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venerdì 26 luglio 2019

[cosplay in progress] Death Star Trooper.


I soldati della Marina imperiale, noti anche come Imperial Navy Trooper sono stati immaginati da George Lucas nel suo macroverso di Star Wars come una sezione particolare dei reggimenti della flotta imperiale.
Seppur ben equipaggiati e adeguatamente addestrati per il combattimento, non venivano impiegati in scontri a terra frequentemente quanto i loro più popolari colleghi stormtrooper in armatura bianca, ma prestavano prevalentemente servizio a bordo degli Star Destroyer e altre installazioni, come la famigerata Morte Nera nel ruolo di soldati e guardie di sicurezza, protezione dei blocchi di detenzione, controllo degli scudi deflettori, monitoraggio degli array di sensori, controllo del traffico degli hangar e la guida del superlaser. 
Possiamo notarli già nel primo Star Wars (A New Hope) come sentinelle nella sala conferenze principale sulle Morte Nera, scortare Darth Vader nella stanza degli interrogatori o monitorare le apparecchiature nella sala controllo del laser principale che ridurrà in polvere Alderaan. 

Chiamati anche Death Star Trooper, furono i primi a indossare il caratteristico elmetto piombato nero e l'uniforme nera che presto si diffuse alle altre unità militari della Marina imperiale; la loro arma principale era una pistola blaster SE-14 o un fucile blaster E-11, e dovevano la loro lealtà alla Marina imperiale e allo stesso Grand Moff Tarkin – in contrapposizione agli stormtroopers, che erano fedeli all'Imperatore Palpatine .



Come per qualsiasi altro costume dell'universo di Star Wars, per ottenere un'approvazione ufficiale dagli organi riconosciuti da Lucasfilm e da Disney, vanno rispettate scrupolosamente le indicazioni contenute nel databank della 501nesima Legione.
Alla voce Imperial Navy Trooper, scopriamo, ad esempio, che caratteristiche deve avere il caratteristico elmetto (chiaramente ispirato nel design a quello kabuto dei samurai medievali): la  dimensione esatta della cupola in plastica, dei fori e dei blocchi auricolari.
Seppur non popolare come l'iconica maschera blindata di Darth Vader o l'elmetto bianco degli assaltatori imperiali, è possibile trovare in commercio alcune repliche ben realizzate, che rispondono ai requisiti del databank della 501nesima Legione. 
Il mio proviene da Ross Walmsley, un propmaker inglese che mi ha assemblato e spedito l'elmetto in meno di quattro settimane. L'elmetto è leggero, reso più confortevole da un'imbottitura in schiuma, ha un buon livello di dettaglio e non costa una fortuna.


Il resto dell'uniforme è costituito da una divisa standard da ufficiale in gabardine nero, pantaloni da cavallerizzo e stivali da equitazione: quello che la distingue dalle altre, è l'assenza dei cilindri di codice e dai gradi sul petto, la presenza di box metallici sul cinturone e dei guanti che arrivano a metà avambraccio.
Esistono tuttavia fino a quattro versioni di questo outfit, ognuna soggetta a differenti omologazioni, che differiscono tra loro per piccoli dettagli (le differenze sono dovute alle modifiche introdotte dai costumisti nei diversi film della saga in cui sono apparse le Imperial Navy Troopers).




A completare l'equipaggaimento, c'è naturalmente un blaster, l'arma corta a energia dell'universo di Star Wars. Gli Imperial Navy Trooper hanno più di un modello in dotazione, ma io ho scelto l'SE-14. Secondo il database ufficiale, si tratta di una pistola blaster semiautomatica in grado di sparare raffiche da 5 colpi. Consente di infliggere rapidamente dei danni al nemico, ma che va incontro a un surriscaldamento che la rende inutilizzabile per qualche secondo.
Molti propmaker producono e vendono repliche dell'SE-14, alcune delle quali sono stampate direttamente in 3D.
La mia replica è stata costruita da Andrea Zanichelli, da anni un nome noto nelle legioni per la qualità delle sue riproduzioni: leggera e molto dettagliata, è pensata per essere riposta in una fondina di cuoio nero assicurata al cinturone.

La mia prima apparizione come Death Star Trooper è prevista per il prossimo Romics, tra due mesi e spicci (sempre che, una volta completato l'outfit, riesca ad ottenere l'approvazione ufficiale): se vi va di vederlo dal vivo, passate allo stand della 501nesima Legione e dovrei assomigliare a questa immagine qua sotto.

lunedì 17 aprile 2017

Cattivi che potevano essere più cattivi.

Un universo parallelo in cui Rogue One si apre con la stessa scena d'apertura di Inglorious Basterds, solo con Orson Krennic al posto del colonnello Hans Landa e con la medesima tensione drammatica e gli stessi dialoghi di tarantiniana memoria, piuttosto che quella robetta un po' – inevitabilmente – disneyana che abbiamo avuto.
Se qualcuno vuole girarne un remake, sa dove trovarmi.


venerdì 8 gennaio 2016

Cyberluke Awards: il cosplay

Avrete di certo sentito dire, e più di una volta, che la parola cosplay viene dalla contrazione di costume e play, e che quindi significa “giocare” con i costumi.
È una definizione imprecisa e ampiamente spacciata per buona, e probabilmente l'equivoco deriva – almeno nel nostro Paese – dalla traduzione approssimativa apparsa sulla pagina di Wikipedia Italia prima di un suo aggiornamento più simile a quello riportato sulla pagina americana: 
Cosplay is a performance art in which participants called cosplayers wear costumes and fashion accessories to represent a specific character or idea.
Anche questa definizione è parziale, ma quello che salta all’occhio è il verbo “represent (rappresentare)”. Lo scopo del cosplay è, più di qualsiasi altra accezione vogliate dargli, rappresentare un personaggio: muoversi come lui, comportarsi come lui, dargli un'anima, una faccia e un corpo, anche se solo per il tempo di una fiera.

Per conoscere la storia completa e dettagliata di come sia nato il termine cosplay, vi rimando a QUESTO articolo (per i diversamente angolofoni o per chi va di fretta, il succo è: Il termine kosopure è stato inventato nel 1984 dal giornalista Nobuyuki Takahashi per descrivere l’usanza di travestirsi da personaggi di fantasia durante un convegno a cui era presente e per il quale doveva fare un servizio).
Un termine nato in modo del tutto aleatorio da una persona estranea all’ambiente e usato per riassumere a grandi linee ciò che il tipo stava guardando. Il termine – diventato velocemente cosplay in inglese – ha preso poi piede ed è entrato nell'uso comune per distinguere le persone che semplicemente si mascheravano per altri motivi... ad esempio, per carnevale.
Chiarito questo, era un umido inverno del 2007 quando abbracciai il mio lato ludico e partii per la Fumettopoli di Milano... e con in valigia un costume da Batman che avrebbe fatto invidia a Bruce Wayne in persona. Metterlo assieme mi era costato un mucchio, ma l'ultima cosa che volevo era sembrare un tizio con addosso una calzamaglia e una maschera da Carnevale.
Azzittendo il mio senso del ridicolo (aiutato, va detto, da un cappuccio in gomma nera che copriva metà della mia faccia), entrai. Mi feci scattare uno zigallione di foto, mi mescolai tra i cosplayer, fui con loro e uno di loro. E tornai a casa con un bel sorriso e la voglia di averne ancora.

Poi sia chiaro, è tutt'altro che un ambiente perfetto.
Ci sono – anche qui – gelosie, rivalità e invidie da star del quartiere (o anche del condominio). Manca ancora un'identità da accettare e da mostrare con orgoglio.
Durante le manifestazioni ci sono ancora delle goffaggini da evitare (nella gestione dei cosplayer presenti in fiera, la loro accoglienza e il modo per valorizzarli e metterli al servizio della fiera stessa).
Ci sono media partner da trovare e una copertura sui media da rivedere dalle fondamenta.
C'è un lato culturale che esiste ed è ben evidente ma che non riesce ad uscire dagli spazi in cui è confinato (talvolta inadeguati).
Ci sono delle cose vecchie (intese come meccanismi, modi di ragionare di persone che vivono la cosa dall'esterno) da abbattere.
Ci sono tante piccole cose che si potrebbe perfezionare con poco sforzo e che darebbero un grande risultato.
Ma cazzo, la gente alle fiere del fumetto arriva in massa e il motivo è che si diverte.
E questa è una grande base da cui partire per costruire qualcosa di ancora migliore.

Negli ultimi dodici mesi, ho cambiato cinque volte personaggio, e quest'anno ne è in arrivo uno nuovo. Se la cosa diverte anche voi, restate sintonizzati.





domenica 8 novembre 2015

C'era una volta Magneto.

Il personaggio di Erik Magnus Lehnsherr, meglio conosciuto come Magneto, ha più di cinquant’anni di vita (Stan Lee e Jack Kirby lo fecero apparire per la prima volta su X-Men n.1 nel settembre 1963) e, attraverso le varie riletture (tra le più incisive, quelle di Chris Claremont e Grant Morrison, rispettivamente negli anni novanta e duemila) Magneto ha saputo rinnovarsi e trovare non solo nuova linfa e tridimensionalità... ma anche mantenere un fortissimo valore iconico che gli ha fatto guadagnare  un posto di rilievo anche nell’universo cinematografico Marvel, pur se nella branca “ripudiata” gestita dalla Fox.

A mio avviso è il villain più interessante partorito dalla Casa delle Idee, più del rosicone sfigurato in armatura o del nazista fuori tempo massimo.
È un disilluso. Non ha più fede nel sogno che un tempo lo poteva accomunare a Charles Xavier, il solo che avrebbe la forza di smantellare la sua ideologia totalitaria e tirarlo dalla sua parte.
Magneto ha visto e sperimentato la crudeltà nazista sulla sua pelle, ha odiato il loro considerarsi una razza superiore, ma – come troppo spesso accade – è diventato come e peggio di loro (e se ne rende conto, rendendo più interessante la sua tragedia personale).
I nazisti hanno provato a privarlo della sua identità, col solo risultato di creare un egocentrico e un arrogante.
Se volete farvi un’idea veloce del personaggio, guardatevi First Class. Anche se tecnicamente è un film sulla nascita degli X-Men, è praticamente un film su Magneto, le sue origini, il suo tormento, la sua furia cieca.

Un terrorista, certo. Ma che crede ciecamente nella sua causa.
Anche per lui, in un certo senso, vale il leitmotiv da un grande potere derivano grandi responsabilità: è uno dei mutanti più potenti al mondo, e come tale ha il dovere di guidare la sua razza verso un domani migliore, più sicuro e più “giusto” per quello che lui considera il passo successivo dell’evoluzione dopo l’homo sapiens: la specie mutante, il gene X, i Figli dell’Atomo. Visti come mostri dal resto della cosiddetta “umanità”, da sempre pronta a temere e odiare il “diverso”.
Un folle lucido, lacerato tra un dolore regresso incancellabile e da un ideale evoluzionistico che non può realizzarsi che attraverso il genocidio. Il tutto, sostenuto da un potere mostruoso.
Probabilmente, troppo per un uomo solo.

E mi piace.
Mi piace perché non sempre la maggioranza ha ragione a prescindere.
Mi piace perché sa che anche lui finirà a bruciare in qualche inferno, ma solo dopo aver realizzato un’utopia (non per lui, ma per la sua gente).
Mi piace perché ha fatto da tempo quel salto per cui le azioni contano più delle conseguenze.
Mi piace perché lo vedo come uno strumento semidivino e imperfetto in mano all’evoluzione e alla selezione naturale.

A quattro anni di distanza dalla prima volta che scelsi di vestirne i panni, credo di avergli reso sufficiente omaggio e depongo l’elmetto. Per passare a qualcos’altro o a pigliarmi una pausa.
Se mi seguite da abbastanza tempo, saprete anche che non sarà troppo lunga… chissà che non ne rimaniate almeno un poco sorpresi?

PS Le (gran belle) foto che vedete in questo post, sono di Paul Sciò e Alessio Buzi.
Così bravi che io al massimo, mi metto davanti a Photoshop e aggiungo appena un tocco di magia digitale.

giovedì 26 febbraio 2015

Lucca Comics and games, 2014. Poteva andare peggio. Poteva piovere. (breve e tardivo reportage)

Sono già due edizioni, ormai, in cui ho rinunciato all’acquisto del biglietto per l’ingresso nei padiglioni del Lucca Comics and Games.
Per più di un buon motivo: uno dei più evidenti è la praticità.
Sgusciare più o meno indenni nella calca dei vicoli di Lucca senza danni al costume è già un traguardo, al Lucca Comics… e questo ve lo potrà dire qualsiasi cosplayer o visitatore. Ma riuscire a farlo dentro lo spazio ristretto dei padiglioni, è una scommessa persa in partenza.
E poi, naturalmente, c’è il fattore tempo, e qui la logistica non aiuta di certo. Anche per chi pensa di essere più furbo degli altri ed arriva a Lucca col biglietto già acquistato on line, deve sottoporsi alla fila per ottenere il braccialetto, che cambia di colore ogni giorno.
Il che significa che la fila va rifatta ogni giorno.
E, no, non vi danno il braccialetto anche del giorno dopo pure se avete comprato il biglietto per più giorni, come sarebbe logico fare.
E, no, per chi compra l’abbonamento non c’è un braccialetto di colore speciale che gli consentirebbe, come sarebbe logico fare, di entrare con quello tutti i giorni senza dover rifare necessariamente la fila.
E se credete che la fila sia un piccolo fastidio, è perché non avete visto la fila del sabato mattina, assurdamente più lunga di quella per comprare il biglietto.
E, sì, per entrare nei padiglioni bisogna esibire sia braccialetto che biglietto. Ulteriore scomodità inutile, perché se hai il braccialetto il biglietto devi avercelo per forza. E allora? È tanto per rendermi la vita più difficile e allungare i tempi per entrare? O mi sfugge qualcosa?
Gente che sfoggia braccialetti d’accesso come colori di guerra.

In condizioni “normali” (ma il concetto di “normale”, al Lucca Comics, è in costante ridefinizione) non sarebbe un così grande disagio, ma il punto è che il rapporto sempre più sfavorevole tra aree calpestabili e pubblico pagante (e non) rende tutto più complicato.
La quantità di gente che – soprattutto nella giornata del sabato, complice anche il bel tempo che, per una volta, ha graziato tutti i giorni della manifestazione –si è riversata per le modeste stradine di Lucca è stata qualcosa di esagerato.
L’organizzazione non ha potuto gestire nemmeno parzialmente la confusione, con strade bloccate e padiglioni chiusi a momenti alterni per far defluire la gente all’interno prima di poterne introdurre dell’altra. E d’altro canto, va detto, come avrebbe potuto? Non c’è modo di gestire un tale casino, o almeno io non ne vedo uno.
Per le prossime edizioni, dal momento che non credo che la giunta lucchese sia disposta a mollare una tale miniera d’oro qual è il Lucca Comics, sarà necessario decidere quale strada prendere, se limitare la vendita dei biglietti (improbabile) o allargare gli spazi (comunque limitati)… perché sabato si era ben oltre il punto di saturazione. Ben oltre.
Se ne sono accorti pure quelli di Comic Book Resources, noto sito americano di informazione fumettistica, che scriveva se pensavate che San Diego fosse affollata, guardate cos’è successo a Lucca.
C’è stato addirittura chi ha pensato bene di aggirare il traffico arrampicandosi sulle mura, in stile World War Z (beh, tanto cinema di genere dovrà pure fornire qualche suggerimento di vita, devono aver pensato)… salvo poi cadere e disintegrarsi il bacino. 

Detto questo, i tre giorni della fiera sono stati il solito bagno di folla, sangue, sudore e lacrime, e, sì, ne voglio ancora.
Vi lascio alla gallery, che tanto è quella che volete vedere piuttosto che le mie ciance.
All’anno prossimo.

Vecchio personaggio, nuova tutina. C'è ancora qualcosa da sistemare.


Valerio, Laura e un altro Cap di cui mi sfugge il nome.


Gianni e Giulia. Assortiti bene, nevvero?

Vestita così, puoi entrare ovunque. Devi solo chinare la testa quando passi per le porte.

Predatori. Brutti, cattivi e meravigliosamente creati da Tiziano.

Riccardo nel migliore Batman versione Arkham che possiate sperare di incontrare.

Jennifer e la sua versione steampunk della Fenice. E, sì, lo so, qui serviva proprio la didascalia.

Frozen non l'ho visto, ma tutti giurano che lei era identica ad Elsa.

Non vi ho colpiti? Beh, questo lo farà. Che altro volete di più?

Da sinistra, Carlotta, Erica, io, Enrico e Giulio. Un bel gruppetto, lasciatemelo dire.

Valentina (l'ultima a destra) e il suo straordinario gruppo Mass Effect. Fantastici.

Laura ed Emanuele, in parte come pochi altri.

Iron Man? quale Iron Man?

 Oh, beh, dovendo scegliere.

I ragazzi di Gotham Shadows, sempre un passo avanti.

Enrico, il Wolverine de noantri, e Carlotta, che giusto quest'anno scopre le gioie del cosplay.

Troppi per citarli tutti. Ma, vabbé, avete capito che aria tirava.

Tre giorni passano alla svelta. Torniamo ad essere comuni homo sapiens. Quasi tutti.
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