Cristo benedicente al centro è affiancato da due palme di forma ovoidale. Alla sua sinistra trovano posto le figure di S. Paolo e S. Giovanni Battista mentre alla sua destra sono S. Pietro e S. Giovanni Evangelista. Della figura del Salvatore non resta che la sagoma con la mano destra benedicente e la sinistra che stringe il rotolo della Legge, cosi come le due palme che lo affiancano sono ridotte alla sagoma. La testa di S. Paolo è poco visibile a causa delle efflorescenze saline, lacunoso è anche il volto e il tondo dell’Agnus Dei di S. Giovanni Battista. Integro è S. Pietro mentre S. Giovanni Evangelista sia nella tunica che nel pallio mostra una ridipintura di poco successiva67. Lo sfondo è suddiviso in tre distinte fasce cromatiche sovrapposte dai toni verdeazzurro, tagliate orizzontalmente da una greca bianca. Questo motivo risulta essere particolarmente diffuso in Italia tra il XII e XIII secolo. Altro elemento che lo accomuna alla cultura figurativa della prima metà del Duecento sono le palme L’ipotesi di un intervento prototrecentesco è evidente sia nella resa dei passaggi cromatici nel pallio e anche dal confronto con il calice dello stesso santo dipinto in S. Cecilia dal Cavallini (MANACORDA 1994, p.44). 67 69 geometriche, dalla forma ovoidale che vanno a richiamare quelle dell’abside di S. Paolo fuori le Mura. Fig. 48 Windsor, Windsor Castle, Royal Library, copia ad acquarello dell’affresco rappresentante la Traditio Legis di Cassiano del Pozzo (da Morey 1915) La Traditio Legis qui rappresentata non sembra aver apportato novità iconografiche rispetto alla tradizione paleocristiana fatto salvo per i due Giovanni che compariranno solo successivamente nei mosaici delle absidi romane di fine Duecento: in quella di S. Giovanni in Laterano e in quella di S. Maria Maggiore. Altro elemento sicuramente non trascurabile è l’assestarsi su moduli formali prevalentemente bizantini che risulta essere una consuetudine nel panorama romano duecentesco e che si riflette nella chiamata di mosaicisti veneziani nei cantieri della basilica di S. Paolo fuori le Mura e della basilica di S. Pietro68. La prossimità della nostra chiesa alla basilica ostiense, non esclude l’ipotesi di un’influenza diretta dei mosaicisti attivi a S. Paolo poiché si riscontrano alcune tangenze stilistiche di non trascurabile importanza. Si veda ad esempio il panneggio volumetrico e cristallizzato in S. Paolo che si rifà ai più importanti I lavori cominciarono sotto Innocenzo III (1198-1216) per poi essere portarti a compimento durante il pontificato di Onorio III (1216-1227) mentre quelli della seconda ripresero sotto il pontificato Gregrorio IX (1227-1241) (Ibidem, p.44). 68 70 episodi di pittura tardo-comnena presenti nella basilica ostiense frutto di quelle maestranze veneto bizantine chiamate nei cantieri della capitale, o ancora si noti la fisionomia di S. Pietro (Fig. 49) che rimanda a quella del sacrista Adinolfo (Fig. 50). Per questo affresco si può avanzare l’ipotesi che fosse stato realizzato con l’intento di riprodurre in scala minore i grandi mosaici presenti nei cantieri delle maggiori basiliche romane. Fig. 49 Roma, chiesa di S. Passera, calotta absidale, S. Pietro e S. Giovanni Evangelista (da Manacorda 1994) Fig. 50 Roma, basilica di S. Paolo fuori le Mura, arco absidale, il sacrista Adinolfo (da Manacorda 1994) Il fregio ornamentale che decora il sottarco, si sviluppa in un tralcio vegetale costituito da un motivo base a tre palmette gigliate che fuoriesce da due kantahros posti alle estremità della bipartizione della decorazione absidale (Fig. 51). Un motivo simile è si ritrova nel fregio ornamentale che conclude lateralmente l’affresco di S. Maria Nova e nell’oratorio di S. Silvestro dei Ss. Quattro Coronati a Roma. Per S. Manacorda l’affresco della calotta absidale deve essere collocato tra il secondo e il terzo decennio del Duecento tesi che può essere Fig. 51 Roma, chiesa di S. Passera, fregio fogliato del sottarco (da Manacorda 1994) suffragata non solo per i dati stilistici appena esaminati ma anche per alcuni se pur scarni dati storici: l’inventio 71 della traslazione dei corpi narrata intorno al 1204 da Gualtiero insieme ad un revival per i corpora sancta, perseguita da Cencio Savelli, continuata con particolar fervore quando salì al soglio pontificio con il nome di Onorio III, può far pensare a un diretto interessamento papale alla riqualificazione della chiesa, anche se purtroppo non vi è nessuna notizia in merito69. Per quello che concerne la scena sottostante siamo di fronte a qualcosa di diverso non solo per la disomogeneità tecnico-esecutiva ma anche per la composizione (Fig. 52). Fig. 52 Roma, chiesa di S. Passera, affresco del catino absisale (da http://www.neldeliriononeromaisola.it/2019/01/257869/) Partendo da sinistra, S. Francesco e San Giacomo Maggiore introducono al cospetto della Vergine in trono con il Bambino due personaggi, da identificare molto probabilmente come i donatori, raffigurati inginocchiati. Il trono di cui si accenna la resa prospettica e il volto della Vergine posto di scorcio conferiscono all’immagine una composizione laterale accentuando in questo modo la frontalità Onorio III operò il rifacimento della tomba di S. Lorenzo al Verano e anche alcuni lavori di ampliamento dell’intero complesso, la restituzione delle reliquie a San Sebastiano con la relativa consacrazione di un altare negli ambienti ipogei, la riconsacrazione dell’abbaziale cistercense delle Tre Fontane (Ibidem p.57). 69 72 dell’arcangelo Michele su cui ricade l’asse centrale della rappresentazione. Accanto all’arcangelo Michele che pare essere una vera e propria icona votiva, si trova sulla destra un gruppo isolato costituito da Cristo con i Ss. Ciro e Giovanni (Fig.53). La curiosità di questo gruppo è data dal fatto che il frescante nella realizzazione dei personaggi sfruttò il tessuto pittorico sottostante, seguendo una prassi molto comune nel Medioevo; in parole semplici egli risparmiò lo sfondo e le aureole e ricoprì con uno strato di intonachino le figure da modificare. Secondo la tesi di S. Manacorda questo intervento è da vedere come un aggiornamento iconografico operato in occasione di un restauro effettuato all’interno della chiesa che, infatti, non ha nulla a che vedere con la rappresentazione della Traditio Legis, presente nella parte superiore. Fig. 53 Roma, chiesa di S. Passera, abside, Cristo tra i Ss. Ciro e Giovanni (da Portunus.it) Un’immagine dei Ss. Ciro e Giovanni d’altronde che affiancano Cristo datata al X secolo si trova nel quadriportico della chiesa di S. Maria Antiqua a Roma a testimonianza dell’esistenza ma anche della ricorrenza di questa soluzione iconografica. Al momento della ridipintura i due Santi Medici vennero realizzati con i parametri iconografici della tradizione. Ciro appare anziano con una lunga 73 barba bianca dal volto scavato in abito monacale, Giovanni invece viene rappresentato come un giovane militare d’alto rango con tunica e clamide, entrambi vengono riprodotti con i tipici attributi dei Santi Medici: la cassettina e il bisturi. Il linguaggio stilistico di questo affresco appare aggiornato alle soluzioni apportate a Roma dal Cavallini ma in un’interpretazione che si muove verso soluzioni sempre più stereotipate e statiche, come nei panneggi che perdono la morbidezza, la volumetria e il realismo che contraddistingue le opere attribuibili alla mano del maestro romano. Il volto dell’arcangelo Michele presenta una resa plastica, molto marcata da sembrare quasi innaturale; di stampo cavalliniano sono le grandi ali ben dipinte sulle quali vanno distinguendosi le singole piume ma anche la volumetria del volto e del collo, sottolineate da pennellate decise che creano intense zone d’ombra e luce; questi aspetti appartengono alla cultura artistica nata sotto il segno della pittura del Cavallini. La Madonna in trono con il Bambino (Fig. 54) che va a occupare insieme all’arcangelo lo spazio della bifora altomedievale, chiusa per la realizzazione di questa decorazione dipinta, denuncia una fattura poco curata nel volto cosi come la tentata resa prospettica del trono, forse causata da una correzione in corso d’opera che non teneva conto degli spazi a disposizione. La tipologia iconografica più stringente per questa rappresentazione è sicuramente da riconoscere nella Vergine Odighitria. S. Giacomo posto alla sinistra della Vergine è raffigurato nell’atto di intercedere presso quest’ultima, il santo è riconoscibile per i suoi attributi: la bisaccia con la conchiglia appesa a un bastone da pellegrino che viene rappresentato alla sua sinistra ma che non viene impugnato70. Questa scelta è da leggere come una volontà da parte del committente, volta ad evidenziare il bastone come segnum dall’alto valore sacrale; la mancata impugnatura, forse, potrebbe anche essere dovuta alla ridipintura successiva che ha modificato anche la spazialità del dipinto. Il culto di S. Giacomo venne introdotto alla fine del XIII secolo. Il santo patrono di Compostela lo vediamo solitamente rappresentato con le vesti da pellegrino (Ibidem p.57). 70 74 Fig. 54 Roma, chiesa di S. Passera, dettaglio dell’affresco rappresentante la Madonna in trono con il bambino e l’arcangelo Michele (da http://www.neldeliriononeromaisola.it/2019/01/257869/) Il volto del santo galiziano (Fig.55) ci appare fortemente danneggiato mentre ben leggibile è il panneggio del pallio rosso che va a ricadere sull’avambraccio. Degna di nota invece è la realizzazione delle pieghe eseguite probabilmente tramite incisione diretta. La presenza di un santo galiziano è alquanto insolita ed è forse dovuta al clima instauratosi con la pratica del pellegrinaggio nella Roma giubilare del 1300; questa presenza, in alternativa, può anche essere letta in relazione a una probabile omonimia del committente con il santo raffigurato71. Accanto a S. Giacomo viene rappresentato S. Francesco che introduce un personaggio femminile con il capo coperto da un velo bianco72. L’effigie del santo entrò nell’arte figurativa romana con l’elezione nel 1288 al soglio pontificio di Niccolò IV (1288-1292), primo papa francescano. S. Francesco viene rappresentato stante: nella mano destra sul cui dorso sono rappresentate delle La tipologia del santo protettore che introduce un personaggio laico al cospetto della Madonna in Trono con il Bambino è esemplificata nel pannello votivo in S. Maria in Trastevere di Bertoldo Stefaneschi (Ibidem p. 57, nota 77). 72 L’usanza di coprire il capo con un corto velo bianco è presente anche nei mosaici di facciata di S. Maria Maggiore con la storia della fondazione, dove si riscontra inoltre, una comunanza stilistica con la decorazione di S. Passera (Ivi, nota 78). 71 75 stigmate, stringe un libro minuziosamente realizzato. Questo frammento pittorico con la rappresentazione del santo d’Assisi insieme al santo, forse omonimo del committente, che viene raffigurato in preghiera al cospetto della Vergine ripropone lo schema tipo del pannello votivo già comparso nell’affresco ascritto al Cavallini nella tomba del cardinale Matteo d’Acquasparta nella basilica di a S. Maria in Aracoeli. Così a S. Passera viene a costituirsi un unicum interpretabile come un indizio di un legame tra il committente e l’ordine mendicante73. Fig. 55 Windsor, Windsor Castle, Royal Library, copia ad acquarello rappresentante l’affresco del catino absidale (da Morey 1908) 73 Ibidem, p. 51. 76 -La decorazione dell’arco absidale La decorazione dell’arco che si mostra essere ben conservata è senza ombra di dubbio legata allo stesso cantiere pittorico attivo nella decorazione del cilindro absidale. Al di sotto di una cornice a prospettici74(Fig. mensoloni 56), oggi assai guasta e conservata solo in minima parte, viene proposto tradizionale il schema apocalittico degli Evangelisti con al centro il clipeo dell’Agnus Dei affiancato da Fig. 56 Roma, chiesa di S. Passera, montante sinistro dell’arco absidale, mensolone prospettico due coppie di candelabri e il Tetramorfo. Di questi quello meglio conservato e riconoscibile è l’Angelo, simbolo di Matteo (Fig. 57), rappresentato, come di norma, a mezzo busto con le ali spiegate di diverso colore e un drappo rosso che gli avvolge la spalla per poi ricadere sul davanti. L’Angelo indica con la mano destra il Vangelo che viene sostenuto e aperto sulla sinistra. Le efflorescenze saline hanno danneggiato invece il Tetramorfo Fig. 57 Roma, chiesa di S. Passera, montante sinistro dell’arco absidale, Evangelista Matteo (da Manacorda 1994) con l’Aquila, simbolo di Tale motivo è riconducibile a un gusto per la scultura architettonica dipinta di matrice classica che era divenuto una consuetudine sul finire del Duecento (MANACORDA 1994, Ivi). 74 77 Fig. 58 Windsor, Windsor Castle, Royal Library, acquarello rappresentante l’arco absidale della chiesa di S. Passera (da Morey 1915) S. Giovanni, dipinto sul montante destro dell’arco. In questa figura si registra una grande monumentalità a discapito dell’espressività. Per la realizzazione del simbolo di Matteo invece, l’artista si è sicuramente avvalso della lezione cavalliniana. L’unico brano dotato di grande naturalismo è quello rappresentato dai due arbusti che si piegano, frondosi, seguendo il profilo dell’arco (Fig. 58). Più in basso sono riprodotti i santi titolari della chiesa: a destra, S. Giovanni e, a sinistra era la figura, ora perduta, di S. Ciro; sui piedritti, infine, sono rappresentate rispettivamente S. Pudenziana e S. Prassede, i cui nomi sono riportati ai piedi delle figure, inquadrate all’interno nicchie architettoniche. S. Pudenziana (Fig. 59) viene rappresentata in posizione frontale con una solida volumetria. La santa è avvolta da un drappo bianco con bordo decorato a righe nere orizzontali che viene appoggiato sulla spalla sinistra e le va ricadendo lungo il corpo. Nel volto sono ben evidenti i larghi zigomi; la bocca è rossa e carnosa, il suo naso dritto e lungo. La figura di S. Prassede (Fig. 60) mostra una fattura più debole, i caratteri non sono così marcati; ma si deve tener presente che molto probabilmente la figura mostra evidenti tracce di una pesante ridipintura75. 75 Ibidem, p. 52. 78 Fig. 59 Roma, chiesa di S. Passera, piedritto sinistro dell’arco absidale, S. Pudenziana. (foto da http//:www.nelrionediromaisola.it) Fig.60 Roma, chiesa di S. Passera, piedritto destro dell’arco absidale, S. Prassede (da Municipio XI) Per quest’ultimo ciclo di affreschi dell’oratorio di S. Passera significative rispondenze dal punto di vista compositivo e iconografico possono essere istituite con le pitture attribuite a Pietro Cavallini a Roma conservate principalmente all’interno della chiesa francescana di S. Maria in Aracoeli, nella controfacciata della basilica di S. Cecilia in Trastevere, con i monumentali resti del Giudizio Universale e, infine, nel catino absidale della chiesa di S. Giorgio in Velabro. In S. Passera, tuttavia, si registra solo un parziale apprendimento della lezione del maestro. L’allontanarsi dalle soluzioni pittoriche del Cavallini si deve probabilmente anche a uno scarto cronologico, rispetto alle opere eseguite dal maestro in città, tutte collocabili in arco cronologico che si pone a cavallo fra la 79 fine del XIII e gli inizi del secolo successivo. Per tali ragioni si può ipotizzare che a S. Passera la decorazione venne eseguita entro i primi due decenni del XIV secolo. -La decorazione della parete laterale sinistra Durante i lavori di restauro eseguiti dall’Istituto Centrale del Restauro negli anni ’80 vennero scoperti alcuni lacerti di affreschi sulla parete laterale sinistra dell’ambiente superiore76. La parete si presenta suddivisa in tre registri pittorici: partendo dal basso si conserva in buone condizioni il finto velario dipinto; nel registro mediano viene rappresentata una teoria di cinque santi orientali ed infine l’ultimo registro prevedeva una serie di pannelli dipinti che raccontavano una storia agiografica, di difficile interpretazione, a causa del cattivo stato di conservazione. L’analisi di questo registro pittorico può cominciare dalla serie del velario dipinto, che risulta essere fondamentale per la datazione della parete dipinta in esame in S. Passera (Figg. 61-62). La pratica di realizzare velari trompe l’oeil non era nuova nell’Italia altomedievale e si può ritrovare anche in tempi più o meno remoti nell’arte classica e più specificatamente nei dipinti murali del Primo e del Secondo Stile. I velari dipinti tornarono in auge con particolare frequenza nella Roma altomedievale in particolare fra l’VIII e il IX secolo come dimostrano alcune interessanti esempi del periodo. I velari conservati in vari punti della chiesa di S. Maria Antiqua a Roma sono, sotto questo aspetto, fondamentali sia dal punto di vista quantitativo sia sotto il profilo stilistico e morfologico, costituendo un parametro di giudizio prezioso soprattutto dal punto di vista cronologico anche per tutti gli altri esempi analoghi custoditi nelle chiese della capitale77. Nel 1699 quando vennero eseguiti dei lavori di restauro presi in carico dal capitolo di S. Maria in via Lata, gli affreschi erano ancora ben conservati, i canonici allora, forse per incapacità di giudizio di questi affreschi decisero di ricoprirli d’intonaco (BATELLI-VACCA 1984). 77 OSBORNE 1992 p. 321. 76 80 Nel caso di S. Passera pannelli a finto velario si conservano ancora leggibili anche sulla parete del presbiterio. Il finto drappeggio sembra essere appeso ad alcuni Fig. 61 Roma, chiesa di S. Passera, finto velario dipinto presso l’abside anelli sulla parete, dove in ogni sezione appare una rosetta, realizzata a puntini. Una analoga decorazione con un motivo principale ricorre in ciascun pannello: frutti o quelli che sembrano essere melograni trovano posto al centro di un motivo a forma di “X”; sia sopra che sotto appare il tipico motivo delle bande orizzontali. È innegabile qui la somiglianza stilistica con il velario dipinto presente nella chiesa 81 Fig. 62 Roma, chiesa di S. Passera, velario dipinto, particolare inferiore di S. Saba, datato all’età di Leone IV (847-852) che mostra lo stesso motivo decorativo giocato principalmente sui frutti posti in ogni sezione della griglia cosi come la partizione in bande policrome (Fig.63). Questa particolare conformazione del motivo ornamentale viene paragonato da J. Osborne con il velum, appartenente al secondo strato di intonaco dipinto sovrapposto al pannello pittorico, oggi staccato e un tempo collocato nell’atrio di S. Maria Antiqua (Fig.64), con il ritratto di Adriano I (772-795); tale testimonianza viene a costituire dunque un termine post quem, per tale tipologia di velario dipinto, da collocare entro la prima metà del IX secolo78. A questo periodo cronologico è possibile inserire, dunque, anche il velario di S. Passera. 78 Ibidem, p. 341. 82 Fig. 63 Roma, chiesa di S. Saba, velario dipinto (da ICCD) Fig. 64 Roma, chiesa di S. Maria Antiqua, atrio, velario dipinto sotto il ritratto di Adriano I, particolare (da ICCD) Lo stesso d’altronde vale anche per il registro dei "Santi orientali”. Questo pannello analizzato dall’Istituto Centrale del Restauro79 vede la rappresentazione di cinque santi, tutti orientali, barbati con tunica e dalmatica eccetto l’ultimo all’estrema destra che è senza barba e indossa un copricapo con la stola (Fig. 65). I santi recano in alto a sinistra un’iscrizione in latino che riporta il loro in nome: S. Giovanni Crisostomo, S. Epifanio, S. Gregorio Nazianzeno e S. Nicola. Secondo Matthiae il termine ante quem per questo ciclo pittorico è il XI secolo; l’Andaloro, con più precisone, lo ricollega all’affresco della navata sinistra di S. Maria Antiqua, rappresentante Cristo seduto tra santi occidentali e orientali, attribuito al periodo di Paolo I (757-765); quest’ipotesi, tuttavia, andrebbe ad anticipare l’intervento di trasformazione del monumento funebre romano ad edificio di culto cristiano in un ambito precarolingio. L’Andaloro però riconosce Molte delle informazioni che si hanno oggi sull’esecuzione degli affreschi all’interno della chiesa si deve alla tesi di laurea inedita di R. Bianchi, C. Carcano, D. Luzi, Il complesso monumentale di S. Passera, consultabile presso la biblioteca dell’Istituto. 79 83 anche affinità con gli affreschi di S. Maria Egiziaca a Roma del tardo IX secolo, anche se tale ipotesi non è coerente con le caratteristiche delle strutture murarie della chiesa. Nell’affresco di S. Passera, le figure sono realizzate secondo i canoni dell’iconografia bizantina; sono poste su un medesimo piano, frontali e immobili e sguardo fisso e inespressivo degli occhi80. Fig. 65 Roma, chiesa di S. Passera, teoria dei cinque santi orientali (da Municipio XI) Il pannello superiore di difficilissima lettura perché molto consunto (Fig. 66), secondo M. Falla è da identificare con un episodio raccontato negli Acta Praxedis et Potentianae un testo scritto tra il V-VI secolo che narra le vicende delle due sante e del padre Pudente, definito Amicus apostolorum del redattore del testo81. Nella scena in alto sulla sinistra, assisa su un sedile, senza il dossale, si riconosce una santa con una capigliatura rigonfia che lascia in parte scoperte le orecchie. Secondo la studiosa quest’iconografia è molto vicina ai ritratti di S. Prassede della chiesa omonima a Roma fatta costruire da papa Pasquale I (817-824). Dietro il 80 81 BATELLI-VACCA 1984, pp. 36-38. FALLA 2011, pp. 73-77. 84 sedile si scorge la figura di un personaggio stante mentre accanto alla santa si dispongono tre figure che a giudicare dall’abito appartengono al rango ecclesiastico. La scena viene collocata all’interno di un ambiente chiuso ma in uno sfondo scuro delimitato da una cornice nera. S. Prassede tiene in mano un cartiglio dispiegato che porge al personaggio in abiti vescovili ed entrambi sono santi poiché il capo è cinto dal nimbo82. Fig. 66 Roma, chiesa di S. Passera, parete laterale sinistra, pannello rappresentante forse la donazione a S. Prassede (da Pennesi 2006) Questa scena potrebbe essere riconosciuta con l’episodio della donazione dei beni lasciati in eredità a Prassede e Pastore dal fratello di lei, Novato. I beni sarebbero stati utilizzati per la fondazione di una chiesa nelle terme di Novato, su richiesta 82 Ibidem, p. 74. 85 di Prassede a papa Pio che la dedicherà a S. Pudenziana e farà erigere anche un battistero83. Secondo M. Falla il personaggio abbigliato in abiti vescovili è riconoscibile con papa Pio I che venne santificato e per questo raffigurato con il nimbo come S. Prassede. La reiterata presenza dell’immagine di S. Prassede all’interno della chiesa come già visto negli affreschi trecenteschi sui piedritti dell’arco absidale e nella camera ipogea, porta la studiosa a ritenere corretta l’intitolazione originaria a S. Prassede84 e ipotizzare che dietro questo registro pittorico si celasse la committenza di papa Pasquale I; ma bisogna constatare la totale assenza di notizie al riguardo85. Papa Pio I secondo un passo degli Acta edificò una chiesa in onore di S. Prassede in vico qui appellatur Lateranus identificato con quella strada dove sorgeva l’antico titulus Praxedis poi sostituita dalla chiesa di S. Prassede (Ibidem p.76). 84 Il Martinelli credeva che la corruzione del nome era avvenuta da Prassede a Passera (MARTINELLI 1655). 85 Pasuqale I (816-824) aveva fatto traslare le reliquie di S. Prassede al cimitero di Priscilla nell’omonima basilica da lui fatta erigere, insieme ad altri resti di santi (FALLA 2011, p. 76). 83 86 Capitolo VI Conclusioni Le notizie storiche riguardo la chiesa di S. Passera, come visto, non sono cospicue; ciò è dovuto forse alla sua collocazione periferica rispetto ai principali edifici di culto presenti in città; rispetto alle numerose testimonianze artistiche rilevabili al suo interno alcune questioni, proprio in mancanza di dati documentari certi, sono ancora oggetto di dibattito fra gli studiosi. Una di queste riguarda la sua trasformazione da monumento funebre romano in oratorio cristiano. Solo grazie all’analisi delle strutture murarie comparata con lo studio degli affreschi della parete laterale sinistra si è arrivati a formulare l’ipotesi di collocare tale trasformazione alla prima età carolingia vale a dire dalla fine dell’VIII secolo fino alla prima metà del IX secolo. Si deve considerare però che le strutture murarie conservano ancora caratteristiche, come l’inserimento di tufelli tra i laterizi, che appartengono alle murature di VIII secolo, mentre per il finto velario dipinto la datazione non sembra potersi collocare oltre la metà del IX secolo. Lo stesso si può dire per la teoria dei cinque santi orientali della parete laterale sinistra che presenta affinità stilistiche con il grande pannello dipinto con Cristo in trono benedicente affiancato da santi della chiesa orientale e occidentale nella navata laterale sinistra in S Maria Antiqua a Roma, datata all’epoca di Paolo I (757-767). Questi dati, se presi insieme andrebbero ad anticipare l’inizio del cantiere non oltre la fine dell’VIII secolo. Altro nodo da sciogliere è quello relativo alla sua originaria intitolazione; l’ipotesi che la chiesa sia stata dedicata sin dalle origini a S. Prassede come afferma M. Falla non può essere accettata solo sulla base della ripetuta presenza all’interno dell’aula dell’immagine della santa; d’altronde gli stessi Ss. Ciro e Giovanni vengono raffigurati a più riprese in tutti e tre gli ambienti. Anche se della presenza delle reliquie dei Santi Medici non si è mai avuta notizia va preso atto della presenza di un portico evidentemente realizzato offrire riparo ai pellegrini in visita 87 alla chiesa che segue il modello dell’analoga struttura costruita con analoghi intenti nella vicina basilica di S. Paolo fuori le mura; anche l’iscrizione medievale, inoltre, attesta la presenza delle reliquie all’interno del complesso religioso. Non vi è motivo di pensare che vi sia stato un cambio di intitolazione a partire dal XIII da S. Prassede ai Ss. Ciro e Giovanni. Si deve aggiungere inoltre che anche le altre chiese romane dedicate a S. Abbaciro ricevettero la stessa corruttela del nome e questa è senza ombra di dubbio la più solida prova dell’originaria intitolazione dell’oratorio ai Ss. Ciro e Giovanni. La ragione per la quale troviamo affrescate anche S. Prassede e S. Pudenziana sia sui piedritti dell’arco che nell’ambiente ipogeo è a mio avviso da vedere alla luce del nuovo ruolo assunto dalla committenza privata che grazie a grandi disponibilità economiche poteva permettersi la realizzazione di affreschi secondo esigenze personali. Gruppi isolati come quello di Cristo tra i Ss. Ciro e Giovanni o la raffigurazione di santi insoliti come S. Giacomo è il risultato di questo tipo di committenza. Spero che con il mio lavoro abbia reso omaggio a questo monumento che si presenta essere un unicum nel panorama storico-artistico della nostra città con l’augurio che in futuro molti degli interrogativi ancora aperti possano essere risolti anche attraverso la realizzazione di saggi archeologici. Inoltre, colgo l’occasione in questo studio per esprimere il rammarico sullo lo stato di degrado in cui la chiesa continua a versare; un intervento conservativo che interessi sia le murature che gli affreschi è sì ideale ma prima di tutto urgente. 88 89 Bibliografia LP = L. Duchesne, Le Liber pontificalis: texte, introduction et commentaire, Paris 1955. ARMELLINI 1891 = M. ARMELLINI, Le chiese di Roma dal IV al XIX secolo, Roma 1891, pp. 946-947. BARELLI 2008 = L. BARELLI, Il reimpiego delle preesistenze nelle costruzioni di età carolingia a Roma. Il caso dei SS. Quattro Coronati, in Il reimpiego in architettura. Recupero, trasformazione, uso, a cura di J.-F. Bernard, P. Bernardi, D. Esposito, Atti del convegno, Roma 2008, pp. 315-327. BARELLI 2012 = L. BARELLI, Construction Methods in Carolingian Rome (Eighth-Ninth Centuries), in R. Carvais, A. Guillèrme, V. Nègre, J. Sakarovitch (edited by), Nuts & Bolts of Construction History R, II, Paris 2012, pp. 135-141. BARELLI 2017 = L. 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