Sui limiti di un “poema d’azione”
cinematografico
Francesco Zucconi
Il cinema, la semiologia e lo studio dell’“intera vita, nel complesso delle
sue azioni”
Nc"vgqtkc"ekpgocvqitcÞec"fk"Rkgt"Rcqnq"Rcuqnkpk"uk"uxknwrrc"pgnnc"ugeqpfc"
metà degli anni sessanta, quando il dibattito internazionale è perlopiù incentrato sullo sviluppo di una semiologia del linguaggio audiovisivo. Di certo
incauto e a tratti contraddittorio nell’elaborazione della sua teoria – tanto da
guugtg"fgÞpkvq"ÑkpigpwqÒ"fc"Wodgtvq"Geq"Ï"Rcuqnkpk"ocpkhguvc"eqp"hqt¦c"
l’intenzione di pensare la semiologia del cinema nell’alveo di una semiologia
generale capace di analizzare indistintamente le comunicazioni verbali e i
gesti che caratterizzano l’azione degli uomini nella società:
Quello che occorre fare dunque, è la semiologia del linguaggio
fgnnÔc¦kqpg"q"vqwv"eqwtv"fgnnc"tgcnv 0"Quukc"cnnctictg"vcnogpvg"nÔqtk¦zonte della semiologia e della linguistica da perdere la testa al solo
pensiero o da sorridere con ironia, com’è giusto che gli addetti ai
lavori facciano. […] L’intera vita, nel complesso delle sue azioni, è
un cinema naturale e vivente […]. Esso non è dunque che il momento
“scritto” di una lingua naturale e totale, che è l’agire nella realtà.
Kpuqooc"kn"rquukdkng"g"pqp"oginkq"kfgpvkÞecvq"Ñnkpiwciikq"fgnnÔczione” ha trovato un mezzo di riproduzione meccanica, simile alla
convenzione della lingua scritta rispetto alla lingua orale1.
Nel cinema, più che nella letteratura, Pasolini è convinto di poter portare
1
P.P. Pasolini, La lingua scritta della realtà, in Id., Empirismo eretico, Garzanti, Milano
2000, p. 206.
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a compimento una ricerca espressiva di lungo periodo mirata a riconoscere
e valorizzare la sopravvivenza di «vari linguaggi umani simbolici ma non
segnici»2<"gurtguukqpk"fgn"xqnvq."rquvwtg"g"iguvk."eqpÞiwtc¦kqpk"ekpgukejg"
e prossemiche non ancora livellate dall’ascesa della società dei consumi.
Quand’anche accetta le regole del confronto accademico, discutendo alla
pari con i più importanti teorici del linguaggio degli anni sessanta, Pasolini
resta perlopiù interessato alle sfumature critiche del dibattito sulla rappreugpvc¦kqpg"ekpgocvqitcÞec"g"cnng"kornkec¦kqpk"rqnkvkejg"ejg"ncuekc"chÞqtctg0"
Noncurante delle incoerenze terminologiche e delle forzature epistemologiche alle quali sottopone la linguistica e la semiologia, a interessare Pasolini
è prima di tutto l’idea che il cinema, in quanto lingua scritta dell’azione,
possa riprodurre e tradurre, analizzare e comprendere il principio d’azione
immanente alla vita stessa, in modo tale da tutelare l’eterogeneità e l’apertura
potenziale delle sue manifestazioni. È così che la semiologia del cinema
prospettata da Pasolini sembra inaspettatamente tendere – in una lettura
retrospettiva – verso quella zona d’incontro tra semiotica visiva, antroponqikc"gf"guvgvkec"ejg"uctgddg"uvcvc"kfgpvkÞecvc"cnewpk"fgegppk"fqrq"eqp"nq"
uvwfkq"fgnnc"Ñewnvwtc"xkuwcngÒ"g"ejg"cxtgddg"tkeqpquekwvq"pgnnc"Þiwtc"fk"Cd{"
Warburg un caposcuola ideale. La stessa idea naïf, proposta da Pasolini, di
kfgpvkÞectg"wp"gswkxcngpvg"ekpgocvqitcÞeq"fgk"hqpgok"nkpiwkuvkek"pgk"cinèmi,
descritti genericamente come «gli oggetti, le forme e gli atti della realtà che
noi cogliamo coi sensi»3, meriterebbe forse di essere ripensata, oltre i termini
ormai esauriti del dibattito nel quale ha preso corpo, in relazione all’utilizzo
che è stato fatto di quello stesso termine nelle ricerche antropologiche sulla
cinesica dell’azione rituale condotte da Diego Carpitella negli anni settanta4.
Eqog"jc"uquvgpwvq"Igqtigu"Fkfk/Jwdgtocp."itcp"rctvg"fgnnc"tkàguukqpg"
ekpgocvqitcÞec" fk" Rcuqnkpk" rw”" guugtg" tkeqpfqvvc" cn" rtqdngoc" vgqtkeq" g"
pratico riguardante la costruzione di un “grande poema d’azione” che abbia
come protagonista “il popolo”5. Componendo in immagini le camminate, le
lotte e le corse dei protagonisti di Accattone (1961) e Mamma Roma (1962),
Pasolini capisce di poter elaborare le azioni e le passioni a un livello diverso
rispetto a quanto già fatto in romanzi come Ragazzi di vita del 1955 e Una
vita violenta del 1959. Non rinuncia alla consapevolezza che l’immagine
2
P.P. Pasolini, Essere è naturale?, in ivi, p. 243.
Ivi, p. 203.
4
Cfr. D. Carpitella, Cinesica 1. Napoli. Il linguaggio del corpo e le tradizioni popolari:
codici democinesici e ricerca cinematografica."kp"ÑNc"tkegtec"hqnmnqtkecÒ."p0"5"*3;:3+."rr0"83/920
5
Cfr. G. Didi-Huberman, Rgwrngu"gzrqufiu."rgwrngu"hkiwtcpvu0"NÔÎkn"fg"nÔjkuvqktg."6, Les
Éditions de Minuit, Minuit, Paris 2012, pp. 168-231.
3
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Sui limiti di un “poema d’azione” cinematografico
ekpgocvqitcÞec"fl"swcnequc"fk"rtqhqpfcogpvg"equvtwkvq"Ï"rkwvvquvq"uk"urkpig"
verso l’estremo opposto, ipotizzando una “grammatica”6 –, ma rivendica la
possibilità di restituire l’espressività molteplice e la dignità uniforme delle
azioni umane, attraverso una macchina da presa capace di spingersi oltre i
limiti del cosiddetto “progresso”.
Com’è noto, l’ultimo Pasolini rinuncerà a tale impresa, convinto che
wpc" Ñowvc¦kqpg" cpvtqrqnqikecÒ" cxguug" fgÞpkvkxcogpvg" gucwtkvq" nÔkpÞpkvc"
spontanea varietà delle azioni che solo qualche anno prima aveva ancora
potuto trovare e valorizzare con il suo sguardo di regista; quantomeno a
partire dagli anni settanta, la sua produzione critica, teorica e artistica non
farà che scontrarsi con questo problema, ricorrendo a espressioni cupe
eqog"Ñigpqekfkq"ewnvwtcngÒ."Þpq"c"kfgpvkÞectuk"pgnnÔcdkwtc"fcnnc"Vtknqikc"
della vita9. Ma prima di approdare a tale stadio terminale – per scomparsa
del proprio oggetto o per l’impossibilità di riconoscerlo –, Pasolini sembra
aver affrontato le criticità costituite dalla presenza di uno sguardo autoriale
– intellettuale e tecnicizzato, in qualche modo compromesso con la società
dei consumi –, laddove si professa l’idea di un cinema capace di spingersi
verso le periferie senza per questo assumere le posture autoritarie, didatvkejg"q"xq{gwtkuvkejg"fgn"eqnqpk¦¦cvqtg0"Ug"ng"tkàguukqpk"uwnnc"Ñowvc¦kqpg"
antropologica” occuperanno l’ultima fase del lavoro pasoliniano, è negli
cppk"uguucpvc"ejg"uk"tkpvtceekc"nÔchÞqtctg"fk"wpc"equekgp¦c"etkvkec"tkàguukxc"
nei confronti del proprio progetto poetico.
Non possiamo sfuggire alla violenza esercitata su di noi da una
uqekgv "ejg."cuuwogpfq"nc"vgepkec"c"uwc"ÞnquqÞc."vgpfg"c"fkxgpktg"
sempre più rigidamente pragmatica […]. Dal grande poema d’azione
di Lenin, alla piccola pagina di prosa d’azione di un impiegato della
Fiat o di un ministero, la vita si sta indubbiamente allontanando dai
classici ideali umanistici e si sta perdendo nel pragma. Il cinematografo (con le altre tecniche audiovisive) pare essere la lingua scritta
di questo pragma. Ma è forse anche la sua salvezza, appunto rgtejfi"
lo esprime – e lo esprime dal suo stesso interno: producendosi da
esso e riproducendolo8.
6
P.P. Pasolini, La lingua scritta della realtà, cit., pp. 208-226.
Cfr. P.P. Pasolini, Abiura dalla Trilogia della vita, in “Corriere della sera”, 15 giugno
3;97."qtc"kp"Kf0. Lettere luterane. Il progresso come falso progresso, Einaudi, Torino 2003, pp.
93/98."g"Kf0."Il mio Accattone in TV dopo il genocidio."kp"ÑEqttkgtg"fgnnc"UgtcÒ.":"qvvqdtg"3;97."
ora in ivi, pp. 152-158.
8
P.P. Pasolini, La lingua scritta della realtà."ekv0."rr0"3;;"g"4290
9"
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Se in questo celebre testo datato 1965 emerge chiaramente la consapevolezza che il cinema, in quanto tecnica della visione, è capace di imporre
cink"qiigvvk"ejg"kpswcftc"wpc"rtcuuk"gurtguukxc."fl"hqtug"kp"wp"Þno"fk"rqejk"
mesi precedente che diventa possibile trovare la massima esplicitazione di
un problema allo stesso tempo artistico, etico e politico.
È La ricotta (1963) il saggio pasoliniano sui limiti di un “poema d’azione”
ekpgocvqitcÞeq."fqxg"kn"tgikuvc"tkàgvvg"g"kpxkvc"c"tkàgvvgtg"uwnnc"rquukdknkv "
di rappresentare le azioni di chi vive ai margini della città e della società9.
Il cinema, dice il regista friulano esprime “l’intera vita nel complesso delle
sue azioni”; ma come esprimere gli spazi e i tempi d’azione di uomini e
donne che vivono alla periferia di Roma all’interno dello spazio-tempo
fgnnc"oguuc"kp"uegpc"ekpgocvqitcÞecA"Eqog"rtguvctg"kn"rtqrtkq"uiwctfq"
all’azione di un altro? È La ricotta, il set di un gioco mortale tra la dinamica dell’azione immanente alla vita del borgataro Stracci e l’imperativo
“Azione!”"cvvtcxgtuq"kn"swcng"kn"tgikuvc"fgn"Þno"pgn"Þno"fkurqpg"ink"urc¦k"g"
k"vgork"fgnnc"oguuc"kp"uegpc"ekpgocvqitcÞec0
“Scena 2050” e dintorni: i tableaux vivants e l’azione come messa in scena
Com’è noto, La ricotta racconta la storia di una comparsa, il povero
Uvtceek."ejg"fwtcpvg"ng"tkrtgug"fk"wp"Þno"uwnnc"rcuukqpg"fk"Etkuvq"owqtg"uwnnc"
croce a causa di un’indigestione; la parte destinata a Stracci all’interno della
rappresentazione di secondo grado è quella del ladrone buono. Il registaocpkrqncvqtg"fl"kpvgtrtgvcvq"fc"Qtuqp"Ygnngu"g"fqrrkcvq"fc"Ikqtikq"Dcuucpk0"
Alle sequenze in bianco e nero riguardanti la vita della troupe e il percorso
che porta la comparsa a morire sulla croce, si avvicenda la messa in scena a
colori dei tableaux vivant ispirati alla Deposizione (1521) di Rosso Fiorentino e al Trasporto di Cristo al sepolcro terminato dal Pontormo nel 1528.
Le sequenze relative all’allestimento dei due capolavori della pittura
italiana iniziano con la presenza in campo di un elemento estraneo alla comrquk¦kqpg<"pgnnc"rtkoc"uk"vtcvvc"fk"wp"cffgvvq"cnnc"hqvqitcÞc."pgnnc"ugeqpfc"fk"
una sarta. Poi il regista interpretato da Welles inizia a impartire ordini agli
attori, mentre la macchina da presa scompone il totale della citazione pittorica in una serie di dettagli che restituiscono le azioni e posture caratteristiche
fgk"rgtuqpciik"gxcpignkek<"nÔkpuvcdknkv "Þukec"fk"Octkc."nc"ueqorquvg¦¦c"g"
9
Si deve ad Adelio Ferrero un primo accostamento tra La ricotta e la riflessione sul cinema
come “lingua scritta dell’azione”, cfr. A. Ferrero, Il cinema di Pier Paolo Pasolini, a cura di L.
Pellizzari, Marsilio, Venezia 1994, p. 46.
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l’esuberanza della Maddalena, la gravità di san Giovanni. Un controcampo in bianco e nero mostra Welles seduto sulla sedia, nel momento in cui
rtqpwpekc"nc"htcug<"ÅOqvqtg0"C¦kqpg#Ç10.
Al posto dell’interattività dialogica tra campo e controcampo, le sequenze
dedicate ai tableaux vivants esprimono una concezione monodirezionale
dello sguardo e un utilizzo del linguaggio limitato alla “funzione conativa”11:
ÅUqpkc."tkeqtfcvk"ejg"ugk"ck"rkgfk"fk"Etkuvq."pqp"rgpuctg"cn"vwq"ecipqnkpq#"
]È̲"Pqp"equ·."pqp"equ·."nq"tkrgvc#"Rḱ"tcrkvc."rḱ"rkc#"Pq."ng"jq"fgvvq"ejg"
fgxg"tguvctg"hgtoc."pqp"cikvk"swgk"dkekrkvk#"]È̲"Ngk"fl"nc"Þiwtc"fk"wpc"rcnc"
fÔcnvctg#"Jc"ecrkvqA"Hgtoc#Ç0"
Cvvtcxgtuq"nÔgurgfkgpvg"fgn"Þno"pgn"Þno"g"nÔcnnguvkogpvq"fgnng"vcxqng"rkvtoriche, Pasolini concettualizza una teoria dell’azione intesa come omologazione"fgink"kpvgtrtgvk"cnng"kpfkec¦kqpk"fk"tgikc"g"cnnÔkeqpqitcÞc"fk"tkhgtkogpvq0"
Qui, l’azione degli attori tende a coincidere, e deve tendervi, con la messa in
scena"rtqurgvvcvc"fgn"tgikuvc0"Wp"rtqeguuq"fkhÞeqnvquq"ejg"kpeqpvtc"rkeeqng"
tattiche di resistenza nonché errori rispetto alla “sceneggiatura”, come la
dncuhgoc"kttw¦kqpg"fgn"vykuv"kp"xgeg"fk"wpc"eqorquk¦kqpg"fk"Uectncvvk0"Wp"
lavoro febbrile che esprime una concezione autoritaria e fallimentare del
pathos – incapace di lasciarlo scaturire nel corpo stesso degli attori, nel cuore
dell’immagine –, e che culminerà in un ammasso informe: la caduta con la
quale si conclude la sequenza relativa all’opera di Pontormo12.
Se l’allestimento dei due dipinti costituisce un momento profondamente
cwvqtkàguukxq."cpejg"nÔkoocikpg"kp"dkcpeq"g"pgtq"fk"Uvtceek"fl"tguvkvwkvc"fc"
uwdkvq" cvvtcxgtuq" ng" hqtog" fgn" eqokeq" g" uk" kfgpvkÞec" pgnng" cnvgtc¦kqpk" fgn"
“basso corporeo” grottesco13. Ben lontani da una riproduzione rispettosa delle
azioni della vita degli uomini e delle donne che vivono alla periferia della
grande città, le strategie di composizione che presiedono alla costruzione
fgnnÔkoocikpg"fk"Uvtceek."kp"swcpvq"Þiwtc"goctikpcvc"g"octikpcng."uk"ocpk-
10
Per un’analisi dettagliata delle sequenze dedicate ai tableaux vivants, come per un’accurata indagine filmologica, cfr. T. Subini, Pier Paolo Pasolini. La ricotta, Lindau, Torino 2009.
11
"Eht0"T0"Lcmqduqp."Linguistica e poetica, in Id., Saggi di linguistica generale, tr. it., Felvtkpgnnk."Okncpq"3;88."r0"3:90
12
Sulla caduta della composizione ispirata al Pontormo come esaurimento di una determinata
concezione dell’estetica, nonché per comprendere il ruolo assunto da Stracci nel merito di tale
collasso, cfr. P. Montani, La vita postuma della pittura nel cinema, in Cinema/Pittura. Dinamiche
di scambio, a cura di L. De Franceschi, Lindau, Torino 2003, pp. 31-42.
13
Sul grottesco e sulle sue figure si rimanda a M. Bachtin, L’opera di Rebelais e la cultura
popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, tr. it., Einaudi,
Torino 2001. Per uno studio del “grottesco corporeo” nel cinema di Pasolini, cfr. R. De Gaetano,
Il corpo e la maschera. Il grottesco nel cinema italiano."Dwn¦qpk."Tqoc"3;;;."rr0"99/:70
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festano in quanto tali attraverso l’iperbole del grottesco: la fame atavica che
nq"chàkiig."ceeqowpcpfqnq"cnnq"¥cppk"fgnnc"Eqoogfkc"fgnnÔCtvg."ng"eqtug"
parossistiche e il ridicolo gonnellino che sembra parodiare il perizoma del
Etkuvq0"PgnnÔkpfkxkfwc¦kqpg"fk"wpc"pgvvc"ugrctc¦kqpg"vtc"nc"pcvwtc"ctvkÞekcng"
dei tableaux vivants e la storia “realistica” di Stracci, esaltata nei primi studi
etkvkek"fgfkecvk"cn"Þno."ek”"ejg"tkuejkc"fk"uhwiiktg"fl"nÔcurgvvq"ectkecvwtcng"fgnnc"
uwc"tguc"Þiwtcvkxc."pqpejfi"nÔgurnkekvc¦kqpg"fk"wpc"ugtkg"fk"vtceeg"fgnnq"uiwctfq"
ekpgocvqitcÞeq"pgnng"koocikpk"ejg"nq"kpswcftcpq0"Kp"rctvkeqnctg."pgnng"uegpg"
che prevedono Welles in campo, sempre ripreso frontalmente, ricorre l’utilizzo di uno zoom indietro; Stracci è invece l’oggetto nei confronti del quale
stringe ogni operazione dettagliante: un’esplicitazione della prassi enunciativa
che assegna al borgataro ben determinate azioni e passioni all’interno del
discorso sociale. Tutti i suoi movimenti manifestano la pressione della macchina da presa, mentre gli spazi e i tempi della sua azione sono strettamente
subordinati al programma delle riprese stabilito dal regista e dalla troupe:
basta che Welles decida di girare la sequenza dedicata al “Ladrone buono”,
qrrwtg" ejg" qtfkpk" ÅUejkqfcvgnk#Ç" q" ÅKpejkqfcvgnk#Ç" rgtejfi" Uvtceek" fgddc"
correre da un capo all’altro del set, mentre i suoi bisogni e desideri vengono
kpfgÞpkvcogpvg"rquvkekrcvk"g"equ·"uhtwvvcvk"pgnnc"nqtq"fkogpukqpg"urgvvceqnctg0
Una volta ottenuti i soldi necessari per comprare il cibo, la fame repressa
di Stracci trova sfogo e si manifesta nelle immagini accelerate della corsa dal
tkeqvvctq0"Fqrq"nÔgppgukoq"eqpvtcvvgorq."Uvtceek"rqvt "Þpcnogpvg"ocpikctg"
in una caverna, spazio proprio del “banchetto grottesco”14, ma anche luogo
mitico di rivelazioni e meditazioni sulla rappresentazione e i suoi limiti.
La scena della caverna: l’azione come spettacolo
Ug"nc"Þiwtc"fk"Uvtceek"fl"eqpvkpwcogpvg"kpswcftcvc"fc"wpq"uiwctfq"xccante, caratterizzato da zoom e accelerazioni che esaltano la sua voracità,
xgtuq"nc"Þpg"fgn"Þno"uk"cuukuvg"cnnÔcvvtkdw¦kqpg"fk"vcng"rwpvq"fk"xkuvc"c"wpq"q"
più soggetti all’interno del racconto. Le inquadrature che compongono la
sequenza del banchetto nella caverna manifestano il progressivo aumento
fgn"pwogtq"fk"quugtxcvqtk"fgnnq"ÑujqyÒ"ejg"uk"uxqnig"pgn"tkurgvvkxq"eqpvtqcampo. Si tratta di una sequenza interamente costruita attraverso l’utilizzo
fgnnc"rḱ"ugornkeg"vtc"ng"Þiwtg"fk"oqpvciikq<"pgnnc"fwtcvc"vqvcng"fk"ektec"fwg"
minuti si avvicendano ventitré inquadrature, assegnabili al punto di vista
del borgataro e a quello degli astanti.
14
56
Cfr. M. Bachtin, L’opera di Rebelais e la cultura popolare, cit., p. 329.
FATA MORGANA
Sui limiti di un “poema d’azione” cinematografico
Quanto sembra essere perlopiù sfuggito nelle molte analisi dedicate a La
ricotta è la differente velocità di scorrimento delle immagini che inquadrano
Stracci rispetto a quelle dei membri della troupe posti di fronte a lui e dunque
kn"ugpuq"fgnnc"ugswgp¦c"pgnnc"eqtpkeg"eqornguukxc"fgn"Þno0"Ug"kn"oqpvciikq"
tende alla costruzione di uno spazio omogeneo, l’incommensurabilità tra
il campo e il controcampo è messa in evidenza dall’accelerazione dei gesti
che compongono il pasto. Le azioni grottesche di Stracci – un dinamismo
g"wpÔcxkfkv "gucigtcvg."tguvkvwkvk"Þp"fcnnÔkpk¦kq"eqog"ici"ÑejcrnkpkcpgÒ15 –
tkxgncpq"Þpcnogpvg"kn"rwpvq"fk"xkuvc"ejg"ng"fgvgtokpc0"Kn"ecorq"pgn"swcng"
prendono corpo le sue azioni e passioni non è un spazio omogeneo rispetto a
swgnnq"fgink"cuvcpvk."oc"fl"kn"rcnequegpkeq"fgnnq"ÑUvtceek/ujqyÒ."fl"nÔkoocikpg"
mediale corrispondente all’orizzonte scopico degli osservatori. Il “grottesco” di Stracci perde l’accezione “popolare”, dove i tratti eccessivi vanno
a costituire un’“iperbolicità positiva” che «libera il mondo da ciò che esso
può avere di terribile e spaventoso e lo rende totalmente inoffensivo, gioioso
e luminoso»160"Nc"fghqtoc¦kqpg"fgk"vtcvvk"Þukek"g"fgnnc"ekpgukec"fk"Uvtceek"
non danno vita a un processo di rigenerazione che coinvolge il soggetto e
il mondo, ma rivelano l’orientamento di uno sguardo che modula l’alterità
Þpq"c"hctnc"eqkpekfgtg"eqp"nc"okugtkc0
In altre parole, la sequenza della caverna mostra come l’esasperazione
delle possibilità cinesiche del corpo del borgataro sia ottenuta attraverso
nÔceegngtc¦kqpg"fgnnc"eqorqpgpvg"ekpgvkec"fgn"Þno0"Uk"rw”"fktg"ejg"Uvtceek"fl"
un povero Cristo affamato come un animale e ridere di lui, ma ciò comporta
l’elisione delle strategie di costruzione dello sguardo e dell’oggetto in favore
dell’effetto che produce. Lo “spettacolo di Stracci” consiste in realtà nella
resa estatica della rappresentazione che lo prevede al suo interno.
È dunque nella sequenza della caverna che Pasolini sembra invitare lo
spettatore a prendere posizione: non accorgersi che l’esasperazione della velocità e della fame di Stracci – le cause stesse della sua morte – sono l’effetto
fk"wp"rtqegfkogpvq"vgepkeq"ekpgocvqitcÞeq."g"fwpswg"kfgpvkÞectuk"eqp"ink"
osservatori-aguzzini e le loro risa; oppure riconoscere l’imposizione di un
automatismo che sollecita e limita l’azione del personaggio in relazione a
15
Se il riconoscimento di una citazione da Chaplin nell’accelerazione di Stracci sembra aver
distolto le diverse interpretazioni dal rilevare le implicazioni etiche e politiche della sequenza,
è necessario ricordare come Pasolini stesso abbia indicato tale fonte durante il processo a La
ricotta, nonché riflettuto sulle gag chapliniane in quanto soluzione per «raggiungere il massimo
dell’automatismo trasformando l’azione e il personaggio in un’astrazione che conta come elemento di una rappresentazione non-naturale», P.P. Pasolini, La “gag” in Chaplin, in “Bianco e
PgtqÒ."516."oct¦q/crtkng"3;93."qtc"kp"Kf0."Empirismo eretico, cit., p. 256.
16
M. Bachtin, L’opera di Rebelais e la cultura popolare, cit., p. 55.
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wpc"urgekÞec"geqpqokc"fgnnq"urc¦kq/vgorq."g"fwpswg"uoctectuk"fck"ogodtk"
fgnnc"vtqwrg"fgn"Þno"pgn"Þno0
Da questo momento diventa possibile ripensare tutte le inquadrature che
kn"Þno"jc"oquvtcvq0"Ek”"ejg"uk"fl"xkuvq"fk"Uvtceek"eqpukuvg"fc"ugortg"kp"wpc"
ecvvwtc"Þnokec0"Fcn"ekdq"Ï"nÔwnvkoc"egpc"Ï"cn"uguuq"Ï"nq"ÑuvtkrvgcugÒ"fgnnc"
Maddalena –, agli occhi del protagonista gli oggetti del desiderio diventano
oktciik."rtqurgvvcvk"eqp"kn"Þpg"fk"uhtwvvctg"kn"rqvgp¦kcng"ftcoocvkeq"fk"wpc"
pulsionalità indotta.
Scena “2150. I”: l’azione come scarto
Uk"iktc"nc"ugswgp¦c"fgnnc"EtqekÞuukqpg0"Kn"rtqfwvvqtg."nc"uvcorc."k"xkr"
accorrono sul set disperso nella periferia romana. La troupe è in agitazione,
Stracci è già sulla croce e prova (soffrendo e singhiozzando) la sua parte,
le sue ultime parole da copione: «quando sarò nel regno dei cieli ricordami
al padre tuo». Welles si avvicina seguito da uno sciame di astanti venuti ad
cuukuvgtg"cnnÔgxgpvq0"Rqk"kn"ukngp¦kq."ÅUk"iktc#Ç0"WpÔkpswcftcvwtc"fcnnÔcnvq"
xgtuq"kn"dcuuq"tkrtgpfg"kn"tgikuvc"pgn"oqogpvq"rḱ"vkrkeq<"""ÅC¦kqpg#"È
C¦kqpg#"ÈC¦kqpgÈÇ0"Kn"eqpvtqecorq"fcn"dcuuq"xgtuq"nÔcnvq."cuukokncdkng"
al punto di vista del regista, inquadra Stracci immobile, impassibile. La
voce che istruiva le azioni e le passioni dei tableaux vivant ha perso ogni
ghÞecekc"uwn"eqtrq"fk"Uvtceek0"Kn"tgikuvc"tkrgvg"kpetgfwnq<"ÅC¦kqpg#"C¦kqpg#Ç0"
Il suggeritore suggerisce, inutilmente. Stracci è immobile. Il campo dell’inquadratura si allarga in una composizione che richiama la Deposizione di
Tquuq"Hkqtgpvkpq<"nc"rtgugp¦c"fgnnc"uecnc="nc"Þiwtc"wocpc"ejg"cvvguvc."kpfkec"
e compatisce il corpo sulla croce.
Uvtceek" fl" oqtvq#" Fqrq" cxgt" oqfwncvq" ng" uwg" c¦kqpk" kp" tgnc¦kqpg" cnng"
xguuc¦kqpk"fgk"ogodtk"fgnnc"vtqwrg"g"ck"Ñvgork"vgepkekÒ"fgn"Þno"pgn"Þno."fl"
pgnnc"uegpc"Þpcng"ejg"kn"uwq"eqtrq"fa scarto. È lo stesso Welles, nelle parole
eqpenwukxg"fgn"Þno"c"tgpfgtuk"eqpvq."tgvtqurgvvkxcogpvg."fgnnc"xkqngp¦c"gugtcitata dalla macchina del cinema nei confronti dell’intera vita del borgataro
pgn"eqornguuq"fgnng"uwg"c¦kqpk<"ÅRqxgtq"Uvtceek0"Etgrctg#"Pqp"cxgxc"cnvtq"
modo per ricordarci che anche lui era vivo»39.
È di fronte alla morte della comparsa, del borgataro, dell’ultimo tra i
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39"
Si ricorda che nella prima versione di quest’opera attraversata dalla censura, la frase di
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varianti del film, si rimanda ancora a T. Subini, Pier Paolo Pasolini. La ricotta, cit., pp. 69-85.
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Sui limiti di un “poema d’azione” cinematografico
pgn"Þno"uk"ocpkhguvc"rkgpcogpvg"eqog"rqvgp¦kcng"alter ego di Pasolini18.
Scegliendo l’icona del grandissimo regista internazionale – capace di mapkhguvctg."cf"qipk"Þno."ng"Ñrqvgp¦g"fgn"hcnuqÒ"ejg"fkuukowncpq"nc"Ñxgtkv Ò"
della vita –, il regista friulano sembra esprimere, più di quanto non farà
nei saggi teorici, i limiti della realizzazione di un “grande poema d’aziopgÒ"ekpgocvqitcÞeq0"Nkokvk"gvkek"g"rqnkvkek"ejg"tkiwctfcpq"kn"tcrrqtvq"vtc"
l’“intellettuale” e il “popolo” e l’effettiva possibilità del primo di prestare
il proprio sguardo a uomini e donne appartenenti a un altro mondo sociale
senza che questi «vengano mitizzati e assimilati attraverso la tipizzazione
dell’anomalia, della nevrosi o dell’ipersensibilità»19.
Ben prima di rinunciare al grande poema d’azione per la scomparsa del
mondo delle borgate, Pasolini sembra dunque aver posto in discussione il
proseguimento della ricerca proiettando sul suo punto di vista un’interrogazione critica. In questo senso, La ricotta è un punto di non ritorno. Non
sarà più possibile, come ancora in Accattone o Mamma Roma, tentare di
restituire le azioni e i gesti “sopravviventi” nel corpo del sottoproletariato.
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g"vgepqnqikejg"uwk"eqtrk"Ï"nc"uwc"kpgnwfkdknkv "Ï"Þpq"cnnc"rtqfw¦kqpg"fk"wpq"
scarto20.
Lo stesso Stracci, nel corso de La ricotta."rw”"guugtg"kfgpvkÞecvq"eqp"
Cristo, ma la sua morte sulla croce non è l’esito di una predestinazione.
È piuttosto il risultato di dinamiche di marginalizzazione e sfruttamento
interne alla società e alla società dello spettacolo che Pasolini non si esime dal denunciare. La modulazione basso mimetica di bisogni e desideri
e la tecnicizzazione delle sue azioni lo ha condotto alla croce, dove la
compassione si manifesta in quanto sentimento ultimo."keqpqitcÞc"rgt"wp"
riconoscimento postumo"fgnng"hqtog"fk"xkvc"ejg"nc"uqekgv "jc"tkÞwvcvq"fk"
accogliere nella loro alterità vitale.
Dopo La ricotta, l’azione emergerà ancora, come esito negativo, oppure
come scintilla dialettica tra le potenzialità espressive della tradizione iconoitcÞec"g"ewnvwtcng"fgn"rcuucvq"g"ng"rquukdknkv "fk"c¦kqpg"g"rcuukqpg"kpuetkvvg"
nei corpi del tempo presente. È qui, nel tentativo di comprendere l’esito del
18
Il rapporto tra il regista de La ricotta e il regista del film nel film è analizzato in numerosi
studi; su tutti, cfr. S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Le Lettere, Firenze 1994,
p. 112.
19
P.P. Pasolini, Il cinema di poesia, in Id. Empirismo eretico."ekv0."r0"3:90
20
Sull’incrinatura del rapporto di «complementarità tra Poeta e umili che si reggeva sul
riconoscimento delle rispettive identità e sull’identificazione di un comune nemico», nella
riflessione pasoliniana attorno alla metà degli anni sessanta, cfr. W. Siti, L’opera rimasta sola,
in P.P. Pasolini, Tutte le poesie, a cura di W. Siti, vol. II, Mondadori, Milano 2003, p. 1931.
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Francesco Zucconi
progetto estetico pasoliniano dopo la svolta degli anni sessanta, che quella
“semiologia del cinema come lingua scritta dell’azione”, prospettata alla
Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, sembra concretizzarsi
nella costruzione di un campo transdisciplinare di studi sull’immagine che
coinvolge la semiotica visiva, l’estetica e l’antropologia.
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