HISTORY, LAW & LEGAL HISTORY [HLLH]
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Publishing proposals are to be submitted to the Director of the History, Law & Legal History series (director.hllh@unipa.it). One or two Reviewers will evaluate each proposal by means of a double-blind peer-review process. If a revision of the work is requested, the Referees will ascertain if the Author has made the requested changes. If there are inconsistencies with the latter, the work will be submitted to the Scientific Board for a final evaluation.
On submission of their work, the Authors will declare that it is an original piece of work, which does not breach intellectual property or other rights. The Authors must also ensure that their book or chapter does not contain any libellous matter or violate any copyright or other intellectual property rights. The Authors are obliged to cite content from other appropriate sources in order to avoid plagiarism.
The Reviewers will behave in a fair and impartial manner; they will review the material in a timely manner and assist in improving the quality of a submitted proposal or typescript by reviewing the material with care, consideration and objectivity. The Reviewers will inform the Editorial board of any published or submitted content, which is similar to the material under review, or of any suspected plagiarism; they will also maintain the confidentiality of any information or material submitted during the review process.
The Director will: act in a fair and balanced way when carrying out their duties; devoid of discrimination; manage submissions in a timely manner; and treat all material as confidential. They will also provide guidance to the Authors regarding the expectations of the publication and the decision-making process regarding which books to publish, in turn is based on the quality and suitability for the said series.
Address: https://unipapress.com/categoria-prodotto/unipapress/collane/history-law-legal-history/
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Nel contributo che apre la raccolta, Santoro riprende i temi delle Sue ultime indagini nell’orizzonte più vasto dei precedenti studi e, nel riannodare le fila di una vita dedicata alla ricerca scientifica, offre un quadro della Sua concezione del diritto come esperienza giuridica. È una concezione sperimentata in ogni manifestazione del Suo magistero, non solo nell’attività didattica o con i Suoi scritti, ma anche – e soprattutto – nel dialogo quotidiano con chi fino a oggi Gli è stato accanto.
La varietà e la rilevanza dei temi da Lui affrontati per oltre mezzo secolo, così come l’ampiezza e la molteplicità delle prospettive che caratterizzano la produzione dei grandi studiosi, trova eco nei numerosi contributi confluiti in questi Scritti con Raimondo Santoro, che vanno dal diritto privato al diritto pubblico, dal processo privato e criminale alla critica testuale, spaziando anche nella storia della giurisprudenza romana e nella storia della storiografia.
I volumi diventano così un segno di gratitudine per il Suo magistero, che si colloca a pieno titolo nel solco dell’illustre tradizione della Scuola romanistica palermitana, raccolta dal Suo maestro Bernardo Albanese e trasmessa a quanti hanno saputo farne propria la sostanza anche nello stile accademico.
Nel contributo che apre la raccolta, Santoro riprende i temi delle Sue ultime indagini nell’orizzonte più vasto dei precedenti studi e, nel riannodare le fila di una vita dedicata alla ricerca scientifica, offre un quadro della Sua concezione del diritto come esperienza giuridica. È una concezione sperimentata in ogni manifestazione del Suo magistero, non solo nell’attività didattica o con i Suoi scritti, ma anche – e soprattutto – nel dialogo quotidiano con chi fino a oggi Gli è stato accanto.
La varietà e la rilevanza dei temi da Lui affrontati per oltre mezzo secolo, così come l’ampiezza e la molteplicità delle prospettive che caratterizzano la produzione dei grandi studiosi, trova eco nei numerosi contributi confluiti in questi Scritti con Raimondo Santoro, che vanno dal diritto privato al diritto pubblico, dal processo privato e criminale alla critica testuale, spaziando anche nella storia della giurisprudenza romana e nella storia della storiografia.
I volumi diventano così un segno di gratitudine per il Suo magistero, che si colloca a pieno titolo nel solco dell’illustre tradizione della Scuola romanistica palermitana, raccolta dal Suo maestro Bernardo Albanese e trasmessa a quanti hanno saputo farne propria la sostanza anche nello stile accademico.
Nel contributo che apre la raccolta, Santoro riprende i temi delle Sue ultime indagini nell’orizzonte più vasto dei precedenti studi e, nel riannodare le fila di una vita dedicata alla ricerca scientifica, offre un quadro della Sua concezione del diritto come esperienza giuridica. È una concezione sperimentata in ogni manifestazione del Suo magistero, non solo nell’attività didattica o con i Suoi scritti, ma anche – e soprattutto – nel dialogo quotidiano con chi fino a oggi Gli è stato accanto.
La varietà e la rilevanza dei temi da Lui affrontati per oltre mezzo secolo, così come l’ampiezza e la molteplicità delle prospettive che caratterizzano la produzione dei grandi studiosi, trova eco nei numerosi contributi confluiti in questi Scritti con Raimondo Santoro, che vanno dal diritto privato al diritto pubblico, dal processo privato e criminale alla critica testuale, spaziando anche nella storia della giurisprudenza romana e nella storia della storiografia.
I volumi diventano così un segno di gratitudine per il Suo magistero, che si colloca a pieno titolo nel solco dell’illustre tradizione della Scuola romanistica palermitana, raccolta dal Suo maestro Bernardo Albanese e trasmessa a quanti hanno saputo farne propria la sostanza anche nello stile accademico.
I singoli contributi su un dibattito vivo in varie sedi legislative e nella riflessione giuspubblicistica offrono letture originali di temi e problemi che, pur da angolazioni diverse, sono riconducibili a un contesto unitario, che ha come comune denominatore l’organizzazione dello Stato e degli enti regionali e locali.
In questa prospettiva gli interventi hanno riguardato l’assetto istituzionale della Regione siciliana con particolare riferimento alla proposta di introdurre le Province e i suoi organi, che diverrebbero elettivi; il regionalismo differenziato e la ‘riforma Calderoli’; la modifica della forma di governo; la separazione delle carriere dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale; il costo della politica e il finanziamento dei partiti; le prerogative parlamentari nel rapporto con i nuovi media; il ruolo della Commissione europea nelle fasi attuali di ‘permacrisi’.
nozione di ‘appartenenza’, preferita alla nozione di ‘cittadinanza’,
così come la scelta di non applicare in modo meccanico
la contrapposizione fra ius publicum e ius privatum e la
rinuncia ad adottare una prospettiva esclusivamente diacronica,
hanno permesso di ricostruire su nuove basi un processo
storico lungo il quale la civitas Romana non assunse mai
un carattere unicamente politico e un contenuto legato soltanto
a un ambito che oggi chiameremmo pubblicistico.
In tal modo è stato possibile dare rilievo agli strumenti
di condivisione dell’appartenenza politica romana che si
sono realizzati tanto attraverso la concessione della civitas
Romana, quanto con l’attribuzione agli stranieri di singoli
contenuti dello status di civis Romanus.
Questo approccio metodologico e il quadro ricostruttivo
emerso dall’indagine hanno consentito di guadagnare la necessaria
distanza dalle attuali tendenze a ricercare nell’esperienza
giuridica romana conferme autorevoli di paradigmi ideologici
moderni o di rintracciare in essa modelli euristici da
utilizzare anche nel dibattito politico.
Ne è derivato il racconto di una complessa e travagliata
storia di integrazione, nel corso della quale Roma non fu
mai spinta da alcuna univoca istanza ideologica, ma seppe
tenere insieme tutti gli uomini che intese considerare a vari
livelli appartenenti alla propria comunità politica.
I singoli contributi su un dibattito vivo in varie sedi legislative e nella riflessione giuspubblicistica offrono letture originali di temi e problemi che, pur da angolazioni diverse, sono riconducibili a un contesto unitario, che ha come comune denominatore l’organizzazione dello Stato e degli enti regionali e locali.
In questa prospettiva gli interventi hanno riguardato l’assetto istituzionale della Regione siciliana con particolare riferimento alla proposta di introdurre le Province e i suoi organi, che diverrebbero elettivi; il regionalismo differenziato e la ‘riforma Calderoli’; la modifica della forma di governo; la separazione delle carriere dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale; il costo della politica e il finanziamento dei partiti; le prerogative parlamentari nel rapporto con i nuovi media; il ruolo della Commissione europea nelle fasi attuali di ‘permacrisi’.
che postula la supremazia del diritto internazionale sul diritto
interno sancisce l’impossibilità di invocare quest’ultimo per
giustificare la violazione di obblighi internazionali. Opinioni
dottrinarie, esempi di prassi e decisioni giudiziarie, tuttavia,
ammettono la possibilità di richiamare i principi costituzionali
fondamentali come causa di esclusione dell’illecito internazionale.
Q
uesta monografia esamina le possibili strade argomentative
che possono percorrersi per giustificare tale affermazione,
a partire dall’ipotesi che si formi una specifica norma consuetudinaria
secondo cui i principi supremi della costituzione
nazionale siano invocabili come causa di esclusione dell’illecito
internazionale. Una seconda via da considerare si apre quando
si provi a inquadrare i valori supremi protetti dalle Costituzioni
nazionali nell’ambito degli interessi essenziali dello Stato in
virtù dell’esimente della necessità, codificata all’art.¡ 25 del
Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati. Da ultimo
occorre analizzare l’approccio adottato quando si sposta la
questione dal piano del conflitto tra ordinamenti (internazionale
e interni) a quello del conflitto tra principi e valori che, pur
tutelati dalle costituzioni nazionali, sono riconosciuti e protetti
anche nell’ordinamento internazionale.
Lo studio così condotto consente di concludere che, allo
stadio attuale di evoluzione dell’ordinamento internazionale,
gli Stati che oppongono la tutela dei principi fondamentali
delle proprie Costituzioni all’attuazione di obblighi internazionali
non possono pretendere di restare esenti da responsabilità
internazionale, anche se la prassi in questione non resta
priva di effetti sul piano dell’ordinamento internazionale.
Doctorate “Human Rights: Evolution, Protection and Limits”, a
Summer School entitled “Human Rights Reloaded” was held
at the University of Palermo.
The ‘Age of Rights’, as discussed by Norberto Bobbio, seems
to have entered a crisis that compels us to not only expand our
perspective and reconsider the foundations of human rights in
a new light but also to constantly redefine their limits and
reassess their implications, while resisting the temptations of
empty rhetoric.
From this perspective, the title of the Summer School
wanted to inspire a critical rethinking not only of civil and political
rights or social, economic, and cultural rights but also of
the collective rights of society. Specifically, it addressed the
role of societas iuris in adopting a globally responsible
approach towards future generations.
While the lines drawn by the speakers concentrated on
issues to be tackled or possible directions to be followed in a
much wider field, some PhD students of the Doctorate in
“Human Rights” further elaborated these lines to deepen their
reflections and open new perspectives.
This volume collects their writings as younger academics
who are called upon to plant the seeds of their research in this
field.
cittadino, che nell’ultimo ventennio ha acquisito rilievo, si è
andato articolando un dibattito – non solo giuridico – intensificato
al cospetto dell’arretratezza delle trame organizzative e
d’azione delle amministrazioni pubbliche. In tale dibattito, che
ha coinvolto l’opinione pubblica, si registra costantemente la
richiesta di buona amministrazione, di maggiore efficienza e
celerità, di semplificazione. Dall’Amministrazione si attende
inoltre la produzione di un ‘valore pubblico’ inteso in termini di
benessere socio-culturale, economico e ambientale: un valore,
dunque, in grado di superare la dimensione del tradizionale
legalismo e del rispetto formale delle regole d’esercizio della
funzione.
A fronte del bisogno di risultati e di buone performance,
questa monografia raccoglie in una nuova prospettiva un
fascio convergente di riflessioni sull’evoluzione concorrente
dello strumento con cui il legislatore intende realizzare l’amministrazione
performante: il sistema dei controlli amministrativi
interni. L’analisi prende le mosse dalla constatazione che essi
appaiono condizionati da falsi miti e caricati da un’eterogenea
pluralità di obiettivi, come la lotta ai ‘fannulloni’, la meritocrazia,
la gestione dei sistemi incentivanti e premiali, un miglior
uso delle risorse e una razionalizzazione della spesa pubblica, il
miglioramento della qualità dei servizi e, più di recente, la
garanzia della trasparenza e la prevenzione della corruzione
negli apparati pubblici e nelle attività amministrative.
Gli effetti distorsivi e scarsamente utili che si producono a
sostegno dell’amministrazione performante impongono
d’interrogarsi con sguardo critico sul significato della funzione
di controllo. Nel volume il sistema dei controlli interni è
studiato alla luce dei doveri inderogabili di solidarietà e di
buona amministrazione costituzionalmente fondati e ascritti
all’Amministrazione per ritrovare le radici ‘perdute’ della sua
funzionalizzazione al servizio del primato della persona e
delle comunità nell’ordinamento
cinquantennio che precede le compilazioni giustinianee
contribuisce senz’altro a offrire una migliore comprensione dei
fattori e degli elementi che rappresentarono il fertile terreno su
cui quell’esperienza giuridica poté svilupparsi e giungere a
compimento. Il primo dei tre ultimi predecessori di Giustiniano
è Zenone isaurico, che ha esercitato il potere imperiale per circa
un quindicennio. La visione negativa della sua persona e del
suo governo data da alcuni degli storici a lui contemporanei,
interessati per motivi religiosi o politici a nascondere ogni dato
positivo della sua attività di governo, ha prodotto una narrazione
non sempre fedele alla realtà. Questo racconto, recepito
dagli storici posteriori, si è trasmesso alla storiografia moderna,
che ha continuato a prestare fede a quelle scarse e parziali
testimonianze antiche, per lo più del tutto acriticamente, fino
all’ultimo decennio del secolo scorso. La recente, pur forse un
po’ timida, rivalutazione del regno zenoniano proposta da voci
isolate, ma autorevoli, trova conforto nell’analisi della legislazione
uscita dalla sua cancelleria. Il volume ne ripercorre le direttrici
principali, entra nelle pieghe della tecnica impiegata e pone
in luce così una produzione normativa forgiata da esperti che,
se ben conoscevano il diritto del Codice Teodosiano e poi le più
recenti leges datae da Marciano e da Leone I, non ignoravano
affatto il diritto prodotto dai giuristi dell’età del principato.
di Antico regime, ovvero il giudice che amministra la
giustizia nella stagione d’oro della criminalistica, quella, per
intenderci, interpretata da un giurista del calibro, e della reputazione,
di Prospero Farinacci. L’analisi si concentra, infatti, sul
personale giusdicente che ha operato nei tribunali dello Stato
della Chiesa nella prima metà del Seicento, in modo particolare
sui giudici attivi presso le magistrature romane.
L’indagine prosopografica, condotta sulla documentazione
d’archivio dell’amministrazione pubblica papale, si avvale in
modo qualitativo delle carte conservate in alcuni archivi privati.
La ricerca dunque si pone in ideale prosecuzione con gli studi
che dagli anni Novanta hanno costruito un’immagine articolata
e coerente, ancorché sfaccettata, dello Stato della Chiesa e
della Curia romana, con i suoi apparati, i diversi gruppi di prelati
e laici che operano entro la struttura delle cariche e degli uffici,
i linguaggi specifici alla realtà politica governata dal sovrano-
pontefice.
Nell’ambito di questo filone, il volume provvede all’acquisizione
di un tassello strategico per comprendere il funzionamento
della giustizia e la natura delle sue istituzioni, cioè gli
uomini che, nella prima metà del Seicento, svolsero questa
funzione a Roma ed entro un circuito prestigioso di magistrature
nei domini papali. Di costoro, si presentano l’origine, gli
studi, l’avvio della carriera, le traiettorie del cursus honorum, le
strategie clientelari, le risorse familiari e materiali impiegate a
servizio della carriera. Alcuni casi di studio esemplificano i diversi
aspetti con uno sguardo dall’interno. Una terza parte si
concentra sul patrimonio librario posseduto dai giusdicenti
entro il tema più generale delle biblioteche private professionali.
mettono in moto meccanismi cognitivi volti a riorganizzare
conoscenze appartenenti a mondi diversi da quello giuridico. In
questo contesto gli attori della scena processuale sono costretti
a muoversi su un terreno ibrido nel quale si mescolano epistemologia
giudiziaria ed epistemologia scientifica. Un quadro
così fascinoso spinge lo studioso del processo penale a ricercare
chiavi di lettura idonee a spiegare i molteplici dilemmi che il
fenomeno comporta. Da qui la scelta di privilegiare il contraddittorio
tecnico-scientifico quale filo conduttore di uno studio
che, ripercorrendo le varie tappe dell’iter processuale, mira a
farne affiorare i limiti.
Muovendo da un excursus storico-legislativo della prova per
periti, l’analisi proposta prende in esame i diversi canali attraverso
i quali fa ingresso il sapere esperto nel processo, a partire
dalla fase investigativa, con un focus riservato alla digital forensics
e alla forensic genetics, per giungere ai contesti più garantiti,
quali l’incidente probatorio, l’udienza preliminare e il dibattimento.
Prima di approdare al sistema dei controlli delle decisioni, la
riflessione si sofferma sui momenti valutativo e decisorio. È
proprio qui che il giudice al cospetto dell’esperto, per svolgere
razionalmente la propria funzione di ius dicere, è tenuto a
servirsi di un linguaggio privo di ambiguità lessicali, grazie al
quale scienza e diritto interagiscono, comunicando l’una con
l’altro, in una dimensione di piena consapevolezza dei propri
confini epistemologici.
A ottant’anni dalla promulgazione della normativa razziale gli effetti che essa produsse nella comunità antichistica e giusantichistica italiana sono divenuti oggetto d’indagine
nell’ambito di un progetto di ricerca corale, ossia il PRIN 2017 “Studiosi italiani di fronte alle leggi razziali (1938-1945): storici dell’antichità e giuristi”. Il presente volume ne raccoglie gli atti del convegno inaugurale, svoltosi nei giorni 10 e 11 dicembre 2020.
Frutto di un proficuo dialogo fra studiosi con profili e formazioni differenti (in ampia prevalenza storici antichisti, storici del diritto, giuristi positivi), e organizzate intorno a due poli di attrazione dedicati l’uno a Ordinamento, cultura giuridica e contesti ideologici, l’altro a Vicende di studiosi e contesti di studio, queste pagine ambiscono a costituire un’introduzione, anche metodologica, ai temi progettuali. Escono infatti dalla sfera minuta del biografismo, superano gli steccati disciplinari e offrono le opportune premesse per una lettura, sotto luce nuova, di temi, problemi e documenti connessi con le conseguenze della legislazione razziale italiana sul mondo universitario e su quello degli antichisti in primo luogo.
Quanto ai contenuti, insomma, in questo libro non ci sono soltanto storie di norme; e neppure soltanto biografie di studiosi. Vi sono storie di intrecci, piuttosto, e di contesti: e quindi anche di una dissipazione culturale oltre che di vita umana, con ricerche rallentate, osteggiate, interrotte, talvolta irrimediabilmente spezzate.
L’indagine mira a illustrare, dal punto di vista del diritto costituzionale, come la posizione assunta dalla Corte con specifico riguardo al controllo di legittimità sulle norme penali sia sintomatica di un diverso assestamento dei rapporti con gli organi dell’indirizzo politico. Le nuove declinazioni del principio di legalità penale fra primato della Costituzione e scelte politiche discrezionali, infatti, sottendono importanti implicazioni sul piano dell’equilibrio dinamico tra i poteri. A tale scopo la ricerca si sofferma sulla dialettica instauratasi fra legislatore e Corte costituzionale, per indagare se le manipolazioni normative da quest’ultima realizzate, in realtà, non abbiano sovvertito il canone tradizionalmente ricondotto all’art. 25, comma 2, Cost., ovvero l’illegittimità di fonti del diritto punitivo alternative alla legge, in un contesto in cui pare vistosamente assottigliarsi il margine della discrezionalità politica nel compiere le scelte legislative in materia penale.
Il presente studio considera appunto, attraverso i testi paolini, alcuni ipotizzabili collegamenti di pensiero che si propongono di fronte alle stesse esigenze di formazione giuridica, di tecnica e di sapere. Con accenni all’opera di Labeone e, soprattutto, di Sabino (la cui influenza è riconosciuta dallo stesso Paolo nella famosa definizione di regula iuris, D. 50.17.1), e molto ipotizzando circa la natura e il significato dell’opera di Plauzio, l’indagine getta luce sulle origini del metodo e poi sulla diffusione e sull’applicazione della regula, in particolare nel diritto di età severiana.
In tale quadro è riconosciuto a Paolo un ruolo di primo piano nel suo impiego. Sotto questo aspetto, dunque, un significato sicuro acquista la figura e l’opera di un giurista altrimenti poco conosciuto come Plauzio. Si viene a giustificare inoltre la fama che lo stesso Plauzio ebbe nel suo tempo e oltre, che gli valse il commento, conservato per brani nel Digesto, di altri illustri giuristi, oltre a Paolo, di Giavoleno, di Nerazio, di Pomponio, e, forse, anche di Giuliano.
Nel contributo che apre la raccolta, Santoro riprende i temi delle Sue ultime indagini nell’orizzonte più vasto dei precedenti studi e, nel riannodare le fila di una vita dedicata alla ricerca scientifica, offre un quadro della Sua concezione del diritto come esperienza giuridica. È una concezione sperimentata in ogni manifestazione del Suo magistero, non solo nell’attività didattica o con i Suoi scritti, ma anche – e soprattutto – nel dialogo quotidiano con chi fino a oggi Gli è stato accanto.
La varietà e la rilevanza dei temi da Lui affrontati per oltre mezzo secolo, così come l’ampiezza e la molteplicità delle prospettive che caratterizzano la produzione dei grandi studiosi, trova eco nei numerosi contributi confluiti in questi Scritti con Raimondo Santoro, che vanno dal diritto privato al diritto pubblico, dal processo privato e criminale alla critica testuale, spaziando anche nella storia della giurisprudenza romana e nella storia della storiografia.
I volumi diventano così un segno di gratitudine per il Suo magistero, che si colloca a pieno titolo nel solco dell’illustre tradizione della Scuola romanistica palermitana, raccolta dal Suo maestro Bernardo Albanese e trasmessa a quanti hanno saputo farne propria la sostanza anche nello stile accademico.
Nel contributo che apre la raccolta, Santoro riprende i temi delle Sue ultime indagini nell’orizzonte più vasto dei precedenti studi e, nel riannodare le fila di una vita dedicata alla ricerca scientifica, offre un quadro della Sua concezione del diritto come esperienza giuridica. È una concezione sperimentata in ogni manifestazione del Suo magistero, non solo nell’attività didattica o con i Suoi scritti, ma anche – e soprattutto – nel dialogo quotidiano con chi fino a oggi Gli è stato accanto.
La varietà e la rilevanza dei temi da Lui affrontati per oltre mezzo secolo, così come l’ampiezza e la molteplicità delle prospettive che caratterizzano la produzione dei grandi studiosi, trova eco nei numerosi contributi confluiti in questi Scritti con Raimondo Santoro, che vanno dal diritto privato al diritto pubblico, dal processo privato e criminale alla critica testuale, spaziando anche nella storia della giurisprudenza romana e nella storia della storiografia.
I volumi diventano così un segno di gratitudine per il Suo magistero, che si colloca a pieno titolo nel solco dell’illustre tradizione della Scuola romanistica palermitana, raccolta dal Suo maestro Bernardo Albanese e trasmessa a quanti hanno saputo farne propria la sostanza anche nello stile accademico.
Nel contributo che apre la raccolta, Santoro riprende i temi delle Sue ultime indagini nell’orizzonte più vasto dei precedenti studi e, nel riannodare le fila di una vita dedicata alla ricerca scientifica, offre un quadro della Sua concezione del diritto come esperienza giuridica. È una concezione sperimentata in ogni manifestazione del Suo magistero, non solo nell’attività didattica o con i Suoi scritti, ma anche – e soprattutto – nel dialogo quotidiano con chi fino a oggi Gli è stato accanto.
La varietà e la rilevanza dei temi da Lui affrontati per oltre mezzo secolo, così come l’ampiezza e la molteplicità delle prospettive che caratterizzano la produzione dei grandi studiosi, trova eco nei numerosi contributi confluiti in questi Scritti con Raimondo Santoro, che vanno dal diritto privato al diritto pubblico, dal processo privato e criminale alla critica testuale, spaziando anche nella storia della giurisprudenza romana e nella storia della storiografia.
I volumi diventano così un segno di gratitudine per il Suo magistero, che si colloca a pieno titolo nel solco dell’illustre tradizione della Scuola romanistica palermitana, raccolta dal Suo maestro Bernardo Albanese e trasmessa a quanti hanno saputo farne propria la sostanza anche nello stile accademico.
I singoli contributi su un dibattito vivo in varie sedi legislative e nella riflessione giuspubblicistica offrono letture originali di temi e problemi che, pur da angolazioni diverse, sono riconducibili a un contesto unitario, che ha come comune denominatore l’organizzazione dello Stato e degli enti regionali e locali.
In questa prospettiva gli interventi hanno riguardato l’assetto istituzionale della Regione siciliana con particolare riferimento alla proposta di introdurre le Province e i suoi organi, che diverrebbero elettivi; il regionalismo differenziato e la ‘riforma Calderoli’; la modifica della forma di governo; la separazione delle carriere dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale; il costo della politica e il finanziamento dei partiti; le prerogative parlamentari nel rapporto con i nuovi media; il ruolo della Commissione europea nelle fasi attuali di ‘permacrisi’.
nozione di ‘appartenenza’, preferita alla nozione di ‘cittadinanza’,
così come la scelta di non applicare in modo meccanico
la contrapposizione fra ius publicum e ius privatum e la
rinuncia ad adottare una prospettiva esclusivamente diacronica,
hanno permesso di ricostruire su nuove basi un processo
storico lungo il quale la civitas Romana non assunse mai
un carattere unicamente politico e un contenuto legato soltanto
a un ambito che oggi chiameremmo pubblicistico.
In tal modo è stato possibile dare rilievo agli strumenti
di condivisione dell’appartenenza politica romana che si
sono realizzati tanto attraverso la concessione della civitas
Romana, quanto con l’attribuzione agli stranieri di singoli
contenuti dello status di civis Romanus.
Questo approccio metodologico e il quadro ricostruttivo
emerso dall’indagine hanno consentito di guadagnare la necessaria
distanza dalle attuali tendenze a ricercare nell’esperienza
giuridica romana conferme autorevoli di paradigmi ideologici
moderni o di rintracciare in essa modelli euristici da
utilizzare anche nel dibattito politico.
Ne è derivato il racconto di una complessa e travagliata
storia di integrazione, nel corso della quale Roma non fu
mai spinta da alcuna univoca istanza ideologica, ma seppe
tenere insieme tutti gli uomini che intese considerare a vari
livelli appartenenti alla propria comunità politica.
I singoli contributi su un dibattito vivo in varie sedi legislative e nella riflessione giuspubblicistica offrono letture originali di temi e problemi che, pur da angolazioni diverse, sono riconducibili a un contesto unitario, che ha come comune denominatore l’organizzazione dello Stato e degli enti regionali e locali.
In questa prospettiva gli interventi hanno riguardato l’assetto istituzionale della Regione siciliana con particolare riferimento alla proposta di introdurre le Province e i suoi organi, che diverrebbero elettivi; il regionalismo differenziato e la ‘riforma Calderoli’; la modifica della forma di governo; la separazione delle carriere dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale; il costo della politica e il finanziamento dei partiti; le prerogative parlamentari nel rapporto con i nuovi media; il ruolo della Commissione europea nelle fasi attuali di ‘permacrisi’.
che postula la supremazia del diritto internazionale sul diritto
interno sancisce l’impossibilità di invocare quest’ultimo per
giustificare la violazione di obblighi internazionali. Opinioni
dottrinarie, esempi di prassi e decisioni giudiziarie, tuttavia,
ammettono la possibilità di richiamare i principi costituzionali
fondamentali come causa di esclusione dell’illecito internazionale.
Q
uesta monografia esamina le possibili strade argomentative
che possono percorrersi per giustificare tale affermazione,
a partire dall’ipotesi che si formi una specifica norma consuetudinaria
secondo cui i principi supremi della costituzione
nazionale siano invocabili come causa di esclusione dell’illecito
internazionale. Una seconda via da considerare si apre quando
si provi a inquadrare i valori supremi protetti dalle Costituzioni
nazionali nell’ambito degli interessi essenziali dello Stato in
virtù dell’esimente della necessità, codificata all’art.¡ 25 del
Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati. Da ultimo
occorre analizzare l’approccio adottato quando si sposta la
questione dal piano del conflitto tra ordinamenti (internazionale
e interni) a quello del conflitto tra principi e valori che, pur
tutelati dalle costituzioni nazionali, sono riconosciuti e protetti
anche nell’ordinamento internazionale.
Lo studio così condotto consente di concludere che, allo
stadio attuale di evoluzione dell’ordinamento internazionale,
gli Stati che oppongono la tutela dei principi fondamentali
delle proprie Costituzioni all’attuazione di obblighi internazionali
non possono pretendere di restare esenti da responsabilità
internazionale, anche se la prassi in questione non resta
priva di effetti sul piano dell’ordinamento internazionale.
Doctorate “Human Rights: Evolution, Protection and Limits”, a
Summer School entitled “Human Rights Reloaded” was held
at the University of Palermo.
The ‘Age of Rights’, as discussed by Norberto Bobbio, seems
to have entered a crisis that compels us to not only expand our
perspective and reconsider the foundations of human rights in
a new light but also to constantly redefine their limits and
reassess their implications, while resisting the temptations of
empty rhetoric.
From this perspective, the title of the Summer School
wanted to inspire a critical rethinking not only of civil and political
rights or social, economic, and cultural rights but also of
the collective rights of society. Specifically, it addressed the
role of societas iuris in adopting a globally responsible
approach towards future generations.
While the lines drawn by the speakers concentrated on
issues to be tackled or possible directions to be followed in a
much wider field, some PhD students of the Doctorate in
“Human Rights” further elaborated these lines to deepen their
reflections and open new perspectives.
This volume collects their writings as younger academics
who are called upon to plant the seeds of their research in this
field.
cittadino, che nell’ultimo ventennio ha acquisito rilievo, si è
andato articolando un dibattito – non solo giuridico – intensificato
al cospetto dell’arretratezza delle trame organizzative e
d’azione delle amministrazioni pubbliche. In tale dibattito, che
ha coinvolto l’opinione pubblica, si registra costantemente la
richiesta di buona amministrazione, di maggiore efficienza e
celerità, di semplificazione. Dall’Amministrazione si attende
inoltre la produzione di un ‘valore pubblico’ inteso in termini di
benessere socio-culturale, economico e ambientale: un valore,
dunque, in grado di superare la dimensione del tradizionale
legalismo e del rispetto formale delle regole d’esercizio della
funzione.
A fronte del bisogno di risultati e di buone performance,
questa monografia raccoglie in una nuova prospettiva un
fascio convergente di riflessioni sull’evoluzione concorrente
dello strumento con cui il legislatore intende realizzare l’amministrazione
performante: il sistema dei controlli amministrativi
interni. L’analisi prende le mosse dalla constatazione che essi
appaiono condizionati da falsi miti e caricati da un’eterogenea
pluralità di obiettivi, come la lotta ai ‘fannulloni’, la meritocrazia,
la gestione dei sistemi incentivanti e premiali, un miglior
uso delle risorse e una razionalizzazione della spesa pubblica, il
miglioramento della qualità dei servizi e, più di recente, la
garanzia della trasparenza e la prevenzione della corruzione
negli apparati pubblici e nelle attività amministrative.
Gli effetti distorsivi e scarsamente utili che si producono a
sostegno dell’amministrazione performante impongono
d’interrogarsi con sguardo critico sul significato della funzione
di controllo. Nel volume il sistema dei controlli interni è
studiato alla luce dei doveri inderogabili di solidarietà e di
buona amministrazione costituzionalmente fondati e ascritti
all’Amministrazione per ritrovare le radici ‘perdute’ della sua
funzionalizzazione al servizio del primato della persona e
delle comunità nell’ordinamento
cinquantennio che precede le compilazioni giustinianee
contribuisce senz’altro a offrire una migliore comprensione dei
fattori e degli elementi che rappresentarono il fertile terreno su
cui quell’esperienza giuridica poté svilupparsi e giungere a
compimento. Il primo dei tre ultimi predecessori di Giustiniano
è Zenone isaurico, che ha esercitato il potere imperiale per circa
un quindicennio. La visione negativa della sua persona e del
suo governo data da alcuni degli storici a lui contemporanei,
interessati per motivi religiosi o politici a nascondere ogni dato
positivo della sua attività di governo, ha prodotto una narrazione
non sempre fedele alla realtà. Questo racconto, recepito
dagli storici posteriori, si è trasmesso alla storiografia moderna,
che ha continuato a prestare fede a quelle scarse e parziali
testimonianze antiche, per lo più del tutto acriticamente, fino
all’ultimo decennio del secolo scorso. La recente, pur forse un
po’ timida, rivalutazione del regno zenoniano proposta da voci
isolate, ma autorevoli, trova conforto nell’analisi della legislazione
uscita dalla sua cancelleria. Il volume ne ripercorre le direttrici
principali, entra nelle pieghe della tecnica impiegata e pone
in luce così una produzione normativa forgiata da esperti che,
se ben conoscevano il diritto del Codice Teodosiano e poi le più
recenti leges datae da Marciano e da Leone I, non ignoravano
affatto il diritto prodotto dai giuristi dell’età del principato.
di Antico regime, ovvero il giudice che amministra la
giustizia nella stagione d’oro della criminalistica, quella, per
intenderci, interpretata da un giurista del calibro, e della reputazione,
di Prospero Farinacci. L’analisi si concentra, infatti, sul
personale giusdicente che ha operato nei tribunali dello Stato
della Chiesa nella prima metà del Seicento, in modo particolare
sui giudici attivi presso le magistrature romane.
L’indagine prosopografica, condotta sulla documentazione
d’archivio dell’amministrazione pubblica papale, si avvale in
modo qualitativo delle carte conservate in alcuni archivi privati.
La ricerca dunque si pone in ideale prosecuzione con gli studi
che dagli anni Novanta hanno costruito un’immagine articolata
e coerente, ancorché sfaccettata, dello Stato della Chiesa e
della Curia romana, con i suoi apparati, i diversi gruppi di prelati
e laici che operano entro la struttura delle cariche e degli uffici,
i linguaggi specifici alla realtà politica governata dal sovrano-
pontefice.
Nell’ambito di questo filone, il volume provvede all’acquisizione
di un tassello strategico per comprendere il funzionamento
della giustizia e la natura delle sue istituzioni, cioè gli
uomini che, nella prima metà del Seicento, svolsero questa
funzione a Roma ed entro un circuito prestigioso di magistrature
nei domini papali. Di costoro, si presentano l’origine, gli
studi, l’avvio della carriera, le traiettorie del cursus honorum, le
strategie clientelari, le risorse familiari e materiali impiegate a
servizio della carriera. Alcuni casi di studio esemplificano i diversi
aspetti con uno sguardo dall’interno. Una terza parte si
concentra sul patrimonio librario posseduto dai giusdicenti
entro il tema più generale delle biblioteche private professionali.
mettono in moto meccanismi cognitivi volti a riorganizzare
conoscenze appartenenti a mondi diversi da quello giuridico. In
questo contesto gli attori della scena processuale sono costretti
a muoversi su un terreno ibrido nel quale si mescolano epistemologia
giudiziaria ed epistemologia scientifica. Un quadro
così fascinoso spinge lo studioso del processo penale a ricercare
chiavi di lettura idonee a spiegare i molteplici dilemmi che il
fenomeno comporta. Da qui la scelta di privilegiare il contraddittorio
tecnico-scientifico quale filo conduttore di uno studio
che, ripercorrendo le varie tappe dell’iter processuale, mira a
farne affiorare i limiti.
Muovendo da un excursus storico-legislativo della prova per
periti, l’analisi proposta prende in esame i diversi canali attraverso
i quali fa ingresso il sapere esperto nel processo, a partire
dalla fase investigativa, con un focus riservato alla digital forensics
e alla forensic genetics, per giungere ai contesti più garantiti,
quali l’incidente probatorio, l’udienza preliminare e il dibattimento.
Prima di approdare al sistema dei controlli delle decisioni, la
riflessione si sofferma sui momenti valutativo e decisorio. È
proprio qui che il giudice al cospetto dell’esperto, per svolgere
razionalmente la propria funzione di ius dicere, è tenuto a
servirsi di un linguaggio privo di ambiguità lessicali, grazie al
quale scienza e diritto interagiscono, comunicando l’una con
l’altro, in una dimensione di piena consapevolezza dei propri
confini epistemologici.
A ottant’anni dalla promulgazione della normativa razziale gli effetti che essa produsse nella comunità antichistica e giusantichistica italiana sono divenuti oggetto d’indagine
nell’ambito di un progetto di ricerca corale, ossia il PRIN 2017 “Studiosi italiani di fronte alle leggi razziali (1938-1945): storici dell’antichità e giuristi”. Il presente volume ne raccoglie gli atti del convegno inaugurale, svoltosi nei giorni 10 e 11 dicembre 2020.
Frutto di un proficuo dialogo fra studiosi con profili e formazioni differenti (in ampia prevalenza storici antichisti, storici del diritto, giuristi positivi), e organizzate intorno a due poli di attrazione dedicati l’uno a Ordinamento, cultura giuridica e contesti ideologici, l’altro a Vicende di studiosi e contesti di studio, queste pagine ambiscono a costituire un’introduzione, anche metodologica, ai temi progettuali. Escono infatti dalla sfera minuta del biografismo, superano gli steccati disciplinari e offrono le opportune premesse per una lettura, sotto luce nuova, di temi, problemi e documenti connessi con le conseguenze della legislazione razziale italiana sul mondo universitario e su quello degli antichisti in primo luogo.
Quanto ai contenuti, insomma, in questo libro non ci sono soltanto storie di norme; e neppure soltanto biografie di studiosi. Vi sono storie di intrecci, piuttosto, e di contesti: e quindi anche di una dissipazione culturale oltre che di vita umana, con ricerche rallentate, osteggiate, interrotte, talvolta irrimediabilmente spezzate.
L’indagine mira a illustrare, dal punto di vista del diritto costituzionale, come la posizione assunta dalla Corte con specifico riguardo al controllo di legittimità sulle norme penali sia sintomatica di un diverso assestamento dei rapporti con gli organi dell’indirizzo politico. Le nuove declinazioni del principio di legalità penale fra primato della Costituzione e scelte politiche discrezionali, infatti, sottendono importanti implicazioni sul piano dell’equilibrio dinamico tra i poteri. A tale scopo la ricerca si sofferma sulla dialettica instauratasi fra legislatore e Corte costituzionale, per indagare se le manipolazioni normative da quest’ultima realizzate, in realtà, non abbiano sovvertito il canone tradizionalmente ricondotto all’art. 25, comma 2, Cost., ovvero l’illegittimità di fonti del diritto punitivo alternative alla legge, in un contesto in cui pare vistosamente assottigliarsi il margine della discrezionalità politica nel compiere le scelte legislative in materia penale.
Il presente studio considera appunto, attraverso i testi paolini, alcuni ipotizzabili collegamenti di pensiero che si propongono di fronte alle stesse esigenze di formazione giuridica, di tecnica e di sapere. Con accenni all’opera di Labeone e, soprattutto, di Sabino (la cui influenza è riconosciuta dallo stesso Paolo nella famosa definizione di regula iuris, D. 50.17.1), e molto ipotizzando circa la natura e il significato dell’opera di Plauzio, l’indagine getta luce sulle origini del metodo e poi sulla diffusione e sull’applicazione della regula, in particolare nel diritto di età severiana.
In tale quadro è riconosciuto a Paolo un ruolo di primo piano nel suo impiego. Sotto questo aspetto, dunque, un significato sicuro acquista la figura e l’opera di un giurista altrimenti poco conosciuto come Plauzio. Si viene a giustificare inoltre la fama che lo stesso Plauzio ebbe nel suo tempo e oltre, che gli valse il commento, conservato per brani nel Digesto, di altri illustri giuristi, oltre a Paolo, di Giavoleno, di Nerazio, di Pomponio, e, forse, anche di Giuliano.